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Jörg
Becker, Mira Beham
Operation
Balkan
Werbung
für Krieg und Tod
Baden-Baden 2006
(Nomos
Verlag)
130 Seiten -
17,90 Euro -
ISBN 3-8329-1900-7
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«
Operazione Balcani» :
privatizzazione della propaganda e
degli eserciti
di Jörg
Becker,
Mira Beham
(Traduzione
dal
francese di Curzio Bettio di Soccorso
Popolare di Padova)
La nostra griglia di lettura dei
conflitti contemporanei deve essere
attualizzata con l’integrazione di
numerosi attori non- statuali. Lo
studio retrospettivo delle guerre nella
Jugoslavia, ad opera di
Jörg Becker e Mira Beham per la
Deutschen Stiftung
Friedensforschung (Fondazione Tedesca
per le Ricerche sulla Pace),
rende manifesta la privatizzazione della
guerra : la propaganda di
Stato lascia il posto alle «pubbliche
relazioni» affidate a
gabinetti di studi specializzati, e nel
contempo le stesse operazioni
militari sono subappaltate a società di
mercenari.
12 settembre 2007
Dopo la guerra del Kosovo del 1999, che
ha fatto prendere coscienza ad
una larghissima parte dell’opinione
pubblica sul ruolo dei mezzi di
informazione nel corso di una guerra e,
in ordine generale, sul ruolo
della comunicazione in periodi di crisi,
è apparsa una
quantità massiccia di letteratura, in
aumento considerevole e in
continuo sviluppo, che tratta dei media
e della guerra. Sembra che
nelle scienze della comunicazione la
legge non scritta, secondo la
quale ogni guerra porta con sé una crisi
dei media, durante la
qual crisi i produttori delle
informazioni sono portati ad
interrogarsi
sul loro modo di comunicare in merito
alla guerra, per poi passare
subitamente alle contingenze del
momento, traendo pochi insegnamenti,
anzi nessuno, dalla guerra in corso per
la guerra che verrà,
abbia cessato di essere
valida.
L’interesse visibilmente crescente, e
più o meno duraturo,
diretto verso il modo con cui i media
trattano attualmente delle guerre
nasce verosimilmente soprattutto da due
ragioni. In primo luogo, l’11
settembre 2001 e i suoi effetti ci hanno
fatto piombare praticamente in
uno stato di guerra permanente, cosa che
ci induce ad una necessaria
riflessione sui contenuti e sulle forme
della comunicazione riguardanti
la guerra. Secondariamente, la quantità
e la qualità
della comunicazione relativa alla guerra
e alle crisi si modificano ad
una velocità
sorprendente.
Per quel che concerne la ricerca sulla
pace, si manifesta ugualmente su
questo soggetto una sensibilità in
espansione. Nondimeno,
è sorprendente che, in generale, - e non
solamente nella ricerca
sulla pace – due aspetti importanti di
questo problema non giochino che
un ruolo minore. Si tratta di una parte
delle guerre degli anni Novanta
nei Balcani che, a parte la guerra del
Kosovo, non suscitano molto
interesse, benché la guerra della NATO
contro la Jugoslavia sia
stata per molti aspetti il loro
prolungamento, in particolar modo sul
piano dei media [1]. L’altra
questione concerne la misura in cui
la comunicazione relativa alla guerra e
alle crisi è tanto
influenzata dai media, dalle dimensioni
delle relazioni pubbliche. [2].
Propaganda
e
relazioni pubbliche
Chi, nel XXI.esimo secolo, inizia ad
interessarsi di propaganda
troverà di grande utilità iniziare le
sue letture con
l’opera di Harold D. Lasswell. Alla fine
degli anni Venti del secolo
scorso, Lasswell ha pubblicato il suo
libro Propaganda
Technique in the World War I
(Tecniche di propaganda durante la Prima
Guerra Mondiale) [3], un
classico sugli orrori perpetrati da
tutti i belligeranti durante la
Prima Guerra Mondiale. Secondo Lasswell,
la propaganda di guerra ha
quattro obiettivi : fomentare l’odio
contro il nemico, rinforzare i
legami di amicizia fra gli alleati,
consolidare dei modelli di
cooperazione amicale nei rapporti con le
potenze neutre, e
demoralizzare il nemico. Questi
obiettivi della propaganda in tempo di
guerra, fino ad oggigiorno, non sono
affatto cambiati. Nel suo
articolo, « The Theory of Political
Propaganda » (La teoria
della propaganda politica) [4], Lasswell
ha esposto in questo modo la
sua concezione della comunicazione : “Le
strategie della propaganda si
spiegano meglio attraverso le
terminologie di stimulus (azione) e di
reazione. Un produttore di propaganda ha
per compito quello di
moltiplicare gli stimuli più
suscettibili di conseguire lo scopo
prefissato e di riassorbire quelli che
con molta probabilità
possono esercitare degli effetti
indesiderabili.” Più avanti,
Lasswell ha scritto che la propaganda
consiste nella manipolazione di
simboli intesa ad esercitare
un’influenza su comportamenti relativi a
temi controversi. La formazione teorica
dei suoi paradigmi si poggiava
sul fondamento seguente : se gli stimuli
sono stati selezionati in modo
tanto abile da non venire reiterati
molto spesso, possiamo parlare di
comunicazione riuscita e potremo
attenderci una reazione unitaria della
“massa amorfa”.
Le riflessioni di Lasswell si poggiano
sul modello della reazione agli
stimoli, caratteristico delle scienze
sociali dominanti. In quanto
ricerca sulla persuasione, vale a dire
sulla comunicazione che fa in
modo di indurre e di convincere, queste
riflessioni stanno alla base di
tutte le concezioni promosse nella
ricerca attuale degli effetti
pubblicitari, e nel segmento di
operatività delle pubbliche
relazioni. Visto che la nozione positiva
di propaganda è stata
discreditata dal suo utilizzo al tempo
del nazional-socialismo, i
rappresentanti e i fautori delle
pubbliche relazioni se ne sono
distanziati da molto tempo. Sul piano
della definizione, la separazione
della nozione di propaganda da quella di
pubbliche relazioni resta
tuttavia insoddisfacente. Non è più
possibile distinguere
in modo stretto l’« indurre » attraverso
la propaganda dal
« convincere » attraverso le relazioni
pubbliche.
Il tentativo della distinzione
effettuato da Günter Bentele,
titolare della cattedra di Relazioni
Pubbliche (RP)
all’Università di Lipsia, dimostra che
la nuova nozione di RP
non è altro che la modernizzazione della
vecchia nozione di
propaganda : « Da un punto di vista
logico sistematico, e tenuto
conto dell’obiettivo di una teoria di RP
differenziata, una
assimilazione pura e semplice delle
relazioni pubbliche alla propaganda
è troppo semplice. Questa posizione crea
dei problemi, in quanto
deve fare astrazione dalle pesanti
differenze fra la propaganda
nazional-socialista o la propaganda
politica della Repubblica
Democratica della Germania e le
pubbliche relazioni di tipo
occidentale. » [5] Ora, il punto di
vista di Bentele risulta poco
attendibile per due ragioni. Per prima
cosa, egli decanta i meriti di
un modello di totalitarismo discutibile
– in quanto troppo semplice sul
piano delle scienze sociali – e la di
cui dicotomia crea un nemico, che
lascia perplessi : solo gli altri fanno
della propaganda, mentre la
propria azione stimola il dibattito e
informa il pubblico.
Secondariamente, il funzionalismo
strutturale di Bentele, sprovvisto di
contenuto, conduce a seri problemi
empirici, dato che palesemente
quello che non deve essere non può
esserlo.
L’impegno
di agenzie
di Pubbliche Relazioni RP nelle guerre
nella ex Jugoslavia
Nel frattempo, è il segreto di
Pulcinella che alcuni governi
hanno incaricato imprese di Pubbliche
Relazioni per abbellire la loro
immagine nei confronti di altri paesi.
In compenso, è poco noto
che era già da molto tempo che governi
molto diversi fra loro
avevano impegnato agenzie in campagne di
Pubbliche Relazioni e che le
avevano pagate per costruire una falsa
immagine del nemico, per
preparare le guerre o per abbellire
l’idea che ci si era fatta su delle
dittature. Nel sistema delle dipendenze
reciproche «
governi/agenzie di RP durante la guerra
», noi abbiamo censito
157 contratti semestrali fra clienti che
avevano fatto parte della ex
Jugoslavia e 31 agenzie di RP diverse,
come pure nuovi particolari,
durante le guerre della ex Jugoslavia
condotte fra il 1991 e il 1992.
Nell’agosto 1991, all’agenzia di RP
Ruder Finn era stato conferito un
mandato da parte del governo Croato, nel
maggio 1992 l’agenzia era
stata incaricata dal governo Bosniaco e
nell’autunno del medesimo anno
dai capi Albanesi del Kosovo. Quindi, la
Ruder Finn è la stessa
e sola agenzia di RP che aveva lavorato
per tre parti belligeranti non
Serbe durante la guerra.
Il lavoro che la Ruder Finn ha
effettuato su ordine di queste tre
entità belligeranti si caratterizza –
fatto piuttosto inusitato
in questa branca di servizi che si
contraddistinguono per una certa
meschinità - per la forte
identificazione con gli obiettivi dei
clienti, e di questo ne da prova molto
bene sia David Finn che James
Harff, entrambi soci nella Ruder Finn.
In una intervista destinata al
documentario per la televisione De
Zaak Miloševic (L’affare Miloševic),
del quale noi disponiamo
dell’esclusiva e di cui sono stati
diffusi solamente alcuni estratti,
Harff dichiara : « In seguito alle
nostre esperienze personali e
professionali, i Balcani stanno nel
nostro sangue, noi abbiamo i
Balcani nel sangue... [...] Il Kosovo ci
ha dato tanta inquietudine.
L’azione condotta nel 1999 da parte
della NATO era con tutta evidenza
appropriata, quantunque un po’ tardiva.
[...] Devo dire che noi abbiamo
stappato lo champagne quando la NATO ha
attaccato nel 1999. » [6]
Le
concezioni della
comunicazione delle agenzie di
Pubbliche Relazioni RP durante le
guerre
Balcaniche
Le agenzie di RP impegnate dalle parti
in conflitto hanno operato,
essenzialmente, attraverso gli elementi
seguenti, che hanno
elaborato nella forma e nel contenuto:
propaganda politica,
attività lobbistiche, comunicazione al
momento delle crisi,
comunicazione attraverso i media,
gestione dell’informazione, gestione
degli affari, affari pubblici (dunque
comunicazione politica),
attività di consulenza e di
spionaggio.
Le agenzie di RP, che hanno lavorato per
clienti non Serbi, hanno
individuato gli obiettivi seguenti delle
loro
attività:
il riconoscimento da parte degli Stati
Uniti dell’indipendenza della
Croazia e della
Slovenia,
la percezione della Slovenia e della
Croazia come Stati progressisti
della stessa natura di quelli
dell’Europa occidentale,
la rappresentazione dei Serbi come
oppressori e
aggressori,
l’equiparazione dei Serbi ai Nazisti,
la formulazione di un programma politico
degli Albanesi del
Kosovo,
la rappresentazione dei Croati, dei
musulmani di Bosnia e degli
Albanesi del Kosovo unicamente come
vittime
innocenti,
il reclutamento di ONG, di scienziati e
di laboratori di strategia
politica per il conseguimento dei propri
obiettivi,
l’intervento degli Stati Uniti negli
avvenimenti dei
Balcani,
la qualifica di “legittima e legale”
alla conquista da parte
dell’esercito Croato della Krajina
occupata dai Serbi,
l’imposizione delle sanzioni da parte
dell’ONU contro la Serbia,
una decisione favorevole, all’epoca
dell’arbitrato relativo alla
città Bosniaca di Brcko,
l’accusa di genocidio formulata contro
la Repubblica Federale di
Jugoslavia davanti alla corte
Internazionale di Giustizia
dell’Aja,
risultati favorevoli alla parte Albanese
derivati dalla Trattativa di
Rambouillet,
la denuncia contro Slobodan Miloševic
depositata presso il Tribunale
Penale Internazionale dell’Aja,
lo stimolo agli investimenti Americani
negli stati che erano succeduti
alla
Jugoslavia,
la secessione del Montenegro.
Le agenzie di RP che lavoravano per
conto di clienti Serbi hanno
individuato gli obiettivi seguenti delle
loro attività:
il miglioramento in generale di
un’immagine negativa,
il miglioramento dell’immagine della
Repubblica Serba di Bosnia,
il reclutamento di ONG, di scienziati e
di laboratori di strategia
politica per il conseguimento dei propri
obiettivi,
lo stimolo agli investimenti Americani
in Serbia,
il miglioramento delle relazioni con gli
Stati Uniti, dopo la
destituzione di Miloševic,
l’abrogazione delle sanzioni
dell’ONU.
Riassumendo, possiamo dire che i clienti
Balcanici desideravano
raggiungere due obiettivi attraverso le
loro attività di RP: in
primo luogo, si trattava di farsi
conoscere dagli ambienti politici,
dalla società e dall’opinione pubblica
degli Stati Uniti, lo
scopo era quello di presentarsi in
maniera positiva, quindi si dava
luogo ad attività diplomatiche;
secondariamente ci si sforzava
di conseguire obiettivi bellici molto
concreti. Spesso, i due aspetti
erano mescolati. « Bad guys » e « good
guys »,
« Cattivi figuri» e « Bei tipi » - ecco
la
semplificazione dei conflitti
armati.
Durante le guerre Balcaniche, i governi
in conflitto hanno potuto
trasformare la loro propaganda in
messaggi credibili grazie alle
agenzie di RP e alle loro numerose vie
di comunicazione. Il risultato
è stata una forte omogeneizzazione
dell’opinione pubblica negli
Stati Uniti ed in generale nelle società
occidentali. Il governo
degli Stati Uniti, Amnesty
International, Human Rights Watch, Freedom
House,
l’Istituto Statunitense per la Pace, la
Fondazione Soros, gli
intellettuali liberali e molti
conservatori, le Nazioni Unite, i
giornalisti, ed inoltre il governo di
Zagabria, il governo di Sarajevo,
la classe dirigente Albanese del Kosovo,
l’UCK (l’Esercito di
Liberazione del Kosovo) – tutti, con
differenze minime, hanno fornito
la medesima interpretazione delle guerre
nei Balcani. In una versione
stringata, leggermente spigolosa, questa
interpretazione così si
può riassumere : i Serbi hanno
soggiaciuto ad una follia
nazionalista e volevano costruire una
Grande Serbia. Slobodan
Miloševic, un comunista incorreggibile,
si è imposto come loro
dirigente ed ha attaccato con l’esercito
popolare Jugoslavo le
repubbliche e i popoli non Serbi, e
quindi ha permesso delle violenze
collettive, le epurazioni etniche ed
atti di genocidio; le altre
nazioni dell’ex Jugoslavia – Sloveni,
Croati, Bosniaci, Albanesi,
Macedoni – erano popoli pacifici e
democratici ( i Montenegrini avevano
un’immagine duplice, quando erano
solidali con Belgrado naturalmente
passavano per aggressivi, ma quando
ruppero con Belgrado si sono
trasformati in popolo pacifico). Ci
troviamo esattamente di fronte
all’immagine che le agenzie di RP
avevano propagandato. E questa
immagine è coerente con la propaganda
delle parti in guerra ex
Jugoslave non Serbe.
Pubbliche
Relazioni
e società militari private
Il governo Croato aveva preso a servizio
praticamente in via permanente
dal 1991 al 2002 molte grandi agenzie di
RP che si sono impegnate negli
USA a promuovere i suoi interessi
politici, economici e culturali e che
hanno diffuso un’immagine positiva dello
Stato Croato. Dopo il
riconoscimento coronato da successo
dell’indipendenza della Croazia da
parte degli USA, esisteva ancora un
problema politico-militare
particolarmente critico da risolvere –
la questione dei Serbi della
Krajina. Ed è a questo momento che per
la prima volta si crea
una combinazione comprovata di attività
fra una agenzia di RP e
una società militare privata.
Nel marzo 1993, il gabinetto del
Presidente Croato Franjo Tudjman aveva
assunto l’agenzia di RP Jefferson
Waterman International (Waterman
Associates), e nel settembre 1994 il
governo Croato aveva sottoscritto
un contratto con la società militare
privata Statunitense MPRI
(Military Professional Resources Inc.).
La MPRI è una delle
molte società militari private, tutte
uguali, che realizzano
l’addestramento militare e i relativi
servizi ausiliari associati per
governi stranieri. Secondo un ex
collaboratore di grado superiore dei
servizi segreti, questi programmi
privati di addestramento hanno come
scopo « quello di promuovere gli
obiettivi di politica estera
degli Stati Uniti » e non possono essere
messi in realizzazione
senza il consenso esplicito del
Ministero per gli Affari Esteri degli
USA. A sostegno di questa industria di
guerra privata in piena
fioritura, il governo degli Stati Uniti
può accordare qualsiasi
forma di aiuto militare, non importa in
quali paesi, senza essere
costretto a sollecitare il consenso del
Congresso e senza rendere conto
di questo intervento all’opinione
pubblica. [7].
All’inizio del 1995, undici mesi dopo la
firma sul contratto con la
MPRI, l’esercito Croato aveva scatenato
l’« Operazione Tempesta
» e preso d’assalto in soli quattro
giorni le zone UNPA
nella Krajina tenuta dai
Serbi. Questa era esattamente
l’azione alla quale l’opinione pubblica
degli USA doveva essere
positivamente preparata dalla società di
RP Jefferson Waterman
International. Mentre la MPRI negava di
avere a che fare per qualsiasi
cosa con l’« Operazione Tempesta », gli
esperti
dichiaravano che questo attacco portava
senza ombra di dubbio il
« marchio » degli USA. Non si trattava
solamente del nome
« Operazione Tempesta », che
scientemente aveva preso a
prestito elementi dall’« Operazione
Tempesta del deserto »,
quindi dalla guerra del Golfo del 1991,
ma alcune azioni si erano
svolte in maniera esemplare « come
uscite da un manuale »
dell’esercito degli Stati Uniti.
La MPRI non è stata attiva solamente in
Croazia, e la Croazia
non è stata la sola parte in guerra nei
Balcani ad essersi
servita di una società militare privata:
infatti la MPRI ha
fatto formazione presso l’UCK, in Kosovo
e in Macedonia, e, nello
stesso tempo, era ufficialmente attiva
presso l’esercito della
Repubblica di Macedonia. Quando, nella
primavera del 2001, è
scoppiato un conflitto fra l’esercito
Macedone e l’UCK, e a Arainovo,
ad est di Skopje, l’esercito aveva messo
con le spalle al muro l’UCK,
la Nato interveniva, mettendo a
disposizione 15 bus con aria
condizionata per evacuare i combattenti
Albanesi con le loro armi. Fra
costoro si trovavano 17 istruttori
della MPRI [8].
Riassumendo, possiamo affermare che si
tratta di strutture nelle quali
le attività tipiche delle agenzie di RP,
che si presentano sotto
le vesti di imprese economiche private,
e le attività delle
società militari, che ugualmente si
presentano come imprese
economiche private, sono complementari,
a sostegno di obiettivi
politico-militari delle parti in
conflitto. Dunque, non è
solamente la propaganda di guerra ad
avere una natura privatistica,
innanzitutto è la conduzione della
guerra stessa che è
stata privatizzata.
Jörg
Becker
Mira
Beham
Note :
[1] Alexander S. Neu ha
pubblicato una delle
rare ricerche scientifiche relative alla
comunicazione in materia di
guerra e di crisi nella ex Jugoslavia
dal 1991 al 1995 : Die
Jugoslawien-Kriegsberichterstattung
der « Times » und der « Frankfurter
Allgemeinen
Zeitung ». Ein Vergleich (La
copertura giornalistica della
guerra di Jugoslavia da parte del «
Times » e dalla «
Frankfurter Allgemeinen Zeitung ».
Analisi comparata),
Baden-Baden 2004.
[2] Il presente contributo fa
riferimento ad aspetti importanti del
libro apparso di recente Operation
Balkan. Werbung für Krieg und Tod
(Operazione Balcani.
Propaganda per la guerra e la morte)
(Baden-Baden 2006). Il libro tenta
non solamente di rievocare, ma anche di
mettere insieme due aspetti
trascurati dalla ricerca sulla pace
imperniata sulla comunicazione,
ossia le guerre dei Balcani piuttosto
che la comunicazione relativa
alle guerre e alle crisi. Il libro è
stato redatto nel quadro
del progetto, della durata di un biennio
dal titolo « Die
Informationskriege um den Balkan seit
1991 (Le guerre dell’informazione
a proposito dei Balcani dal 1991), che
noi abbiamo potuto realizzare
grazie al sostegno continuo del
direttore e fondatore della Deutschen
Stiftung Friedensforschung (DSF)
(Fondazione Tedesca per le Ricerche
sulla Pace) , Dieter S. Lutz, nel
frattempo deceduto tragicamente.
[3] Propaganda
Technique in the
World War I, (Tecniche di
Propaganda nella Guerra Mondiale), di
Harold D. Lasswell (Paul Kegan, Londra,
1927). L’opera è stata
riedita nel 1986 dall’università di
Hawaï.
[4] « The Theory of Political Propaganda
», (La teoria
della propaganda politica), di Harold D.
Lasswell, in The American
Political Science Review, XXI.esimo,
1927.
[5] Citazione secondo Public
Relations. Konzepte und Theorien,
di Michael Kunczik, IV
edizione, Colonia 2002, p. 36.
[6] James Harff in De Zaak
Miloševic
(L’Affare Miloševic). Sceneggiatura :
Jos de Putter, Paesi Bassi 2003
(materiale del film, in parte non
pubblicato).
[7] « Privatizing War. How affairs of
state are outsourced to
corporations beyond public control » (La
privatizzazione della
Guerra. Come gli affari di stato vengono
esternalizzati verso imprese,
evitando il controllo pubblico), di Ken
Silverstein, in The Nation, 28
luglio 1997.
[8] « Mazedonien als Opfer
internationaler Ignoranz ? » (La
Macedonia, vittima dell’ignoranza
internazionale ?), Wolf Oschlies, in Blätter
für deutsche und
internationale Politik, (Fogli
per una politica tedesca ed
internazionale), quaderno 8/2001.
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