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Lipej
KOLENIK
intervista di Angelo
Floramo
apparsa su Paginazero
(letterature di
confine) all'inizio del 2006.
Scheda
sull'autore
Lipej
Kolenik è nato a
Šmarjeti pri Pliberku nel 1925. Vive a
Schilterndorf
/Cirkovce,
un piccolo villaggio della minoranza
slovena
in
Carinzia. Nel 1943 fu
costretto ad arruolarsi nei ranghi
dell'esercito
tedesco, e
mandato in Italia. Partecipò alle
battaglie
di
Montecassino e dopo
essere rimasto ferito disertò ed entrò a
far
parte
della Resistenza,
combattendo assieme alle bande
partigiane che
operavano
in Carinzia,
coordinandosi con il movimento di
liberazione
sloveno.
Alla fine della
guerra, durante l'occupazione militare
inglese
(1945-1955), subì
nuove angherie e discriminazioni a
motivo
della sua
militanza
partigiana. Per l'atteggiamento di
diffidenza e di
aperta
ostilità
dimostratogli dalle autorità rimase
disoccupato fino
al 1954.
La casa Editrice
Drava di Klagenfurt ha creduto in lui,
pubblicandogli
nel 1988
l'intenso libro di memorie relative agli
anni
della
guerra: "Mali ljudje
na veliki poti", che ormai è già giunto
alla
terza edizione, con
una traduzione in lingua tedesca, e il
più
recente
(2004): "Po zmagi
- zatiranje in zapori. Spomini na
angleško
zasedbeno
oblast 1945-1955
Slowenisch", che invece si riferisce
agli
anni
difficili
dell'amministrazione militare inglese
della Carinzia.
Uomo di
grande cultura e
di rara sensibilità è tra gli
organizzatori
dell'importante
cerimonia
che ogni anno, il 17 luglio, riunisce
sul
monte
Kömmel/Komelj i
reduci partigiani che si opposero al
nazismo. In
quell'occasione
vengono
ricordate le vittime di una delle più
feroci
repressioni
avvenute in
Carinzia per mano fascista praticamente
a
guerra
già conclusa.
Piove.
Sono gocce fitte,
pesanti, fredde, che appannano i vetri
della
macchina.
Anche se luglio
è appena iniziato qui sembra già
autunno. La
strada
insegue la Drava,
tradendola a tratti per lasciarsi
inghiottire
dalle
macchie verdi dei
tigli, che hanno foglie brillanti come
ramarri.
Sono già le due
del pomeriggio ma pare che il fiume non
si
voglia
ancora svegliare
dal torpore della notte. Forse per
questo
lascia
che il buio
ristagni in pozze di ombra nelle fosse
che
delimitano
il suo letto.
C'è bruma dappertutto. E' Carinzia, ma
ovunque
ti giri è la
Slovenia che vedi: nei tetti dei
villaggi, nel
modo di
costruire le
case, per come si raccoglie il fieno sui
graticci
di
legno. E' terra di
confine. Bilingue. Tutto fluttua
dall'asprezza
germanica
alla rotondità
slava: Bleiburg, Edling, Neuhaus,
Rinkenberg
diventano
più dolci anche
sul percorso della mappa: Pliberk,
Kazaze,
Suha,
Vogrče.
Vale per i nomi dei luoghi come per le
donne. Hanno
occhi
che sanno già
d'oriente, direbbe Paolo Rumiz. Segui la
Drava e
sconfini
senza
accorgertene. E ti viene da pensare che
un confine
attraversato
dal corso di
un fiume non è un vero confine. Non lo è
per
la
geografia. Non
dovrebbe esserlo nemmeno per gli uomini.
Oltre è
tutta
pianura: il
Kobansko Pohorje, dolce di campi ben
coltivati e
vigneti.
Se la mente ne
insegue i profumi arrivi a Maribor in un
sorso.
Ed è già odore di
Ungheria. La magia di queste terre ! Qui
realizzi
che il cuore
dell'Europa è per forza meticcio,
ibridato di
innesti.
Ricchissimo di
suggestioni, salvato dalle minoranze che
si
incuneano
dentro i
nazionalismi, come i dubbi minano i
dogmi e le
certezze.
Mi guardo
attorno e capisco che ha proprio ragione
Peter
Handke
quando parla
dell'amore che l'uomo slavo nutre per la
terra in
cui è
nato. Un amore che
sa diventare nostalgia o rabbia, furore
o
canto.
La guerra
partigiana, in queste contrade, è stata
anche un atto
d'amore
per ogni vallata,
ogni villaggio, ogni cresta alpina.
Questo
dice
Handke che è nato a
Griffen, sull'altra riva del fiume. Lo
ricordiamo
mentre
lasciamo il suo villaggio stampigliato
per qualche
secondo
nello specchietto
retrovisore, proseguendo in direzione
Bleiburg/
Pliberk. Non
viaggio da solo. Mi accompagna Sara. E'
una
giovane
donna windisch
della Valcanale, nata e cresciuta in una
terra
in cui
ci si parla in un
miscuglio di "theutsch e crainerisch":
un
ibrido
musicale di
tedesco- carinziano e sloveno, un
dialetto che
fonde in
sé l'anima
stessa del confine, trasformando in
musica le sue
apparenti
dissonanze. Ora
sta completando un dottorato di ricerca
all'università
di
Klagenfurt. Da studentessa ha seguito le
lezioni di
Hans
Kitzmüller a Udine.
Un corso monografico su Handke. Tanto
denso
da fare
invidia. Da
rimpiangere di non averlo frequentato.
Mi è
sembrata
da subito la
guida ideale per questo mio
"attraversamento" di
terre,
memorie e
suggestioni alla ricerca di Lipej
Kolenik, nome di
battaglia
"Stanko",
partigiano e scrittore, uomo da sempre
impegnato a
rivendicare
la libertà
come valore supremo di ogni essere
umano.
"Soprattutto
una persona
gentile". Così lo definisce Helga
Mracnikar,
della
casa editrice
Drava, di Klagenfurt, che ha pubblicato
tutti i
suoi
libri, agevolandoci
il contatto, con rara cortesia e
preziosa
disponibilità.
Kolenik
venne arruolato, in quanto carinziano,
nelle
fila
della Wehrmacht. Era
il 1943. L'anno terribile. Dovette
indossare
l'uniforme
di quel popolo
che stava schiacciando la libertà delle
sue
genti. E
di infinite
altre ancora. Combatté a Montecassino.
Poi decise
di
disertare. Scelse la
lotta partigiana. I morti non sono tutti
uguali.
Cirkovce è un
villaggio raccolto nell'abbraccio di
poche case;
in
tedesco lo chiami
Schilterndorf , ma il risultato, per
quanto forte
lo
chiami, non cambia:
quasi si nasconde agli occhi dei
forestieri. Se
ti
sfugge l'imboccatura
della strada puoi ripetere il tragitto
diverse
volte,
da Pliberk ad
Aich, prima di trovare la direzione
giusta. A noi
è
capitato. Piove e non
c'è nessuno per strada. Nessuno a cui
chiedere
informazioni.
Ma una
macchina di targa italiana che viaggia a
rallentatore
bordeggiando
orti, recinti per animali e silos per i
cereali
a lungo andare
desta curiosità, se non proprio
sospetti.
Finalmente
qualcuno esce
da un ricovero per gli attrezzi: "Chi?
Kolenik
lo scrittore?
L'altra casa, quella dietro la stalla".
Ci sta
aspettando.
E siamo
incredibilmente puntuali. Lipej. In
sloveno Lipa è
il
tiglio. L'uomo che ci
sta davanti, a suo modo, è proprio un
tiglio
sloveno.
Lo è davvero,
nella mia immaginazione. Un tiglio
enorme,
dalle
profonde radici,
con un tronco solcato dagli anni. Ma la
stretta
di mano
è generosa,
sicura. Un sorriso che non diresti da
guerriero,
ma da
uomo di pace. La
casa è ospitale, coccolata dalla
penombra. Il
tavolo
della cucina
ricoperto di riviste, album di vecchie
foto color
seppia,
libri glossati,
appuntati, sottolineati. Sono aperti o
impilati
un po' ovunque.
E alle pareti rimbalzano memorie.
Attestati.
Riconoscimenti.
Non
esibiti. Tuttaltro. Lipej Kolenik è uno
Sloveno di
confine.
Uno Sloveno di
Carinzia. Una terra in cui i fremiti
nazionalistici
sono molto
forti. E il signor Haider, il
governatore,
non
aiuta certo il
dialogo con le minoranze: " Quello? Oh,
quello è un
nazista!".
Scuote il
capo, il partigiano Stanko. Mi chiedo
quanto sia
difficile
essere sloveni
oggi a Cirkovce, che anno dopo anno,
generazione
dopo
generazione diventa sempre più
Schilterndorf. Quando
siamo
scesi al bar sulla
strada, poco prima di arrivare in paese,
alle
nostre
domande in sloveno
hanno preferito risponderci in tedesco:
abbiamo
chiesto se
avessero qualcosa da mangiare"
Oprostite, imate ze
jesti?"
e ci hanno
risposto con un certo imbarazzo, quello
di chi
vuole
tagliare corto:
"Nixt ferstien". Già. Incomprensibile.
Davvero !
Cosa ha
significato per
lei appartenere a una minoranza? E'
difficile
essere
sloveno? E
soprattutto lo è stato in passato (penso
in
particolare
all'epoca
nazista, alle camicie brune, alla lunga
notte
del
Reich) ?
Molte cose sono cambiate, nel corso degli
anni. Innanzi tutto la
maggioranza: non lo siamo più, nella
nostra terra. Ora apparteniamo a
una minoranza. Che si è sempre più ridotta
a partire dagli anni '70.
Il Reich nazista, le persecuzioni, gli
arresti, le deportazioni, e poi
la Resistenza: prenda il nostro villaggio,
ad esempio. Un centinaio di
case. In passato solo in quattro famiglie
parlavano in tedesco. Oggi
chi parla in sloveno si è ridotto a
neanche la metà. La scuola qui non
fa nulla per la tutela della lingua. Poi è
inutile che la si insegni
come una materia fra le altre. Se non la
parli più nemmeno a casa tua,
è finita. I ragazzi migliori se ne vanno.
Attratti da città più
grandi. Luoghi lontani, diversi dalla
terra in cui sono nati. Nel
periodo nazista era vietato parlare in
sloveno. Ovviamente anche a
scuola. I libri. Hanno bruciato i libri.
Ci si doveva esprimere in
tedesco. Noi il tedesco non lo conoscevamo
affatto. Lo abbiamo
imparato quel tanto che bastava per
seguire le lezioni. Tra di noi
parlavamo sempre in sloveno.
C'era un
Kulturni Dom qui?
No, non un vero Kulturni Dom... direi
piuttosto un'osteria. Il
proprietario ci aveva messo a disposizione
una sala in cui ci
incontravamo. Avevamo messo assieme una
piccola biblioteca di libri in
sloveno. Potevamo leggere, giocare,
studiare. Ma no, non c'era
ovviamente un Kulturni Dom, come
quello odierno.
Ma questa
chiusura nei
confronti degli sloveni esisteva anche
prima
dell'Anschluss?
Già prima, già prima. C'era
un'associazione di studenti – esiste
ancora oggi – organizzati militarmente.
Veniva detta Purschenschaft.
Avevano il compito di "germanizzare queste
terre". L'acquisto di
proprietà per cittadini di nazionalità
tedesca era facilitato in
queste zone. Hanno iniziato con le
buone... poi hanno adottato altri
sistemi. Vorrei aggiungere che la Chiesa
ha appoggiato questa
trasformazione, agevolando in tutto
l'ascesa di Hitler al potere.
Certo, c'è da dire che nel '43 alcuni
preti carinziani hanno sostenuto
la guerra partigiana, ma la maggioranza di
loro non faceva più di
tanto. Il Vescovo invece, quello sì era
molto attivo: quando nel 1938
è arrivato Hitler ci trovavamo in chiesa.
E ci è stato chiesto di
uscire e di seguire il corteo. Una vera
azione di propaganda.
C'è una
grande similarità fra
lei
e Boris Pahor, lo scrittore
sloveno
triestino
che ha
raccontato la sua vita e quella della
sua comunità
negli
anni difficili della
guerra, e anche prima, durante il
ventennio
fascista,
in cui ogni
diritto veniva negato alla minoranza
slovena, a
ogni
minoranza... e poi la
sua esperienza partigiana... entrambi
avete
toccato,
ciascuno a suo
modo, gli stessi temi, attraversando
percorsi
di vita
davvero molto
vicini. Vi conoscete personalmente? Ha
letto
qualcosa
di Pahor ? Cosa
vi lega... cosa vi diversifica ?
Certo. Ho letto i libri di Pahor ! Ma le
problematiche degli sloveni
in Italia sono molto diverse dalle nostre,
qui. Voi eravate meglio
organizzati, come posso dire, vi siete
svegliati prima, forse perché
il Fascismo lo avete conosciuto già alla
fine della prima Guerra
Mondiale. La Primorska (comunità degli
sloveni "del litorale", dunque
oggi in Italia, ndCNJ) ha quindi
conosciuto e combattuto il Fascismo
molto prima di noi.
Lo
conosce personalmente,
Boris Pahor ?
Gli sono stato vicino una volta, durante
una conferenza. Ma non ho mai
avuto l'occasione di scambiare qualche
parola con lui.
E'
interessante che
entrambi abbiano avuto esperienze come
sloveni di
minoranza,
prima
nella lotta di opposizione al Nazismo ed
al Fascismo
e poi
nella letteratura !
Ognuno di noi prende le mosse dalle
esperienze che vive in prima
persona. La Storia esiste solo per come
noi la sappiamo narrare. Per
questo ho iniziato a pensare che se non
avessi scritto le mie
esperienze quella storia sarebbe stata
presto dimenticata. Così alla
sera mi capitava di pensare a fatti e
momenti della mia vita che
valesse la pena di raccontare. Chiedevo
consigli, pareri, opinioni a
chi mi era vicino. Ho letto molto, ho
compiuto ricerche personali.
Alla fine di questo lungo percorso sono
giunto alla pubblicazione. A
quanto pare è stata una buona idea: il mio
libro è ormai giunto alla
terza edizione. Pensi che lo hanno anche
pubblicato in tedesco! Chi lo
ha letto lo ha apprezzato.
"Mali
ljudje na veliki
poti": piccola gente lungo un grande
cammino...
un libro
intenso, che ha
suscitato notevole interesse nei lettori
e
nella
critica. E non da
ultima anche una recensione entusiastica
da
parte di
Peter Handke. C'è
una famiglia di contadini sloveni, a
Šmarjeta...
la guerra,
combattuta dal protagonista in terra
straniera
indossando
la divisa
tedesca, a Montecassino: la divisa di un
regime
che in
qualche modo ha
sempre soffocato le minoranze, compresa
la sua;
e poi la
diserzione (o
meglio la scelta coraggiosa della
verità), la
decisione
di aderire alla
Resistenza... e ancora tutto l'amore che
uno
sloveno
prova per la sua
terra, i fiumi, l'Alpe, i villaggi...
Temi
importanti...
a lei molto
cari, vicini alla sua biografia... Come
si
intrecciano
nella sua
narrativa ? Nella sua vita ?
La mia esperienza di vita d'allora... beh,
da una parte c'era il
Nazismo, dall'altra la Resistenza. Il
Nazismo con i suoi
saccheggiatori, i suoi predoni, gli
stupratori. Sul fronte opposto i
partigiani. Mi attraeva il mondo della
Resistenza, fin da quando avevo
quindici, sedici anni. Avevo contatti con
quel mondo fin da allora.
Ben prima di iniziare la lotta al loro
fianco. Prima di essere
costretto ad arruolarmi nell'esercito
tedesco. Ma non avevo ancora
l'età giusta. Nel 1942 si sono fatti vivi
loro. Li abbiamo seguiti in
molti. Nell'estate del '42 ero un soldato.
Mi ossessionava il pensiero
di mia madre. Pensavo a quanta paura
avesse per me. Per quello che
avrebbe potuto capitarmi. Cosa mi
avrebbero fatto, dove mi avrebbero
rinchiuso. Mia madre mi faceva pena. Fu
solo l'inizio di una specie di
via crucis. Non è stato per nulla facile.
Nel cuore ero antifascista,
mi sentivo vicino ai partigiani. Ma ero
costretto a indossare proprio
l'uniforme dei nazisti. Una ribellione che
bruciava dentro di me.
Voglio aggiungere che i partigiani qui
dovevano cavarsela da soli,
arrangiarsi. Non eravamo organizzati come
voi, nella Primorska o in
Slovenia. Ci aiutavamo a vicenda. Ma non
c'era nulla che assomigliasse
nemmeno da vicino all'azione di propaganda
dell'Osvobodilne Fronte
(Fronte della Liberazione, n.d.r.), che
fosse in grado di organizzare
nuove leve per la Resistenza.
Qual è
stato il valore
della guerra partigiana in questa terra
di
frontiera
? Sappiamo molto
poco noi italiani dei movimenti
resistenziali
in Germania
(perché tale era l'Austria dopo
l'Anschluss
nel
1938). Cos'ha
significato per la sua generazione ? Per
lei in
particolare,
sloveno e
combattente... intendo dire: cosa l'ha
motivata
profondamente
a scegliere
di diventare un partigiano?
Per me è stato un vero e proprio terremoto
interiore. Quando hanno
cominciato a deportare le intere famiglie,
ad arrestare la gente...
allora abbiamo capito che non potevamo più
attendere. Ci saremmo
opposti. Non era più possibile rimanere
agli ordini di Hitler. A casa
nostra poi deportavano le persone per
metterle nei campi di
concentramento. E' così che è nata la
nostra Resistenza. E quelli che
hanno appoggiato le bande partigiane sono
stati sempre più numerosi.
Era un modo per salvare la nostra terra.
Conoscevamo quella gente fin
dal 1934, fin dai tempi dell'
Hitlerputsch. Nel '38 erano sempre loro,
sempre gli stessi fascisti. Loro prima,
loro dopo.
Dunque è
stata una presa
di coscienza matura, una scelta
ragionata la
vostra?
Che dire... ho potuto raccogliere tante
testimonianze negli anni. La
vita ci insegna. La vita è la nostra
scuola. Il Fascismo si svelava
poco alla volta. Ma era possibile capire
subito cosa volesse fare
della gente. Avrebbe liquidato tutte
quelle persone che non gli
andavano a genio, attraverso uccisioni di
massa, arresti... è così che
ha preso forza. Devo dire che alla fine
della guerra l'80% della
popolazione dei villaggi, qui, era a
favore di un'annessione alla
Jugoslavia. Non credevano che l'Austria ci
avrebbe mai potuto dare
altro da quello che ci aveva da sempre
elargito: solo promesse e
oppressione.
Ma cosa
ha comportato per
lei, così giovane, una scelta tanto
radicale?
Per prima cosa è stato necessario trovare
molto coraggio. E poi una
forte dose di autoconvincimento. Quelli
che come me hanno subito
l'oppressione nazista, per quanto ancora
molto giovani e privi di
esperienza, si sono lasciati guidare dalle
loro coscienze. Ho pensato
a lungo cosa, in questi anni, sia stato
maggiormente motivo di
angoscia, per tutti noi. Eravamo
considerati dei traditori, quando
abbiamo risposto a Hitler "un fico secco",
mettendoci di fatto contro
di lui. Anche la Chiesa ci ha considerato
dei traditori, perché
stavamo dalla parte dei "banditi sloveni".
Ancora oggi in molti ci
chiamano venduti, traditori dell'Austria.
Poco tempo fa, da Vienna, mi
ha chiamato Portisch, quello che sta
scrivendo la storia dell'Austria.
Mi ha chiesto perché mai avessimo deciso
di combattere sotto la
bandiera di Tito. Gli ho risposto: "Mi
dica il nome di un solo
austriaco che in quegli anni sarebbe stato
disposto a guidare la lotta
di liberazione contro il Nazismo!". In
pochi altri luoghi, come da
noi, si sono raccolti dopo la guerra
nazisti fuggitivi provenienti da
molte altre nazioni. Sono stati momenti
drammatici, di grande
tensione. Avevamo tutti contro qui: gli
Ustaša, i Belagardisti, i
Fascisti... tutti contro di noi. Crede che
ora sia cambiato qualcosa?
Non c'è mai stata dopo la guerra una vera
e propria
denazistificazione. Non hanno trovato
nessun altro da mettere al loro
posto. Così si sono semplicemente cambiati
i berretti. Ma le persone
sono rimaste sempre le stesse. E così i
loro cervelli. Io non ho mai
avuto una pensione per la mia scelta di
libertà. Ma i camerati che
hanno assediato Stalingrado... beh, quelli
sì, e anche qualche
menzione ufficiale!
Sono
passati 60 anni da
allora... come vengono vissuti oggi quei
fatti? In
un momento in
cui pericolosamente il revisionismo
storico
(penso
alle tesi dello
storico tedesco Ernst Nolte o
dell'italiano
Renzo De
Felice) porta a
riconsiderare gli eventi, a
relativizzare il
valore
delle scelte di
allora, ad insinuare che a diciotto anni
una
scelta
non può essere
consapevole (e quindi in fondo i giovani
che
combattevano
per i
partigiani o per le SS erano uguali,
travolti tutti
dalla
tragedia della
storia)?
Posso dire che oggi guardo con molta
preoccupazione allo sviluppo
degli eventi. A sessant'anni di distanza.
Sembra che la gente stia
dormendo. Pensi che hanno eretto un
monumento agli Ustaša, a
conclusione della guerra. Lo hanno eretto
a Lobuški Polje. Arrivano
qui ogni anno da tutte le nazioni quei
fuggitivi, quegli assassini, i
macellai di Hitler, per onorarlo. Abbiamo
protestato, ma non è servito
a niente. Il monumento è sempre lì. Le
autorità dicono che ci
penseranno, ma intanto non prendono
provvedimenti. Così ogni anno,
quindicimila, ventimila persone si danno
appuntamento sotto quel
monumento. Indossano divise, sventolano
bandiere, come ai tempi di
Hitler. E i nostri restano a guardare.
Sono convinto che se ci
andassimo noi, lì, con le nostre
bandiere... ci arresterebbero subito.
Noi quel periodo lo abbiamo vissuto. Ci
siamo dovuti unire in bande. E
abbiamo contribuito a sconfiggere il
Nazifascismo. Per noi, per tutti
coloro che si sono ribellati, l'8 maggio è
la festa più grande della
Storia. In quel giorno è stato sconfitto
il Nazifascismo. L'Austria
non lo celebra volentieri. Ricorda con
dispiacere questa ricorrenza.
In fin dei conti ha perso. Qui sentono
molto di più le celebrazioni di
ottobre. Ma in realtà non hanno una festa
vera e propria. Credono di
essere ancora al comando, come ai tempi di
Hitler.
E' dunque
così forte il
senso di opposizione alla guerra
partigiana qui?
E' ancora molto forte. E ogni anno si
rinnova. L'anno scorso hanno
diffuso la notizia che alla fine della
guerra sono stati uccisi per
rappresaglia 40.000 Ustaša. Ma non è
vero. E' una notizia falsa.
Diffusa dall'America ha fatto in breve il
giro del mondo. Secondo
questa versione sono stati i partigiani a
macchiarsi degli orrori.
Sappia che qui in Carinzia ci sono 53
cimiteri partigiani. Ma mai
nessuna autorità vi ha deposto
ufficialmente una corona di fiori. Ce
ne occupiamo noi privati.
Il 17
luglio del 1945 sul
monte Kömmel/Komelj i nazisti, a guerra
ormai
finita, trucidarono
numerosi civili accusati di essere
partigiani.
Oggi quella
ricorrenza è diventata un appuntamento
civile,
di grande
urgenza e
dignità, celebrato puntualmente ogni
anno. Il
valore
della memoria si
fonda sempre nella sottolineatura della
libertà.
E in questo
interviene anche la letteratura, intesa
come voce
di quella
memoria, arte
che nobilita quell'impegno. Ce ne vuole
parlare?
E' una data importante. Per non
dimenticare. Noi che abbiamo vissuto
quella tragedia abbiamo il dovere morale
di avvertire gli altri.
Quando l'incendio è divampato è ormai
troppo tardi. Non possiamo
dimenticare tutti quei milioni di vittime.
È nostro dovere fare in
modo che i giovani non ne perdano la
memoria. Solo rimanendo sempre di
sentinella potremo evitare di essere
sorpresi per la seconda volta. Da
ogni regione in cui i partigiani hanno
combattuto i reduci verranno
qu, sul monte Komelj. Lo scorso anno c'era
anche Peter Handke. Lo
ammiro molto perché è una persona semplice
innanzi tutto. E poi per il
modo in cui esprime le sue idee: non gli
interessa se quello che
scrive può dare fastidio a qualcuno.
Spesso mi viene a trovare, come
fosse uno qualsiasi dei miei amici. È
stato lui a fare in modo che il
mio libro venisse tradotto. Lo riteneva
importante perché questa
storia non fosse dimenticata.
Nel 1943
lei aveva 18
anni... E' stato capace di scegliere.
Pensi ai
diciottenni
di adesso.
Come vivono oggi i giovani della
minoranza
slovena
di Carinzia ? Le
nuove generazioni... Come le vede
davanti
alle
scelte che l'Europa e
il mondo inevitabilmente imporranno loro
di
fare ?
Questa è una domanda difficile. La vita
oggi è molto diversa da quella
di allora. Oggi la gente è viziata, ha un
lavoro, ha di che mangiare.
Cose che non si potevano certo dare per
scontato in quegli anni. Per
questo il Fascismo ha potuto diffondersi
velocemente. Accade sempre
quando non c'è il pane... E poi perché mai
oggi dovrebbero fare una
scelta ? A loro non interessa affatto che
il nuovo padrone sia russo o
che sia Hitler o che sia americano. Quello
che conta sono i soldi. E
una vita tranquilla.
Esistono
dei contatti con
la Slovenia ? Vi sentite aiutati in
qualche
modo?
Nei confronti della Slovenia nutro una
speciale forma di delusione.
Quella non è la terra per la quale ci
siamo battuti. Hanno distrutto
la Jugoslavia, che era modello per
l'Europa Unita. Uno stato forte che
aveva un certo prestigio a livello
internazionale. Capace di rimanere
neutrale e libero dalle politiche dei due
blocchi. Oggi sono tutti
divisi, ognuno per conto suo. Non so
davvero cosa accadrà. Adesso la
Slovenia è già nell'Unione Europea, tra
poco entrerà anche la Croazia,
poi sarà certamente la volta dei Serbi.
Quindi tutto tornerà proprio
uguale a prima; ma ci sono dovute essere
tante vittime... Questo è ciò
che più spaventa le minoranze. L'Unione
europea. Chi non saprà nuotare
in un mare così grande... sarà condannato
a sparire per sempre. Gli
aiuti dice? Non ne vediamo, né finanziari
né politici.
La
scrittura... lei ne ha
fatta una ragione di vita. Perché
scrivere?
Per
l'urgenza di non
perdere la memoria, forse?
Allora: la tradizione orale dura a lungo.
Ma se scrivi qualcosa, dura
per sempre. Resta! Pensi al plebiscito del
1918. Quanto materiale è
stato raccolto su come abbiano
tiranneggiato la gente comune, su come
gli Sloveni siano stati derubati,
arrestati? Nessuno ha mai
scritto
niente di queste cose. Se solo ci fosse
stato uno storico... No, a
dire il vero forse no; perché gli storici
scrivono più volentieri
quando oramai non ci sono più superstiti o
testimoni vivi. Alle volte
hai quest'impressione. Sai, negli anni
vieni a sapere cose che prima
non conoscevi... Festeggiando i
sessant'anni dalla fine della guerra,
a Poljane hanno pubblicato un libro, in
cui si parla dell'ordine dato
da Tito e Kardelj a Majnik di ritirarsi
dalla Carinzia. Invece nel `49
ci spronarono alla lotta per l'annessione.
Che senso ha tutto questo?
Noi per averci creduto siamo stati anche
rinchiusi, abbiamo subito le
perquisizioni in casa, siamo stati
etichettati come Titocomunisti, un
marchio che ci rimane appiccicato addosso
ancora oggi. È meglio dire
la verità anche se la strada della verità
è sempre più lunga e più
difficile.
In Italia
è molto
difficile promuovere la diffusione di
testi che
provengono
dal mondo
sloveno. Lo stesso Boris Pahor ha
incontrato
molta
difficoltà a
pubblicare presso un editore italiano.
Accade lo
stesso
anche in
Austria? E quali sono, se ci sono,
le possibilità di
vedere
finalmente tradotta
la sua opera anche in lingua italiana?
Penso che sia una soprattutto questione di
soldi. Poi bisogna trovare
qualcuno che crede in quello che stai
facendo. A me è successo proprio
con Handke, che mi ha aiutato, e molto:
perché se una persona come lui
parla bene di un libro, è già un buon
inizio. Così è stata stampata
una prima edizione di "Mali ljudje na
veliki poti". Per la seconda
c'erano ancora dei dubbi, non sapevamo se
l'opera avrebbe potuto
destare ancora qualche interesse, così ho
dovuto aggiungere io dei
soldi. Ma poi il libro è stato pubblicato
addirittura per la terza
volta. E' inutile, bisogna fare un po' di
pubblicità, vendere il pane
finche è caldo... Il libro che uscirà a
novembre si occupa invece
della vita in Carinzia durante
l'occupazione Inglese, tra il '45 e il
'55: quanti arresti, quante perquisizioni
! Non ho niente contro gli
inglesi, ma devo dire che qui da noi si
sono comportati esattamente
come nelle loro colonie, ne possedevano
molte, in mezzo mondo e le
hanno sfruttate... A Bleiburg c'era un
poliziotto che indossava la
divisa inglese. Era tedesco ed ebreo, e si
accaniva contro i
partigiani...
Speriamo
che la
letteratura possa aiutare la lotta
contro le guerre...
Si, ma non sarà di nessun aiuto, se i
libri verranno stampati e poi
stivati nei magazzini in pile alte fino ai
soffitti. Il loro posto è
qui... devono andare tra la gente...
Kolenik
scompare per un
attimo dalla nostra vista, per rientrare
da
una
porta, alle nostre
spalle, silenzioso come un partigiano.
Ha per
le mani
un vassoio di
dolcissimi kolaci: "Sono buoni. Li ha
fatti mia
figlia!".
Una nipotina
ogni tanto occhieggia dalla cucina. E'
curiosa,
ma
troppo timida per
fraternizzare. Basta guardarla negli
occhi per
capire
chi è suo nonno.
"Parla lo sloveno?" chiedo temendo una
delusione.
"E cos'altro?
E' la nostra lingua". La risposta mi
riconcilia
anche con la
pioggia.
(a cura
di Angelo Floramo)
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