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Sui "Quaranta giorni"
di amministrazione jugoslava a Trieste
1 maggio - 12 giugno 1945
Trieste liberata dai partigiani jugoslavi,
maggio 1945
TRIESTE LIBERATA. LE RIPRESE VIDEO
DELL’EPOCA (Taking Of Trieste - British
Pathé 1945)
L’assemblea
costitutiva del CEAIS a Trieste, 17
maggio 1945
PREMESSA
Il 17 maggio 1945 si
costituì a Trieste il Comitato
Esecutivo Antifascista Italo-Sloveno
(CEAIS), organo di amministrazione
civile della città.
Di seguito la relazione
dell’assemblea, pubblicata sul
quotidiano triestino Il Nostro
Avvenire.
Vogliamo evidenziare, al di là
dei contenuti politici degli
interventi, che il palcoscenico era
“addobbato con i colori triestini e
italiani, aventi in mezzo il tricolore
jugoslavo ed ai lati le bandiere delle
nazioni alleate”; che il primo inno ad
essere eseguito fu l’Inno di
Garibaldi, e dopo di esso l’Inno
jugoslavo e che in seguito furono
eseguiti anche gli inni sloveno,
americano, russo ed inglese,
nell’ordine.
E ricordiamo che quando il 12
giugno gli Jugoslavi lasciarono
Trieste, ad un’amministrazione civile
eletta dal popolo subentrò un governo
militare.
Claudia Cernigoi, 17 marzo 2015
L’ASSEMBLEA COSTITUZIONALE DI TRIESTE
È sorto un nuovo organismo democratico,
che rappresenterà, a fianco del
Consiglio di Liberazione, il nostro
popolo, padrone del proprio destino.
La manifestazione di ieri dopopranzo al
Politeama Rossetti – La Consulta della
città – Il popolo, attraverso i suoi
rappresentanti, discute dei fondamentali
problemi della vita cittadina – Fronte
unico della forze sane e ricostruttive
tese verso un migliore avvenire.
Chiare parole degli esponenti politici.
Ha avuto luogo al Politeama Rossetti,
con inizio alle ore 18, la storica
assemblea generale della città di
Trieste. Nei giorni precedenti si sono
tenute le riunioni nei singoli settori e
aziende per l’elezione veramente
democratica dei rispettivi
rappresentanti.
L’enorme sala presenta un aspetto
insolito per la presenza di un pubblico
d’eccezione: questa volta è qui
convenuto tutto il popolo lavoratore
della città, con tutti i ceti e tutte le
categorie. Il servizio di guardia è
disimpegnato dai garibaldini della
brigata “Trieste”, quei provati
combattenti che sono la più pura
espressione del nostro popolo. Sul
palcoscenico, addobbato con i colori
triestini e italiani, aventi in mezzo il
tricolore jugoslavo ed ai lati le
bandiere delle nazioni alleate, siedono
ad un tavolo ricoperto d’azzurro i
componenti l’Assemblea.
Parla il compagno Giuseppe
Gustincich.
Il compagno Gustincich prende per primo
la parola. Egli, prima di aprire la
seduta, porge i saluti ai delegati di
tutti i ceti sociali, saluta il glorioso
esercito jugoslavo, la IV armata in
special modo, le gloriose forze
garibaldine in seno all’armata
jugoslava, la brigata d’assalto
“Trieste”, la brigata “Fontanot” e la
“Picelli”, i rappresentanti delle forze
armate inglesi, delle forze armate
americane, la missione militare
sovietica, la missione militare
americana e la missione militare
britannica. Poi egli dice:
“In questo momento in cui Trieste vive
in un’atmosfera tale che giammai essa ne
conobbe una comparabile, in questo
momento in cui un avvenimento di
capitale importanza ci ha portato ad una
svolta decisiva nella storia della
nostra bella città, indubbiamente una
nuova era democratica si è aperta,
pregna di fecondo sviluppo e di grande
avvenire. Noi siamo consapevoli di
vivere quest’epoca, di parteciparvi con
tutta la nostra anima, con tutta la
nostra fede, sapendo ciò che vogliamo,
sapendo che Trieste non potrà essere che
ciò che tutti i Triestini desiderano ed
aspirano non solo oggi, ma da molti e
molti anni. Questo avvenimento si
profila ormai in un modo così sincero,
così schietto, in un modo così
palpitante che nessuno può mettere in
dubbio il suo esito. Vi ho detto che
sarò breve, ma sento che, trascinato da
questo stato di cose a cui tutti noi
partecipiamo ,vorrei parlare molto, e
non certo per fare il poeta o il
tragico, ma veramente non posso.
“Perciò prima di chiudere, mi sia
permesso di esprimere la speranza, che
tutta la cittadinanza di Trieste, da voi
rappresentata, potrà dire, non solo alla
nostra Trieste, non solo alla nostra
provincia e all’Europa, ma al mondo
intero ciò che i Triestini vogliono”.
Dopo l’inno di Garibaldi eseguito
dall’orchestra ed entusiasticamente
accolto dai presenti, il compagno Radich
interpretando il pensiero di tutti i
lavoratori e cittadini presenti, porge
un cordialissimo saluto al Consiglio di
Liberazione della città di Trieste.
Eseguito ancora l’inno jugoslavo, si
passa alla trattazione dell’ordine del
giorno. Il compagno Rudi Ursich
legge la relazione sulla situazione
politica della città.
La relazione del segretario del
Consiglio
“Compagni e compagne! Signori e signore!
Un avvenimento non normale, non comune,
ci trova oggi riuniti. La
democratizzazione degli ordinamenti,
della rappresentanza della nostra città,
fa un altro gigantesco passo in avanti.
Per la prima volta nella storia di
Trieste si verifica il fatto che la
stragrande maggioranza della popolazione
ha, in una forma veramente democratica,
senza costrizioni, senza paure,
manifestato la sua volontà con
l’elezione dei delegati.
La maggior parte di costoro sono vecchi
combattenti antifascisti che hanno, nei
giorni decisivi dell’insurrezione
armata, impugnato le armi, che hanno
dimostrato di sapere, all’occorrenza,
esporre la propria esistenza per la
causa democratica, per il benessere
della propria città. Una cosa risulta
evidente da tutto l’andamento della vita
cittadina: la volontà di tutte le
persone oneste di normalizzare quanto
prima la vita della città stessa, di
voler quanto prima dare alla città
l’assetto che le assicuri l’avvenire.
Nessuna tendenza, da parte delle grandi
masse, a drammatizzare gli avvenimenti,
nessuna tendenza a voler rendere pesanti
i rapporti tra la cittadinanza e la
direzione politica ed amministrativa
della città stessa, ma piena
comprensione dei gravi momenti che la
città sta attraversando.
Problemi di carattere tecnico e
politico, amministrativo e talora
militare si accavallano, e la loro
soluzione richiede una sempre più grande
responsabilità, una sempre maggiore
decisione, nonché una larga base su cui
dovrà poggiare il Consiglio di
Liberazione. I problemi da risolvere
destano l’interesse di tutta la
cittadinanza; per tale ragione si
richiede che tutta la popolazione
concorra in modo adeguato, in modo
attivo, all’amministrazione della città
attraverso i propri delegati, attraverso
la propria rappresentanza legale.
Dobbiamo constatare che la soluzione
attuale è caratterizzata da un senso di
provvisorietà in via di coagulamento,
con separazione netta tra elementi
sinceramente democratici, i quali vedono
nella soluzione di Trieste autonoma in
seno alla nuova Jugoslavia, del porto
franco di Trieste senza alcuna barriera
doganale, senza alcun proibizionismo,
senza alcun vieto quanto vano
ostruzionismo per il commercio
continentale e intercontinentale, che
trova la sua via più naturale dal centro
e dall’oriente europeo in Trieste,
l’unico mezzo per realizzare le
aspirazioni popolari e democratiche che
devono stare alla base di ogni
ordinamento realmente democratico,
nonché, dicevamo, separazione netta
dagli elementi reazionari o
tendenzialmente reazionari, comunque,
ancora accecati da quello spirito
sciovinistico che trascende, che nega,
che calpesta i reali effettivi interessi
del popolo. Elementi reazionari i qual
spingono a soluzioni di vario genere
(prevalentemente soluzione
italiana), ma che hanno tutti un fondo
comune: lotta contro la democrazia
progressiva jugoslava, avamposto del
mondo democratico: lotta contro ciò che
rappresenta progresso incondizionato
manifestatosi nella forma della guerra
di liberazione nazionale, lotta contro
il potere popolare negatore di ogni
cricca, di ogni marcio compromesso, di
ogni lavorio subdolo atto ad assicurare
il dominio a singole caste: in breve,
lotta contro la democrazia conseguente.
Qualcuno vorrà chiedersi quale è la
causa che ha permesso una così sollecita
e decisiva vittoria contro i tedeschi ed
i loro complici locali, con conseguente
liberazione della città, una così
sollecita normalizzazione della vita
cittadina.
Dobbiamo rilevare che l’avanzata
addirittura fulminea della IV Armata
dell’esercito jugoslavo, avanzata
caratterizzata dalla nuova strategia che
ha dell’eccezionale, secondo le
dichiarazioni di esperti militari, e
l’insurrezione armata delle masse
cittadine, sono le cause che hanno
portato al rapido disfacimento
dell’apparato bellico tedesco collegato
a quello dei suoi complici locali.
L’insurrezione armata delle masse
popolari cittadine è stata possibile,
dal punto di vista militare, in grazia
alla lotta che la IV Armata svolse nelle
immediate vicinanze della città; dal
punto di vista politico, in grazie alla
raggiunta unione dell’elemento italiano
e sloveno della città. L’insurrezione
armata, a sua volta, ha fortificato, ha
cementato questa unione, dandole il
carattere di solidarietà, togliendo, se
ve n’erano dei leggeri veli che,
eventualmente, potevano offuscare i
rapporti tra i due popoli. La lotta è
stata il catalizzatore che ha affrettato
questa fusione, dandole una veste ed un
contenuto non comune, non occasionale.
L’unione, già realizzata sul piano
politico dall’elemento sloveno ed
italiano, doveva passare sul banco di
prova, doveva affrontare una prova tale
che collaudasse tutto l’insieme e
contemporaneamente tutte le singole
parti componenti: doveva, affrontando
tale prova, o consolidarsi o perire.
Tale prova fu l’insurrezione armata ed
essa fu brillantemente superata.
Cause ed effetti trasformantisi le une e
gli altri, mostrano chiaramente che la
sorte militare e politica della nostra
città era ed è strettamente,
inscindibilmente collegata al problema
generale militare e politico della nuova
Jugoslavia che ha per base essenziale la
fratellanza dei popoli, la cui armata
regolare è un esercito sorto
dall’insurrezione popolare. Ricorrendo a
immagini, potremmo dire che
Trieste è troppo vicina al
focolaio su cui si forgiano i destini
della nuova Jugoslavia, in nome della
più profonda e conseguente democrazia,
per non sentire nell’aria una soluzione
qual è quella da noi prospettata, per
non sentire nella nostra stessa carne
quanto tutti i popoli jugoslavi hanno
sentito, per non vedere qual’è la via
maestra che conduce ad un futuro pregno
di fecondi sviluppi nell’armoniosa
collaborazione dei popoli.
La lotta non soltanto ha cementato
l’unione degli italiani e degli sloveni
della città, ma ha pure ravvicinato,
affratellato Trieste al complesso
jugoslavo nel suo insieme. I Croati e
Dalmati, nonché i Montenegrini della IV
Armata si sono presentati alla città
quali liberatori, quali democratici,
quali elementi che hanno lottato,
sofferto, sparso il proprio sangue, e
con ciò hanno mostrato l’intimo legame
venuto a stabilirsi fra la nostra città
ed il complesso jugoslavo. Non è
soltanto il patriota triestino che ha
lottato e lotta per la propria città,
sono pure i figli dei vari popoli
jugoslavi, che hanno inteso il dovere di
liberare la nostra città, che hanno
versato il proprio sangue pur di
cacciare l’odiato occupatore. I tremila
morti della IV Armata sulle alture
circostanti hanno gettato un ponte
indistruttibile fra Trieste e la
restante Jugoslavia: le decine di morti
e i più che 400 feriti sono l’anello di
sposa offerto da Trieste alla
democratica e federativa Jugoslavia di
Tito.
L’insurrezione armata ha impedito la
distruzione della città da parte delle
orde naziste e dei loro servi, ha
sventato le manovre dei reazionari
locali camuffati da democratici, i quali
non hanno esitato a scendere a
trattative col nemico, pur di afferrare
la direzione politica della città, pur
d’insediarsi nei posti direttivi
dell’amministrazione cittadina. Questa
insurrezione ha permesso che venga
distrutto l’apparato statale
dell’occupatore e dei suoi complici
locali, con la costruzione conseguente
di un altro apparato nelle mani delle
masse popolari.
L’insurrezione ha riconfermato in modo
inequivocabile il principio partigiano:
“Tanta libertà avrai quanto per essa
sacrificherai”. La liberazione della
città però ci ha apportato nuovi
compiti, più importanti ancora che non
quello, sotto certi aspetti negativo,
dell’insurrezione armata: bisogna
ricostruire, bisogna ricostruire presto,
bisogna attivare tutte le nostre forze
per dimostrare al mondo che i triestini
sono capaci di governarsi altrettanto
bene quanto gli altri. Quanto prima
riattiveremo le nostre industrie, i
nostri trasporti, il nostro porto, il
nostro commercio, insomma tutta la
nostra vita economica, tanto più presto
rafforzeremo il blocco delle forze
antifasciste cittadine, tanto più
consolideremo la fratellanza fra
l’elemento italiano e sloveno della
nostra città.
Non deve formarsi una generica
occasionale collaborazione che
presupponga intendimenti, programmi ed
ideologie diversi, bensì un’unica massa
che lavora ed agisce con unici
intendimenti, con unici programmi ed
ideologie. Non esiste in città una parte
di popolazione che debba collaborare con
un’altra parte che comandi, bensì tutta
la popolazione avente come unico fine il
benessere della città ed il suo
prosperoso avvenire, si mette all’opera
e lavora per il conseguimento di tale
fine.
Vani però sarebbero i nostri sforzi per
la ricostruzione, se non si conducesse a
fondo l’opera di epurazione di tutti gli
elementi fascisti e profascisti, i quali
cercheranno di colpirci proprio nel
campo della ricostruzione economica,
giacché politicamente essi sono già
sconfitti e non hanno la possibilità di
affrontarci di fronte. Intensificare
bisogna l’epurazione, accelerarle,
renderla realtà e non pio desiderio.
Colpire bisogna tutti quei fascisti che
hanno ora indossato la casacca
democratica trasformandosi da fascisti
in paladini della democrazia, pur
continuando a covare i loro tenebrosi
sogni di asservimento della società.
Tale opera di epurazione potrà
essere intensificata solo nel caso in
cui l’unione degli elementi italiano e
sloveno si rafforzi, soltanto nel caso
in cui vi sia rispetto nazionale
reciproco.
Riconosciamo senz’altro, che qua e la si
sono verificati degli spiacevoli
incidenti, casi d’incomprensione. Certi
elementi, con le loro azioni inconsulte,
hanno fatto intravedere tendenze
sciovinistiche presso certi elementi
sloveni, che sarebbe però errato voler
generalizzare.
Bisogna assolutamente chiarificare
l’atmosfera, bisogna in modo ragionevole
togliere gli ostacoli che
consapevolmente o inconsapevolmente sono
frapposti fra l’elemento italiano e
sloveno, bisogna mostrare al mondo che
la lotta in comune ha realmente generato
la fratellanza indistruttibile
dell’elemento italiano e sloveno. Non
sterili risentimenti, non vane rampogne,
bensì opere di chiarificazione. Accanto
a ciò sta l’imprescindibile necessità di
mobilitare quanto prima tutte le forze
atte al rafforzamento, sulla base del
volontariato, del nostro esercito
popolare, il quale condurrà a termine
l’opera di epurazione di tutti gli
agenti hitleriani e dei vari Quisling.
Deve essere parola d’ordine nostra,
sentimento di responsabilità di ogni
giovane valido, orgoglio di ogni padre,
ambizione di ogni madre, il sapere che
il proprio fratello, che il proprio
figlio, che il proprio padre è un
soldato dell’esercito di Tito.
Soltanto una disciplina cosciente, un
sentimento di responsabilità collettiva
e contemporaneamente individuale,
permetterà l’assolvimento di tutti i
compiti. Uno spirito di disciplina nel
quadro della fratellanza italo – slovena
è la base essenziale per ogni futuro
sviluppo, per ogni futura miglioria, per
ogni prosperoso avvenire della nostra
città. Non esiste avvenire per la nostra
città all’infuori della fusione delle
volontà degli italiani e degli sloveni
della città stessa. In vista di ciò
dobbiamo lavorare avendo a base delle
nostre aspirazioni tale principio e
considerando l’impossibilità di altra
soluzione all’infuori di quella
prospettata.
Poi l’orchestra suona l’inno sloveno,
sottolineato da clamorose acclamazioni
alla fratellanza italo – slovena, alla
autonomia di Trieste in seno alla
democratica Jugoslavia, al maresciallo
Tito e al maresciallo Stalin.
Parla quindi il compagno Bevk, che porta
il saluto del Comitato regionale di
liberazione nazionale.
Il discorso del compagno France Bevk.
Egli rileva che la riunione della
Assemblea cittadina avrà un’importanza
storica per Trieste, come è stato
d’importanza storica il momento in cui
le truppe del maresciallo Tito hanno
liberato la città dall’occupatore
tedesco e dai fascisti.
A ognuno che pensi onestamente, è
perfettamente chiaro che noi non siamo
entrati nella città come occupatori, ma
come liberatori e non abbiamo portatola
vendetta o l’odio, ma la convivenza
pacifica.
Malgrado i dolorosi ricordi degli ultimi
25anni, abbiamo soffocato ogni traccia
di sciovinismo nazionale. Vogliamo la
collaborazione più stretta colla
popolazione democratica italiana, nel
reciproco interesse e per la felicità,
lo sviluppo e il progresso di Trieste e
del suo retroterra naturale. Per più di
quattro anni abbiamo sanguinato e
combattuto contro l’occupatore tedesco e
l’oppressore fascista, non solo per la
nostra libertà nazionale e i nostri
diritti democratici, ma anche per le
libertà nazionali e per i diritti
democratici degli altri popoli.
A questi principi di libertà, noi
democratici popolari, rimarremo fedeli
fino alla fine. Questo viene chiaramente
dimostrato dal fatto che il nostro
potere militare dopo alcuni giorni ha
già consegnato l’amministrazione della
città al Consiglio di Liberazione di
Trieste, cioè nelle mani del suo popolo.
Speriamo e desideriamo che la situazione
politica permetterà che questa
amministrazione si trovi presto nelle
mani delle masse popolari oneste e
democratiche di Trieste. Così Trieste
potrà essere finalmente autonoma nella
Jugoslavia di Tito, dove si promette
alla città col suo largo retroterra uno
sviluppo continuo ed un benessere
crescente. Quell’autonomia che il
fascismo ha tolto a Trieste e che ora le
sarà restituita, sta in perfetto accordo
coi principi su cui si fonda la nuova
Jugoslavia del compagno Tito.
Spettabile assemblea, oggi gli occhi del
mondo sono fissi su di noi. Tutte le
masse amanti di libertà e veramente
democratiche guardano a noi e desiderano
il nostro accordo, la costruzione
pacifica del nostro avvenire più felice.
Ma anche la reazione mondiale guarda a
noi. Quella reazione che ha appoggiato e
appoggia ancora l’imperialismo fascista:
quella reazione che è stata l’avversaria
della democrazia e dei diritti dei
popoli e che per i propri calcoli impedì
la creazione e il mantenimento della
pace delle nazioni in questa parte
d’Europa.
Alla campagna contro la nostra libertà,
contro la democrazia popolare, il
vicepresidente compagno Edoardo Kardelj
ha dato la risposta che vi è già nota
dai giornali e perciò io non la
ripeterò. Non ho neppure nulla da
aggiungere alle sue parole chiare e
inconfutabili. Sottolineo soltanto che
malgrado tutti i diritti
all’autodecisione, non intendiamo porre
nessuno davanti al fatto compiuto e
siamo coscienti che le questioni
internazionali non si possono risolvere
da una parte soltanto, ma davanti al
foro internazionale.
Ma ammaestrati dalle amare esperienze
del passato, dobbiamo tuttavia avere
oggi garanzie abbastanza solide perché
le vecchie ingiustizie non si rinnovino
più.
Potrebbe però avvenire che s’incominci
nuovamente là dove abbiamo cominciato
nel ’18 per finire logicamente là dove
abbiamo finito nel ’39, cioè in una
nuova guerra. Questo però dobbiamo
impedirlo ad ogni costo, nell’interesse
della futura pace e per la felicità di
tutta l’umanità.
Compagni e compagne! I fascisti sono
stati vinti soltanto esteriormente, ma
il fascismo non è ancora morto. (Voci:
Morirà!).
Allo scardinamento del fascismo, del più
grande nemico delle libertà umane e del
progresso, dobbiamo consacrare tutte le
nostre forze. Lo colpiremo con la nostra
democrazia popolare, che è frutto della
nostra lotta di liberazione, quella
democrazia popolare che dà alle masse di
tutti i ceti e di tutte le nazionalità
la più larga possibilità di partecipare
alle decisioni in tutte le questioni
politiche, economiche e culturali:
quella democrazia che ci ha dato il
nostro potere popolare, i nostri
comitati di liberazione nazionale ed i
comitati regionali di liberazione
nazionale, che oggi rappresentano i più
alti poteri nel paese; quella democrazia
popolare che ha dato alla città di
Trieste la sua autonomia. Essa ha legato
nella lotta per la libertà le masse del
Litorale, per le quali incomincia una
nuova vita, insieme alla certezza
che la vecchia non ritornerà mai più.
Viva Trieste autonoma nella federazione
democratica jugoslava!.
I discorsi del comandante e
vicecomandante della città.
Annunciato dal compagno Radich parla il
maggiore generale Dušan Kveder,
comandante della città.
Triestini e Triestine! In nome dello
Stato Maggiore della IV Armata e in nome
del Comando della città di Trieste,
saluto questa prima assemblea della
città di Trieste. Alle nostre truppe che
secondo un piano magnifico e sotto la
direzione del maresciallo Tito hanno
liberato l’Istria, il Litorale sloveno,
Trieste, Monfalcone e Gorizia, questa
vostra manifestazione dà grande
soddisfazione. E dà soddisfazione perché
questa regione noi l’abbiamo liberata
colle nostre forze, dopo duri
combattimenti e con numerose vittime. Dà
soddisfazione perché attraverso a
questa vostra manifestazione viene messo
ancora una volta in luce il fatto che la
popolazione di Trieste ci ritiene come
benvenuti nella città. Dà soddisfazione
perché attraverso questa manifestazione
viene confermato che la popolazione di
Trieste ritiene il nostro esercito come
un esercito liberatore e perché noi
sentiamo che attraverso l’onore
tributato al nostro esercito voi
prendete in considerazione la nuova
Jugoslavia democratica.
Dà soddisfazione perché comprendiamo che
attraverso questa manifestazione
voi condannate tutto il passato di
schiavitù nell’ultimo secolo. Condannate
il passato di Trieste nella monarchia
austro-ungarica, un regime di
oppressione e di odio; condannate la
schiavitù fascista che ha portato la
città verso la sua rovina economica e
che ha distrutto qualsiasi resto di
democrazia in Trieste.
Dà soddisfazione perché, nella vostra
manifestazione, vediamo la vostra
volontà per la pacifica convivenza della
popolazione italiana e slovena.
Desiderio del nostro esercito è di
vedere Trieste come desiderate di
vederla voi: Trieste felice,
democratica, antifascista nel quadro
della forte, democratica, federale e
progressista Jugoslavia. Il nostro
esercito è lieto di salutare in voi i
rappresentanti della maggioranza, della
grande maggioranza, del popolo
triestino.
Viva Trieste autonoma nella federazione
democratica jugoslava.
Il magg. Giorgio Jaksetich,
vicecomandante della città, porge il
saluto dei garibaldini combattenti
nell’esercito del maresciallo Tito.
Diverse – egli dice – furono le
difficoltà e i disagi della lotta,
superiori a quanto si possa credere; mai
però abbiamo mancato al nostro dovere,
quello della lotta armata per cacciare
il nemico e farla finita col fascismo.
Gli anni della dominazione fascista, che
hanno provocato la rovina economica
della città, ci hanno spinto a lottare
fino in fondo per poter por fine a
questa situazione.
Dall’altra parte la visione
dell’avvenire di Trieste era uno stimolo
tanto grande che nessun sacrificio
poteva allontanarci dal conseguire
l’attuale risultato. Sui monti del
retroterra abbiamo fuso le forze italo –
slovene per combattere il comune nemico:
il nazifascismo. Per i veri democratici,
per i veri figli del popolo amanti della
pace, questa unione tra italiani e
sloveni non è nuova: essi si sono già
trovati nelle prigioni del fascismo,
nelle isole del confino e, insieme,
nella lotta più grande, quella contro la
peste del fascismo. Ora ci aspetta di
lottare ancora insieme per ricostruire e
fare sì che Trieste possa godere della
pace, del lavoro, del benessere, della
felicità.
Nelle fabbriche, negli uffici, tra le
donne e la gioventù si deve formare il
più stretto fronte unico delle forze
sane e costruttive, perché dobbiamo dare
alla nostra città quanto si merita ed
avviarla sulle vie del progresso. Noi
non ci lasciamo distrarre e distogliere
dal nostro compito, dalle chiacchiere,
dalle calunnie e dalle offese. Noi
abbiamo la certezza del perché
combattiamo. Tito sta in testa alla
lotta.
La seconda parte
Si chiude la prima parte della
Assemblea, e dopo un breve intervallo,
durante il quale vengono suonati gli
inni americano, russo e inglese,
s’inizia la discussione sulla relazione
politica tenuta dal compagno Ursich.
Intervengono vivamente parecchi
compagni.
La discussione certe sull’esigenza
immediata della costituzione di un
tribunale del popolo per compiere
efficacemente l’opera di epurazione
nella nostra città. Molti altri problemi
sono affrontati e si rileva come la
compattezza e l’unità del popolo
potranno aver ragione di ogni altra
difficoltà. Il compagno Regent
traccia la linea da seguire per la
ricostruzione e l’avviamento deciso
verso la piena attuazione della
democrazia popolare e ribadisce ancora
la necessità dell’unione stretta tra
italiani e sloveni per il successo della
lotta. Dà lettura quindi del testo dei
telegrammi da inviare all’eroe nazionale
maresciallo Tito, al maresciallo Stalin,
al presidente degli Stati Uniti
d’America Truman, al premier del governo
della Gran Bretagna Churchill, al
vicepresidente del governo della
Jugoslavia e ministro per la costituente
Kardelj, al presidente dei ministri
della Slovenia, Kidrič al vicepresidente
del consiglio dei ministri italiano
Palmiro Togliatti, al presidente del
comitato popolare provinciale di
liberazione Bevk. I presenti approvano
con vivissimi applausi.
Poi avviene l’elezione, fatta dai
delegati presenti, dei compagni che
dovranno costituire la Consulta generale
della città di Trieste. Il popolo
rappresentato dimostra la sua maturità
politica, l’interesse e l’entusiasmo che
lo anima. Viene approvata infine la
proposta che il Consiglio di liberazione
possa aggregarsi altri membri.
La storica riunione popolare è chiusa a
sera tarda.
Il discorso del maggiore comandante la
Milizia popolare di Trieste Rudi
Greif in occasione dell’Assemblea
generale della città, tenutasi ieri
l’altro al Politeama Rossetti.
Io saluto in nome della Milizia popolare
di Trieste la vostra prima assemblea. Io
la saluto in nome di coloro che a
Trieste per primi impugnarono le armi,
di coloro che assieme al nostro esercito
regolare liberarono Trieste. Soprattutto
mi sento in dovere di rispondere alle
calunnie che vanno diffondendo certi
elementi fascisti dell’ex CLN che se ne
fuggirono a Roma. Essi affermano che
noi, cioè l’armata jugoslava, abbiamo
soffocato la rivolta organizzata, si
crede, da loro. Compagni! Ciò è vero:
noi abbiamo impedito che coloro che fino
a ieri servirono fedelmente l’occupatore
tedesco, come la Guardia civica, la X
Mas, ecc., che coloro che fino a ieri
perseguitavano e uccidevano i
combattenti antifascisti triestini,
venissero considerati eguali a noi.
tutto ciò abbiamo raggiunto con l’avere
già sotto l’occupazione tedesca
organizzato e costituito a Trieste,
dalle file delle masse democratiche
slovene ed italiane, delle unità armate.
In queste nostre formazioni accorsero
tutti coloro che volevano una Trieste
libera, cioè migliaia di operai delle
fabbriche triestine, i cittadini , tutta
Trieste ad eccezione di coloro che si
trovavano al servizio dell’occupatore.
Noi li abbiamo chiamati, dicendo loro di
abbandonare il servizio di Hitler e di
aggregarsi a noi, ma essi rimasero
sordi.
Venne l’ora della rivolta: le truppe di
Tito si avvicinavano a Trieste, Trieste
impugnava le armi per liberarsi assieme
alle truppe di Tito. Prima che le nostre
unità giungessero dal di fuori, noi
abbiamo disarmato parte dei servi di
Hitler e attaccato reparti dell’esercito
tedesco della città; dopo l’arrivo delle
nostre unità operanti, che hanno
espugnato in una lotta accanita i
numerosi centri di resistenza degli
arrabbiati nazifascisti, il nostro
esercito triestino si trasformò in
Difesa Popolare Triestina, che oggi ha
la cura dell’ordine e della tranquillità
di Trieste. Molti che fino a ieri furono
sordi ai nostri richiami, molti che fino
a ieri servivano fedelmente Hitler nelle
varie Brigate Nere, nella Guardia civica
ecc., cercano oggi di attaccare sul
berretto la stella rossa, ma per costoro
non c’è posto in mezzo a noi: il posto
di costoro è nei campi di
concentramento. Noi sappiamo che in
mezzo a loro si trovano uomini che
furono ingannati, che senza dubbio
potranno collaborare con noi, ma prima
devono dimostrare che non sono
responsabili dei delitti che le
formazioni dell’occupatore, e con loro
la Guardia civica, perpetrarono ai danni
delle masse democratiche in generale e
delle masse democratiche di Trieste in
particolare. Coloro che fuggirono da
Trieste, con ciò solo dimostrarono di
non avere le mani pulite nei loro
rapporti con queste formazioni armate
dall’occupatore.
Proprio coloro che cercano oggi a Roma
di parlare in nome del C.L.N. triestino
volevano, nei momenti decisivi, giocare
a Trieste a mosca cieca. Trattarono con
la Guardia civica, cioè con una
formazione armata dell’occupatore, ed
ostacolarono con ciò i nostri sforzi per
conseguire lo sfasciamento della
medesima al fine di attrarre i suoi
componenti nelle forze armate del
movimento antifascista della città.
Che chiacchierino e minaccino pure i
vari fascisti da Roma o da qualsiasi
altro luogo: le masse democratiche
triestine hanno oggi nelle loro mani le
armi, hanno la loro Difesa Popolare, la
difesa che si trova al loro servizio, e
non più al servizio dei neri criminali
fascisti. Chi cerca, chiunque esso sia,
di asservire di nuovo Trieste, troverà
una resistenza incrollabile nelle masse
democratiche italiane e slovene, le
quali, come aiutarono a liberarla col
proprio sangue, così sapranno anche con
le proprie armi, e con la propria Difesa
Popolare, difendere tutto ciò che hanno
conquistato in questa lotta.
(dal Nostro Avvenire, 18 e 19
maggio 1945)
ENNESIMA MISTIFICAZIONE STORICA
APPROVATA DAL CONSIGLIO COMUNALE DI TRIESTE
Claudia Cernigoi
25 luglio 2014 - da Diecifebbraio.info
“COLPIRE LA MEMORIA,
RISCRIVERE LA STORIA” (da “Ruggine”
degli Africa Unite)
Il 21 luglio scorso il Consiglio comunale di
Trieste, con un unico voto contrario
(Federazione della Sinistra) e tre astenuti (due
PD e uno SEL) ha approvato la seguente
MOZIONE URGENTE
Oggetto: 26 ottobre 1954-2014
I sottoscritti consiglieri comunali
Preso atto che il 26 ottobre 2014
ricorre il sessantesimo anniversario del
ritorno definitivo di Trieste all’Italia;
Ricordato che il 2014 è l’anno delle
celebrazioni dell’inizio della Prima Guerra
Mondiale e del lungo Novecento che ha visto
Trieste contesa fino al Memorandum di Londra
che la riunificò alla Madre Patria;
Evidenziato che in un anno ricco di
celebrazioni non si può dimenticare questa
data simbolo di tutto il Novecento per
l’Italia, per Trieste e per tutto il confine
orientale, compiendo atti di “giustizia
storica” anche nei confronti di quanti si
sacrificarono e morirono per l’italianità
della Città;
IMPEGNANO
il Sindaco e la Giunta a commemorare
degnamente l’anniversario ed i suoi
protagonisti attraverso:
• la convocazione di un Consiglio
comunale straordinario che commemori
l’evento;
• il conferimento della Cittadinanza
Onoraria all’VIII Reggimento Bersaglieri di
cui facevano parte i reparti italiani che
per primi giunsero in Città il 26 ottobre
1954;
• l’intitolazione di una via cittadina
o l’apposizione di una targa che commemori
la fine dell’occupazione jugoslava il 12
giugno 1945 e la fine della seconda guerra
mondiale per Trieste.
Mozione firmata da Franco Bandelli e Alessia
Rosolen (Un’altra Trieste, formazione politica
che si situa a destra di AN e forse anche di
Fratelli d’Italia, tanto per inquadrare l’area
politica).
Che dire? innanzitutto che la data del 26
ottobre 1954 (ritorno della sovranità italiana
su Trieste, peraltro in barba agli accordi che
sancivano l’esistenza del Territorio Libero) non
c’entra assolutamente con quella del 12 giugno
1945 (quando gli Jugoslavi lasciarono
l’amministrazione della città agli
angloamericani), e che attaccare le due cose
assieme è solo l’ennesimo modo per fare
mistificazione storica.
Ma anche “commemorare” la fine “dell’occupazione
jugoslava” è un modo per mistificare e
riscrivere la storia. Perché si parla di
“occupazione” jugoslava a Trieste e non di
“occupazione” angloamericana per le altri parti
d’Italia liberate dagli eserciti alleati? (Era
un esercito alleato anche la Jugoslavia,
nonostante molti continuino pervicacemente ad
ignorarlo).
Inoltre, la “fine della seconda guerra mondiale”
a Trieste come in Italia e negli altri paesi si
è avuta il 10 febbraio 1947, con la firma del
Trattato di pace, data che invece è stata
oggetto di ulteriore mistificazione essendo
stata dichiarata Giorno del ricordo dell’esodo e
delle foibe.
Che la destra più retriva, anticomunista e
nazionalista, si faccia carico di presentare
simili proposte non stupisce. Scandalizza invece
il fatto che tali contenuti vengono oggi, a
distanza di settant’anni, fatti propri anche
dalle forze che non osiamo definire “di
sinistra”, ma che pensavamo almeno sinceramente
democratiche.
Così ci domandiamo come mai il sindaco Cosolini,
PD con un ventennale passato nel PCI, possa
avere già fatto proprio un ordine del giorno in
cui si impegnava a porre una targa per
“celebrare la fine dei quaranta giorni di
occupazione”.
Non si può cancellare la realtà storica, e cioè
che l’arrivo dell’Esercito jugoslavo a Trieste
ha significato la sconfitta del nazifascismo, e
che i tanto conclamati “crimini delle foibe”
sono nulla più che l’esagerazione esasperata di
fatti avvenuti a Trieste come in tutte le altre
città alla fine del secondo conflitto mondiale,
e che vengono stigmatizzati nel modo che
sappiamo solo perché a Trieste i partigiani ed i
liberatori erano “slavi” e “comunisti”. Che
invece di considerare che alla fine della guerra
si ebbero in tutta Europa episodi di giustizia
sommaria, qui si parla di “martiri delle foibe”
comprendendo anche persone che avevano
collaborato con il nazifascismo, che avevano
fatto parte di organismi di repressione che
rastrellavano, torturavano, assassinavano e
mandavano a morire nei lager gli antifascisti e
gli ebrei e gli “slavi” considerati “razze
inferiori”; e che, atteggiamento schizofrenico
tipicamente italiano, il 27 gennaio si
commemorano alla Risiera le vittime di alcune
persone che vengono commemorate il 10 febbraio.
Ho scritto che non si può cancellare la realtà
storica, ma ho sbagliato: avrei dovuto scrivere
che non si dovrebbe cancellarla, dato che per
potere possono e lo stanno facendo.
Ed intanto il nazifascismo sta riprendendo piede
in tutta Europa: ma ad essere criminalizzati, in
Italia, sono solo gli antifascisti di sinistra.
Claudia Cernigoi, 25 luglio 2014
Jugoslavi a Trieste, 2 maggio 1945
Trieste e
la targa della “falsa” liberazione del
12 giugno 1945. Alcune
menzogne dei 42 giorni di Trieste
Il primo maggio del 1945 alle sei di
mattina con cinque carri armati leggeri
e duecento mitragliatrici, i partigiani
jugoslavi, entrando a Trieste,
libereranno la città dall’occupazione
nazifascista. Ma da quel momento sino al
12 giugno 1945 e soprattutto dopo il 12
giugno 1945, quando le truppe
dell’esercito jugoslavo abbandoneranno
la città in relazione agli accordi come
maturati con gli anglo-americani nel 9
giugno del 1945, vi sarà una campagna di
falsificazione storica, di revisionismo
storico, talmente folle che è diventata
verità, verità fatta propria anche dalla
sinistra istituzionale. La liberazione
di Trieste verrà trasformata in
occupazione di Trieste. L’occupazione di
Trieste da parte dei partigiani
jugoslavi, nella memoria storica sia
locale che nazionale, come condizionata
da diverse falsità, diventerà più
violenta ed irruenta di quella
nazifascista. Si parlerà poco per
esempio del 27 marzo 1944, quando in
città vennero impiccati pubblicamente
quattro partigiani del “Battaglione
Triestino”: Sergio Cebroni, Giorgio De
Rosa, Remigio Visini e Livio Stocchi, si
parlerà poco del 3 aprile quando
vennero impiccati settantadue ostaggi in
rappresaglia ad un attentato compiuto
dalla Resistenza a Opicina del 29
aprile, quando per rappresaglia rispetto
all’uccisione di cinque tedeschi
avvenuta a via Ghega a Trieste, i
nazisti impiccarono altri cinquantasei
partigiani, si parlerà molto, invece,
della caccia all’italiano, falsa,
esercitata dai partigiani jugoslavi. Si
ricorderà poco, a livello nazionale,
l’esistenza della Risiera, si ricorderà
molto, invece tutta la mistificazione
delle vicende delle foibe o dell’esodo e
dei “tremendi” 42 giorni di Tito.
Andando a rileggere i giornali di quel
tempo, che in sostanza dedicheranno
sempre spazio alla questione di Trieste,
ben emerge la denuncia della menzogna
come esercitata da diverse agenzie di
stampa. Non si parlerà per esempio del
fatto che dieci mila triestini erano
riuniti in piazza a gridare viva Tito
viva gli alleati antifascisti, la sera
antecedente l’approvazione dell’accordo
che avrebbe sancito il passaggio di
poteri. Addirittura lo stesso Vescovo di
Trieste dichiarerà che “l’atteggiamento
delle autorità jugoslave e locali nei
riguardi del clero sono invariabilmente
corrette e rispettose” sull’Unità del 10
giugno del 1945 e la fonte sarà
l’agenzia Reuters smentendo anche le
voci che dicevano che il Vescovo fosse
stato sottoposto a domicilio coatto da
parte dei partigiani jugoslavi.
Unità, che come è noto, non è mai stata
benevola nei confronti di Tito, e non
aveva alcun interesse a tutelare la sua
figura ed il suo ruolo. Il 17 maggio del
1945 si leggerà che a Trieste non vi
sono state “Né stragi, né deportazioni
di massa, né caccia all’italiano” ed a
dire ciò sarà la signora Sprigge del
Manchester Guardian .
Velio Spano, che sarà successivamente
membro dell’Assemblea costituente e
senatore per le prime quattro
legislature nell’Unità del 18 maggio del
1945 scriverà, in prima pagina, che
andavano denunciate le falsità delle
agenzie di stampa, sulla questione di
Trieste, che avevano l’unico scopo di
risvegliare “sentimenti nazionalistici e
residui di fascismo” .
Come falsa sarà, per esempio, la notizia
dell’ultimatum all’esercito di Tito. Il
19 maggio del 1945, dopo una riunione
avvenuta al Rossetti, nascerà il
comitato congiunto italo sloveno per
l’amministrazione civile di Trieste, il
corrispondente dell’Associated Press di
Trieste renderà noto che vi erano
trattative tra l’esercito jugoslavo e
quello anglo americano e che i
rapporti erano cordiali, come diranno
diverse agenzie di stampa anche del 31
maggio del 1945.
Dunque certamente i partigiani jugoslavi
non potevano avere alcun minimo tipo di
interesse, vista la situazione, di
realizzare persecuzioni o violenze
nefaste, sarebbe stato un controsenso
illogico, sarebbe stato come buttarsi la
zappa mortale sui piedi.
Non si deve poi dimenticare che in quel
periodo, in Italia, operavano i
Tribunali straordinari per i
collaborazionisti del nord, come da
decreto del 22 aprile 1945, vi era la
pena di morte per coloro che venivano
accusati di aver avuto le maggiori
responsabilità, ciò per far capire il
clima di quel tempo, stesso discorso, in
un certo senso, accadeva sotto la
vigenza dell’esercito di liberazione
jugoslavo, la guerra non finisce con la
data stabilita a tavolino, gli effetti
della guerra continuano nel tempo con le
inevitabili condanne anche a morte
di chi fino a qualche giorno prima si
era reso complice, direttamente od
indirettamente, del regime fascista e
nazifascista. Ed allora il fatto che la
così detta sinistra voglia fare propria
l’iniziativa di forze reazionarie e di
destra, quale quella di dover
considerare il 12 giugno come la vera
liberazione di Trieste, come quella di
dover considerare i 42 giorni di
amministrazione italo-slovena e
jugoslava a Trieste come tremendi, come
momenti bui, equiparati all’occupazione
nazifascista è una falsità storica
sconvolgente.
Degli errori ci saranno stati, ma deve
seriamente indurre alla riflessione ma
anche alla reazione, quando accade che
le istanze di forze nazionalistiche, che
poi erano quelle che facevano circolare
le false notizie e falsi allarmismi in
quel tempo, vengono fatte proprie da
forze politiche che deriverebbero
proprio dalla resistenza, quella
resistenza che si è battuta contro la
menzogna e contro i fascismi. Il 12
giugno 1945 non vi è stata nessuna
liberazione di Trieste, la forza che ha
liberato Trieste, ha ceduto i poteri
agli anglo-americani. Ed allora, per
rigor di logica, se occupanti erano gli
jugoslavi, occupanti saranno anche gli
anglo-americani, occupazione che è
continuata in Italia in modo poi non
tanto sottile fino ai giorni nostri.
D’altronde in Italia non vi è mai stata
una Repubblica indipendente e la nota
strategia del terrore, quale quella
della tensione, deve essere letta anche
in questo cupo ambito.
Ora, si dirà, perché questo intervento?
Perché è stata rinnovata la promessa, da
parte di alcuni esponenti politici
locali, di voler realizzare una targa, a
Trieste, finalizzata a ricordare il 12
giugno del 1945 come giorno della
liberazione della città.
Marco Barone
13/06/2014
fonte: Blog
di Marco Barone
|
Trst i natpis
„lažnog“ oslobođenja 12 juna 1945. Neke
od laži o 42 dana Trsta
Prvog maja 1945 u šest sati ujutro sa
pet lakih tenkova i sa dvije stotine
mitraljeza jugoslavenski partizani su
ušli u Trst, oslobodivši grad od
nacifašističke okupacije. No od tog
trenutka do 12 juna 1945, a naročito
nakon 12 juna 1945, kada su
jugoslavenske trupe napustile grad
prema dogovoru do kojeg je došlo sa
Anglo-Amerkinacima, 9 juna 1945,
počela je kampanja povijesne
falsifikacije i historijskog
revizionizma i tobožnjih istina, koju
je prisvojila i službena tobožnja
ljevica. Oslobođenje Trsta pretvorilo
se u okupaciju Trsta. A okupiranje
Trsta od strane jugoslavenskih
partizana, u historijskom pamćenju,
bilo lokalnom, bilo nacionalnom,
uvjetovano raznim neistinama, bit će
opisano kao još gore i još nasilnije
od nacifašističke okupacije.Tako će
se, na primjer, jako malo govoriti o
27 martu 1944, kad su u gradu javno
obješena 4 partizana iz „Trešćanskog
bataljona“: Sergio Cebroni, Giorgio De
Rosa, Remigio Visini i Livio Stocchi,
i jednako tako još manje će se
govoriti o 3 aprilu, kad će biti
obješena 72 taoca u ime odmazde zbog
atentata, koji je izvršio Pokret
Otpora u Opicini i još manje će se
spominjati 29 april, kad su iz odmazde
za ubojstvo petorice Nijemaca objesili
pedesetišest partizana, ali će se zato
govoriti mnogo o izmišljenom lovu na
Talijana, koji su tobože izvršili
jugoslavenski partizani. Na
nacionalnoj razini malo će se tko
sjećati postojanja logora za
eksterminaciju Risiere, ali će se
naveliko govoriti o cijeloj toj
mistificiranoj priči oko foibi ili o
masovnom ekzodusu talijanskog življa,
kao i o „užasnih“42 dana Tita. Ako
ponovo pročitamo novine iz tog doba,
koje gotovo uvijek daju dosta prostora
tršćanskom pitanju, dobro se vidi da
neke novinske agencije iznose
neistine. Ne govori se na primjer o
činjenici da se 10 tisuća Tršćana
okupilo na trgu uz povike Živio Tito,
živjeli antifašistički saveznici,
uvečer, prije potpisivanja dogovora,
koji će ratificirati primopredaju
vlasti. Čak je i sam tršćanski biskup
izjavio „odnos jugoslavenskih vlasti i
njihovih lokalnih uprava prema kleru
bilo je bez izuzetka korektan i
ispunjen dužnim poštovanjem“, kako
piše list Unità 10 juna 1945, a izvor
je Reuters, koji na taj način
demantira, da se nadbiskup nalazi u
kućnom pritvoru, koji su mu odredili
jugoslavenski partizani. Unità nikada
nije, kako je opće poznato, bila
naklona Titu i nije imala baš nikakvog
interesa da štiti utisak, koji je on
ostavljao, a još manje njegovu ulogu.
Dana 17 maja može se pročitati da u
Trstu „Nije bilo ni pokolja, ni
masovnog deportiranja i još manje lova
na Talijane“, a to izjavljuje gospođa
Sprigge iz Manchester Guardiana.
Velio Spano, koji će potom biti član
Ustavotvorne skupštine i senator u
prva tri saziva parlamenta, u listu
Unità od 8 maja 1945 napisat će, na
prvoj strani, da treba optužiti laži
novinskih agencija po pitanju Trsta,
čiji je cilj da probude
„nacionalističke osjećaje i ostatke
fašizma“.
Isto će tako biti lažna vijest, na
primjer, o ultimatumu, kojeg je dao
Tito. Dana 19 maja 1945, nakon
sjednice, koja je održana u kafani
Rossetti, nastat će sjedinjeni
talijansko-slovenski komitet za
civilnu administraciju Trsta, a
dopisnik Associated Pressa će
objaviti, da su u toku pregovori
između jugoslavenske vojske i
angloameričkih snaga i da su njihovi
odnosi srdačni, kako će to potvrditi
različite novinske agencije dana 31
maja 1945.
Dakle jugoslavenski partizani nisu
mogli imati ni najmanje interesa, s
obzirom na postojeće stanje, da vrše
progone ili pogubna djela nasilja, jer
to bi predstavljalo nelogičnu
besmislicu i značilo bi zadati sebi
smrtni udarac pijukom po vlastitim
nogama.
Ne treba zaboraviti da su u to vrijeme
u Italiji djelovali Izvanredni Narodni
Sudovi, koji su sudili
kolaboracioniste na sjeveru zemlje, te
prema dekretu od 22 aprila 1945, mogli
su izricati i smrtne kazne za one,
koji su bili optuženi da su
najjodgovorniji za prošlost, a to sve
kako bi se shvatila klima tog vremena
te isto vrijedi, u izvjesnom smislu, i
za upravljanje gradom pod
jugoslavenskom oslobodilačkom vojskom.
Rat naime ne završava onog datuma kad
je to potpisano za nekim stolom, a
posljedice rata protežu se kroz
vrijeme, sa neizbježnim osudama, čak i
na smrt, onih, koji su do prije par
dana bili direktni ili indirektni
suučesnici fašističkog ili
nacifašističkog režima. Otuda potječe
činjenica što tobožnja ljevica želi
prisvojiti inicijativu reakcionarnih
snaga i onih desnih, a one žele 12
juna proglasiti danom istinskog
oslobođenja Trsta, kao i to da se 42
dana talijansko-slovenske
administracije, zajedno sa
jugoslavenskom, grada Trsta, moraju
smatrati za užasne, mračne trenutke,
izjednačene sa nacifašističkom
okupacijom, što predstavlja
zapanjujući i ogavan historijski
falsifikat.
Nesumnjivo je da su počinjene greške,
ali treba se zamisliti, i to ozbiljno
- a bilo bi potrebno na to i
odgovoriti - nad slučajem, kad se
dogodi, da tvrdnje nacionalističkih
snaga, i to upravo one koje su kružile
u prošlosti kao lažne vijesti za lažno
uzbunjivanje, postanu stanovište onih
političkih snaga, koje su proizlazile
baš iz Pokreta otpora, onog istog
Pokreta otpora, koji se borio protiv
laži i protiv svih lica fašizma. Dana
12 juna nije bilo nikakvog oslobođenja
Trsta, već je vojna snaga, koja je
oslobodila Trst, predala grad
Anglo-Amerikancima. A osim toga, kad
bi smo bili strogo logični, ukoliko su
okupatori bili Jugoslaveni, isto tako
morali bi biti okupatori i
Anglo-Amerikanci, a ta se okupacija
nastavila u Italiji i to ne uvijek na
suptilan način, sve do današnjih dana.
Uostalom, u Italiji nikad nije postaja
Nezavisna Republika i strategija
strave, koju je ustvari predstavlala
strategija napetosti, kroz koju smo
prošli, treba također biti čitana u
kontekstu tih zbivanja.
Sad će se netko zapitati, zašto sam
sve ovo kazao? Stoga jer je obnovljeno
obećanje, od strane nekih lokalnih
političara, da se u Trstu postavi
ploča s natpisom, koji bi podsjećao da
je 12 jun dan oslobođenja grada.
Marco
Barone
13/06/14
(Prevod: J. Tkalec)
|
MAGGIO 1945: TRST
JE NAŠ!
Una controlettura dei 42 giorni
“All’epoca dell’occupazione jugoslava
il maggior numero di arresti,
deportazioni ed uccisioni
era stato provocato ed eseguito da
elementi locali,
il più delle volte per vendette
personali”.
Dai “Diari” di Diego de Henriquez, n. 45, pag.
10.506.
“coi budei del più bon s’ciavo impicar el
più cativo”
(modo di dire triestino di fine ‘800,
tratto dalle carte di polizia dell’Impero
conservate presso l’archivio di stato di
Trieste).
“se i s’ciavi vol la scola che vadi a star
a Lubiana,
Trieste xe italiana e tale resterà”
(canzone cantata negli anni ‘50 dagli
estremisti di destra triestini).
PREMESSA.
V’è un argomento su cui la storiografia di
regime, di destra e di sinistra, va, oggi,
assolutamente all’unisono: nella condanna, cioè,
assoluta ed acritica dei 42 giorni di
amministrazione jugoslava di Trieste, dopo che
le truppe di Tito alleate con gli occidentali e
con i sovietici in funzione antinazista ed
antifascista, ma anche alleate, è bene non
dimenticarlo, del legittimo (seppure indegno)
governo badogliano dell’Italia dell’epoca,
avevano liberato la città dagli occupanti
nazisti e dai collaborazionisti locali.
Il IX Korpus, che fu incaricato di marciare
sulla città, giunse il 1° maggio 1945, in
Trieste con gli organici dimezzati per la
durezza dei combattimenti, visto che i tedeschi
avevano adottato una strategia ben precisa:
arrendersi agli alleati occidentali e combattere
fino all’ultimo contro gli “slavi comunisti”
allo scopo di tentare a fare sì che fossero per
primi gli angloamericani ad entrare in città.
Era, questo, parte degli accordi che il
comandante della SS in Italia, generale Wolf,
aveva stipulato con Allen Dulles, capo
dell’intelligence americana in Europa all’atto
di arrendersi agli stessi alleati, ottenendo
così salva la vita per ignobili delinquenti
quali il generale SS Odilo Lotario Globocnik (un
triestino, è bene non dimenticarlo).
A leggere la storiografia odierna su questi
argomenti, sembra ormai che tutto sia stato già
scritto e che nulla debba essere ancora
acclarato, che non occorra più fare ricerca in
proposito, visto che, ormai, l’ultima parola è
stata già detta.
È cosi che interi archivi, come quello del
Comune di Trieste sulla giunta Pagnini,
rimangono inesplorati dagli storici
professionisti di regime, e, nei confronti di
chi azzarda ipotesi ed opinioni diverse, se pure
documentate, si esprime il giudizio rapido e
sbrigativo di “negazionisti”.
Ancora più impressionante è lo schieramento dei
mass-media su questi argomenti: semplicemente,
le opinioni di coloro che non sono in sintonia
con la verità ufficiale e la verità di regime,
vengono taciute. Questa informazione stile
Goebbels dei mass-media locali rappresenta, dal
punto di vista psicologico, l’equivalente del
rogo dei libri proibiti che il Führer ordinò
all’inizio del suo potere assoluto; oggi,
nell’unidimensionalismo marcusiano che stiamo
vivendo, non c’è più bisogno di bruciare
alcunché, basta mettersi d’accordo con gli
editori e i direttori degli organi di
informazione per ottenere gli stessi risultati
in modo assolutamente soft, senza clamori, con
stile post-moderno.
A volte, questa strumentalizzazione della storia
per fini politici da parte di tanti storici
ufficiali (qualche eccezione v’è, ma sono,
appunto, eccezioni) assume aspetti
particolarmente inaccettabili, come nel caso dei
“diari” (inediti ma consultabili) che Diego de
Henriquez, personaggio triestino strano ed
inquietante ma assolutamente scrupoloso ed
obiettivo, ha lasciato. Questa fonte,
preziosissima, per la storia recente della città
di Trieste, è stata trascurata dagli storici,
almeno fino ad ora, perché assolutamente
scomoda. Approfondiamo ora brevemente questo
argomento.
UNA DOCUMENTAZIONE DIMENTICATA.
Presso i Civici musei di Trieste, sono
conservati 287 grossi diari, oltre a quaderni di
bozze, per oltre 50.000 pagine scritte con
scrittura minuta e chiarissima dal professor
Diego de Henriquez, un personaggio che i più
ricordano come collezionista e raccoglitore di
armi ed oggetti di argomento guerrologico o
polemologico. In effetti, in questa veste egli
compì un’opera davvero eccezionale, lasciando
alla città di Trieste una raccolta di centinaia
di migliaia di pezzi ancora in fase di
sistemazione, che negli anni ‘70 fu valutata
oltre 30 miliardi di lire dell’epoca. De
Henriquez però fece anche qualcosa di più: a
partire dal 1941 e fino alla sua tragica e
misteriosa morte avvenuta nel 1974, annotò tutto
quello che vedeva e sentiva su delle agende che
conservava e catalogava con assoluta pignoleria.
De Henriquez parlava e comprendeva praticamente
tutte le lingue d’Europa, aveva fatto studi
tecnici ed era preparatissimo in materia di
armi, fortificazioni e naviglio di ogni tipo. In
tutti questi settori, ad una indiscutibile ed
indiscussa competenza tecnica egli aggiungeva
soprattutto una grandissima passione. Riuscì ad
essere in rapporti di amicizia con tutti gli
organi di intelligence dell’epoca: quella
tedesca, quella fascista prima e dopo il 25
luglio 1943, quella partigiana bianca, quella
jugoslava, quelle alleate. De Henriquez parlava
con tutti, riscuoteva la fiducia di tutti ed
annotava tutto quello che gli veniva detto.
Negli anni ‘90 i suoi diari furono acquisiti ed
in parte fotocopiati da un magistrato veneziano,
il dottor Carlo Mastelloni, che ha compiuto e
portato a termine l’unica inchiesta giudiziaria
complessiva nel nostro paese sull’intera
strategia della tensione; un’enorme lavoro, che
se pur non ha condotto a sbocchi giudiziari, ha
tuttavia contribuito in modo fondamentale a
scrivere una pagina di storia italiana decisiva
per i tempi recenti e soprattutto ha reso con
quella documentazione un servizio impagabile per
la democrazia. È bene rilevare che quei diari
non sono ancora stati consultati in maniera
sistematica da nessuno storico professionista,
eppure contengono notizie molto importanti, tali
da rendere possibile, se presi in esame, la
rimessa in discussione di quasi tutte le
certezze che oggi vengono così arrogantemente
sbandierate, incluse quelle relative ai 42
giorni di occupazione jugoslava di Trieste. Ma
forse è proprio per questo che nessuno li va a
vedere?
Noi, che storici non siamo ma giornalisti dediti
alla controinformazione, abbiamo potuto
consultare alcuni di questi diari ed abbiamo
visto come il “professore” parli ad esempio con
precisione della sostanziale adesione
dell’opinione pubblica cittadina
all’amministrazione germanica: quasi la metà
della popolazione, secondo lui, collaborò in un
modo o nell’altro con i nazisti in quei due
anni. Nell’immediato dopoguerra, quando a
Trieste erano detenuti molti prigionieri
tedeschi, gli stessi militari alleati erano
meravigliati per le grandi manifestazioni di
solidarietà e di concreto sostegno che uomini e
donne triestini dimostravano verso i tedeschi
prigionieri, anche SS. Grazie ai triestini molti
tedeschi poterono fuggire e de Henriquez indica
anche i percorsi e le basi usate per queste
fughe: questo però non sembra interessare gli
storici, così come nessuno è interessato a casi
addirittura vergognosi di collaborazionismo,
come quello dell’interprete triestino delle SS
che eliminava negli interrogatori, nel tradurre
le risposte, tutti quegli elementi che avrebbero
potuto giocare a favore dell’arrestato. O quello
dell’avvocato di grido, poi riciclato nel
dopoguerra nelle partecipazioni statali, che
dopo l’8 settembre 1943 compilò un elenco di 40
ebrei e lo portò al comandante SS di propria
iniziativa.
De Henriquez mette poi in evidenza la totale
inadeguatezza ed improvvisazione
dell’insurrezione di fine aprile ‘45 organizzata
dal CVL di Fonda Savio e don Marzari,
dimostrando in maniera fin troppo chiara come
quell’operazione fosse stata posta in essere
solo dopo che i dirigenti del CVL avevano avuto
la certezza assoluta della partenza dei
tedeschi, allo scopo di giocare dal punto di
vista politico una carta in più contro i
partigiani filotitini comandati da Franc Štoka,
un triestino di Santa Croce, il quale aveva loro
comunicato l’intenzione di insorgere il giorno
dopo e li aveva invitati ad un’azione comune. Un
atto di vera e propria furberia politica,
insomma. Leggiamo ancora, che il primo carro
armato jugoslavo che giunse a Trieste era
guidato da un altro triestino di Santa Croce,
Sirk, ed è molto interessante leggere quello che
dice il capitano Ercole Miani a proposito di
scomparsi ed infoibati: “in effetti gli
scomparsi furono poco più di 500 in tutto, ma si
continua a parlare di migliaia perché la cosa è
utile in funzione anticomunista ed antislava”.
Questo esattamente riporta de Henriquez (pag.
12.512, diario 52).
Abbiamo provato a ricostruire le vicende di quei
42 giorni in base ai dati documentali (quei
pochissimi e scarsissimamente reperibili ad
esempio presso l’archivio storico del Comune di
Trieste ed altre fonti). L’impresa è stata ardua
ed ha richiesto un grande sforzo di riflessione,
perché si è dovuto lavorare sul pochissimo,
sulle briciole di documentazione, sulle
deduzioni; ma riteniamo che, comunque ne sia
valsa la pena.
I “42 GIORNI” IN COMUNE.
Presso l’archivio comunale di Trieste la
documentazione dell’attività svolta in quei 42
giorni in cui l’amministrazione comunale
continuò a funzionare regolarmente e con lo
stesso personale (tranne qualche eccezione) che
aveva servito sotto l’amministrazione nazista
(nessuna epurazione sommaria e nessun
infoibamento di quel personale!) è semplicemente
scomparsa. Quando l’esercito jugoslavo abbandonò
la città, il 12 giugno 1945 per fare posto agli
angloamericani, forse asportò tutto il carteggio
prodotto. La cosa ci dispiace, anche perché
indica uno stato di inizio di guerra fredda che
si manifestava con evidenza. Quelle carte, però,
ne siamo convinti, se fossero state lasciate,
oggi giocherebbero, e molto, a favore
dell’amministrazione jugoslava, che tanto, in
tutti i modi, tentò di assicurare una normalità
alla popolazione di questa città.
La loro mancanza consente di parlare di terrore,
disordine, arbitrio e così via, ma abbiamo
motivo di ritenere che non fu esattamente così.
Se facciamo riferimento ai “diari” di de
Henriquez, quanto si legge nel diario n. 45 è
estremamente chiaro: l’esercito jugoslavo,
secondo il “professore”, aveva l’ordine preciso
di usare moderazione e suo compito fu anche
quello di impedire che a livello locale le
inevitabili vendette diventassero eccessive. Di
quella documentazione però sono rimaste davvero
solo briciole; per ricostruire a livello
documentale qualcosa bisogna usare il metodo
deduttivo, partendo, ad esempio dall’amplissima
documentazione che il governo militare alleato
ha invece lasciato.
I “DANNI”.
Il 17/6/45 il governatore militare
angloamericano di Trieste che gestiva la città
in assenza di un’amministrazione civile che gli
alleati (contrariamente a quanto avevano fatto
sia i germanici che gli jugoslavi), tardarono
molto ad installare ed autorizzarono solo a
settembre inoltrato del 1945 emetteva una
delibera, la n. 16 UAC, che è integralmente
riportata nel registro delle delibere che in
quel tormentato 1945 documenta gli atti
amministrativi in città di ben quattro gestioni:
la filotedesca, la jugoslava, la militare
alleata ed infine la nuova amministrazione
civile cittadina. Argomento di questa specifica
delibera è la regolazione degli ammanchi
accertati dopo lo sgombero delle truppe
jugoslave dal palazzo municipale. Nei primissimi
giorni di maggio, infatti, sia i partigiani sia
l’Armata jugoslava occuparono gli uffici
comunali paralizzando inevitabilmente l’attività
degli stessi, come del resto è ovvio che accada
in una situazione di occupazione militare. La
cosa però durò solo qualche giorno, dopo di che
gli uffici ripresero a funzionare regolarmente
con gli stessi dirigenti e lo stesso personale
che aveva operato sotto l’amministrazione
germanica. Fatti i conti di quanto mancava
perché asportato dalle truppe jugoslave che si
erano ritirate in seguito agli accordi
raggiunti, la somma complessiva è calcolata in
Lire 1.102,50. Se si tiene conto che all’epoca
lo stipendio di un dirigente comunale superava,
e di parecchio, le duemila lire mensili, se ne
trae, dunque, la conclusione che i “danni”
arrecati all’amministrazione comunale da coloro
che avevano liberato la città dai nazisti e dai
loro alleati triestini, con eccezionale
contributo di sangue versato, ammontava alla
metà dello stipendio mensile di un singolo
funzionario. L’affitto che Pagnini pagava per
l’ufficio del Deutsche Berater (cioè il
consulente tedesco, insediato a fianco di
ciascun vertice dell’amministrazione, strumento
diretto el Supremo commissario del Reich) al
Tergesteo era di lunga superiore alle tremila
lire. Dunque, se ne trae l’inevitabile
conclusione che le truppe jugoslave non
effettuarono alcun saccheggio della proprietà
pubblica della città. De Henriquez aveva
pertanto ragione ad esprimersi in tal modo nei
propri diari. Se vogliamo soltanto fare un
paragone tratto dai diari di de Henriquez,
vediamo che altrove ad opera di altri
“liberatori” non fu sempre così: ad esempio,
dopo la liberazione di Macerata, dove si erano
acquartierate truppe polacche, la popolazione
dovette presto chiedere l’allontanamento di quei
soldati perché rissosi, violenti, ubriaconi,
attaccabrighe e soprattutto ladri e
saccheggiatori. Sono questi paragoni che a
nostro parere andrebbero fatti.
AMMINISTRAZIONE.
Il 13 giugno 1945 l’amministrazione alleata
acquisiva a protocollo una lunga e dettagliata
relazione sulla situazione dell’Acegat (Azienda
Comunale Elettricità, Gas, Acqua e Trasporti),
la quale ovviamente era stata preparata e stesa
dall’amministrazione jugoslava per se stessa,
non potendo certo conoscere in anticipo i
funzionari dell’Acegat la data di partenza delle
truppe jugoslave e la data del cambio di
amministrazione. È un documento molto analitico
e corposo che fa il punto organico, operativo e
gestionale di quell’importante settore della
vita cittadina: 5.537 impiegati, 1.768 operai e
20 milioni di deficit annuo che si conclude con
una richiesta: un contributo straordinario di
almeno 10 milioni per consentire alla società di
continuare ad operare al minimo di efficienza. E
ci sembra una richiesta che si fa non certo nei
confronti di nemici o di occupanti che
terrorizzano ma verso dirigenti cui ci si
rivolge con la fiducia che essi possano
risolvere un problema serio. Anche questi
elementi riteniamo, vanno presi in
considerazione così come vanno prese in
considerazione le due lettere interne (le due
uniche rimaste presso gli atti della segreteria
generale del comune) con cui gli uffici comunali
si danno comunicazione che venga informato il
pubblico di cambio di locali aperti al pubblico
disposti dall’autorità militare. Il tutto nella
più normale prassi burocratica, allora come
sempre.
LA CRONACA DELLA CITTÀ.
Anche se le carte ufficiali dei 42 giorni sono
state portate via dall’esercito jugoslavo il 12
giugno 1945, rimane però la cronaca, abbastanza
dettagliata, di quel periodo, così come è
riportata dal quotidiano dell’epoca della città:
“Il nostro avvenire” (costo: 1 lira). Iniziò le
pubblicazioni il 4 maggio 1945, appena liberata
la città e le cessò l’8 giugno, alla vigilia del
ritiro, concordato con gli alleati, delle truppe
jugoslave da Trieste. Sul primo numero, accanto
ad una foto in prima pagina del Maresciallo Tito
in divisa, sono indicati, anche i primi quattro
ordini emessi dalla nuova autorità che viene
installata in città, a firma congiunta del
Commissario politico Štoka e del Comandante
militare, maggior generale Cerni. Si danno
direttive sul coprifuoco, sulla consegna delle
armi, la divisione della città in quattro
settori, l’obbligo per i soldati tedeschi di
arrendersi e così via. Al numero quattro va data
precisa disposizione a tutti gli impiegati ed
addetti civili di presentarsi al lavoro e di far
continuare la vita della città nella più
possibile normalità.
Il giornale riporta molte notizie di cronaca
internazionale e molte notizie di cronaca
italiana, politica e non, nonché, ovviamente, la
puntuale comunicazione di quanto avveniva in
città. Il primo organo della società civile di
cui si riporta un comunicato, è il Comitato per
la gioventù antifascista, ma ben presto molte
altre categorie di cittadini costituiscono le
loro associazioni. I fatti luttuosi del 5
maggio, in cui erano avvenute manifestazioni
antijugoslave, inducono l’autorità militare a
vietare le manifestazioni di odio etnico, mentre
viene pubblicato il documento in italiano e
tedesco, trovato in tasca ad uno dei feriti,
Mascia Augusto, da cui risulta che lo stesso,
con il grado di sottotenente, aveva combattuto a
fianco della truppe naziste. In seguito a ciò,
in un editoriale del 6 maggio, il giornale si
sente il dovere di puntualizzare: sacri sono
l’amore per la propria lingua materna, il culto
per la memoria degli avi, lo studio del pensiero
antico e recente dei propri connazionali.
L’8 maggio viene data notizia della costituzione
della Commissione mista italo-slovena per
l’annona ed il giorno 9 la municipalità
triestina riceve la visita del presidente del
consiglio del governo della Slovenia inserita
nell’Unione jugoslava. Vengono anche costituiti
ufficialmente i Sindacati unici per le varie
categorie di lavoratori.
Il 12 maggio entra il funzione il CEAIS
(Comitato esecutivo antifascista italo-sloveno),
con otto membri italiani e cinque sloveni, a cui
l’autorità militare cede i poteri della
municipalità, con una rapidità di tempi
obiettivamente ammirevole. Sono bastati solo 12
giorni dalla fine degli eventi bellici per
ripristinare l’amministrazione civile. Gli
angloamericani impiegheranno alcuni mesi.
Del CEAIS fanno parte otto fra partiti ed
associazioni, mentre il PSI preferisce rimanere,
nello stesso, come osservatore. Intanto molti
sono i segnali del ritorno alla normalità in
tutti i settori della vita: si dà conto delle
modalità di distribuzione del latte a Muggia, e
sul giornale ricompare, accanto ai necrologi a
pagamento, anche la pubblicità.
Si crea una commissione tecnica per l’attività
industriale e si aboliscono con regolare
ordinanza, le leggi fasciste sulla razza; si
pubblicano i nuovi orari dei programmi radio e
si svolge una partita di calcio tra giovani
triestini e soldati scozzesi.
Il comitato regionale di liberazione tiene a
Trieste la sua prima seduta plenaria, mentre,
progressivamente, il coprifuoco che il 1° maggio
era stato fissato alle ore 18, viene spostato,
in poche settimane, alla mezzanotte. Il 18
maggio a tutta pagina viene data notizia della
tenuta assemblea della Consulta cittadina e si
regola il commercio di vari prodotti: patate,
olii, latte, combustibile, sigarette, vini. Il
21 maggio riapre il teatro lirico con la
“Carmen”, seguita subito dal “Rigoletto” e poi
dalla “Lucia di Lammermoor”, mentre il 24 maggio
gli industriali triestini vanno in delegazione a
Lubiana. Si ha tempo, in Comune, anche di
festeggiare il genetliaco di Tito.
Il 25 maggio, in un edificio di fronte alla
Villa Segrè (dove aveva sede il Comando del II
settore cittadino), sede di una caserma di
garibaldini, scoppia una bomba con morti e
feriti. È il nuovo clima, creato
dall’atteggiamento antislavo assunto dal
generale Alexander, a cui il governo jugoslavo
replica puntualmente. Ma ormai appare sempre più
chiaro che la volontà degli alleati, nel
silenzio di Stalin è perché Tito si ritiri in là
di qualche chilometro e lasci la città.
L’8 giugno il giornale, con una nota di congedo
piena di lirismo e di dignità, cessa le
pubblicazioni.
1) IL COLONNELLO PESCATORE
Tra le “vittime” del tutto sconosciute della
pregiudiziale anticomunista ed antislava di
Trieste, vi è, nel 1946, anche il colonnello
Pescatore. Chi era? Di lui parla più volte de
Henriquez nei suoi diari e lo fa sempre con
molta simpatia e solidarietà, dato che cercò
anche di aiutarlo nelle sue assurde e
paradossali vicende. Il suddetto colonnello era
un ufficiale di amministrazione che, durante
l’occupazione tedesca della città, aveva
prestato servizio presso il Distretto militare,
alle dipendenze del generale collaborazionista
Esposito. Uno di quelli di Salò, dunque. Il 1°
maggio, all’arrivo degli Jugoslavi, mentre tutti
o quasi fuggivano e si sbandavano, egli si pose
un problema, innanzitutto di coscienza. Il suo
ufficio aveva, tra l’altro, il compito di
provvedere a preparare le pratiche mensili per
il pagamento delle pensioni di anzianità dei
militari in congedo, alle indennità di sussidio
per le vedove e gli orfani di guerra. Quale
sarebbe stato il destino di tutti costoro se
anche i suoi dipendenti se ne fossero andati?
Convocò gli uomini e tenne loro questo discorso:
non abbiamo commesso, noi dell’amministrazione,
reati e crimini durante il periodo nazista, noi
rimaniamo qui per svolgere il nostro compito di
sempre presso il Distretto militare, per non
lasciare morire di fame i vecchi, gli orfani e
le vedove che vivevano dei sussidi loro erogati.
Tra l’altro, allora, nessuno poteva
assolutamente prevedere che il periodo di
gestione jugoslava del potere a Trieste sarebbe
stato così breve.
Rimasero 18 militari alle sue dipendenze. Il
loro colleghi jugoslavi capirono il problema e
li lasciarono al loro posto con un ufficiale di
collegamento del IX Korpus presso il loro
ufficio, come è normale che accada in simili
casi. Nessuno chiese loro conto dei precedenti
collaborazionisti, nessuno li “infoibò” o
“deportò”. Quando giunsero gli angloamericani,
essi continuarono ancora a lavorare presso il
Distretto, così come avevano fatto con i
germanici, e poi con gli jugoslavi, in base alle
leggi internazionali di guerra; ma le
associazioni nazionalistiche che proliferavano
in città foraggiate dal governo di Roma, e che
nulla avevano avuto da ridire a proposito di
italianità allorché questi soldati avevano
operato alle dipendenze del Gauleiter nazista
Rainer, ora si dichiararono scandalizzati e
protestarono presso gli alleati: come si poteva
lasciare il Distretto in mano a chi aveva
“lordato la divisa” collaborando con i “titini”?
La cosa durò fino al marzo 1946, con attacchi
subdoli e velenosi, fino a che la polizia
militare alleata non arrestò il colonnello ed i
18 dipendenti. Perché? Per avere collaborato con
i “titini”? Nossignore, naturalmente, e del
resto la cosa sarebbe stata giuridicamente,
oltre che politicamente, molto problematica da
proporsi, ma per la loro attività prestata sotto
l’autorità tedesca! Fu, ovviamente, una scusa
volgare posta in essere per tacitare i
neo-fascisti e per alimentare a livello
subliminale, la nascente guerra fredda. Fu così
che il colonnello ed i suoi uomini furono
internati in un campo di rieducazione per
fascisti fanatici in Toscana, con grave rischio
per la loro stessa incolumità fisica; i fascisti
autentici ivi detenuti, infatti, presero subito
le distanze da questi “filo-comunisti” e li
emarginarono. I militari furono comunque ben
presto liberati e chiamati a Roma presso il
Ministero, dove fu loro fatto questo discorso:
nei loro confronti non veniva rivolta alcuna
accusa, ma, dati i trascorsi “titini”, per
motivi di opportunità politica essi sarebbero
rimasti in servizio fino al limite di età a
stipendio pieno, ma con il divieto di indossare
la divisa e di frequentare le caserme.
Ognuno poté scegliersi un distretto militare di
gradimento e qui furono trasferiti. Quasi tutti
i sottoposti di Pescatore furono ben lieti di
questa insperata fortuna che era loro capitata,
ma il colonnello, che aveva altre aspirazioni ed
altri principi etici, rimase molto male per
questa ingiustizia che pose anticipatamente fine
di fatto, se non di diritto, alla sua carriera.
Nei suoi confronti gli angloamericani si
comportarono in modo molto peggiore degli
jugoslavi, che avevano invece rispettato la
lealtà della sua scelta.
2) I SOLDI DEI NAZISTI.
Quando il 1° maggio 1945 le truppe jugoslave
liberarono la città di Trieste dai nazisti,
delle stesse facevano parte numerosi triestini,
sia di lingua slovena, sia di lingua italiana.
Uno di questi “reduci”, vissuto in città fino a
non molti anni fa raccontava questo aneddoto:
dopo la resa dei tedeschi egli fu tra coloro che
entrarono nel palazzo del governatorato nazista,
l’attuale palazzo di giustizia. Trovarono tra
l’altro grossi rotoli di banconote italiane, che
i tedeschi avevano abbandonato. Erano fatti in
carta filigranata, quindi, da questo punto di
vista, perfettamente “legali”, ma non
provenivano dall’istituto di emissione: i
tedeschi le stampavano “in proprio” con
materiale autentico, e le distribuivano con
larghezza ai loro reparti in Italia, i quali non
avevano, così facendo, alcun problema a pagare
quello che acquistavano. La cosa trova conferma
anche da altre testimonianze triestine. Le
autorità militari jugoslave fecero
immediatamente bruciare quelle banconote, e la
cosa dispiacque molto ai soldati che le avevano
trovate; il nostro, in particolare, ancora negli
anni recenti, si innervosiva contro i suoi
superiori nel ricordare quello “scempio”: ma
come, erano soldi “buoni”, gli stessi che
usavano i triestini, e loro li bruciavano? È una
cosa che al vecchio triestino che aveva
combattuto con Tito, non è mai andata giù, che
non è mai riuscito a capire, fino alla fine.
Omettiamo il nome di questo testimone per
rispettare la sua volontà di non essere
collegato a questa vicenda col proprio nome.
3) IL COMITATO ED IL CONSIGLIO.
Dal 1° maggio 1945, con la città controllata
dalle truppe jugoslave, si costituì presso
l’Amministrazione comunale di Trieste prima un
Comitato esecutivo e poi un Consiglio di
Liberazione, che svolsero l’attività
amministrativa. Dunque nessuna soluzione di
continuità, neanche giuridica, con
l’amministrazione precedente da questo punto di
vista. Poiché non esiste nessun alto ufficiale
accessibile che ne chiarisca gli effetti
giuridici, l’esatta composizione, le finalità e
le funzioni, tali organi, che pure operarono al
posto della vecchia giunta collaborazionista di
Pagnini, rimangono indefiniti, quasi fossero
semplici situazioni di fatto. Si trattava invece
della legittima autorità civica dell’epoca.
Durante i 42 giorni, tali organismi si riunirono
sette volte ed emanarono 21 delibere, che
venivano predisposte dai funzionari responsabili
dei singoli settori dell’amministrazione
comunale, tutti confermati nei loro incarichi
(neanche questi, dunque, “infoibati” o
deportati) e firmate dal presidente del Comitato
esecutivo o del Consiglio di Liberazione. Le
delibere stesse diventavano immediatamente
esecutive in mancanza di organi superiori o di
controllo, che normalmente avallano le stesse in
situazioni di non eccezionalità.
La stessa cosa accadrà anche dopo il 12 giugno
con l’amministrazione militare alleata
angloamericana.
La prima delibera porta la data del 17 maggio ed
ha per oggetto: “Revoca della licenza comunale
del servizio di autovettura di piazza a Loy
Mauro, ed assegnazione della stessa alla vedova
Loy Maria”.
L’ultima delle delibere “titine”, invece, la n.
21, tratta della pensione vedovile assegnata a
Zorzini Antonia. Tutte le altre avevano per
oggetto argomenti della più assoluta normalità:
pensioni, loculi cimiteriali, sgravi d’imposta,
compensi a dipendenti e così via. Firmatari
delle suddette delibere furono prima Štoka e poi
Rudi Ursič, facenti funzioni di sindaco in
quella Amministrazione provvisoria. Ma non solo:
poiché il podestà Pagnini aveva ritenuto di
dover deliberare con ritmo frenetico fino al 29
aprile, mentre tutto attorno crollava, il
presidente Štoka ritenne di dovere controfirmare
e rendere così esecutive decine di delibere che
ancora erano in sospeso, e così fu assicurata
per i cittadini la continuità della gestione
amministrativa dal periodo nazista a quello
democratico. Una continuità che un fanatismo
cieco si ostina inutilmente a negare. Di tutto
questo aspetto di normalità dei 42 giorni
“titini” infatti, a Trieste nessuno parla, come
se vi fosse stato, in città, un regime di
terrore totale. Ciò non risulta affatto dalla
documentazione ufficiale rimasta, purché la si
voglia esaminare con obiettività.
ARRIVANO I NOSTRI.
Non avevano certo gli stivali a speroni ed i
cappellacci da cow boys, ma l’essenziale c’era,
e cioè il senso di arroganza, il disprezzo verso
gli altri, tutto ciò insomma che ha fatto odiare
da tutti gli altri popoli prima gli inglesi e
poi i loro eredi statunitensi.
Proviamo a vedere infatti cosa accadde
esattamente il 12 giugno, quando gli uomini di
Alexander, cioè del colonnello Bowman,
sostituirono con un regolare passaggio di
consegne fra alleati (anche qui tutto nella
norma dunque), le truppe jugoslave.
Il primo documento della nuova amministrazione
esclusivamente militare alleata (ribadiamo qui
che, contrariamente a quanto avevano fatto a
Trieste i germanici prima e gli jugoslavi poi, i
quali subito avevano creato un potere civile, la
municipalità civile cittadina fu, dagli
angloamericani, autorizzata solo a settembre
inoltrato) il primo documento alleato dunque fu
il proclama n. 1 a firma Alexander, il generale
cioè che sollevava in Africa le risate e
l’ironia di Churchill per la sua boria e per il
suo esagerato esibizionismo. È uno di quei
documenti tronfi ed arroganti con i quali i
militari inglesi (ma non hanno davvero
l’esclusiva in questo campo!) sanno rendersi da
sempre altamente antipatici. Dopo aver
dichiarato di assumere tutto il potere nella
città liberata dai nazisti (viene quindi del
tutto omessa la parte riguardante l’entrata in
città delle truppe jugoslave!) Alexander si
esprime con estrema chiarezza nei confronti dei
cittadini di Trieste. In sostanza ultima ecco
qual è il messaggio che lancia agli stessi: qui
comandiamo noi, ed intendiamo esercitare tutto
il potere nella maniera più totale come si
conviene ad un esercito vincitore ed occupante.
Voi dovete fare quello che vi ordiniamo e senza
discutere, altrimenti ne pagherete le
conseguenze davanti ai Tribunali militari
alleati: infatti con questo proclama venivano
istituiti anche i Tribunali militari alleati. A
capo del Comune fu posto un ufficiale inglese, a
cui i capi ufficio dovevano rendere conto e che
doveva avallare tutti gli atti affinché
divenissero esecutivi.
Veniva poi elencata una lunga serie di
comportamenti illegali di competenza delle Corti
militari alleate di cui sopra: proviamo ora a
vederne qualcuno in sintesi, e tra i più
significativi tra la numerosissima casistica che
veniva ipotizzata. Il comma 21 prevedeva la
Corte marziale con possibilità anche di condanna
a morte per “chiunque inciti all’insurrezione
contro l’autorità militare occupante”. Ci
chiediamo qui cosa dunque avrebbero fatto gli
angloamericani se i triestini avessero inscenato
contro di loro manifestazioni ostili del tipo di
quella che fu posta in essere contro l’autorità
jugoslava il 5 maggio, non appena la città era
stata liberata. Conviene ricordare a questo
proposito, che il 5 maggio la vicinissima
Slovenia era ancora in gran parte occupata da
truppe tedesche in armi e in guerra contro gli
jugoslavi: si poteva in alcun modo escludersi
che costoro, nel ripiegare verso il confine
austriaco, decidessero di dirigersi ancora su
Trieste? La guerra era ancora in corso e
combattimenti si svolgevano ancora in città. A
voler guardare le cose in maniera assolutamente
obiettiva, la repressione jugoslava, inevitabile
in quella circostanza, non fu affatto eccessiva.
Ricordiamo inoltre che durante i 42 giorni operò
in città il IV CVL, costituito da elementi della
ex Brigata Venezia Giulia riorganizzatasi
proprio in funzione antijugoslava: esso operò
con volantini, scritte murali, trasmissioni
radio e varie missioni, anche fuori Trieste,
incitanti i triestini alla ribellione; ma furono
anche compiuti atti ostili concreti, come
attentati dinamitardi e atti di intimidazione,
contro i cittadini che operavano con la nuova e
legittima autorità civile, insediata da chi
aveva liberato la città dai tedeschi (atti
questi rivendicati dagli stessi “diari” del CVL
clandestino dei 42 giorni, sull’attività del
quale vi rimandiamo al dossier “Luci ed ombre
del CLN triestino in questo sito).
Il contenuto del comma 21 della legge penale di
Alexander, comunque avrebbe autorizzato
pienamente ogni repressione militare fino alle
condanne a morte (che non vi furono) per ogni
comportamento simile a quello dei manifestanti
del 5 maggio.
Ciò che fecero le truppe jugoslave nella
circostanza avrebbe quindi dovuto avere il
totale avallo di Alexander. Il comma 30
prevedeva la corte marziale, per “chiunque
produca o diffonda materiali irriguardosi verso
le truppe alleate”. Cosa dunque dire della
scritte antijugoslave e dei volantini che furono
diffusi in tutti i 42 giorni?
Il comma 31 poi colpisce davanti agli stessi
tribunali chiunque “pronunci discorsi e parole
ostili contro gli occupanti” mentre il 33 vieta,
sotto gravissime pene, “ogni manifestazione non
autorizzata di qualsiasi genere”.
Ma non basta: il comma 38 vieta che si spargano
“faziosità per allarmare la popolazione”. Quante
voci, risultanti poi artificiosamente false,
furono spese ad arte contro gli jugoslavi
durante i 42 giorni, e poi anche sotto
l’amministrazione angloamericana? La notizia
falsa dell’uccisione ed infoibamento di militari
neozelandesi continua ancora oggi,
pervicacemente, benché lo stesso governo
neozelandese l’abbia ufficialmente e con
documento scritto e reso pubblico, dichiarata
priva di ogni fondamento, come testimonia una
lettera pubblicata sul periodico di Cividale
“Novi Matajur” del 25/4/96).
Su questi argomenti i diari di Diego de
Henriquez riportano un accurato florilegio al di
là di ogni dubbio, e con ampio dettaglio, anche
se nessuno storico ufficiale né alcun
opinionista di regime ne tiene conto.
Il comma 42 poi vieta che si disobbedisca in
qualsiasi modo a qualsiasi soldato alleato ed il
comma 43 vieta ogni forma anche indiretta di
fascismo (ma senza ottenere, a Trieste, grande
risultato, dato che le organizzazioni
neofasciste armate qui erano pagate direttamente
dal governo di Roma).
Infine, per concludere, il comma 45 parla di
qualsiasi altro atto, non previsto dai
precedenti commi, che comunque possa danneggiare
il buon ordine della vita nel territorio
occupato; una particolare norma giuridica
“aperta” dunque, che con un po’ di buona volontà
avrebbe potuto mandare nelle galere militari
triestine qualsiasi cittadino: ubriachi che
schiamazzano, prostitute, ragazzi che
schiamazzano, e così via.
Il 14 giugno furono sciolti tutti i corpi
militari e di polizia, anche la Difesa popolare.
CONCLUSIONE.
Vogliamo ora, al termine di questo discorso,
provare a trarre delle conclusioni circa il
comportamento realmente tenuto dalle autorità
jugoslave durante il periodo dei 42 giorni a
Trieste, partendo da dati di fatto e non da
pregiudizi e preconcetti propagandistici utili
al clima di “guerra fredda”, provando a
ragionare, documenti alla mano, e non ad inveire
o recriminare in base ad animosità irrazionali.
Appare quindi chiaro come, in precedenza, sia
stata posta in essere verso le popolazioni slave
del confine italiano un’opera addirittura feroce
di persecuzione e di snazionalizzazione forzata,
che risale all’epoca pre-fascista. Non mancano
in proposito documenti e pubblicazioni
significative, un breve elenco delle quali
pubblichiamo in Appendice a questo scritto.
Se si guarda in progressione temporale la carta
geografica di questa regione, si nota come dal
1866 al 1945 sia stato il confine italiano a
spingersi verso est in maniera abnorme, fino ad
includere l’assurda e paradossale “provincia di
Lubiana”, occupata senza dichiarazione di
guerra, e non il confine jugoslavo a spingersi
ad ovest. È difficile, dunque, in base a questi
elementi parlare di tendenza all’espansionismo
slavo; è inevitabile invece, se si vuole essere
obiettivi, parlare di espansionismo italiano in
funzione anti-slava verso est, il che ha
provocato una reazione concretizzatasi, nel
1945, nella pretesa jugoslava di includere,
nello stato socialista che si stava formando,
tutte le zone etnicamente miste ad est
dell’Isonzo.
Si tratta, naturalmente, di drammi storici, di
azioni e reazioni in cui è possibile che i ruoli
si invertano; e così è stato, appunto, in questa
nostra vicenda, ma, a voler tirare ora le somme
dei torti e delle ragioni, è difficile negare
che i torti storici, da parte italiana, siano
stati di entità davvero notevole. Il tutto però,
ribadiamo, va necessariamente contestualizzato
in una realtà storica, se si vuole davvero
comprenderne le cause. Se poi ci limitiamo
all’ultima fase 1940-1945, al periodo cioè della
guerra, vediamo come all’invasione
italo-germanica della Jugoslavia (invasione che
avvenne prima di qualunque “occupazione”
jugoslava di Trieste, e non viceversa!) abbia
seguito, da parte italiana, un’attività
repressiva contro le popolazioni civili slovene
fatta di massacri e deportazioni, che va
obiettivamente inquadrata nella categoria dei
crimini di guerra che oggi il diritto
internazionale ha codificato.
L’Italia però ha protetto i suoi criminali di
guerra: anche di questo parla, e molto, de
Henriquez, nei suoi diari che nessuno storico
vuole ancora prendere in esame. Se azioni di
vendetta e di ritorsione sono state poste in
essere nel 1945, ad opera di singoli
appartenenti alle forze armate jugoslave (cosa
certo molto triste e spiacevole), oltre alle
condanne comminate nei tribunali jugoslavi, non
si può però ignorare che esse sono avvenute solo
dopo le azioni criminali dell’esercito italiano
ordinate dal governo fascista, forse anche come
ritorsione alle stesse, benché non solo come
tali. Per questo riteniamo che l’analisi di
quegli eventi richiederebbe il massimo di
obiettività storica; al contrario essi vengono
invece analizzati con il massimo di animosità
acritica possibile, e finché a far ciò sono
uomini politici che fanno il loro mestiere che
prescinde dalle categorie morali (secondo il
noto giudizio di Benedetto Croce), la cosa è
opinabile ma accettabile. Il problema è quando a
fare questo sono anche storici di professione, i
quali sarebbero invece deontologicamente tenuti
al dubbio critico: in tal caso essi
semplicemente abdicano alla loro funzione
scientifica per tornare alle categorie crociane,
e vanno di conseguenza inseriti nella categoria
del politico e non della scientificità.
Dopo che gli italiani avevano asservito Lubiana
e l’avevano posta sotto occupazione militare,
gli jugoslavi tentarono in modo analogo,
imitandoli (avendo vinto la guerra) di
incorporare e rendere Trieste jugoslava, ma
abbandonarono tale progetto in seguito a
trattative internazionali con pieno rispetto
delle regole della politica estera e della
diplomazia, e ciò nonostante che, per cacciare
via i tedeschi da questa città (dove, secondo de
Henriquez, una buona metà dei triestini aveva in
un modo o nell’altro collaborato con i nazisti)
il “IX Korpus” fosse giunto ad Opicina con gli
organici addirittura dimezzati per la durezza
dei combattimenti. Riteniamo che un minimo di
riconoscenza per quelle perdite andrebbe
concessa da parte di questa città.
Se scendiamo nel concreto, data l’ostilità con
cui parte della popolazione triestina (un’altra
parte numericamente meno consistente era
favorevole agli jugoslavi) accolse gli
jugoslavi, c’è da dire, sicuramente, che atti di
particolare durezza non furono compiuti dagli
stessi, benché comportamenti che gli
angloamericani, come abbiamo visto, definirono
poi “criminali” se rivolti contro di loro,
fossero molto frequenti in città. Non si può
dimenticare, del resto, che si usciva da una
guerra orribile, iniziata dal fascismo (alleato
con i nazisti) nella quale le colpe obiettive
italiane erano molte e molto gravi.
Molto è stato detto e verrà ancora detto contro
quella amministrazione dei 42 giorni, ma, al di
là delle necessità propagandistiche nell’ambito
della “guerra fredda”, se uno storico obiettivo
vorrà scrivere di quel periodo dovrà, secondo
me, concludere che fu una occupazione militare
caratterizzata quindi in tal senso, in cui però
gli elementi di tattica politica prevalsero (si
potrà anche opinare che prevalsero
strumentalmente, ma indubbiamente prevalsero)
sullo spirito di violenza da parte degli
occupanti. Le vendette che vi furono erano,
purtroppo, ampiamente prevedibili, ma bisogna
rilevare che la loro entità non corrisponde
certamente a quanto dichiarato dai propagandisti
antijugoslavi, come la ricerca seria va, alla
fine, scoprendo, e rendendo pubblici i dati
relativi.
La pubblicazione del presente breve studio ha
richiesto la consultazione dei seguenti
documenti:
- atti di segreteria generale ed atti di
gabinetto presso l’Archivio Storico del Comune
di Trieste – 1945 ;
- diari di Diego de Henriquez presso i Musei
civici di Trieste, dal diario 1 al diario 50,
dal diario 64 al diario 66 ed inoltre i diari
73, 172, 174, 195.
L’autore di questo testo è Vincenzo
Cerceo
BIBLIOGRAFIA.
SUI CRIMINI DI GUERRA ITALIANI:
Pietro Brignoli, “Santa Messa per i miei
fucilati”, Longanesi 1973 (riedizione in “Pagine
di storia rimosse”, a cura di Enrico Vigna,
Edizioni Arterigere 2005)
Tone Ferenc, “La provincia italiana di Lubiana”,
IFSML 1994.
Alessandra Kersevan, “Gonars. Un campo di
concentramento fascista”, KappaVu, 2003.
Giuseppe Piemontese, “Ventinove mesi di
occupazione italiana nella provincia di
Lubiana”, Lubiana 1946 (riedizione nel CD-Rom
“La storia non riconosciuta” a cura della
redazione de “La Nuova Alabarda” 2002).
SUL CLN TRIESTINO:
AA.VV., “I cattolici triestini nella
Resistenza”, Del Bianco, 1960.
Roberto Spazzali, “… l’Italia chiamò”, Libreria
Editrice Goriziana 2003.
SUL DOPOGUERRA A TRIESTE E LE “FOIBE”:
AA.VV., “Nazionalismo e neofascismo al confine
orientale”, IRSMLT 1976.
Claudia Cernigoi, “Operazione foibe tra storia e
mito”, Kappavu 2005.
Ennio Maserati, “L’occupazione jugoslava di
Trieste”, Del Bianco 1966.
Roberto Spazzali, “Foibe. Un dibattito ancora
aperto”, ed. Lega Nazionale 1990.
UAIS, “Trieste nella lotta per la democrazia”,
Trieste, 1945 (ristampa a cura della redazione
de “La Nuova Alabarda” 2006).
Vi rimandiamo infine anche all’archivio
dell’Istituto Regionale per la Storia del
Movimento di Liberazione di Trieste (IRSMLT) e
quello della Sezione storica (Odsek za
zgodovino) della Biblioteca nazionale degli
studi (Narodna in Študijska Knjižnica) di
Trieste.
Maggio 2007
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