Miroslav
Krleža, da giovane, si apprestava
alla carriera
militare. Nel 1912, prima
dello scoppio
della I Guerra Balcanica che contrappose la
Serbia e la Turchia,
egli si presentò a Belgrado, come volontario.
Tuttavia, fu obbligato
poi a trascorrere parte della I Guerra Mondiale
nelle file
dell'esercito Austro-Ungarico, come tanti.
Negli anni 1917-18 lavorò molto, pubblicando molto;
militò
attivamente per la futura unione di Jugoslavia
(famoso il suo
testo "Pijana novembarska noc' "- "La notte
sbronza di un
novembre"). Negli anni '20
visitò l'URSS e
pubblicò dei lavori su quel paese.
Il suo profilo politico fu complesso:
nazionalista
croato, filojugoslavo, comunista. Gli
piaceva l'idea di una
Croazia repubblica dentro la Jugoslavia, ma
questo
non era possibile sotto la monarchia. Negli
anni '20 e '30 in
Croazia era frequente che i comunisti fossero anche
nazionalisti
croati, viste le delusioni con la
monarchia. Intorno
al 1932, questi nazionalismi si separarono in
uno di destra ed in
un altro, progressista e comunista.
La gente comune in Croazia forse non ha amato
molto
Krleža. Ma sono sempre famose le sue battute,
rivelatrici del suo
spirito brillante e caparbio: "Croati e
Serbi sono uno
stesso sterco che la ruota della storia
ha diviso
un due". Oppure: "Salite sul monte
Sljeme, che sta
sopra Zagabria, e quello che riuscite a vedere ad
occhio nudo è tutta
la Croazia." O ancora: "Serbo e
Croato sono un'unica
lingua, i Serbi lo chiamano il serbo, e i Croati
lo chiamano il
croato"...
Bibliografia (libri pubblicati in
italiano):
Krleža Miroslav, "Il ritorno di
Filip
Latinovicz" (povratak filipa latinovicza). Studio Tesi
1983
Krleža Miroslav, "Sull'orlo della ragione". Studio
Tesi 1984
Krleža Miroslav, "I signori Glembay" (gospođa
glembajevi). Costa&Nolan 1987
Krleža Miroslav, "Bellezza arte e tendenza politica".
Costa&Nolan
1991
Krleža Miroslav, "Il dio marte croato" (hrvatski bog
mars). Studio Tesi
1991
Krleža Miroslav, "La battaglia di Bistrica Lesna". PBU
1995
Vedi più sotto per altri elementi di biografia
e fonti.
DK segnala anche il sito http://www.borut.com/library/index.htm,
primo archivio web della letteratura degli slavi del
sud, sul quale
alla lettera "K" si possono trovare, di Krleža, i
racconti e segmenti
dalle novelle.
...Dietro a
queste prediche umanistiche non
sentirete altro che l'affilatura dei coltelli. I
signori si stanno
preparando all'assassinio per rapina, e prima di
scannare la povera
gente balcanica vogliono diffamarla davanti
all'Europa, come se loro
fossero gli unici garanti della civiltà europea...
Miroslav Krleza,
tratto da "Le bandiere", 1967
Un testo sui tempi quando costruivamo le
ferrovie... e le
ferrovie costruivano noi.
In quel periodo (1946-1947) erano due le
Ferrovie della
Gioventù in costruzione: questa di cui si parla qui,
la Brcko-Banovici,
e poi la Samac-Sarajevo. Il distintivo rosso (nel file PDF) è del
1947, relativo alla
Samac-Sarajevo.
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Miroslav
Krleža: Visita alla ferrovia della
gioventù Brčko - Banovići
(Frammenti dal diario
del 5.
Novembre 1946.)
Il mattino del giorno del Bayram a Brčko: due-tre fez,
due-tre feregié,
qualche sparo qua e la dalle pistole giocattolo dei
bambini, la
bellezza dello sguardo omerico dei bovini, le tavole
bagnate del ponte
sulla Sava. Tante immagini, veramente arcaiche e
strane, come dal
secolo scorso. Sto in piedi sulle tavole umide del
ponte sulla Sava,
imbevute di pioggia, e rifletto sulla Sava - un motivo
ricorrente nella
nostra pittura e letteratura. Da oramai più di cento
anni la Sava
scorre nelle nostre Arti, senza avere ispirato
pennelli oltre a quello
di Nikola Mašić. Uno dei poeti sentimentali della
Sava, del suo flusso
lirico placido e delle sue sponde verdi, fu A. G.
Matoš. Nessuno meglio
di lui ha descritto la Sava a Turopolje oppure sotto
le mura di
Belgrado.
Lo scirocco si sta stendendo sopra le brune terre
arate. Sopra le
montagne di Majevica e Konjuh il vento sta spingendo
le nubi, vasti
orizzonti si stanno aprendo nell'ondeggiare dei boschi
di faggio color
rame, ed il paesaggio assomiglia alle lande nei
dintorni di Novo Mesto
e Stična, dove, sotto il monte di Kostanjevica,
giocando con i canneti
sullo specchio verde d'acqua, come se fossero delle
livelle, scorre
placida la Krka. Nel corso di questo viaggio sono in
compagnia di un
occidentale, uno straniero che è arrivato due giorni
fa da Parigi, ha
pernottato nel belgradese "Majestic", e stamane si è
avviato con noi
per visitare la ferrovia della gioventù. Come potrei
spiegare a questo
occidentale, a questo straniero, che si trova per la
prima volta sul
nostro territorio, dove ci troviamo in effetti, quali
siano questi
spazi e questi tempi, e che cosa stia succedendo? Che
cos'è la Bosnia,
chi sono i bogumili, perché "la Bosnia cadde
silenziosa", in che modo
Roma governava da queste parti - invano e partius
infidelium -, chi
sono questi nostri Maomettani, queste figure
fantastiche delle bourke
del Kurdistan che si muovono come le maschere delle
domini nere; e come
mai proprio queste maschere rappresentano la "nostra
Toscana", e perché
la battaglia per la città di Jajce durò sessanta e più
anni, e che cosa
significa, in tutto questo, il mattino nebbioso di
Bayram sulla
Ferrovia della Gioventù?
La strade fangose, le vedute ondulate, e le montagne
nascoste nelle
nubi sopra laghi distanti, azzurri. Un mattino
meraviglioso d'argento,
con dei laghi di colori chiari di un verde-smeraldo,
che si disperdono
nella luce polare sopra fantastici arcipelaghi del
cielo.
- Qual è il senso della costruzione di questa
ferrovia, e che cosa
avete in mente quando dite che sessantamila giovani
ora stanno
trivellando il medioevo bosniaco e balcanico?
La ferrovia come opera tecnica, come lotta contro le
gole, il terreno
roccioso, le acque, terra, pioggia, torrenti, sole, e
medioevo. Dalle
parti della cittadina di Kiseljak si sta lottando
contro il fango.
Soltanto in Galizia, come ora a Kiseljak, ho visto una
tale quantità di
fango, tra Strij Rožnjatov e Kolomeja, nell'anno 1916,
durante
l'offensiva del generale Brusilov. Un fango di colore
argilla
giallo-chiaro, sfuso, fango grasso di Pannonia che
inghiottiva i secoli
e le civilizzazioni, dal Duce e dal Fuehrer e molti
altri, di cui ormai
non si conosce il nome.
Fango-brodo, nel quale bollivano le serie di
combinazioni e battaglie
politiche sanguinose; fango-diarrea, quando nell'uomo
urla una bestia e
l'intestino si stringe dalla paura mortale. Fango
elementare,
terrificante, nero, balcanico, archeo-fango dei
pregiudizi, del
passato, e della vergogna. In questa puzza che si
attacca agli scarponi
come l'alva funebre, dove ogni passo dell'uomo è
accompagnato dal
marciume di tombe vili - un fango denso, acquoso, che
si sta travasando
come una zuppa che ha bollito troppo a lungo, di tutti
quegli affamati
battaglioni bosniaco-erzegovesi sull'Isonzo ed in
Galizia (1914 – 1918)
-, questo "fango come tale", "fango per se", solcato
dai binari, da
bulldozer, rotaie di ferro sopra il tunnel di
Kiseljak; alcune
centinaia di giovani in movimento. Le grida, il suono
delle seghe, il
battito dell'incudine, il rumore dei motori, e sopra
tutto ciò si sta
sollevando la parabola del tunnel di Kiseljak che si
merita il pennello
di qualche grande artista che sia capace di stendere
un arco di
perspicace fantasia sopra questo infernale e denso
cacao fatto di
fango, in questo momento, storico, dell'unica via
d'uscita dalla nostra
miseria e arretratezza. Il vasto e sterminato campo
fangoso si stende
davanti ai nostri sguardi come una grande monumentale
composizione con
gli ammassi della lirica marrone del pennello
impressionista. Kiseljak,
con il suo arco glorioso del tunnel ferrato di
cemento, le lampade ad
acetilene, le impalcature, i movimenti delle masse
scalze di ragazzi e
ragazze bosniache, con la sua dignità si merita un
monumentale poema su
tela. Riuscire a rappresentare questo tunnel sotto
forma di un
meraviglioso affresco sarebbe il compito ideale per un
pittore. Di
sicuro questa non è la prima ferrovia che si
costruisce nel mondo, ma è
sicuramente la prima costruita interamente dai
bambini, che l'hanno
donata a Tito, il primo uomo della nostra politica
capace di scavare
tunnel nel più tenebroso medioevo del nostro passato.
Tutto questo ha
un suo senso ancora più profondo.
Il crepuscolo di un novembre sta sorvolando Kiseljak,
gli strati bruno
scuro, color cioccolato, risuonano tutti in canti
puri, solari,
spontanei, canti d'argento dei bambini. Sull'orizzonte
splende il verde
chiaro di luna e nella notte bruna, nella luce del
faro color magnesio,
luccicano gli occhi dei bambini come se fossero dei
gatti. Le otri
delle nubi, pesanti e pigre, viaggiano sopra i boschi
umidi autunnali.
Si è aperto il varco nella Terra. Nel grembo di questa
pesante terra
bosniaca, nella tomba del dannato passato, sono emersi
dei bambini con
le torce in mano, che come una vera staffetta tra i
secoli portano la
luce nelle nostre tenebre, per trasmetterla alle
generazioni future. I
figli dei minatori e degli ingegneri doneranno a
questa terra ferita e
stanca dei libri e del pane, acciaio, carbone e
salnitro. Con più
acciaio e più salnitro, queste terre arate correranno
di meno il
rischio di essere calpestate dalle ruote e dai cannoni
dello straniero
che, come maiali della Storia, l'hanno rimestata negli
ultimi duemila
anni.
La gioventù nata prima della Grande Guerra, le prime
squadre della
nostra gioventù socialista, hanno sviluppato dentro di
se un forte
coefficiente di volontà personale nella lotta contro
le bettole
intellettuali della Pannonia, nei Balcani. Quell'"Uomo
Positivo"
(finora mai descritto nella nostra narrativa) ha
creduto, con subitanea
ispirazione, che la volontà dell'individuo possa
influenzare la volontà
della moltitudine. Le nostre generazioni hanno fatto i
conti con
pregiudizi secolari, basandosi sul volontarismo e sul
romanticismo.
Resistendo alla slavina dei più diversi e svariati
pregiudizi, le
giovani generazioni avevano acquisito un approccio
negativo nel corso
dei decenni, e il dramma era così iniziato. A causa
del pensiero
liberale, lo scontro si era sviluppato sempre di più,
ed il ritmo, di
anno in anno, guadagnava in pericolosità. Liberandosi
di congetture
supreme, la gioventù si è resa consapevole del fatto
che il mondo non è
basato sull'immagine di concetti supremi, ma
viceversa. Liberandosi di
tutte le nozioni supreme che stanno nell'uomo, la
gioventù ha
cominciato a muoversi sulla nostra terra da persone
libere. Questa
consapevolezza è aumentata con il tempo. Il senso
della comprensione
dialettica si è sviluppato nel corso degli anni
trascorsi nelle
carceri, si è giunti ai primi spari, agli attentati,
alle guerre, alla
liberazione dello Stato, ai movimenti clandestini,
alla rivoluzione -
fino a questa ferrovia, il cui tragitto porta verso il
socialismo. I
tunnel sono scavati, il viaggio è iniziato: a dispetto
delle tombe
medioevali, delle bettole, e delle ciocie.
Testo originale:
verzija PDF
Miroslav
Krleža: Izlet na omladinsku prugu
Brčko - Banovići
(Fragmenti iz dnevnika od 5. novembra 1946)
Bajramsko jutro u Brčkom: dva-tri fesa, dvije-tri
feredže, tu i tamo po
koji pucanj iz dječje pištolje, volooka, homerska
ljepota pogleda
goveđeg, mokre daske na Savskom mostu. Mnogo slika,
zapravo
staromodnih, čudnih, osamdesetih godina prošloga
stoljeća. Stojim na
Savskom mostu, na vlažnom, od kiše natopljenim
daskama, i razmišljam o
Savi kao o motivu našega slikarstva i naše
književnosti. Već više od
stotinu godina teče Sava kroz našu umjetnost, a osim
Nikole Mašića nije
inspirisala ničije palete. Jedan od sentimentalnih
pjesnika savskih,
njenog tihog lirskog toka i zelenih joj obala, bio je
A. G. Matoš. Save
u Turopolju ili pod Beogradom nitko nije dao bolje od
njega.
Valja se jugovina po smeđim oranicama. Nad Majevicom i
nad Konjuhom
nosi vjetar oblake, daleki horizonti otvaraju se u
talasanju bakrene
bukove šume, a krajina podsjeća na žumberački pejzaž
oko Novog Mesta i
Stične, gdje pod Kostanjevicom tiho teče Krka,
poigravajući se trskama
na zelenom ogledalu vode kao sa libelama. Putujem s
jednim zapadnjakom,
inostrancem, koji je prije dva dana doputovao iz
Pariza u beogradski
"Majestic", a jutros krenuo s nama da posjeti
Omladinsku prugu. Kako da
objasnim ovom zapadnjaku, inostrancu, koji se prvi put
nalazi na našem
terenu, gdje smo i kakav je ovo prostor i kakvo je ovo
vrijeme i šta se
tu oko nas zbiva? Šta je Bosna, tko su bogumili, zašto
je "Bosna pala
šaptom", kako je Rim ovdje jalovo vladao i partius
infidelium, tko su
ovi naši Muhamedanci, te fantastične figure
kurdistanskih krabulja,
koje se kreću kao maske crnih domina, kako to da su
upravo te maske
"naša Toscana", zašto je bitka za Jajce trajala
šezdeset i više godina
i što znači ovo magleno bajramsko jutro na Omladinskoj
pruzi?
Blatne ceste, ustalasani vidici, a u oblacima planine
nad dalekim
modrim ostrvima. Divno, srebrno jutro sa pastelnim i
vedrim
smaragdno-zelenkastim jezerima, koja se gube u
polarnoj rasvjeti, nad
fantastičnim arhipelazima neba.
- Kakav je smisao ove pruge i što znači to, da
šezdeset hiljada
omladinaca prodire u bosanski i balkanski srednji
vijek?
Pruga kao tehničko djelo, borba s klisurama, sa
kamenim terenom, s
vodama, sa zemljom, s kišom, sa bujicama, s suncem i
sa srednjim
vijekom. Kos Kiseljaka borba s blatom. Samo u Galiciji
između Strija
Rožnjatova i Kolomeje godine 1916. u vrijeme ofenzive
generala
Brusilova vidio sam toliku masu blata kao ovdje kod
Kiseljaka. Blato
boje glinene, svijetlo-žućkaste, razliveno, masno,
panonsko blato, koje
je progutalo stoljeća i civilizacije, sa Duceom i
Fihrerom i mnogima
kojima se danas ni imena više ne zna.
Blato-čorba, u kojoj su se skuvale serije krvavih
političkih
kombinacija i bitaka, blato prolijev, od strašnih
historijskih panika,
kada urla zvijer u čovjeku i steže se utroba u
smrtnome strahu. Blato
elementarno, strašno, crno, balkansko, problato
predrasuda, prošlosti i
sramote. U ovom gustom smradu što se lijepi za
bakandže kao kadeverična
alva, gdje svaki korak ljudski prati gnjilež podmuklih
grobova, blato
gusto, vodnjikavo, što se prelijeva kao prežgana supa
svih
bosansko-hercegovačkih gladnih bataljona na Soči i po
Galiciji (1914 –
1918), ovo "blato kao takvo", "blato po sebi",
izbrazdano kolosjecima,
buldožerima, gvozdenim šinama, nad samim tunelom
Kiseljaka; nekoliko
stotina omladinaca u pokretu. Vika, zvukovi pile,
odjek nakovnja,
brujanje motora, a nad svime parabola kiseljačkog
tunela, dostojna pera
jednog velikog umjetnika, koji bi nad ovim paklenim,
gustim kakaoom od
blata umio da raspne jedan luk, luk vidovite
uobrazilje, u ovom
historijskom trenutku jedinog mogućeg izlaza iz
blatnog groba naše
bijede i zaostalosti. Ogromna, nedogledna blatna
poljana razastrla se
pred našim očima kao velika monumentalna kompozicija s
masom smeđih
lirizama impresionističke palete. Kiseljak sa svojim
tunelskim
slavolukom, sa svojom betonskom potkovom, karbitnim
lampama i skelama,
sa pokretom mase bosonogih dječaka i djevojčica,
dostojan je
monumentalne poeme na platnu. Dati ovaj tunel bio bi
zadatak slikarski
idealan za veličanstvenu fresku. Nije ovo prva pruga
na svijetu
sigurno, ali je prva koju su izgradila djeca i
poklonila je Titu, koji
je prvi čovjek naše politike, te mu uspijeva da
probija tunele kroz
najmračnije srednjevjekovje naše prošlosti. Ima sve to
svoj dublji
smisao.
Prše sumrak novembarski nad Kiseljakom, a nad
tamno-smeđim hrasticama
boje čokolade sve odjekuje od naivne, vedre, spontane,
srebrne dječje
pjesme. Na horizontu zeleni se mjesečina i u smeđoj
noći, u
magnezijskom svijetlu svjetionika svjetlucaju dječje
oči kao mačje.
Mješine oblaka putuju nad mokrim jesenskim šumama
umorno i lijeno.
Zemlja je prokopana. U njedrima te teške bosanske
zemlje, u grobu jedne
uklete prošlosti pojavila su se djeca sa buktinjama u
ruci i kao prava
štafeta vjekova, pronose svjetlost kroz naš mrak, i
ona še tu svjetlost
predati pokoljenjima. Djeca minera i inženjera dat će
ovoj ranjenoj i
umornoj zemlji knjiga, lijekova i hljeba, čelika,
ugljena i salitre.
Što više čelika i salitre, tim manje opasnosti za ove
oranice, da ih
pregaze tuđi točkovi i tuđi topovi, koji ovu zemlju
preoravaju i po
njoj ruju kao historijski krmci dvije hiljade godina.
Omladina predratna (mislim predratna u periodu prije
prvog
imperijalističkog rata 1918), prve falange naše
socijalističke omladine
razvile su u sebi jaki koeficijent lične volje u borbi
s ovim našim
intelektualnim panonskim, balkanskim krčmama. Onaj
"Pozitivni Čovjek"
(neopisan još u našoj beletristici), povjerovao je da
volja pojedinca
može da djeluje na volju mnoštva, u svojoj prvoj
inspiraciji.
Pokoljenja su se razračunavala kod nas sa predrasudama
vjekova na toj
voluntarističnoj, romantičnoj osnovi. Odoljevajući
stihiji mnogobrojnih
i raznovrsnih predrasuda, omladinske generacije
postale su u toku
decenija negativne i drama je počela. Sukob se je
uslijed slobodnog
načina razmišljanja stao razvijati sve više i ritam je
iz godine u
godinu postojao opasniji. Oslobodivši se vrhunaravnih
pretpostavaka,
omladina je stekla uvjerenje da svijet nije
stvoren na sliku i
priliku vrhunaravnih pojmova nego obratno.
Oslobodivši se svega što je u čovjeku vrhunaravna
faza, omladina se
počela kretati našom zemljom kao slobodan čovjek. A to
je saznanje
raslo godinama. Smisao za dijalektičko shvaćanje
razvijao se po
zatvorima i došlo je do prvih metaka, do atentata, do
ratova, do
državnog oslobođenja, do ilegalnih pokreta, do ovoga
rata, do
revolucije i do ove pruge, kojom se već davno putuje u
smjeru
socijalizma. Tuneli su prokopani i vožnja je počela:
grobovima
srednjovjekovja, krčmama, opancima u prkos.
(Fonte: sito
web del
Centar Tito, Belgrado)
Miroslav Krleža e Josip Broz "Tito"
si
conobbero nei primi anni '20 quando Tito,
ispirato dalle letture
della narrativa, della pubblicistica e della
rivista "Plamen" (La
Fiamma) di Krleža, lo cercò, volle incontrarlo.
Questa
conoscenza, ed in seguito l'amicizia, durarono per
tutta la
loro vita, pur con dei saliscendi, delle
distanze, polemiche,
contrasti - si pensi al cosiddetto
"scontro sulla
sinistra letteraria" (sukob na
knjizzevnoj
ljevici), fino al distacco completo,
per
esempio alla vigilia
della guerra,
nel 1940. quando Krleža,
nonostante
il suo profilo genericamente
di sinistra,
si trovò isolato.
La II Guerra Mondiale
Krleža
la trascorse nell'isolamento. Nel
1943 aveva
rifiutato l'offerta di un incarico governativo da
parte di
Pavelic. Dopo la guerra, i
rapporti tra Krleža
e Tito si rivitalizzarono, cosicchè Krleža
potè,
con il sostegno diretto e indiretto
di
Tito, iniziare la sua attività pubblica, le cui
realizzazioni
più note furono la
costituzione della Società
degli scrittori di Croazia, dell'Accademia
delle
Scienze, dell'Istituto Lessicografico,
di cui fu il
direttore; partecipò anche alla fondazione della
Facoltà di
Filosofia a a Zara. Fu direttore generale della
Enciclopedia jugoslava, per molti anni nel
dopoguerra. Un
distanziamento completo tra Tito e Krleža ebbe luogo
alla fine
degli anni '60, con il
risveglio del
nazionalismo croato, dopo la famosa
"Dichiarazione sulla lingua
croata" di cui Krleža sicuramente era uno degli
ideatori, se non
proprio l'autore. In tale occasione Tito lo escluse
dal Partito e lo
allontanò dalle sue funzioni.
Il testo "Tito" risale agli anni 1960-62,
quando Tito aveva
promosso certe riforme; forse è dell'anno 1962, dopo
il famoso discorso
a Spalato...
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Miroslav
Krleža: Tito
In mezzo al caos sterile delle opinioni, convinzioni,
principi e
mentalità, nella veste di co-relatore alla Ottava
Conferenza del
Partito, nel febbraio 1928, Tito si è presentato con le
sue tesi,
pratico-politiche, molto semplici, logiche, convincenti
e attraenti,
nell'ottica della solidarietà proletaria, all'opinione
del proletariato
del Partito, già fortemente turbata a causa delle lunghe
discussioni
partitiche. Rappresentante dell'opposizione proletaria
nel Partito,
Tito ha sottolineato il contrasto tra la resistenza di
massa, che nasce
nei confronti dello stato dei fatti politici ed
economici nella forma
degli scioperi sempre più agitati (nel periodo quando la
paga oraria
era tra uno e due dinari), e questa discussione dal
punto di vista dei
principi, apparentemente corretta, laddove invece essa,
nel caso non
abbia termine nell'interesse dell'unità del Partito,
porta il Partito
allo sfascio inevitabile. Rappresentante di una
opposizione esplicita
rispetto alle discussioni nella dirigenza del Partito,
affetta da un
sempre più forte isolamento dalle masse e da una
separazione sempre più
pericolosa dai compiti pratici, Tito è emerso come
interprete della
solidarietà proletaria, e sin dal primo momento ha
guadagnato le
simpatie di tutti i delegati. Non ha menzionato alcuno
dei temi-cardine
delle discussioni partitiche, però ha parlato della
tecnica
organizzativa, inadeguata, dei comitati locali, dei
legami, deboli o
inesistenti, della distribuzione del materiale
propagandistico
clandestino, che non ha funzionato, delle decisioni dei
forum, che non
sono arrivate mai alle regioni, della trascuratezza nel
perfezionamento
teorico delle masse proletarie, e cosi via. Nella sua
relazione, egli
ha sottolineato come le frazioni nel partito (ormai
arrivato a livelli
di intolleranza animosa) possano essere soppresse
unicamente per mezzo
del lavoro pratico nelle masse, in modo che si parli di
quello che il
proletariato effettivamente sente nella sua
preoccupazione quotidiana:
bassi salari e disoccupazione. Ha parlato della
necessità di una
liberazione immediata dalle lotte frazionistiche, della
influenza
negativa di queste sulle masse; e rispetto alla analisi
politica, il
suo quadro è stato scuro e molto serio: il terrore della
banda della
corte reale si sa trasformando in dittatura
general-fascista; tutti i
partiti croati sono arrendevoli, e l'unico modo per
porre termine alla
situazione malsana del partito, data la serietà delle
circostanze,
consiste nell'apertura delle scuole di formazione del
partito, che
inizino con la cura sistematica del livello ideologico
delle masse, che
si rinnovi il Soccorso Rosso (Crvena Pomoć), che la
psicosi della
sconfitta venga sorpassata, e questo unicamente in forza
di un centro
proletario monolitico del Partito, consapevole della
propria classe,
che dovrebbe orientarsi esclusivamente verso una teoria
dell'unità del
Partito, senza compromessi.
Tra l'attentato nel Parlamento (20. VI 1928) e la
dittatura del 6.
Gennaio (1929), sotto la guida di un nuovo Comitato
locale, una serie
di scioperi e manifestazioni ben organizzate, tra cui
alcune a giugno e
luglio, tra scontri violenti e creazione di barricate e
persecuzioni,
hanno acquisito un carattere rivoltoso; allorchè, dopo
due mesi, nel
settembre del 1928, Tito era già stato condannato a sei
anni di
carcere, scomparendo così dalla scena politica, fino al
suo ritorno da
Mosca nel 1936-37.
Quando è tornato nel paese, "giunto a metà del suo
cammino" nella veste
di segretario organizzativo del CK KPJ, la sua vita
personale,
cosiddetta privata, di cittadino, di individuo, era
ormai finita. Da
quel momento in poi, nella funzione di segretario di un
movimento
clandestino, ed ormai clandestino anche lui, ha
cominciato con la vita
di funzionario rivoluzionario, perseguitato dalle leggi
in vigore e con
la taglia sulla testa - un buon candidato per la morte.
L'infanzia,
l'artigianato, l'esercito austriaco, la ferita sul
fronte nord russo,
la prigionia di guerra, la vita da metalmeccanico nelle
fabbriche, il
carcere e l'emigrazione politica, tutte le peripezie
drammatiche di una
esistenza proletaria miserabile, la libertà personale e
la vita
familiare - tutto ciò lo ha regalato al Partito, avendo
bruciato ormai
da tempo l'illusione di una tranquilla carriera
personale.
Dopo suo ritorno dalla Russia (nel periodo delle stragi
staliniane),
Tito si è trovato a capo di un movimento comunista
condannato a morte,
di un Partito di cui la buona parte degli attivisti in
Russia era già
stata eliminata. Il pensiero che stava tornando a casa,
nella sua
terra, in una forma di rinnegazione, dove il pericolo di
morte lo
circonda continuamente, gli sembrava, di fronte alla
realtà staliniana,
come un'illusione meravigliosa sulle possibilità della
lotta che si
sono aperte; una illusione forse micidiale, ma carica di
speranza
coraggiosa di fronte alla depressione miserabile, senza
via d'uscita,
in cui le enormi masse dei rivoluzionari condannati a
morte stavano
soffocando passivamente.
Tornato a casa, nella sua terra, Tito ha continuato con
lavoro
partitico secondo lo stesso piano disegnato nove anni
fa. Per accedere
con metodo alla presa di massa di un movimento
demoralizzato e quasi
smantellato, occorreva creare nuovi quadri, instaurare i
legami
interrotti tra le masse e la dirigenza, costruire lo
schema
tecnico-organizzativo che si era rotto, attivare la
stampa legale e
clandestina, organizzare le scuole del partito e i corsi
politici, e
dimostrare, con il lavoro concreto, che è si iniziato a
risolvere il
principale compito della liberazione del proletariato,
con l'obiettivo
finale dell'abbattimento del potere borghese e della
conquista dei
principi socialisti. Dal primo giorno, quando nella
veste di
funzionario sindacale è apparso dinanzi
all'organizzazione zagabrese,
lui ha agito come un politico pratico, senza che il suo
sguardo
intellettuale-politico si distogliesse dai principi
leninisti. Dare
effettivo contenuto ai pensieri leniniani, distinguere
decisamente
quando il pensiero politico si trasforma in finzione, e
quando
nuovamente esso guadagna la forma del potere materiale -
tutto ciò sono
gli elementi di base del suo talento, del quale si serve
mentre naviga
sicuro tra le tempeste della sua lunga lotta politica.
Alla vigilia della Seconda Guerra mondiale (1937-40), in
meno di tre
anni lui è riuscito, con grandi mosse, a realizzare il
suo piano, a
costruire i nuovi quadri politici, ad organizzare
cornici partitiche
solide per le azioni di massa sindacali e politiche;
cosicché già
nell'agosto 1941, consapevole dal primo giorno di guerra
che le armi
erano diventate uno dei mezzi politici della lotta, si è
trovato sul
territorio liberato come guida di un esercito
politicamente bene
organizzato, principale autore dell'insurrezione e della
rivoluzione
che avrebbe finalizzato nell'autunno del 1945, con la
proclamazione
delle Repubblica Socialista.
La conquista socialista del 1945 naturalmente non è
soltanto opera
personale di Tito, perché questa conquista politica è
stata pagata con
le teste e il sangue dei milioni, mentre è comunque vero
che lui, come
guida, nella veste del segretario del Comitato Centrale
ha combattuto
costantemente e tenacemente per diciannove anni.
Sarebbe logico e ragionevole dire che le circostanze e
le relazioni tra
poteri sociali ed economici stabiliscono l'andamento
della storia,
mentre è ugualmente veritiero che nella storia non c'è
mai stato un
evento di grande importanza senza l'apparizione ed il
ruolo di una
persona di eccezionale rilievo. Il ruolo di persona di
eccezionale
rilievo viene pagato a prezzo di sangue e di sacrificio.
Ci sono dei giorni solenni nella vita di ciascuno,
quando occorre
riconoscere gli attributi positivi, fossero essi anche
modesti e
quotidiani. Quando questi riconoscimenti di regola
vengono espressi a
tutti quelli che hanno compiuto il loro dovere, non
sarebbe corretto,
nel caso dell'uomo che guida il nostro paese, privarlo
di un
riconoscimento oggettivo, soltanto perché si tratta di
una persona di
eccezionale rilievo.
Dobbiamo essere corretti! Non era una cosa di poco conto
trovarsi sulla
via d'urto dell'uragano che si era abbattuto su Tito e
su tutto il
Comitato Centrale del KPJ, e resistere a quella tempesta
dignitosamente
e corraggiosamente. Sarebbe forse eccessivo dire che le
cose sarebbero
andate in una direzione completamente diversa se non ci
fosse stato
Tito, siccome lui in quel momento drammatico e decisivo
aveva intorno a
se una squadra di collaboratori leali, e la simpatia
univoca
dell'intero Partito e di tutti i nostri popoli. E' fuor
di dubbio che i
fenomeni della destalinizzazione, della coesistenza,
della lotta
internazionale per i diritti dell'uomo, per la pace nel
mondo, la
politica degli Stati non allineati, e così via, fanno
riferimento alla
sua iniziativa personale nello stesso modo in cui la
risoluzione
dell'organizzazione locale del Partito del Febbraio
1928, che
rappresenta una data storica, di svolta, nella storia
del nostro
movimento. Da quella data Tito si è incamminato lungo il
suo sentiero
della storia, ed il suo cammino si è trasformato in un
fenomeno
importante dalle proporzioni internazionali,
intercontinentali ed
epocali. Ed oggi, quando verso la fine del settimo
decennio egli si è
trovato nuovamente nel mezzo della battaglia per i
principi dell'unità
del Partito e del popolo - come si puo' evincere dalle
sue parole: una
battaglia che non è meno importante ed eccitante delle
tante che ha già
condotto -, gli auguriamo ed auguriamo a tutti noi che
rimanga come
nostro alfiere per tanti anni ancora, perché, per
esperienza, non
abbiamo motivo di dubitare nelle vittorie del suo
vessillo.
Testo originale:
verzija PDF
Miroslav
Krleža: Tito
Usred sveopće jalove zbrke mišljenja i uvjerenja,
principa i
mentaliteta, kao koreferent na Osmoj Mjesnoj partijskoj
konferenciji
februara 1928, pojavio se Tito sa svojim
praktičko-političkim tezama,
veoma jednostavnim i logičnim, za proletersku partijsku
svijest, tada
već prilično uznemirenu dugotrajnim partijskim rasprama,
veoma
uvjerljivim, a po principu proleterske solidarnosti
neobično
privlačnim, Kao predstavnik proleterske partijske
opozicije, Tito je
naglasio kontrast između masovnog otpora koji se javlja
spram
političkog i ekonomskog stanja fakata u sve nervoznijim
štrajkovima
(kada se po satu radnog vremena plaćalo jedan do dva
dinara), i ove
prividno principijelne diskusije, koja prijeti Partiji
neminovnim
rasulom, ne bude li se prekinula u interesu partijskog
jedinstva. Kao
predstavnik neuvijene negacije ove partijske diskusije,
koja se
odvijala u okviru partijskog vodstva uz sve veću
izolaciju od masa i
sve opasnije odvajanje od praktičnih zadataka, Tito se
javio kao tumač
proleterske solidarnosti i od prve njegove riječi on je
osvojio
simpatije svih delegata.
On nije progovorio ni o jednoj od takozvanih kardinalnih
tema partijske
diskusije nego o tome kako organizaciona tehnika Mjesnog
Komiteta nije
na visini, kako su veze slabe ili nikakve, kako ne
funkcionira
raspodjela ilegalnog propagandističkog materijala, kako
rezolucije s
viših foruma ne stižu do rajona, kako je političko
prosvjećivanje
partijske mase zanemareno i tako dalje. U svome
koreferatu on je
naglasio kako se partijsko frakcionaštvo (koje je tada
već bilo zauzelo
relacije neprijateljske netrpeljivosti), može suzbiti
isključivo samo
praktičnim radom u masama, i to tako, da se progovori
stvarno o onom
što proletarijat neposredno osjeća kao svoju dnevnu
brigu, a to su
slabe plaće i besposlica. Govorio je o potrebi
neposrednog oslobođenja
od frakcijske borbe, o negativnom uticaju ovog sektaštva
na mase, a što
se političke prognoze tiče, njegova slika bila je tamna
i veoma
ozbiljna: teror dvorske klike pretvara se u
generalsko-fašističku
diktaturu, sve su hrvatske partije kapitulantske i
jedini način kako da
se prekine sa nezdravim stanjem u partiji, s obzirom na
ozbiljnost
situacije, jeste, da se pokrenu partijske škole, da se
otpočne sa
sistematskim uzdizanjem ideološkog nivoa masa, da se
obnovi Crvena
Pomoć kako bi se prevladala psihoza poraza, koju može
prevladati
isključivo samo monolitni, klasnosvjesni proleterski
centar Partije,
kome misao beskompromisnog partijskog jedinstva treba da
bude jedinim
političkom kompasom.
Između atentata u Skupštini (20. VI 1928), i
šestojanuarske diktature
(1929), pod vodstvom novog Mjesnog Komiteta javila se
serija
dobroorganiziranih štrajkova i masovnih demonstracija,
od kojih su neke
(u junu i julu), poprimile buntovni karakter u oružanim
sukobima s
brahijalnom silom, s progonima i dizanjem bariada, a dva
mjeseca
kasnije, septembra godine 1928, Tito je bio već suđen na
šest godina
robije i tako nestao sa političke pozornice sve do svoga
povratka iz
Moskve 1936-37.
Kada se "napol svoga životnoga puta" vratio kao
organizacioni sekretar
CK KPJ u zemlju, njegov lični, takozvani privatni život
građanina,
pojedinca, bio je već višemanje prekinut. Od toga
momenta on, kao
sekretar jednog ilegalnog pokreta i sam u ilegalnosti,
počeo je da živi
životom revolucionarnog funkcionera, koji je po
pozitivnim zakonima
gonjen i ucijenjen - solidan kandidat smrti.
Djetinjstvo, zanat,
austrijska vojska, rana na sjevernom ruskom ratištu,
ratno
zarobljeništvo, život metalca po fabrikama, robija i
politička
emigracija, sve dramatske peripetije bijedne proleterske
egzistencije,
individualnu slobodu i obiteljski život, sve je to
poklonio Partiji,
pregorjevši već davno svaku iluziju o nekoj
individualnoj mirnoj
karijeri.
Na povratku iz Rusije (a to je bilo vrijeme staljinskih
krvoprolića),
Tito se našao na čelu komunističkog pokreta osuđenog na
smrt, i
Partije, čiji je dobar dio partijskog aktiva koji se
našao u Rusiji,
bio već likvidiran. Pomisao da se vraća kući, u vlastitu
zemlju, u neku
vrstu odmetništva, gdje mu prijeti trajna smrtna
opasnost, pričinjala
mu se spram one staljinske stvarnosti divnom iluzijom o
otvorenim
mogućnostima borbe, možda smrtonosne, a ipak pune smione
nade spram
bezizgledne bijedne depresije, usred koje se u Rusije
pasivno gušila
mnogobrojna masa na smrt osuđenih idealnih
revolucionara.
Kod kuće, u zemlji, Tito je nastavio partijskim poslom
po istom planu,
kako ga je bio ocrtao devet godina ranije, Da bi se
metodičko moglo
pristupiti omasovljenju demoraliziranog i razbitog
pokreta, trebalo je
stvoriti nove kadrove, uspostaviti prekinutu vezi između
mase i
vodstva, izgraditi razorenu organizacionu tehniku,
pokrenuti partijsku
legalnu i ilegalnu štampu, organizirati partijske škole
i političke
kurseve i tako praktičnim radom dokazati da se ponovno
pristupilo
metodičkom rješavanju osnovnog zadatka oslobođenja
proletarijata, s
određenim ciljem obaranja građanske vlasti i pobjede
socijalističkih
principa. Od prvoga dana, kako se kao sindikalni
funkcioner pojavio
pred zagrebačkom organizacijom, on je igrao ulogu
praktičnog
političara, što ne znači da mu intelektualnopolitički
pogled nije bio
trajno uperen na lenjinske principe. Dati lenjinskim
mislima stvarnu
sadržinu, trajno razlikovati, kada se politička misao
pretvara u
fikciju, a kad opet poprima oblik materijalne snage, to
su osnovni
elementi njegovog dara kojim se služi kao pouzdanim
navigacionim
sredstvom kroz sve oluje svoje dugogodišnje političke
borbe.
U predvečerje drugog svjetskog rata (1937-40), on je za
nepune tri
godine uspio da u glavnim potezima ostvari svoj plan, da
izgradi svoje
nove partijske kadrove, da organizira solidne partijske
okvire za
sindikalne i političke akcije većega stila, i da se tako
već augusta
mjeseca godine 1941, od prvoga dana rata svjestan, da je
oružje postalo
jednim političkim sredstvom borbe, nađe na oslobođenom
terenu, na čelu
jedne politički organizirane vojske, kao glavni
inicijator ustanka i
revolucije, koju će pobjedonosno dovršiti jeseni 1945,
proklamacijom
Socijalističke Republike.
Socijalistička pobjeda godine 1945. nije, dakako,
isključivo Titovo
lično djelo, jer tu su političku pobjedu milijuni
platili svojom glavom
i svojom krvlju, ali opet je istinito da se na čelu
pokreta do te
pobjede borio kao sekretar CK postojano i ustrajno punih
devetnaest
godina.
Logično je i razumno kada se govori kako prilike i
odnosi socijalnih i
ekonomskih snaga stvaraju historiju, ali je opet istina
i to, da u
historiji nije bilo nikada nijednog događaja većega
stila, a da nije
povezan o pojavu i o ulogu neke markantne izuzetne
ličnosti, a
historijska uloga markantne i izuzetne ličnosti plaća se
krvavo i
samozatajno.
Ima svečanih dana u životu svakoga čovjeka kad je dobro
da mu se
priznaju pozitivna svojstva, bila ona sasvim skromna i
svakodnevna, pa
kad se takva priznanja odaju po pravilu svima koji su
izvršili svoju
dužnost, ne bi bilo pravedno, da se u slučaju čovjeka
koji se nalazi na
čelu naše zemlje, sustegnemo od objektivnog priznanja
samo zato, jer se
radi o istaknutoj i markantnoj ličnosti.
Budimo pravedni! Naći se godine tisuću devet stotina
četrdeset i osme
na udaru uragana kakav se oborio na Tita i na čitav CK
KPJ, i odoljeti
onoj oluji dostojanstveno i ponosno i smiono, nije bila
mala stvar.
Možda bi bilo pretjerano reći, da bi se stvar bila
razvila sasvim
drugim pravcem da nije bilo Tita, jer on je u onom
dramatskom i
sudbonosnom trenutku bio okružen falangom svojih
lojalnih i odanih
saradnika, nošen jednodušnom simpatijom čitave Partije i
svih naših
naroda, ali je izvan sumnje da su pojave
destaljinizacije,
koegzistencije, međunarodne čovjekoljubive borbe, za
svjetski mir,
politike vanblokovskih zemalja i tako dalje, vezane o
njegovu ličnu
inicijativu upravo tako kao što je o njegovu ličnu
inicijativu bila
vezana rezolucija zagrebačke Mjesne Partijske
Organizacije februara
1928, koja u historiji našega pokreta predstavlja
historijski datum i
prekretnicu, Od toga dana Tito se zaputio svojom
historijskom stazom, a
njegov put pretvorio se u pojavu važnu, u međunarodnim i
međukontinentalnim omjerima isto tako historijsku. I
danas, kada se
našao na kraju sedmoga decenija ponovno usred bitke za
principe
partijskog i narodnog jedinstva, a kao što se iz
njegovih govora čuje,
bitke, koje nije manje važna i manje uzbudljiva nego što
su bile tolike
koje je izvojštio, želimo njemu i svima nama da nam
ostane barjaktarom
još mnogo godina, jer što se pobjede njegovih barjaka
tiče, u to, na
temelju iskustva, nemamo razloga sumnjati.
(Fonte: sito
web del Centar
Tito, Belgrado)
IL
"NOTTURNO DI KUMROVEC"
La notizia della
demolizione della famosa statua di Tito [da
parte di fascisti a
fine dicembre 2004; poi restaurata, ndCNJ] realizzata
da
Antun Augustinčić e posta dinanzi alla casa natale
di Kumrovec, ha
suscitato forti emozioni e ricordi in molti di noi.
DK ricorda sua madre "sulla foto
con i bambini
scalzi di Kumrovec, nel
Maggio
1945, con i mazzetti di fiorellini
in mano...
E un testo del secondo miglior figlio della terra
jugoslava e croata,
lo scrittore marxista Miroslav Krleža,
ed il suo
capitolo che racconta il ritorno di Tito dalla
Russia, con il compito
di riorganizzare il partito, nel 1937..."
DK ha tradotto integralmente questo testo, la cui
versione
originale, ripresa dalla pagina http://de.geocities.com/opiumzanarod/tekstovi/povratak.htm
, è da noi riportata in
fondo.
Lo stesso sito http://de.geocities.com/opiumzanarod
(oppure: http://www.bratstvo.cjb.net/
) contiene, oltre a questo, alcuni altri
brani
fondamentali della letteratura jugoslava, che oggi
qualcuno vorrebbe
dimenticata. Lo stesso Miroslav Krleža, che è il più
grande
scrittore della Croazia del XX secolo, è "reietto"
dagli attuali
ambienti letterari e culturali croati, tutti
improntati al nazionalismo
sciovinista, ed è trascurato, per opportunismo,
anche dagli slavisti
nostrani.
Miroslav Krleža: Il ritorno di Tito 1937
Tito sta in piedi davanti alla casa natia, con i
pensieri che, in
grandi cerchi, gli girano attorno a
questo antico
muschioso tetto di Kumrovec. Sta riflettendo
di se, della
sua infanzia triste, della Grande Guerra, di caserme,
Carpazi,
campi di concentramento e di combattimento, delle
battaglie
che ha passato. Di fiumi enormi, siberiani,
di una lingua
russa che bagna le mura della Cina, di paesi
e popoli
mongoli, lontani come il mare che si spande
in tutta l'Asia
fino al Pacifico. Sta riflettendo ora, Tito, sulla
propria
vita, sulle fabbriche in cui fu operaio, sui sindacati,
sui compagni,
sugli scioperi, sul movimento di cui fu il capo, su
tutta una vita che,
dai giorni della prigionia a
Lepoglava, e dalla
guerra in Spagna, con l'enorme cerchio delle
battaglie e dei combattimenti da Madrid fino a
Kumrovec,
ora si chiude - questo interminabile cerchio di una
vita, un viaggio
attorno al pianeta che dura, oramai, da una vita intera,
mentre i cani
abbaiano come facevano trenta e quarant'anni fa. Non
hanno nemmeno
oliato le cerniere delle porte, i gatti morti li buttano
ancora nel
ruscello, i letamai sono ancora privi dei muri di
supporto, come
se nel mondo non accadesse nulla, non fosse accaduto
proprio nulla,
come se l'Europa non stesse dinanzi ad una nuova
guerra mondiale!
Le ciminiere fumanti dei
complessi chimici dal
Mare del Nord fino agli Urali e al Volga
traspirano,
con il ritmo del lavoro, e
rimbombano le
acciaierie da Vladivostok fino a
Magnitogorsk, vibrano le
fondamenta medioevali della terra. America ed Europa
stanno cuocendo
più di cento milioni di tonnellate di
acciaio, tuonano i
cannoni in Spagna, Hitler sta
preparando
la carneficina, una tempesta
internazionale sta arrivando, mentre qua, i
cani abbaiano,
i fossi puzzano come ai tempi della servitù della
gleba e del
lavoro duro, i tempi di Keglevic. Una nuova
catastrofe
internazionale si sta preparando,
il gorilla
fascista affila i suoi coltelli, e da
noi... Kupinec,
Kaptol e Kumrovec ancora ronfano, tutta la nostra
intelligentzia
piccolo-borghese ronfa, mentre Tito sta in
mezzo a Kumrovec
e sente questo vuoto, questo ritardo di dimensioni
medioevali, la
dannazione di questa notte di Kumrovec,
con i
cani che abbaiano in un posto completamente
immobile e
dannato come sempre. Dal Pacifico,
dalla Spagna,
giungono le fiamme della grande rivoluzione
in atto,
tremola il riflesso del rossore di un'alba fatta dei
fuochi delle
innumerevoli fonderie del mondo nuovo: il polso
del
mondo batte già col ritmo dei
futuri secoli
radiosi, mentre da noi il barbagianni gira attorno al
campanile
dell'epoca di Maria Teresa: ed è tutto
talmente,
noiosamente vecchio che sembra il cimitero vecchio di
Kumrovec
e il suo ponte marcio che rischia di
sgretolarsi
sotto al rumoroso passo di qualche notturno
passante solitario.
Nel silenzioso momento finale di
questo
soliloquio lirico, negli ultimi
toni della
cantilena di questo monologo melanconico, la voce
di Tito ha
cambiato colore e i suoi occhi azzurro chiaro,
colombini, si sono tinti
con i riflessi di un blu
scuro, metallico
come l'inchiostro. Il gioco morbido e
benigno delle
labbra si è irrigidito in forma di riga scolpita nella
pietra, e in
quella voce è apparsa un'espressione indefinita e
suggestiva, piena di
dolore e turbamento.
- Kumrovec russa, che dio
la benedica: ma
fino a quando da noi tutto dormirà ronfando,
si
chiede Tito impaziente, quasi nervosamente,
con
quell'accento violento con cui nella lingua nostrana
buttano giù dal
cielo tutti gli dei dal gradino superiore ad uno
inferiore.
- Noi ci troviamo dinanzi
ad una
nuova guerra mondiale, e non ci salverà
proprio
niente, tranne la nostra ragione! Ed è
questo che
bisognerebbe spiegare a Kumrovec
e
Kupinec, ed ai nostri stupidi borghi
di
provincia, da Ljubljana fino
a
Belgrado! Le colombe arrostite non cadono
dai cieli.
Da quando la storia
nostrana viene
scritta con il sangue e con la carne dei nostri
popoli, il nome
di Tito è diventato oggi il simbolo drammatico di
tutta la
generazione attuale. In questo naufragio, il più
disperato di
tutti, è emerso lui, con la torcia leniniana a
schiarire le
tenebre, ed il suo itinerario da Kumrovec e Jajce,
fino a
Belgrado e Zagabria, è l'itinerario del
nostro
popolo; dalla figura d'un uomo medioevale,
indietro, fino
al cittadino dei secoli futuri, ben più felici: questo
è il
movimento che ritrova la nostra civiltà, ad
ogni costo.
Questa è la nostra volontà
storica,
manifestatasi in innumerevoli sforzi nei
secoli
precedenti, e se si può
esprimere nel
modo seguente: è la volontà di
trasformazione e
di liberazione nelle sfere sociali superiori
di tutto il
mondo, sulla base delle esperienze della prima e della
Seconda
guerra mondiale, e dopo la
sotterranea, pesante
battaglia politica che è durata per decenni e che ci è
costata tante
vittime. Tito è l'arco glorioso tra le mura scure ed
insanguinate del
nostro passato medioevale fino alla
strada, fino ad
una civiltà non più soggiogata dalle banche, dalle
menzogne
e dai pregiudizi altrui. È lui la cartuccia
di
mitraglia che sbocca davanti il
fumo e
la nebbia della nostra arretratezza,
ed emerge
come simbolo incandescente sopra le bandiere
stellate della
nostra consapevolezza politica moderna.
Quando, durante quest'ultima guerra,
nelle
lunghe ore della veglia notturna, negli anni
1943 - 1944,
di tanto in tanto si sentiva il rombo dei
cannoni di
Tito che brontolavano per le
notti intere
attorno a Zagabria, io li ascoltavo
spesso. Dinanzi a
me c'era sempre un'immagine, sin dall'anno
millenovecentotrentasette: l'immagine di
Tito che sta
seduto davanti ad un abat-jour di pergamena di una
lampada
fiorentina, nella lucentezza giallastra del
corale
gregoriano, con delle note antiche, quadrate in
quattro-quarti, con
dei caratteri tinti in un rosso sangue
carmine, che
parla del notturno di
Kumrovec. Tuonano i
suoi cannoni mentre dura, questa veglia
determinante
per la guerra - ed io,
nella mia
solitudine, penso: eccolo Tito
che
risveglia Kumrovec dal sonno
millenario! Tito
si è ribellato contro il medioevo, ha
trovato la
strada d'uscita, lui naviga a vele spiegate, e le
sue galee
navigano nel porto sicuro della vittoria...
Testo originale:
Miroslav Krleža: Titov povratak 1937
Stoji Tito pred svojom kućom, a misli mu kruže u
ogromnim krugovima oko
starog kumrovečkog krova obraslog mahovinom. Razmišlja o
sebi, o svom
žalosnom djetinjstvu, o svjetskom ratu, o kasarnama, o
Karpatima, o
logorima i o bojištima, o bitkama kroz koje je prolazio
i o velikim
sibirskim rijekama, o ruskom jeziku, što oplakuje kao
more kitajske
zidine i mongolske daleke zemlje i narode, razlijevajući
se sve tamo
preko Azije do Tihog oceana. Razmišlja Tito o svom
vlastitom životu, o
fabrikama po kojima je radio, o sindikatima, o
drugovima, o
štrajkovima, o pokretu kome stoji na čelu, o čitavom
jednom ljudskom
životu, što se preko Lepoglave i Španije zatvara danas u
ogroman krug
bitaka i borbe od Madrida do Kumrovca, i taj nedogledni
životni krug
jednog putovanja oko svijeta, traje eto, već čitav jedan
život, a ovdje
u Kumrovcu, laju psi kao što su lajali prije trideset i
četrdeset
godina, Ni vrata nisu podmazali i krepane mačke bacaju u
potok, ni
gnojnice nisu podzidali, kao da se u svijetu ništa ne
događa i kao da
se uopće ništa nije dogodilo i kao da Evropa ne stoji
pred novim
svjetskim ratom! Puše se i dime kemijski kombinati od
Sjevernog ledenog
mora do Urala i Volge, grmi čelična industrija od
Vladivostoka do
Magnitogorska, trese se zemlja u svojim sredovječnim
temeljima, Amerika
i Evropa kuvaju više od sto miliona tona čelika, grme
topovi u Španiji,
Hitler sprema pokolj, dolazi međunarodna oluja, a ovdje
laju psi i
vonjaju jame kao u Keglevićevo doba tlake i robote.
Sprema se nova
međunarodna katastrofa, fašistički gorila brusi svoje
noževe, a kod nas
Kupinec hrče, Kaptol hrče, Kumrovec hrče, čitava naša
malograđanska
inteligencija hrče, a Tito stoji usred Kumrovca i osjeća
vakuum
sredovječnog zakašnjenja, prokletstvo kumrovečkog
nokturna, kada laju
psi i sve stoji ukleto na jednom te istom mjestu. Od
Tihog Oceana i od
Španije ližu plamenovi velike revolucije, u rujnom
odsjevu titra osvit
požara po bezbrojnim talionicama svijeta, dime se
kombinati, puls
svijeta kuca već danas ritmom budućih svijetlih
stoljeća, a kod nas
sovuljaga oblijeće oko marijaterezijanskih zvonika: i
sve je dosadno
staro kumrovečko groblje i truli most, te prijeti da će
se srušiti pod
malo glasnijom stopom noćnog samotnika. U tihom završnom
trenutku ovog
lirskog solilokvija, u posljednjim tonovima kantilene
tog melankoničnog
monologa, Titov glas promijenio je sjaj i njegove
svijetloplave oči
golubinje prelile su se ocalnim, tamnomodrim, metalnim
prijelivom i
potamnile kao tinta. Dobročudna, mekana igra usana
ustitrala je od
prkosne, tvrde, kao od kamena klesane crte i u onom
pogledu, u onom
glasu javio se nekakav neodređen i sugestivan izraz pun
bola i nemira.
- Kumrovec hrče, bog ga blagoslovio, pak dokle će kod
nas sve da hrče,
zapitao se Tito bijesno, gotovo nervozno, s onim
violentnim akcentom,
kojim se u našem jeziku skidaju s neba sva božanstva
višeg i nižeg rada.
- Mi stojimo pred novim svjetskim ratom, i ako nas ne
bude spasila naša
vlastita pamet, neće nas spasiti ništa! I to je ono što
bi trebalo
objasniti i Kumrovcu i Kupincu, i glupim našim čaršijama
od Ljubljane
do Beograda! Ne padaju pečeni golubovi s neba.
Ime Titovo postalo je danas dramatskim simbolom
pokoljenja svih naših
naroda, otkada se piše historija krvlju i mesom naših
naroda. U
brodolomu, koji od svih naših brodoloma bio
najbeznadniji, pojavio se
on sa lenjinskom buktinjom u mraku i njegov put od
Kumrovca i Jajca, do
Beograda i do Zagreba put je našeg naroda, da bi od
sredovječnog,
zaostalog čovjeka postao građaninom budućih sretnijih
stoljeća: to je
pokret za našom vlastitom civilizacijom pod svaku
cijenu. To je naša
historijska volja koja se objavljivala u mnogobrojnim
naporima kroz
vjekove, i ako se može tako reći, to je volja za
preobražajem i
oslobođenjem u višim društvenim silama čitavog svijeta,
na temelju
iskustva iz prvog i drugog svjetskog rata i teške
političke podzemne
borbe, koja je trajala decenijama i stajala bezbrojno
mnogo žrtava.
Tito, to je slavoluk između mrkih i krvavih zidina naše
sredovječne
prošlosti i put do civilizacije, koja neće više da bude
robovanje tuđim
bankama, tuđim neistinama i predrasudama. To je karteča
koja se kroz
dim i maglu naše zaostalosti probila kao usijani znamen
nad zvjezdanim
barjacima naše suvremene političke svijesti.
Kada su se u ovom ratu za dugih noćnih bdjenja oko 1943.
do 1944. od
vremena na vrijeme čuli Titovi topovi kako gunđaju
čitave noći oko
Zagreba, često sam prisluškivao toj noćnoj grmljavini.
Uvijek me je
pred očima bila jedna te ista slika iz godine
tridesetsedme; sjedi Tito
pred pergamenom fjorentinske svjetiljke, u žućkastom
sjaju
rasvjetljenog gregorijanskog korala sa starinskim,
četverouglastim
notama kvadrakvatrama u krvavoj transparentnoj boji
karminskih slova, i
priča o kumrovečkom Nokturnu. Grme njegovi topovi, traje
sudbonosno
ratno bdjenje a ja mislim u svojoj samoći: gle, Tito
budi Kumrovec iz
hiljadugodišnjeg sna! Tito se pobunio protiv srednjeg
vijeka, on je
našao izlaz, on plovi punim jedrima i njegove galije
putuju u sigurnu
luku pobjedu...
(iz: http://de.geocities.com/opiumzanarod/tekstovi/povratak.htm
)
Miroslav Krleža
LE BALLATE DI
PETRICA KEREMPUH
a
cura di Silvio Ferrari
prefazione
di
Predrag Matvejević
con uno scritto di Joža Skok (ed.orig.
1956, titolo originale Balade
Petrice Kerempuha)
pp.251, € 15.00, Giulio
Einaudi editore, Torino 2007
Miroslav
Krleža (1893-1981) scrittore
croato, jugoslavo e mitteleuropeo, ha
influenzato l'ambiente culturale
e letterario della sua patria a partire dagli
anni Venti e fino alla
morte, in modo talmente significativo da
segnare tutto il Novecento di
tutti gli Jugo-slavi. Dotato di una forte
personalità, spirito ribelle
e contradittorio, era il più importante
intellettuale della sinistra
nel periodo delle avanguardie letterarie tra
le due guerre, ma
contemporaneamente anche un forte oppositore
del „realismo socialista“
e del diktat
sovietico che nel 1948 cercava di
„prescrivere“ e imporre le leggi
nella letteratura. Krleža invece si opponeva a
qualsiasi propaganda
politica nell'arte e nella letteratura
impegnandosi per
l'autonomia creativa e le libertà
espressive.
In Italia
incominciano ad essere
conosciute ed apprezzate le sue opere a
partire dagli anni Sessanta
quando sulle riviste come „L'Europa
letteraria“ e la „Nuova Rivista
europea“ venne presentato con testi critici o
con brevi traduzioni.
Negli anni Ottanta vengono tradotte da Silvio
Ferrari le sue migliori
opere presso varie case edittrici: Studio Tesi
ha pubblicato Il Dio
Marte croato nel 1981, Il
ritorno di Filip
Latinovicz nel 1983,
Sull'orlo della ragione nel 1984,
Costa & Nolan la pièce teatrale I
Signori Glembay nel
1987 e un volume di saggistica critica Bellezza,
arte e tendenza
politica nel
1991.
Un primo
tentativo parziale di
traduzione delle Ballate
di Petrica Kerempuh
sulla cui stesura l'autore ha lavorato nel
1935/36, si trova
nell'antologia curata da Luigi Salvini Poeti
croati moderni
(Garzanti, Milano 1942). In questa edizione
integrale invece, sono
pubblicati 34 componimenti disomogenei per la
loro struttura (da pochi
versi fino a quelli somiglianti a un poema
vero e proprio) ma compatti
per il filo conduttore che li lega. Krleža ha
qui adottato un genere
letterario di origine popolare, le ballate
appunto, ma anche un
linguaggio inconsueto. Si tratta di una forma
arcaica, dialettale
del kaikavo (dal pronome interrogativo „kaj“),
diffusa nella regione di
Zagorje, al nord di Zagabria, diversa dalla
lingua letteraria o dalle
forme dei dialetti urbani, risulta invece più
vicina alla lingua dei
contadini o agli antichi libri di preghiere.
Il linguaggio delle Ballate è
quindi il frutto di una scelta precisa e
originale dell'autore, una
sintesi di diverse fonti, ricca dal punto di
vista fonetico,
morfologico e lessico perché corrisponde in
modo migliore alle capacità
espressive del protagonista principale Petrica
Kerempuh, rappresentante
dello spirito popolare ma anche un poeta
dotto, una specie di Till
Eugenspiegel croato, un vagabondo allegro e
spensierato ma anche
melanconico e triste, perseguitato in
tutti i tempi e in diversi
modi. Dall'inizio e fino alla fine, in un
crescendo di parole e gesta
piene di ironia, sarcasmo e cinismo privi di
sdolcinato
sentimentalismo, egli rappresenta un dialogo
dell'autore con la storia
partendo dal „basso“, cioè dall'uomo piccolo
che da vittima nel suo
anonimato diventa un involontario attore
tragico degli avvenimenti
storici. Con i versi di Kerempuh il lettore
percorre il destino del
singolo e di tutto un popolo, la tragica
rivolta contadina guidata da
Matija Gubec nel 1573, le lotte e le
devastazioni delle terre da parte
dei turchi, fino alla comparsa del fascismo e
agli avvenimenti che
portano alla Seconda guerra. Dai versi
introduttivi Petrica
i galežnjaki/Petrica e
gli impiccati scanditi
dalla mandola di Kerempuh
fino al Planetarium nel
quale cade la maschera prottetiva del
protagonista portando allo
scoperto il poeta stesso che „Nel buio, in
cantina, [...]/ mi sono
messo a latrare come un cane solitario,/ che
sanguinando muore per
davvero“.
Il
volume è presentato con testo in originale a
fronte e può essere
considerato importante non solo nell'ambito della
letteratura alla
quale appartiene il suo autore, ma anche
come parte della
letteratura europea.
Ljiljana
Banjanin
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