Il regime di Milo Djukanovic ha colpito nuovamente la chiesa Serbo Ortodossa, distruggendo parte di un monastero nella città di Dulcigno...
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Velimir Tomović
Analisi della situazione nel Balcani
1. INTRODUZIONE: PASSATO
Prima di parlare di ciò che sta accadendo oggi nei Balcani, voglio fare un breve salto indietro nel tempo, poiché ritengo sia di importanza cruciale conoscere alcuni elementi chiave del passato per poter meglio comprendere la realtà odierna.
La Jugoslavia innanzitutto nasce dalle ceneri di due guerre mondiali e dalla fine del secondo conflitto mondiale fino alla fine degli anni 80 riesce a rimanere unita e svolge un ruolo cruciale, il ruolo di cuscinetto tra occidente e oriente. Tutto poi cambia con il crollo del muro di Berlino: l’Unione Sovietica si sgretola, gli Stati dell’Europa orientale si staccano dalla Russia, le cui nuovi classi dirigenti desiderano smantellare il patto di Varsavia e far parte della comunità Europea.
Da quel momento In Jugoslavia vengono alimentati i problemi rimasti insoluti di due guerre mondiali. Alimentati in particolar modo dalla Germania e dagli Stati Uniti che cominciano a fornire supporto mediatico per montare una campagna per demonizzare il governo federale jugoslavo e il popolo serbo. Una vera e propria guerra mediatica che è riuscita ad intossicare il mondo intero di bugie, indispensabile per ottenere il consenso necessario per la distruzione di uno Stato sovrano.
L’appoggio dell’Iran e dell’Arabia Saudita ai musulmani di Bosnia e del Kosovo, il sostegno della Germania all’ indipendenza croata e slovena sono altri fattori che hanno influito pesantemente sullo spazio ex jugoslavo a partire dagli anni ’90.
La NATO stessa con la fine del patto di Varsavia deve trovare un'altra collocazione e il peggioramento della crisi balcanica fornisce all’Alleanza Atlantica la possibilità di continuare ad esistere. L’inedito schema di aggressione della NATO, sperimentato per la prima volta nei Balcani, verrà poi utilizzato numerose volte contro tutte quelle nazioni non allineate al pensiero unico e all’imperialismo americano. Tra queste, solo negli ultimi anni: Iraq, Libia, Siria.
L’Occidente dopo aver tirato i fili e dopo aver manipolato guerre di secessione fratricida, non soddisfatto del risultato ottenuto fino al trattato di Dayton del 1995, che riportava la pace nei Balcani, decide di favorire, finanziare e armare il movimento separatista e terrorista albanese UCK, che con attentati e stragi colpiva soprattutto civili, ma anche polizia e militari jugoslavi. Movimento nella lista nera del terrorismo internazionale il giorno prima e regolare esercito di liberazione del Kosovo il giorno dopo.
Questo supporto ai terroristi albanesi darà vita ad un'ulteriore escalation nei Balcani, già estremamente provati, escalation costruita a tavolino che ha come obiettivo la distruzione della Repubblica Federale Jugoslava da parte della NATO.
2. GUERRA NATO E CONSEGUENZE
La guerra NATO contro la Jugoslavia è la prima del suo genere, la prima ad essere definita “umanitaria”, la prima guerra combattuta sul suolo europeo dalla fine del secondo conflitto mondiale, la prima guerra in cui tutti gli stati dell’Alleanza Atlantica non si sono limitati solo a subire l’iniziativa americana ma si sono attivati direttamente mettendo a disposizione uomini, mezzi, basi, spazi aerei ed è la prima di molte guerre a carattere offensivo della NATO.
L'aggressione ha inizio con il fallimento dell'accordo di Rambouillet, il 24 marzo 1999: l'accordo inscenato a livello mediatico fu in realtà una vera e propria “trappola” che gli Stati Uniti e la Nato posero alla Serbia. In poche parole ai serbi veniva chiesto di concedere incondizionatamente il proprio territorio al transito illimitato di uomini e mezzi NATO, insomma veniva chiesto di rinunciare alla propria sovranità nazionale, condizione che nessun paese avrebbe mai potuto accettare. Il rifiuto dei serbi alla falsa "proposta di pace" fu per gli USA il pretesto per sferrare subito dopo l'attacco tanto desiderato, preparato ovviamente da molto tempo.
L'aggressione dura 78 lunghi giorni, nei quali non vengono colpiti solo obiettivi militari, ma soprattutto civili, come scuole, biblioteche, ospedali, chiese, mezzi pubblici di trasporto e colonne di civili in fuga dalla guerra. Un vero massacro di INNOCENTI. In 37.000 missioni aeree vengono sganciate 105.000 tonnellate di esplosivi, 7 volte Hiroshima, dalle 10 alle 15 tonnellate di uranio impoverito, 3000 circa i morti civili, 12.000 feriti gravi e mutilati, 300 tra scuole e biblioteche distrutte, più di 20 ospedali.
Come se non bastasse vengono colpiti appositamente obiettivi contrassegnati come pericolosi per l'ambiente, raffinerie, fabbriche di petrolchimica, depositi di carburante. Immenso il disastro ambientale, distrutto un intero ecosistema. I circa 3000 morti civili causati dai bombardamenti umanitari sono ben pochi se paragonati alle 33.000 persone che ogni anno si ammalano in Serbia e Montenegro a causa dell'uranio impoverito che la NATO ha così generosamente distribuito su tutto il territorio. Grazie a tutto ciò, la Serbia oggi è al primo posto in Europa per tasso di mortalità e malformazioni per cancro, con una crescita media annua del 2,5 % .
L’Italia assume un ruolo di primaria importanza nella guerra alla Jugoslavia. Dalle basi italiane decolla infatti la maggior parte degli aerei utilizzati tra cui 54 aerei italiani. E mentre è ancora in corso la guerra contro la Jugoslavia, si tiene a Washington il vertice NATO dell’aprile 1999, che rende operativo il «nuovo concetto strategico»: la Nato viene trasformata in alleanza che impegna i paesi membri a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste, al di fuori del territorio dell’Alleanza», trasformando il proprio status da forza di difesa a forza di interposizione o “peace-keeping”. Da qui inizia l’espansione della NATO ad Est e in vent’anni, dopo aver demolito la Federazione Jugoslava, la NATO si estende da 16 a 30 paesi, avvicinandosi sempre di più alla Russia.
3. ISLAMIZZAZIONE BALCANI-EUROPA
Ma perché gli USA e la NATO hanno mostrato cosi tanto interesse per lo smembramento della Jugoslavia?
Il problema in Jugoslavia era l’identità spirituale, politica e nazionale ortodossa rappresentata dai Serbi. Questa identità era vista come estremamente incompatibile con gli interessi occidentali di esportazione della democrazia. Ma non solo, la Serbia veniva considerata un pericolo perché ostacolava il progetto di islamizzazione dell’Europa, in particolare ostacolava la creazione della cosiddetta “Dorsale Verde”. Ovvero quella striscia di territori balcanici con forte presenza musulmana (che ha inizio in Albania e prosegue in Macedonia, poi nel Sangiaccato fino alla Bosnia). Inoltre bisognava anche allontanare la Russia, storicamente molto vicina alla terra degli slavi del sud, in particolare al popolo serbo-ortodosso, e cancellare la sua influenza nei Balcani.
Balcani, che hanno da sempre rappresentato la faglia su cui si sono scontrati e anche incontrati il Cristianesimo e l’Islam, una linea di frontiera e di attrito dove già nel 1389 era stata combattuta la battaglia di Kosovo Polje tra l’esercito dell’alleanza dei Regni Serbi e quello ottomano. Quest’alleanza ha combattuto per difendere il Cristianesimo stesso, la stessa Europa, e per respingere l’Islam dell’Impero Ottomano. La storia intera degli ultimi cinque secoli è stata segnata dai tentativi dell’Islam di giungere al cuore dell’Europa proprio attraverso la via balcanica. Obbiettivo che sembra essersi realizzato ai giorni nostri. La dissoluzione della Jugoslavia comunista con le tragiche guerre che ne sono conseguite, segnate dalla persecuzione del popolo serbo-ortodosso, con la guida dell’Occidente, hanno messo nuovamente i Balcani al centro di questa dinamica di scontro, culturale e geopolitico.
Oggi grazie all’arrivo della "democrazia occidentale" nei territori dell’ex Jugoslavia e grazie alla realizzazione della dorsale verde islamica, sono decine i villaggi fondamentalisti presenti nella sola Bosnia, in cui persino la polizia si rifiuta di entrare, villaggi nei quali si vive secondo i più stretti dettami coranici, dove ogni uomo può avere più mogli e quindi moltissimi figli, nonostante la stessa Costituzione bosniaca non permetta la poligamia. In questi villaggi vivono i reclutatori ma anche i veterani del terrorismo, basti pensare che la Bosnia è diventata il quarto esportatore mondiale di islamisti radicali nel mondo. Tutto ciò non avviene dall’altra parte del mondo, come siamo abituati a pensare, avviene a due passi dal confine con la Croazia, cioè dal confine con l’Europa, a soli 200 km da Trieste. Ma l’Islam radicale non è presente solo in Bosnia-Erzegovina, anche se li è più concentrato: è presente in tutta la dorsale verde e crea una grande tensione etnica nei Balcani. Un altro giocatore-chiave che contribuisce enormemente all’islamizzazione dei Balcani è la Turchia, che torna potente in tutta la regione, tramite investimenti di grandi capitali, apre moschee, scuole, aziende, incrementa la sua influenza ogni anno. Guardando attentamente la politica estera di Ankara infatti si potrebbe parlare di Neo-Ottomanismo poiché si vede un richiamo alla corrente dell’ottomanismo ottocentesco e al passato glorioso dell’Impero Ottomano.
La crisi migratoria stessa che tanto viene sponsorizzata e difesa dai vari maggiordomi del capitale e che viene utilizzata dalla Turchia come arma per ricattare l’Europa altro non è che una cortina fumogena che copre il trasferimento dei terroristi sconfitti dello Stato Islamico in Bosnia ed Erzegovina. Dove possono prendersi una pausa, leccarsi le ferite. Allo stesso tempo, possono trasferire le loro capacità di combattimento e l'esperienza ai giovani musulmani bosniaci, per coinvolgerli nell'Islam radicale, in modo da utilizzarli successivamente in nuovi conflitti armati.
4. GRANDE ALBANIA
Però, per attuare il piano di islamizzazione dell’Europa era fondamentale la realizzazione di un altro piano, cioè la creazione della cosiddetta Grande Albania. Un super-Stato americano, uno Stato forgiato interamente in funzione al progetto antieuropeo, che mira a inglobare presto il tanto desiderato Kosovo e non solo, con la benedizione dell’intero Occidente.
Oggi infatti il confine che divide Kosovo e Albania sta lentamente scomparendo in totale violazione della Risoluzione ONU 1244 adottata il 10 giugno del 1999. Una Risoluzione chiave, di importanza cruciale per la pace nei Balcani, la quale prevedeva il ritorno dell’esercito jugoslavo e poi serbo in Kosovo, il ritorno in sicurezza dei rifugiati e degli sfollati alle loro case, la smilitarizzazione dell'UCK e degli altri gruppi armati presenti nella regione. Niente di tutto questo è stato mai realizzato, la Risoluzione profanata, schiacciata, demolita e distrutta non ha portato alcuna giustizia.
Dopo il Kosovo con tutta probabilità seguirà la Macedonia, visto che il primo ministro albanese Edi Rama sta intensamente lavorando per rimuovere anche il confine tra Albania e Macedonia, nella quale tra l’altro metà del parlamento è composto da funzionari di etnia albanese che presto potrebbero addirittura superare numericamente gli stessi macedoni. Una vera assurdità. Poi, in un futuro non molto lontano potrebbe toccare la stessa sorte anche al Montenegro. Poiché in queste due nazioni ex jugoslave, Macedonia e Montenegro, grazie ai gruppi dirigenti completamente corrotti del paese, si insegna a disprezzare il popolo serbo e nello stesso tempo si insegna la grande vicinanza con il popolo albanese. Si insegna in poche parole l’esatto opposto della verità – persino i padri fondatori, gli eroi, i grandi patrioti che hanno contribuito con la vita per la creazione e la salvaguardia delle tanto amate nazioni vengono sminuiti, insultati, cancellati, vengono indicati come criminali, i loro monumenti distrutti, le feste nazionali dedicate a loro cancellate, nel giro di una generazione vengono così praticamente dimenticati.
Ma torniamo per un attimo alla prima terra da conquistare, il Kosovo, madrepatria serba, terra delle sue radici millenarie, spogliata della sua componente umana e affidata a farabutti è diventata patria del traffico di organi umani, del narcotraffico e regione strategicamente importante per il passaggio del terrorismo internazionale. Una regione dove il popolo serbo è continuamente discriminato dalla ormai maggioranza albanese. Insomma, un vero trionfo della democrazia occidentale.
Un altro aspetto altamente preoccupante è l’arrivo in Albania negli ultimi anni dei Mujaheddin e-Khalq, ovvero Mujaheddin del Popolo (MEK): in origine un partito politico iraniano di opposizione fondato nel 1965, considerato per moltissimi anni un'organizzazione terroristica, trasferita in Iraq negli anni '80 sotto la protezione di Saddam Hussein durante la guerra tra Iraq e Iran; un'organizzazione che solamente nel 2012 viene cancellata guarda caso dal Dipartimento di Stato americano dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche. Presente dal 2003 nella base USA di Camp Liberty a Baghdad, per poi essere spedita nel settembre 2016 in Albania tramite un ingente ponte aereo. Ma di quante persone stiamo parlando? Oggi sono presenti in Albania dai 4500 ai 5000 Mujaheddin circa – più precisamente, 12 km a nord-est di Durazzo, nel campo di Manza, in una struttura di 200.000 mq. Il trasferimento di questa organizzazione terroristica finanziato dagli USA con fiumi di dollari veniva indicato come “intervento umanitario”. Un intervento umanitario pronto ad essere utilizzato contro la nostra sempre più debole Europa proprio come l’UCK è stato utilizzato contro la Serbia. Tutti questi elementi possono farci capire che la creazione della Grande Albania è in fase finale di realizzazione e che è essenziale per il piano di islamizzazione e destabilizzazione dell’Europa.
5. PROBLEMATICHE ATTUALI
In tutto questo la Serbia torna ad essere un ostacolo – culturale, religioso e in minima parte anche politico. Un ostacolo circondato da governi nemici, un tempo fratelli.
Già ora, in questo preciso momento, Belgrado deve affrontare problemi enormi. Dello stesso calibro di quelli passati.
Tornano forti le provocazioni ai serbi in Kosovo da parte albanese ed è importante capire che questo non è un problema locale, che riguarda solamente la Serbia e i separatisti albanesi, ma è un nodo che a seconda degli sviluppi avrà ripercussioni sugli equilibri internazionali e che avrà ripercussioni sulla stessa Italia.
Bisogna considerare anche che in Serbia oggi, nonostante l’intero popolo sia pro-russo ed euro-scettico, è presente una elite pro NATO, filo-europea e russo-scettica. Non parlo del presidente Alexandar Vucic contrario all’ingresso del paese nella NATO, ma degli squali che gli nuotano intorno, affamati e corrotti. Gli stessi squali manovrano le proteste che avvengono nelle più grandi città serbe contro il governo di Vucic. Proteste dietro le quali si può intravedere facilmente l’ombra dell’Open Society di George Soros, esattamente come nel 2000 durante le proteste contro Milosevic. La strategia è la stessa, persino le persone che muovono i fili sono le stesse. L’obiettivo è l’ingresso della Serbia nella NATO, il riconoscimento del Kosovo e l’allontanamento del paese dalla cooperazione con la Russia.
Si preannuncia cosi facilmente l’arrivo in Serbia di una nuova rivoluzione colorata volta ad abbattere il governo di Vucic.
Quindi, concludendo: l’islamizzazione a tappe forzate dei Balcani, le provocazioni in Kosovo, la creazione della Grande Albania con relativa lenta scomparsa di Macedonia e Montenegro, il trasferimento dei MEK e le proteste in Serbia. Tutti questi scenari alimentano enormi tensioni in particolar modo etniche nei Balcani che possono molto facilmente dar vita in qualsiasi momento ad un nuovo conflitto, ad una nuova "guerra umanitaria"; e il futuro dell’Europa, il nostro stesso futuro, dipende molto dalla pace nei Balcani che si confermano a distanza di 20 anni ancora altamente instabili.