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NATO/ REPUBBLICA FEDERALE DELLA JUGOSLAVIA
"DANNI COLLATERALI" O UCCISIONI ILLEGALI?
Violazioni del diritto bellico da parte della NATO
durante l'Operazione Forza Alleata
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Indice dei contenuti
1. Introduzione………………………………………………………………………... 1
2. Il diritto bellico e la protezione dei civili……………………………………
…….......5
2.1 La proibizione di attacchi diretti contro i civili e di attacchi
indiscriminati…….............6
2,2 Misure precauzionali………………………………………………………….............7
2.3 Scudi umani………………………………………………………………. ............... 8
2.4 Responsabilità legale per la violazione del diritto
internazionale umanitario…...................9
3. L'Operazione Forza Alleata e la protezione dei civili……………………………
.....12
3.1 Approccio al diritto bellico e sua interpretazione………………………….…
....12
3.2 Selezione degli obiettivi……………………………………………………. ...13
3.3 Regole di ingaggio……………………………………………………………. ..15
3.4 Misure precauzionali………………………………………………………… ...15
3.5 L'uso di specifiche armi………………………………………………………....18
3.6 L'attività di "intelligence" e il principio di
distinzione………………………...........19
3.7 La NATO e i Media: la retorica e la realtà…………………………………. ...
22
3.8 Investigazione e risarcimento per le vittime…………………………….....24
4. Conclusioni e raccomandazioni………………………………………………… ...25
5. Casi di studio…………………………………………………………………….. .29
5.1 Il ponte ferroviario di Grdelica: 12 aprile…………………………………… ..... 30
5.2 Il convoglio di civili di etnia albanese nei pressi di Djakovica:
14 aprile……...........33
5.3 La Radio Televisione di Stato serba: 23 aprile……………………………… .... 41
5.4 Un autobus civile e una ambulanza colpiti a Luzane:
1°maggio………..……..........48
5.5. Il mercato e l'Ospedale di Nis colpiti da bombe a grappolo: 7
maggio…….......... 50
5.6 L'ambasciata cinese in Belgrado: 8 maggio…………………………………...... 53
5.7 Civili di etnia albanese bombardati a Koriša: 13 maggio……………………..
......55
5.8 Il Ponte di Varvarin: 30 maggio…………………………………………….. ....60
5.9 L'attacco su Surdulica: 31 maggio…………………………………………... .... 61
NATO/ REPUBBLICA FEDERALE
DELLA JUGOSLAVIA
"DANNI COLLATERALI" O
UCCISIONI ILLEGALI?
Violazioni del diritto
bellico da parte della NATO durante l'Operazione Forza Alleata.
1. Introduzione.
Dal 24 marzo al 10 giugno del 1999 l'Organizzazione del Trattato del
Nord Atlantico (NATO) ha condotto una compagna aerea contro la
Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ), denominata in codice
Operazione Forza Alleata. Gli aeroplani della NATO hanno condotto oltre
38.000 sortite di combattimento, ivi incluse 10.484 missioni di attacco
contro obiettivi nelle province del Kosovo, della Vojvodina, della
Serbia e della Repubblica del Montenegro[1]. I media Yugoslavi hanno
dichiarato che migliaia di civili sono stati uccisi nel corso dei raids
aerei della NATO Tuttavia il livello dei morti civili descritto con
dettaglio dal Governo jugoslavo varia da 400 a 600[2]. La Nato non ha
rilasciato stime ufficiali dei civili o dei combattenti della RFJ
uccisi. Nessun appartenente alle forze militari della NATO è
stato ucciso in azioni ostili durante la campagna aerea.
La NATO è un'alleanza di 19 nazioni europee e del Nord America,
fondata nel 1949 con lo scopo di provvedere ad un mutuo impegno per la
difesa collettiva nel caso che una o più di queste nazioni
venisse attaccata da un'altra parte. La NATO ha intrapreso una azione
militare contro la RFJ a seguito della rottura dei negoziati fra
numerosi dei suoi Stati membri e la RFJ riguardo la situazione in
Kosovo dove le forze della RFJ erano impegnate in un conflitto armato
con l'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK), caratterizzata da
massicce violazioni dei diritti umani, ed il futuro status della
Provincia. La NATO ha dichiarato numerosi scopi per il suo intervento
militare, ivi incluso quello di porre fine alle violazioni dei diritti
umani perpetrata dalle forze della RFJ contro la popolazione civile di
etnia albanese, di assicurare l'evacuazione di tutte le forze della RFJ
dal Kosovo e di rimpiazzarle con una forza internazionale e di
assicurare il ritorno dei profughi kosovari e dei rifugiati interni
alle loro case.
La NATO ha dichiarato con enfasi che la sua campagna aerea contro la
RFJ è stata la "più precisa e con minori danni
collaterali campagna aerea nella storia".[3] Tuttavia Amnesty
Internazional nutre serie preoccupazioni circa il grado di adesione
delle Forze NATO partecipanti all' Operazione Forza Alleata alle norme
del diritto internazionale umanitario sulla condotta delle
ostilità, specialmente quelle concepite per proteggere i civili
e gli obiettivi civili. Sulla base delle prove disponibili, ivi
comprese le dichiarazioni rilasciate dalla NATO e i resoconti di
specifici incidenti, Amnesty International crede che, quali che fossero
le loro intenzioni, le forze della NATO hanno commesso gravi violazioni
delle leggi di guerra, che hanno portato in numerosi casi ad illecite
uccisioni di civili.
In un caso, l'attacco del 23 aprile 1999 al Quartiere generale della
Radio Televisione Serba (RTS), la NATO ha lanciato un attacco diretto
su un obiettivo civile, uccidendo 16 civili. In altri attacchi, incluso
il bombardamento del ponte ferroviario di Grdelica, che ha causato la
morte di 12 civili e l'attacco missilistico al ponte Varvarin il 30
maggio, che ha causato la morte di 11 civili, la forze della NATO hanno
omesso di sospendere il loro attacco dopo che è diventato
evidente che esse avevano colpito dei civili. In altri attacchi,
inclusi quelli che hanno causato il più alto numero di vittime
civili (gli attacchi ai rifugiati di etnia albanese nei pressi di
Djacovica il 14 aprile e in Korisa il 13 maggio, nei quali il numero
complessivo delle vittime ha superato quota 120), la NATO ha omesso di
prendere le necessarie precauzioni per minimizzare le perdite civili.
Un dettagliato esame di questi casi ed altri attacchi è incluso
in questo rapporto.
La preoccupazione circa il livello crescente di vittime civili è
cresciuta durante il corso della Operazione Forza Alleata. Il 23
aprile, per esempio, il Comitato Internazionale della Croce Rossa,
(Comitato Internazionale della Croce Rossa) ha dichiarato:
"Durante la prima settimana o pressappoco di attacchi aerei, il numero
di perdite civili, di fatto appariva essere basso. Quando la campagna
aerea è stata intensificata, tuttavia, è stata
osservata…sia una corrispondente crescita del numero delle vittime
civili serbe, sia un incremento dei danni ad obiettivi civili. I
maggiori incidenti che hanno coinvolto i civili sono stati la
distruzione di un treno passeggeri su un ponte e l'attacco ad una
colonna di veicoli civili in Kosovo. Entrambi hanno causato morti e
feriti."[4]
Il 4 maggio Mary Robinson, Alto Commissario per i Diritti Umani
dell'ONU è stata citata per aver detto:
"Se le vittime civili si possono evitare, ovviamente ciò deve
essere fatto, ed è fuori di dubbio che deve essere fatto. Se non
è possibile accertare se degli autobus civili sono sui ponti,
devono questi ponti essere distrutti per forza? Questi sono
interrogativi molto importanti perché le persone non sono "danni
collaterali", esse sono persone che vengono uccise, ferite, le cui vite
vengono distrutte, e noi siamo molto preoccupati per il fatto che i
civili siano così in prima linea nella guerra moderna, nei
moderni conflitti."[5]
Durante il corso dell' Operazione Forza Alleata, Amnesty International
ha scritto ripetutamente al Segretario Generale della NATO, Xavier
Solana, in rapporto a specifici attacchi, mostrando una crescente
preoccupazione sul fatto se la NATO stesse prendendo sufficienti
precauzioni nel selezionare gli obiettivi, nello scegliere i tempi
degli attacchi, nel modo in cui questi attacchi venivano eseguiti, e se
i civili venissero avvisati in anticipo, quando possibile. Amnesty
International ha espresso la preoccupazione che numerosi attacchi, che
hanno provocato vittime civili potrebbero aver indicato che la NATO non
stava prendendo tutte le precauzioni necessarie per proteggere i civili
poiché veniva data priorità all'esigenza di assicurare la
sicurezza dei piloti.
Nelle sue risposte alle richieste di Amnesty International, la NATO ha
dato assicurazioni generali che ogni sforzo veniva fatto per evitare
perdite civili, ma non ha fornito ad Amnesty International risposte
sostanziali ai quesiti su specifici incidenti, o alcuna indicazione se
erano state condotte delle indagini. Amnesty International non ha
ricevuto informazioni dettagliate sulle Regole di ingaggio della NATO,
sebbene le abbia ripetutamente richieste per consentire un giudizio
indipendente circa la loro conformità con il diritto
internazionale umanitario.
Questo rapporto si basa su un largo esame di dichiarazioni pubbliche e
rapporti della stessa NATO (e di alcuni Governi membri) sul modo in cui
essa ha condotto la campagna aerea, compresi i suoi resoconti di
particolari incidenti e spiegazioni generali di pratiche operazionali.
L'Organizzazione si è incontrata con una delegazione di
Ufficiali della NATO al Quartiere Generale dell'Alleanza in Bruxelles
il 14 febbraio 2000 per discutere le sue preoccupazioni circa la
campagna aerea. La delegazione della NATO era guidata dal dr. Edgard
Buckley, Assistente segretario generale per la Pianificazione della
Difesa e le Operazioni e includeva il portavoce della NATO, il dr. Jame
Shea, il signor Pietre Feith, Direttore del Direttorato Gestione delle
Crisi e Risposte, il signor Baldwin De Vidts, Consulente legale della
NATO, e il Luogotenente Generale O.L. Kandborg, Direttore del Comando
Militare internazionale. La delegazione di Amnesty International
includeva due membri dello Staff del Segretariato internazionale,
accompagnati dal prof. Dr. Horst Fisher, Direttore accademico
dell'Istituto per il Diritto internazionale della Pace e dei Conflitti
armati alla Università Ruhr di Bochum, Germania, e Professore di
diritto umanitario internazionale all'Università di Leiden,
Olanda, ed il dr. Luogotenente Colonnello Pekka Visuri, ricercatore
ospite all'Istituto Finlandese degli affari internazionali e Professore
aggiunto al College Nazionale della Difesa in Helsinki.
Retroterra: Violazione dei diritti umani in Kosovo
Negli ultimi 10 anni Amnesty International ha estesamente documentato e
fatto campagna per porre fine alle violazioni dei diritti umani
perpetrate dalle autorità della RFJ contro la popolazione di
etnia albanese in Kosovo (si veda Kosovo: una decade di avvertimenti
ignorati, Volume primo Amnesty International index : EUR 70/39/99,
Aprile 1999). Durante questo tempo la popolazione di etnia albanese che
viveva in Kosovo è stata vittima di uccisioni illegali, torture
e maltrattamenti. Molti prigionieri politici, inclusi i prigionieri di
coscienza, sono stati condannati da Tribunali con procedimenti non in
regola con gli standards internazionali della giurisdizione.
Nel 1998 si è verificato un incremento delle violazioni dei
diritti umani perpetrate nel Kosovo dalle forze di sicurezza, militari
e paramilitari della RFJ. (si veda Kosovo: una decade di avvertimenti
ignorati, Volume secondo Amnesty International index : EUR 70/40/99,
Aprile 1999). Un conflitto armato è scoppiato fra i membri
dell'UCK, formazione armata creata per combattere per l'indipendenza
del Kosovo e le forze armate della RFJ, la polizia serba e i gruppi
paramilitari operanti nella regione. La maggior parte delle vittime nel
Kosovo durante il conflitto armato era di civili di etnia albanese.
Tuttavia anche i Serbi hanno sofferto di abusi dei diritti umani, come
rapimenti, pestaggi ed esecuzioni ad opera di gruppi armati di etnia
albanese, alcuni dei quali rappresentavano sé stessi come membri
dell'UCK.
In febbraio e marzo 1999 la Comunità internazionale ha esperito
una intensa pressione diplomatica sulle autorità della RFJ,
accompagnata da minacce di intervento militare. Il fallimento degli
sforzi per mediare un accordo fra la RFJ e i rappresentanti dell'etnia
albanese del Kosovo in una serie di incontri a Rambouillet in Francia
ha portato allo scoppio di un conflitto armato internazionale. In marzo
la NATO ha cominciato una campagna di bombardamenti contro le forze
armate della RFJ, la polizia serba ed i gruppi paramilitari con lo
scopo dichiarato di prevenire una catastrofe umanitaria in Kosovo.
Tuttavia gli abusi dei diritti umani da parte delle forze armate della
RFJ, della polizia serba e dei gruppi paramilitari si è
accresciuto e centinaia di migliaia di persone di etnia albanese e
membri della comunità minori sono fuggiti dal Kosovo
rifugiandosi negli Stati confinanti dell'Albania e della Macedonia
oppure sono rimasti sfollati all'interno del Kosovo (Si veda Ex
Repubblicajugoslava della Macedonia: la protezione dei rifugiati
albanesi del Kosovo, Amnesty International Index EUR 65/03/99, maggio
1999; Repubblica Federale di Jugoslavia (kosovo): la prigione di
Smrekovinica un regime di tortura e maltrattamenti lascia centinaia di
casi irrisolti Amnesty International Index EUR 70/107/99, Ottobre 1999)
Nel giugno del 1999 la NATO ha cessato la sua campagna di bombardamenti
dopo aver concluso un accordo tecnico-militare con le autorità e
della RFJ. Alla luce di tale accordo tutte le forze militari della RFJ,
la polizia e i gruppi paramilitari hanno lasciato il Kosovo ed una
forza militare guidata dalla NATO, denominata Kosovo-Forza (KFOR) ha
preso il controllo del Kosovo. Per amministrare il territorio è
stata istituita una amministrazione ad interim della Nazioni Unite
(UNMIK). Amnesty International ha continuato a monitorare e a fare
campagna sugli abusi dei diritti umani nel Kosovo sotto amministrazione
dell'UNMIK (Si veda Repubblica Federale di Jugoslavia (kosovo): le
raccomandazioni di Amnesty International all'UNMIK sul sistema
giudiziario Amnesty International Index EUR 70/06/00, Febbraio 2000, e
Repubblica Federale di Jugoslavia (kosovo) delineare uno standard? La
risposta dell'UNMIK e della KFOR alla violenza in Mitrovica, Amnesty
International Index EUR 70/13/00.)
Amnesty International non intende prendere posizione sulle questioni
politiche riguardanti lo status del Kosovo. L'Organizzazione non
giudica se il ricorso alla forza da parte di chiunque sia giustificato
o no e per questo non intende prendere posizione sulle basi morali e
legali dell'intervento della NATO contro la Jugoslavia. Amnesty
International intende focalizzare la sua indagine strettamente sulla
condotta di tale intervento alla luce delle norme del diritto
internazionale umanitario.
2. Il Diritto Bellico e la Protezione dei Civili.
Non tutte le morti di civili in tempo di guerra sono illecite. Nei
termini eufemistici dei portavoci militari il "danno collaterale"[6],
incluse le vittime civili, bisogna aspettarselo durante una guerra. Ma
ci sono chiare norme che pongono dei limiti alla condotta delle
ostilità ed in particolare vietano l'uso di certi mezzi o metodi
di guerra. Queste norme sono state concepite per proteggere - nella
massima estensione possibile - le vite e gli obiettivi civili. Le norme
includono una proibizione di ogni attacco diretto contro i civili o
obiettivi civili, comprese le rappresaglie contro di loro. Ma esse
includono, inoltre, la proibizione di attacchi che non distinguano fra
obiettivi militari e civili o obiettivi civili e di attacchi che,
sebbene rivolti ad un legittimo obiettivo militare, abbiano un impatto
sproporzionato sui civili o sugli obiettivi civili. Infine tali norme
rendono chiare le strette circostanze nelle quali i civili o gli
obiettivi civili perdono la loro protezione, per esempio quando un
obiettivo civile è usato per scopi militari.
La più completa raccolta delle norme che governano la condotta
delle ostilità nei conflitti armati internazionali è
contenuta nel Primo Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra
del 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati
internazionali (Protocollo 1). Questo Protocollo, che è stato
adottato nel 1997, è stato ratificato da oltre 150 Stati.[7] Tre
dei 19 membri della NATO non hanno aderito al I Protocollo: la Francia
(Amnesty International è a conoscenza che essa intende
ratificarlo nel prossimo futuro), gli Stati Uniti (sebbene le
Previsioni chiave del Protocollo I sono riflesse nel codice militare) e
la Turchia. Le disposizioni fondamentali di questo Protocollo, incluse
tutte le norme sulla condotta delle ostilità citate in questo
rapporto, fanno parte del diritto internazionale consuetudinario e
perciò sono vincolanti per tutti gli Stati.
2.1 La proibizione di attacchi diretti contro i civili e di attacchi
indiscriminati.
Una delle pietre angolari del diritto internazionale umanitario
è il principio che devono essere prese tutte le misure possibili
per distinguere fra persone ed obiettivi civili ed obiettivi militari.
L'art. 48 del I Protocollo pone la "regola base" riguardante le
protezione dei civili (spesso riportata come il principio di
distinzione):
"Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione
civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno
fare, in ogni momento distinzione fra la popolazione civile e i
combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli
obiettivi militari, e di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto
contro obiettivi militari."
Con riferimento agli obiettivi, l'art. 52 (2) definisce come obiettivi
militari "quegli obiettivi che per loro natura, ubicazione,
destinazione ed impiego, contribuiscono efficacemente all'azione
militare, e la cui distruzione, totale o parziale, conquista o
neutralizzazione, offre, nel caso concreto, un vantaggio militare
preciso." L'art. 51 (2) del I Protocollo, chiarisce, al di là di
ogni ambiguità che: " sia la popolazione civile, che i singoli
individui civili, non deve essere oggetto di attacco. ".
In aggiunta alla proibizione di attacchi diretti nei riguardi dei
civili, il diritto internazionale proibisce anche gli attacchi
indiscriminati. Nel linguaggio dell'art. 51 (4) del Primo Protocollo
Addizionale, attacchi indiscriminati sono quelli che "per loro natura
colpiscono obiettivi militari e civili e obiettivi civili o obiettivi
civili senza distinzione". Essi includono:
(a) "quelli che non sono diretti contro un obiettivo militare
determinato;
(b) quelli che impiegano mezzi o metodi di combattimento che non
possono essere diretti contro un obiettivo militare determinato, o
(c) quelli che impiegano mezzi o metodi di combattimento i cui effetti
non possono essere limitati come prescrive il presente Protocollo."
L'art. 51 (5) include due altri tipi di attacchi che sono considerati
come indiscriminati:
(a) "gli attacchi mediante bombardamento, quali che siano i mezzi e i
metodi impiegati, che trattino come obiettivo militare unico un certo
numero di obiettivi militari chiaramente distanziati e distinti,
situati in una città, un paese, un villaggio o in qualsiasi
altra zona, contenente una simile concentrazione di civili o beni di
carattere civile;
(b) gli attacchi dai quali ci si può attendere che provochino
incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, dai ai beni
di carattere civile, o una combinazione degli stessi che sia eccessiva
in relazione al concreto e diretto vantaggio militare previsto.
Gli attacchi indiscriminati si verificano quando le forze armate non
osservano il principio della distinzione e attaccano un obiettivo
militare senza curarsi delle conseguenze dannose per i civili. Esse
potrebbero usare armi che non sono capaci di colpire un obiettivo
militare con precisione - sia per la loro natura, sia come risultato
delle circostanze nelle quali sono impiegate. Oppure le loro tattiche o
metodi di attacco potrebbero mostrare dispregio per la vita dei civili.
2.2 Misure precauzionali.
Sebbene il diritto internazionale umanitario non è
necessariamente violato ogni qualvolta dei civili sono uccisi o feriti,
le leggi di guerra richiedono che le forze militari facciano ogni
ragionevole sforzo per evitare di infliggere perdite ai civili. Alla
luce del I Protocollo: "le operazioni militari saranno condotte curando
costantemente di risparmiare la popolazione civile, i civili e i beni
di carattere civile" (art. 57). Quando non è chiaro che un
obiettivo è usato per scopi militari, "si deve presumere che non
lo sia" (art. 52 (3)).
L'art. 57 specifica le misure precauzionali richieste.
"Per quanto riguarda gli attacchi saranno prese le seguenti precauzioni:
a) coloro che preparano o decidono un attacco dovranno:
i) fare tutto ciò che è praticamente possibile per
accertare che gli obiettivi da attaccare non sono persone civili,
né beni di carattere civile, e non beneficiano di una protezione
speciale, ma che si tratta di obiettivi militari ai sensi del paragrafo
2 dell'articolo 52, e che le disposizioni del presente protocollo non
ne vietano l'attacco;
ii) prendere tutte le precauzioni praticamente possibili nella swdcelta
dei metodi e mezzi di attacco, allo scopo di evitare o, almeno di
ridurre al minimo, il numero di morti e feriti fra la popolazione
civile, nonché i danni ai beni di carattere civile che
potrebbero essere incidentalmente causati;
iii) astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può
attendere che provochi incidentalmente morti e feriti fra la
popolazione civile, o una combinazione di perdite umane e danni, che
risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto
previsto."
2.3 Scudi umani.
A seguito di numerosi attacchi della NATO che hanno causato perdite fra
i civili, la NATO ha ipotizzato che i civili venissero utilizzati come
scudi umani dall'esercito Jugoslavo.[8] Il I Protocollo proibisce l'uso
di simili tattiche: L'art. 51 (7) prevede che:
"La presenza o i movimenti della popolazione civile o di persone civili
non dovranno essere utilizzati per mettere determinati punti o
determinate zone al riparo da operazioni militari, in particolare per
cercare di mettere obiettivi militari al riparo da attacchi o di
coprire, favorire o ostacolare operazioni militari."
Per di più l'art. 58 obbliga le Parti in conflitto a prendere
ogni necessaria precauzione per proteggere i civili sotto il loro
controllo dai pericoli risultanti dalle operazioni militari, incluso
l'allontanare i civili dalla prossimità ad obiettivi militari e
l'evitare di dislocare obiettivi militari dentro o in prossimità
di aree densamente popolate.
Tuttavia l'art. 51(8) rende chiaro che, persino nel caso che una parte
ripari sé stessa dietro i civili, una simile violazione delle
norme internazionali: "non libera le Parti in conflitto dalle loro
obbligazioni nei confronti della popolazione civile e dei civili,
compresa l'obbligazione di prendere ogni misura precauzionale prevista
dall'art. 57".
Inoltre l'art. 58 (3) del I Protocollo prevede:
"la presenza all'interno della popolazione civile di individui che non
rientrano nella definizione di civili non priva la popolazione del suo
carattere civile."
2.4 Responsabilità legale per la violazione del diritto
internazionale umanitario.
Responsabilità degli Stati.
L'articolo 85 del primo Protocollo definisce talune "gravi infrazioni"
del Protocollo. Esse sono considerate crimini di guerra ed includono -
quando sono commesse volontariamente o causano morti o feriti gravi:
"il fare la popolazione civile o singoli civili oggetto di attacco" e
"il lanciare un attacco indiscriminato che colpisce la popolazione
civile o obiettivi civili con la consapevolezza che tale attacco
causerà una eccessiva perdita di vite civili, ferite ai civili o
danni a beni di carattere civile" che sarebbero eccessivi in relazione
al vantaggio militare concreto o diretto previsto. Altri crimini di
guerra, per es. quelli considerati dall'art. 8, 2b dello Statuto di
Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale, includono il fatto di:
"dirigere intenzionalmente degli attacchi contro obiettivi civili".
L'art. 86 richiede che " le Parti in conflitto dovranno reprimere le
infrazioni gravi e prendere le misure necessarie per far cessare tutte
le altre infrazioni alle Convenzioni [di Ginevra del 1949] o al
presente Protocollo che risultino da una omissione contraria al dovere
di agire" Ai sensi dell'art. 88, "le Parti si presteranno la maggiore
assistenza giudiziaria possibile in qualsiasi procedura relativa alle
infrazioni gravi alle Convenzioni o al presente Protocollo".
L'art. 91 rende chiaro che ciascuna Parte in conflitto: "è
responsabile di tutti gli atti commessi dalle persone facenti parte
delle sue forze armate.". Conseguentemente "la Parte in conflitto, che
violasse le disposizioni delle Convenzioni o del presente Protocollo
sarà tenuta, se del caso, al pagamento di una indennità."
Responsabilità penale individuale.
Gli individui, sia civili che militari, indipendentemente dal loro
rango, possono essere ritenuti penalmente responsabili per le gravi
infrazioni del diritto internazionale umanitario. I comandanti possono
essere ritenuti responsabili per gli atti dei loro subordinati se essi
conoscevano, o avevano ragione di conoscere che i loro subordinati
stavano commettendo o erano sul punto di commettere una infrazione ed
essi erano in grado di prevenire o di reprimere tali infrazioni ed
hanno omesso di farlo. Nelle parole dell'art. 86 (2) del I Protocollo:
"Il fatto che una infrazione alle Convenzioni o al presente Protocollo
sia stata commessa da un inferiore, non dispensa i superiori dalle loro
responsabilità penali o disciplinari, a seconda dei casi, se
sapevano o erano in possesso di informazioni che permettevano loro di
ritenere, nelle circostanze del momento, che l'inferiore stava
commettendo o stava per commettere una tale infrazione, e se essi non
hanno preso tutte le misure praticamente possibili in loro potere per
impedire o reprimere l'infrazione stessa."
L'art. 87 specifica l'obbligo che i comandanti militari: "per quanto
riguarda i membri delle forze armate posti sotto il loro comando e le
altre persone poste sotto la loro autorità, impediscano che
siano commesse infrazioni alle Convenzioni e al presente Protocollo".
Il principio della responsabilità del comando è riflesso
anche nello Statuto del Tribunale Internazionale penale per la ex
Jugoslavia (ICTY) e della Corte Internazionale Penale, così come
nel progetto di Codice dei Crimini contro la Pace e la Sicurezza
dell'umanità (Progetto di Codice dei Crimini) approvato dalla
Commissione del diritto internazionale nel 1996.
Gli ordini superiori non possono essere invocati a propria difesa per
le violazioni del diritto internazionale umanitario, sebbene essi
possano essere presi in considerazione sotto il profilo di una
mitigazione della pena. Questo principio è stato riconosciuto
fin dai processi di Norimberga che hanno fatto seguito alla II guerra
mondiale ed adesso è parte del diritto internazionale
consuetudinario. Esso si riflette nello Statuto del Tribunale
Internazionale per la ex Jugoslavia e nella Progetto di Codice dei
Crimini.
Responsabilità dei membri della NATO.
L' Operazione Forza Alleata è stata realizzata da una coalizione
di Stati membri della NATO in nome dell'Alleanza. La decisione iniziale
di ricorrere alla forza è stata presa collettivamente, come la
successiva decisione di procedere all'escalation. In nessun momento
durante la campagna aerea alcuno Stato membro dell'Alleanza ha
ripudiato qualcuno degli attacchi realizzati dalle forze della NATO.
Per questo ciascuno Stato membro può incorrere in
responsabilità per le azioni militari compiute sotto l'egida
della NATO.
La giurisdizione relativa alle gravi infrazioni del diritto
internazionale umanitario.
In linea con la previsione comune delle Convenzioni di Ginevra del
1949, ciascuno Stato parte concorda di "emanare la legislazione
necessaria per provvedere a delle effettive sanzioni penali" nei
confronti delle persone implicate in gravi infrazioni. Per di
più a questi crimini di guerra si applica il principio della
giurisdizione universale. Perciò ciascuno Stato Parte:
"avrà l'obbligo di ricercare le persone imputate di aver
commesso o di aver dato l'ordine di commettere una di dette infrazioni
gravi e dovrà, qualunque sia la loro nazionalità,
deferirle ai propri Tribunali."
Le Convenzioni di Ginevra consentono ad una parte, se lo preferisce, di
consegnare tali persone per il giudizio ad un altro Stato parte e
richiedono che "in ogni circostanza le persone accusate debbano godere
delle garanzie della difesa e di un processo imparziale." Le
Convenzioni non escludono la consegna di tali persone ad una Corte
penale internazionale. Le previsioni relative alle gravi infrazioni
della Convenzioni si applicano anche alle gravi infrazioni del I
Protocollo.
In aggiunta all'obbligo di esercitare la giurisdizione universale per
le gravi infrazioni, agli Stati è consentito l'esercizio della
giurisdizione universale per gli altri crimini di guerra. Se a seguito
di una indagine emergono sufficienti prove ed il sospettato è
nella loro giurisdizione, gli Stati devono processarlo, con un processo
equo, o estradare il soggetto in un altro Stato che lo richiede e che
sia capace di celebrare un giusto processo.
Con riguardo all' Operazione Forza Alleata, in aggiunta alle
giurisdizioni domestiche di ogni Stato, c'è la concorrente
giurisdizione del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia
(ICTY). Secondo lo Statuto dell'ICTY, il Tribunale ha giurisdizione in
ordine alle gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra (articolo 2)
e alle altre violazioni delle leggi e dei costumi di guerra (art. 3)
commesse, a partire dal 1991 in ogni parte del Territorio della ex
Repubblica Federale di Jugoslavia (art. 1) da chiunque, di qualunque
nazionalità sia. Come ripetutamente confermato, l'ICTY ha la
piena giurisdizione su tutte le possibili violazioni del diritto
internazionale umanitario commesse durante l' Operazione Forza Alleata
dalla NATO come da qualunque altra Parte.
Con riferimento al raggio d'azione sostanziale della Giurisdizione
dell'ICTY, la Camera d'Appello nel caso P.M./ Tadic ha richiamato
l'intervento degli Stati Uniti nel dibattito svoltosi su questo
argomento presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel
1993, sottolineando che questa dichiarazione non è stata
contestata:
"…..è chiaro che l'espressione "leggi e costumi di guerra" cui
si riferisce l'art. 3, include tutte le obbligazioni che nascono dai
trattati di diritto umanitario in vigore nel territorio della ex
Jugoslavia nel tempo in cui gli atti venivano commessi, incluso l'art.
3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 ed il Protocollo
addizionale a tali Convenzioni del 1977."
3. L' Operazione Forza Alleata e la protezione dei civili.
3.1. Approccio alle leggi di guerra e loro interpretazione.
Durante l' Operazione Forza Alleata la NATO non ha mai chiarito con
esattezza quali standards del diritto internazionale umanitario erano
applicati dalle sue forze ed in quale modo essa ha mantenuto una
coerente interpretazione di tali regole durante la campagna. Gli Stati
membri della Alleanza non condividono le stesse obbligazioni di origine
convenzionale. Gli Stati Uniti, per esempio, le cui forze aeree hanno
condotto quasi l'80% degli attacchi sferrati dalla NATO durante la
campagna aerea, non hanno ratificato il I Protocollo, parimenti non
l'hanno ratificato la Francia e la Turchia. Il Portavoce della NATO,
James Shea, ha ripetuto, durante tutta la campagna che le forze
dell'Alleanza stavano rispettando il diritto bellico con una estensione
senza precedenti. Ma nelle dichiarazioni pubbliche durante la campagna
non è mai stato fatto riferimento al I Protocollo, che è
la più completa codificazione del diritto dei conflitti armati.
Al briefing retrospettivo della NATO del 18 maggio 1999, il Portavoce
dell'Alleanza James Shea, ha motivato in tal modo l'adesione
dell'Alleanza al diritto bellico:
"Il principio di discriminazione è uno dei fondamenti del
diritto dei conflitti armati. Questo principio fu riflesso
originariamente nel requisito richiesto dalla Convenzione dell'Aja del
1899 che i combattenti indossassero un emblema distintivo permanente e
riconoscibile a distanza e che portassero le loro armi apertamente. Il
diritto internazionale consuetudinario richiede che i belligeranti "in
ogni tempo devono distinguere fra la popolazione civile e i combattenti
e devono dirigere le loro operazioni soltanto contro obiettivi
militari". Questo è indiscutibile ed è esattamente
ciò che la NATO sta facendo; essa sta distinguendo fra civili ed
obiettivi militari ed in effetti io potrei argomentare, proprio come
uno studente di diritto bellico, che voi non potete trovare un altro
conflitto armato nella storia della guerra moderna, dove c'è
stata più disciplina e più cura per conformarsi alle
norme del diritto di guerra e rispettare quella distinzione che
nell'esercizio della scelta e selezione degli obiettivi effettuata
dall'Alleanza Atlantica."
Gli Ufficiali della NATO incontrati da Amnesty International in
Bruxelles hanno insistito che i membri della NATO dovrebbero rispettare
il I Protocollo. Allo stesso tempo essi hanno dichiarato che la NATO
non è parte del diritto internazionale umanitario. Baldwin de
Vidts, Consulente legale della NATO, ha sottolineato che sono i singoli
Stati membri che hanno delle obbligazioni legali. Sono i singoli Stati,
attraverso i loro ufficiali che devono assicurare che le loro forze
partecipanti all'Alleanza rispettino il diritto internazionale. In
altre parole la NATO non ha un meccanismo per garantire il rispetto di
un comune assetto normativo o per assicurare una comune interpretazione
di tali norme. Il rispetto delle norme rimane una prerogativa degli
Stati membri, cosa che porta a delle contraddizioni nella applicazione
delle norme.
Il fatto che la NATO è un'alleanza non deve precluderle
dall'assicurare in pratica che, quando agiscono sotto l'egida della
NATO, le sue forze armate siano vincolate ai più alti standards
del diritto internazionale umanitario, incluso il I Protocollo, al di
là delle obbligazioni convenzionali di singoli Stati e della
esistenza di leggi nazionali. L'adesione al I Protocollo da parte di
tutti gli Stati membri darebbe inoltre il più chiaro segnale che
la NATO è veramente vincolata ai più alti standards
internazionali.
3.2 La selezione degli obiettivi.
Con riferimento alla selezione ed all'assegnazione degli obiettivi, gli
Ufficiali della Nato all'incontro di Bruxelles hanno spiegato che,
secondo il sistema in uso durante l'Operazione Forza Alleata, agli
Stati membri venivano assegnati gli obiettivi da bombardare dallo staff
della NATO, ma essi potevano rifiutarsi, sul piano, per esempio che dal
loro punto di vista l'obiettivo era illegittimo o che l'attacco avrebbe
comunque violato il diritto internazionale e eventualmente la loro
legge nazionale. Se l'obiettivo veniva rifiutato perché il paese
a cui era stato assegnato lo aveva ritenuto illegittimo, gli Ufficiali
della NATO hanno detto che essi non avrebbero riassegnato l'obiettivo
ad un altro Stato membro. Tuttavia non è chiaro con quale
estensione ciò sia avvenuto in pratica. In almeno un caso, con
riferimento all'attacco contro il quartier generale della Radio
Televisione Serba (RTS), sembra che l'attacco sia stato sferrato
nonostante il disaccordo fra i paesi membri della NATO sulla sua
legittimità.
Il Luogotenente Generale Michael Short (Forze Aeree degli Stati Uniti),
Comandante delle Forze Alleate Aeree del Sud Europa, ha così
riflettuto - in una prospettiva operazionale - sui dilemmi legali
collegati alla conduzione di una guerra di coalizione:
"Noi dobbiamo capire le limitazioni che la nostra coalizione di
partners piazza al di sopra di sé stessi ed al di sopra di noi.
Ci sono delle Nazioni che non vogliono attaccare gli obiettivi che la
mia Nazione vuole attaccare. Ci sono delle Nazioni che non condividono
con noi la definizione di ciò che è un valido obiettivo
militare e noi dobbiamo conoscere…
Voi ed io dobbiamo sapere che tutti gli aeromobili che hanno base nel
Regno Unito sono soggetti alle norme del Governo del Regno Unito circa
il fatto se noi stiamo per colpire un valido obiettivo o no."
Nel loro incontro con Amnesty International gli Ufficiali della NATO
hanno detto che, in alcuni casi, non tutti gli Stati membri della NATO
(persino quelli che partecipavano all'attacco o all'attività di
supporto) venivano informati su cosa poteva essere l'obiettivo o sui
mezzi e metodi dell'attacco. Questo significa che uno Stato membro
potrebbe incorrere in responsabilità legale per un attacco del
quale non conosceva i dettagli.
Ufficiali francesi, incluso il ministro degli esteri Hubert
Vèdrine, hanno dichiarato che gli Stati Uniti hanno supportato
gli attacchi aerei condotti sotto l'ombrello della NATO, con attacchi
realizzati da loro stessi. "Tutti i paesi dell'Alleanza Atlantica hanno
agito come parti dell'Alleanza con piena discussione circa gli
obiettivi da colpire. Ma gli Stati Uniti hanno condotto una separata
operazione americana." Ha detto il Ministro degli esteri nel corso di
un documentario della BBC circa l' Operazione Forza Alleata. "Essi
hanno schierato forze nazionali con un meccanismo decisionale comandato
da loro. E gli alleati europei non sono stati informati di queste
azioni." La NATO ha smentito tali allegazioni.[9]
3.2 Regole di ingaggio.
In diverse occasioni durante la campagna aerea, Amnesty International
ha scritto al Segretario Generale della NATO per esprimere la
preoccupazione che alcuni specifici attacchi potrebbero aver infranto
il diritto internazionale e per chiedere chiarimenti circa le regole
d'ingaggio adottate dalla NATO.
In risposta alle richieste specifiche di Amnesty International la NATO
ha dichiarato ripetutamente in termini generali che essa era impegnata
a rispettare il diritto internazionale umanitario e che "stava facendo
ogni possibile sforzo per evitare danni collaterali durante le
operazioni aeree contro la Repubblica Federale di Jugoslavia". Le
lettere della NATO dichiaravano che i suoi piloti operavano sotto
"strette Regole d'Ingaggio", ma non hanno rivelato alcun dettaglio
delle regole o principi alle quali le stesse si attenevano. La NATO non
ha risposto alle questioni specifiche sollevate da Amnesty
International circa specifici incidenti, rendendo così difficile
che si possa formare un giudizio circa la compatibilità delle
Regole d'Ingaggio con le norme del diritto internazionale umanitario.
Al meeting di Bruxelles con Amnesty International, gli Ufficiali della
NATO hanno fatto trapelare un po' di luce circa alcuni aspetti delle
Regole d'Ingaggio e su quali cambiamenti delle stesse sono stati
effettuati durante il corso della guerra. Amnesty International
è venuta a conoscenza che ciascuno Stato membro aveva il potere
di scegliere quali aspetti delle Regole d'Ingaggio proposte dalla NATO
egli avrebbe adottato. Amnesty International è stata anche
informata circa le richieste per i cambiamenti di altitudine per i
piloti della NATO Tuttavia un complessivo giudizio circa il rispetto
del diritto bellico da parte dell' Operazione Forza Alleata
richiederebbe che la NATO desse più informazioni circa le sue
regole d'ingaggio.
3.4 Misure precauzionali.
Il portavoce della NATO James Shea ha dichiarato che "non c'è
mai stata una campagna aerea nella storia che sia stata così
discriminante, contro i militari ma in favore dei civili, anche se noi
non siamo stati capaci di raggiungere - nessuno lo può, nessuno
sebbene lo voglia - il 100% della perfezione".[10] Questo concetto
è stato scodellato ripetutamente nelle conferenze stampa della
NATO. Il Generale Walter Jertz ha detto ai giornalisti che la NATO
stava conducendo "la più accurata campagna di bombardamento
della storia."[11]
Pochi potrebbero contestare l'asserzione della NATO che è
impossibile raggiungere il 100% della perfezione nel combattere una
guerra. Tuttavia appare chiaro che in alcuni incidenti la NATO non ha
preso tutte le precauzioni necessarie per proteggere i civili,
primariamente perché è stata data priorità
all'esigenza di assicurare la sicurezza dei piloti. Come ha detto R. A.
Mason, un ufficiale in pensione della Royal Air Force, Vice
Maresciallo: "La [condotta della guerra] ha dato l'impressione al mondo
che uno sfortunato livello minimo di perdite civili fosse
un'inconfessabile ed accettabile caratteristica di una guerra
combattuta per cause umanitarie, ma che non lo fosse la perdita di
equipaggi militari professionali"[12]. La preservazione delle proprie
forze è una preoccupazione cruciale per i militari. Ma
può questa considerazione avere precedenza sull'obbligazione
legale di proteggere i civili?.
Le preoccupazioni se la NATO avesse preso le misure necessarie per
proteggere i civili sono venute fuori con riguardo alla scelta di certi
metodi di attacco, come la pratica di bombardamenti da alta quota ed
una consistente omissione dal dare avvisi effettivi ai civili.
Secondo la NATO inizialmente gli aerei sono stati autorizzati a volare
esclusivamente al di sopra dei 15.000 piedi per proteggere gli
apparecchi ed i piloti dalla contraerea jugoslava. Questo limite
è stato attenuato durante la seconda metà della campagna
aerea con alcuni aeroplani che volavano sino a seimila piedi. Gli
Ufficiali hanno ammesso che il bombardamento effettuato da quota
elevata ha ridotto l'efficacia globale della campagna aerea, ma hanno
negato che ciò ha comportato un incremento delle perdite civili.
Essi hanno detto che molti attacchi venivano cancellati se un obiettivo
non poteva essere positivamente identificato, ciò al fine di
risparmiare i civili.
In Bruxelles gli ufficiali della NATO hanno detto a Amnesty
International che un equipaggio che vola a 15.000 piedi potrebbe
soltanto accertare se l'obiettivo sia quello assegnato secondo la
pianificazione preparatoria, ma non potrebbe dire se, per esempio, i
civili si sono mossi nelle sue vicinanze. In tal modo la regola dei
15.000 piedi rende effettivamente impossibile per gli equipaggi della
NATO rispettare l'obbligazione di sospendere un attacco una volta che
le circostanze siano cambiate sul terreno, rendendo l'obiettivo non
più legittimo. Essi [gli Ufficiali della NATO] hanno detto ad
Amnesty International che, a seguito di un bombardamento di un
convoglio di civili a Djakovica, le Regole d'Ingaggio sono state
cambiate in modo da richiedere [ai piloti] una conferma visiva che non
vi erano civili nella area oggetto dell'attacco.
In una intervista per un documentario televisivo della BBC, il Generale
Michael Short ha parlato su quello che accadde a Djakovica il 14 aprile
1999 ed ha spiegato l'impatto che il requisito della altitudine stava
avendo sulla capacità dei piloti di distinguere fra obiettivi
militari e civili o obiettivi civili.
"Essi tornarono da me e dissero: "Abbiamo bisogno di consentire ai
controllori aerei avanzati di scendere fino a 5.000 piedi. Abbiamo
bisogno di consentire ai bombardieri di scendere giù in
picchiata fino a 8.000 piedi per assicurarsi che essi possano
verificare il loro obiettivo e quindi ritornare di nuovo su a 15.000
piedi. Noi crediamo che questo vada fatto. Siamo consapevoli che
ciò comporta un incremento significativo del rischio, ma nessuno
di noi vuole colpire di nuovo un trattore pieno di profughi. Non
possiamo sopportarlo."
Sfortunatamente questa precauzione aggiuntiva, così come i
cambiamenti che si dice siano stati istituiti dopo l'attacco del 7
maggio su Nis, (quando si dice che gli Stati Uniti abbiano posto fine
all'uso di bombe a grappolo) e dopo l'attacco del 30 maggio al ponte
Varvarin (quando al NATO ha deciso di evitare di attaccare certi
obiettivi, come i ponti quando molti civili si trovavano verosimilmente
nelle vicinanze), non sono stati sufficienti ad evitare ulteriori morti
di civili. I cambiamenti che la NATO dice di aver fatto erano
precauzioni basilari che avrebbero dovuto essere adottate dall'inizio
della campagna per assicurarsi che le Regole d'Ingaggio della NATO non
consentissero infrazioni del diritto internazionale umanitario.
Una strada per bilanciare i rischi ai civili con quelli degli
attaccanti è illustrata da A.P.V. Rogers, ex Direttore del
Servizio legale dell'Esercito Britannico.
"Se l'obiettivo è sufficientemente importante, il Comandante in
Capo dovrebbe essere preparato ad accettare un più elevato
livello di rischio per l'equipaggio dell'aeromobile per assicurarsi che
l'obiettivo sia appropriatamente identificato ed accuratamente
attaccato. Non si è sentito mai parlare di una guerra senza
rischi. Bisogna correre dei rischi, per esempio, per salvare i piloti
che sono stati abbattuti o per dispiegare delle forze in territorio
nemico per delle missioni di riconoscimento ed identificazione degli
obiettivi. Tuttavia se si considera che non vale la pena di correre un
tale rischio per l'obiettivo da colpire ed è stabilito un
requisito minimo di altitudine per la sua protezione, l'equipaggio
impegnato nella operazione deve fare una sua propria valutazione del
rischio connesso alla verifica ed all'attacco dell'obiettivo assegnato.
Se la loro valutazione è che il rischio per loro di avvicinarsi
all'obiettivo quanto basta per identificarlo propriamente è
troppo elevato e che c'è un reale pericolo di morti accidentali,
di feriti o di danni ai civili o a beni di carattere civile, per la
mancanza di verificazione dell'obiettivo ed essi o forze amiche non
sono in pericolo se l'attacco non viene eseguito, non c'è
bisogno che essi pongano sé stessi a rischio per verificare
l'obiettivo. Molto semplicemente l'attacco non deve essere eseguito."
Le forze armate della NATO sono anche soggette alla obbligazione legale
di dare avviso ai civili degli attacchi imminenti, se possibile.
Secondo il I Protocollo, "un preavviso effettivo deve essere dato degli
attacchi che possono colpire la popolazione civile, salvo che le
circostanze non lo permettano " (art. 57, 2). Gli Ufficiali della NATO
hanno detto a Amnesty International in Bruxelles che, come politica
generale, essi hanno scelto di non inviare preavvisi per paura che
ciò potesse mettere in pericolo gli equipaggi degli aeroplani
che conducevano gli attacchi. Considerate tutte le altre misure
adottate per evitare perdite alle forze della NATO (incluso il
bombardamento ad alta quota), ci si potrebbe chiedere se è stato
dato sufficiente peso all'esigenza di risparmiare i civili nella
decisione di non dare i preavvisi. Inoltre la preoccupazione per la
sicurezza dei piloti non spiega perché non sono stati dati
avvisi ai civili quando sono stati usati per l'attacco i missili cruise.
3.5 L'uso di specifici sistemi d'arma.
Perdite civili sono state inoltre causate dalla decisione di usare
certi tipi di armi. Per esempio l'uso delle bombe a grappolo nei pressi
di concentrazioni di civili, come è stato fatto nel
bombardamento di Nis il 7 maggio, appare come un esempio della
omissione della adozione di precauzioni adeguate nella scelta dei
sistemi d'arma.
Sulla questione delle bombe a grappolo, il vice portavoce della NATO,
Peter Daniel, ha detto:
"Le bombe a grappolo sono valide munizioni molto efficaci contro le
forze sul terreno. Noi prendiamo ogni precauzione per evitare danni non
voluti quando usiamo le bombe a grappolo. Di fatto noi preferiamo le
munizioni con guida di precisione, ogni volta che possiamo usarle.
Questo d'accordo con il nostro intento di evitare danni collaterali per
quanto è possibile."[13]
Le bombe a grappolo non sono bandite dal diritto internazionale ma esse
presentano un alto rischio di violare la proibizione di attacchi
indiscriminati. In aggiunta le bombe a grappolo presentano un problema
umanitario dovuto al loro alto tasso di inesploso. (Gli ufficiali della
NATO hanno messo a conoscenza Amnesty International che il tasso
è approssimativamente il 5%). Ciò significa che le
submunizioni rappresentano una continua minaccia per chiunque venga in
contatto con esse. Secondo alcuni resoconti di stampa, migliaia di mine
inesplose giacciono ancora abbandonate sul terreno in Kosovo. Molte di
queste piccole bombe sono nascoste sotto la superficie del suolo e non
sono facilmente scopribili. Fra giugno 1999 e metà marzo 2000
è stato riportato che 54 persone siano state uccise in Kosovo da
bombe a grappolo inesplose e mine di terra.[14].
Un altro tipo di munizioni usate dalla NATO che sembra porre una
minaccia a lungo termine ai civili e all'ambiente sono quelle a uranio
impoverito. Gli ufficiali della NATO hanno detto a Amnesty
International durante l'incontro di Bruxelles che l'aviazione della
NATO, in particolare l'aereo A/10 "Warthog" di attacco al suolo, ha
sparato circa 31.000 scariche di proiettili all'uranio impoverito
durante la campagna. Alcuni studi deducono che la polvere di uranio
impoverito che rimane in prossimità degli obiettivi colpiti
dalle munizioni all'uranio impoverito, causa un significativo rischio
alla salute, se inalata o ingerita.[15]
L'uso delle munizioni all'uranio impoverito non è proibito dal
diritto internazionale ed Amnesty International non si oppone al loro
uso di per sé. Tuttavia, poiché sono in corso studi
conclusivi sugli effetti a lungo termine sulla salute e sull'ambiente
derivanti dall'uso di questo sistema d'arma, Amnesty International
è preoccupata per il possibile rischio alla salute, di natura
indiscriminata, che l'uso delle munizioni all'uranio impoverito di
fatto pone. L'art. 35 (3) del I Protocollo proibisce: "metodi e mezzi
di guerra che sono diretti, o dai quali ci si può attendere, a
causare estesi, severi e a lungo termine danni all'ambiente naturale.
Inoltre l'art. 35 (") proibisce l'uso "di bombe, proiettili, materiali
e metodi di guerra di natura tale da causare ferite superflue o
sofferenze non necessarie". In aggiunta, secondo l'art. 36: "nello
studio, messa a punto, acquisizione o adozione di una nuova arma, di
nuovi mezzi o metodi di guerra, una Alta Parte contraente ha l'obbligo
di stabilire se il suo impiego non sia vietato, in talune circostanze o
in qualunque circostanza, dalle disposizioni del presente Protocollo o
da qualsiasi altra regola del diritto internazionale applicabile a
detta Alta Parte contraente."
3.6 L'intelligence ed il principio di distinzione.
L'abilità di distinguere con successo fra obiettivi militari e
civili o obiettivi civili è cruciale per potersi adeguare alle
obbligazioni del diritto internazionale umanitario. Una accurata
attività di intelligence è cruciale se si vogliono
minimizzare le vittime civili, specialmente nel caso di una battaglia
combattuta dall'aria, ad alte altitudini ed usando armi a lungo raggio.
Sfortunatamente sembra che la NATO abbia messo a fuoco la fase della
pianificazione, quasi come se essa assumesse che le circostanze non
sarebbero cambiate o che un cambio delle circostanze (per es. i civili
che si avvicinavano all'obiettivo) dovesse essere messo nel conto. In
alcune circostanze gli errori sono stati fatti persino nella fase della
pianificazione. Quando i mezzi dell'attacco precludono la conferma da
parte delle forze d'attacco che l'obiettivo prefigurato è
effettivamente un obiettivo militare, l'affidamento su indagini vecchie
o difettose può avere conseguenze letali. Due di questi esempi
che hanno causato morti di civili sono esaminati con maggiori dettagli
più avanti: il bombardamento di una colonna di profughi kosovari
di etnia albanese in Korisa il 13 maggio e l'attacco dell'otto maggio
contro l'ambasciata cinese in Belgrado.
Una particolare falla nell'attività di intelligence della NATO
si è verificata il 21 maggio quando un aereo della NATO ha
bombardato una caserma Ko-are (Koshare) nel kosovo occidentale, vicino
al confine albanese, uccidendo e ferendo un certo numero di combattenti
dell'UCK (l'UCK ha riferito che sette persone sono state uccise e 25
ferite). L'UCK aveva catturato la caserma, sottraendola all'esercito
jugoslavo poche settimane prima dell'attacco della NATO.
Nel corso di una conferenza stampa della NATO il 22 maggio, il
portavoce della NATO, James Shea , ha dichiarato, con riferimento a
questo incidente che:
"Essa è stata fino ad epoca recente nelle mani dell'esercito
jugoslavo, ma appare chiaro che essa successivamente è stata
catturata dall'UCK. Di ciò adesso sono consapevole, ho visto i
rapporti, ma non posso confermare alcun numero di perdite. Ma
lasciatemi chiarire che se noi avessimo conosciuto, in una situazione
molto dinamica, specialmente dove l'UCK è particolarmente
attivo, che essa era stata catturata dall'UCK, allora l'avremmo
depennata dalla lista degli obiettivi."
Tuttavia l'UCK aveva una presenza molto attiva nell'area di ko-are in
quel tempo ed aveva catturato la caserma molte settimane prima. Questo
fatto era stato riportato dalla stampa internazionale[16] ed un certo
numero di reporters e giornalisti televisivi aveva visitato l'edificio
sotto la scorta dell'UCK. In aggiunta sembra che la NATO fosse ben
informata della posizione sul terreno. Un giornalista che aveva
recentemente visitato Ko-are ha scritto:
In precedenza per più di un mese regolari rapporti su chi
controllava quale briciola di questa montagna sono stati spediti alla
NATO attraverso una linea fax satellitare dai ribelli basati a Ko-are.
Inoltre appare che funzionari internazionali con un punto di
osservazione dell'OSCE posto nelle vicinanze hanno inviato gli stessi
rapporti. La NATO ha agito sulla base di questi rapporti bombardando le
unità Serbe appena fuori l'enclave dei ribelli per aiutare l'UCK
a spingere le sue unità più addentro nel Kosovo. La NATO
ieri ha rifiutato di commentare come è possibile che una parte
dell'Organizzazione potesse avere queste informazioni e non le passasse
all'altra parte, qualche volta essi hanno detto che sarebbero stati
"schiacciati" a seguito del bombardamento dell'ambasciata
cinese….Visitando Ko-are due giorni prima mi è stato detto dagli
ufficiali dell'UCK che essi frequentemente inviavano informazioni alla
NATO sulle unità serbe da colpire che si contrapponevano a
loro."[17]
Sebbene la caserma di Ko-are chiaramente non fosse un obiettivo civile,
il fatto che la NATO non l'abbia rimossa dalla lista degli obiettivi a
seguito della sua cattura da parte dell'UCK, malgrado i rapporti resi
pubblici circa il suo nuovo status, fa sorgere dei dubbi
sull'abilità dell'Alleanza di identificare in modo appropriato
gli obiettivi, di fare distinzione fra obiettivi militari ed obiettivi
civili e di prendere in considerazione ogni cambiamento dello status di
un obiettivo militare.
Dopo la fine della campagna di bombardamento, quando le forze armate
jugoslave hanno lasciato il Kosovo e sono entrate le forze della NATO,
sono sorti immediatamente degli interrogativi sull'accuratezza degli
obiettivi della NATO, persino in relazione agli obiettivi militari che
essa ha detto di aver attaccato con successo. I reporters
internazionali che hanno visitato il Kosovo durante e dopo il
bombardamento hanno ipotizzato che la NATO ha significativamente
sovraestimato l'estensione dei danni che essa aveva inflitto
all'apparato militare jugoslavo. In Djacovica per esempio, si è
scoperto che molti dei veicoli militari danneggiati, lasciati in una
base militare erano dei vecchi relitti abbandonati: "i veicoli della
NATO non hanno distrutto i veicoli da combattimento del fronte, ma
tutt'al più una cucina da campo." Ha riferito Steven Lee Myers
del New York Times del 28 giugno 1999.
I giornalisti hanno riferito che la NATO ha colpito un sacco di
bersagli fantoccio nel Kosovo. Richard Norton-Taylor ha scritto sul The
Guardian (Londra) il 30 giugno che, lungi dall'aver distrutto i 300
carri armati jugoslavi che essa aveva inizialmente rivendicato, la NATO
adesso non sta più contraddicendo l'asserzione del governo
jugoslavo che sono stati distrutti solo 13 carri: "I soldati della NATO
hanno trovato un enorme numero di falsi carri armati di legno,
così come finti ponti e false strade di plastica nera. Malgrado
i ripetuti attacchi all'aeroporto di Pristina, i Mig 21 si trovavano
illesi nascosti negli angar sotterranei"
Dopo il ritiro dal Kosovo delle forze armate jugoslave, la NATO ha
continuato a sostenere che essa aveva distrutto 100 carri, 210 veicoli
blindati da combattimento, 449 pezzi di artiglieria ed equipaggiamento
per mortai. In seguito la NATO ha concluso che essa aveva distrutto 93
carri armati serbi (solo 26 del totale dei quali sono stati documentati
e localizzati dal team della NATO per la pianificazione degli attacchi
nel Kosovo), 153 veicoli blindati per il trasporto di truppe, 339
veicoli militari e 389 pezzi di artiglieria e morati.[18]
I resoconti della stampa, tuttavia, hanno suggerito che sono stati
distrutti mezzi militari ed armi in quantità molto minore
persino delle stime ridotte della NATO. Robert Fisk del quotidiano The
Indipendent ha riferito che gli ufficiali della NATO rimasero "sorpresi
che migliaia di carri jugoslavi, di lanciamissili, di batterie di
artiglieria, mezzi per il trasporto di truppe e camion sono stati
evacuati dalla Provincia con a malapena un graffio su di essi."[19]
Il periodico statunitense Newsweek ha riferito nel suo numero del 15
maggio 2000, che ufficiali del Pentagono hanno soppresso un rapporto
sui danni provocati dall'aviazione americana che rivelava che il numero
degli obiettivi serbi, verificabilmente distrutti era solo una porzione
di quelli dichiarati dalla NATO. Gli investigatori dell'Aviazione
militare degli Stati Uniti che - secondo quanto riferito - hanno
passato settimane nel Kosovo, hanno detto di aver scoperto che
l'aviazione della NATO aveva distrutto 14 carri armati, 18 veicoli
blindati per il trasporto di personale e 20 pezzi di artiglieria..
Il quadro che emerge dagli esiti della campagna aerea fa sorgere degli
interrogativi circa l'accuratezza dell'attività di intelligence
ed l'estensione con cui la campagna di bombardamenti della NATO ha nei
fatti conseguito il suo dichiarato scopo di degradare la
capacità bellica della Repubblica Federale di Jugoslavia
.Ciò rinforza l'interrogativo che Amnesty International ha
sempre posto alla NATO - nel contesto delle perdite civili - circa la
sua capacità di discernere e selezionare gli obiettivi. Per
adesso appare che, malgrado la sua retorica, la NATO non è
stata, in alcuni casi, capace di valutare se stava veramente attaccando
un genuino obiettivo militare o no e che le sue stesse valutazioni dei
danni di guerra erano erronee. In questo contesto il rischio di un
attacco indiscriminato contro obiettivi civili diviene molto più
elevato ed il bisogno di maggiori effettive garanzie, da istituirsi per
ogni futura campagna, diviene molto più importante.
3.7 La NATO ed i media: la retorica e la realtà.
Durante la campagna aerea nelle conferenze stampa giornaliere al
Quartier Generale della NATO in Bruxelles, la NATO ha continuato ad
insistere che essa faceva ogni possibile sforzo per evitare perdite
civili, che essa si concentrava soltanto su legittimi obiettivi
militari, che usava armi di alta precisione per garantire l'accuratezza
del risultato. La NATO ha detto che numerosi attacchi aerei sono stati
fermati e gli aeroplani sono tornati indietro sulla base della
valutazione dei piloti che i civili potevano essere a rischio. Ma
malgrado le garanzie contro le perdite civili che la NATO diceva di
aver messo in opera, hanno continuato a verificarsi incidenti nei quali
un alto numero di civili sono stati uccisi
In alcuni casi la NATO ha ammesso che essa aveva fatto degli errori, ma
ha sempre detto che essa non aveva mai intenzionalmente fatto i civili
oggetto di attacco. Essa ha attribuito alcuni errori a difetti
dell'attività di intelligence, in altri casi essa ha deprecato
in vario modo, per il cattivo tempo o la scarsa visibilità, gli
errori delle bombe che avevano mancato il loro bersaglio, gli errori
dei piloti nel decidere se i veicoli oggetto dell'attacco erano
militari o civili per loro natura e l'uso di scudi umani da parte delle
autorità della Repubblica Federale di Jugoslavia per creare
perdite civili quando venivano bombardate le strutture vitali per le
Forze Armate. L'ammissione degli errori della NATO veniva quasi sempre
presentata nel contesto delle massicce violazioni dei diritti umani
commesse dalle Forze Armate della Repubblica Federale di Jugoslavia in
Kosovo che avevano costretto la NATO a mettere la campagna aerea al
primo posto.
Il portavoce della NATO James Shea ha insistito che la politica della
NATO era quella di essere aperta nei confronti della stampa il
più possibile: "Noi non abbiamo mai cercato di evadere la nostra
responsabilità. Noi riconosciamo rapidamente i nostri errori.",
egli ha detto a Amnesty International in Bruxelles . Ma in molti casi
non sono state date risposte chiare circa incidenti scioccanti.
Il periodico francese Le Nouvel Observateur ha riferito che un
innominato generale della NATO ha spiegato che la NATO ha una politica
volta a rifiutare deliberatamente le informazioni rilevanti. E' stato
riferito che il generale ha detto: "per far fronte ad errori
sfortunati, noi adoperiamo una tattica abbastanza effettiva. Molto
spesso noi conosciamo già la causa precisa e le conseguenze di
questi errori. Ma per rassicurare l'opinione pubblica noi diremo che
stiamo conducendo un'inchiesta e che vi sono molte possibili
spiegazioni. Noi riveleremo la verità soltanto due settimane
più tardi quando nessuno è più interessato.
L'opinione pubblica ha bisogno di essere lavorata per bene."[20]
In aggiunta la NATO ha cercato di presentare i suoi "errori" come se
fossero pochissimi data la scala globale della campagna di obiettivi
che essa aveva programmato - sotto altri profili altamente riuscita -
per indebolire significativamente la capacità militare della
Forze Armate della Repubblica Federale di Jugoslavia . Al Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti, nel briefing del 2 giugno 1999, il
General Maggiore Chuk Wald ha detto: "Di tutte le bombe che noi abbiamo
sganciato il 99,6% ha effettivamente colpito l'obiettivo, su un totale
di oltre 20.000 bombe." Questa dichiarazione è stata criticata
dagli analisti militari come Antony Cordsman, del Centro per gli Studi
internazionali e strategici di Washington (DC). Egli ha osservato che
la statistica del generale Wald prende in considerazione soltanto un
pugno di incidenti riguardanti i "danni collaterali" politicamente
sensibili come il bombardamento dell'ambasciata cinese in Belgrado.
La NATO in seguito ha fatto riferimento alla stima fatta da Human Right
Watch di 90 incidenti nei quali sono stati uccisi dei civili. Questa
stima rappresenta soltanto una frazione degli attacchi che sono andati
fuori bersaglio ma non hanno finito per uccidere dei civili.
E' stato riferito che soltanto un terzo delle bombe usate durante la
campagna aerea erano delle munizioni con guida di precisione. Gli
Ufficiali della NATO in Bruxelles hanno detto ad Amnesty International
che circa il 70% delle armi con guida di precisione usate dalle loro
forze hanno colpito il punto desiderato di impatto.
Investigazioni e risarcimento per le vittime.
Amnesty International ha scritto alla NATO durante l'Operazione Forza
Alleata e ha chiesto che essa svolgesse un'indagine sui numerosi
attacchi esaminati in dettaglio in questo rapporto. Amnesty
International non ha ricevuto informazioni dalla NATO circa le indagini
richieste. Quando è stato chiesto, durante l'incontro del
febbraio 2000, se la NATO abbia mai condotto delle indagini, gli
Ufficiali della NATO hanno detto a Amnesty International in Bruxelles
che erano state effettuate delle indagini interne su numerosi attacchi.
Tuttavia essi hanno aggiunto che non consideravano utile far conoscere
i risultati delle loro indagini, o rivelare i dettagli delle forze
coinvolte. Essi hanno aggiunto che non sono state prese misure
disciplinari o penali contro coloro che risultavano coinvolti negli
attacchi oggetto di investigazione. In seguito la Cia ha rivelato che
nell'aprile 2000 numerosi ufficiali della Cia hanno ricevuto sanzioni
disciplinari per il loro ruolo nella mancata identificazione della sede
della ambasciata cinese in Belgrado, fatto dal quale è risultata
l'uccisione di civili.
La NATO ha dichiarato che essa non ha accesso in Serbia e che pertanto
non è capace di condurre un accertamento delle vittime civili
causate dai bombardamenti. Ma questo non ha impedito altre forme di
esame degli effetti dei bombardamenti come il Rapporto del Dipartimento
della Difesa sul Kosovo dopo l'azione. E ciò non spiega
perché le indagini che sono state condotte nel caso del
bombardamento dell'ambasciata cinese di Belgrado non sono state
apparentemente condotte negli altri, meno sensibili politicamente, casi
di morti di civili causate da attacchi della NATO .
I membri della NATO soggiacciono alla obbligazione legale di risarcire
ogni violazione del diritto bellico che le loro forze hanno commesso,
incluso il pagamento di compensazioni monetarie alle vittime come
richiesto dall'art. 91 del Primo Protocollo Addizionale. Poiché
non sembra che la NATO abbia fatto un serio sforzo per accertare le
possibili violazioni, le vittime non hanno ricevuto alcun risarcimento.
Nel caso dell'ambasciata cinese il Governo degli Stati Uniti ha pagato
un risarcimento alle vittime ed alle loro famiglie ed al Governo cinese
per il danneggiamento dell'edificio dell'Ambasciata, ma senza
riconoscimento della propria responsabilità legale. Questo
rimane attualmente il solo caso in cui una forma di risarcimento
è stata effettuata.
4. Conclusioni e raccomandazioni.
Amnesty International ritiene che nel caso dell' Operazione Forza
Alleata le morti di civili avrebbero potuto essere significativamente
ridotte se le forze armate della NATO avessero rispettato pienamente il
diritto bellico. La NATO non sempre ha adempiuto alle proprie
obbligazioni legali nel selezionare gli obiettivi e nello scegliere
mezzi e metodi di attacco. In un caso, l'attacco al Quartiere Generale
della Radio Televisione Serba (RTS), la NATO ha lanciato un attacco
diretto contro un obiettivo civile, uccidendo 16 civili. Questo attacco
ha violato l'art. 52 (1) del Primo Protocollo Addizionale e
perciò costituisce un crimine di guerra. In altri attacchi,
incluso il Ponte Ferroviario di Gredelica, il ponte automobilistico in
Luzane e il ponte di Varvarin, le forze della NATO hanno omesso di
sospendere i loro attacchi dopo che è diventato evidente che
essi avevano colpito dei civili, ciò in contravvenzione della
norma di cui all'art. 57 (2) del I Protocollo. In altri casi, inclusi
gli attacchi sui civili sfollati in Djakovica o in Korisa, sono state
prese insufficienti precauzioni per minimizzare le perdite civili.
Sebbene sia la NATO, sia gli Stati membri abbiano dichiarato di essere
vincolati alle norme del diritto umanitario internazionale, la Francia,
la Turchia e gli Stati Uniti, non hanno ancora aderito al 1 Protocollo
e la NATO non ha un meccanismo per assicurare la comune interpretazione
di tali norme che riflettono i più alti standards del diritto
umanitario internazionale. La struttura di comando della NATO sembra
inoltre che contribuisca alla confusione in ordine alle
responsabilità legali.
I processi di adozione delle decisioni circa la selezione e
l'assegnazione degli obiettivi, indicano che i disaccordi circa la
liceità di certi attacchi, non impediscono che gli stessi
abbiano corso. Inoltre alcuni aspetti delle Regole d'Ingaggio,
specialmente il requisito che gli aeromobili della NATO dovessero
volare al di sopra dei 15.000 piedi, rende la piena adesione al diritto
umanitario internazionale virtualmente impossibile. Secondo gli
ufficiali della NATO sono stati effettuati dei cambiamenti delle Regole
d'Ingaggio, inclusa l'abolizione della regola dei 15.000 piedi, a
seguito dell'attacco del 14 aprile nei pressi di Djacovica e del
bombardamento del Ponte di Varvarin il 30 maggio del 1999. Questi
cambiamenti costituiscono un riconoscimento che le precauzioni
esistenti non erano sufficienti a proteggere i civili. Ma, a partire
dal 30 maggio, centinaia di civili sono stati uccisi nel corso dei
raids aerei della NATO. La NATO aveva l'obbligazione legale di adottare
le precauzioni fondamentali dall'inizio della campagna, piuttosto che
dare priorità alla sicurezza dei suoi aerei e dei suoi piloti,
rispetto alla protezione dei civili, inclusi quei civili, per il
benessere dei quali, essa ha detto che stava intervenendo.
L'uso di alcune categorie di bombe, specialmente le bombe a grappolo,
può aver contribuito a causare uccisioni illegittime.
Similarmente l'apparente preminenza data dalla NATO all'attività
di "intelligence " nella fase della pianificazione, piuttosto che
attraverso la condotta degli attacchi, gli errori commessi nella
raccolta delle informazioni, sembra che abbiano causato uccisioni
illecite.
La natura confidenziale delle indagini effettuate e la riferita assenza
di provvedimenti contro il personale della NATO lascia trapelare seri
dubbi sull'impegno della NATO di andare fino in fondo nell'indagine su
specifici incidenti, in accordo con il diritto internazionale. In un
caso soltanto, il bombardamento dell'ambasciata cinese di Belgrado, i
risultati di una indagine sono stati rivelati, è stato pagato un
risarcimento e sono state prese misure disciplinari nei confronti di
coloro che sono risultati responsabili. L'impressione che queste misure
sono state prese, in questo caso, essenzialmente a causa di ragioni
politiche, è insuperabile.
Portare avanti una guerra di coalizione è una impresa complessa
ed i giudizi richiesti dei piani militari e dell'attività di
combattimento dei soldati sono particolarmente difficoltosi. La NATO
deve trarre una lezione dalla Operazione Forza Alleata che vada, al di
là della constatazione di quali nuove bombe i suoi arsenali
hanno bisogno, e deve trovare delle regole per massimizzare la
protezione dei civili come richiesto dal diritto umanitario
internazionale. La più potente Alleanza militare del mondo non
può mancare di adottare i più alti standards di
protezione a questo riguardo. Alla luce di quanto sopra, Amnesty
International formula le seguenti raccomandazioni.
Ratificazione ed interpretazione degli standards del diritto umanitario
internazionale
1. La NATO deve pubblicamente vincolarsi ai più alti standard
del diritto umanitario internazionale , incluso il Primo Protocollo
Addizionale alla Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 ed assumere
una comune interpretazione di tali standards fra i suoi Stati membri,
in modo da fornire la massima protezione per i civili riguardo agli
effetti del conflitto.
2. la NATO ed i suoi Stati membri dovrebbero istituire e mantenere un
effettivo programma di addestramento per le loro forze militari circa
l'osservanza pratica dei più alti standards del diritto
umanitario internazionale , in particolare le obbligazioni nascenti dal
1° Protocollo.
3. La Francia, la Turchia e gli Stati Uniti dovrebbero ratificare,
senza riserve, tutti i trattati di diritto umanitario internazionale ,
in particolare il 1° Protocollo. Inoltre gli Stati membri della
NATO , già aderenti a tali trattati dovrebbero ritirare tutte le
riserve che essi hanno fatto.
Struttura di comando
4. La NATO dovrebbe chiarificare la sua catena di comando, così
che ci siano chiari livelli di responsabilità, conosciuti dentro
e fuori l'Organizzazione, per ogni Stato e per ogni individuo coinvolto
nelle operazioni militari condotte sotto la sua egida.
Regole d'Ingaggio
5. Le Regole d'Ingaggio della NATO devono assicurare la piena adesione
ai più alti standards del diritto umanitario internazionale , in
particolare con le obbligazioni sorgenti dal 1° Protocollo. Le
Regole d'Ingaggio dovrebbero essere comuni a tutti gli Stati membri e
dovrebbero essere rese pubbliche nella massima estensione possibile.
Uso di bombe a grappolo e di munizioni a uranio impoverito.
6. La NATO ed i suoi Stati membri dovrebbero assicurarsi che le bombe a
grappolo non siano usate nelle vicinanze di concentrazioni di civili.
Come obbligo umanitario gli Stati membri della NATO impegnati nella
Kfor dovrebbero urgentemente cooperare agli sforzi di bonifica della
submunizioni inesplose delle bombe a grappolo usate durante l'
Operazione Forza Alleata .
7. La NATO ed i suoi Stati membri, inoltre, dovrebbero condurre delle
ricerche e cooperare pienamente con le ricerche indipendenti, circa i
possibili rischi a lungo termine per la salute e l'ambiente causati
dall'uso dei proiettili ad uranio impoverito. Essi dovrebbero inoltre
considerare la possibilità di sospendere l'uso di queste armi
fintantoché non saranno venuti fuori i risultati di tali
ricerche.
Accertamento e repressione delle violazioni del diritto umanitario
internazionale
8. La NATO dovrebbe istituire un corpo [di ispettori] per indagare in
ordine alla credibili allegazioni di contravvenzione del diritto
umanitario internazionale commesse nel corso dell Operazione Forza
Alleata, inclusi i casi esaminati in questo rapporto, così come
per ogni futura operazione militare. Nell'adempimento di questo compito
la NATO dovrebbe considerare la possibilità di richiamare in
servizio la Commissione Internazionale per l'Accertamento dei Fatti,
istituita dall'art. 90 del 1° Protocollo e fornirla di tutta la
necessaria assistenza. I metodi e gli accertamenti di questa indagine
dovrebbero essere resi pubblici ed usati per cooperare con ogni azione
penale che possa apparire appropriata.
9. Gli Stati membri della NATO dovrebbero portare dinanzi alla
giustizia coloro, dei loro connazionali, che siano sospettati di essere
responsabili di gravi contravvenzioni del diritto umanitario
internazionale durante l'Operazione Forza Alleata, in linea con gli
standards internazionali del giusto processo e senza la
possibilità della pena di morte. Quegli Stati membri che hanno
una legislazione inadeguata ad assicurare la completa tutela penale del
diritto umanitario internazionale, dovrebbero introdurre una tale
legislazione senza ritardo.
10. Gli altri Stati dovrebbero adempiere alla loro obbligazione di
condurre una indagine penale nei confronti di chiunque sia sospettato
di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale durante l'
Operazione Forza Alleata Se ci sono prove sufficienti ed ammissibili ed
il sospettato si trovi all'interno della loro giurisdizione, tali Stati
dovrebbero processarlo od estradarlo verso un altro Stato che abbia
voglia e sia capace di celebrare un giusto processo, senza la
possibilità della pena di morte.
11. Il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia dovrebbe
svolgere indagini su tutte le credibili allegazioni di violazioni del
diritto umanitario internazionale durante la Operazione Forza Alleata
nell'ottica di portare a giudizio chiunque nei cui confronti siano
state raccolte prove sufficienti ed ammissibili e gli Stati dovrebbero
consegnare al Tribunale Internazionale ogni sospettato che sia
ricercato dal Tribunale per il giudizio.
Risarcimento per le vittime
12. La NATO dovrebbe garantire che le vittime delle violazioni del
diritto umanitario internazionale ricevano un adeguato risarcimento
inclusa una compensazione monetaria attraverso un meccanismo posto in
essere per questo scopo. Gli Stati membri della NATO dovrebbero
garantire inoltre che la loro legislazione nazionale consenta a
ciascuno di tali vittime di richiedere il risarcimento con il ricorso
ad azioni civili.
5. Casi di studio
5.1 Il ponte ferroviario di Grdelica: 12 aprile
(omissis)
5.2 Il convoglio di persone di etnia albanese nei pressi di Djakovica:
14 aprile
(omissis)
5.3 La Radio Televisione Serba : 23 aprile
Nelle prime ore del 23 aprile un aeroplano della NATO ha bombardato il
Quartier Generale della Radio Televisione Serba nel centro di Belgrado.
Non c'è stato nessun dubbio che la NATO avesse colpito il suo
obiettivo prefissato. Al momento del bombardamento l'edificio era
occupato da tecnici addetti al lavoro ed altre persone dello staff
della produzione. Sono state stimate in 120 persone i civili al lavoro
nell'edificio al momento dell'attacco. Almeno 16 civili sono rimasti
uccisi ed altri 16 feriti. Una trasmissione di notizie è stata
interrotta come risultato dell'attacco. Le trasmissioni della Radio
Televisione Serba sono riprese circa 3 ore dopo il bombardamento.
Alla conferenza stampa che si è svolta più tardi quello
stesso giorno il colonnello Konrad Freytag ha piazzato questo attacco
nel contesto della politica della NATO volta a "distruggere la rete di
comando nazionale e a smantellare l'apparato di propaganda." Egli ha
spiegato: "le nostre forze hanno colpito la capacità delle
leadership di regime di trasmettere la sua versione dei fatti e di
trasmettere le sue istruzioni alle truppe in campo…" Oltre ad ospitare
i principali studi della radio e della televisione di Belgrado, la NATO
ha detto che "l'edificio ospitava anche una antenna parabolica di
comunicazione satellitare polifunzionale."
Lo stesso giorno dell'attacco Amnesty International ha pubblicamente
espresso grave preoccupazione, dicendo che essa non poteva vedere come
l'attacco potesse essere giustificato sulla base delle informazioni
disponibili che mettevano in evidenza il ruolo di propaganda della
stazione [televisiva]. L'Organizzazione ha scritto al Segretario
generale della NATO, Xavier Solana, richiedendo "una urgente
spiegazione delle ragioni che avevano portato a tale attacco." In una
risposta datata 17 maggio la NATO ha detto che essa ha fatto ogni
possibile sforzo per evitare perdite civili e danni collaterali
colpendo esclusivamente ed accuratamente l'infrastruttura militare del
Presidente Milosevic. Essa ha aggiunto che le strutture della Radio
Televisione Serba "venivano usate come ripetitori radio e trasmettitori
di supporto all'attività delle Forze Armate della Repubblica
Federale Jugoslava e delle forze speciali di polizia e per questo esse
rappresentavano un legittimo obiettivo militare."
All'incontro di Bruxelles con Amnesty International, gli Ufficiali
della NATO hanno chiarito che questo riferimento ai ripetitori radio e
ai trasmettitori riguardava gli altri attacchi alle infrastrutture
della Radio Televisione Serba e non questo particolare attacco al
Quartiere generale RTS. Essi hanno insistito che l'attacco è
stato realizzato perché la Radio Televisione Serba era un organo
di propaganda e la propaganda costituisce un supporto diretto
all'azione militare. Il fatto che la NATO spiega la sua decisione di
attaccare la Radio Televisione Serba soltanto sulla base che si
trattava di una fonte di propaganda è stato ripetuto nel riesame
che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha fatto della
campagna aerea, che ha giustificato il bombardamento dipingendo gli
studi della Radio Televisione Serba come "una struttura usata per scopi
di propaganda." Nessuna menzione è stata fatta circa la presenza
di qualche ripetitore.[21]
In una intervista per un documentario della BBC, il Primo ministro
inglese Tony Blair, ha fatto delle riflessioni sul bombardamento della
Radio Televisione Serba ed ha fatto capire che una delle ragioni per
cui la stazione radio Tv è stata scelta come obiettivo era che i
suoi reportage video sui costi umani degli errori della NATO, quali il
bombardamento del convoglio dei civili a Djakovica, venivano
ritrasmessi all'estero dai media occidentali e ciò stava facendo
venir meno il supporto alla guerra all'interno dell'Alleanza. "Questo
è uno dei problemi che riguardano la conduzione di un conflitto
in un mondo moderno basato sulle telecomunicazioni e sull'informazione…
Noi eravamo consapevoli che quelle immagini avrebbero avuto un ritorno
e ci sarebbe stata una istintiva simpatia per le vittime della
campagna."[22]
La definizione di obiettivo militare contenuta nell'art. 52 (2) del I
Protocollo, accettata dalla NATO specifica che:
"gli obiettivi militari sono limitati ai beni che, per loro natura,
ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono efficacemente
all'azione militare, e la cui distruzione, totale o parziale conquista
o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare
preciso."
Amnesty International riconosce che smantellare l'apparto di propaganda
del Governo può servire a fiaccare il morale della popolazione e
delle Forze Armate, ma ritiene che giustificare un attacco ai civili o
a strutture civili su questo terreno, estende il significato dei
termini "effettivo contributo all'azione militare " e "vantaggio
militare preciso" al di là di ogni accettabile canone di
interpretazione. Alla luce della norma di cui all'art. 52 (2) del I
Protocollo, il Quartiere generale della Radio Televisione Serba non
può essere considerato un obiettivo militare. Come tale
l'attacco al Quartiere generale della Radio Televisione Serba ha
violato la proibizione di attaccare obiettivi civili contenuta
nell'articolo 52 (1) e perciò costituisce un crimine di guerra.
L'autorevole commentario del Comitato Internazionale della Croce Rossa
sul Protocollo addizionale del 8 giugno 1977 alle Convenzioni di
Ginevra del 12 agosto 1949 interpreta l'espressione "vantaggio militare
preciso previsto" argomentando che "non è legittimo lanciare
attacchi che offrono soltanto vantaggi potenziali o indeterminati".[23]
Più recentemente il commentario del manuale militare tedesco
stabilisce che: "gli attacchi aventi ad oggetto obiettivi meramente
politici, come quelli rivolti a dimostrare la potenza militare o ad
intimidire i leaders politici dell'avversario sono proibiti." [24] La
dottrina della difesa britannica adotta un approccio simile: "Il morale
della popolazione civile del nemico non è un legittimo
obiettivo."[25]
Vale anche la pena di richiamare in questo contesto il giudizio del
Tribunale Internazionale militare di Norimberga, nel 1946, nel caso di
Hans Fritzsche, che aveva militato come ufficiale anziano nell'Ufficio
di propaganda del 3° Reich, ivi compreso come capo della Divisione
Radio dal Novembre 1942. Il Pubblico Ministero sosteneva che egli aveva
incitato ed incoraggiato la commissione di crimini di guerra,
deliberatamente falsificando le notizie per far crescere nel popolo
tedesco quelle passioni che li hanno portati a commettere delle
atrocità. Il Tribunale riconobbe nel suo giudizio che il
Fritzsche aveva mostrato nei suoi discorsi "un forte antisemitismo" e
che "qualche volta aveva diffuso false notizie", ma cionondimeno non lo
ritenne colpevole. Il Tribunale concluse il suo giudizio, in questo
caso, nel modo seguente:
"Appare che il Fritzsche a volte ha fatto delle dure dichiarazioni di
natura propagandistica durante le sue trasmissioni, ma il Tribunale non
ha elementi per ritenere che tali dichiarazioni miravano ad incitare il
popolo tedesco a commettere atrocità sui popoli conquistati e
l'imputato non può essere ritenuto compartecipe dei crimini di
cui è stato accusato. Il suo scopo era piuttosto di accrescere
il sentimento popolare in favore di Hitler e dello sforzo bellico della
Germania."
Sull'argomento della legittimità dell'attacco ad una stazione
televisiva in generale, è stato fatto riferimento ad una lista
di categorie di obiettivi militari inclusi in un documento di lavoro
prodotto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa nel 1956: la
Bozza di Norme per la Limitazione dei Pericoli in cui incorre la
Popolazione civile in tempo di guerra.[26] Nel paragrafo 7 la lista
include le "installazioni per effettuare trasmissioni e le stazioni
televisive.". Tuttavia il testo francese della Bozza di Norme rende
chiaro che queste installazioni devono essere di "fondamentale
importanza militare". Inoltre l'art 7 della Bozza di Norme stabiliva
che persino gli obiettivi elencati nella lista non possono essere
considerati obiettivi militari se il loro attacco non "offre vantaggi
militari".
Quale che sia il merito della Bozza di Norme, c'è da dubitare
che esse avrebbero legittimato l'attacco contro il Quartiere generale
della Radio Televisione Serba . In ogni caso la Bozza di Norme fu
dimessa alla Conferenza internazionale del 1957 per la quale esse erano
state preparate, ma negli anni successivi l'orientamento di definire
una lista di obiettivi militari fu abbandonato in favore
dell'orientamento alla fine adottato dal I Protocollo, con l'art. 52.
L'attacco al Quartiere generale della Radio Televisione Serba potrebbe
aver violato il diritto internazionale umanitario persino nel caso in
cui l'edificio avesse potuto essere considerato un obiettivo
propriamente militare. Più specificamente tale attacco avrebbe
violato la regola della proporzionalità prevista dall'art. 51
(5) (b) del I Protocollo e potrebbe, inoltre, aver violato
l'obbligazione di dare un effettivo preavviso di cui all'art. 57 (2)
(c) dello stesso Protocollo.
L'art. 51 (5) (b) proibisce gli attacchi: "dai quali ci si può
attendere che provochino incidentalmente morti e feriti fra la
popolazione civile…..che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio
militare diretto e concreto previsto." Il Commentario del Comitato
Internazionale della Croce Rossa specifica che : "L'espressione
"concreto e diretto" era diretta a mostrare che il vantaggio in
questione dovrebbe essere sostanziale e relativamente immediato, e che
i vantaggi che sono difficilmente percepibili e quelli che
apparirebbero soltanto a lungo termine dovrebbero essere esclusi. " La
NATO deve aver chiaramente previsto che i civili (che si trovavano)
all'interno dell'edificio della RTS sarebbero stati uccisi. In aggiunta
appare chiaro che la NATO sapeva che attaccando l'edificio della RTS
avrebbe interrotto le trasmissioni per un breve periodo. Il SACEUR,
generale Wesley Clark, ha dichiarato : « noi lo sapevamo che
quando abbiamo condotto l'attacco ci potevano essere dei mezzi
alternativi per aver ragione della televisione dei Serbi. Non
c'è stato un singolo interruttore da premere per spegnere ogni
cosa, ma noi credevamo che fosse una buona decisione colpirla ed i
leaders politici sono stati d'accordo con noi. "[27] In altre parole la
NATO ha deliberatamente attaccato un obiettivo civile, uccidendo 16
persone, allo scopo di bloccare le trasmissioni della TV serba nel
mezzo della notte, per approssimativamente tre ore. E' difficile vedere
come ciò possa essere considerato coerente con la regola della
proporzionalità.
L'art. 57 (2) (c) del I Protocollo richiede che: "nel caso di attacchi
che possono colpire la popolazione civile dovrà essere dato un
avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci, salvo che le
circostanze lo impediscono." Le dichiarazioni ufficiali rilasciate
prima del bombardamento della RTS sulla circostanze se la NATO stesse
per attaccare i Media, sono state contraddittorie. L'8 aprile il
Commodoro dell'Aviazione, Wilby, ha dichiarato che la NATO considerava
la RTS come un "legittimo obiettivo in questa campagna", a causa del
suo uso come strumento di propaganda e di repressione. Egli ha aggiunto
che la Radio e la Televisione sarebbero diventate un "accettabile
strumento di pubblica informazione" se il presidente Milosevic avesse
garantito un uguale tempo per le trasmissioni giornalistiche
occidentali non censurate per due periodi di tre ore al giorno.[28] Lo
stesso giorno il generale Jean Pierre Kelche, capo delle Forze Armate
francesi, ha detto in una conferenza stampa. "Noi stiamo per far
saltare i loro trasmettitori e i loro ripetitori poiché sono
strumenti di propaganda del regime di Milosevic, che stanno
contribuendo alla sforzo bellico." [29]
Ma alla conferenza stampa del giorno seguente (9 aprile), richiesto di
un chiarimento circa la politica della NATO nei confronti dei media
della Repubblica Federale Jugoslava, il portavoce della NATO, James
Shea, ha detto: "Quali che siano i nostri sentimenti nei confronti
della Televisione serba, noi non ci apprestiamo a colpire direttamente
i trasmettitori TV…Nella Jugoslavia i ripetitori radio spesso sono in
combinazione con i trasmettitori della TV, ma noi attacchiamo
l'obiettivo militare, se c'è qualche danno ai trasmettitori TV,
esso è un effetto secondario, ma non la nostra primaria
intenzione di farlo." James Shea ha inoltre scritto alla Federazione
Internazionale dei Giornalisti, basata a Bruxelles, il 12 aprile che: "
l' Operazione Forza Alleata colpisce soltanto obiettivi militari e le
torri della Radio e della Televisione sono colpite soltanto se esse
sono integrate nelle strutture militari. Non c'è una politica di
colpire i trasmettitori radio-televisivi in quanto tali."
Sembra che le dichiarazioni di Wilby e di Shea sono venute fuori dopo
che alcuni membri dei media sono stati allertati per il fatto che un
attacco alla sede della Televisione era già stato pianificato.
Secondo Eason Jordan, il Presidente della CNN International, nei primi
giorni di aprile, egli ha ricevuto una telefonata da un ufficiale della
NATO che gli ha riferito che l'attacco contro la RTS era in via di
essere realizzato e che egli avrebbe dovuto dire agli operatori della
CNN di tenersi alla larga. Jordan ha detto all'Ufficiale della NATO che
la perdita delle vite alla RTS sarebbe stata significativa e, dato il
breve preavviso, inevitabile. L'Ufficiale è riuscito a
convincere la NATO ad interrompere la missione (apparentemente)
mezz'ora prima che l'aereo raggiungesse il suo obiettivo. Jordan crede
che le successive minacce pubbliche della NATO contro gli organi di
propaganda della Serbia, siano state fatte per minimizzare le perdite
civili nel corso di un futuro attacco.[30]
Jhon Simpson, il quale era dislocato a Belgrado per la BBC durante la
guerra, faceva parte di quei corrispondenti stranieri che avevano
ricevuto avvertimenti dai loro quartieri generali ad evitare la RTS,
dopo l'attacco interrotto. Egli crede che è stato in risposta
alla diffusione di indiscrezioni circa l'attacco interrotto fra i
corrispondenti dei Media stranieri in Belgrado che la NATO ha
rilasciato le dichiarazioni sopra citate.[31]
Il Primo Ministro inglese, Tony Blair, ha biasimato gli ufficiali
Jugoslavi per non aver evacuato l'edificio: "Essi avrebbero potuto
trasferire queste persone fuori dall'edificio. Essi lo sapevano che era
un obiettivo e non lo hanno fatto. E io non so, ma ciò è
avvenuto probabilmente per - voi lo sapete - chiare ragioni di
propaganda. Non c'è possibilità, io credo che non
c'è modo di condurre una guerra in modo grazioso. E' odioso. E'
un affare odioso."[32]
Amnesty International non considera le dichiarazioni ufficiali contro i
media serbi, fatte dal Commodoro Wilby due settimane prima
dell'attacco, come un effettivo preavviso ai civili, specialmente alla
luce delle altre contraddittorie dichiarazioni fatte dagli ufficiali
della NATO e dai membri dell'Alleanza. Come rilevato sopra, i
giornalisti occidentali hanno riferito che essi erano stati avvertiti
dai loro referenti a stare alla larga dalla stazione televisiva prima
dell'attacco e sembra anche che qualche ufficiale jugoslavo potesse
ritenere che l'edificio stava per essere attaccato. Tuttavia non
c'è stato alcun preavviso della NATO che uno specifico attacco
sul Quartiere generale della Radio Televisione Serba era imminente. Gli
Ufficiali della NATO in Bruxelles hanno detto a Amnesty International
che essi non hanno dato uno specifico preavviso perché
ciò avrebbe comportato dei rischi per i piloti.
Alcuni resoconti di stampa hanno suggerito che la decisione di
bombardare la Radio Televisione Serba è stata presa dal governo
degli Stati Uniti, scavalcando le obiezioni degli altri membri della
NATO. Secondo lo scrittore Michael Igniatieff: "All'interno del comando
della NATO gli Alleati erano in disputa, con i legali britannici che
argomentavano che la Convenzione di Ginevra proibisce di attaccare i
giornalisti e le stazioni televisive e gli Stati Uniti che
argomentavano che i supposti "discorsi di odio" trasmessi dalla
stazione televisiva facevano venir meno la sua immunità
garantita dalle Convenzioni." A causa del disaccordo circa la
legittimità dell'obiettivo, gli Inglesi hanno rifiutato di
prendere parte al bombardamento della stazione televisiva serba.[33]
Altri hanno riferito di obiezioni francesi all'attacco. Human Rights
Watch ha riferito che l'attacco contro la RTS che stava per essere
compiuto il 12 aprile, fu rimandato a causa della "disapprovazione dei
francesi."[34]
Al meeting di Bruxelles un ufficiale della NATO ha detto a Amnesty
International che una Nazione ha giudicato che la RTS fosse un
legittimo obiettivo militare, senza specificare quale fosse la Nazione
in questione. Se questa affermazione è corretta, essa svuota di
significato pratico l'asserzione ufficiale della NATO che un obiettivo
reputato illegittimo da una Nazione, non sarebbe stato riassegnato ad
un altro Stato membro. Il caso della Radio Televisione Serba sembra
indicare che il modo della NATO di affrontare tali obiezioni fosse
quello di bombardare gli obiettivi controversi senza la partecipazione
dei membri che avevano sollevato obiezioni nei confronti di specifici
attacchi. Tuttavia se, di fatto, l'Inghilterra o altri paesi hanno
sollevato delle obiezioni e si sono astenuti dal partecipare a questo
attacco, essi non possono essere assolti dalla loro
responsabilità alla luce del diritto internazionale, come membri
di una Alleanza che intenzionalmente ha lanciato un attacco diretto
contro un obiettivo civile.
5.4 Un autobus civile e una ambulanza colpiti a Luzane: 1°maggio
(omissis)
5.5. Il mercato e l'Ospedale di Nis colpiti da bombe a grappolo: 7
maggio
(omissis)
5.6 L'ambasciata cinese in Belgrado: 8 maggio
(omissis)
5.7 Civili di etnia albanese bombardati a Koriša: 13 maggio
(omissis)
5.8 Il Ponte di Varvarin: 30 maggio.
(omissis)
5.9 L'attacco su Surdulica: 31 maggio
(omissis)
--------------------------------------------------------------------------------
[1] Lord Robertson, Segretario Generale della NATO, Kosovo un anno
dopo, risultati e sfide, marzo 2000
[2] Le fonti ufficiali Yugoslave non sono concordi sul numero dei morti
civili. Il Ministro degli esteri della FRY ha dichiarato nel suo
"bilancio provvisorio" redatto il 1° luglio 1999, che "numerose
migliaia" di persone erano state uccise, ma ha fatto menzione specifica
della morte di circa 600 civili. Ma lo stesso Ministero degli affari
esteri nel più dettagliato resoconto sui danni inflitti nel
corso della campagna, I Crimini della NATO in Yugoslavia (Libro
bianco), ha elencato circa 400 civili uccisi in più di 40
episodi di bombardamento. Sembra chiaro dal testo del Libro bianco che
esso non riporta una lista completa di tutti i civili uccisi nel corso
dei bombardamenti della NATO. Human Rights Watch, che ha visitato i
luoghi di molti bombardamenti stima che sono stati uccisi circa 500
civili in approssimativamente 90 episodi di bombardamento.
[3] Dichiarazione congiunta sul Kosovo dopo il Riesame dell'Azione del
Segretario di Stato della Difesa William S. Cohen e del generale Henry
H. Shelton , Presidente dello Stato Maggiore congiunto, innanzi alla
Commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti
[4] "Il conflitto dei Balcani ed il rispetto del diritto internazionale
umanitario" , dichiarazione del Comitato Internazionale della Croce
Rossa, 23 aprile 2000 (www.icrc.org/eng)
[5] "La NATO messa in guardia sui crimini di guerra, di Steve Bogan,
The Indipendent, 5 maggio 1999
[6] Volgarmente definito, danno collaterale è un danno non
intenzionale o accidentale che colpisce strutture, equipaggiamento o
personale come risultato di azioni militari dirette contro forze
militari o strutture nemiche assunte come obiettivi.
[7] Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC)
l'organizzazione principalmente responsabile per il monitoraggio e
l'osservanza del diritto internazionale umanitario, sono 156 gli Stati
che hanno aderito al 1 Protocollo al gennaio del 2000 (Si veda
htpp:/www.icrci.org/eng)
[8] Per esempio dopo il bombardamento della NATO di Koriša, il
Portavoce del Pentagono, Ken Bacon, ha detto: "E' possibile che la
metà o almeno un terzo delle persone che sono state uccise negli
attacchi della NATO siano state specificamente utilizzate da Milosevic
come scudi umani." Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, News
Briefing del 17 maggio 1999.
[9] "Combattimento morale: la NATO alla guerra " documentario trasmesso
dalla BBC il 12 marzo 2000. Sullo stesso programma televisivo il
generale Wesley Clark, Comandante Supremo Alleato in Europa (SACEUR),
ha smentito le allegazioni francesi circa una separata operazione
americana: " Ciò non è corretto… Io ho comandato tutte le
operazioni."
[10] Conferenza stampa di James Shea e del Maggiore Generale Walter
Jertz, Bruxelles 3 maggio 1999
[11] Conferenza stampa di James Shea e del Maggiore Generale Walter
Jertz, Bruxelles 27 maggio 1999
[12] James A. Kitfiel, "Another Look at the air war that was", Air
Force Magazine, Ottobre 1999.
[13] Conferenza stampa della NATO, 15 maggio 1999
[14] Nascondigli di morte nel terreno, di Jonathan Steele, The
Guardian, 14 marzo 2000
[15] Si veda per esempio, Uranio impoverito, un disastro del dopoguerra
per l'ambiente e per la salute., fondazione Laka maggio 1999. Per
rapporti sull'uso dell'uranio impoverito in Kosovo, si veda: "La
traccia di una pallottola" di Scott Peterson, the Cristian Scienze
Monitor, 5 ottobre 1999 e : "Esposta: la legalità mortale degli
attacchi della Nato nel Kosovo" di Robert Fisk, The Indipendent, 4
ottobre 1999.
[16] Si veda "A fighting chance", di Massimo Calabre e James L. Graff,
Time Magazine, 17 maggio 1999.
[17] "NATO appears to blunder along with eyes closet", Chris Stephen,
the Irish Times, 24 maggio 1999
[18] Conferenza stampa sulla pianificazione degli attacchi nel Kosovo
del Generale Wesley Clark, Comandante Supremo Alleato in Europa
(SACEUR) e del Brigadiere Generale Jhon Korley, Capo Missione del Team
di pianificazione del Kosovo, 16 settembre 1999.
[19] Robert Fisk, Serb army unascthed by NATO, The Indipendent, Londra,
21 giugno 1999.
[20] Rien ne s'est passé comme prévu, Vincent Jauvert, Le
Nouvel Observeur, 1 luglio 1999.
[21] Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, Kosovo, Operazione
Forza Alleata, Rapporto dopo l'Azione, sottoposto al Congresso il 31
gennaio 2000.
[22] "Combattimento morale: la NATO alla guerra " documentario
trasmesso dalla BBC il 12 marzo 2000
[23] Comitato Internazionale della Croce Rossa, Protocollo addizionale
del 8 giugno 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, pag.
2209
[24] Stefan Oeter, Metodi e mezzi di combattimento, in Manuale del
Diritto Umanitario nei Conflitti Armati
Dieter Fleck, Oxford University Press, 1995
[25] Dubbi circa la legittimità dell'attacco ad un obiettivo sul
terreno della propaganda, sono stati espressi, con specifico
riferimento all'attacco al Quartier generale della RTS da Gorge Aldrih,
capo della delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza diplomatica
che ha portato all'adozione del I Protocollo: "se gli studi della
televisione sono stati fatti oggetto di attacco esclusivamente
perché essi stavano trasmettendo propaganda alla popolazione
civile, persino se ciò includesse vistose menzogne circa il
conflitto armato, sarebbe una questione aperta se un simile uso
potrebbe essere considerato come un contributo effettivo all'azione
militare."
[26] Si veda, per esempio, Human Rights Watch, Le morti dei civili
durante la Campagna aerea della Nato, Febbraio 2000, pag. 26
[27]"Combattimento morale: la NATO alla guerra " documentario trasmesso
dalla BBC il 12 marzo 2000
[28] Conferenza stampa della NATO del 8 aprile 1999
[29] Conferenza stampa del Ministro della Difesa (francese) e del Capo
di Stato Maggiore delle Forze Armate, ( aprile.
[30] Comunicazione ad Amnesty International da parte di Eason Jordan,
Presidente della CNN international, 8 marzo 2000.
[31] Amnesty International intervista con Jhon Simpson, 31 luglio 2000
[32] "Combattimento morale: la NATO alla guerra " documentario
trasmesso dalla BBC il 12 marzo 2000
[33] Michael Igniatieff, Guerra Virtuale, Prospect, Aprile 2000
[34] Human Rights Watch, Le morti dei civili durante la Campagna aerea
della Nato, Febbraio 2000, pag. 26
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AMNESTY
· Il dossier che l'Aja non volle vedere
Effetti collaterali?
No, omicidi deliberati
di t. d. f. - Il Manifesto, 23
marzo 2009
A rilanciare le accuse per i crimini della Nato in Serbia e in Kosovo,
il 6 giugno del 2000 due giorni dopo l'assoluzione da parte del
Tribunale dell'Aja, arrivò un dossier di Amnesty international -
la stessa organizzazione che in questi giorni denuncia che sulle
centinaia di sequestri di civili, serbi e albanesi, ancora non è
stata fatta giustizia - con un'analisi dettagliata delle violazioni del
diritto umanitario internazionale da parte dell'Alleanza atlantica. Se
la possibilità che i leader della Nato venissero incriminati era
caduta perché per l'allora procuratore Carla Del Ponte c'era la
«difficoltà di acquisire prove certe delle violazioni dei
diritti umani», il
dossier di Amnesty, «Danni collaterali o omicidi illegali?»
), elencava proprio con precisione tutte le azioni di guerra che
avevano colpito la popolazione civile, serba e kosovara.
«Violati i principi umanitari»
«La Nato ha in più occasioni violato i principi umanitari
da applicare in ogni conflitto armato», sostiene Amnesty, che
accusa la Nato di «non aver rispettato le regole fondamentali
sancite nelle convenzioni di Ginevra del 1949», causando la morte
di numerosi civili. Tra le norme del diritto umanitario internazionale
vi è, infatti, la proibizione di qualsiasi attacco diretto
contro persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da
non distinguere gli obiettivi civili da quelli militari, e che, seppur
condotti contro obiettivi militari legittimi, comportano un impatto
sproporzionato sui civili. Molto spesso vennero utilizzate nei raid
aerei le micidiali cluster bom - bombe a frammentazione e il totale
delle vittime dirette degli effetti collaterali fu di circa 500 morti,
tra civili serbi e albanesi, con più di seimila feriti. Senza
considerare gli effetti sulla salute, sul medio-lungo periodo, dei
proiettili e dei missili all'uranio impoverito utilizzati: 31 mila sul
solo Kosovo e dai soli A-10 americani, come confermò, su
richiesta italiana, l'allora segretario della Nato George Robertson in
una lettera del febbraio 2000 all'allora segretario dell'Onu Kofi
Annan. Ma il numero è probabilmente molto più alto
perché la risposta della Nato parlava solo dei bombardamenti
americani. E poi ci furono i bombardamenti mirati su industrie chimiche
e raffinerie, come dimostra il rapporto dell'Unep (la task force Onu
per i Balcani), che ha individuato quattro aree rimaste particolarmente
a rischio in questi dieci anni, tra cui Pancevo, Novi Sad e Kragujevac.
Tanto che in molti, come l'intellettuale tedesco Knut Krusewitz, hanno
ipotizzato una vera e propria «guerra ecologica», vale a
dire bombardamenti premeditati per ottenere gli stessi effetti che si
sarebbero realizzati utilizzando armi chimiche vietate dalle
convenzioni internazionali. Il rapporto di Amnesty international
è basato sulla raccolta di testimonianze e sull'analisi
dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della Nato, nonché di
materiale di fonte indipendente. Il 14 febbraio del 2000 una
delegazione dell'associazione aveva incontrato i vertici della Nato.
Che, lo ricordiamo, si sono sistematicamente rifiutati (come ha ammesso
anche il Tribunale dell'Aja) di fornire dati e mappe precise relative
ai bombardamenti, se si fa eccezione per quelle relative all'uranio
impoverito sganciato in Kosovo, arrivate con dieci mesi di ritardo e
solo dopo le bacchettate dell'Onu. A un anno esatto dalla conclusione
della guerra, non si sapeva ancora niente, ad esempio, su ciò
che è stato sganciato sulla Serbia, o sulle cluster bomb
nell'Adriatico. Anzi, spesso la regola è stata quella di
depistare, come testimoniò l'episodio del video
«accelerato» mostrato ai giornalisti dallo stesso generale
Wesley Clark e relativo all'«effetto collaterale» sul treno
di civili, colpito mentre attraversava il ponte di Grdelica il 12
aprile '99 (i morti furono dodici).
«Un crimine la tv target»
Il rapporto di Amnesty analizza tutti gli obiettivi civili colpiti,
compreso il bombardamento della tv jugoslava a Belgrado del 23 aprile,
considerato «un crimine di guerra», perché
«uno strumento di propaganda non può essere considerato un
obiettivo militare». Per Amnesty l'attacco è stato
«sproporzionato», avendo causato la morte di 16 civili, con
l'unico risultato di interrompere le trasmissioni per più di tre
ore (e le vittime non vennero inserite nel rapporto annuale di
Reporters sans frontieres sui giornalisti vittime di guerra). E poi
l'attacco missilistico contro il ponte Varvarin, il 30 maggio, che
uccise undici civili, senza che la Nato sospendesse l'azione pur
essendo evidente il rischio di colpire persone innocenti. In altre due
azioni, prosegue il dossier, il 14 aprile a Djakovica contro una
colonna di profughi kosovaro-albanesi e il 13 maggio contro il
villaggio di Korisa, dove ancora una volta furono colpiti civili
albanesi (120 morti nei due attacchi) la Nato secondo Amnesty non
avrebbe adottato le necessarie precauzioni per minimizzare i danni ai
civili. O ancora, l'attacco all'ospedale di Surdulica, il 31 maggio, 16
morti. Un altro capitolo del dossier è dedicato al bombardamento
dell'8 maggio all'ambasciata cinese di Belgrado che, oltre a uccidere
tre persone e mandarne all'ospedale venti, rischiò di provocare
una crisi internazionale con la Cina. Il giorno prima, cluster bomb
lanciate sulla città di Nis avevano distrutto l'ospedale e
diverse abitazioni (14 morti e 30 feriti). A ritroso, troviamo un
autobus pieno di civili distrutto il 1 maggio a Luzhane, 20 km a nord
di Pristina (40 morti tra civili e militari). Saranno bombardate anche
le ambulanze intervenute sul posto per i soccorsi, accusa il rapporto
di Amnesty. E la Croce rossa internazionale dichiarava il 23 maggio
1999: «Nella prima settimana di bombardamenti, il numero di
obiettivi civili colpiti in realtà è apparso basso. Ma
quando la campagna aerea si è intensificata, è cresciuto
il numero delle vittime civili serbe e dei danni a obiettivi
civili». Salirà mai qualcuno sul banco degli accusati di
un tribunale internazionale per questi «effetti
collaterali»?
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