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Documentazione su RATLINES ed ODESSA
ovvero: il salvataggio dei nazisti, ustascia
inclusi,
da parte del
Vaticano e degli angloamericani
In questa pagina:
LINK nel nostro sito
LINK esterni
Sulla rinascita dell'ustascismo /
On the rebirth
of Croatian fascism
Sulle cause intentate contro il
Vaticano / On
Vatican Bank claims
Sul dossier Eichmann
Articoli in ordine cronologico inverso:
IL DOPPIO SUICIDIO DI BARILOCHE
estratto da: "Strani Casi Di Morte A Trieste"
di Claudia Cernigoi, Dossier n.25 a cura de La Nuova Alabarda,
2007
Il
Führer
e il prelato, cattolici con la svastica
Sull'apertura degli archivi del vescovo filonazista
Alois Hudal
(Il Manifesto, 06/10/2006)
Il Vaticano nascose gli
ustasha. Pavelic e i suoi ospitati nelle chiese
"Haaretz" pubblica la testimonianza al processo di San
Francisco
(La Repubblica, 16/1/2006)
«Stragi
naziste,
una
rete aiuta le Ss a evitare i processi»
(Corriere della Sera, 26 agosto 2004)
CROAZIA: CACCIA CENTRO
WIESENTHAL A DUE USTASCIA (ANSA,
giugno 2004)
Wiesenthal:
Croatian associates get death threats
(Deutsche Presse
Agentur, 23 July 2004)
OPERAZIONE
ODESSA.
Mi manda il Cupolone
Recensione al libro
Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi
nazisti verso l'Argentina di Perón, di Uki Goñi, Garzanti
2003, pp. 480, e.24
(La Stampa, 3/11/2003)
ARGENTINA: DOPO L'APERTURA DEGLI ARCHIVI
SUI NAZISTI
Quei 47 dossier mancanti
(Panorama, 29/8/2003)
Argentina:
vecchi
camerati
arruolano mercenari per la Croazia
(WoZ-die Wochenzeitung, 23/7/1993)
Vedi anche, sul
nostro sito:
- il dossier
Ratlines. La guerra della
Chiesa contro il comunismo: le reti di
fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia
nel secondo dopoguerra, con la copertura del
Vaticano (sintesi
dal libro di Mark Aarons e John Loftus)
- I crimini degli
ustascia nella Croazia "indipendente"
(1941-1945)
- Il terrorismo
ustascia nel corso della guerra fredda
- La rete del
Vaticano in aiuto dei criminali nazisti
(Il manifesto, 1994)
- I testi segnalati nella nostra bibliografia:
- articoli sparsi
tratti da altri siti internet:
LINK ESTERNI e
LIBRI sugli stessi argomenti:
Dario Fertilio: L’anima del Fuhrer
(Marsilio editore, 2016)
sulla figura di Alois Hudal, il
vescovo che sperava di "cristianizzare il
nazismo" e fu poi il regista delle ratlines
THE
VATICAN FILES
http://www.vaticanfiles.net/odessafiles.htm
Nazi “Butcher
of Lyon” was a German intelligence agent
(D.
Henning, 22 January 2011 - also on
JUGOINFO)
Pred
Kongresom izveštaj o saradnji nacista i
CIA
(Beta, 11.12.2010 - i
na
JUGOINFO-u)
Secret
papers
reveal Nazis given 'safe haven' in US
Toby Harnden, 14 Nov 2010 - also on
JUGOINFO)
E gli Usa
divennero il rifugio dei nazisti
Il
Corriere
della Sera, 14 novembre 2010
Article
from NY Times on US governement relationship
with Nazis during the Cold War
http://jasenovac.org/libraries/viewdocument.asp?DocumentID=155
Über die Netzwerke des
Bundesnachrichtendienstes
von
Klaus Eichner und Gotthold Schramm,
Tageszeitung junge Welt
Teil
I: Braunes Sammelbecken (03.02.2011 /
Thema / Seite 10)
Teil
II und Schluß: »Im Dienste alter
Kameraden« (04.02.2011 / Thema / Seite
10)
ERIKO SALERNO Mosad baza Italija
Samo jednu akciju Mosad sa bazom u
Rimu nikada nije sproveo: hvatanje ustaša i
Anta Pavelića, koji su u svet pošli iz Večnog
grada...
http://www.pecat.co.rs/2010/04/eriko-salerno-mosad-baza-italija/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6787
Nel suo libro
- prevalentemente dedicato al terrorismo
israeliano in Italia ed agli accordi tra
ambienti fascisti e sionisti negli anni a
cavallo della nascita dello Stato di Israele
- Eric Salerno ricorda alcuni aspetti
dell'operazione Ratlines. Tra questi sono
per noi particolarmente interessanti quelli
riguardanti gli ustascia:
L'arcivescovo di Genova Giuseppe Siri
<< dirigeva "un'organizzazione
internazionale il cui obiettivo è
predisporre l'emigrazione in America Latina
di europei anticomunisti (...) in
particolare fascisti, ustascia e altri
gruppi simili." Siri manteneva contatti
stretti con il colonnello delle SS Walter
Rauff, l'inventore del letale "furgone a
gas", predecessore delle camere a gas, e con
il sacerdote croato Karlo Petranovic, ex
dirigente della milizia croata ustascia.
(...) Nel 1999 in un tribunale americano lo
IOR, la Banca vaticana, è stata accusata di
avere incassato i beni trafugati dagli
ustascia. Come e perché è spiegato ai
giudici da William Gowen, ex agente del CIC
(...) "Ho interrogato personalmente
[Krunoslav] Draganovic..." (...) Gowen fu
bloccato dai suoi superiori quando era sul
punto di scoprire il nascondiglio romano del
boia [Ante Pavelic]. (...)
Soltanto in questi anni, da documenti
segreti della CIA e da altre rivelazioni, è
emersa la verità: Rauff era stato "salvato"
dal Mossad e aveva lavorato per i servizi
segreti israeliani. (...) I "contatti"
israeliani erano due. Shalheveth Freier e
Ted Gross... >> (pp.100-103)
<< Purtroppo (...) importanti
esponenti delle organizzazioni clandestine
ebraiche avevano cominciato a vendere
documenti falsi a tutti. E cita il caso del
colonnello ustascia Modic scappato con
moglie, figlio e figlia in America Latina
grazie a passaporti fasulli ottenuti
dall'American Jewish Joint Distribution
Committee, nella sede di Via San Basilio 9 a
Roma >> (p.107)
Eric Salerno
Mossad base italiana
Il Saggiatore, 2010
Pagine 225 — euro 19 — ISBN 9788842816140
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L'Austria
è tuttora rifugio dei peggiori
assassini ustascia
"The
Sun" del 16 giugno 2008 e poi
"Liberation" del 19 giugno 2008,
sotto il titolo "Babbo nazi va alla
partita", ci parla di tale Georg
Aschner grande amante delle
partite di pallone... infatti questo
nazista, il
cui vero nome è Milivoj Asner,
è stato pescato da un giornalista
inglese durante i campionati Europei
mentre festeggiava la vittoria
croata...
Papy nazi va
au match / We find wanted
Nazi at footie
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6078
www.radioyu.org
-
06.11.2006.
17:01
Il direttore
dell’Istituto Simon Wiesenthal,
Efraim Zurof, ha consegnato a
Gerusalemme, al ministro degli
esteri della Serbia, Vuk
Draskovic, tre dossier sui crimini
di guerra nella Seconda guerra
mondiale. Zurof ha riportato che
si tratta del capo della polizia
di insurrezione in Slavonia,
Milivoje Asner, e degli ex
comandanti dell’insurrezione di
Dubrovnik, Ivo Rojnica e Sandor
Kepir, che durante la Seconda
guerra mondiale, da poliziotti
ungheresi, hanno partecipato ai
crimini di guerra in Vojvodina.
Zurof ha rilevato che è
assolutamente chiaro che queste
persone meritano di essere
arrestate e portate davanti alla
giustizia. Ivo Rojnica si trova a
Buenos Aires, e le autorità
argentine sono disposte ad
estradarlo, se uno stato chiederà
l’estradizione, ha fatto sapere
Zurof. Nel caso di Ivo Rojnica e
di Milivoje Asner, si tratta di
crimini commessi sui serbi in
Croazia durante la Seconda guerra
mondiale, così che sia la Serbia
sia la Croazia hanno diritto di
chiedere la sua estradizione, ma
questo non può e non dovrebbe
essere fatto senza Belgrado, ha
detto Zurof ed ha aggiunto che
martedì avrà un colloquio
telefonico al riguardo con il
ministro serbo della giustizia
Zoran Stojkovic. Nel
Consiglio per i rapporti
internazionali a Gerusalemme, il
ministro Draskovic ha tenuto un
discorso sui legami storici fra
gli ebrei e i serbi, soprattutto
sulle loro sofferenze nella
Seconda guerra mondiale, e in
quell’occasione ha detto che i
crimini non devono essere nascosti
né dimenticati...
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L'alliance du Pentagone avec les nazis
http://www.reseauvoltaire.net/article14657.html
ou http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4102
CIA
NAZI
FILES RELEASED (9 Jun 2006):
Interagency Working Group on Nazi War
Crimes
"New
Information on Cold War CIA Stay-Behind
Operations in Germany and on the Adolf
Eichmann Case" by Timothy Naftali,
University of Virginia
"Gustav
Hilger: From Hitler's Foreign Office to CIA
Consultant" by Robert Wolfe, former
archivist at the U.S. National Archives
"Tscherim
Soobzokov" by Richard Breitman,
AmericanUniversity
"CIA
Files Relating to Heinz Felfe, SS Officer
and KGB Spy" by Norman J.W. Goda, Ohio
University
"Documents
Shed
Light on CIA's Use of Ex-Nazis" by Scott
Shane, The New York Times
Sulla rinascita dell'ustascismo / On the
rebirth of Croatian fascism:
Avvocati
statunitensi e preti cattolici difendono il
boia Gotovina
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5036
Argentina/Croazia:
Prosciolti
i trafficanti di armi amici degli ustascia
(2003)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2760
Argentina,
in manette l'ex presidente Carlos Menem
(giugno 2001)
"... arrestato con l'accusa di aver venduto
illegalmente armi alla Croazia ... tra il 1991 e
il 1995..."
http://www.repubblica.it/online/mondo/menem/menem/menem.html
Three NY Times articles about the rebirth of
Croatian fascism
A.
Comment -Telling some Truth, 7 Years Late
1. Croatia Forced
Thousands From Homes, Rights Group Says
by David Binder, NY
Times - December 8, 1993
2. Fascists Reborn
as Croatia's Founding Fathers
By Chris Hedges, NY
Times - April 12, 1997
3. On My Mind;
Back From the Grave
by A. M. Rosenthal, NY
Times - April 15, 1997
http://emperors-clothes.com/archive/dynamited.htm
http://www.srpska-mreza.com/Croatia/Nazi_neo.html
NEW BOOK:
Ingo Hasselbach has asserted his right
under the Copyright,
Designs and Patents Act, 1988 to be identified
as the author
of this work.
First published in Great Britain in 1996 by
Chatto &
Windus Limited
Random House,
20 Vauxhall Bridge Road,
London SW1V
2SA
Random House
Australia (Pty) Limited
20 Alfred
Street, Milsons Point, Sydney
New South
Wales 2061, Australia
Random House
New Zealand Limited
18 Poland
Road, Glenfield
Auckland 10,
New Zealand
Random House
South Africa (Pty) Limited
PO Box 337,
Bergvlei, South Africa
Random House
UK Limited Reg No. 954009
"Fuhrer Ex"
grew from:
Die Abrechnung: Ein
Neonazi steigt aus
by Ingo Hasselbach and
Winfried Bonengel
published in
Germany in 1993 by Aufbau Verlag GmbH
A CIP catalogue record for this book
is available from the British Library
ISBN 0 7011
6536 7
Printed and bound in Great Britain by
Mackays of Chatham PLC, Chatham, Kent
Read
excerpts
Sulle cause
intentate contro il Vaticano / On Vatican Bank claims:
A San Pietro l'oro di Pavelić
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/82
VATICAN BANK CLAIMS
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/193
---
Interessanti
sviluppi nel processo di San Francisco contro
la Banca
Vaticana
accusata di aver riciclato il denaro del
tesoro degli
Ustascia
(sottratto alle vittime del genocidio del
regime di Pavelic)
dopo la fine
della seconda guerra mondiale:
-------- Original Message --------
Subject: Update: Vatican Bank Lawsuit
Progressing
Date: Wed, 22 Feb 2006 22:31:19 -0500
From: Jon Levy
February 23, 2006
For Immediate Release:
Jonathan Levy and Tom Easton Attorneys
resistk @yahoo.com
202-318-2406
http://www.vaticanbankclaims.com
Current
Update
Vatican
Bank Lawsuit Progressing
San Francisco: Attorneys for plaintiffs
in Alperin v. Vatican Bank a
lawsuit seeking recovery of assets looted from
Yugoslavia during the
Second World War and converted post-war by the
Vatican Bank and
Franciscan Order reports progress on several
fronts:
The trial court has approved a Fourth Amended
Lawsuit that
substantially enhances the existing claims and
adds the Serbian
Republic of Krajina in Exile as a
Plaintiff. Additional facts about
how the Ustasha Treasury came to the Vatican
Bank, Vatican dealings in
gold bullion and the involvement of the
Franciscan Order in Rome and
Chicago have been added.
The deposition of the only known witness to
the Vatican and Franciscan
money laundering, former Army
Counterintelligence Special Agent William
Gowen is set to continue in Dallas on March 9,
2006. Gowen’s
eyewitness testimony has revealed so far that
Vatican official Fr.
Krunoslav Draganovic admitted to Gowen that he
received up to ten
truckloads of loot in 1946 at the Franciscan
controlled Croatian
Confraternity of San Girolamo. Gowen
also testified that the leader of
the treasure convoy, Ustasha Colonel Ivan
Babic, boasted to Gowen of
using British uniforms and trucks to move the
gold from Northern Italy
to Rome. As for the Ustasha Treasury’s
ultimate destination, Gowen
concurred that it could have gone nowhere but
the Vatican Bank.
Gowen’s testimony is likely to remain
unchallenged by any living
witness given the recent death of former
longtime Vatican Bank
President, Archbishop Paul Marcinkus, who
likely knew of the Ustasha
transaction but never spoke of it.
Further the United States Supreme Court has
denied a Vatican Bank and
Franciscan Appeal to halt the lawsuit.
The US State Department has
also denied previous requests by the Vatican
Secretariat to dismiss the
lawsuit.
For more information contact:
Jonathan Levy, Esq.
resistk @yahoo.com
202-318-2406
---
Olocausto:
Corte suprema Usa dice sì a processo a
Vaticano
Washington - La Corte Suprema americana ha dato
oggi il suo via libera al processo che un gruppo
di sopravvissuti dell'Olocausto ha intentato
alla banca vaticana, lo Ior (Istituto opere di
religione), e all'ordine francescano,
accusandoli di essersi appropriati, alla fine
della guerra, di beni di vittime del brutale
regime Ustascia, al potere in Croazia dal
1941 al 1945.
Quei beni, secondo l'accusa, sarebbero stati
trasferiti illegalmente dai francescani croati
nelle casse della banca vaticana e sarebbero
serviti a finanziare la fuga di gerarchi
ustascia e altri criminali nazisti transitati
proprio attraverso la città pontificia verso
destinazioni sicure in Sudamerica e
altrove.
Il processo era stato bloccato nel 2003 su
ricorso di un giudice federale, il quale
aveva sostenuto che si trattava di questioni da
affrontare a livello di governo statunitense e
non di tribunale. La Corte Suprema ha respinto
oggi il ricorso e ha deciso che il processo,
avviato nel 1999 da un gruppo di
ebrei davanti ad una Corte di San Francisco,
deve andare avanti.
fonte: Sda-Ats / Ecumenici, gennaio 2006
OLOCAUSTO:
CROAZIA, CORTE APPELLO USA RIAPRE CAUSA CONTRO
VATICANO
(ANSA) - NEW
YORK, 19 APR [2005] - Una Corte
federale d'appello a San Francisco ha riaperto
una causa legale avviata da superstiti
dell'Olocausto che hanno citato in giudizio la
Banca Vaticana con l'accusa di aver riciclato
beni sottratti a ebrei in Croazia durante la
seconda Guerra mondiale.
La decisione ribalta una sentenza di una Corte
minore che aveva respinto l'azione legale
sostenendo che le affermazioni legate alla
storia andrebbero affrontate a livello di
politica estera, non di azioni legali.
La Corte d'appello ha ridotto il raggio d'azione
entro il quale si potra' muovere la causa, ma ha
riconosciuto il diritto dei superstiti
dell'Olocausto di portarla avanti.
La denuncia era stata presentata la prima volta
nel 1999 contro la Banca Vaticana e l'Ordine dei
Francescani ed era legata alle vicende del
regime filonazista degli ustascia nel 1941-45.
(ANSA).
Sul dossier
Eichmann:
Eichmann, der BND und
die Expertenkommission
Wie der
Geheimdienst und das Bundeskanzleramt mit
einem von der Autorin erwirkten Urteil zur
Herausgabe von Akten umgehen
(Gaby
Weber 21.01.2011 - auch in
JUGOINFO)
USA: Unliebsame
Recherchen unterbunden
Deutsche
Journalistin abgeschoben. Gaby Weber wollte
unter anderem Akten über Nazi-Kriegsverbrecher
recherchieren
(Harald Neuber, 19.08.2010)
Nazivergangenheit unter
Verschluss
Berliner
Kanzleramt verweigert Freigabe von
Eichmann-Akten. Ehemalige Fluchthelfer im BND
werden geschützt. Kritik von
Bundesverwaltungsgericht
(Harald Neuber 01.07.2010)
Bundeskanzleramt sperrt
Eichmann-Akte des BND
Die 50
Jahre zurückliegenden Geheimdienstoperationen
bezüglich des Massenmörders Adolf Eichmann
bleiben ein Staatsgeheimnis
(Markus Kompa 23.09.2009)
Eichmann schwieg über
Adenauers rechte Hand Hans Globke
Der Arm
des BND reichte bis in Eichmanns Jerusalemer
Todeszelle (Ulrich Sander 01.07.06)
Skrupellos
11.06.2006 - WASHINGTON/MÜNCHEN/BERLIN
(Eigener Bericht) - (...) Die in Washington
veröffentlichten Erkenntnisse beleuchten das
Zusammenspiel zwischen den westdeutschen
Nachkriegseliten und dem überlebenden
NS-Personal, das in die neuen
Staatsstrukturen eingemeindet wurde oder
unter deren heimlichem Schutz stand. Eines
der staatlichen Kooperationszentren war der
Bundesnachrichtendienst (BND). "Wir wissen
jetzt, dass wenigstens ein Dutzend Veteranen
aus Eichmanns Judenreferat (...) nach 1945
als Geheimagenten für die CIA und den BND
(...) arbeiteten", schreibt Prof.
Christopher Simpson von der American
University (Washington D.C.) in einem
Beitrag für german-foreign-policy.com.
EN
FRANCAIS: Sans
scrupules
IN ENGLISH: Unscrupulous
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56004
Please
read also Christopher
Simpson's
article here:
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56392
Eichmann,
le
spie Usa sapevano ma tacquero / I
gerarchi nazisti al fronte occidentale
Archivi americani. Eichmann, Globke,
Gehlen furono salvati dagli americani in
nome della guerra fredda e della
ricostruzione di una Germania occidentale
fedelmente alleata agli Stati Uniti
(il manifesto, 2006)
|
|
(La
ricostruzione che segue è tratta dagli
articoli apparsi sul “Piccolo” nel gennaio
1996: “Si suicidano in Argentina” di C.
Barbacini; “Troppi i misteri dietro i due
suicidi”, sigla c.b.; “Conferma: suicidati
con il gas”, C. Barbacini; “Doppio suicidio,
indagini locali”, sigla c.b.; e da “I
misteri del croato”, di A. Tagliacarne e F.
Longo su “Cuore”, 27/1/06)
Nel settembre del 1995 una giornalista
triestina, Francesca Longo, intervistò per
conto del quotidiano “Liberazione” (organo di
Rifondazione comunista), a proposito della
situazione della Croazia alla vigilia delle
elezioni presidenziali che portarono
nuovamente al potere Franjo Tudjman, il
ventinovenne Valdi Veselica, croato originario
della cittadina istriana di Umago, che viveva
da qualche tempo a Trieste.
Così si espresse Veselica: “Mio padre è
abituato a tacere (...) si è iscritto all’Hdz
(il partito di governo, ndr) per trovare
lavoro. Io ho preferito emigrare. Ho fatto le
scuole sotto Tito, sono cresciuto con croati,
italiani, serbi, bosniaci, sloveni senza alcun
problema. Non ci mancava nulla, eravamo tutti
fieri di essere cittadini jugoslavi. Ho fatto
anche il servizio militare nell’armata (...)
sono nato jugoslavo e tale resterò”.
Assieme a Valdi era emigrata a Trieste anche
la sua compagna ventiquattrenne Barbara
Razman, croata di nazionalità italiana. I due
si erano stabiliti nella località di Opicina,
frazione di Trieste, dove vivevano in una
piccola casetta presa in affitto più o meno
all’epoca dell’intervista con la giornalista
di “Liberazione”; avevano lavorato, secondo la
stampa, lui come cameriere in un ristorante e
lei come pulitrice, ma avevano abbandonato
queste attività nell’ottobre del 1995 per
aprire una società di commercio di tartufi,
aragoste, funghi, datteri di mare. Ai primi di
dicembre Barbara fu fermata dalla Guardia di
Finanza, che le trovò nell’auto 20 chili di
tartufi non dichiarati, fatto che le costò una
denuncia per contrabbando ed una multa di 20
milioni di lire.
Fin qui nulla di strano. Ma il 14 dicembre
1995 una loro cugina andò dai carabinieri a
denunciare che, dopo avere incontrato i due
giovani a casa loro il 6 dicembre, non era più
riuscita a contattarli: da una settimana non
rispondevano al telefono. Un sopralluogo nella
casetta verificò che Valdi e Barbara erano
spariti nel nulla. “Hanno lasciato i piatti
ancora sporchi nel lavello (...) sul tavolo in
cucina hanno dimenticato anche il telefono
cellulare. Sono saliti sulla loro macchina,
una Croma di colore blu targata Treviso e si
sono portati via un borsone dove
presumibilmente hanno riposto qualche capo di
biancheria prima di andarsene per sempre”.
Un vicino di casa disse: “all’inizio di
dicembre mi hanno detto che si sarebbero
assentati per un paio di giorni ma che
sarebbero tornati per sfruttare il momento
favorevole alle vendite”.
I corpi senza vita dei due giovani furono
invece ritrovati il 30 dicembre in un’auto
Fiat 147 presa a noleggio, uccisi dai gas di
scarico, nei pressi della cittadina argentina
di San Carlos de Bariloche, “nella zona di
Colonia Suiza Est, chilometro 25 tra Camino e
Bahia Lopez”, praticamente dall’altra parte
del mondo rispetto a Trieste. Gli inquirenti
argentini ipotizzarono un suicidio “asfissiati
a causa del monossido di carbonio con un tubo
di gomma collegato con lo scappamento”, ma non
fu trovato loro addosso alcun biglietto di
spiegazioni, né alcuna lettera, “solo i
tagliandi del volo Genova-Buenos Ayres, i
passaporti e pochi dollari nelle loro tasche”.
Erano arrivati in Argentina l’11 dicembre ed
avevano preso alloggio a Bariloche all’hotel
Lagos de la Patagonia.
Un “investigatore” dichiarò alla stampa: “Non
abbiamo elementi concreti ma il sospetto è che
qualcuno si sia offerto di farli scappare da
Trieste in Argentina e che poi li abbia
scaricati”.
Il p.m. Giorgio Nicoli incaricò delle indagini
i carabinieri, ma “dal rapporto della polizia
argentina risulta che non sia stata effettuata
l’autopsia sui due cadaveri e che il
magistrato argentino si sia accontentato di un
esame esterno delle salme”. Le giornaliste
Longo e Tagliacarne riportarono su “Cuore” le
dichiarazioni dell’ex dirigente della Squadra
mobile di Trieste, Carlo Lorito e quelle del
p.m. Nicoli. Il primo avrebbe detto: “dal
plutonio ai serpenti, dalle armi di qualsiasi
genere all’eroina e all’hashish, dai datteri
di mare alla cocaina, sono poche le mercanzie
illegali che non passano per questo confine”.
Il dottor Nicoli invece avrebbe dichiarato:
“per ora il fascicolo è esile e siamo in
attesa del rientro delle salme (...) ci può
essere di tutto: possono avere avuto una
proposta di lavoro non mantenuta e finita
tragicamente. O magari si proverà che (...)
c’è stata istigazione al suicidio. Oppure,
viste le modalità, scopriremo una traccia che
porta ai servizi segreti croati. Ma questo non
lo scriva”. Come si vede, le giornaliste
scrissero anche quello che il magistrato non
voleva fosse reso pubblico, pur precisando che
non voleva fosse scritto.
All’epoca di questi articoli (fine gennaio) si
era dunque in attesa del rimpatrio dei corpi,
ma dopo pochi giorni la notizia sparì dalle
pagine dei giornali e non sappiamo se le
autopsie siano state fatte, se la magistratura
croata fece delle indagini né a quali
conclusioni sia giunta quella italiana.
Una storia tragica ed anche piena di misteri.
Cosa portò i due giovani, che sicuramente non
navigavano nell’oro, a mollare tutto, da un
giorno all’altro per prendere un aereo e
partire per l’Argentina? Perché avrebbero
dovuto accettare la proposta di qualcuno di
“farli scappare” (scappare da cosa o da chi?),
e perché proprio in Argentina, perché proprio
in un posto come Bariloche, una cittadina
della quale la maggior parte della gente non
conosce neppure l’esistenza?
Di Bariloche, località turistica nota in
Sudamerica per la splendida foresta
pietrificata che la circonda, parla la
scrittrice Isabel Allende nel suo struggente
“D’amore e d’ombra”: posta al confine tra Cile
e Argentina, i laghi che costeggiano il
confine erano attraversati dagli esuli cileni
che fuggivano dalla dittatura prima che i
militari prendessero il potere anche in
Argentina. Bariloche è una cittadina
graziosissima, che sembra trapiantata dalle
Alpi germaniche agli antipodi del mondo, una
cittadina la cui esistenza è divenuta nota al
grande pubblico solo negli ultimi anni perché
vi fu arrestato Erich Priebke (e per
coincidenza proprio il 25/11/95, poco prima
della repentina partenza di Valdi e Barbara).
A Bariloche si insediarono nel dopoguerra
moltissimi nazisti in fuga dall’Europa e
giunti in Argentina con le cosiddette
ratlines, che videro la collaborazione di
strutture vaticane, neonaziste e dei servizi
segreti “occidentali”, con la protezione
dell’allora presidente Peròn. Ma non furono
solo tedeschi a trovare rifugio in Argentina,
c’erano anche fascisti italiani ed ustascia
fuggiti dalla Croazia: e, tanto per parlare di
coincidenze, ricordiamo che anche attraverso
Trieste passava una delle linee di fuga dei
nazisti (nel terzo capitolo del libro
“Ratlines” (M. Arons e J. Loftus, “Ratlines”,
Newton Compton, 1993), dove viene narrata la
fuga da Roma del nazista ungherese Ferenc
Vajta, leggiamo che all’epoca si ritenne che
il rilascio fosse stato “congegnato” dal
triestino Fausto Pecorari, segretario generale
della Democrazia cristiana ed anche
vicepresidente democristiano dell’Assemblea
costituente).
Continuiamo con le coincidenze. Dall’8 gennaio
1996 a qualche giorno dopo, un immane incendio
ha distrutto quattromila ettari di foresta nel
parco nazionale vicino a Bariloche: lo abbiamo
letto in due brevissimi trafiletti pubblicati
all’epoca su “Liberazione”.
Vi sono poi altre cose che collegano
l’Argentina con la Croazia. Ad esempio la
notizia (luglio 1997) della messa sotto
inchiesta del ministro della difesa argentina
Oscar Camillòn per presunta vendita illegale
di armi alla Croazia e all’Ecuador (“Ministro
della difesa argentina sotto accusa”, su
“Liberazione” 17/7/96).
In un testo di Michele Gambino e Luigi
Grimaldi leggiamo: “il porto del cementificio
di Umago, in Istria: nessuno lo ammette
apertamente, ma da quando è iniziata la
guerra, embargo o no (...) molte navi sbarcano
carichi misteriosi (...) si tratta di
mercantili battenti bandiera argentina (...)
secondo gli esperti internazionali del
commercio delle armi l’Argentina, assieme al
Brasile, è uno dei principali esportatori
mondiali di armi e attrezzature militari, a
questo proposito, a partire dal 1992, alcuni
osservatori hanno segnalato la comparsa, tra
gli armamenti in dotazione alle milizie
croate, del fucile mitragliatore Fal di
produzione belga o, su licenza, argentina” (M.
Gambino e L. Grimaldi, “Traffico d’armi”,
Editori Riuniti 1995, p. 92, 93).
Il porto del cementificio di Umago: cioè la
cittadina dalla quale provenivano Valdi e
Barbara. Coincidenze?
Il Führer e il
prelato, cattolici con la svastica
di Martino
Patti
su Il
Manifesto del 06/10/2006
L'apertura
degli archivi del vescovo filonazista Alois
Hudal, rettore per decenni del Collegio
pangermanico di Santa Maria dell'Anima a Roma
ripropone la necessità di una analisi in
profondità dei rapporti tra la gerarchia
cattolica tedesca e l'ideologia hitleriana
Da tempo, ormai, il dibattito storiografico sui
rapporti tra chiesa cattolica e Germania nazista
sembra essersi impantanato sull'enigmatica
figura di Pio XII. Ben sapendo che una porzione
consistente delle carte resta ancora sotto
chiave negli archivi vaticani (ognuno ha i suoi
tempi, per carità) si continuano a costruire le
ipotesi più fantasiose sui presunti silenzi del
pontefice, sul suo presunto antisemitismo, sulle
sue presunte responsabilità nelle vicende legate
al secondo conflitto mondiale e all'Olocausto,
quasi fosse questa la sola cosa essenziale.
Certo il reality - vero o falso che sia - vende
discretamente bene e a molti, in fondo,
imbastire polemiche conviene.
Ma sul serio non c'è dell'altro? Sul serio, per
comprendere in che modo - tanto per iniziare -
il cattolicesimo tedesco reagì alla virulenta
ondata hitleriana e alla demolizione definitiva
della Repubblica, non possiamo prescindere dal
povero Pacelli, e provare a ritagliare un numero
esauriente di casi empirici, da cui dedurre -
come richiederebbero le leggi più elementari
della storiografia - situazioni, convergenze
ricorrenti e eventualmente una prima
interpretazione? «Guré, guré behet kalaja»
recita un antico proverbio albanese: pietra su
pietra, si fa il castello.
Un prelato arrivista
Gli spazi di lavoro, del resto, sono ampi e
variegati. Talvolta, persino al di qua del
Brennero: come ci dimostra il Collegio
Pangermanico di Santa Maria dell'Anima in Roma,
che con un doveroso gesto di coraggio (tardivo
anch'esso, ma comunque ammirevole) inaugura oggi
l'apertura agli studiosi degli archivi personali
di monsignor Alois Hudal. Il passaggio è di
notevole importanza, anche se forse sull'infame
Netzwerk Odessa saranno poche le sorprese. I
novantasei faldoni hudaliani, infatti, oltre a
gettare luce sulla personalità (contorta e
arrivista) dell'autorevole prelato austriaco, a
confermare in maniera non più discutibile le
tristi immagini affrescate da Ernst Klee nei
suoi brillanti reportage (tradotti in italiano
in Chiesa e nazismo, Einaudi 1993) e a suggerire
nuove piste di ricerca, mettono bene in risalto
l'ingombranza fastidiosa dell'enorme piattaforma
mentale e culturale offerta da ampi settori del
cattolicesimo di ambientazione germanica alla
presunta «rivoluzione nazionale» ventilata dal
Führer e dal suo movimento.
Le simpatie di monsignor Hudal per il nazismo
non sono una novità per nessuno né si dimentica
che, ancora nei primi anni '60, fu lo stesso
rettore emerito del prestigioso istituto
pontificio a ribadire con superbia, dall'esilio
forzato di Grottaferrata, tra le righe dei
Römische Tagebücher (i «Diari romani»), la sua
tesi ributtante: sempre meglio Hitler che la
paccottiglia giudeo-bolscevica, la democrazia
socialdemocratica o per contro il capitalismo
americano. E ai forni polacchi neanche un
accenno, una allusione di pietà.
Trent'anni addietro, inoltre - al chiaro scopo
di convincere le gerarchie ecclesiastiche e i
cattolici più «illuminati», e tuttavia ancora
timorosi, circa l'intrinseca bontà o
recuperabilità in chiave cristiana del nazismo -
Hudal aveva dato alle stampe il ponderoso
trattato Die Grundlagen des Nationalsozialismus
(«I fondamenti spirituali del
nazionalsocialismo», Lipsia-Vienna, 1936).
Condanne in contumacia
Nessuno sgomento, dunque, nel ritrovare, tra i
forzieri rinascimentali dell'Anima, obbrobri
clamorosi quali la dedica del volume al
dittatore tedesco («Al Führer del Risorgimento
tedesco. Al novello Sigfriedo della grandezza e
della speranza della Germania - Adolf Hitler») o
la copia del telegramma datato 15 luglio 1937,
con cui Hudal, ormai vescovo titolare di Ela,
esprimeva alla dirigenza del Reich le proprie
cordiali congratulazioni per la buona riuscita
dell'Anschluß. Di fronte a simili sbottate lo
sdegno è sacrosanto. E tuttavia, condannare in
contumacia i monsignori - com'è d'uso da almeno
mezzo secolo - basta davvero a far progredire la
ricerca? Evidentemente no. Quel che serve,
semmai, è afferrare le radici nel profondo,
stabilire legami verosimili tra il presente e il
passato - e poi, è ovvio, agire e contestare se
necessario. È una questione anche di strategia:
per poterlo sconfiggere, prima bisogna
conoscerlo, il nemico. Ma da questo punto di
vista è desolante constatare quanto superficiale
sia stato finora, in generale, l'approccio
analitico al fenomeno del consenso cattolico nei
confronti dei regimi autoritari fioriti in mezza
Europa tra le due guerre mondiali. Che non si
sia compreso come il sostegno di Hudal al
nazismo, lungi dal rappresentare il singolare
esito patologico di una qualche deviazione
individuale, riassuma in miniatura una intera
stagione teologico-intellettuale, e forse
persino magistrale, precisamente questo è grave.
Ma cosa dicono le fonti? In realtà, le più
recenti acquisizioni documentarie, e
segnatamente gli scritti di monsignor Hudal,
suggeriscono la netta impressione che, specie
nei primi ventiquattro mesi di dittatura - sullo
sfondo della modernità illuminista e liberale,
della secolarizzazione, del Kulturkampf
«d'infausta memoria» e della minacciosa
rivoluzione d'Ottobre - sia scattata una
sciagurata interferenza tra la profezia
ideologica divulgata, e in parte poi inverata,
dalla Nsdap (il partito nazista) e le correnti
teologiche più avanzate dell'epoca. Nella
congiuntura di sofferta transizione scaturita da
Versailles, contrassegnata dalla depressione
economica e dal radicalizzarsi del conflitto
sociale, la lezione aristotelico-tomista e
agostiniana (mediata tra Otto e Novecento da
pensatori neoscolastici del calibro di Josef
Kleutgen, di Martin Grabmann, di Erich Przywara)
sembra infatti aver fornito ai genî più
volenterosi - tra cui Hudal in prima fila - il
presupposto logico necessario per tradurre in
certe istanze restaurative della condizione di
Ordine la riproposizione del primato, tutto
medievale, del dato oggettivo su quello
soggettivo, dello stato (civitas) e
dell'auctoritas sul contrattualismo illuminista,
dell'unità responsabile sugli egoismi
frammentari e particolaristici. In tal modo, la
collaborazione con il nuovo stato avrebbe potuto
concretizzarsi (e si concretizzò, sovente)
intorno a quattro poli fondamentali.
La coscienza tedesca
Prima di tutto l'impero, perché l'unico schema
politico-istituzionale in grado di salvaguardare
l'ordine cristiano della creazione, l'ordine
buono vero e giusto del reale (natürliche
Weltordnung), era quello in cui l'autorità
derivava da Dio e non dall'uomo, cioè dalla
repubblica democratica: come del resto esigeva
la migliore tradizione nazional-germanica che, a
prescindere dalla volgare retorica hitleriana,
contemplava già per conto suo il Führerprinzip
autoritario. Al riguardo, basti pensare al caso
paradigmatico di Otto von Bismarck. In secondo
luogo l'unità, perché del Kulturkampf, almeno
una conseguenza non potrà mai esser posta in
discussione dagli storici: aver approfondito
l'infausta spaccatura ereditata da Lutero,
frantumando ulteriormente la coscienza nazionale
dei tedeschi e generando, nei cattolici, la
sgradevole sensazione di essere, in fondo, una
minorità ingiustamente perseguitata dallo Stato.
Ma cosa sventolava il buon Ottone redivivo,
sotto il naso dei tedeschi, se non proprio la
solenne immagine programmatica della
Volksgemeinschaft, della Volkswerdung ossia
dell'agognata riunificazione di tutti i
Volksgenossen (termine che non si traduce in
italiano con «cittadini», ma piuttosto con
«membri» cioè «fratelli nel sangue, nella lingua
e nella terra condivisa») nella ritrovata
comunità nazionale ed ecclesiale? Terzo punto,
la totalità: sin dai tempi di Pio IX, il
magistero ufficiale aveva adottato l'antica
visione teologica, anche questa di chiara
matrice patristica e aristotelico-tomista,
secondo la quale, nei limiti della Creazione
divina, la sfera politico-civile si vedrebbe
destinata, secondo natura, ad armonizzarsi alla
dimensione religiosa e sovrannaturale, pur
restando entrambe ermeticamente separate. Ed
ecco, se da un lato la politica religiosa del
regime in via di normalizzazione a nient'altro
mirava che alla spoliticizzazione coatta delle
chiese in quanto associazioni tra le tante,
dall'altro lato larghi settori del cattolicesimo
tedesco non disdegnarono affatto la formula del
«cristianesimo positivo», che avrebbe permesso
loro di affossare, insieme agli altri partiti
d'epoca liberale, il Zentrum scellerato,
riducendo la chiesa al suo più genuino ufficio
spirituale. Infine, il corporativismo
organicista: con rara fermezza, nell'enciclica
Quadragesimo anno, Pio XI aveva preso posizione
contro «la lotta di classe fratricida fomentata
dal bolscevismo marxista», invitando i cristiani
a ristrutturare il corpo sociale in direzione
sia della definitiva redemptio proletariorum
sia, soprattutto, della berufsständische
Volksordung. Questa espressione - legata per
definizione ai concetti di natura (Natur), di
ordine cosmico naturale (natürliche Ordnung) e
di ordine stabilito da Dio (gottgewollte
Ordnung) - non gode di una traduzione immediata
in italiano ma è densa di significato perché
sottende una forte valenza non solo metafisica,
ma anche etica. Stando alla lettera, infatti,
essa raffigura per un verso quell'Ordine ideale,
quell'articolazione «ontologica» che il Volk
(che non vuol dire «popolo» quanto piuttosto
«nazione», anch'essa creata nel sangue dalla
mano paterna di Dio) tenderebbe ad assumere in
ragione dell'attuazione da parte di ogni suo
membro delle proprie doti naturali (natürliche
Fahigkeiten) ma per un altro verso, anche,
quella realtà comunitaria (Gemeinschaft, non
Gesellschaft) che, strutturandosi per ceti o
corporazioni professionali (Berufstände,
berufsständische Körperschaften), esclude o
congela la possibilità stessa della mobilità
sociale: giacché, in quella prospettiva,
«professione» significa né più né meno «risposta
a una vocazione naturale» (si pensi a Max
Weber). Ma, quantomeno sul piano delle
similitudini formali, non è possibile rilevare
una certa contiguità tra questa visione ideale e
l'impianto classista della riforma giuslavorista
varata dai ministeri Schmitt-Mansfeld il 20
gennaio 1934 nel quadro più o meno emergenziale
della nuova economia di guerra? Inoltre, se è
vero che il dottor Angelico aveva sentenziato
«Bonum commune melius est et divinius bono
unius», non è altrettanto vero che Hitler e i
suoi scherani inneggiavano nei discorsi
ufficiali e negli scritti programmatici al
primato del bene comune sull'interesse privato
(«Gemeinnutz vor Eigennutz!»)?
Sebbene sia ancora troppo presto per lanciarsi
in categoriche asserzioni positive, alla luce di
queste osservazioni si è comunque tentati di
stabilire un paio di conclusioni. In primo
luogo, dal punto di vista metodologico (come
amava insegnare Edward Hallett Carr), colui che
vuol spiegare la storia in tutta la sua
complessità materiale deve non solo introdurre
una gerarchia tra diverse cause in
inter-relazione, ma anche rivivere interiormente
ciò che avvenne nelle menti delle sue dramatis
personae, ascoltando prima di giudicare. Ma nel
nostro caso specifico questo può significare una
cosa soltanto: abbandonare quell'ottica
forzatamente laicizzante che da decenni ormai ci
impedisce di discutere in maniera adeguata
questioni le cui radici affondano anche in un
humus palesemente storico-religioso e teologico.
Oltre le versioni ufficiali
In secondo luogo, premesso che in effetti
sarebbe rischioso «anche solo supporre un
atteggiamento univoco o unitario di tutta la
Chiesa cattolica o di tutta la Curia romana nei
confronti del nazionalsocialismo» (Hubert Wolf),
e che certo vi è una differenza sostanziale tra
la fase della Machtergreifung (30 gennaio 1933)
e quella successiva - inaugurata il 30 giugno
1934 con la liquidazione del fronte
conservativo: la cosidetta «notte dei lunghi
coltelli» - viene da chiedersi se alla fine dei
conti non sia ingenuo accettare la versione
ufficiale dei fatti e credere che la «grande
conciliazione» (Günter Lewy) dischiusa alle
relazioni tra stato e chiesa cattolica in
Germania dalla storica conferenza di Fulda (30
maggio-1 giugno 1933), con l'abolizione del
divieto episcopale di adesione alla Nsdap ad
esempio, sia stato il semplice risultato di una
serie di circostanze accidentali e di eventi
contingenti. Non è forse arrischiato ridurre il
concordato, siglato con il Reich nel luglio '33,
al provvidenziale strumento giuridico intessuto
dall'astuta diplomazia pacelliana per attuare
una improbabile opposizione al regime oppure per
salvare il salvabile ed evitare il collasso
letale - e niente più? Smettiamo di fare
apologia, da una parte e dall'altra, e
affrontiamo la realtà.
Molto probabilmente, nella misura in cui il
nuovo Stato totale avesse conformato anche solo
in via preliminare la propria politica interna a
un modello rigido di tipo etico e organicista,
lasciando intravedere la restaurazione, da
operarsi anche manu militari, della
Weltanschauung dell'Ordine naturale, il
ripristino dell'Ordine della Creazione, la
Chiesa avrebbe sostenuto senza troppo
tergiversare e anzi con viva sollecitudine
l'opera del Führer. E del resto, dato quel
passato, dato quel presente, data quella
mentalità, data quella sensibilità morale, non è
verosimile pensare che, quantomeno a livello
gerarchico e organizzativo, difficilmente
sarebbe potuto accadere altrimenti?
La Repubblica,
16/1/2006
Pagina 15 - Esteri
IL CASO
Un ex agente segreto Usa accusa: il futuro papa
Paolo VI aiutò i criminali di guerra croati
Il Vaticano
nascose gli ustasha Pavelic e i suoi ospitati
nelle chiese
"Haaretz"
pubblica la testimonianza al processo di San
Francisco
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Alberto Stabile
GERUSALEMME - Negli anni del grande disordine
seguito alla Seconda guerra mondiale, i più
famigerati criminali di guerra croati, i
cosiddetti ustasha, poterono sfuggire alla
giustizia internazionale, trovare rifugio in
America Latina e sfruttare l´immenso tesoro
raccolto depredando le vittime del loro regime
sanguinario, grazie alla protezione ricevuta in
Vaticano dall´allora vice segretario di Stato,
Giovanni Battista Montini, più tardi asceso al
soglio di Pietro con il nome di Paolo VI.
È stato l´agente del controspionaggio americano,
William Gowen a evocare il ruolo di Montini in
una testimonianza resa il mese scorso davanti
alla Corte federale di San Francisco, chiamata a
giudicare su una serie di istanze di
risarcimento presentate da ebrei, serbi,
ucraini, russi e rom sopravvissuti alla macchina
di sterminio messa su da Ante Pavelic e dai suoi
seguaci in nome e per conto dei nazisti. Copia
di quella testimonianza è venuta in possesso del
giornale Haaretz, che ne ha anticipato il
contenuto.
Bisogna partire dal movimento nazionalista
croato fondato nel 1929 da Ante Pavelic e da
Gustav Percec per combattere la monarchia
jugoslava e fondare uno stato croato
indipendente. L´obiettivo politico sarebbe stato
raggiunto solo con l´occupazione nazi-fascista
della Jugoslavia e la creazione di uno
stato-fantoccio alla testa del quale venne posto
come leader massimo, "poglovnik", Pavelic. Il
disegno di Pavelic, che mostrò la sua
gratitudine al padrone germanico inviando alcune
unità di ustasha a combattere contro i
sovietici, a Stalingrado, e, temerariamente, si
unì alle potenze dell´Asse nel dichiarare guerra
agli Stati Uniti, fu essenzialmente un disegno
razzista basato sulla supremazia dei croati,
anche in quanto cattolici, rispetto ai serbi,
greco - ortodossi, attuato attraverso una
gigantesca operazione di pulizia etnica ante
litteram.
La crudeltà dispiegata dalle milizie ustasha
contro chiunque non fosse croato e cattolico fu
così agghiacciante che persino il comandante
dell´esercito tedesco in Yugoslavia si sentì in
dovere di levare una (tardiva) protesta. In
conseguenza degli ordini impartiti da Pavelic e
dal suo braccio destro, Andrja Artukov,
soprannominato "l´Himmler dei Balcani",
ottocentomila persone furono sterminate,
centomila solo nei campi di Jasenovac. Dopo la
guerra Pavelic e gli altri capi ustasha volarono
in Austria e da qui, con l´aiuto
dell´intelligence britannica e di certi amici
ben piazzati in Vaticano, passarono in Italia,
trovando rifugio nella penombra delle basiliche
romane e nel silenzio dei monasteri.
In base ad alcuni documenti segreti svelati al
processo di San Francisco, l´intelligence
inglese permise a Pavelic di fuggire in Italia
con dieci camion che contenevano il tesoro
rubato alle vittime del massacro jugoslavo: oro,
danaro, gioielli, opere d´arte. Il prezzo del
tradimento, perché nel frattempo, inglesi e
americani avevano deciso di utilizzare gli
ustasha per contrastare l´ascesa del comunismo
in Jugoslavia e, in generale, nell´Europa
dell´est.
Giunto a Roma, il tesoro venne consegnato nelle
mani, fidatissime, del monsignor, professor Krunoslav
Draganovic, ambasciatore croato in
Vaticano, il quale provvide a nascondere Pavelic
e gli altri ustasha in covi protetti
dall´immunità diplomatica. Il danaro affidato a
Draganovic sarebbe inoltre servito a costituire
la rete che più tardi avrebbe permesso
l´espatrio clandestino in Sud America dei
gerarchi croati, e non solo, attraverso quella
che è stata chiamata «la rotta dei topi».
Qui entra in campo Gowen. L´agente americano,
probabilmente all´insaputa di un altro ramo dei
servizi, quell´Oss che sarebbe più tardi
diventato la Cia, aveva avuto l´ordine di
individuare il covo di Pavelic e di arrestarlo.
Ma improvvisamente, arriva il contrordine:
«Mollare la preda. Non se ne fa niente». Poco
dopo Pavelic sarebbe "emigrato" in Argentina
alla corte di Juan Peron. «Ho indagato
personalmente su Draganovic - ha detto Gowen ai
giudici americani - il quale mi ha detto che
informava monsignor Montini». Anzi, a un certo
punto, secondo l´agente, Montini avrebbe saputo
dal capo della stazione dell´Oss a Roma, James
Angleton, delle indagini intraprese da Gowen su
Pavelic. Il vice segretario di Stato avrebbe
allora protestato con i superiori dell´agente
accusando Gowen d´aver violato la sovranità
territoriale del Vaticano penetrando nel
collegio croato, ospitato nel convento di San
Girolamo, per condurvi una perquisizione. Il
tesoro degli ustasha sarebbe stato riciclato
dalla Banca vaticana.
http://archivio.corriere.it/
Corriere della
Sera
giovedì, 26
agosto, 2004
NAZISMO - Pag. 14
«Stragi
naziste, una rete aiuta le Ss a evitare i
processi»
I sospetti di
depistaggi nell' inchiesta di La Spezia.
Identificati altri dieci massacratori di
Marzabotto
Quelli che non si sono mai arresi. E che in
segreto forse hanno continuato a sognare la
rivincita. «Lupi mannari», li chiamavano prima
che le loro associazioni divenissero legali: ex
soldati delle Waffen SS, i reparti da
combattimento creati da Himmler. Tedeschi i
comandanti, di tutte le nazionalità europee gli
altri reduci: dall' Italia all' Ucraina, dalla
Bosnia [SIC] alla Norvegia. Alla fine degli anni
Quaranta si sono riuniti in un gruppo di «mutua
assistenza» chiamato Hiag, con lo scopo di
difendersi dalle accuse sui crimini nazisti.
«Noi eravamo militari al fronte - era la loro
linea - non massacratori dei lager, con l'
Olocausto non c' entriamo». Ma - secondo i
tribunali di mezza Europa - hanno avuto un ruolo
chiave negli episodi più feroci della guerra
partigiana, nelle rappresaglie contro la
popolazione civile. E adesso la «fratellanza»
dei camerati continuerebbe a tenerli uniti, per
ingannare le ultime inchieste della
magistratura. Gli
investigatori della procura militare di La
Spezia sono convinti che la principale
associazione di reduci delle Waffen SS -
chiamata Hiag - avrebbe «monitorato» le
istruttorie sui massacri compiuti in Toscana ed
Emilia Romagna: questa attività informativa
avrebbe permesso ai sospettati di concordare gli
alibi e mantenere compatte le versioni. Non
solo, la Hiag avrebbe tessuto un' alleanza con
altri club composti da giovani neonazisti, che
avrebbero fornito la «manovalanza» per queste
missioni - che potrebbero venire considerate
come un vero depistaggio. Già in Alto Adige si è
indagato su un' associazione simile alla Hiag:
la «Stille Hilfe» (aiuto silenzioso), operante
tra Bolzano e la Germania, promossa anche dalla
figlia di Himmler. La relazione fornita alla
procura dai consulenti storici ai pm spezzini
ora evidenzia anche il ruolo dei volumi redatti
dai reduci della 16.a Divisione
Panzergrenadier-Reichsführer, protagonista degli
eccidi durante la «ritirata del terrore» del
1944. In particolare un libro in tedesco -
intitolato «Allo stesso passo di marcia» -
conterrebbe la descrizione dei movimenti della
divisione a Marzabotto, San Cesario sul Panaro,
Sant' Anna di Stazzema: solo le memorie di
vecchi nostalgici o il tentativo di uniformare
le versioni di fronte alla riapertura dell'
istruttoria? Altri naziskin tedeschi sarebbero
stati notati negli anni passati proprio nei
paesi devastati dalle rappresaglie, segno di un
macabro turismo o di una volontà intimidatoria?
Perché le indagini non sono chiuse. E da quando
Berlino ha aumentato la collaborazione, altri
nomi vanno a completare il quadro di quelle
pagine nere: almeno una decine di ex Ss che
presero parte al massacro di Marzabotto sono
state identificate dai magistrati di La Spezia.
Sono ancora vive. E tutte speravano che la
vicenda fosse stata chiusa con la condanna di
Walter Reder, il maggiore che guidò il terribile
rastrellamento costato la vita a 1830
civili. La Hiag creata dai reduci
hitleriani per una mutua assistenza contro le
indagini
http://www.haaretz.com/hasen/spages/455064.html
HAARETZ
(ISRAEL)
Fri., July
23, 2004 Av 5, 5764
Wiesenthal:
Croatian associates get death threats
From
DPA (Deutsche Presse Agentur)
23 July
2004
The Simon
Wiesenthal Center said yesterday that their
associates who
helped
locate World War II crime suspects in Croatia
have been
receiving
death threats.
The center
said "Operation Last Chance" - aimed at
discovering WWII
crime
suspects - would continue in Croatia despite
the death threats
against the
project's organizers in the past few weeks.
"If anything,
these
threats only reinforce our intention to
attempt to maximize the
prosecution
of Nazi war criminals in Croatia," said the
center's
director.
According
to Zuroff, death threats were sent to Zoran
Pusic, president
of the
Civic Committee for Human Rights, Croatian
Justice Minister
Vesna Skare
Ozbolt, and other public figures. A Croatian
organization
called the
Anti-Jewish Movement warned that if any Croat
was arrested,
jailed, or
harmed as a result of the Operation, the group
would "begin
murdering
Croatian Jews."
http://www.ansa.it/balcani/croazia/20040630214432996528.html
CROAZIA: CACCIA CENTRO WIESENTHAL A DUE USTASCIA
(ANSA) - ZAGABRIA, 30 GIU - In Croazia vivono
almeno due criminali di
guerra che nel Secondo conflitto mondiale si
sono messi al servizio
della Germania nazista perseguitando ebrei,
serbi e Rom. Lo ha detto
oggi a Zagabria Efraim Zuroff, direttore
esecutivo del Centro Simon
Wiesenthal che da decenni da' la
caccia agli ex nazisti e ai loro collaboratori,
secondo quanto ha
riferito l'agenzia di stampa Hina. Dando oggi il
via in Croazia
all'operazione 'Ultima chance', Zuroff ha fatto
il nome di Milivoj
Asner, sospettato di aver organizzato
l'applicazione delle leggi
razziali e la deportazione di ebrei a Pozega, in
Slavonia, all'indomani
dell' occupazione nazista del paese nel 1941.
Asner, che ora ha 91
anni, era capo della polizia speciale degli
ustascia, formazione
filonazista di Ante Pavelic portata al potere da
Hitler e Mussolini.
Zuroff ha detto di aver consegnato alla
magistratura croata alcune
prove contro Asner e di aspettarsi che adesso
sia la Croazia a
procedere. Non ha invece voluto fornire alcun
dettaglio sul secondo
sospettato. Negli ultimi giorni il Centro Simon
Wiesenthal ha lanciato
la caccia ai criminali di guerra pubblicando
annunci in cui si offrono
10.000 dollari per informazioni utili su ex
nazisti e ustascia. Zuroff
ha anche riferito dell'incontro che stamani ha
avuto con il presidente
croato Stipe Mesic, che ha dato il pieno
appoggio all'operazione
'Ultima chance'. ''Lo scopo - ha aggiunto il
dirigente del Centro
Wiesenthal - e' di portare i criminali nazisti
davanti alla giustizia e
nel contempo non dare loro un attimo di tregua
anche se sono in eta'
avanzata''. Nell'ambito dell'operazione il
Centro Wiesenthal ha finora
- secondo Zuroff - ottenuto informazioni su 294
possibili criminali in
tutto il mondo. Il primo grande processo contro
un gerarca ustascia in
Croazia ha portato nel 1999 a una condanna a 20
anni di Dinko Sakic,
comandante nel 1944 del campo di concentramento
di Jasenovac,
soprannominato la ''Auschwitz croata'. (ANSA).
COR 30/06/2004 21:44
LA STAMPA, 3/11/2003
Sezione: Cultura Pag. 16
LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI VERSO L'ARGENTINA
DI PERÓN:
UNA METICOLOSA E DOCUMENTATA RICOSTRUZIONE DELLO
STORICO UKI GOÑI
OPERAZIONE
ODESSA
Mi
manda il Cupolone
Giovanni De
Luna
Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet
era un medico delle SS che sosteneva di aver
scoperto una «cura» per l'omosessualità; nel
1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli
ricerche la popolazione del «triangolo rosa»,
gli omosessuali internati a Buchenwald. I
malcapitati furono castrati e gli fu impiantato
un «glande sessuale artificiale», un tubo
metallico che rilasciava testosterone
nell'inguine. Secondo i racconti dei
sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald
raccontavano barzellette raccapriccianti su quel
tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo
sadico; inserito nella lista dei criminali di
guerra, alla fine del conflitto riuscì a
scappare sano e salvo in Argentina. E come lui
migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti
italiani, ustascia croati, rexisti belgi,
collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la
cavarono grazie a una rete di complicità
mostruosamente efficiente e all'aperta
connivenza del governo di Juan Domingo Perón. Un
romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth,
raccontava di un gruppo di membri delle SS che
dopo la sconfitta si erano raccolti in
un'organizzazione segreta (Odessa, acronimo di
Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen) che
aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni
dalle forche degli Alleati e creare un Quarto
Reich che completasse l'opera di Hitler. Per
quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da
Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo
inquietante alla realtà. Odessa esisteva
davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la
storia: i fascicoli del suo archivio erano stati
distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma
degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli
che rimasero furono definitivamente buttati via
nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano
troppo evidenti per essere cancellate del tutto.
Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e
all'abilità dello storico e giornalista
argentino Uki
Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi
nazisti verso l'Argentina di Perón, Garzanti,
pp. 480, e.24) e lunghe ricerche in
Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti,
Argentina, disponiamo di una storia completa
della più incredibile operazione di salvataggio
di migliaia di criminali mai progettata e mai
realizzata in tutto il Novecento.
Diciamolo subito. Se l'Argentina di Perón era la
«terra promessa», l'asilo già generosamente
predisposto ancor prima che la guerra finisse,
il cuore e il cervello dell'intera operazione
Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939
al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel
turbinoso dopoguerra italiano era veramente
difficile distinguere tra vincitori e vinti.
Nazisti e fascisti avevano perso la guerra;
eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei
vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che
sarebbero dovute nascere all'insegna
dell'antifascismo e della democrazia e che
invece erano ricostruite nel segno della più
rigorosa continuità con i vecchi apparati del
regime fascista. Fu l'anticomunismo, furono le
prime avvisaglie della «guerra fredda» a
spingere i vincitori a salvare i vinti.
Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma
veramente monsignor Montini fu il protagonista
di questo intervento che garantì l'incolumità a
criminali come Erich Priebke, Josef Mengele,
Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu
il crocevia di tutta una serie di iniziative che
puntavano a rimettere in piedi il movimento
ustascia di Ante Pavelic per organizzare una
guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di
Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi
segreti americani avevano stabilito che «una
disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti
i passaporti concessi dalla Croce Rossa
internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e
incredibili». Oggi la disamina di quei registri
è possibile e Goñi l'ha fatta. E le sue
conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non
fu solo un complice dell'«operazione Odessa» ma
la sua protagonista indiscussa: oltre a
monsignor Montini i suoi vertici furono i
cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano
(quest'ultimo, argentino, nel 1960 espresse
pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo
rincrescimento per la cattura di Eichmann da
parte degli israeliani), mentre la dimensione
operativa fu curata da una pattuglia di alti
prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il
vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della
chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della
Pace a Roma e guida spirituale della comunità
tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav
Draganovic, il vescovo argentino Augustín
Barrère.
I documenti citati da Goñi sono molti e molto
convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946
del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di
consentire l'ingresso in Argentina a «5 mila
combattenti anticomunisti» (la richiesta
numericamente più imponente emersa dagli
archivi) all'intervento di Montini per esprimere
all'ambasciatore argentino presso la Santa Sede
l'interesse di Pio XII all'emigrazione «non solo
di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di
iniziative estemporanee e certamente la loro
rilevanza storiografica non può esaurirsi in una
lettura puramente «spionistica».
Un versante della seconda guerra mondiale
trascurato dagli storici è quello che vede gli
Stati latini, cattolici e neutrali, europei e
sudamericani, protagonisti di vicende
diplomatiche segnate però da un particolare
contesto culturale e ideologico: nella
cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu
nominata generale dell'esercito nel 1943, dopo
il golpe dei militari) ci si cullò
nell'illusione di poter formare insieme con la
Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo
della pace», per preservare «i valori spirituali
della civiltà» fino a quando la guerra in Europa
continuava. Un progetto più ambizioso puntava a
unire, con la leadership del Vaticano, i paesi
dell'Europa cattolica, Ungheria, Romania,
Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia
di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine
europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo
(1942-1943), in Sud America governi filonazisti
esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e
Paraguay: il disegno era di conquistare a
un'alleanza in chiave antiamericana anche il
piccolo e democratico Uruguay e il grande e
cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono
tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte
militari dell'Asse ma furono l'humus ideologica
da cui nacque nel dopoguerra la rete di
«Odessa».
La centrale italiana operò soprattutto per il
salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla
fine della guerra ce n'erano migliaia, sparsi
nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno,
Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una
poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico
Costantino Di Sante sta facendo luce su una
delle pagine più oscure di quel periodo. Si
trattava di criminali macchiatisi di delitti che
avevano suscitato orrore perfino nei loro
alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti
animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa,
bastonature a morte, decapitazioni, per
conseguire il risultato di uno Stato (la
Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%.
Alla fine della guerra circa 700 mila persone
erano morte nei campi di sterminio ustascia a
Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano
soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma
nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e
zingari. Il principale teorico del regime
croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote
cattolico romano che coniugava le nozioni di
«purificazione» religiosa e «igiene razziale»
con un appello affinché la Croazia «fosse
ripulita da elementi estranei».
Gran parte di questi criminali si salvò passando
da Roma verso l'Argentina: la via di fuga
portava a San Girolamo, un monastero croato sito
in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo,
Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti
americani concludeva: «Oggi, agli occhi del
Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un
uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato
lottando per il cattolicesimo. È per questo
motivo che il Soggetto gode ora della protezione
del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951,
secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13
mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi
usando il canale italoargentino.
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ARGENTINA: DOPO
L'APERTURA DEGLI ARCHIVI SUI NAZISTI
Quei 47 dossier
mancanti
di Alvaro
Ranzoni
su Panorama,
29/8/2003
Molte delle carte sui gerarchi di Hitler accolti
e protetti da Peron non si trovano più. Lo
rivela il centro Wiesenthal, mentre un libro
accusa apertamente la Santa sede.
Aspetteranno ancora per un po', poi quelli del
centro Simon Wiesenthal, specializzato nella
caccia ai criminali nazisti (2.500 nomi rivelati
in 17 anni), torneranno alla carica con il
presidente argentino Néstor Kirchner. Non è
possibile infatti che dai meandri del vecchio
Hotel de Inmigrantes, che custodisce gli archivi
dell'autorità argentina per l'immigrazione,
siano saltati fuori solo due dei 49 fascicoli
richiesti, con la storia di soli 17 criminali di
guerra sui 68 segnalati. Troppo poco, se si
considera che di questi 17 ben 16, tutti
ùstascia croati, sono contenuti in un unico
faldone, mentre l'altro dossier venuto alla luce
è quello di un criminale belga, Jan-Jules
Lecomte, il borgomastro-boia di Chimay.
I primi torturarono e uccisero migliaia di serbi
ed ebrei, il secondo si divertiva a scovare i
bambini ebrei rifugiati nei monasteri per
avviarli ai campi di sterminio. Non stelle di
prima grandezza nella classifica dell'orrore,
insomma. Non sono stati trovati finora i dossier
che spiegherebbero come fecero ad arrivare in
Argentina e da chi furono aiutati criminali del
calibro di Josef Mengele, il medico che
sperimentò le sue folli teorie su migliaia di
vittime; Adolf Eichmann, il pianificatore dello
sterminio degli ebrei, poi giustiziato in
Israele; Klaus Barbie, il «boia di Lione»; Erich
Priebke, responsabile dell'eccidio delle Fosse
Ardeatine, l'unico ancora vivo (novantenne,
sconta l'ergastolo agli arresti domiciliari a
Roma).
«Il nuovo presidente argentino ha promesso piena
trasparenza» spiega a Panorama Sergio Widder,
direttore della sezione di Buenos Aires del
centro Wiesenthal, «e noi non abbiamo motivo di
dubitarne. Ma certo non ci accontenteremo di
spiegazioni a mezza bocca su dossier smarriti o
bruciati non si sa perché e non si sa da chi»
aggiunge.
Quello che è emerso è comunque abbastanza
sconcertante.
Subito dopo la guerra il dittatore Juan Domingo
Peron, che vagheggiava una sorta di «Quarto
Reich», aveva creato una rete perfetta per
portare in Argentina i criminali nazisti
ricercati dalle forze alleate.
Dal 1947 ai primi anni Cinquanta il terminale
europeo di questa «rotta dei topi» fu Genova
dove c'era uno speciale ufficio retto da un ex
capitano delle Ss, Carlos Fuldner, amico di
Peron.
Il terminale italiano era gestito in gran parte
da religiosi. «A Genova operava, tra gli altri,
un monsignore croato, Karlo Petranovic,
dipendente dalla locale curia e protetto
dall'arcivescovo Giuseppe Siri (ma la Curia
genovese smentisce, ndr).
A Roma un altro prete, Stefan Draganovic,
fondatore della confraternita di San Gerolamo,
avviava i criminali nazisti verso il capoluogo
ligure con l'attiva collaborazione del vescovo
Aloys Hudal, rettore del Collegio tedesco di S.
Maria dell'Anima, e sotto la protezione del
Vaticano.
A Buenos Aires agivano i cardinali Antonio
Caggiano e Santiago Copello. Tutto giustificato
con la lotta al comunismo» spiega lo scrittore
argentino Uki Goñi, autore del libro L'autentica
Odessa, frutto di sei anni di ricerche, di cui
Garzanti pubblicherà a febbraio l'edizione
italiana.
Mai erano emerse tanto chiare le accuse al
regime peronista e alla Santa sede (più volte
ricorre il nome di Giovanni Battista Montini,
poi Papa Paolo VI). È di Goñi la prima bozza
dell'elenco che il centro Wiesenthal ha
presentato al governo argentino.
Lo scrittore ha trascorso un anno negli archivi
dell'Hotel de Inmigrantes, l'edificio che ospitò
per i primi giorni molti dei 5 milioni di
emigranti in Argentina e che oggi l'Associazione
Italia-Argentina vorrebbe restaurare come sede
delle aziende italiane a Buenos Aires. Ha
rovistato tra centinaia di migliaia di cartoline
di sbarco e su quelle dei personaggi più
significativi ha trovato i numeri dei relativi
dossier. Che però nessuno sa dove siano finiti.
Argentina:
vecchi camerati arruolano mercenari per la
Croazia
di Gary Weber
(tratto da
"WoZ-die Wochenzeitung", n.29 del 23/7/1993,
Zurigo, CH)
Nessun cartello e nessuna bandiera danno ad
intendere che in un grattacielo della via
Còrdoba, al n. 679, nel centro di Buenos Aires,
si svolge un pezzetto di guerra dei Balcani. Al
secondo piano, nascosto al termine di un lungo
corridoio, un foglietto scritto a mano sta
appeso dietro al campanello: dice semplicemente
"Croacia". Solo un paio di giorni fa, secondo
una vicina, campeggiava sulla porta un
rappresentativo cartello con la dicitura:
"Ambasciata Croata". Poi però ci sono state
questioni, e lo hanno rimosso. Infatti nel Corpo
Diplomatico dell'Argentina non esiste alcuna
Ambasciata croata, nè alcun Ambasciatore croato
[l'articolo
risale al 1993, n.d.crj].
O almeno non ancora. Il Presidente Menem spinge
per il riconoscimento del nuovo Stato e vuole
che sia nominato Ambasciatore il suo vecchio
compare Ivo Rojnica. Egli ha con lui un debito
di gratitudine, visto che il croato avrebbe
sostenuto con forza il peronista nella battaglia
elettorale. Rojnica entra ed esce dalla
residenza presidenziale, sempre più preso negli
ultimi giorni dalle preoccupazioni. La stampa
gli dà la caccia e cerca, invano finora, di
cavargli un commento sulle ultime rivelazioni.
La comunità ebraica di Buenos Aires accusa
Rojnica di essere stato "complice attivo ed
esecutore della volontà dei nazisti" - secondo
il "Semanario Israelita", che esce nella
capitale. Il settimanale ebraico cita una
disposizione degli Ustascia, emanata nella città
di Dubrovnik il 25 maggio 1941, che impone il
coprifuoco tra le 19 e le sette del mattino per
gli ebrei e per i serbi. Questa disposizione
porta la firma di Rojnica. Fintanto che le acque
non si sono placate, il Senato, dal quale
dipende la nomina dell'Ambasciatore, non vuole
prendere alcuna decisione.
Gli Ustascia governarono la Croazia insieme
all'Italia e alla Germania dal 1941 al '45. Per
quanto di loro competenza essi presero parte
alla persecuzione dei partigiani, dei serbi e
degli ebrei. Ante Pavelic, fondatore degli
Ustascia (1) e capo del governo della Croazia
nazista, dopo la capitolazione della Germania di
Hitler scappò nell'Argentina di Juan Peròn,
travestito da frate francescano, con l'aiuto del
Vaticano.
Anche Rojnica nell'Europa del dopoguerra temette
la giustizia alleata. In principio si rifugiò a
Trieste. Ma lì fu arrestato, dopo che una delle
sue vittime, una ebrea, lo ebbe riconosciuto. I
suoi commilitoni ustascia lo fecero scappare dal
carcere e lo condussero lungo le cosiddette
"linee dei topi" fino alla sicura Argentina. Di
lì Pavelic e Rojnica proseguirono le loro
attività ustascia, tra l'altro pubblicando a
Buenos Aires la "Gazzetta Croata".
Dopo la caduta di Peròn, negli anni cinquanta,
Pavelic ebbe delle difficoltà. La Jugoslavia lo
aveva accusato di essere responsabile della
creazione di 22 campi di concentramento e
dell'assassinio di un milione di serbi e 60mila
ebrei, e ne aveva chiesto la estradizione al
governo argentino. In effetti la estradizione fu
negata nel 1957. Dopo essere scampato ad un
attentato, il "Duce", come si definiva lui
stesso, riuscì a portarsi nella Spagna di
Franco, dove morì nel 1959. Rojnica rimase a Rio
de la Plata, e divenne una delle maggiori figure
dell'imprenditoria tessile del paese. Secondo il
quotidiano "Pàgina 12", egli avrebbe fornito
dieci milioni di dollari ai suoi fratelli croati
per l'acquisto di armi. Però dall'Argentina i
vecchi camerati non inviano soltanto denaro.
Nell'ufficio della via Còrdoba si è indaffarati
anche a reclutare mercenari, compito questo del
quale si occupa in special modo Domagoj Antonio
Petric, che ufficialmente appare come
l'addetto-stampa della ipotetica Ambasciata. La
"mano destra" di Rojnica appartenne per dieci
anni al Battaglione n.601 del servizio segreto
militare, ai tempi della dittatura argentina dei
Generali, tristemente noto per la pratica della
tortura. Tra i suoi ex-colleghi, Petric è
soggetto ad una particolare attenzione, poichè
la maggior parte di loro non ha mai appreso un
vero mestiere, a parte la "guerra sporca", ed è
pertanto oggi disoccupata. Particolarmente
entusiasti per il nuovo compito nella
ex-Jugoslavia sono i cosiddetti "carapintadas",
l'ala fascista interna all'esercito, cui sono
dovute svariate rivolte contro il governo. I
legionari vengono preparati al loro intervento
in Bosnia-Erzegovina in un campo di
addestramento segreto, a Villa Alpina, distante
circa 700 km. da Buenos Aires.
Finora sono stati inviati in Croazia 329
mercenari argentini. Secondo fonti argentine, 34
di loro sono già morti. Generalmente i
combattenti vengono imbarcati su voli di linea
diretti a Roma o a Budapest, di qui essi sono
condotti a Zagabria in pullman. Il metodo di
inviare Caschi Blu argentini nelle zone di
guerra si è rivelato particolarmente economico.
Tanti soldati, sottoposti dal governo Menem al
comando dell'ONU, svolgono nel frattempo il loro
servizio nelle file della legione straniera
croata.
(1) Il
fondatore del movimento Ustascia fu in realtà
Ante Starcevic, morto nel 1896, che riteneva i
serbi "carne da macello" (cfr. Karlheinz
Deschner, "Die Politik der Päpste im XX
Jahrhundert", ed. Rowohlt, Leck (RFT) 1991
[n.d.crj]
(Tratto da: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1038 )
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