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Simon Wiesenthal sulla distruzione
della Jugoslavia
il manifesto, 8 aprile 1993
BOSNIA, TRAGEDIA EUROPEA
Intervista a Wiesenthal. "Con i
riconoscimenti di Slovenia e Croazia
l'Occidente ha commesso un grave errore. Un
intervento armato aggraverebbe il disastro"
di Jeanie Toschi M. Visconti
Vienna. Simon Wiesenthal, 84 anni, ma non si
vedono. Come ammette lui stesso, le due età,
fardello comune agli esseri umani, quella
biologica e quella del calendario, nel suo caso
fortunatamente non corrispondono. Lo dice con un
piccolo sorriso complice e cordiale seduto nel
suo ufficio al Centro di documentazione ebraica
di Vienna che dirige dal 1947. In questo spazio
sono raccolti tutti i documenti che gli hanno
permesso di rintracciare e consegnare alla
giustizia dei diversi paesi 1100 criminali di
guerra nazisti, fra cui il famigerato Adolf
Eichmann e di scoprire il passato nazista di
Kurt Waldheim, segretario generale dell'Onu e in
seguito presidente dell'Austria.
Di cultura mitteleuropea, Wiesenthal, nasce da
una famiglia ebraica in Galizia, allora parte
dell'impero Austro-Ungarico. Il padre, un
mercante, muore da soldato dell'esercito
austriaco nella guerra '14-'18. Simon Wiesenthal
compie i suoi studi a Vienna e in seguito
frequenta architettura ed ingegneria a Praga e
in Polonia, laureandosi nel 1940. Arrestato dai
nazisti fu inviato in diversi campi di
concentramento fino alla liberazione dal
tragicamente noto campo di Mathausen nel maggio
1945. Da allora ha dedicato tutta la sua energia
ed attenzione ai crimini contro l'umanità. Per
questa ragione e per la sua dolorosa esperienza
è indubbiamente l'interlocutore ideale per
parlare di quanto sta succedendo nella
ex-Jugoslavia.
Signor Wiesenthal, la gente nutre un enorme
rispetto per il suo lavoro di "giustiziere" e
la considera un protettore simbolico di tutte
le vittime dei crimini di guerra. Qual è la
sua opinione su quanto sta succedendo oggi
nella ex Jugoslavia?
E' un argomento terribile, soprattutto per
quanto sta succedendo in Bosnia. E' un
genocidio. Fra il 19 e il 21 aprile
organizzeremo un seminario a New York sui
crimini commessi in Bosnia. Come sopravvissuto
dai campi di sterminio nazisti non posso dormire
all'idea di tutti quegli orrori. Ai nostri tempi
l'esistenza dei campi di sterminio era poco nota
e forse a nessuno importava sapere di più. Ma
oggi i media informano il pubblico.
Questa situazione non finirà certo in breve
tempo. Purtroppo è stato commesso un grave
errore da parte dei paesi occidentali. Hanno
riconosciuto troppo presto la Slovenia e la
Croazia. In particolare, lo dico apertamente,
l'Austria e la Germania. Tutto questo è avvenuto
quanto erano ancora in corso dei negoziati per
salvare la Confederazione jugoslava.
Naturalmente quando sono state dichiarate
indipendenti le due regioni separatiste hanno
arrestato i colloqui. Questo è stato il nocciolo
del problema! La Germania ha un forte potere
sulla Comunità europea e ha spinto soprattutto
il riconoscimento della Croazia.
Ritiene i serbi i grandi colpevoli di questo
conflitto?
Oggi si conoscono tutti i crimini dei serbi.
Dimentichiamo, però, che i primi rifugiati,
circa quarantamila persone, furono proprio
serbi. Questo avvenne subito, all'inizio. Allora
la Croazia era la nazione dei croati e dei
serbi, come minoranza, e la lingua il
serbo-croato. Ottenuta l'indipendenza, i croati
cambiarono immediatamente la Costituzione
proclamando la Croazia dei soli croati.
Raggiungevano l'assurdo escludendo qualsiasi
elemento serbo anche dai menu dei ristoranti.
I serbi a quel punto cominciarono a temere che i
croati si preparassero a finire quanto non erano
riusciti a compiere nel campo di sterminio di
Jasenovac durante l'ultima guerra. Fuggirono in
Serbia e molti di loro si armarono diventando
cetnici. L'austriaco Herman Neubac [Hermann
Neubacher, ndCNJ], uomo di fiducia del Fuhrer
per il sud-est dell'Europa, racconta in un suo
libro, scritto durante i venti anni di prigione
seguiti alla condanna come criminale di guerra,
di un colloquio con Pavelic e Artukovic a
Zagabria sul problema costituito dai serbi: un
terzo doveva morire, un terzo diventare
cattolico e gli altri potevano vivere
tranquilli. Non si può giudicare una situazione
senza vedere come è nata.
Non pensa che la Croazia avesse il diritto di
diventare uno stato democratico?
Non credo nelle attitudini democratiche di chi è
stato per lungo tempo comunista. L'estrema
sinistra finisce sempre con l'incontrare
l'estrema destra. Prendiamo, ad esempio, Franjo
Tudjman, il presidente croato. E' stato il
braccio destro di Tito ed ha scritto un libro
inneggiante al fascismo e all'antisemitismo, Deviazione
della Verità Storica, uno scritto dalle
tesi revisioniste.
Tutte le volte che la Croazia ha raggiunto
l'indipendenza è diventata un satellite della
Germania con le note conseguenze. Durante
l'ultima guerra la maggior parte del paese era
però sotto l'occupazione italiana. A proposito,
in quel periodo, dei generali italiani hanno
salvato cinquemila ebrei contro il volere di
Ante Pavelic (il capo degli ustascia), di
Mussolini e di Hitler. Gli ebrei di Croazia
ebbero buoni contatti con gli ufficiali
italiani. Perché non erano razzisti. Questa è la
grande differenza fra fascismo e
nazional-socialismo. Non si deve confondere, si
minimizza il nazismo definendolo fascismo.
In Croazia, oggi, sognano di ricostituire un
nuovo partito politico con la figlia di Ante
Pavelic. In questo spirito a Zagabria hanno
cambiato nomi a piazze e monumenti: una piazza
che nel 1945 era stata dedicata alle vittime dei
crimini nazisti, ultimamente porta quello di un
re croato. Così pure una strada in centro è
stata dedicata a Milibuda, uno dei deputati di
Ante Pavelic. Una scuola intitolata al
direttore, trucidato con i suoi allievi durante
la guerra, è ora consacrata ad un eroe ustascia.
Abbiamo protestato contro questo, scritto
lettere a Tudjman, parlato con diversi governi
europei. E, in effetti, molti paesi, a parte la
Francia, non hanno aperto le loro ambasciate in
Croazia come l'Olanda, il Belgio e Israele
naturalmente. Quando sentivo che in alcuni
villaggi arrivavano i croati e obbligavano i
serbi a firmare dei documenti nei quali
rinunciavano alle loro proprietà mi ricordavo
quanto avveniva nel '38. Gli ebrei deportati nei
campi di concentramento erano costretti a
sottoscrivere la donazione di tutti i loro beni
agli ariani. Non si può dire che questa
situazione sia simile al nazismo, ma anche i
nazisti non cominciarono con le camere a gas, ma
con piccoli soprusi verso la gente. Sono
avvenimenti che mi preoccupano.
Cosa si può fare?
Dieci anni fa quando ho ricevuto al Carnegie
Hall di New York un riconoscimento per il mio
lavoro in favore della giustizia criminale,
proposi di fondare un istituto per la ricerca
sul genocidio. In duemila anni il nostro non è
certo stato l'ultimo. L'istituto fu creato e
vennero organizzati seminari sulla Cambogia,
sugli armeni, sugli indios del Nicaragua. Alcune
settimane fa ho detto ai miei colleghi che
saremmo colpevoli se rimanessimo in silenzio.
Nessuno può dire, come i tedeschi a quel tempo,
di non sapere niente.
Abbiamo visto tutto, perché i media ce lo
portano a casa. Stiamo preparando il seminario
del mese di aprile, raccogliendo documenti
e testimonianze a Zenica, a Sarajevo e in altre
zone della Bosnia. I bosniaci sono di origine
slava. Sono diventati musulmani duecento anni fa
sotto il dominio ottomano, ma sono europei.
Anche durante l'ultima guerra non sono stati
ostili agli ebrei. Sarajevo era una città
multiculturale e tutti vivevano insieme
tranquillamente. La maggior parte degli ebrei
della città sono scappati a Belgrado, rifiutano
di emigrare negli Stati Uniti o in Israele,
perché hanno sempre la speranza di tornare a
Sarajevo.
Non pensa che un intervento armato da parte
delle Nazioni Unite e dell'Europa potrebbe
comunque sbloccare la situazione?
Lo escludo. Le devo dire come vedo l'intera
questione. Partiamo dalla dottrina militare di
Tito. Il suo maggiore problema era l'Unione
Sovietica. Solo i sovietici avrebbero potuto
battere la Jugoslavia. Gli jugoslavi venivano
educati ad una guerra partigiana.
A questo scopo la Jugoslavia venne divisa in
distretti, in modo che ognuno di questi potesse
combattere da solo. Per questa ragione
concentrarono le armi in ogni singola regione,
perché potessero essere autonomi. Quando la
Jugoslavia si divise ogni zona era fortemente
armata. Logicamente la Serbia possedeva un
maggior numero di armi in proporzione alla
vastità del territorio. Se gli Stati Uniti e
l'Europa intervenissero, andrebbero incontro ad
un grosso disastro. Prima di tutto si
troverebbero a combattere su un terreno
difficile e di fronte a gente abituata alla
guerra partigiana. Ci vorrebbero almeno 250 mila
uomini. E nessuno li vuole dare. Forse dall'aria
si possono distruggere alcuni obiettivi, un
aeroporto, ma questa non è la soluzione.
La Francia e l'Italia stanno spingendo per
organizzare un tribunale per i crimini di
guerra nella ex-Jugoslavia. Lo ritiene
fattibile?
Questo tribunale potrebbe solo avere un
carattere simbolico. A Norimberga avevamo vinto
e potevamo giudicare i criminali con coscienza e
giustizia e reale conoscenza dei fatti. In
questo caso potremmo solo contemplare delle
sedie vuote con i nomi dei leaders serbi. Ma
sono d'accordo con il professor Tadeuz
Mazoviewski: crimini sono stati commessi da
tutte le tre parti in causa.
Crede veramente che Karadzic e Milosevic siano
dei criminali di guerra?
Milosevic sostiene di non aver niente a che fare
con quanto avviene in Bosnia. Ma è informato su
quanto accade almeno quanto noi attraverso la
televisione. Inoltre potrebbe facilmente fermare
i due fascisti serbi Arkan e Seselj. Karadzic è
a sua volta responsabile per il comandante delle
forze serbe in Bosnia, il generale Mladic.
Come spiega la rinascita dell'antisemitismo?
Antisemitismo e razzismo sono legati, si
risvegliano sempre in momenti di recessione.
L'Europa ha fatto venire migliaia di uomini da
paesi meno sviluppati per lavorare nelle
fabbriche. Ora che il lavoro declina e migliaia
di persone sono senza lavoro si risveglia l'odio
per lo straniero. Ma si tratta di una
manipolazione. Vediamo quanto succede in
Germania e in Francia con Jean Marie Le Pen.
Pensa che la destra abbia un futuro in
Germania o in Austria?
Non hanno futuro. Nessuno li accetterebbe in una
coalizione. Non avrebbero nessuno possibilità di
diventare membri del Parlamento. Anche se
guadagnano, resteranno isolati. Noi non siamo ai
tempi di Weimar.
Sappiamo che il numero di ebrei vittime dei
campi di sterminio si aggira intorno ai sei
milioni. Di tempo in tempo, però, questa cifra
viene messa in dubbio. C'è chi sostiene - i
revisionisti - che il numero è molto
inferiore.
Sono sei milioni. Ma ora che gli archivi in
Unione Sovietica sono stati aperti, il numero
delle vittime aumenterà. Il direttore del campo
di Auschwitz, in un suo libro, ammetteva che
quattro milioni di persone erano morte solo in
quel luogo.
Cosa pensa della posizione del papa a
proposito delle donne violentate in Bosnia,
quando sostiene che i bambini concepiti in
quelle terribili condizioni devono venire al
mondo?
Ho una grande simpatia per questo papa, per
quello che ha fatto contro il comunismo, ha
mobilitato milioni di persone. Quando è stato
eletto, ho veramente sperato che il Vaticano
cambiasse, ma avevo dimenticato il Santo
Uffizio. E' gente antica. La questione
dell'aborto è molto controversa. Sono sicuro che
le cose cambieranno col tempo, così come il
problema del celibato per i preti.
Quanti criminali ha fatto arrestare?
Oltre 1100 in diversi modi. In alcuni casi con
l'aiuto di Israele, come per Adolf Eichmann o
Timborg. Per molti altri importanti, ho
proceduto da solo dall'inizio alla fine come nel
ritrovamento del comandante di Treblinka, di
Raiakovic o dell'uomo che arrestò Anna Frank,
una vicenda tra le più interessanti e difficili.
Ho impiegato cinque anni per individuare
quest'uomo senza volto né nome. L'ho messo a
confronto con il padre di Anna che lo riconobbe.
Il caso era particolarmente importante perché si
trattava di un testimone storico. Il Diario
di Anna Frank aveva avuto un enorme
impatto, perché la gente non riesce ad
identificarsi in una fila di corpi scheletrici,
ma si riconosce subito nella storia di una
famiglia.
I neonazisti cominciarono a sostenere che Anna
Frank non era mai esistita, il Diario un
falso, propaganda degli ebrei per colpevolizzare
i tedeschi. Per cinque anni il libro è stato sul
mio tavolo e finalmente trovai l'uomo, faceva il
poliziotto a Vienna. Organizzai una conferenza
stampa sperando nella prima pagina dei giornali,
ma il giorno dopo trovai la notizia
dell'assassinio di Kennedy.
Nello scorso febbraio a Los Angeles è stato
inaugurato un museo in suo onore, come si
chiama?
Il museo si trova nella piazza Simon Wiesenthal,
che mi è stata recentemente dedicata. Si chiama
"Museo della tolleranza". Per entrare ci sono
due porte: una per la gente senza pregiudizi,
l'altra per quella con pregiudizi. Naturalmente
tutti vogliono entrare dalla prima porta, ma
questa non esiste perché non ci sono persone
senza pregiudizi.
Una volta entrati nello stabile si sentono voci
in varie lingue che pronunziano delle frasi
contro gli ebrei, contro i negri ed altri.
Subito dopo si vede il film di quanto è successo
a Los Angeles un anno fa. Poi la Cambogia, il
Biafra e l'Armenia, per quarantacinque minuti si
passano delle sale dove si vedono le sofferenze
di tanti popoli prima di arrivare all'Olocausto.
Ci vogliono almeno due ore e mezzo per
visitarlo. All'uscita non si è più gli stessi
dopo aver visto tutte quelle tragedie. Ed allora
uno si chiede: cosa posso fare?
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Gerusalemme. Il
Centro Simon Wiesenthal ha duramente
denunciato lo svolgimento di una funzione
religiosa svoltasi ieri nel centro di Zagabria
alla memoria del boia croato Ante Pavelic che
fu a capo dello Stato Indipendente di Croazia
(NDH) durante la Seconda guerra mondiale. In
una presa di posizione in data odierna del suo
principale cacciatore di nazisti, lo storico
dell’Olocausto Efraim Zuroff, il Centro ha
posto in risalto il ruolo determinante assunto
dalle iniziative di genocidio lanciate da
Pavelic contro i serbi, gli ebrei e gli
zingari in Croazia nel corso della Seconda
guerra mondiale nonché la persecuzione
sistematica e l’assassinio degli antifascisti
croati.
A parere di
Zuroff:
“E’ arduo
immaginare che nel centro della capitale di
uno dei Paesi membri dell’Unione europea, in
prossimità della comunità ebrea di Zagabria,
centinaia di persone si siano raccolte ieri
per commemorare uno dei più grandi carnefici
della storia europea. Simile cerimonia è un
vero insulto alla memoria delle centinaia di
migliaia di vittime innocenti di Pavelic.
Essa costituisce inoltre un distintivo di
vergogna per la Chiesa cattolica, che ha
permesso lo svolgimento della cerimonia
nella Basilica del Cuore di Cristo, il
quale, se fosse vissuto durante il Secondo
conflitto mondiale, sarebbe stato anch’egli
preso di mira e fisicamente eliminato”.
Bruxelles deve
fare i conti con il ritorno del fascismo in
Europa orientale.
Il croato Ante
Pavelic, fondatore del movimento degli
Ustascia, fu responsabile in prima persona
delle politiche di sterminio del movimento
da lui fondato.
Cercate
d’immaginare il seguente scenario. La prossima
primavera nel settantesimo anniversario della
morte di Adolf Hitler una messa di suffragio
viene tenuta nel centro di Berlino in una
delle più importanti chiese della città, che
per pura casualità si viene a trovare alcune
centinaia di metri dai locali della Comunità
ebrea, alla quale prendono parte migliaia di
fedeli, giunti a onorare con la loro presenza
la memoria del fondatore del Terzo Reich.
Ovviamente un evento del genere appare
assolutamente fuori dell’immaginabile nella
realtà della Repubblica Federale per una serie
di questioni giuridiche e di altra natura, una
delle non meno importanti quella relativa alle
non buone relazioni intrattenute dal Führer
con i rappresentanti della Cristianità.
Ma l’equivalente
croato ha avuto luogo solamente due giorni
orsono a Zagabria, dove diverse centinaia di
persone hanno preso parte alla messa in
memoria di Ante Pavelic, il Presidente dello
Stato indipendente di Croazia (NDH), creato
dai tedeschi e dagli italiani dopo
l’occupazione della Yugoslavia nell’aprile del
1941 e uno dei più grandi carnefici nella
storia della Seconda guerra mondiale. Pavelic
è stato il fondatore degli Ustascia, un
movimento fascista da lui creato nella seconda
metà degli anni venti e che assurse al ruolo
di partito dominante nello stato satellite
creato nel 1941. Egli fu personalmente
responsabile delle politiche di sterminio
poste in essere dagli Ustascia in tutta la
zona sotto il loro controllo, dove centinaia
di migliaia di serbi, ebrei e zingari furono
brutalmente assassinati, la maggior parte nei
campi di concentramento sparsi un po’
dappertutto nel territorio croato, il più
vasto dei quali fu Jasenovac, dove almeno
100.000 vittime innocenti furono eliminate e
che passò sotto il nome di “Auschwitz dei
Balcani”.
Dopo la guerra
Pavelic riuscì a fuggire in Argentina seguendo
l’infame “rotta dei sorci”, la rete di fuga,
appositamente approntata dal vescovo austriaco
Alois Hudal con l’aiuto del prete croato
Krunoslav Draganovic per consentire ai
criminali di guerra nazisti di approdare in
siti sicuri in America latina ed in Medio
Oriente. Egli fu scovato a Buenos Aires
dall’intelligence iugoslavo e rimase ferito in
un tentativo di assassinio, delle cui
conseguenze egli successivamente morì a Madrid
due anni dopo nel 1959. Pavelic resta un eroe
per molti croati il che spiega la grossa
partecipazione alla messa di suffragio della
scorsa domenica. Normalmente uno si
aspetterebbe che, a distanza di quasi un
quarto di secolo dal momento che la Croazia è
divenuta uno stato democratico e dopo essere
entrata in qualità di membro a pieno diritto
nell’Unione europea, una simile venerazione
nei confronti di uno che è stato uno dei più
efferati killer dell’ultima guerra sia un
qualcosa che appartiene al passato;
sfortunatamente questo non è il caso e tracce
di una nostalgia dura a morire verso il
passato ustascia continuano ad essere uno dei
tratti salienti della società croata e
cerimonie come quella della messa della scorsa
domenica vengono ancora celebrate con una
rilevante adesione di popolo.
Sotto questo
profilo il fatto che due preti di rango
abbiano ufficiato la funzione costituisce
fonte di inquietudine. Uno di loro, il
dominicano Vjekoslac Lasic è conosciuto per
funzioni di questo genere così come per la sua
eulogia al funerale dell’ex-comandante di
Jasenovac Dinko Sadic nel corso della quale
egli ebbe modo di notare che, sebbene Sakic
non aveva osservato tutti i Dieci Comandamenti
[tu non ucciderai per esempio], pur tuttavia
egli rappresenta un punto di riferimento per
la nazione croata. Questo tipo di sermoni da
parte del clero croato contribuisce ad
alimentare l’ideologia ustascia dell’odio
verso coloro ritenuti i nemici della Croazia,
serbi, ebrei, zingari ed antifascisti croati,
tutti vittime di Sakic e della sua squadra di
assassini a Jasenovac ed in altri meno noti
campi di concentramento ustascia.
Al momento di
redigere questo editoriale, nessun leader
politico e religioso croato o personalità
pubblica ha condannato la cerimonia di
domenica che fornisce un’altra prova del
fallimento della leadership del Paese nel
cercare di estirpare la presenza del fascismo
e dell’intolleranza. Sarebbe possibile
attribuire il loro silenzio alle elezioni
presidenziali in corso, il cui primo round è
terminato senza un vincitore, ma ciò
costituisce un apprezzamento molto
rattristante su come vanno le cose in un Paese
membro a pieno titolo dell’Unione europea. Il
momento è giunto perché Bruxelles affronti
finalmente il problema di un fascismo
risorgente e di un sentimento
ultranazionalistico che, invece di essere
eliminato una volta per tutte dalla democrazia
liberale europea, è in effetti risorto
nell’Europa orientale post-comunista.
Efraim Zuroff è
il principale cacciatore di nazisti del
Centro Simon Wiesenthal e direttore della
sua filiale israeliana. Il suo più recente
libro è “Operazione ultima possibilità: gli
sforzi di un uomo per portare in Giustizia i
criminali nazisti”. Il suo sito è www.operationlastchance.org e può
essere monitorato su Twitter #EZuroff
da www.wiesenthal.com -
29 Dicembre 2014
Traduzione di
Angelo T. per civg.it
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