Liceo A. Volta
Intendo con questo mio intervento contestualizzare e
problematizzare le cose che si
possono vedere nella mostra.
La prima questione è quella delle parzialità delle
conoscenze, e delle vere e proprie omissioni, rispetto ai crimini del
nazifascismo.
Sarebbe il caso di mettersi almeno d'accordo sull'oggetto di
questa giornata e cioè:
il
carattere stragista del nazifascismo. A rendere giustizia, non
solo dal punto di vista morale ma proprio dal
punto di vista storico, alle vittime del nazifascismo si dovrebbero
includere tutti i crimini del nazifascismo verso intere categorie e
soggetti nazionali e/o razziali.
NECESSITA' DI UNA
PRECISAZIONE SULL'OGGETTO DELLA "GIORNATA DELLA
MEMORIA"
Ritengo che su questo punto ci sia un problema di fondo, evidente anche
nella stessa legge istitutiva della Giornata della Memoria. (1) E'
stato poco fa portato l'esempio dei campi di
concentramento per gli slavi, gestiti dagli italiani in Dalmazia: ed
è
giusto, perchè già nello specifico italiano si dovrebbe
entrare nel
merito
di un universo concentrazionario che ci ha riguardato direttamente, non
solo come vittime, ma proprio come carnefici. Ed è allora il
caso di ricordare che anche a poca distanza da qui,
a Renicci di Anghiari, in
provincia di Arezzo, esisteva un campo di concentramento nel quale
furono reclusi soprattutto prigionieri politici sloveni; un po'
più lontano, a Colfiorito in Umbria, erano soprattutto
prigionieri politici montenegrini (il Montenegro fu la prima delle
regioni della Jugoslavia a ribellarsi all'occupante fascista e
perciò furono duramente repressi dagli italiani); e ancora un
po' più lontano, a Gonars in Friuli, erano molte migliaia,
soprattutto sloveni lì ridislocati dall'inferno di Arbe/Rab.
Questa storia dei
campi
di concentramento italiani sul
territorio italiano è completamente omessa,
così come è sostanzialmente omessa dalla storiografia la
pulizia etnica perpetrata dagli
italiani, specialmente ai danni degli sloveni, nelle terre di confine,
in quella che era allora la "Provincia di Lubiana".
E rimanendo in tema di omissioni, al livello più generale,
conosciamo bene l'omissione del genocidio dei Rom - genocidio che,
vista l'attualità italiana, viste le cose gravissime che stanno
succedendo in questi mesi ai danni della comunità Rom come delle
comunità immigrate in genere, visto il razzismo così
diffuso, generalizzato, nella nostra società, nessuno dovrebbe
osare di omettere dalla narrazione sulla nostra storia recente, e nella
Giornata della Memoria. Ma a ben vedere il genocidio dei Rom è
stato omesso ieri mattina anche dalla cerimonia ufficiale svolta al
Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. (2) L'associazionismo Rom aveva
fatto pressioni perchè tra i rappresentanti dei popoli vittime
di sterminio da parte del nazifascismo ci fossero anche i Rom, e questo
non è stato consentito.
E poi abbiamo l'esclusione del genocidio dei disabili, dei gay, e
così via.
In particolare però noi oggi ci occupiamo di una questione -
quella del campo di Jasenovac e dei crimini
ustascia nei Balcani - che vede
come principali vittime
i serbi.
I SERBI VITTIME DI
GENOCIDIO
Per tutto il corso del secondo dopoguerra, ed ancora oggi, per tanti
motivi anche politici (di politica internazionale) a cui farò
necessariamente cenno nel seguito, i serbi sono stati sottoposti in
Occidente ad un ostracismo, ad una omissione veramente perfetta,
completa, da qualsiasi
momento di ricordo.
Io non sono completamente d'accordo quando si dice che in Jugoslavia
(nella Jugoslavia Federativa e Socialista) dei crimini del nazifascismo
non se ne parlava: se ne è parlato, a mio avviso, quanto era
giusto che se ne parlasse, perchè comunque si trattava di
ricostruire un paese multinazionale in cui tutte le popolazioni
potessero continuare a convivere insieme. Ciononostante furono
edificati musei e memoriali, per esempio nello stesso ex campo di
sterminio di Jasenovac, e furono realizzati eventi culturali ed opere
artistiche - ricordo ad esempio il bellissimo film
jugoslavo "
Ne okreći se sine"
(Non ti voltare indietro figlio mio) prodotto nella Croazia degli anni
'50, in cui è descritta in maniera corretta e toccante la
politica genocida degli ustascia.
Dunque non è vero che in Jugoslavia non si parlava di Jasenovac.
E' casomai in Italia che non se ne è mai parlato, e si continua
a non parlarne. Eppure come italiani abbiamo responsabilità
dirette in quei crimini degli ustascia. (3)
Devo per forza di cose riportare all'attualità la vicenda di
Jasenovac: sarebbe ipocrita non farlo e tradirebbe le mie convinzioni;
ci sono questioni su cui non posso sorvolare, in particolare
riguardanti gli atti fondativi della nuova "Croazia indipendente",
all'inizio degli anni '90 del Novecento.
LA NUOVA "CROAZIA
INDIPENDENTE"
Quegli atti fondativi
sono stati tutti viziati da una continuità, aperta o malcelata,
con l'impostazione nazionalista, escludente e razzista, degli ustascia.
E devo argomentare:
# il leader di quel processo secessionista, Franjo Tudjman, si era
fatto una fama di storico dilettante scrivendo testi, tra cui un libro
intitolato "
La deriva della
verità storica", in cui negava le dimensioni e la
realtà di quello che vedete nella mostra alle mie spalle:
l'Olocausto perpetrato dagli ustascia non solo nei confronti dei serbi
ma anche nei confronti degli ebrei, descritti da Tudjman come
collaborazionisti dei nazisti in quanto
guardiani dei campi di sterminio;
d'altronde lo stesso Tudjman si era anche reso noto per una intervista
in cui aveva esplicitamente affermato: "
per
fortuna mia moglie non è serba ne' ebrea".
# Al momento della fondazione del nuovo Stato croato furono: introdotta
una nuova Costituzione monoetnica, per cui la Croazia diventava la
patria dei
croati, mentre
nella Jugoslavia socialista la Croazia era patria dei popoli
costitutivi croato e serbo; introdotta la
domovnica, una specie di pedigree
razziale in base al quale si otteneva la cittadinanza del nuovo Stato;
fu reintrodotta la
kuna, che
era stata la moneta nello Stato nazista NHD ("
Stato Indipendente di Croazia")
guidato da Pavelić, e non esistono altri esempi storici di uso della
kuna come moneta in Croazia; furono etnicamente ripuliti gli uffici
pubblici, scatenati veri e propri pogrom contro i serbi (ad esempio a
Dubrovnik, la "notte dei cristalli" dell'estate 1991, e a Borovo Selo
presso Vukovar); fu distrutto lo stesso Museo-memoriale di Jasenovac -
tant'è vero che quando arrivarono le truppe della Repubblica
Serba di Krajina (RSK) trovarono tutto in pezzi. La stessa RSK, questa
entità autoproclamata dai serbi della Croazia per autotutelarsi,
e che durò fino al 1995, fu poi completamente spazzata via,
letteralmente cancellata dalle certe geografiche, e con lei molte
centinaia di migliaia di serbi che da molte generazioni abitavano sul
territorio della attuale Croazia. Tuttora si contano molte centinaia di
desaparecidos
serbi in Croazia.
Questi fatti attuali dimostrano che è necessaria una
contestualizzazione dello sterminio subito dai serbi sotto il
nazifascismo, per trovare una chiave di interpretazione complessiva,
necessaria nella prospettiva storica di lungo e lunghissimo termine. Si
tratta di capire quale era il carattere profondo delle politiche di
oppressione
razziale e prevaricazione nazionale del nazifascismo in tutta Europa, e
di capire come tale carattere si tradusse nello specifico balcanico.
La nostra impostazione
occidentale
ci fa generalmente
dimenticare che tali politiche hanno espresso il massimo della loro
violenza e sanguinosa "efficacia" nell'Europa orientale e balcanica.
Auschwitz
è lontana dall'attuale Germania: oggi è in Polonia, non
lontano dall'Ucraina; i
più "grandi numeri" delle stragi nazifasciste, oltre che nei
Balcani, sono stati raggiunti molto ad Est, ad esempio in Russia ed in
Bielorussia con i
pogrom
sulle popolazioni civili (si veda il film "
Va'
e vedi" di Klimov).
Non ci possiamo qui addentrare in una analisi compessiva della
ideologia nazifascista ma dobbiamo sottolineare due aspetti-chiave
necessari per la interpretazione: quello
delle politiche nazionali, e quello dello scontro inter-religioso.
LE POLITICHE DELLA
NAZIONALITA' SOTTO IL NAZIFASCISMO
Heinrich Himmler, capo delle SS, parlava così:
Nel trattamento delle etnie straniere
dell'Oriente dobbiamo vedere
di riconoscere e di badare quanto più possibile alle singole popolazioni, vale a dire oltre ai
Polacchi e gli Ebrei gli
Ucraini, i Russi Bianchi, i Gorali, i Lemchi ed i Casciubi. Ed ovunque si trovino pure solo frammenti etnici,
ebbene anche a quelli. Con questo
voglio dire che noi non solo abbiamo il più grande interesse acché le popolazioni dell'Oriente
non siano unite, ma che al contrario
siano suddivise nel numero maggiore possibile di parti e di frammenti. Ma anche all'interno delle
stesse popolazioni non abbiamo alcun
interesse a portarle all'unità ed alla grandezza, a trasmettere loro forse pian piano una coscienza
nazionale ed una cultura
nazionale, bensì piuttosto a scioglierle in innumerevoli piccoli
frammenti e
particelle... (4)
Quindi la politica delle nazionalità del nazifascismo era quella
del
divide et impera.
Tant'è vero che alcuni dei piccoli popoli che nella sua avanzata
verso Est il nazifascismo andava a soggiogare, si diceva che
venivano... liberati. Ecco, uno di questi popoli erano i croati. Nei
Balcani si trattava di usare
questo piede di porco per smembrare quello che era dapprima il
Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni,
poi diventato
Regno di Jugoslavia,
un'entità, pur con tutti i suoi limiti, comunque multinazionale.
E si andavano a creare numerosi staterelli-fantoccio e
protettorati. Per realizzare questo progetto bisognava colpire in
primis i serbi, per vari
motivi:
- perchè questa disgregazione ai serbi non conveniva, in quanto
erano
stanziati pressochè ovunque nei Balcani;
- perchè storicamente avevano sempre rappresentato il focolaio
della lotta per la emancipazione contro le potenze straniere nell'area,
sia contro i turchi che contro l'Austria-Ungheria;
- perchè, come i Piemontesi in Italia, erano stati gli
iniziatori del processo di unità jugoslava, e quindi i
principali nemici dell'idea di disgregazione in "piccole patrie";
- perchè infine avevano dimostrato, con la rivolta popolare, di
opporsi in massa a una alleanza con l'Asse.
Quello dell' NDH è l'esempio più lampante di questa
politica che vezzeggiava i "piccoli popoli". Si fece leva sul
sentimento nazionalista croato, che per ragioni storico-culturali era
affine all'idea di una Europa a dominio germanico, e lo si
utilizzò per una operazione di feroce pulizia etnica - eliminare
i serbi significava eliminare
un
terzo della popolazione, poichè erano circa un terzo i
serbi sul totale della popolazione di quella Croazia che comprendeva
grossomodo le attuali Croazia e Bosnia-Erzegovina.
LO STERMINIO USTASCIA
Come si poteva eliminare un terzo della popolazione sul proprio
territorio? Lo slogan
adottato dal Ministro degli Interni dell'NDH fu: per quanto riguarda i
serbi,
un terzo li scacceremo, un
terzo li convertiremo [
forzatamente
al
cattolicesimo,
poichè come è noto questo è ciò che
distingue i serbi dai croati, e nient'altro: l'appartenenza alla
cristianità ortodossa per i primi, mentre i secondi fanno
riferimento alla Chiesa cattolica romana]
, e un terzo li uccideremo.
Alla fine della II G.M., di tutte le vittime sul territorio dell'NDH la
grande maggioranza erano serbi (64,3%: dopo la guerra non c'era
famiglia serba che non avesse subito lutti), seguivano poi gli stessi
croati (17,2% delle vittime, chiaramente oppositori politici - non
dimentichiamo che lo stesso maresciallo Tito, che condusse la Guerra di
Liberazione contro i nazifascisti, era di famiglia mista croata e
slovena; e non dimentichiamo nemmeno tanti episodi di eroismo dei
partigiani croati, come quelli descritti nel film "
Ne okreci se sine" di cui sopra).
Tra le vittime c'erano poi i musulmani (6,97%, oppositori politici),
gli ebrei (5,6%), i rom (2,6% - se ne parla in alcuni pannelli nella
mostra).
In questo quadro fu pesantissimo il bilancio delle vittime infantili
(fino ai 14 anni), come si legge nella mostra:
Totale: 74,762
uccisi: 60,234 (32,054 bambini 28,012 bambine 168 non conosciuti)
altre vittime di guerra (deceduti, morti di morte non naturale,
scomparsi): 14,528
bambini uccisi nel Lager di Jasenovac: 19,432
bambini
serbi 11,888
bambini
rom 5,469
bambini
ebrei 1,911
altri
bambini 164.
Soffermiamoci ora brevemente sulla geografia dell'universo
concentrazionario degli ustascia.
Jasenovac è il grande complesso che si trova ancora, come
Museo-memoriale, e si trovava all'epoca, sulle due rive del fiume Sava.
Era una specie di cittadella, qui descritta in dettaglio in alcuni
pannelli, costituita dai due campi di Jasenovac e Nova Gradisca.
C'era poi il gruppo dei lager di Gospic, con il Penitenziario ed il
Centro di raccolta vicino alla stazione ferroviaria di Gospic.
C'era Jadovno, dove nei 132 giorni della sua esistenza (aprile – agosto
1941), furono uccisi almeno (secondo le
liste di trasporto ed altri documenti) 40.123 appartenenti del popolo
serbo ed ebraico, di cui 10.688 cadaveri identificati.
Ad Ovčara c'era la cosiddetta "stalla di Maksimović". C'era poi
Stupačinovo, vicino a Baške Ostarije.
Sull'Isola di Pag, dove si va oggi in vacanza - posti bellissimi, io
stesso ci sono andato... ma ci si va senza sapere niente di questa
storia di migliaia e migliaia di persone che vicino al mare
azzurrissimo e su quelle rocce spoglie sono state letteralmente
scannate, nella maniera più artigianale, più bestiale,
nelle località di Slana e Metajna, alla "Furnaža", dagli
ustascia alleati degli italiani.
E poi furono tanti altri i luoghi dello sterminio: 32 foibe sulla
montagna Velebit, la foiba di Saran, la fossa Golubinka a Prebilovci, a
pochi passi da dove oggi sorge il santuario di Medjugorije...
LA GUERRA NAZIFASCISTA
COME GUERRA DI RELIGIONE
E visto che siamo arrivati a Medjugorije, passiamo a parlare dell'altro
fattore della strategia nazifascista, quello religioso. Benchè
il nazionalsocialismo come movimento politico-ideologico
in se' proclamasse una specie di neopaganesimo, in realtà la sua
ascesa e la ascesa dei movimenti alleati - dal fascismo italiano alle
diverse forme di fascismo nei vari paesi europei - sono state possibili
solo grazie all'appoggio di un
vecchio
mondo formato da tutte le classi sociali in declino, non solo
quindi la
borghesia, ma anche a pieno titolo quei residui dell'Europa feudale,
aristocratica e clericale che ancora sopravvivevano e, va detto, non
sono affatto ininfluenti nemmeno oggi.
Tutti costoro espressero con il nazifascismo la loro
reazione rabbiosa
di fronte al mondo che cambiava, ed in particolare di fronte alla
vittoria della Rivoluzione d'Ottobre.
In molti paesi e territori quella perpetrata dal nazifascismo fu quindi
anche di una guerra di religione, ed in particolare la guerra della
Chiesa Cattolica Apostolica Romana per il consolidamento della propria
egemonia in Europa, per la affermazione di una Europa non solo
germanica, ma anche cattolica, proprio come nella antica tradizione
carolingia. Tradizione che era richiamata esplicitamente dal nazismo,
ed alla quale in maniera inquietante si continua a fare riferimento a
livello
di nuove istituzioni europee - si pensi alla istituzione del
Premio
Charlemagne.
Questa potrebbe quindi essere la chiave di interpretazione più
generale per i fatti avvenuti nel corso della II Guerra Mondiale nei
Balcani: l'alleanza tra il delirante progetto di una Europa a guida
germanica, e la perdurante battaglia che la parte più
reazionaria del mondo cattolico riteneva ancora di dover condurre
contro gli
scismatici,
cioè quei cristiani che nel 1054
rifiutandosi di riconoscere il primato del vescovo di Roma avevano dato
vita alla corrente cosiddettà "ortodossa" nell'ambito della
cristianità. Ad avvalorare questa mia tesi vorrei portare alcuni
argomenti:
# tale guerra di religione fu scatenata non solo dagli ustascia croati
contro i serbi, ma anche in altri territori orientali: si pensi ad
esempio ai
pogrom praticati
in Ucraina dai cattolici e dagli
uniati
contro gli ortodossi; oppure si ricordi che in Slovacchia il capo dello
Stato collaborazionista dei nazisti era il vescovo cattolico
Jozef Tiso.
# Per quanto riguarda il carattere
clerico-fascista
del regime
instaurato in Croazia dagli ustascia, gli esempi di sprecano. Le
conversioni forzate al cattolicesimo furono regolate da apposito
decreto legge nello Stato ustascia (se ne parla anche nella mostra).
Molte informazioni si trovano su interessanti testi di riferimento (qui
indicati in
Bibliografia). Io mi limito a citare
qui alcuni passaggi da un testo di Karlheinz Deschner: (5)
Il Papato di Roma
(...) ha sostenuto nel XX secolo il sorgere di tutti gli Stati fascisti
con determinazione, ma più degli altri ha favorito proprio il
peggior regime criminale: quello di Ante Pavelić in Jugoslavia.
Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni '30 addestrò le sue
bande soprattutto in Italia, fece uccidere nel 1934 a Marsiglia il re
Alessandro di Jugoslavia in un attentato che costò la vita anche
al ministro degli Esteri francese. Due anni più tardi
celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il più
grande ed il migliore dei figli della Germania", e ritornò in
Jugoslavia nel 1941, rifornito da Mussolini con armi e denari, al
seguito dell'occupante tedesco.
(...) Con particolare calore fu accolto e
benedetto da Pio XII in udienza privata (benchè già
condannato a morte in contumacia per il doppio omicidio di Marsiglia
sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il grande complice dei
fascisti si accommiatò da lui e dalla sua suite in modo
amichevole e con i migliori auguri, letteralmente, di "buon lavoro".
Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha nulla da
invidiare ai peggiori massacri del Medioevo, ma piuttosto li supera.
Duecentonovantanove chiese serbo-ortodosse della "Croazia Indipendente"
furono saccheggiate, annientate, molte trasformate persino in
magazzini, gabinetti pubblici, stalle. Duecentoquarantamila Serbi
ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa
settecentocinquantamila furono
assassinati. Furono fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati
nei fiumi, nelle foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette
"Case del Signore", ad esempio duemila persone solo nella chiesa di
Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure si tagliavano
le orecchie ed il naso, da vivi li si seppelliva, erano sgozzati,
decapitati o crocifissi. Gli Italiani fotografarono un sicario di
Pavelić che portava al collo due collane fatte con lingue ed occhi di
esseri umani.
Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti dei Serbi furono macellati,
taluni in maniera ripugnante, come il pope Branko Dobrosavljevic, al
quale furono strappati la barba ed i capelli, sollevata la pelle,
estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era fatto letteralmente a
pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar
Simonic, fu sgozzato.
Ciononostante l'arcivescovo cattolico della città di Oden
scrisse parole in lode di Pavelić, "il duce adorato", e nel suo foglio
diocesano inneggiò ai metodi rivoluzionari, "al servizio della
Verità, della Giustizia e dell'Onore".
(...) Questo regime - che ebbe per simboli e strumenti
di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime assolutamente
cattolico, strettamente legato alla Chiesa Cattolica Romana, dal primo
momento e sino alla fine. Il suo dittatore Ante Pavelić, che era tanto
spesso in viaggio tra il quartier generale del Führer e la Berghof
hitleriana quanto in Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac
"un croato devoto", e dal papa Pio XII (nel 1943!) "un cattolico
praticante". In centinaia di foto egli appare fra vescovi, preti,
suore, frati. Fu un religioso ad educare i suoi figli. Aveva un suo
confessore e nel suo palazzo c'era una cappella privata. Tanti
religiosi appartenevano al suo partito, quello degli ustasa, che usava
termini come dio, religione, papa, chiesa, continuamente. Vescovi e
preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da
ufficiali della guardia del corpo di Pavelić. I cappellani ustasa
giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale
ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani,
comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!".
Essi dichiaravano giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano
"non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se
questo infrange la legge degli ustasa" [il fatto è documentato nella
mostra, ndAM]. "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo
più breve possibile": questo fu indicato più volte come
"il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli
ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento.
Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato
cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di
Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava
anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". Il campo di
concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano
Filipovic-Majstorovic per comandante [il
fatto è documentato nella mostra, ndAM], che fece ivi
liquidare 40.000 esseri umani in quattro mesi. Il seminarista
francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942,
1360 persone con una mannaia. Non per caso il primate del paradiso dei
gangsters cattolici, arcivescovo Stepinac, ringraziò il clero
croato "ed in primo luogo i Francescani" quando nel maggio 1943, in
Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa. E naturalmente
il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa,
membro del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto
accadeva in questo criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua
Santità lo stesso Pio XII, che in quel tempo concedeva una
udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici
ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa
(sulle cui uniformi campeggiava la grande "U" con la bomba che esplode
all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono allora, circa
750.000, per ripeterlo, spesso in seguito a torture atroci, in misura
del 10-15% della popolazione della Grande Croazia (...). E se non si sa
nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere
ciò che laggiù avviene oggi...
In questo testo viene posta la questione di Pio XII, del quale è
stata proposta la beatificazione. Tale questione, che è al
centro di polemiche tra il mondo ebraico e il mondo cattolico, è
veramente cruciale, perchè Pio XII ebbe pesanti
responsabilità nelle politiche praticate dagli ustascia.
Successivamente, alla fine della II G.M., il Vaticano e alti prelati
cattolici ebbero pesanti responsabilità per quanto riguarda la
fuga dei criminali di guerra nazifascisti in generale, e ustascia in
particolare. A gestire la
rete
di fuga di tali criminali furono peraltro proprio elementi di
spicco del clero cattolico
croato,
a partire da don Krunoslav Draganović, come è spiegato nel libro
Ratlines. I
criminali, inclusi gli ustascia, poterono così scappare verso
gli USA, l'Argentina, l'Australia...
E fu così che i movimenti ustascia poterono sopravvivere al
crollo del nazifascismo, e sopravvisse la loro stessa cattolicissima
impostazione; non a caso una delle tendenze dei fuoriusciti ustascia
era quella dei
križari, i
"crociati".
D'altronde il Vaticano mantenne un atteggiamento di grande
ostilità nei confronti della Jugoslavia per tutto il dopoguerra.
Quando nei primi anni Ottanta Wojtyla chiese di poter visitare la
Jugoslavia, dal governo socialista jugoslavo venne la richiesta che
egli si recasse a Jasenovac. Il Vaticano preferì annullare la
visita pastorale piuttosto che ammettere i crimini commessi a
Jasenovac. Ciliegina sulla torta: Giovanni Paolo II ha visitato per ben
tre volte la Croazia di Tudjman, e in una di queste occasioni,
all'inizio di ottobre 1998, era lì per beatificare l'arcivescovo
Stepinac, vero
trait d'union
tra i criminali ustascia e il Vaticano. Perciò, anche sulla
figura di Wojtyla, e su tutta la gestione della "politica estera"
vaticana, ci sarebbe molto da interrogarsi e discutere al di là
dei luoghi comuni.
USTASCIA OGGI
Gli ustascia espatriati furono riutilizzati,
nel corso di
tutta la Guerra Fredda, nella strategia della
tensione, non solo contro la Jugoslavia: nomi di nazionalisti croati
compaiono nelle carte che riguardano Portella della Ginestra, la strage
di Piazza della Loggia, il nascondiglio di armi della Gladio ad
Aurisina, e così via.
Il nuovo smembramento della Jugoslavia si preparò negli anni '70
e '80, con le "visite di cortesia" di Tudjman ai nazionalisti ustascia
espatriati in
Argentina, Australia, Canada.
Quello che è successo negli ultimi venti anni in Jugoslavia
dimostra che il fatto
di non
conoscere, di non far conoscere, di non voler far conoscere la
storia recente dell'Europa è ciò che consente che quei
crimini vengano ripetuti.
Noi ci ritroviamo ai confini adesso dell'Italia uno Stato smembrato
in sette parti, e
probabilmente diventeranno di più. E' una cosa semplicemente
vergognosa che si sia consentito che uno Stato venisse smembrato in
sette parti, e nella maniera più sanguinosa. Si tratta, ne'
più ne' meno, che della inversione degli esiti della II Guerra
Mondiale: con l'abbattimento del Muro di Berlino, nei Balcani sono
ritornati al potere quelli che avevano perso nell'aprile-maggio 1945.