"La Croazia
Indipendente leghera' il suo futuro al Nuovo Ordine
Europeo che avete realizzato
Voi, Fuehrer, insieme al Duce"
telegramma di Ante Pavelic ad Adolf Hitler, 11 Aprile
1941
(citato da K. Deschner in "Die Politik der
Paepste in XX. Jahrhundert",
Rowohl 1991, pag.218 - vedi sotto)
(caricato da Storia Festival, 2 agosto 2016)
Il campo di addestramento paramilitare
degli ustascia che si preparano
all'attentato al re Alessandro I di
Jugoslavia (Marsiglia, 1934) nel ricordo
degli abitanti di Borgo Val di Taro. Tratto
da: Documenti di Storia e di cronaca, di
Leandro Castellani (RAI 1969)
State visit of Dr. Ante Pavelic,
Poglavnik of the Croatian Nation to Rome
on May 22nd, 1941. The Croatian delegation
receives the greetings of the Italian
Chief of Government Benito Mussolini and
the King Victor Emmanuel III of Savoy.
King Victor Emmanuel, at the Poglavnik
solemn request, designates Duke Aimone of
Savoy as the new Monarch of Kingdom of
Croatia...
LA AUSCHWITZ
DEL VATICANO
pagine a cura di Massimo Mazzucco
PRIMA PARTE: CHIESA E FASCISMO / I
CONCORDATI DELLA CHIESA / ALL'ALBA DELLA II
GUERRA MONDIALE
SECONDA PARTE: I BALCANI NELLA SECONDA
GUERRA MONDIALE / IL RUOLO DELL'ITALIA
TERZA PARTE: L'ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA
/ LE COLPE DI STEPINAC E DEL CLERO CATTOLICO
IN CROAZIA
QUARTA PARTE: JASENOVAC / LA GUERRA DEI
FRANCESCANI
QUINTA PARTE: PIO XII E LA COMPLICITA' DELLA
SANTA SEDE / GLI ARGOMENTI A FAVORE DELLA
CHIESA / CONCLUSIONE
NOTE E RIFERIMENTI
THE VATICAN'S
HOLOCAUST The
sensational account of the most horrifying
religious massacre of the 20th century -
by Avro Manhattan http://www.reformation.org/holocaus.html
Il ruolo del Vaticano nel Genocidio
dei serbi 1-2 (Pubblicato col permesso del
Jasenovac Committee)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=xr7eZ8M7AWo Nazistatthalter in
Zagreb(Von
Roland Zschächner – junge Welt, Berlin,
09.04.2016 – auch über
JUGOINFO) Vor 75 Jahren hievten die
faschistischen Besatzer Ante Pavelic und
seine Ustascha im »Unabhängigen Staat
Kroatien« an die Macht
Americans: Look What
Happened at Jasenovac Concentration Camp 20 Nov 2006 - by
Greg Szymanski http://www.arcticbeacon.com/20-Nov-2006.html Exclusively on
Jasenovac.org: A new translation of
chapters from Jasa
Romano's "The Jews of Yugoslavia
1941-1945 - Victims of Genocide and Participants
in the War of National Liberation,"
on the Holocaust in
Kosovo and Albanian collaboration with
the Nazi Final Solution -
translated by JRI Director Milo
Yelesiyevich. http://jasenovac.org/libraries/viewdocument.asp?DocumentID=147
THE USTASHA GENOCIDE
By Marko Attila Hoare - The South Slav
Journal, Volume 25 No. 1 – 2
(95 – 96) Spring - Summer 2004 http://www.southslavjournal.com/mah.html
VIDEO:
Entrevista con Dinko Sakic, jefe del
campo de concentración de
Jasenovac-Croacia (en espańol) Descripción:
Entrevista con el vampiro, en un VIDEO
de la cadena argentina, habla Dinko
Sakic, el jefe del campo de
concentración de Jasenovac-Croacia (2,8
Mb) http://www.semanarioserbio.com/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=9
# Ćelija
smrti Đorđe
MIHOVILOVIĆ Jasenovac: Javna ustanova
Spomen-područje Jasenovac, 2013. (Jasenovac Memorial pub.
about Stara Gradiška)
# ITALIA E STATO INDIPENDENTE CROATO
(1941-1943)
di Alberto Becherelli - Nuova Cultura, 2012 pagine: 348 - prezzo: 23,00 euro Il volume si propone di ricostruire
alcuni aspetti delle relazioni
politico-diplomatiche, militari ed
economiche intercorse tra l’Italia e lo
Stato Indipendente Croato fino alla caduta
del fascismo e al successivo armistizio
dell’8 settembre 1943. Ufficialmente
contrassegnate dal rapporto di alleanza,
le relazioni italo-croate furono
caratterizzate in realtŕ da una forte
conflittualitŕ a diversi livelli, generata
da alcune fondamentali questioni, tra le
quali primeggiava la disputa dalmata. Le
tensioni non riguardarono solo i rapporti
tra Roma e Zagabria ma determinarono ancor
piů una serie di attriti tra le autoritŕ
militari e le personalitŕ politiche
italiane all’interno dello stesso Stato
croato: gli ambienti militari italiani fin
dall’inizio si dimostrarono critici nei
confronti degli ustaša al potere, mentre
la Legazione Italiana a Zagabria criticň
gli atteggiamenti filo-serbi assunti da
ufficiali e soldati italiani.
L’intransigenza degli ustaša vicini alla
Germania nazista in contrapposizione alla
flessibilitŕ che caratterizzň le posizioni
del leader Ante Pavelić rappresentň poi un
ulteriore ostacolo per l’imperialismo
italiano; senza dimenticare infine, nel
contesto quotidiano, i numerosi
“incidenti” tra militari italiani e
milizie croate. Alberto Becherelli ha conseguito il
titolo di dottore di ricerca in Storia
dell’Europa presso Sapienza, Universitŕ di
Roma. Collabora con la cattedra di Storia
dell’Europa Orientale del dip.to di Storia,
Culture, Religioni e con l’Ufficio Storico
dello Stato Maggiore dell’Esercito. Si
occupa di Storia dell’Europa
danubiano-balcanica con particolare
interesse all’area ex jugoslava. La
recensione di Giordano Merlicco (anche su
JUGOINFO)
# LA VIA DEI CONVENTI.
ANTE PAVELIĆ E IL TERRORISMO USTASCIA DAL
FASCISMO ALLA GUERRA FREDDA
di Pino Adriano e Giorgio Cingolani
Mursia 2011 - ISBN 978-88-425-4666-5
- euro 20
«A
volte distinti per nazionalitŕ,
a volte mescolati nelle stesse
comitive, criminali di guerra
tedeschi, austriaci e croati
fuggirono tra il 1945 e il 1948
lungo la “via dei conventi”
secondo piani prestabiliti dai
tre principali artefici
dell’esfiltrazione: l’ex
colonnello delle SS Walter
Rauff, il vescovo austriaco
Alois Hudal e monsignor
Krunoslav Draganović.»
L’organizzazione
segreta ustascia, creata nel 1930
da Ante Pavelić,
si batteva per l’indipendenza
della Croazia dal regno di
Jugoslavia. Ben presto, con il
sostegno di Mussolini, Pavelić
allestě le proprie basi
clandestine in Italia e ramificň
l’organizzazione in varie parti
del mondo. Per un decennio il
terrorismo ustascia si manifestň
con sanguinosi attentati, come
quello di Marsiglia del 1934, che
costň la vita ad Alessandro I di
Jugoslavia e al ministro degli
Esteri francese Louis Barthou.
Disgregata la Jugoslavia nel 1941,
Hitler e Mussolini affidarono a
Pavelić la guida dello Stato
fantoccio croato. Il fanatismo
confessionale e razzista degli
Ustascia divenne terrorismo di
Stato e i massacri perpetrati
contro Serbi, Ebrei e Rom furono
uno dei peggiori crimini del XX
secolo. Fuggiti in Italia nel 1945
attraverso la «via dei conventi» e
poi emigrati in Argentina, gli
Ustascia continuarono a praticare
la violenza fino alla morte di
Pavelić, avvenuta in Spagna nel
1959, e anche in seguito.
Adriano e Cingolani mettono
in luce, sulla base di documenti
diplomatici e d’archivio di
numerosi Paesi, gli intrecci che
l’organizzazione ebbe con i
governi che segretamente la
sostenevano, tra cui il Fascismo
prima ed esponenti del Vaticano
poi, e rivelano le radici lontane
dei piů recenti conflitti in terra
balcanica.
Pino Adriano,
regista e giornalista televisivo,
ha realizzato un centinaio di
programmi per la RAI con
particolare riguardo alla storia
economica, sociale e politica del
Novecento italiano. Ha scritto Corpi
di
reato. Quattro storie degli anni
di piombo (2000), di cui
č coautore Giorgio Cingolani, e L’intrigo
di Berna (2010).
Giorgio Cingolani,
storico e saggista, ha scritto Il
Fermano negli anni ’20
(1994), La destra in armi
(1996) e, con Pino Adriano, Corpi
di reato. Quattro storie degli
anni di piombo (2000).
Collabora a riviste di settore.
INDICE
DELL’OPERA - Fonti e
abbreviazioni - Parte Prima. Il
movimento ustascia dalle origini
al 1941 - Capitolo Primo. Le
origini (Il regicidio - Le
origini croato-bosniache
dell'ustascismo - Il frate
bosniaco - Gli Slavi del Sud tra
idea nazionale e progetti
statuali: Grande Serbia, Grande
Croazia e Jugoslavia - I popoli
jugoslavi e la Grande Guerra -
Gli interessi italiani sullo
spazio jugoslavo e il
contenzioso tra i due paesi - Il
piano di azione tra gli
jugoslavi e il Comitato croato -
Dal Trattato di Rapallo al
Trattato di Roma) - Capitolo
Secondo. Il Regno dei Serbi,
Croati, Sloveni e 1'Italia
(Stato unitario degli Slavi del
Sud - Stato e chiese - Il
Partito del diritto di stato
croato e l'Italia – Mussolini,
Grandi e Badoglio - La visita di
Pavelić a Roma - Pavelić alla
Skupština - L'azione del
separatismo macedone – L’eccidio
della Skupština - Il programma
croato - Il comitato segreto e
le forniture d'armi - Pavelić in
esilio - Gli accordi di Sofia) -
Capitolo Terzo. Sotto l'ala del
Duce (Pavelić in Italia - La
missione dell'ingegnere – La
nascita dell'Ufficio Croazia -
Il fronte croato-macedone - Il
Vaticano e la questione croata -
Dal Domobran all'Ustaša -
Propaganda e azione armata - Il
Nucleo - La «rivolta» della Lika
e l'Internazionale fascista - Il
potenziamento del Nucleo -
L'attentato di Zagabria) -
Capitolo Quarto. Il regicidio
(La nuova situazione
internazionale - I movimenti del
Nucleo - Verso Marsiglia -
L'attentato - L'inchiesta - Le
conseguenze - Le responsabilitŕ
del regime fascista) - Capitolo
Quinto. Da Torino a Zagabria (La
détente italo-jugoslava - La
tela del ragno - La libertŕ
vigilata - Pavelić contro Maček
– Il Trattato di amicizia
italo-jugoslavo - Lo
scioglimento del Nucleo - Il
Concordato incompiuto - La rete
di sostegno - Errori e orrori –
Certose e conventi - La Croazia
tra Italia e Germania - La
rimobilitazione di Pavelić) -
Parte Seconda. Gli Ustascia al
potere 1941-1945 - Capitolo
Primo. Lo Stato indipendente
croato (La guerra contro la
Jugoslavia - La nascita dello
Stato indipendente croato - La
Chiesa croata e il nuovo Stato -
Il viaggio di Pavelić a Roma) -
Capitolo Secondo. I massacri di
Serbi, di Ebrei e di Rom (Dalle
leggi razziali ai massacri - La
spoliazione dei beni delle
vittime - L'occupazione
italiana: problemi militari e
sociali - Testimonianze,
proteste, denunce dei massacri -
Il delegato vaticano – Le
conversioni coatte – Jasenovac)
- Capitolo Terzo. Problemi di
sopravvivenza dello Stato
indipendente (Il Movimento di
liberazione nazionale jugoslavo
e i Cetnici - Contrasti e
dissidi tra Italia e Stato
indipendente croato - Frattura
sociale e opposizione al regime
in Croazia - L'accordo con i
Cetnici e i crimini italiani -
La Santa Sede e la situazione in
Croazia) - Capitolo Quarto.
Crisi e fine dello Stato croato
(La guerra a una svolta - La
fine dell'egemonia italiana in
Dalmazia - La missione di
Draganouić - Le conseguenze
dell'armistizio italiano – I
tentativi ustascia di salvare lo
Stato croato - Tito a Belgrado -
La fine dello Stato croato - La
distruzione di Jasenovac - Dopo
il crollo, la fuga – Bleiburg -
I massacri perpetrati dagli
Ustascia tra memoria, rimozione
e strumentalizzazioni) - Parte
Terza. Ustascia e Guerra Fredda
1945-1959 - Capitolo Primo.
Criminali di guerra in fuga (Le
liste nere - I piani di
sopravvivenza – Pavelić in
Austria - Le reti di sostegno e
l'oro ustascia - Ustascia e SS
sulla via dei conventi) -
Capitolo Secondo. La rete e le
trame degli Ustascia in Italia
(Profughi e criminali di guerra
- Gerarchi e conventi - Sulle
tracce del poglavnik -
L'attivitŕ anticomunista degli
jugoslavi - La querelle sui
criminali di guerra) - Capitolo
Terzo. La crociata
anti-comunista (La Jugoslavia
socialista - L'opposizione al
regime comunista - Il processo
Stepinac - Il Hrvatski narodni
otpor - L'Operazione 10 aprile –
La rottura tra Stalin e Tito) -
Capitolo Quarto. Verso il Nuovo
Mondo (Obiettivo Argentina -
Argentina e Terzo Reich -
L'ascesa di Perón - Il ponte
Madrid-Buenos Aires - La Pax
Romana - La via italiana - Il
piano di immigrazione - Sotto la
Lanterna - Il viaggio di Evita e
la nascita della SARE - La
partenza di Pavelić - La via dei
conventi e la ratline americana)
- Capitolo Quinto. Gli Ustascia
in America (Gli Ustascia in
Argentina - Pavelić a Buenos
Aires - Crisi e frantumazione
del movimento ustascia - La
caduta di Perón e l'attentato a
Pavelić – La morte di Pavelić -
La vicenda di Artuković) –
Epilogo. La questione ustascia
tra Jugoslavia e Vaticano
1952-1972 (La nuova identitŕ
jugoslava - Jugoslavia e
Vaticano: dall'ostilitŕ al
dialogo - Liberalizzazione ed
emigrazione nella Jugoslavia
degli anni Sessanta - La ripresa
del terrorismo ustascia -
L'accordo tra Jugoslavia e
Vaticano - Il ritorno di
Draganović - L'esplosione del
terrorismo e la «Primavera
croata») - Note - Ringraziamenti
- Bibliografia - Indice dei nomi
# ANTE PAVELIC - IL DUCE CROATO Da documenti inediti nuova luce sui
rapporti tra Mussolini, gli Ustascia e il
Vaticano... di
Massimiliano Ferrara
Introduzione
di Lucio Caracciolo
Collana di Resistenza Storica / Editrice
KappaVu - Udine 2008
# Catalogo della
mostra
ERANO SOLO
BAMBINI
Jasenovac tomba di 19432 bambine e bambini Dragoje
Lukić, Jovan Mirković (edts.)
Museo delle vittime del genocidio di
Belgrado / Muzej
žrtava genocida Beograda / Museum of genocide victims
Belgrade, 2006
ISBN-10 86-906329-4-8 / ISBN-13
978-86-906329-4-7 Catalogue
of the exibition THEY WERE
ONLY CHILDREN
Jasenovac crypt of 19432 girls and boys
# IL SILENZIO DI
PIO XII Papa
Pacelli e il nazifascismo
di Carlo Falconi
Kaos edizioni, Milano 2006, € 22
ISBN 88-7953-158-1
ristampa
dell'opera del 1965, con accurate
informazioni sulla vicenda dello Stato
clericonazista croato NDH
# USTASCIA Patrioti
idealisti o spietati assassini? di Claudio
Delgrosso
Ass. Ricerche Storiche Valtaresi – Borgotaro
(PR), maggio 2000 opuscolo
sulla permanenza e l'addestramento a Borgo
Taro dei terroristi ustascia nel anni '30
Gangemi Editore, 1998
Collana Storia e filosofia
Prezzo € 14,46, 144 p.
ISBN: 8874488769
Indice:
Introduzione
Capitolo 1: Il fascismo, gli ustascia e la
Jugoslavia: il primo livello di intervento
(Il fascismo e la penisola balcanica; La
politica segreta del fascismo nei Balcani
fino al 1928; Il primo livello)
Capitolo 2: La nascita e l'organizzazione
del secondo e del terzo livello italiano
di intervento
(Le coperture italiane; Il secondo livello
di intervento; L'organizzazione degli
ustascia in Italia; Il terzo livello di
intervento)
Capitolo 3: Dalla nascita
dell'organizzazione all'attentato di
Marsiglia: 1929-1934
(I campi di addestramento; L'eccidio di
Marsiglia)
Capitolo 4: Da Marsiglia a Lipari:
1934-1936
(Le conseguenze dell'attentato di
Marsiglia rispetto agli ustascia in
Italia; A Lipari: il "falso confino" e il
periodo di detenzione di Ante Pavelic;
Dalla liberazione di Pavelic allo
scioglimento dell'organizzazione in
Italia; La copertura del "nucleo
ungherese")
Capitolo 5: Dallo scioglimento alla
riunione: 1937-1941
(L'accordo Ciano-Stoijadinovic e lo
scioglimento dell'organizzazione in
Italia; Lipari: i trasferimenti e i nuclei
sparsi; 1937-1940, il problema dei
rimpatri; 1939-1941, il nuovo interesse
italiano e la ricostituzione del reparto
militare; Il finanziamento e i costi dal
1929 all'aprile 1941; verso lo stato
croato indipendente)
A metŕ
novembre 2010 abbiamo appreso con
dolore della morte di Marco
Aurelio Rivelli, storico e
saggista coraggioso e capace.
Solo tramite i lavori di Rivelli
molti di noi hanno potuto
conoscere aspetti della storia del
Novecento di cui č negato
l'insegnamento nelle scuole,
impedita la divulgazione sui
media, omesso ogni approfondimento
o iniziativa da parte degli
Istituti di Storia contemporanea e
del mondo accademico in genere.
Rivelli si č spento a Milano. Era
affetto da alcuni anni da una
tremenda malattia che poco per
volta aveva paralizzato le sue
facoltŕ cognitive. Per di piů, le
condizioni economiche ed
esistenziali sue e di sua moglie
erano diventate critiche, con uno
sfratto incombente e senza sapere
dove andare. Questa č la sorte che
in Italia č riservata agli
intellettuali che mantengono il
proprio rigore scientifico e
morale, uscendo cosě dal "coro".
Edited
by Barry M. Lituchy, Published by
JRI, 2006, 408 pp.
As scholarship and awareness of
the Holocaust grew rapidly in
the 1990's, information on
Jasenovac and the genocides
perpetrated against Serbs,
Jews and Romas in Yugoslavia during
World War II was absent from
this discussion. This neglect posed
some troubling questions. How
could the subject of Jasenovac be
absent from public and
scholarly attention at the very
moment when discussions of
genocide, war crimes and human
rights in the Balkans were on
the front pages of every
newspaper, and in the pronouncements
of every Holocaust and human rights
institution and governement in the
world? How could any serious
public discussion of genocide in the
former Yugoslavia begin
without the necessary historical
context?
In 1997 Kingsborough Community
College in Brooklyn, New York hosted
a conference on Jasenovac and
the Holocaust in Yugoslavia. The
results of that conference are
presented here for the first time in
an accurate and authorized
edition, prepared in cooperation
with the authors.
This book contains 30 chapters
including a 40 page
introduction. There are 15
chapters of analyses by historians
including Michael Bernebaum,
Christopher Simpson, Antun Miletic,
Eli Rosenbaum, Charles R.
Allen Jr. and others, along with 15
chapters of unique Holocaust
testimonies by Jasenovac and other
concentration camp survivors.
There are 97 photographs, 30 pages
of appendices with never
before translated documents,
maps, a twelve page double columned
index with detailed entries,
27 biographical entries on
contributors, and discussion
of secondary source literature. The
entire book is annotated and
expertly prepared. This book
provides one of the most
extensive and accurate presentations
of this subject in the English
language ever produced.
To order, send a check or money order
for $32 paperback or $37 hardcover
(includes shipping and handling) payable to:
Jasenovac Research Institue
PO Box 10-0674
Brooklyn, NY 11210
USA
You may also order on-line at
www.jasenovac.org by clicking the
"financial contributions" button and paying
through a paypal account.
Book
Review: Jasenovac and the Holocaust in
Yugoslavia
By Norman
Markowitz, Department of History, Rutgers
University
Jasenovac and the Holocaust in
Yugoslavia: Analyses and Survivor
Testimonies Edited by Barry Lituchy New York, Jasenovac Research
Institute, 2006.
The word Holocaust has come to
describe the horrors of the planned
extermination campaigns launched by Nazi
Germany and its allies during World War
II. These campaigns, as most people know,
resulted in the murder of six million
Jewish people of various European
nationalities, about one third of the
Jewish people of the world at the time.
Many millions of others perished in
concentration camps, in mass killings used
as reprisals for partisan attacks, in
policies of forced labor and food
deprivation designed by the Nazis and
their fellow fascists to work and starve
"inferior races" to death.
But the history of the Holocaust during
World War II in what was then "former
Yugoslavia" is not at all well known. Had
it been better known, liberal minded
people might not have responded to the
propaganda used to line up support for
Croatian and Bosnian separatists during
the Yugoslavian civil war of the 1990s,
which has created a new "former
Yugoslavia" whose map and whose "favored
nations" resembles the map drawn by Hitler
and Mussolini in 1941.
The Jasenovac Institute was founded by
Barry Lituchy and others to educate people
internationally about the Holocaust in
Yugoslavia. I am proud to be a member of
the Institute’s Board and an active
supporter and contributor to its mission.
The Institute’s name derives from the
Jasenovac complex of murder camps run by
the Ustasha, a Croatian nationalist
organization which the Nazis put into
power over Croatia and Bosnia when they
dismembered Yugoslavia in 1941. Jasenovac
was the third largest extermination camp
in Europe after Auschwitz and Treblinka
and the only extermination camp not run by
Hitler’s SS. In it hundreds of thousands
of Serbians, mostly from Croatia and
Bosnia, perished (an estimated
600,000-700,000) along with tens of
thousands of Jewish and Roma (Gypsy)
people.
Based largely on a conference held at
Kingsborough Community College in 1997,
Jasenovac exposes the horrors inflicted on
the people of Yugoslavia, scholarly
debates about the complicity of Croatians,
the Vatican, and others in perpetrating
those horrors, and their effects on the
postwar history of the region and the
world. Barry Lituchy’s careful, lucid
introduction explains both the complicated
historical background, the debates among
historians, and the testimonies of
survivors that the work presents
Contributors to this book include many
Yugoslav scholars, such as the
distinguished Anton Miletic, director of
former Yugoslavia’ military archives.
Non-Yugoslav participants included Eli
Rosenbaum, Director of the Office of
Special Investigations of the Justice
Department, which sought to deport and
extradite fascist war criminals from the
U.S., Charles Allen, who pioneered in
exposing the fascist criminals living in
the "free world" from the 1960s on, and
Christopher Simpson, author of the classic
work, Blowback: America’s Recruitment of
Nazis and its Disastrous Effects on Our
Domestic and Foreign Policies.
The question of records, sources, and
numbers of victims is debated by the
historians from various perspectives. The
book also discusses ability of certain
Ustasha war criminals to escape punishment
with the assistance of the Vatican and the
U.S. government without embellishment. One
example was former Secretary General of
the UN and Austrian President Kurt
Waldheim, a former Wehrmacht officer whom
Yugoslav investigators declared a war
criminal in 1947, who covered up his past
for decades. Among these war criminals was
Andrija Artukovic, "Justice Minister" for
the Ustasha regime who played a leading
role in implementing its racist policies.
Artukovic, whom Charles Allen connects
with CIA activities in Latin America,
actually lived for decades in California,
avoiding extradition to Yugoslavia until
the mid-1980s.
Part II of Jasenovac tells the survivors’
stories, which are accounts of horror and
courage. Yugoslav partisan forces led by
the Yugoslav Communist Party fought German
divisions and their Ustasha allies, made
an important contribution to the war
effort in Europe, and eventually liberated
Yugoslavia to a considerable degree.
Even though Yugoslavia did not join the
postwar Soviet alliance system, its
attempts to capture and punish fascist war
criminals, both Germans and their
collaborators, were stymied by NATO bloc
intelligence and police agencies who
simply "rechristened" these elements
anti-Communist "refugees" and "freedom
fighters" from the "captive nations" of
Europe.
Jasenovac and the Holocaust in Yugoslavia
is enormously valuable both for students
of the Holocaust and also general readers
who want to understand how history is made
and unmade. It is a work that helps us to
face and understand modern history’s
greatest horrors and hopefully through
that understanding to act to prevent
either their return or historical denial
and amnesia that serves as a precondition
for their return. For example, the
historical amnesia about the Holocaust in
Yugoslavia played a significant role in
creating popular acceptance of U.S. and
NATO bloc policies that dismembered
Yugoslavia.
Available
for $25 (U.S.) in a beautiful hardcover
edition.
The
book contains both the original Serbian
text and
the
English translation; 127 pages, published
in
Belgrade
in 2004 (includes shipping costs).
JRI Review:
In this closely analyzed and penetrating
study, Vasilije Krestic, one
of Serbia's leading historians, examines
the corruption of certain
nationalist Croatian academics in North
America and their promotion
of politicized graduate students to PhD's.
Trained in the school of
Croatian nationalism, these academics aim
to produce an ever larger
crop of newly minted PhD's in their own
image.
The result is an emerging American
academia dedicated to promoting
the political agenda of Croatian
ultra-nationalism and Western neo-
colonialism in the Balkans. Dr. Krestic's
book examines the infamous
school of Croatian nationalism under the
tutelage of Ivo Banac at
Yale University and one of its most recent
graduates William Brooks
Tomljanovich.
Tomljanovich's PhD dissertation on the
19th century Croatian Bishop
Josip Strossmayer now published in book
form provides the case study
for Krestic's analysis. In his study
Krestic notes:
"We decided to devote attention to V.
Tomljanovich's
book not only because of the importance of
its topic
but also in order to illustrate with his
example the
course Croatian historiography is
following, its
methods of work and aims, to what extent
it is
science and to what extent in the service
of daily
politics."
Noting in his conclusion that Dr.
Tomljanovic has now found
employment as a "Balkans expert" at the
U.N.'s Hague Tribunal,
Krestic concludes that
"... Tomljanovic is part of the Hague
expert group
whose members could not care less for
science and
moral standards. Their primary task is
demonization
of the Serbs and distortion of history for
political
reasons... ."
Dr. Krestic's analysis carefully exposes
the numerous errors and
shortcomings in Tomljanovic's study
and the ways in which the final
product manipulates the past for political
purposes. This book is a
must read for anyone concerned with the
history of the Balkans and
the current state of Balkans studies.
- Jasenovac Research Institute
The
Jasenovac Research Institute is
pleased to make this book available in
North America in cooperation with
Gambit Publishers in Belgrade.
To
order: mail your check or money
order
for $25 US, payable to:
Jasenovac
Research Institute
PO
Box 10-0674
Brooklyn,
NY 11210
USA
Embassy
of the Federal Peoples Republic of
Yugoslavia, Washington, DC, 1947 posted
2 August 2004 at:
http://emperors-lothes.com/croatia/stepinac1.htm#11
La
testimonianza di Armando Barone
Giovanni Caggiati del
Comitato Antifascista e per la Memoria
Storica di Parma ci ha fornito testimonianza
di un giovane ufficiale dell'esercito
italiano sul fronte jugoslavo, morto pochi
anni fa ultranovantenne a Parma, dove ha
vissuto gran parte della sua vita...
Le foibe non possono essere condannate
tout-court prescindendo dal periodo storico di
cui furono espressione e senza tener conto della
causa prima che le aveva prodotte.
Ciň posso affermare in primo luogo come
testimone. Nel 1942 infatti mi trovavo come
ufficiale del primo reggimento fanteria «Re»
nell’ex Jugoslavia, durante l’occupazione
nazista, avvenuta con la complicitŕ degli
italiani. Occupazione che aveva fatto terra
bruciata di tutto il paese, provocando piů di un
milione di morti su una popolazione di 16
milioni.
A distanza di tanti anni mi sembra ancora di
vedere i roghi di Perusic, di Knin, di Otočac,
di Udbina e di tante altre localitŕ. I nostri
alleati erano gli ustascia di Ante
Pavelič.
Un giorno, mentre camminavo per le strade di
Gospić incontrai un ustascia che portava un
catino pieno di materia verdastra e viscida. Gli
chiesi di che cosa si trattasse. E lui, con tono
strafottente, mi rispose che si trattava di
occhi cavati ai serbi.
Né posso tacere alcuni fatti tristi e vergognosi
di cui si č macchiato l’esercito italiano. Un
giorno, mentre camminavo per le strade di un
paese, non ricordo con precisione la localitŕ,
fui incuriosito dalle voci che provenivano da
una casa. Entrai e mi trovai di fronte a due
soldati italiani che stavano distruggendo tutta
la mobilia mentre una donna in ginocchio,
piangendo, li supplicava di smettere e di
risparmiarle almeno quel poco che non le avevano
distrutto i tedeschi, che l’avevano in
precedenza derubata. Ordinai immediatamente ai
soldati di riordinare tutto e di restituire a
quella donna quel poco che avevano preso, di
inginocchiarsi davanti a lei e di chiederle
perdono.
Durante la ritirata il mio plotone faceva
da copertura ad una colonna lunga quasi mezzo
chilometro. Il mio compito era quello di
bruciare tutto, stando agli ordini del
colonnello. Quando mi accorsi che alcuni soldati
erano entrati in una catapecchia per
incendiarla, dopo aver scaraventato una vecchia
fuori sulla neve, ad una temperatura di quasi
venti gradi sotto zero, intervenni energicamente
per spegnere l’incendio. Feci rientrare in
casa la povera donna, dando disposizioni di
simulare l’incendio accatastando della paglia.
L‘obiettivo era di non insospettire il
colonnello che procedeva alla testa della
colonna.
Ricordo ancora, perché alla barbarie non c’č mai
fine, che durante un rastrellamento un gruppo di
soldati veneti appartenenti ad un’altra
compagnia, erano entrati in una casa, dove
vivevano alcune donne e tre bambini. Intimarono
subito alle donne di portare all’aperto della
legna, una pentola ed un quantitativo di farina
di granturco, per fare la polenta . Dopo avere
abbondantemente mangiato e bevuto, prima di
andarsene, come ricompensa, diedero fuoco alla
casa. Evidentemente le urla delle donne ed il
pianto dei bambini non erano riusciti ad
impedire il loro vandalismo. Come era prassi, il
paese prima di essere abbandonato, venne
completamente distrutto.
Una volta una donna di Gospić , alla quale avevo
chiesto un bicchiere di acqua, piangendo mi
aveva chiesto a sua volta perchč eravamo andati
in Jugoslavia a distruggere, ad incendiare, ad
uccidere i loro mariti, ed i loro figli. Non
seppi cosa risponderle. Mi allontanai dopo
averle allungato qualche decina di lire.
Tanti sono gli episodi, ma quelli che ho
testimoniato sono piů che sufficienti e
significativi, per dare una idea di quella che č
stata la nostra occupazione della Jugoslavia.
Da parte mia non ho nulla di cui rimproverarmi.
Se č vero quando eravamo attaccati era
necessario difenderci. I miei rapporti con la
popolazione erano improntati alla piů profonda
umanitŕ. Né esitai ad aiutare con danaro i casi
piů disperati.
Lasciai la Jugoslavia il 9 aprile dopo essere
stato ferito al bacino in combattimento
Fui ricoverato al centro mutilati di Milano,
dove rimasi circa un mese. L’ospedale
rigurgitava letteralmente. La maggior parte dei
ricoverati provenivano dal fronte russo. Uomini
senza braccia, uomini senza gambe: uno scenario
veramente raccapricciante. Sembrava di essere
nella nona bolgia dantesca, dove si trovano i
seminatori di scismi e di scandali,
continuamente lacerati dai diavoli.
Dopo un ulteriore breve ricovero all’infermeria
presidiarla (attuale Don Gnocchi) tornai
a casa. Nell’ottobre del ‘43 ripresi ad
insegnare e cominciai collaborare con la
Resistenza. Poi nel febbraio del ‘44 ci furono
l’arresto e le torture. Infine nell’aprile il
campo di concentramento di Bolzano dove restai
fino alla liberazione.
Era invece toccata sorte diversa a mio fratello
Franco, il primogenito di cinque figli, piů
vecchio di me di un anno, fucilato dai
partigiani jugoslavi il 17 febbraio 1943. Ma
questo faceva parte della logica della guerra.
Ritornando al discorso delle foibe penso che,
senza giustificarle, debbano comunque essere
inquadrate in questo contesto. Esse furono una
fatale conseguenza dell’occupazione italo
tedesca.
Basti pensare a quanto sostiene Carlo Falcone ne
Il silenzio di Pio XII edito da Sugar nel
1965, in merito alla persecuzione della chiesa
ortodossa da parte degli ustascia di Ante
Pavelič : «i sacerdoti uccisi furono 300 ed i
vescovi 52. Ma anche questi dati non dicono
nulla della crudeltŕ con cui furono realizzati
gli eccidi. Per limitarsi ai soli vescovi,
monsignor Dositej, ordinario ortodosso di
Zagabria, fu sottoposto a tali torture che
impazzě, mons Petar Sjmonic di Serajevo,
ottantunenne venne sgozzato, e monsignor
Platov di Banjaluka, ottantunenne, fu ferrato
ai piedi come i cavalli e costretto a
camminare in pubblico finchč, svenuto, non gli
fu strappata la barba e acceso del fuoco sul
petto. Sadismi questi, che non erano se non
l’accentuazione dei metodi applicati nelle
'normali' esecuzioni di massa, eseguite per
via di sgozzamento, squartamento (e i corpi
allora venivano non di rado appesi per burla
nelle macellerie con sotto la scritta 'carne
umana'), di incendi alle case e alle chiese
stipate di vittime, ecc. ma non bisogna
dimenticare i bambini impalati di Vlasenika e
di Kladany e il gioco delle torture praticate
durante le orge notturne degli ustascia».
Per maggior precisione č necessario
puntualizzare che la nostra occupazione della
Jugoslavia va dall’aprile del ‛41 al
settembre ‛43. E le foibe risalgono appunto alla
seconda metŕ del ‛43.
Purtroppo a tale barbarie non si poteva che
aggiungere barbarie e la guerra non č che
barbarie. Lottare oggi per la pace significa
combattere contro la guerra che non fa altro che
produrre nuovi mostri. La tela di Picasso su
Guernica ne č l’esempio piů significativo.
ARMANDO
BARONE
Parma, 10 febbraio 2006
(via Franchetti, 3 Parma)
STEPINAC,
SYMBOLE DE LA POLITIQUE Ŕ L’EST DU VATICAN
Annie
Lacroix-Riz, professeur d’histoire
contemporaine ŕ l’université Paris VII Publié dans
Golias, n° 63, novembre-décembre 1998, p.
52-59
I. PRÉAMBULE:
JEAN-PAUL II ET L’HÉRITAGE ROMAIN, DES
JUIFS Ŕ LA YOUGOSLAVIE
La presse a fait grand cas des récentes
célébrations historiques du Vatican de
Jean-Paul II (octobre 1998), de la
béatification de Mgr Stepinac ŕ la
canonisation d’Édith Stein, peut-ętre conçue
ŕ titre de compensation au caractčre
provocateur de la premičre initiative. La
seconde ne vaut pourtant pas moins
approbation d’une vieille politique que le
présent pape incarne aussi nettement que ses
prédécesseurs considérés comme les plus «
intégristes », de Pie X ŕ Pie XII. Malgré
des apparences trompeuses ou par lesquelles
des moyens d’information complaisants se
sont laissé duper, une série de démarches
ont valu ces derničres années consécration
d’une politique antisémite romaine dont
l’entre-deux-guerres puis la Deuxičme Guerre
mondiale avaient donné toute la mesure .
Plusieurs initiatives de Jean-Paul II
attestent qu’il ne renie rien de son auguste
prédécesseur et inspirateur Pacelli-Pie XII
- sans parler de Pie XI, qui, malgré les
légendes tenaces n’assura ni la défense ni
la protection des juifs, italiens inclus. Je
ne retiendrai que trois éléments de cette
continuité dans la récente action du pape en
exercice:
1° le
brűlot qu’il a entretenu depuis des
années sur Auschwitz, avec la tentative de «
catholiciser » le lieu le plus symbolique de
La destruction des juifs d'Europe :
l’affaire, parsemée de provocations
diverses, de la création d’un carmel ŕ la
plantation de croix avec la bénédiction des
évęques - donc du pape -, montre ŕ quel
point la Pologne catholique institutionnelle
continue ŕ servir une stratégie orientale du
Vatican décrite plus loin ŕ propos du cas
yougoslave;
2° la «
repentance » pontificale alléguée
intitulée « Réflexion sur la Shoah » du 16
mars 1998, qui met au compte du « nazisme
paďen » les abominations du régime hitlérien
dont le Saint-Sičge reconnut solennellement
le caractčre catholique en lui octroyant
entre autres le « concordat du Reich » de
juillet 1933. L’immense cadeau fut apprécié
ŕ sa juste valeur par Mussolini, qui déclara
le 4 juillet ŕ l’ambassadeur d’Allemagne que
Pie XI offrait ainsi ŕ celle-ci « dans la
position isolée oů [elle] se trouvait
actuellement (...) une immense victoire
morale » qui permettrait enfin au fascisme
de « se rallier l'opinion catholique ŕ
travers le monde ». Hitler jugea de męme,
estimant sobrement, dans son communiqué ŕ la
presse du 9 juillet, que cet accord lui
donnait « la garantie suffisante que les
citoyens allemands de la foi catholique et
romaine se mettr[aie]nt désormais sans
réserve au service du nouvel État
national-socialiste » .
3° le
dossier Stein, qui relčve de la
logique des pontificats de l’čre des
persécutions, dont nous bornerons l’examen
aux traits fixés dčs l’installation au
pouvoir des nazis. Le sort vatican des juifs
fut en effet scellé alors, qu’ils
demeurassent juifs ou qu’il s'agît de juifs
qui avaient souhaité ne plus l’ętre en se
convertissant. Le Saint-Sičge n’avait rien
trouvé ŕ redire ŕ la persécution nazie
officialisée par le boycott des magasins
juifs du 1er avril 1933 et les violences des
SA et SS. Il fit davantage, puisque, selon
François Charles-Roux, ambassadeur de France
au Vatican de 1932 ŕ 1940, le secrétaire
d’État Pacelli veilla en personne aux «
ménagements » romains envers Berlin: « les
persécutions contre les juifs » ayant
provoqué « l'indignation du monde » et avec
lui celle de Mgr Verdier, archevęque de
Paris, celui-ci adressa une lettre de
solidarité au grand rabbin de France. « La
publication [en] fut annoncée [en avril?] :
elle ne fut pas publiée » . Reste la
question du sort des « catholiques non
aryens », lot auquel appartenait Édith
Stein. Le Vatican ne parla que d’eux, mais
fort peu et fort bas. Ce souci exclusif
exprimé du bout des lčvres visait ŕ figurer
pour l'avenir dans le lot des notes
communicables. L’atteste un épisode du
feuilleton trčs long, mais vide de contenu
réel, des pseudo-« négociations » et « notes
de Pacelli » sur le concordat du Reich de
1933, exemples-types des courriers-paravents
sans aucun lien avec la pratique réelle dont
la correspondance officielle du Saint-Sičge
regorge. On y perçoit que le sort des «
catholiques non aryens » rejoignit au plus
tôt celui des autres « non-aryens ». Le 12
septembre 1933, Pacelli remit ŕ Klee, chargé
d'affaires d’Allemagne au Vatican, un «
mémorandum en trois points », dont le
troisičme faisait allusion aux « catholiques
d’origine juive », simple élément d’une
rubrique intitulée « le renvoi des
fonctionnaires catholiques et les
catholiques d'origine juive ». Klee lui
répliqua sčchement que le point 3 n'avait «
rien ŕ voir avec le concordat », « objection
qu'il reconnut justifiée », puis ajouta que
ce problčme était « non pas religieux mais
de race »: l’argument suscita la penaude
réponse de Pacelli que ce texte « était
remis ŕ la demande du pape, qui n'était
guidé que par des points de vue religieux et
humains ». Poursuivant sa tactique « ŕ la
prussienne » , Klee « insista » sur
l'engagement que le Vatican avait pris «
depuis le début » des négociations-éclair
sur le concordat de ne « pas se męler des
affaires politiques intérieures de
l’Allemagne », sur la nécessité de rayer la
partie juive du point 3 et de « baisser le
ton sur le reste »: Pacelli « décid[a alors]
de ne pas remettre le mémorandum ». Il
adressa ŕ Klee, le soir męme, une note
conforme ŕ ses exigences et antidatée du 9
septembre (date antérieure d’un jour ŕ la
ratification du concordat du Reich, pour
laisser croire qu’on continuait ŕ « négocier
» sur ce texte en réalité bouclé): elle
comptait dix-huit lignes de pleurnicheries
et requętes sur « les fonctionnaires
catholiques » dont les déclarations de mars
du chancelier « et plus encore (...) la
conclusion du Concordat » avaient « rendu
possible la coopération pratique au sein du
nouvel État »; 5 lignes et demi « pour
ajouter un mot pour les catholiques
allemands d'origine juive » récente ou
lointaine, « et qui pour des raisons connues
du gouvernement allemand souffrent également
de difficultés économiques et sociales » .
Il reste donc de la canonisation d’une juive
qui croyait ne plus l’ętre ŕ déduire soit
que les seuls juifs intéressants sont ceux
qui ont cessé de l’ętre soit qu’un bon juif
est un juif mort. Conclusion excessive? On
ne risque en tout cas pas cette appréciation
quand on aborde l’autre événement de ces
derničres semaines, le premier par la
chronologie, par son retentissement et par
ses liens avec des tensions qui nous
ramčnent ŕ l’avant 14 et ŕ l’avant 39. Car
la béatification de Stepinac consacre la
continuité de la politique yougoslave c'est
ŕ dire anti-serbe de la Curie, en pleins
déchirements balkaniques aux conséquences
dramatiques sur le sort, non seulement de la
Yougoslavie, mais de l’ensemble de l’Europe
- France incluse.
J’ai nagučre pour Golias étudié un aspect
majeur de la politique ŕ l’Est du Vatican,
celui de la Pologne. Que la Pologne fűt
catholique ne la protégea jamais, en dépit
de ses illusions ŕ cet égard, des
conséquences dramatiques d’une stratégie
austro-vaticane puis germano-vaticane fondée
sur l’espoir de domination de l’ensemble de
l’Est européen . La politique de la Curie
varia peu - jamais sur le fond -, que l’Est
européen fűt demeuré catholique, comme la
Pologne officiellement appréciée mais en
réalité détestée, ou qu’il eűt échappé ŕ
l’influence germano-catholique et fűt
officiellement voué aux gémonies comme «
schismatique ». Pendant des sičcles, c’est
aux côtés de l’empire apostolique et romain
des Habsbourg que le Vatican mena le combat:
l’influence autrichienne progressa en
Europe, et notamment contre l’empire
ottoman, en symbiose avec le catholicisme
romain (latin ou uniate). Entre la fin du
19č sičcle et celle de la Premičre Guerre
mondiale, le puissant Reich tendit ŕ
supplanter pour la męme mission l’empire des
Habsbourg voué d’abord ŕ l’agonie, puis ŕ la
mort. En 1919, dans les cénacles catholiques
chapeautés par le grand pourvoyeur allemand
des fonds vaticans de guerre (au nom de
Berlin męme), Erzberger, le chef du parti
catholique (le Zentrum), le Vatican accepta
définitivement de seconder le Reich dans
l’ensemble de l’Europe: non seulement en lui
apportant sa précieuse aide catholique pour
la récupération de l’Altreich (celui des
frontičres de 1918) c'est ŕ dire de tous les
« territoires allemands provisoirement
occupés par les Alliés », Alsace-Lorraine et
Pologne incluse; mais aussi pour l’ensemble
des « buts de guerre », allant de la saisie
de l’héritage de la totalité du vieil empire
austro-hongrois mort, ŕ commencer par
l’Anschluss, ŕ la pénétration dans la
profonde Russie, si riche de ressources .
II.
STEPINAC, LE SYMBOLE D’UNE ANTIQUE
POLITIQUE ANTI-SERBE LA
POLITIQUE VATICANE JUSQU'AUX ANNÉES TRENTE
De cette politique ŕ l’Est, la dimension
anti-serbe - les Serbes apparaissant comme
les principaux ennemis de l’expansion
autrichienne - s’imposa avec une continuité
totale, sans négliger un seul pontificat, ŕ
commencer par celui de Léon XIII, ouvert
l’année męme de la naissance définitive de
la Serbie au congrčs de Berlin de 1878. Le «
serbisme » haď fut combattu ŕ l’aide de
l’élément croate: leur longue
catholicisation par les Habsbourg et un
analphabétisme général maintenu par l’Église
au sein de ces « masses incultes » avaient
fait oublier ŕ ces « Slaves catholiques »
qu’« un Croate n’est qu’un Serbe
catholicisé, rien de plus ». Ŕ la veille de
la Grande Guerre, cet ensemble compact dans
l’empire austro-hongrois - en 1909, 18,9
millions contre 1,9 million de « Slaves
orthodoxes », Bosnie-Herzégovine comprise -
demeurait, dans sa masse, féal aux Habsbourg
. Vienne s’appuya ouvertement dans sa
mission anti-serbe sur la Curie et sur ses
prélats, en tęte desquels figurait Stadler,
évęque croate de Sarajevo depuis les années
1890, chef de fait des jésuites voués ŕ la
catholicisation des masses, et décrit en ces
termes par le consul de France ŕ Sarajevo: «
il est devenu en peu de temps un des gros
capitalistes de Bosnie-Herzégovine comme il
en est aussi un des politiciens les plus
actifs. Ses seules préoccupations semblent
ętre de thésauriser et d'autrichianiser » .
« Trčs allemand d'origine et de sentiments
», d’une extręme violence , cette brute
était un spécialiste de la conversion
forcée, dont les épisodes répétés étaient
rapportés avec indignation par les
diplomates français: les musulmans,
population de męme souche que tous les
Slaves de cet ensemble balkanique, mais
constituée des héritiers des propriétaires
fonciers qui avaient emprunté ŕ l’čre de la
conquęte ottomane la religion du vainqueur,
et que Vienne s’efforçait de séduire contre
les Serbes, se plaignaient ŕ cet égard du
prélat presque autant que les Serbes
orthodoxes . La ligne Stadler, fixée par
Vienne et le Vatican, incarnait la ligne
d’expansion du germanisme et du catholicisme
contre le slavisme et l’orthodoxie adoptée
dans la perspective du rčglement de comptes
imminent. Le régime impérial, aprčs avoir
transformé en arsenal, croatisé et
catholicisé en masse, de gré ou de force, la
Bosnie-Herzégovine qu’elle dirigeait de fait
depuis le congrčs de Berlin de 1878,
l’annexa enfin en octobre 1908. L’empire
réalisait ainsi « ce but [qui] est depuis 30
ans la pensée directrice de [s]a diplomatie
[,...] l'annexion de la Serbie », et qui «
fera naître forcément, un jour ou l'autre,
un conflit armé ». De Fontenay, attaché
d’ambassade ŕ Budapest de 1906 ŕ 1914 (aprčs
un poste ŕ Belgrade), comprit que derričre «
la haine du Serbe (...) chauffée ŕ blanc »
par l’empire rival en décomposition et son
obsessionnel « projet de réunion », avec «
l’appui du Saint-Sičge [,...] de la
Bosnie-Herzégovine, de la Dalmatie et de la
Croatie afin de former un royaume autonome
sous la dépendance des Habsbourg» avançait
le Reich: « l’Autriche-Hongrie en suivant
pareille politique travaille donc, avant
tout, pour l’Allemagne, dont l’unité
s’étendra et se fortifiera, dont l’influence
progressera vers les bords de la
Méditerranée tant convoitée ». La poussée
autrichienne vers le Sud s’inscrivait dans «
le redoutable “Drang nach Osten” (poussée
vers l’Est) » qui remettrait ŕ Berlin, ŕ la
mort de l’État des Habsbourg, l’héritage
balkanique convoité .
Nous avons montré ailleurs ŕ quel point
Vienne se réjouit avant l’hallali - le 29
juillet 1914 - de l’humeur « belliqueuse »
de Pie X et de son secrétaire d’État Merry
del Val, excités par la liquidation
imminente de ce « mal qui ronge et pénčtre
la monarchie jusqu’ŕ la moelle et qui finira
par la désagréger » . La haine de la Serbie
n’était pas moins recuite chez son
successeur (depuis aoűt 1914) Benoît XV,
qui, de la guerre ŕ ses lendemains,
conduisit contre la Serbie des assauts
contre lesquels la seule parade (provisoire)
fut la victoire française. Au lendemain de
la défaite des deux empires chéris, le mort
et le bien vivant, la croisade fut menée
avec la Serbie renforcée et devenue « État
serbo-croato-slovčne » les męmes armes
cléricales, et au bénéfice de deux alliés:
l’un, l’italien, ne ręvant que de tailler en
pičces la Dalmatie yougoslave, l’autre,
moins connu, qui avait repris l’héritage du
mort, le Reich. Les Serbes se heurtčrent si
directement aux Italiens soutenus en
permanence par la Curie qu’ils
sous-estimčrent longtemps l’ennemi plus
discret, l’allemand, dont on ne perçut
concrčtement la poussée qu’ŕ partir des
années trente. La premičre phase de la lutte
acharnée contre la Yougoslavie fut menée au
bénéfice apparent de l’Italie, servie par le
solide tandem du Vatican et de l’épiscopat
demeuré autrichien en territoire «
yougoslave », devenu italien dans toutes les
zones arrachées au royaume.
En Yougoslavie męme, il ne s'agissait point
d’« autonomie » croate ou slovčne, mais de
sécession, préparée en la compagnie
militaire des Italiens, des Hongrois et des
Allemands dčs le début des années vingt.
L’Église catholique assuma avec efficacité
pour sa part, dans les régions catholiques
héritées par l’alliée serbe de la France, le
harcčlement visant la destruction intérieure
du nouvel État. Tâche, il est vrai,
facilitée par la politique de la dynastie
régnante, qui ne régla aucun des problčmes
économiques et sociaux des masses paysannes:
de celles-ci l’élément catholique demeura
donc aisément le jouet, comme nagučre, de
prélats qui en assuraient le contrôle de la
naissance ŕ la mort, en passant par l’école
et presque tous les moments de la vie.
Pendant plusieurs années la guérilla
cléricale fut dirigée par l’ancien « protégé
» puis successeur - depuis 1920 - de
Stadler, Johannes Saric: ce chef politique
des ultras anti-serbes avait été avant 1914
et pendant la guerre comme son maître «
l’instrument en Bosnie [de...] la Cour de
Vienne [qui] dressait les catholiques et les
musulmans contre les orthodoxes » en vue
d'aggraver « la désunion » propice ŕ ses
intéręts. « Député au Sabor de Bosnie avant
la guerre », il avait mené, pendant, une
violente action anti-serbe, et ŕ son terme
troqua brutalement le loyalisme autrichien
contre « l'influence du Quirinal ». Aussitôt
nommé, il s'autoproclama chef des Croates et
des Slovčnes contre les Serbes, et pratiqua
dčs les années vingt la provocation
permanente, en un style éclairé par « son
journal Istina » au « ton extręmement
violent » .
La politique italienne de conquęte ou de
grignotage de territoires dalmates
yougoslaves - symbolisée notamment par le
cas de Rieka-Fiume puis par les cessions du
traité de Rapallo de novembre 1920 - fut
servie dčs lors autant par les prélats
particuličrement brutaux contre tous les
Slaves que par la police (de l’État fasciste
depuis octobre 1922, aprčs avoir été
fasciste de fait en ces lieux avant cette
date): le « Vénitien » Mgr Santin,
originaire de Rovigno, sur la côte sud de
l'Istrie, nommé en décembre 1922 dans le
diocčse de Rieka (devenu Fiume), et Mgr
Radossi (Radoslavic italianisé) dans celui
de Pola et Porec (devenu Porenzo) « se
distingučrent dčs leur arrivée par leur
acharnement contre les Slaves, interdisant
l’usage du croate dans les sermons, au
catéchisme, dans les pričres et męme au
confessionnal, supprimant l’enseignement des
langues slaves au petit séminaire, faisant
punir les élčves s’entretenant dans leur
langue maternelle, envoyant le plus possible
d’entre eux se former en Italie et,
semble-t-il, dénonçant męme ŕ la police des
religieux, des prętres et des fidčles qui
s'opposaient ŕ la dénationalisation des
Slaves » . Cette politique de force suscita
des haines aussi fortes du côté slovčne et
croate que du côté serbe, ce qui risquait de
souder contre les intéręts conjugués de la
Curie et de l’État italien l’ensemble des
populations yougoslaves. Jugeant ce «
nationalisme » du bas clergé mortel pour les
intéręts italiens, le Saint-Sičge se
débarrassa dčs l'été 1920 des « curés
croato-slovčnes les plus militants, pour les
remplacer par des religieux choisis dans un
ordre international » : celui des
franciscains en particulier, qui s’était
partagé avec les jésuites la catholicisation
des zones croates ou croatisées avant 1914.
Cet ordre pivot d’une Église « fanatique »
d’Inquisition, nagučre au service, comme les
jésuites rivaux, de l’expansion anti-serbe
autrichienne, allait ainsi régner presque
sans partage sur les régions catholiques, la
Slovénie, la Croatie (dalmate ou non) et la
Bosnie, y compris chez les curés de
paroisse: au début des années 40, les
franciscains représentaient en Croatie un
tiers des prętres eux-męmes, et « les quatre
cinquičmes des religieux du pays ». Cette
tutelle aurait, compte tenu des « traditions
spécialement violentes de leur résistance
séculaire contre les Turcs et les
orthodoxes, surtout en Bosnie » , des
conséquences mortelles ŕ partir d’avril 1941
pour les Serbes et les juifs de Yougoslavie.
STEPINAC, L’INCARNATION D’UNE
POLITIQUE ALLEMANDE
Comme en tout point européen, au début des
années trente, Berlin obtint de la Curie un
soutien plus résolu, qui lui imposa d’opter
parfois clairement entre les intéręts
italiens et allemands. Ce soutien fut
affiché par l’article 29 du fameux concordat
du Reich, dont von Papen dit ŕ Hitler les 2
et 14 juillet 1933 qu’il lui semblait un des
plus importants de ce pacte: il «
garantissait la protection des minorités
allemandes » en reconnaissant leur droit ŕ
l’usage de la langue allemande dans le culte
et autres activités, et améliorait encore
cette « concession » par « le protocole
additionnel final » qui garantissait le
respect de ce droit dans les futurs
concordats que le Vatican signerait avec les
autres États étrangers: « c’est la premičre
fois », s’enflamma-t-il, « que le
Saint-Sičge a affirmé son soutien (...) sous
cette forme » . Bien qu’il y eűt peu de «
minorités allemandes » en Yougoslavie, le
Vatican y agit comme dans les Sudčtes. Le
harcčlement « italien » ne disparut pas ŕ
l’čre hitlérienne, mais en Yougoslavie, le
Reich fut plus qu’avant maître du jeu dčs
les premiers mois de 1933.
La Curie n’avait jamais négligé, dans la
Yougoslavie maintenue, la carte germanique,
représentée notamment par des prélats
autrichiens ou allemands, parmi lesquels
l’archevęque de Zagreb, l’Allemand Bauer. Il
était, comme Saric, l’animateur de la
guérilla conduite contre la dynastie, bien
que le roi Alexandre crűt sottement que sa
dictature (depuis 1929) caractérisée par un
solide antibolchevisme lui assurerait le
soutien d’un épiscopat soucieux de stabilité
politique et de conservation sociale. Les
diplomates français avaient accordé en 1933
- année ouvrant la voie ŕ un cortčge
d’avanies pour les « États successeurs » -
grande importance ŕ ce chef des pčlerinages
croates: le 24 mai, Bauer dirigea un
pčlerinage de 500 Croates et cinq évęques
qui donna ŕ Pie XI l’occasion de bafouer la
Yougoslavie et d’honorer ses « bons fils de
la Croatie », « notre chčre Croatie » qui
comptait parmi « les régions les plus
éprouvées et qui souffrent le plus » : un
des scandales de 1933 qui en compta une
série et oů le vieil archevęque allemand
joua un rôle éminent. Mais l’attention du
Quai d'Orsay fut vite attirée par un
personnage devenu son adjoint depuis 1931,
un certain Stepinac, tard venu ŕ l’état
ecclésiastique. Et qui ne vint pas au monde
politique, comme semblent le croire tous les
journalistes et publicistes français qui se
sont récemment exprimés, en avril 1941 .
Ce Croate, fils d'un gros propriétaire
foncier né en 1898 ŕ Krasic prčs de Zagreb,
fut, au contraire de ce que suggérait son
autobiographie avantageuse et lacunaire
largement diffusée ŕ l’époque de sa
nomination de coadjuteur de 1934, lié au
séparatisme croate dčs son arrivée, précoce,
ŕ la vie politique. Prisonnier de guerre
austro-hongrois sur le front italien, il se
fit passer pour un Croate rallié au « comité
yougoslave (...) pour se faire engager dans
le camp des officiers serbes » en Italie
puis sur le front de Salonique, moyen de
fournir des renseignements sur l’ennemi. Sa
biographie officielle, qui présenta cette
affaire en termes trčs « yougoslaves », est
quasi muette sur ses activités entre la fin
de la guerre et 1924 (retour ŕ Krasic pour
gérer une des importantes propriétés de son
pčre, ŕ Kamenarevo, études agronomiques
inachevées ou au grand séminaire de Zagreb).
Mais la diplomatie française savait que ce
dirigeant des Jeunesses catholiques
participa au Congrčs international de Brno
en 1922, oů il « porta le grand drapeau
croate ŕ la tęte d'[une] délégation croate »
de 1 500 personnes. En 1924, ce protégé des
jésuites entra pour sept ans au Germanicum -
institut allemand de Rome qui, avec l’ordre
et son chef, l’austro-« polonais »
Ledochowski, servit au premier plan la
réalisation de l’Anschluss de 1918 ŕ 1938,
et plus largement de reconquęte « catholique
» de l’Est européen que nous avons
mentionnée plus haut . Devenu prętre en
octobre 1930, puis docteur en théologie ŕ la
Grégorienne, en juillet 1931, Stepinac fut
nommé aussitôt aprčs, ŕ son retour de Rome,
maître de cérémonies de Bauer, puis en mai
1934 son coadjuteur . Ŕ peine nommé, cet
ennemi de la Yougoslavie, dont « la forte
personnalité tend[ait...] ŕ prendre le pas
sur celle du vieux prélat », orchestra
l’agitation sécessionniste croate avec une
vigueur qui frappa tous les observateurs. Il
fut notamment l’un des deux organisateurs
d’une émeute, durement réprimée assurément,
des « paysans catholiques » littéralement
jetés contre la police serbe pour préparer
les élections fixées au 5 mai 1935 . Lié au
sécessionnisme de Macek et des oustachis
d’Ante Pavelic, il anima, outre la guérilla
préélectorale, l’agitation tous azimuts sur
le « concordat » (avorté). Cette furie
quotidienne acheva la désintégration de la
Yougoslavie dans les trois années qui
suivirent l’assassinat ŕ Marseille du roi
Alexandre, en octobre 1934, aux côtés de
Barthou, ministre français des Affaires
étrangčres, par un complice de Pavelic.
Assassinat perpétré avec la complicité de
l’Italie fasciste et de l’Allemagne nazie;
liquidation aussi des tentatives de Barthou
d’une « politique de revers » française
contre la poussée du Reich, qui réjouit tous
les ennemis de la Yougoslavie, Curie en
tęte, représentée sur place par un nonce sur
lequel la correspondance du Quai d'Orsay est
féroce, Pellegrinetti. L’épiscopat ne
parvint pas męme ŕ faire semblant de
déplorer la mort du roi serbe haď: « le
clergé croate », Bauer et Stepinac en tęte,
manifesta « un certain défaut de chaleur
dans l'expression des sentiments », selon
l’euphémisme de Charles-Roux .
Ŕ la mort de Bauer le 7 décembre 1937, le
secrétaire d’État Pacelli, futur Pie XII,
promut une fois de plus cet agent des
Allemands, le préférant ŕ l’autre « ennemi
acharné des Serbes », l’oustachi Saric.
Ayant cru enfin arrivée son heure quand on
avait parlé au début de 1934 d’un successeur
pour le vieux Bauer, l’instrument «
anti-serbe (...) de Rome [sous] l'influence
du Quirinal aussi bien que (...) du Vatican
» était jugé trop « italien » bien qu’il eűt
rendu au Germanicum, notamment ŕ l’automne
1932, les visites d’un prélat germanophile .
C’est donc le germanisé Stepinac qui fut
choisi et qui, aussitôt nommé président de
la conférence épiscopale, dirigea
officiellement la sécession de la « gens
croatica » (« nation croate »). Pacelli
devenu Pie XII depuis mars 1939 lui apporta
sa caution officielle en bénissant, sans
prononcer le mot de Yougoslavie, un
pčlerinage mené par Stepinac le 14 novembre:
il y célébra « notre peuple croate » et dit
« tout ce que [devait] faire ce peuple »
auquel étaient « ouvertes les voies lui
assurant la liberté de sa voie nationale »,
sous la houlette de Macek, qualifié de « dux
populi Croatici » (chef du peuple croate).
La Yougoslavie agonisait de l’intérieur,
comme l’attesta le silence de la presse
serbe, muselée par les dirigeants d’un État
déliquescent et gagné ŕ la capitulation .
Comme l’avait montré aussi l’octroi ŕ la
Croatie d’une « autonomie » qui fit de
Stepinac le « Gouverneur de Zagreb »: il
passait ŕ ce poste en janvier 1939 pour le
symbole d’une « influence hitlérienne » qui
avait triomphé en Croatie dčs l’installation
du gouvernement hitlérien (la littérature
croate aussi antisémite qu’anti-serbe
provenait en large masse de Berlin, comme
l’évidence s’en imposa dčs les premiers mois
de 1933) . Au tournant de 1939, Stepinac
exulta devant Gueyraud, consul de France ŕ
Zagreb, sur l’imminence de la destruction de
la Yougoslavie: il se déclara partisan de «
la constitution d'un État croate autonome ou
indépendant », mais dit « accepter, en cas
de nécessité, une autre formule
d'association avec la Hongrie ou l'Italie.
“Tout, a-t-il dit, plutôt que de vivre avec
les Serbes!” » . Il omit alors (devant un
Français) le morceau essentiel - allemand -
de cette « association » qui lui apporta
l’invasion de l’Axe et la fondation de «
l’État indépendant de Croatie » de Pavelic
en avril 1941.
La thčse, trčs en vogue sous nos cieux, des
douceurs de ce membre du Parlement oustachi
pour les martyrs juifs, serbes, tsiganes,
slovčnes, croates dissidents et de ses
condamnations de l’État croate repose sur:
1° les travaux hagiographiques de Stella
Alexander, qui ne dispose que d’une source
originale, Katolicki List, journal de
l'archevęché: toutes les citations qu’elle
en fournit ne révčlent que des signes
d’adhésion au régime: tous les documents de
défense qu’elle présente sont de seconde
main ; 2° des hagiographies romaines et «
révélations » de Guerre froide de
l’Osservatore Romano qui suscitčrent en
janvier 1951 l’ironie de l’ambassadeur de
France Wladimir d’Ormesson ŕ l’čre oů
Stepinac était érigé en martyr des bourreaux
communistes de Tito: « on peut s'étonner »
que le quotidien du Vatican « n’ait pas
donné plus tôt une large publicité » ŕ ces
informations sur la thčse d’un Stepinac
résistant de la premičre heure ŕ Pavelic .
Les sources originales décrivent ŕ l’inverse
ce que l’écrivain catholique italien Falconi
appelait en 1965, fonds de l’État croate ŕ
l’appui, « hideux mélange de boucheries et
de fętes» . Les franciscains, dont Stepinac
était le chef sur place, y participčrent ŕ
la masse, ŕ la hache et au poignard avec un
allant inédit en notre sičcle: destruction
des bâtiments des cultes « ennemis »,
tortures, assassinats en masse de Serbes,
juifs et tsiganes, dans les villages (dont
celui de Glina en mai 1941: 2 000 morts dans
la nuit, hommes, femmes et enfants, pillés
ensuite) et les camps de concentration (tel
l’abominable camp de Jasenovac, ouvert dčs
mai 1941), lutte contre la résistance, etc.
L’Américain Biddle, ministre auprčs du
gouvernement yougoslave en exil, évalua en
septembre 1942 les seuls « atroces massacres
de Serbes », poursuivis alors « avec
frénésie », ŕ « 600 000 hommes, femmes et
enfants » . Les archives oustachies furent ŕ
l’époque de la déroute, regroupées, symbole
d’une exceptionnelle fusion de l'Église et
de l'État, dans le palais de Stepinac. Le
régime yougoslave nouveau n’y découvrit en
1945 « aucun document protestant contre les
crimes commis en Croatie par les Oustachis
et les Allemands »; mais quantité de photos
de l’archevęque, faisant ŕ travers la
contrée le salut oustachi (bras levé) auprčs
des hauts fonctionnaires; et des textes,
telle sa circulaire du 28 avril 1941 aux
évęques glorifiant « l’État croate
ressuscité » et « le chef de l’État croate
», et ordonnant un « Te Deum solennel dans
toutes les églises paroissiales ». Comme
Saric et bien d’autres en Yougoslavie,
Stepinac pilla aussi biens juifs (fait
clérical retrouvé dans l’ensemble de
l’Europe orientale catholique, Slovaquie en
tęte) - et serbes, avec l’aval écrit (en
latin) du Saint-Sičge, via son légat Marcone
les 9 décembre 1941 et 23 décembre 1943 (et
fut convaincu par ses héritiers d’avoir
détourné les biens de Bauer, de « plusieurs
dizaines de millions de dinars »).
Stepinac fut aussi l’exécutant du décret «
oustachi » du 3 mai 1941 de « conversion
forcée » des orthodoxes, intelligentsia
exclue car considérée comme irrécupérable:
ce retour ŕ « l'Inquisition espagnole »
donnait aux Serbes non massacrés d'emblée le
« choix » (qu’Henri Tincq déclarait « musclé
» dans son article du Monde du 1er octobre
1998) entre adhésion immédiate au
catholicisme et mort. Ce texte non étatique
mais vatican fut contresigné, en tant que
secrétaire de la Congrégation de
l’Orientale, par le cardinal français
Tisserant. « Contre son gré », insista
Belgrade tout en le révélant en 1952, au
cours d’une année particuličrement riche en
provocations vaticanes, dans un Livre Blanc
sur les relations Vatican-« État indépendant
de Croatie » puisé au « journal » de
l’archevęque et aux archives oustachies.
Tisserant, juge impitoyable en privé du
régime de Pavelic (comme le précise le Livre
blanc), confirma l’information ŕ l’attaché
français ŕ Rome de Margerie .
Les monastčres-arsenaux des franciscains,
dont certains furent arrętés armes ŕ la main
en 1945, s’étaient depuis la certitude de la
défaite mués en receleurs de trésors et de
criminels de guerre en instance de départ
pour l’Ouest. Dans leur couvent du Kaptol, ŕ
Zagreb, on trouva au début 1946 le trésor
oustachi, contenant bijoux, or, dents en or
scellées ŕ des mâchoires, bagues sur des
doigts coupés, etc., arrachés aux orthodoxes
et juifs assassinés; un PV d'emballage
rédigé pour chaque caisse attestait la
présence de fonctionnaires ŕ chaque
opération. La masse de la correspondance est
telle sur les horreurs accumulées par «
l'occupant et (...) les Oustachis [, avec
lesquels] beaucoup de (...) chefs
[musulmans] ont collaboré » que je renvoie
le lecteur, pour les sources, ŕ mon ouvrage
sur le Vatican. L’Église catholique
yougoslave s’était « compromise ŕ tel point
qu'il serait possible de dresser contre elle
un réquisitoire en n'invoquant que des
témoignages religieux », résuma en aoűt 1947
Guy Radenac, consul de France ŕ Zagreb, qui
en entendait encore de nouveaux, racontés
par des clercs français en poste pendant
l’occupation allemande .
Resté ŕ Zagreb, Stepinac organisa la fuite
des bourreaux, clercs (tel Saric) ou non
(tel Pavelic), sur mandat du Vatican, avec
les fonds alloués par les États-Unis ŕ un
recyclage jugé nécessaire ŕ leurs intéręts
dans la zone adriatique et ne relevant pas,
comme on le croit volontiers, de la seule
lutte idéologique dite de « Guerre froide ».
Zagreb fut un pivot des Rat Lines décrits
par le renseignement américain: 30 000
criminels croates s’échappčrent par la
filičre du pčre Draganovic, secrétaire de
Saric et familier de guerre de Maglione
(secrétaire d’État mort en 1944), Montini
(futur Paul VI) et Pie XII. Ils étaient
regroupés par l’archevęché de Zagreb, les
couvents et autres institutions croates
(dont la Croix-Rouge) de « croisés » sous la
tutelle de Stepinac; ils gagnaient ensuite
l’Autriche, accueillis par le haut-clergé
autrichien et la « mission pontificale » de
Salzbourg; puis rejoignaient Rome, étape
souvent avant le départ depuis Gęnes, aidés
par la Curie, l'archevęque de Gęnes, « la
police italienne » et des chefs de la
Démocratie chrétienne (tel de Gasperi).
Selon Radenac, « les milieux oustachis de
Zagreb » diffusaient encore en 1947 les
adresses connues des couvents accueillant
les fugitifs, pris en charge par des bourses
de l’association catholique « Pax romana »;
lui-męme en connaissait « de source directe
» maint cas. En Yougoslavie męme,
l’association catholique Caritas
subventionnait les secours aux familles
d'émigrés et d'oustachis terroristes restés
fort actifs sur place .
Ce qui précčde rend étonnante l’indulgence
infinie de Tito pour le prélat, dont il ne
voulait pas faire un martyr. Car Stepinac
conduisit contre le régime - ou plutôt,
comme nagučre, contre l’existence męme de la
Yougoslavie ressurgie de l’incendie - une
guérilla sans répit. Elle est bien reflétée
par la lettre pastorale issue de la
conférence épiscopale de Zagreb, le 20
septembre 1945, qui exigeait pour l'Eglise
une totale liberté en tout domaine, école
incluse, pestait contre la laďcité infâme et
stigmatisait l'expropriation et l'exécution
de 243 prętres convaincus de collaboration.
Elle fut menée non plus en compagnie des
Allemands mais des Américains - notamment du
« régent de la nonciature » Hurley, arrivé
en février 1946 ŕ Belgrade, et porte-parole
de ce qu’on appelait aux États-Unis męmes
pendant la Guerre froide « le lobby Stepinac
de Spellman ». Elle atteignit une telle
intensité que Tito ne cessa de demander au
Vatican son départ pour n’avoir pas ŕ sévir.
Il ne put obtenir d’Hurley, qui participait
en personne ŕ la mise en ébullition des
masses catholiques, l’éloignement de « cet
évęque encombrant », qui couvrait « les
attentats ou coups de force » surgis « ici
et lŕ » et « des manifestations [ŕ...]
allure politico-religieuse » . Ce veto
motiva sa décision du fameux procčs pour
collaboration, ouvert le 10 aoűt 1946,
contre 16 accusés dont 9 franciscains,
auxquels fut ŕ la mi-septembre joint
Stepinac. Ses subordonnés profitčrent de
l’occasion pour conter tout ou presque de
ses oeuvres depuis l’avant-guerre. La presse
occidentale, américaine en tęte - la France
ne fut pas la derničre - , ne cessa dčs lors
de s’indigner du « martyre » de cet «
innocent », condamné le 11 octobre ŕ 16 ans
de travaux forcés. La sentence fut comprise
partout, Vatican inclus, comme visant ŕ
ménager un compromis (chacun ayant attendu
la mort); elle ne fut d'ailleurs « jamais
appliquée » jusqu'ŕ la libération de
Stepinac début décembre 1951 - « geste (...)
dicté sous la pression de l'opinion
américaine » .
J’ai expliqué ailleurs avec plus de
précision pourquoi le problčme était
insoluble, la Curie menant aprčs 1945 la
męme guerre contre la Yougoslavie, désormais
« communiste », qu’elle avait conduite du
temps de la dynastie serbe des
Karageorgevic, et avec les męmes prélats
catholiques qui, ŕ travers le territoire
yougoslave, contestaient ouvertement le
tracé de ses frontičres. Les diplomates
français fulminčrent parfois, en pleine
guerre froide, de les voir agiter le pays
avec la męme arrogance que vingt ans
auparavant, tels Mgrs Santin et Radossi: «
On est étonné de la responsabilité prise par
le Vatican en laissant des agents italiens ŕ
la tęte du diocčse d'Istrie et on est non
moins surpris de voir l'armée yougoslave les
supportant patiemment au lieu de les chasser
ŕ coups de botte comme les carabiniers leurs
prédécesseurs », commenta Radenac, consul ŕ
Zagreb en octobre 1947 . Les archives que
j’ai consultées mettent, comme dans la
premičre décennie du premier aprčs-guerre,
l’accent sur la dimension italienne de cette
politique de harcčlement de l’État
yougoslave. Belgrade ne pratiqua ŕ aucun
moment de politique de persécution contre
l’Église catholique, et, comme le régime
précédent, fit parfois preuve d’un sens du
compromis aiguisé (depuis la rupture avec
Staline de 1948) par les nécessités de son
alliance avec les États-Unis et ses besoins
de crédits américains.
Malgré des apparences pesantes, le problčme
ne relevait pas de la Guerre froide, pas
plus que le caractčre ultra-réactionnaire du
régime serbe des années trente n’avait
arręté la main des sicaires. Trieste,
acquise ŕ l’Italie (origine de débordements
d’enthousiasme de Pie XII) le 8 octobre 1953
et le souci d’élargir les frontičres
italiennes expliquaient comme nagučre la
frénésie de la politique romaine
anti-yougoslave. Elle culmina au tournant de
1952 par la promotion de Stepinac ŕ la
pourpre cardinalice, injure insigne ŕ la «
Serbie, oů le souvenir du comportement des
Croates a laissé de profondes et durables
blessures » . L’ambassadeur de France ŕ
Belgrade Philippe Baudet, comme tous ses
collčgues confrontés ŕ la question, avait
admis en juillet 1951 que le veto du Vatican
contre le compromis sans tręve sollicité par
Belgrade - la demande de libération de
Stepinac en échange d’un exil romain -
donnait « un fond de vérité » ŕ
l’argumentaire yougoslave d’une coalition
Stepinac-Pie XII-la Curie « dans la main des
Germano-Italiens » et de Pavelic: Stepinac «
leur est plus utile en prison », sa
libération « affaiblirait le bloc
chauviniste italien anti-yougoslave,
puisqu’elle le priverait d’une de ses
sources de propagande » . Libéré, on l’a
dit, dčs 1951, Stepinac fut laissé sur place
pour transformer son village de Krasic en «
lieu de pčlerinage » et entretenir ŕ loisir
la flamme .
La fin des années cinquante commença
cependant ŕ laisser percevoir la deuxičme
phase, comme aprčs l’autre guerre, d’une
politique vaticane dont Stepinac, aussi
coopératif fűt-il, n’avait été qu’un pion en
Yougoslavie: celle du service au Reich. La
nomination, dčs 1955, d’Allemands comme
délégués apostoliques sous le prétexte « que
la majorité des membres du clergé et des
fidčles catholiques yougoslaves parlent
allemand » rappela l’entre-deux-guerres. La
suite des événements confirme que cette
alliance allemande l’emporta de façon
décisive dans les décennies suivantes: elle
aboutit ŕ l’éclatement de la Yougoslavie dčs
le début des années 1990, salué
officiellement par le tandem
germano-vatican, soutien et avocat de la
sécession croate. « L’élévation ŕ la dignité
de Cardinal de Mgr Stepinac » qui choquait
l’ambassadeur Baudet en décembre 1952
préparait les grandes festivités sur
l’acquisition de Trieste ŕ l’Italie - cadeau
américain qui ulcéra également ce diplomate
sans que Paris trouvât le courage politique
de le proclamer . Au terme des deux
décennies qui ont achevé d’ériger en allié
privilégié de l’Allemagne un pape « polonais
» au sens oů l’entendait Pie XII, artisan
initial de son ascension cracovienne, que
prépare la canonisation d’un des plus grands
criminels de guerre cléricaux de la Deuxičme
Guerre mondiale? La question soulčve une
interrogation plus générale. Si on la
compare aux sources originales, l’«
information » dont dispose aujourd'hui la
population française est le fruit d’une
véritable entreprise d’intoxication, centrée
en octobre 1998 sur le « martyr » Stepinac.
La mise en cause du droit réel ŕ
l’information s’est accompagnée d’une
effarante désinformation sur les problčmes
balkaniques, chape de plomb dont on aimerait
connaître les raisons profondes. Jusqu’ŕ
quand sera-t-il de fait interdit d’éclairer
ŕ titre autrement que confidentiel les liens
entre les misčres balkaniques du temps et la
puissance grandissante de l’Allemagne
réunifiée ?
CROAZIA
1941-1944: UNA CATTOLICISSIMA MACELLERIA
Il nazista
Pavelic e l'arcivescovo Stepinac, alleati di
genocidio
di Karlheinz
Deschner
Il testo che
segue č la traduzione letterale di quello presentato
da Karlheinz Deschner il 26/12/1993 in
occasione dell'ultima
puntata della sua serie televisiva sulla
politica dei Papi nel
XX secolo. Questa serie č stata trasmessa in Germania
da Kanal 4, sulle frequenze di RTL. Il testo e' stato
ripreso dalla rivista marxista tedesca
"Konkret" (n.3-1994,
pg.47) e tradotto in italiano a cura del
Coord. Romano per
la Jugoslavia.
Il Papato di Roma - divenuto grande attraverso
la guerra e l'inganno, attraverso la guerra e
l'inganno conservatosi tale - ha sostenuto nel
XX secolo il sorgere di tutti gli Stati
fascisti con determinazione, ma piů degli
altri ha favorito proprio il peggior regime
criminale: quello di Ante Pavelic in
Jugoslavia.
Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni
'30 addestrň le sue bande soprattutto in
Italia, fece uccidere nel 1934 a Marsiglia il
re Alessandro di Jugoslavia in un attentato
che costň la vita anche al ministro degli
Esteri francese. Due anni piů tardi celebrň
con un libello le glorie di Hitler, "il piů
grande ed il migliore dei figli della
Germania", e ritornň in Jugoslavia nel 1941,
rifornito da Mussolini con armi e denari, al
seguito dell'occupante tedesco. Da despota
assoluto Pavelic si pose nella cosiddetta
Croazia Indipendente a capo di tre milioni di
Croati cattolici, due milioni di Serbi
ortodossi, mezzo milione di Musulmani bosniaci
nonchč numerosi gruppi etnici minori. Nel mese
di maggio cedette quasi la metŕ del suo paese
con annessi e connessi ai suoi vicini,
soprattutto all'Italia, dove con particolare
calore fu accolto e benedetto da Pio XII in
udienza privata (benchč giŕ condannato a morte
in contumacia per il doppio omicidio di
Marsiglia sia dalla Francia che dalla
Jugoslavia). Il grande complice dei fascisti
si accommiatň da lui e dalla sua suite in modo
amichevole e con i migliori auguri,
letteralmente, di "buon lavoro".
Cosě ebbe inizio una crociata cattolica che
non ha nulla da invidiare ai peggiori massacri
del Medioevo, ma piuttosto li supera.
Duecentonovantanove chiese serbo-ortodosse
della "Croazia Indipendente" furono
saccheggiate, annientate, molte trasformate
persino in magazzini, gabinetti pubblici,
stalle. Duecentoquarantamila Serbi ortodossi
furono costretti a convertirsi al
cattolicesimo e circa settecentocinquantamila
furono assassinati. Furono fucilati a mucchi,
colpiti con la scure, gettati nei fiumi, nelle
foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle
cosiddette "Case del Signore", ad esempio
duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da
vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure
si tagliavano le orecchie ed il naso, da vivi
li si seppelliva, erano sgozzati, decapitati o
crocifissi. Gli Italiani fotografarono un
sicario di Pavelic che portava al collo due
collane fatte con lingue ed occhi di esseri
umani.
Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti dei
Serbi furono macellati, taluni in maniera
ripugnante, come il pope Branko
Dobrosavljevic, al quale furono strappati la
barba ed i capelli, sollevata la pelle,
estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto
era fatto letteralmente a pezzi dinanzi a lui.
L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar
Simonic, fu sgozzato.
Ciononostante l'arcivescovo cattolico della
cittŕ di Oden scrisse parole in lode di
Pavelic, "il duce adorato", e nel suo foglio
diocesano inneggiň ai metodi rivoluzionari,
"al servizio della Veritŕ, della Giustizia e
dell'Onore".
Le macellerie cattoliche nella "Grande
Croazia" furono cosě terribili che scioccarono
persino gli stessi fascisti italiani; anche
alti comandi tedeschi protestarono,
diplomatici, generali, persino il servizio di
sicurezza delle SS ed il ministro degli Esteri
nazista Von Ribbentrop. A piů riprese, di
fronte alle "macellazioni" di Serbi, truppe
tedesche intervennero contro i loro stessi
alleati croati.
E questo regime - che ebbe per simboli e
strumenti di guerra "la Bibbia e la bomba" -
fu un regime assolutamente cattolico,
strettamente legato alla Chiesa Cattolica
Romana, dal primo momento e sino alla fine. Il
suo dittatore Ante Pavelic, che era tanto
spesso in viaggio tra il quartier generale del
Führer e la Berghof hitleriana quanto in
Vaticano, fu definito dal primate croato
Stepinac "un croato devoto", e dal papa Pio
XII (nel 1943!) "un cattolico praticante". In
centinaia di foto egli appare fra vescovi,
preti, suore, frati. Fu un religioso ad
educare i suoi figli. Aveva un suo confessore
e nel suo palazzo c'era una cappella privata.
Tanti religiosi appartenevano al suo partito,
quello degli ustasa, che usava termini come
dio, religione, papa, chiesa, continuamente.
Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il
parlamento ustasa. Religiosi fungevano da
ufficiali della guardia del corpo di Pavelic.
I cappellani ustasa giuravano ubbidienza
dinanzi a due candele, un crocifisso, un
pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma piů
ancora i Francescani, comandavano bande armate
ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!".
Essi dichiaravano giunta "l'ora del revolver e
del fucile"; affermavano "non essere piů
peccato uccidere un bambino di sette anni, se
questo infrange la legge degli ustasa".
"Ammazzare tutti i Serbi nel tempo piů breve
possibile": questo fu indicato piů volte come
"il nostro programma" dal francescano Simic,
un vicario militare degli ustasa. Francescani
erano anche i boia dei campi di
concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia
Indipendente", in quello "Stato cristiano e
cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria",
"Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa
cattolica del paese, che encomiava anche Adolf
Hitler definendolo "crociato di Dio". Il campo
di concentramento di Jasenovac ebbe per un
periodo il francescano Filipovic-Majstorovic
per comandante, che fece ivi liquidare 40.000
esseri umani in quattro mesi. Il seminarista
francescano Brzien ha decapitato qui, nella
notte del 29 agosto 1942, 1360 persone con una
mannaia. Non per caso il primate del paradiso
dei gangsters cattolici, arcivescovo Stepinac,
ringraziň il clero croato "ed in primo luogo i
Francescani" quando nel maggio 1943, in
Vaticano, sottolineň le conquiste degli
ustasa. E naturalmente il primate, entusiasta
degli ustasa, vicario militare degli ustasa,
membro del parlamento degli ustasa, era bene
informato di tutto quanto accadeva in questo
criminale eldorado di preti, come d'altronde
Sua Santitŕ lo stesso Pio XII, che in quel
tempo concedeva una udienza dopo l'altra ai
Croati, a ministri ustasa, a diplomatici
ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse
alla Gioventů Ustasa (sulle cui uniformi
campeggiava la grande "U" con la bomba che
esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!".
I Serbi morirono allora, circa 750.000, per
ripeterlo, spesso in seguito a torture atroci,
in misura del 10-15% della popolazione della
Grande Croazia - tutto ciň esaurientemente
documentato e descritto nel mio libro La politica
dei papi nel XX secolo[Die Politik
der Paepste im XX Jahrhundert].
E se non si sa nulla su questo bagno di sangue
da incubo non si puň comprendere ciň che
laggiů avviene oggi, avvenimenti per i quali
lo stesso ministro degli Esteri dei nostri
alleati Stati Uniti attribuisce una
responsabilitŕ specifica ai tedeschi, ovvero
al governo Kohl-Genscher.
Piů coinvolto ancora č solo il Vaticano, che
giŕ a suo tempo attraverso papa Pio XII non
solo c'entrava, ma era cosě impigliato nel
peggiore degli orrori dell'era fascista che,
come giŕ scrissi trent'anni fa, "non ci
sarebbe da stupirsi, conoscendo la tattica
della Chiesa romana, se lo facesse santo".
Comunque sia: il Vaticano ha contribuito in
maniera determinante alla instaurazione di
interi regimi fascisti degli anni venti,
trenta e quaranta. Con i suoi vescovi ha
sostenuto tutti gli Stati fascisti
sistematicamente sin dal loro inizio. E' stato
il decisivo sostenitore di Mussolini, Hitler,
Franco, Pavelic; in tal modo la Chiesa
romano-cattolica si č resa anche
corresponsabile della morte di circa sessanta
milioni di persone, e nondimeno della morte di
milioni di cattolici. Non č un qualche secolo
del Medioevo, bensě č il ventesimo, per lo
meno dal punto di vista quantitativo, il piů
efferato nella storia della chiesa.
POSTILLA: In
occasione del primo viaggio in Croazia di Giovanni
Paolo II, il quotidiano italiano la
Repubblica taceva su
tutto quanto sopra raccontato, pero'
scriveva: "...Ma il
contatto con la folla fa bene a Giovanni
Paolo II. I fedeli
lo applaudono ripetutamente. Specie quando ricorda il
cardinale Stepinac, imprigionato da Tito per i suoi
rapporti con il regime di Ante Pavelic, ma
sempre rimasto nel
cuore dei Croati come un'icona del nazionalismo.
Woityla, che sabato sera ha pregato sulla sua tomba,
gli rende omaggio, perň pensa soprattutto al
futuro..." (la Repubblica, 12/9/1994). Tre
anni dopo, lo stesso
papa proclamava beato il nazista Stepinac,
con una pomposa
cerimonia alla quale partecipava pure Franjo Tudjman,
regista della cacciata di tutta la
popolazione serba delle
Krajne nella versione di fine secolo della "Croazia
indipendente".
Sulla beatificazione del
complice dei nazisti Alojzije Stepinac:
La visita del
Papa a Zagabria č all’origine di un
serio conflitto tra cattolici e
ortodossi. Pomo della discordia, la preghiera
di Ratzinger sulla tomba di Alojzije
Stepinac, il cardinale croato
accusato da molti storici di
collaborazionismo con il regime
ustascia. Per il Vaticano, Stepinac č
stato perň solo un «difensore degli
ebrei, degli ortodossi e di tutti i
perseguitati». Ferme parole di difesa
che sono giunte alle orecchie del
Patriarcato di Belgrado, irritandolo non
poco. L’Assemblea dei vescovi ortodossi,
che sta preparando le celebrazioni per i
1.700 anni dall'Editto di Milano, in
programma nel 2013 a Nis, ha cosě
cassato l’idea d’invitare Benedetto XVI
al solenne incontro. «Il Papa avrebbe
potuto ricevere l'invito se avesse
visitato l’ex campo di concentramento
di Jasenovac, onorando i circa
700mila serbi e i quasi 100mila ebrei e
rom uccisi» ha spiegato un anonimo
vescovo ortodosso... (Fonte: Serbia,
i vescovi ortodossi negano l’invito al
Papa, di Stefano Giantin. Su Il
Piccolo dell'8/6/2011)
IL DEVOTO CRIMINALE USTASCIA Il criminale di guerra Ante
Gotovina in udienza da Wojtyla
Vescovi croati e Vaticano offrono protezione
ad Ante Gotovina
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3008
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4558
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5036
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5636
Ante Gotovina condannato dal "Tribunale ad
hoc" dell'Aia per le stragi commesse in gloria
di Santa Romana Chiesa
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7060
IL VIAGGIO DI WOJTYLA NEL 2003
DALLA CROAZIA ALLA REPUBBLICA SERBA DI
BOSNIASENZA MAI CITARE JASENOVAC NE' ALCUNO
DEI CRIMINI COMPIUTI DAGLI USTASCIA
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/2623
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/2571
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/2567
On
April 22, 1945, a group of surviving inmates
broke out of Jasenovac, Nazi-allied
Croatia's main death camp. Sixty years
later, their memories – and the grisly
history of Jasenovac – have become prey to
politics, propaganda, and historical
revisionism more concerned with the 1990s
Yugoslav wars than with the truth about
"Independent Croatia" and its factory of
death.
Holocaust's
First Chapter
On April 10, 1941, four days after armies of
the Nazi Reich and their allies attacked the
Kingdom of Yugoslavia, Croat nationalists
(Ustasha) allied with Hitler and Mussolini
declared the "Independent State of Croatia"
(NDH), comprising most of today's country by
that name, present-day Bosnia-Herzegovina, and
parts of northern Serbia. Some 2 million Serbs
lived in that territory, and one of the first
goals of the Ustasha state was to change that
– permanently.
Historian Srdja Trifkovic of the Rockford
Institute wrote in April 2000:
"The most salient feature of Ustasha ideology
and state was the morbid hatred of the Serb.
To a Nazi, the Jew was a necessary political,
social, and psychological concept. To an
Ustasha Croat, the Serb was much more: an
integral part of his Croatness. Without him it
could not be defined, let alone practiced."
Racial laws targeting Serbs and Jews appeared
as early as April 18, 1941. By July of that
year, estimated Italian sources, over 350,000
Serbs and Jews had already been killed. It is
important to note that deliberate, organized
mass murder in the NDH predated the Holocaust
by six to eight months; not until January 1942
did the Nazis organize a meeting at Wannsee to
discuss the extermination of Jews.
Trifkovic opened his examination of the
Ustasha genocide with a quote by historian
Jonathan Steinberg, who said that, "The
omission of Croatia from the conventional
holocaust studies is like a book whose first
chapter is torn out."
Forgotten
Commemorations
At the hub of Ustasha genocidal activities was
Jasenovac, a camp named after the ash trees
(jasen) that grew alongside the Sava, near the
present-day border with Bosnia-Herzegovina. It
was the largest death camp in the NDH, and the
third-largest in Nazi-occupied Europe.
In April 1945, as the NDH crumbled under the
advance of the communist National Liberation
Army (NOV) and its Soviet allies, the Ustasha
tried to kill the last of the Jasenovac
inmates and destroy the evidence. The 760
women at the adjacent camp of Stara Gradiska
had already been massacred. Of the 1,000-plus
surviving men, 700 chose to risk a breakout.
Only 80 of them succeeded.
On April 17, the breakout was marked by a
ceremony in Donja Gradina, part of the
Jasenovac complex in what is now
Bosnia-Herzegovina, specifically the Serb
Republic. It was scheduled specifically to
avoid the overlap with Passover festivities,
out of consideration for the Jewish
participants. Serb Republic president Dragan
Cavic and Serbian president Boris Tadic
attended the ceremony, along with some 3,000
others.
Yet the mainstream Western media mentioned not
a word about it. As Chris Deliso of
Balkanalysis.com pointed out, only the Russian
Itar-Tass, Greek Kathimerini, and Chinese
Xinhua picked up the story. Even greater
silence accompanied the commemoration in New
York, organized by the Jasenovac Research
Institute, when a memorial was unveiled at the
Holocaust Memorial Park in Brooklyn. It was as
if the first genocide of WWII never happened.
Spinning the
NDH
However, the April 23 commemoration organized
by the Croatian government and attended by
some 2,000 people received widespread
coverage. Everyone mentioned the speech by
Croat PM Ivo Sanader about the evils of
fascism and the importance of remembering, but
no one mentioned the role of Sanader's
predecessor Franjo Tudjman in resurrecting NDH
symbols and values, or Tudjman's denials of
the Holocaust and Ustasha crimes.
Not surprisingly, in a month marked by the
death of one Pope and election of another, no
one mentioned the role of the Catholic Church
in the Ustasha state – and yes, in the
genocide as well – or that the Jews and Romany
were secondary targets after the "Eastern
schismatics." The ban on entering parks and
public transportation in Ustasha-run Zagreb
during WWII listed in very deliberate order:
"Serbs, Jews, Gypsies, and dogs."
But the very worst part came when everyone,
from BBC to AP and Reuters, spoke of
"independent historians" or "most estimates"
that put the number of Jasenovac dead at
100,000; anything above that was dismissed as
claims of "Serb nationalists."
"Independent"
Numbers
Since when are the Simon Wiesenthal Center and
Yad Vashem "Serb nationalists"? The Wiesenthal
center Web site speaks of "600,000" killed,
while Yad Vashem refers to "hundreds of
thousands," obviously suggesting more than
just one. Yes, Serbian researchers are citing
numbers of up to 750,000; but as Nazi envoy
Dr. Hermann Neubacher noted in his memoir, the
Ustasha themselves boasted of killing a
million Serbs altogether, and he thought
750,000 was a more likely number. Granted, not
all were killed in Jasenovac.
But how does claiming this number make Serbian
genocide researchers "nationalists," while
Croatian and other revisionists are described
as "independent"? Independent of what, the
truth?
There is no doubt that genocide took place in
the NDH, nor that the Ustasha had clear
genocidal intent. In 1941, there were 2
million Serbs in territories claimed by the
NDH. In 1991, there were just about as many in
the territories claimed by Croatia and
Bosnia-Herzegovina. Yet the overall population
of Yugoslavia had grown from just over 15
million in 1948 (after the war and genocide)
to 23.5 million in 1991. Facts speak for
themselves.
The Politics
of Genocide
Contrast the dismissive tone of reports about
Jasenovac with reports on Srebrenica, where
the deaths of several thousand Bosnian Muslim
men (claims range from 7,000 to 10,000) have
been termed "genocide" by everyone from the
press to the Hague Inquisition. Any attempt to
question this judgment, based on numerous
factual problems with both the allegations and
the evidence offered, is denounced as
"genocide denial." But the denial of a real,
documented genocide in Croatia is not a
problem!
To understand this paradox, it is necessary to
understand that "genocide" has become above
all a political notion. The mass murder of
Jews at the hands of Hitler's Reich has been
appropriated by the Empire as an argument in
favor of "humanitarian intervention" worldwide
(e.g., Bosnia, Kosovo). The mass murder of
Serbs at the hands of the Ustasha, with the
active involvement of the Catholic Church,
does not fit into Empire's carefully crafted
and nurtured image of Serbs as evil murderers,
and Croats, "Bosnians," and Albanians as their
innocent victims. Politically, it is worse
than useless: it is harmful.
This is why this year's commemoration of
Auschwitz – while appropriate and necessary –
was also turned into a political spectacle,
while the Serb commemoration of Jasenovac has
been shoved down the Memory Hole. This is why
one should expect a media circus this July, on
the 10th anniversary of the "genocide" in
Srebrenica. As readily as 20th century rulers
committed mass murder, 21st century
politicians cry "genocide" to describe the
suffering of officially designated victims,
while actual genocides perpetrated against
those out of grace – our out of sight – remain
unacknowledged.
JRI Calls
on the European Union to Demand Compensation
for Croatia's Holocaust Victims as a
Condition for EU Membership
25 February 2005
President of the European Union
Rue Wiertz
B-1047, Brussels
Belgium
Reference: Croatia’s application for membership
to the
European Union and article 17 of the E.U.
Charter of
Fundamental Rights
25 February 2005
Dear Mr.
President:
I am writing
to you on behalf of a group of Survivors of the Holocaust
in Croatia with whom our organization is working to
obtain financial compensation for their stolen properties in
Croatia.
The names I am
furnishing below represent just a small number of
individuals who were born in Croatia before World War II
and whose families were persecuted, murdered and had
properties confiscated by the Croatian
government for no other
reason but that they were Jewish. The confiscation
of their property by the Croatian government of 1941-1945
was part of a larger planned crime of genocide
perpetrated against all Jews, Serbs and Romas under their
rule.
The names of
the first group of individuals on whose behalf we are
writing are:
Eva Deutsch
Costabel, ( - address given - ) Michael Danon,
( - address given - ) Leonard Danon,
( - address given - ) Otto
Friedmann, ( - address given - ) George Bozo
Radan, ( - address given - ) Ricki Danon
Soltan, ( - address given - )
All of these
individuals are naturalized American citizens and Holocaust
Survivors. In some cases, these individuals hold dual
Croatian and American citizenship. In other cases their
birthright to Croatian citizenship has been denied by the
current government of Croatia. All of the individuals
named have been denied compensation for their property. The
present government of Croatia is deliberately
attempting to dispossess and deprive these and other
victims of World War II Croatian crimes of genocide, and
evade responsibility for such
crimes prior to joining the European Union. In the process
they are engaging in the most extreme forms of Holocaust
denial.
The Croatian
government has adamantly refused either to return the
properties of the above named individuals or
to compensate
them in any way. Legislation passed by the Croatian
government makes it virtually impossible for anyone to
qualify for compensation. Talks with representatives
of the United States on a bilateral agreement to
compensate American citizens (but not their heirs) for
their loss of property have been taking place for years
without result. This agreement would, in any case,
contradict the individual’s right to bequeath property, as
guaranteed by the constitution of the European
Union.
Article 17, of
the European Charter of Fundamental Rights states that:
“The right to
property is a traditional fundamental right in democratic
and liberal societies. It is contained in all national
constitutions and has been established by the jurisprudence
of the Court of Justice.”
“Everyone has
the right to own, use, dispose of and bequeath his
or her lawfully acquired Possessions. No one may deprived
of his or her possessions, except in the public
interest and in the cases and under then
conditions provided for
by law, subject to fair compensations being paid in good
time for their loss. ”
Croatia’s
refusal to come to terms with its past crimes
is in direct
contravention of the laws and practices of the European
Union. To allow Croatia entry in to the
European Union without
forcing it to resolve its longstanding disputes with
its own Holocaust victims would constitute both an in
insult and an injury to these victims as well as a travesty
of immense proportions.
To allow
Croatia’s entry under such conditions would inevitably
harm and undermine the reputation and stature of the E.U.,
for these are claims that will never go away or be
forgotten. They must be settled legally and it
is yours and the
European Union’s responsibility to recognize this
beforehand. I feel certain you will agree.
I urge you to
make the return of properties to the rightful
owners without conditions a mandatory
requirement for Croatia’s
admission to the European Union. In doing so, Croatia
will not only fulfill the requirements of the European Union
constitution but it will also join the rest of the
European community in closing this painful
chapter of its
history.
Sincerely,
(signed)
Barry Lituchy,
National Coordinator Jasenovac
Research Institute
cc.: U.S. Ambassador Edward B. O’Donnell, Jr.
cc.: D. Sprajic, Secretary General, Jewish
Communities
in Croatia
cc.: U.S. Senator Charles Schumer of New York
cc.: U.S. Senator Hilary Clinton of New York
cc.: U.S. Representative Anthony Weiner of New
York
cc.: Claims Conference
Alcune
note sul clerico-nazismo degli ustascia
a cura
di CNJ-onlus
Negli anni
Trenta del Novecento il Regno di Jugoslavia
era strutturato in banovine (contee) che prendevano in
prevalenza il nome dai principali fiumi. Nel
1939, rompendo con il criterio puramente
geografico, fu concesso di creare una banovina Croazia, che
prendeva il territorio di diverse banovine
estendendosi fino al fiume Drina. Nel 1941, con
la aggressione nazifascista, la Jugoslavia
fu smembrata e nei confini della banovina
Croazia fu proclamato il cosiddetto
Stato
Indipendente Croato (Nezavisna Država Hrvatska, NDH)
retto da Ante Pavelic e sostenuto da
Mussolini e Hitler. Inizia cosě il "pogrom
legalizzato" dei serbi ortodossi che
popolavano da centinaia di anni regioni
della Croazia. L’ordine esplicito fu quello
di “cacciare
un terzo dei serbi, un terzo convertire,
un terzo ammazzare”. Lo Stato degli
ustascia di Pavelic era intimamente legato
alla Chiesa cattolica croata, a capo della
quale era l’arcivescovo Alojzije
Stepinac, descritto come
“L’arcivescovo del genocidio” nel libro di
Marco Aurelio Rivelli (per i riferimenti del
libro, per altra bibliografia in materia e
per numerosa documentazione si veda sopra).
I
simboli degli ustascia: armi e crocefisso
Ante Pavelic
proveniva dall’Erzegovina, inserita nella banovina Hrvatska, come
d'altronde i piů grandi nazionalisti ustascia e come tanti frati
francescani che appoggiavano e salutavano
con il “saluto romano” i gerarchi ustascia e ne condividevano i metodi
feroci. Un esempio soltanto č quello di Max
Luburic che quando convertiva un serbo
ortodosso metteva il saio, quando poi lo
ammazzava indossava l’uniforme ustascia,
dicendo: “L’anima ti ho salvato ma il corpo
no!” Noti episodi della ferocia ustascia
furono descritti anche dall'italiano Curzio
Malaparte.
La Chiesa
ortodossa fu oggetto di spietata
persecuzione, in linea con la peggiore
tradizione "militante" della Chiesa
romanocattolica che sin dallo scisma del
1054 aveva cercato di annientare
strategicamente lo scisma degli ortodossi,
agendo in particolare verso i Balcani.La politica
genocida ustascia amava definire come Serbi
ortodossi "tutti quelli che si fanno la
croce con tre dita".
Dapprima (1942) nella
Costituzione dello NDH venne imposta la
creazione di una Chiesa ortodossacroata, con nomine di preti ortodossi
obbedienti.
Il decreto
del "Poglavnik" (Duce) Ante Pavelic
che costituiva la “Chiesa ortodossa
croata” (Ustase i
pravoslavlje. Cliccare
sulla immagine per ingrandire)
Poi, nel 1943,
su istruzioni del Segretariato di Stato di
Papa Pio XII, al clero nello NDH fu proibito
di usare il vero nome “ortodosso”, dovendosi
piuttosto usare l'appellativo di Chiesa
“apostata” o “scismatica”.
Un
Decreto ustascia proibě l’uso della grafěa
cirillica. Il prete cattolico Bozidar Bralo,
portavoce degli ustascia di stanza a
Sarajevo, notificň telefonicamente il
Decreto al metropolita Petar Zimonjic. In
quanto disobbediente, Petar Zimonjic venne
poi arrestato, torturato, rinchiuso nella
prigione di Petrinja, fotografato e
registrato con il numero 29781. Poi fu
trasferito nel Campo concentramento di
Kerestinac vicino Zagabria. Tanti altri
preti ortodossi venivano arrestati,
torturati e barbaramente ammazzati, come ad
esempio Platon Jovanovic, vescovo di Banja
Luka, Sava Trlajic, di Gornji Karlovci,
Bogoljub Gakovic, Stanislav Nasadil, e tanti
altri (fonte: “The
Uprooting. A dossier of the Croatian genocide
policy against the serbs", Ed. Velauto
International, London – Belgrade – New York,
1992). Dopo la
Liberazione (maggio 1945) la
Jugoslavia
processň gli altri prelati ecclesiastici
che erano stati piů o meno direttamente
implicati nelle politiche e nei crimini
commessi dai regimi nazionalisti nei quali
era stata squartata la Jugoslavia sotto il
nazifascismo. Tra questi prelati c'era
anche Alojzije Stepinac, che perň nel
frattempo era stato "promosso" cardinale dal
Vaticano. Stepinac fu condannato alla
detenzione, commutata poi con gli arresti
domiciliari nella sua cittadina natale;
durante la pena Stepinac riceveva in casa
anche personaggi di spicco.
L'articolo che
segue e' apparso su "il manifesto" del 3 Ottobre
1998, giorno della beatificazione di Alojzije
Stepinac da parte del papa di Roma:
REVISIONISMO STORICO
L'arcivescovo Stepinac, altro che martire
MARCO AURELIO RIVELLI *
Costituito il 10
aprile 1941 lo Stato Indipendente Croato, cioč
il regime ustascia di Ante Pavelic, fu
immediatamente posta in atto una mostruosa
crociata volta al totale sterminio dei serbi
ortodossi, degli ebrei e dei Rom, gli zingari.
Nel corso di quattro anni vennero sterminati
all'incirca un milione di esseri umani in una
maniera cosě feroce che non ha avuto eguali,
per le modalitŕ, in tutto il corso della
seconda guerra mondiale. Se l'atroce sterminio
di sei milioni di ebrei avvenne nel chiuso dei
campi, e per i piů la constatazione
dell'Olocausto ebbe luogo solo alla fine del
conflitto, i massacri ustascia furono invece
posti in atto con la maggiore pubblicitŕ di
fronte agli occhi di tutti: nelle strade,
nelle piazze, nelle campagne. I torturatori si
facevano un vanto di essere ripresi dalle
macchine fotografiche nell'atto di uccidere le
vittime. Mentre i vescovi tedeschi sostennero
sempre di essere stati all'oscuro degli
avvenimenti, lo stesso non si puň dire
dell'episcopato croato, dell'"Ambasciatore
Vaticano", Monsignor Ramiro Marcone e
dell'Arcivescovo Stepinac. Il numero delle
vittime varia da settecentomila ad un milione.
L'Enciclopedia Britannica riporta
settecentomila, secondo il rapporto redatto
dal Sottosegretario di Stato Usa Stuart
Eizenstadt nel giugno 1998, inerente l'oro
predato alle vittime degli ustascia e nascosto
- secondo il rapporto stesso - in Vaticano,
sono sempre settecentomila, per l'autore si
aggirano intorno al milione. Andrjia
Artukovic, Ministro degli Interni dello Stato
Croato Indipendente e capo di tutti i campi di
sterminio, affermň al suo processo che nel
solo campo di Jasenovac i trucidati furono
settecentomila. L'orrore della crociata
diventa ancora piů fosco quando si considera
la partecipazione fisica ai massacri di
centinaia di preti e frati, in particolare i
monaci francescani. Secondo la politica
ustascia, i serbi dovevano essere tutti
convertiti al cattolicesimo. Il Ministro Mile
Budak affermň a proposito dei serbi "... un
terzo lo convertiremo, un terzo lo uccideremo,
un terzo verrŕ rimandato in Serbia".
A capo del campo di sterminio di Jasenovac,
vi fu per un certo periodo il frate
francescano, Filipovic-Majstorovic, detto Frŕ
Satana. Al suo processo si vantň di aver
ucciso oltre quarantamila prigionieri. Gli
successe alla guida del campo un altro
religioso. Nel mio saggio indico i nomi di
circa 160 religiosi, colpevoli di
partecipazione diretta all'eccidio, ma furono
molti di piů. Il Resto del Carlino, quotidiano
bolognese, in due articoli del 18 e 22
settembre 1941, in pieno periodo fascista,
pubblicň a firma di Corrado Zoli due articoli
nei quali, inorridito, narrava gli eccidi
commessi dai francescani. Altre testimonianze
oculari, quelle degli appartenenti
all'esercito italiano, la maggior parte delle
quali accessibili a tutti conservate negli
archivi dello Stato Maggiore - Ufficio
Storico.
L'Arcivescovo Alojs Stepinac accolse con
calore l'arrivo di Ante Pavelic, il Poglavnik
(duce), ordinando che fosse cantato il Te Deum
in tutte le chiese dello stato e diffondendo
una lettera pastorale che incitava ad
appoggiare il nuovo Stato perché esso "...
rappresenta la Santa Chiesa Cattolica ...". La
Pastorale di totale appoggio al regime di
Pavelic vedeva la luce quando giŕ le prime
notizie di massacri si erano diffuse e
Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri Italiano
e genero del Duce, annotava nel suo diario, il
28 aprile 1941, "... spoliazioni, rapine,
uccisioni sono all'ordine del giorno". Il 26
giugno 1941, Ante Pavelic, che aveva giŕ al
suo attivo il massacro di 180 mila tra serbi
ed ebrei, compresi tre vescovi e oltre cento
pope ortodossi, concedeva udienza
all'episcopato cattolico e, anche in
quell'occasione, Stepinac non mancava di
esternare lodi per il Poglavnik come
documentato dai periodici cattolici,
"Katolicki List" e "Hrvatski Narod" del 30
giugno 1941. Da ricordare che il 17 maggio
precedente, Ante Pavelic, accompagnato da 120
ustascia in divisa, era stato ricevuto a Roma
da Papa Pio XII. Alla fine dell'anno,
l'Arcivescovo, che precedentemente con altri
11 religiosi cattolici era stato nominato
deputato al Parlamento Croato, riceve la
carica di capo dei cappellani delle Forze
Ustascia. Piů tardi riceverŕ anche un'altra
onorificenza ustascia. Superfluo aggiungere
che mai condannerŕ le efferatezze compiute
davanti ai suoi occhi da individui con i quali
per quattro lunghi anni intratterrŕ cordiali
rapporti.
Nell'aprile del 1945, gli ustascia in fuga
depositano, per ordine di Pavelic, tutti gli
atti e i documenti governativi, oltre ad oro
gioielli e preziosi rubati alle vittime serbe
ed ebree, nell'Arcivescovado di Zagabria, dove
verranno nascosti e scoperti dopo alcuni mesi
dalle autoritŕ del Nuovo Stato Jugoslavo.
Stepinac non puně mai - naturalmente in
maniera ecclesiastica - i sacerdoti che si
erano resi colpevoli di delitti, non proibě ai
cappellani ustascia di continuare - quanto
meno - ad essere testimoni di crimini, né
vietň alla stampa cattolica la continua
esaltazione del regime e delle sue leggi, e
tanto meno censurň pubblicamente un regime reo
di siffatte scelleratezze. Qualche apologeta
ha scritto in questi giorni che Stepinac elevň
alcune proteste contro, si badi bene, le
modalitŕ della conversioni ma non,l'affermo
recisamente contro i massacri. Mi chiedo se,
di fronte ad un eccidio di tale proporzione e
nefandezza, per di piů non isolato ma commisto
ad infiniti altri si possa tacere e non
esprimere lo sdegno di uomo di chiesa verso
tali assassini. Mi chiedo come si possa
assistere a cerimonie cui presenziano
criminali conclamati e i loro capi senza
rendersi conto di dare con la propria presenza
un sostegno di fatto a quel regime
sanguinario. Da non dimenticare che il
sostegno fu anche dato, dopo la costituzione
del Nuovo Stato Jugoslavo alla fine della
guerra, alle attivitŕ clandestine di
terrorismo condotte dagli ustascia che si
erano dati alla macchia e dei quali benedě,
dentro l'Arcivescovado, alcuni gagliardetti.
Infatti, rientrato clandestinamente a Zagabria
l'ex capo della polizia ustascia, Lisak, al
fine di svolgere un'attivitŕ di terrorismo
contro la Federazione, appena composta,
l'Arcivescovo lo nascose nel suo palazzo, come
dichiarato durante il processo dallo stesso
Lisak.
Stepinac non fu certamente un martire. Lo
stesso Tito chiese a Monsignor Patrizio
Hurley, rappresentante ufficiale del Vaticano,
di richiamare a Roma l'Arcivescovo, non
desiderando una rottura con la Santa Sede,
altrimenti avrebbe dovuto arrestarlo, come
riportato dall'Unitŕ del 7 novembre 1946 in
relazione ad un colloquio fra Tito e
Togliatti.
No. Stepinac non fu un martire. Chi scrive,
pur avendo visionato migliaia di atti, non ne
ha mai trovato uno dove l'Arcivescovo
manifestasse la sua pietŕ per i tanti
innocenti trucidati, fra i quali i migliaia di
donne e bambini; non ha mai trovato la fiera
condanna del Presule per l'uccisione barbara
dei vescovi e dei preti ortodossi, nonché dei
rabbini: sarebbe stato un gesto di caritŕ
cristiana di amore verso il prossimo in un
contesto dove imperversava il "Male". No.
Questo, Alojis Stepinac non lo fece. Seguitň
le sue frequentazioni con i criminali, che in
seguito, aiutň a fuggire. Condannato a sedici
anni di carcere, fu posto, dopo quattro anni
di detenzione, agli arresti domiciliari nel
suo paese natale. Morě nel suo letto. Pochi
giorni or sono il Centro Simon Wiesenthal ha
chiesto al Papa di soprassedere alla
beatificazione fino a che non fossero stati
meglio accertati i fatti.
Oggi, a Zagabria, Giovanni Paolo II beatifica
Alojis Stepinac. Nella teologia cattolica, la
santitŕ č il complesso delle perfezioni
morali. Propria di Dio in senso assoluto, e,
in grado diverso, delle persone che hanno
riprodotto in qualche modo la perfezione
divina e che hanno modellato la loro vita ad
imitazione di quella. Non ci sembra il caso
del Cardinale Stepinac.
* Autore di "Le Génocide occulté, Etat
Indépendant de Croatie 1941-1945", edito in
questi giorni da l'Age d'Homme-Losanna e
presentato a Parigi una settimana fa.
Intervista
a Marco Aurelio Rivelli
(a
cura di Vittorio Bellavite)
Il
suo
volume "L'Arcivescovo del genocidio"(
Milano '99 Kaos edizioni L. 35.000) ha
destato grande scalpore per la
documentazione sul genocidio effettuato
dagli ustascia di Ante Pavelic nei
confronti dei serbo-ortodossi negli anni
'41-'45 con la complicitŕ del clero
cattolico e con l'avvallo del Card.
Stepinac, allora Primate di Croazia.Cosa
l'ha indotto a scrivere di questo
argomento?
Ho
sviluppato la tesi di laurea che ho dato
nel '81 all'Universitŕ "la Sapienza" di
Roma. L'argomento allora ed in seguito mi
ha coinvolto moltissimo sia per la mia
passione per gli studi storici sia perché
mi sono reso progressivamente conto che
questo aspetto della seconda guerra
mondiale era tra i piů ignorati nella
cultura occidentale e che questa ignoranza
era inconcepibile per la gravitŕ dei fatti
che sono riuscito a ricostruire.
Ha
avuto qualche sponsor?
No,
ho lavorato da solo. Non sono uno storico
di professione, č l'unico libro che ho
scritto; ho approfittato di miei viaggi
per altre mie attivitŕ per esaminare
documenti e cercare testimonianze dirette
in Argentina, in USA, in Spagna oltre che
naturalmente in Croazia e in Italia. E' un
lavoro che porto avanti da quasi
vent'anni. La bibliografia in calce al
libro testimonia che ho esaminato tutto
quanto c'č in materia e che ho cercato
fonti dirette. Mi ha indotto a rompere gli
indugi e a concludere il libro il
documento ufficiale del Sottosegretario di
Stato americano Stuart E. Eizenstat del
giugno '98 che parla esplicitamente dello
sterminio nel '41-'45 di 700.000 serbi e
della conoscenza che di ciň avevano sia
gli Alleati che il Vaticano.
L'occultamento non č piů possibile. Il
documento americano č stato fatto in
occasione delle ricerca dell'oro trafugato
agli ebrei a partire dalla Conferenza
internazionale tenutasi a Londra nel
dicembre '97 su questo argomento con la
partecipazione di 41 paesi.
Perché
il titolo dell'edizione francese č "Le
genocide occulté"?
Perché
si
tratta appunto di un "genocidio
occultato". Non č conosciuto in Occidente
ed č stato trascurato dalla storiografia ;
gli sterminatori erano fanatici fascisti
che impugnavano la croce ed il pugnale,
erano appoggiati da gran parte del clero
cattolico e dai Vescovi. I militari
italiani, pure fascisti, cercavano di
frenarli ; gli sterminati non erano ebrei
ma altri cristiani giudicati scismatici
perché ortodossi. Il Vaticano sapeva tutto
e tacque. Innumerevoli segnalazioni giunte
da Londra, dagli Usa, dal governo
iugoslavo in esilio con richiesta di
intervento non furono raccolte dal
Vaticano (l'unico a protestare era il
Card. Tisserant, allora uno dei pochissimi
non italiani nella Curia). Ciň spiega
anche in buona parte la guerra civile
scoppiata in Jugoslavia nel '91.
Anche
all'estero questo genocidio č
occultato?
Mi
sembra di sě. In Jugoslavia perň esiste
un'opera monumentale in parecchi volumi di
Milan Bulajic. Questo storico ha passato
la sua vita a ricostruire il genocidio,
villaggio per villaggio, famiglia per
famiglia, campo di concentramento per
campo di concentramento. Ci sono i nomi, i
luoghi, le date. In Jugoslavia tutti sanno
per esperienza diretta, le notizie passano
di generazione in generazione; si tratta
poi di fatti non ancora troppo lontani. Si
trovano ancora testimoni diretti.
Perché
questa sua ricerca č stata edita in
Francia prima che in Italia?
Non
ho trovato un editore in Italia. Allora
l'editore svizzero-francese "L'age
d'homme" ha tradotto il libro in francese.
A Parigi č stato ben accolto e presentato
dall'ex-ministro Gabriel Kaspereit con
grande affluenza di pubblico. Finalmente
con l'editore "Kaos" č stato pubblicato
anche da noi ed ora si sta vendendo. Il
libro č stato ripreso in molti articoli,
dal "Corriere della sera" (Ettore Mo) a
"Repubblica" (Marco Politi) al "Giornale",
all' "Osservatore romano", ad altre
pubblicazioni.. Forse l'occultazione del
genocidio non continuerŕ per sempre.
La
lettura
del libro č un incubo. Pensavamo di
sapere giŕ il peggio del peggio con la
conoscenza della Shoŕ. In che cosa
questo genocidio č diverso da tutto
quello che giŕ sappiamo?
Il
genocidio inizia immediatamente, senza
alcuna organizzazione o preparazione (come
invece avvenne per l'Olocausto
meticolosamente preparato e gestito). Come
gli ustascia si insediano a Zagabria ( a
metŕ dell'aprile '41 ) inizia il massacro.
e continua per settimane e anni. I
massacri non sono occultati (come invece
cercavano di essere i lager tedeschi) ma
ben noti, visibili, per le strade, nelle
Chiese ortodosse....Non c'erano nazisti
contro ebrei ma fanatici fascisti di
confessione cattolica contro altri
cristiani ma serbi e di osservanza
ortodossa (cioč non dipendenti da Roma ma
dal Patriarcato serbo di Belgrado e dai
loro Vescovi ortodossi croati). In Croazia
il genocidio degli ebrei, che erano solo
novantamila, fu un'appendice di quello
principale e fu sollecitato dai nazisti. I
mussulmani furono lasciati in pace; non
erano "concorrenti", non facevano
proselitismo. Ultima differenza: lo
sterminio avvenne con tale crudeltŕ (nei
confronti di donne, bambini, con
mutilazioni, accecamenti,
sventramenti.....) da essere un unicum tra
le atrocitŕ della seconda guerra mondiale
e nella storia degli ultimi secoli. Al
confronto le camere a gas erano un
assassinio soft.
Le
truppe italiane assistettero al
massacro passivamente?
No.
Le truppe italiane di occupazione giŕ
nell'agosto del '41 ampliarono l'area che
occupavano dall'Istria e dalla Dalmazia
verso Est di un centinaio di chilometri,
estromettendo del tutto gli ustascia dove
arrivavano. I militari italiani impedivano
i massacri sia per motivi umanitari sia
per prevenire l'ingrossarsi delle file
partigiane che in quel periodo
cominciavano ad organizzarsi e che
raccoglievano i tanti che erano spinti
dalla situazione a passare alla macchia. I
tedeschi che occupavano la parte orientale
della Croazia e la Serbia lasciavano agire
in libertŕ gli ustascia. Gli italiani
riaprirono le Chiese ortodosse e ciň
suscitň la reazione di Stepinac presso i
militari italiani.
Ci
fu chi non stette zitto nella Chiesa
cattolica?
Ci
fu il parroco della Chiesa di S.Pietro a
Zagabria che fu condannato a morte da
Pavelic (ebbe poi salva la vita per
l'intervento di Stepinac di cui era stato
"padre spirituale"). Ci fu il Vescovo di
Mostar Alois Misic che denunciň al Card.
Stepinac le violenze degli ustascia in
quanto rendevano difficile una spontanea
conversione degli ortodossi al
cattolicesimo.
Che
possibilitŕ
avevano i serbi di sfuggire al
massacro?
Tutti
i
serbi, compresi i bambini e le donne,
erano a rischio di massacro. Si calcola
che lo sterminio abbia eliminato un
milione di serbi su un totale di due
milioni. L'unica possibilitŕ era la
conversione al cattolicesimo che infatti
in parte avvenne ( si parla di
duecentomila conversioni forzate) La
salvezza con la conversione indica quanto
il genocidio avesse radici nel fanatismo
religioso.
E
le responsabilitŕ di Stepinac?
Partecipň
fin
dai primissimi giorni dopo l'invasione
nazifascista all'accreditamento del regime
ustascia, spesso presenziando alle
manifestazioni del regime; membro del
Parlamento-fantoccio di Pavelic, condivise
l'oltranzismo antiserbo e sostanzialmente
tacque sulle stragi (salvo -pare- in
alcune omelie che non lasciarono traccia
in alcun documento scritto o in alcuna
direttiva al suo clero); condivise la
linea delle conversioni forzate salvo
questionare con gli ustascia su chi
dovesse accettarle e gestirle. Stepinac fu
definito dal noto storico delle democrazie
popolari Francois Fejto " il simbolo
esasperato dello sciovinismo cattolico
croato".
Il
processo fattogli dal regime comunista
fu veramente una farsa?
Volutamente
non
ho scritto niente sul processo. Ho fatto
una ricerca sugli anni '41-'45. Per me
Stepinac deve essere giudicato a partire
da quegli anni e tenendo ben presente
quello che successe, l'efferato genocidio
dei serbo-ortodossi.
Tito
cercň
di fare in modo che Stepinac lasciasse la
Croazia per non processarlo e per non
farne un martire ; il processo infatti si
tenne ben sedici mesi dopo la fine della
guerra.
La
mia ricerca del resto non si occupa solo
di Stepinac ma di tutta la vicenda del
genocidio e della fuga degli ustascia dopo
la sconfitta. Ho contribuito a scoprire "
The rat Channel " (il canale dei topi) con
cui migliaia di criminali nazisti ed
ustascia furono aiutati a fuggire in
Sudamerica. Al centro di questa rete di
complicitŕ e di questo smistamento c'era
il prelato ustascia Mons. Draganovich ed
il Collegio ecclesiastico di san Girolamo
degli Illirici in Via Tomacelli a Roma.
Jadovno – complex of Croatian Ustasha
camps/execution sites 1941
Jadovno is one of the first, of the most brutal
and most savage camps/execution sites in Europe.
Most of people know some facts about Jasenovac
death camp which lasted several years, about
Auschwitz, Treblinka, but very few know about
the Complex of Ustasha death camps Jadovno 1941.
If they say Auschwitz was a factory of death,
then in the complex of Jadovno execution sites,
death was “dealt by hand, as on a conveyor
belt”.
This complex of Jadovno Ustasha camps consisted
of Jadovno camp and along with it numerous
bottomless pits on Velebit, Gospić camp, camp
Ovčara near Gospić, a camp near Risova Glava,
camp/execution site Slana, camp/execution site
Metajna on the island of Pag, camp/execution
site Stupačinovo near Baške Oštarije and a
collection point for victims at Gospić railway
station. They were formed by state authorities,
Gospić County police administration in April
1941, headed by Ustasha emigrant Jurica Frković
with the help of a part of Catholic clergy and
the cooperation of the state, military and
police authorities who delivered, from all over
the Independent State of Croatia, Serbs and
Jews, Croats and other antifascists, men, women
and children to be destroyed.
This complex of camps/executions sites Jadovno,
already on the second day of the NDH’s
existence, on 11 April 1941, before there was
any resistance to this Nazi creation, is a
beginning of carefully planned and conducted
crime – genocide over the Serbian people and the
Holocaust of the Jews. The Ustashas and their
leader Ante Pavelić wanted to create a pure
Catholic state without the third of its
population, i.e. without the Serbs. This fitted
well into Hitler’s plan. Thousands and thousands
of Serbian victims were an extension of the
Holocaust.
The Ustashas are well-known for their
unimaginable and incomprehensible cruelties
without precedent in modern history. As I was
for years studying and researching original
archival documents of various origin on this
death camp, which lasted for a very short time,
from 11 April to 21 August 1941, and in which
40,123 people were murdered in unbelievable ways
incomprehensible to a normal human mind (38,110
Serbs, 1,998 Jews, 88 Croats, 11 Slovenians, 9
Muslims, 2 Hungarians, 2 Checks, 1 Russian, 1
Romany and 1 Montenegrin), it was not hard for
me to conclude that the Ustashas in their sadism
and cruelty surpassed the Nazis in the Holocaust
and the Young Turks in the genocide over
Armenians. They tortured and murdered with
pleasure and slaughtered with knives members of
their own biological species.
The victims were mostly Serbs and Jews brought
from all over the NDH and the camps were just a
short stop to the execution sites. Those were
located near bottomless pits of Velebit over
which victims were hit on the back of their
heads with mallets, slaughtered with knives,
thrown alive or barely alive headlong into the
abysses of Velebit and thrown into the depths of
the sea with rocks tied to their bodies.
Both German Nazis and Italian Fascists were
shocked by the cruelty of the Ustasha savagery.
They were appalled by Ustashas’ blood thirst.
And for a reason, because there were no such
crimes in the whole of Europe during the Second
World War. German head of defence in Zagreb
Arthur Heffner informed Berlin on 24 April 1942
on terrible Ustasha crimes over Serbs (and their
property), over people who had been living there
from the ancient times. He writes that he could
not believe that most of the priests of the
Catholic Church were heading this Ustasha crime.
He quotes Sarajevo Archbishop Šarić who writes
in a Catholic newspaper in 11 May 1941: “I
visited our Ustashas in North America. I sang
with all my heart our Ustasha hymns with tears
in my eyes. We have always given loyalty and
fealty to Homeland. More Croats! More Catholics!
God and Croats!”, also stating that he was an
Ustasha. Heffner mentions Franciscan monk
Francetić who ordered a primary school teacher
to separate Serbian Orthodox children from the
rest, and then Ustashas murdered them in front
of their teacher and schoolmates (St. Anthony’s
Herald, issue 7-8, pg. 80, 81, 1941). He also
mentions several other Catholic priests with
criminal intentions who gave instructions on how
to cleanse the NDH from Serbs, Jews and Romas.
The truth about the Complex of Croatian Ustasha
Camps Jadovno has been supressed, avoided and
silenced. Evidence of the crime was being
destroyed as soon as the crime was being
committed and after, and humble memorial sites
were destroyed in 1990–1995. The victims took
the truth about the cruelty of Ustasha crimes
with them into the bottomless pits and abysses
and their voice of horror echoed helplessly for
days from the pits of rugged Velebit, executions
sites on the island of Pag and waves of the
Adriatic Sea. Until today, nobody has exhumed
them, counted them or gave them a decent burial.
People used to say “this should not be done for
the sake of brotherhood and unity, let their
bones rest in peace where they are” - uncovered,
uncounted, forgotten in the darkness of
Velebit’s abysses and precipices.
Тhe thing created and legally organised by the
Independent State of Croatia from 1941 to 1945
surpasses with its monstrosity and inhuman urges
towards captive Serbs, Jews and Romany the
animal cruelty of actions taken in death camps
of the Third Reich.
Priredio:
Jovan Mirković, viši kustos Muzeja
žrtava genocida, Beograd
Uz odobrenje autora, preneseno iz
knjige: Dr
Đuro Zatezalo: „JADOVNO Kompleks
ustaških logora 1941. godine“
Summary prepared by: Jovan Mirković,
former responsible of the Museum of
Genocie Victims, Belgrade,
Fron the book by:
Dr Đuro Zatezalo: THE JADOVNO
COMPLEX OF USTASCHA CONCENTRATION
CAMPS 1941
L'Austria
č tuttora rifugio dei peggiori
assassini ustascia "The
Sun" del 16 giugno 2008 e poi
"Liberation" del 19 giugno 2008,
sotto il titolo "Babbo nazi va alla
partita", ci parla di tale Georg
Aschner grande amante delle
partite di pallone... infatti questo
nazista, il
cui vero nome č Milivoj Asner,
č stato pescato da un giornalista
inglese durante i campionati Europei
mentre festeggiava la vittoria
croata... Papy nazi va
au match / We find wanted
Nazi at footie http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6078 www.radioyu.org
-
06.11.2006.
17:01
Il
direttore dell’Istituto Simon
Wiesenthal, Efraim Zuroff, ha
consegnato a Gerusalemme, al
ministro degli esteri della
Serbia, Vuk Draskovic, tre dossier
sui crimini di guerra nella
Seconda guerra mondiale.
Zuroff ha riportato che si tratta
del capo della polizia di
insurrezione in Slavonia,
Milivoje Asner, e degli ex
comandanti dell’insurrezione di
Dubrovnik, Ivo Rojnica e Sandor
Kepir, che durante la Seconda
guerra mondiale, da poliziotti
ungheresi, hanno partecipato ai
crimini di guerra in Vojvodina.
Zuroff ha rilevato che č
assolutamente chiaro che queste
persone meritano di essere arrestate
e portate davanti alla giustizia.
Ivo Rojnica si trova a Buenos Aires,
e le autoritŕ argentine sono
disposte ad estradarlo, se uno stato
chiederŕ l’estradizione, ha fatto
sapere Zuroff. Nel caso di Ivo
Rojnica e di Milivoje Asner, si
tratta di crimini commessi sui serbi
in Croazia durante la Seconda guerra
mondiale, cosě che sia la Serbia sia
la Croazia hanno diritto di chiedere
la sua estradizione, ma questo non
puň e non dovrebbe essere fatto
senza Belgrado, ha detto Zuroff ed
ha aggiunto che martedě avrŕ un
colloquio telefonico al riguardo con
il ministro serbo della giustizia
Zoran Stojkovic. Nel Consiglio
per i rapporti internazionali a
Gerusalemme, il ministro Draskovic
ha tenuto un discorso sui legami
storici fra gli ebrei e i serbi,
soprattutto sulle loro sofferenze
nella Seconda guerra mondiale, e in
quell’occasione ha detto che i
crimini non devono essere nascosti
né dimenticati...
CROAZIA:CAMPO
CONCENTRAMENTO
CENTRO EUROPEO STUDIO OLOCAUSTO
(ANSA) - ZAGABRIA, 21 DIC - Il memoriale di
Jasenovac, dove nella Seconda guerra
mondiale ci fu il maggiore campo di
concentramento in Croazia voluto dal regime
filonazista degli ustascia, diventera' il
primo centro di una rete europea per
l'insegnamento sull'Olocausto. Lo riferisce
l'agenzia di stampa 'Hina'. L'iniziativa del
progetto, ha spiegato la direttrice del
centro di Jasenovac, Natasa Jovicic, e'
partita dall'istituto Yad Vashem di
Gerusalemme che il 27 gennaio prossimo, in
occasione della Giornata internazionale
della memoria della Shoah, inviera' in
Croazia una delegazione per concretizzare il
programma di cooperazione tra le due
istituzioni. Accanto alla creazione di una
rete europea di memoriali, di cui Jasenovac
dovrebbe essere punto di partenza, la
cooperazione prevede anche lo scambio di
esperti e la fondazione di un centro di
educazione e di ricerca sull'Olocausto.
''Con questo progetto Jasenovac diventera'
un centro di prestigio internazionale nel
campo dell'insegnamento sull'Olocausto'', ha
spiegato Jovicic. A Jasenovac, secondo
recenti stime di storici, tra il 1941 e il
1945 morirono circa 70.000 persone, tra
serbi, ebrei, Rom e croati antifascisti.
(ANSA). COR 21/12/2005 18:33
Appello all'amministrazione
cittadina ed alle autoritŕ croate per il
ripristino della targa con i nomi delle
vittime serbe del massacro ustascia della
chiesa ortodossa di Glina (12-13/5/1941):
From: Vesna Terselic [mailto:vesna.terselic @
documenta.hr]
Sent: Friday, July 29, 2011 1:42 PM
To: 'Documenta'
Subject: Inicijativa za
vracanje vracanje imena Spomen doma u Glini
MEDIJIMA
Cijenjeni, cijenjene,
U lipnju ove godine Documenta i GOLJP
pokrenuli smo inicijativu
za vraćanje imena Spomen doma u Glini i spomen
ploče žrtvama ustaških zločina iz 1941. godine.
Inicijativu je podržao i PEN.
14. lipnja
2011. uputili smo pismo nadležnim
institucijama. Pokušali smo u više
navrata kontaktirati gradonačelnika Gline,
predsjednika gradskog vijeća i Ministarstvo
kulture. Primili smo dopis od Ministarstva
kulture koji je potpisao državni tajnik Zoran
Šikić u kom nas obavještavaju da skrbe
isključivo o obnovi i zaštiti registriranih
spomenika kulturne baštine te nas upućuju na
obraćanje lokalnoj samoupravi u Glini.
Podsjećamo da su uhićenja glinskih Srba počela
su predvečer 11. svibnja 1941. prema unaprijed
pripremljenom popisu. Uhićeni su i neki Hrvati
koji su se opirali odvođenju susjeda ali su
pušteni slijedećeg jutra. Svi Srbi stariji od
15 godina koji su se tih dana zatekli u Glini
smaknuti su od strane ustaša u noći s 12. na
13. svibnja 1941. u selu Prekopi. Od
gotovo 3.000 prijeratnih stanovnika Gline više
je stotina muškaraca ubijenih u tijeku samo
jedne noći.
U hrvatskoj je
javnosti mnogo poznatiji kasniji zločin iz
iste godine počinjen krajem srpnja 1941. u
glinskoj pravoslavnoj crkvi u kom je
pogubljeno više od 600 stanovnika okolnih
sela. Nedugo nakon zločina crkva je
porušena. Materijalni ostaci pravoslavne crkve
su uklonjeni te je na tom mjestu izgrađen Spomen
dom koji je otvoren 1969. godine ispred kojeg je
postavljena skulptura „Majka s djetetom“ kipara
Antuna Augustinčića.
Smatramo da nije bilo primjereno ukloniti spomen
ploču, ni preimenovati Spomen dom izgrađen na
mjestu stradanja nevinih civila u Hrvatski dom.
Smatramo da ti tragični događaji trebaju biti
obilježeni na primjeren način. Tražimo da Gradsko
vijeće Gline u dogovoru s Ministarstvom
kulture usuglase stavova o vanjskom i
unutrašnjem uređenju Spomen doma i njegovom
primjerenom namjenskom korištenju te do
ovogodišnjeg obilježavanja 70. godišnjice
tragedije vrate ime Spomen doma i ponovo
postave spomen ploču.
Danas u petak 29. srpnja u 17.00 će se u Glini
održati komemoracija. Idući tjedan, prije
obljetnice zločina, objaviti ćemo zahtjev za
vraćanjem imena Spomen doma u medijima.
- Krajem srpnja komemoriramo 71.
godišnjicu ustaških zločina u Glini i
okolici. Ovim Priopćenjem želimo
podsjetiti javnost na stanje u kojem se
danas nalaze tamošnja spomen-obilježja i
na neadekvatan tretman tih simbola
stradanja i patnje Glinjana svih
nacionalnosti, pojedinačno daleko najvećim
dijelom srpske, stoji u Priopćenju kojeg
potpisuje Documenta, Građanski odbor za
ljudska prava, Hrvatski P.E.N. Centar,
Srpsko narodno vijeće i VSNM grada Gline
Masovna ubojstva glinskih građana, muškaraca
starijih od 15 godina u svibnju te isto tako
masovni zločin počinjen u glinskoj
srpskopravoslavnoj crkvi Presvete
Bogorodice koncem srpnja, a
najvjerojatnije i početkom kolovoza 1941.
godine, ističu se među mnoštvom drugih
počinjenih 1941. godine.
Žrtva kulturocida bila je i sama crkva, koja
je srušena nakon zločina u kolovozu 1941.
godine. Mjesto zločina prvi je put
memorijalno obilježeno 1969. godine
izgradnjom Spomen-doma, a uređivanje
memorijalnog prostora trajalo je do 1995.
godine, što je na koncu uključivalo i 1.564
imena stradalih na kamenim pločama. U
kolovozu 1995., nakon operacije Oluja,
spomenik je demoliran, ploče su uklonjene, a
Spomen-dom preimenovan u Hrvatski
dom.
Duboko smo uvjereni da se to nije smjelo
dogoditi i da je obveza sviju ljudi u Glini
da se izjasne za vraćanje izvornog imena
memorijalnom objektu i vraćanje spomen-ploča
na njihova izvorna mjesta. Pitanje
kompleksnom preuređenja objekta Spomen-doma
a autentičnim memorijalnim funkcijama u
središtu grada tek nakon toga može i treba
doći na dnevni red u suradnji sa stručnim
službama u Glini, Sisačko-moslavačkoj
županiji i Republici Hrvatskoj.
Mnogo je toga u vezi s tragičnim i
traumatičnim zbivanjima u Glini i široj
okolici 1941. godine do danas nedovoljno
istraženo. Zato je nedavno, od 28. do 30.
lipnja, na inicijativu Odsjeka za povijest
Filozofskog fakulteta u Zagrebu, a u
suradnji s Hrvatskim državnim arhivom,
Documentom - centrom za suočavanje s
prošlošću i Srpskim narodnim vijećem, održan
međunarodni znanstveni kolokvij Što se
uistinu dogodilo u glinskoj pravoslavnoj
crkvi između 29/30. srpnja i 4/5. kolovoza
1941. godine? Svjedočanstva i kultura
sjećanja sa ciljem da doprinese
egzaktnoj identifikaciji činjenica i
kreiranju preduvjeta za kulturu mišljenja
koja će odavati pijetet žrtvama i biti zalog
etnokonfesionalne rekoncilijacije i
humanizacije odnosa među ljudima.
Objavljivanje zbornika radova 2013. godine,
uvjereni smo, značajno će tome doprinijeti.
Najvažniji sljedeći iskorak bi morao biti
učinjen u Glini. Objektu na mjestu
srpskopravoslavne crkve Presvete Bogorodice
treba vratiti njegovo izvorno ime -Spomen-dom,
a ploče s imenima žrtava treba vratiti na
njihova mjesta.
Vesna Teršelič, Documenta –
centar za suočavanje s prošlošću
Zoran Pusić, Građanski odbor za ljudska
prava
Nadežda Čačinovič, Hrvatski P.E.N. Centar
Saša Milošević, Srpsko narodno vijeće
Nikola Miljević, Vijeće srpske nacionalne
manjine grada Gline
Objavljeno: 01.08.2012.
2014: Verso la
santificazione del complice dei nazisti
Alojzije Stepinac
Stepinac
ruši odnose sa Vatikanom? (14.02.2014
- i na
JUGOINFO-u) Saradnik Centra Simon Vizental
Alen Budaj kaže da bivše zemlje SFRJ,
posebno Srbija, moraju uložiti oštar
protest zbog namjere da Alojzije
Stepinac bude svetac
2016: Riabilitato in
Croazia l' "Arcivescovo del genocidio"
Con una decisione talmente rapida da
lasciare "sorpreso" persino il
ricorrente (il nipote di Stepinac –
parole sue!), la magistratura croata ha
annullato il verdetto del 1946 contro
Alojizije Stepinac. Stepinac, l'
"arcivescovo del genocidio", di fatto
cappellano militare del movimento
fascista e genocida croato degli
"ustascia". Giŕ al termine della Guerra di
Liberazione, Tito aveva chiesto al
Vaticano che si riprendessero
l'arcivescovo perchč diversamente
sarebbe stato processato. Il Vaticano
rispose... promuovendolo a cardinale. L' arroganza di Stepinac al processo
cui fu sottoposto si puň evincere dalla
lettura della nostra traduzione
in italiano di alcuni stralci.
Sullo stesso tema si vedano anche: Stepinac
i Jasenovac ; Operazione
Stepinac.
CROATIE
: LA JUSTICE ANNULE LE VERDICT DE
1946 CONTRE LE CARDINAL STEPINAC
(Courrier des Balkans | De notre
correspondante ŕ Zagreb | samedi 23
juillet 2016) Le tribunal de Zagreb a
annulé le verdict de 1946 contre
le cardinal Alojzije Stepinac
(1898-1960). Une décision qui
relance la polémique entre la
Serbie et la Croatie sur cette
figure controversée, reconnue
coupable par la gouvernement
communiste de Tito de
collaboration avec le régime
fasciste des Oustachis, pendant la
Seconde Guerre mondiale, mais
néanmoins béatifiée en 1998 par
Jean-Paul II...
L'Europe
et le révisionnisme historique de la
Croatie (Daniel Salvatore
Schiffer, 25.7.2016) Quand l'Union Européenne
aura-t-elle donc le courage moral,
ŕ défaut de lucidité politique, de
reconnaître, tout en la
condamnant, l’actuelle et
dangereuse dérive négationniste de
l'un de ses pays membres, la
Croatie, aujourd'hui confrontée,
une fois encore, ŕ ses démons
nationalistes ? ...