Le reti del
terrorismo neofascista ancora operative
Gli
uomini neri
La
Bolivia-Croazia-Italia connection
Quando è giunta la notizia che le forze
di sicurezza boliviane avevano smantellato
una rete terroristica che intendeva uccidere
il presidente Evo Morales e il vice
presidente Garcia Linera, l’attenzione è
andata subito sulla composizione di questa
rete. In essa vi compaiono mercenari e
neofascisti europei o boliviani di origine
croata. Una ricerca più approfondita su
quello che appare il “capo” del gruppo
liquidato in un hotel di Santa Cruz – da
anni regione praticamente in mano alla
destra più violenta e reazionaria – porta
direttamente a incrociare i dati con i
gruppi mercenari e neofascisti che hanno
combattuto al fianco dei gruppi fascisti
croati nella guerra di secessione che
ha insanguinato la Jugoslavia negli anni
’90.
Questi due fattori così lontani
geograficamente- Bolivia e Croazia – hanno
visualizzato un denominatore comune che
coinvolge anche l’Italia e le reti
neofasciste che hanno animato la “guerra a
bassa intensità” anticomunista dagli anni
Sessanta in poi e che oggi godono di
posizioni di potere e di risorse assicurate
dal nuovo quadro politico italiano. Le forze
antifasciste in Italia non possono dunque
rimanere indifferenti di fronte alla gravità
dei fatti rivelati da quanto accade in
Bolivia. Non solo per la simpatia e la
solidarietà verso il primo presidente
indigeno nella storia recente dell’America
Latina e della Bolivia o per il processo
democratico e popolare che la nuova
Costituzione boliviana sta realizzando.
Quanto accaduto in Bolivia concretizza agli
occhi dell’opinione pubblica l’esistenza
ancora attiva di quella rete terroristica
neofascista che ha insanguinato con
attentati e stragi anche la storia recente
dell’Italia e che ha trovato storicamente
rifugio e complicità proprio negli ambienti
della destra boliviana che oggi si oppone
violentemente al cambiamento democratico in
corso in Bolivia.
Chi sono gli
uomini neri in Bolivia
La storia di Eduardo Rosza Flores, uno
dei tre mercenari uccisi dalle forze di
sicurezza boliviane dopo un violentissimo
scontro a fuoco, è rivelatrice di scenari
inquietanti che collegano i gruppi eversivi
in America Latina con reti analoghe anche in
Europa.
Eduardo Rosza Flores nasce in Bolivia nel
’60 da padre ebreo comunista ungherese e
madre cattolica boliviana, dopo un passaggio
in Cile e uno in Svezia, a 14 anni ritorna
in Ungheria. A Budapest finisce gli studi e
si arruola. Si specializza militarmente in
Unione Sovietica, ma dopo meno di due anni
si dimette. «Niente di più noioso che fare
il soldato in tempo di pace», spiegherà.
Vivrà per un periodo in Israele «alla
ricerca delle radici».
Nel ’91 Flores era corrispondente per il
quotidiano spagnolo Vanguardia e
il
giornale di Barcellona lo mandò a seguire
gli albori del conflitto yugoslavo. Osservò
due cose. «Che mi trovavo meglio con i
soldati croati che con i miei colleghi» e
che «i serbi sparavano deliberatamente sui
giornalisti».Si licenziò con un telegramma.
E’ entrato a far parte della Guardia
Nazionale Croata, diventandone il primo
volontario estero. Qualche tempo dopo gli fu
affidata la formazione della Prima Unità
Internazionale dell’esercito croato. Ottenne
il grado di colonnello e per ordine
personale del presidente croato Tujman è
diventato cittadino della Croazia.
Rosza Flores organizzò la fuga degli
ebrei albanesi da un paese ormai in
disfacimento. Operazione di certo gradita al
Mossad. Più di recente, fu avvistato in
Iraq; si presume col ‘gradimento’ della Cia.
Di passaporti ne aveva diversi
Eduardo Rózsa Flores ha scritto libri, ed ha
girato un film sulla epica lotta contro i
"serbi aggressori" (il film si intitola
“Chico”). Ma Rózsa è stato silenzioso su
alcuni episodi della sua biografia. E’ noto
che egli avesse qualcosa a che fare con
l'uccisione di due giornalisti - lo svizzero
Wurtenberg e il britannico Jenks. Vi erano
prove serie, ma "la guerra ha cancellato
tutto"."Nel ’94, trascorsi un paio di giorni
con lui - racconta sul Resto del Carlino il
giornalista italiano Andrea Cangini - e dopo
l’uscita dell’intervista, fummo abbordati da
un fotoreporter. Ci mise in guardia.
Considerava Flores responsabile
dell’assassinio di due giornalisti che
indagavano su un traffico d’armi".
Prima di partire per la Bolivia,
intervistato da un giornalista della TV di
stato ungherese MTV, Rosza Flores ha detto:
"Siamo pronti a dichiarare l'indipendenza
della (più riottosa provincia autonoma
boliviana) e alla creazione di un nuovo
stato". (1)
Gli altri mercenari uccisi o arrestati hanno
una storia meno “clamorosa” ma altrettanto
indicativa.
I due mercenari morti insieme a
Eduardo Laszlo Flores erano Michael Dweyer
(irlandese) e Arpad Magyarosi
(ungherese-rumeno). I due arrestati sono
Tádic Astorga di origini croate e un altro
ungherese-rumeno Elöd Tóásó.
Il giornale Irish Times del 25 aprile,
riferisce che l’irlandese Michael Martin
Dweyer era arrivato in Bolivia in compagnia
di un cittadino rumeno di origini ungheresi.
Secondo il Sunday Times costui sarebbe Tibor
Revesz che ha soggiornato all’Hotel Asturia
di Santa Cruz dal 9 dicembre al 10 gennaio.
L’ungherese Revesz è il fondatore nel 2002
della Loggia Secuiesti (LS), una
organizzazione paramilitare che punta alla
secessione della regione di Szekely Landa
dalla Romania. Nel suo statuto è scritto che
“LS è una organizzazione sovrana destinata a
formare milizie per difendere i cittadini e
non per servire propositi politici che si
finanzia con risorse private”. Uno dei
fondatori di questa organizzazione è proprio
Arpad Magyarosi rimasto ucciso nel blitz
della polizia boliviana. Revesz e Dweyer si
sono conosciuti come mercenari quando
lavoravano nella stessa compagnia la Risk
Management Services (I-RMS), a protezione di
un gasdotto in Irlanda fortemente contestato
dalla popolazione locale e dai gruppi
ecologisti.
Grazie a un uomo della sicurezza boliviana
infiltratosi nella cellula, sono stati
individuati altri due componenti della
stessa: Gueder Bruno e Mendoza Mazabi. Gueder
Bruno
insieme all’infiltrato Ignacio Villa Vargas
facevano parte degli apparati di sicurezza
della Unione Giovanile Crucenista,
protagonista degli episodi di violenza
antigovernativa e contro gli indios a Santa
Cruz.
I finanziatori di questa rete – alcuni
importanti uomini d’affari di Santa Cruz –
si sono già rifugiati all’estero tranne l’ex
militare in pensione Lucio Anez Rivera. Si
tratta di Alejandro Melgar (dirigente della
Camera di Commercio, Industria e Turismo di
Santa Cruz, collaboratore della
organizzazione statunitense Human Rights
Foundation e attualmente negli USA); Hurtado
Vaca (dirigente della società Telefonica e
finanziatore dell’ospitalità a Santa Cruz
della cellula terrorista); Lorgio B. A.,
conosciuto come “Yoyo” possiede tre
emittenti radio di Santa Cruz e fa parte del
comitato civico “Pro Santa Cruz” che
propugna la secessione dalla Bolivia. (2)
Ma se questi sono i pesci al momento finiti
nella rete delle indagini, il vero padrone
di Santa Cruz e capofila del movimento
secessionista contro la Bolivia di Evo
Morales è un altro boliviano di origine
croata: Branko Goran Marinkovic Jovicevic.
Il padre era un ustascia croato fuggito in
Bolivia alla fine della Seconda Guerra
Mondiale come tanti altri che si servirono
della rat line messa a
disposizione dai servizi segreti USA in
funzione della lotta contro l’Urss. (3)
Branko Marinkovic è
accusato di essere diventato uno degli
uomini più ricchi del paese fregando le
terre abitate dagli indios Guarayno e di
pensare ad un modello di secessione di Santa
Cruz simile a quello che portò alla
secessione della Croazia dalla Jugoslavia.
A Santa Cruz agiscono organizzazioni come
l’Unione Giovanile Crucenista (di cui
abbiamo parlato ed è agli ordini di Brannko
Marinkovic) e la Falange Socialista
Boliviana che si ispira al franchismo
spagnolo. “Se non ci sarà una mediazione
internazionale in questa crisi – annuncia
Marinkovic – andremo allo scontro e
sfortunatamente ci saranno sangue a paura
per tutti”. (4)
Tra operazione
Condor e Lega Anticomunista Mondiale.
Cos’è la Fondazione UnoAmerica?
Ma nelle relazioni tra la
cellula terroristica neutralizzata in
Bolivia, emergono anche altre piste che
passano attraverso alcuni ex militari della
dittatura argentini (conosciuti come
“carapintadas”) che per anni hanno
ostacolato e minacciato i governi civili
emersi dalla fine della giunta militare. Tra
questi spicca l’ex militare argentino Jorge
Nones Ruiz che manteneva i contatti con il
capo militare della cellula terroristica
Eduardo Laszlo Flores e agiva in Bolivia con
un mandato di altissimo livello: la
Fondazione UnoAmerica recentemente
costituita (e con l’appoggio della destra
europea, Aznar in testa) per contrastare
apertamente i governi latinoamericani
espressione del Foro di San Paulo (5).
La Fondazione UnoAmerica è stato costituita
a metà dicembre dello scorso anno a Bogotà,
in Colombia, uno dei pochissimi paesi
latinoamericani rimasti alleati con gli USA
nel continente. Ad esempio i terminali
colombiani della Fondazione UnoAmerica sono
la Fondazione di Difesa della Patria e la
Federazione Verità Colombia (che trae
origine dal Centro di Analisi
Sociopolitiche, una “Ong” creata dai
militari per contrastare le denunce delle
Ong sulla situazione in Colombia). La
Fondazione UnoAmerica è finanziata dalle
ormai note organizzazioni governative
statunitensi come l’USAID e il NED (National
Endowment for Democracy) che sono la
“facciata sociale” della CIA. Le altre
connessioni sono con la Fondazione per
l’Analisi Economica e Sociale (FAES) fondata
dall’ex primo ministro spagnolo Josè Aznar e
con la Fondazione Internazionale per la
Libertà presieduta dallo scrittore peruviano
Mario Vargas Llosa convertitosi da anni in
un soggetto ultrareazionario. In Italia, al
momento, emergono legami solo con i soliti
ambienti anticomunisti vicini al misterioso
giornale “L’Opinione”. Indicativo è il fatto
che nel sito di questa organizzazione gli
unici paesi europei che hanno una propria
sezione siano proprio Italia e Spagna (6)
La maggiore preoccupazione dichiarata dalla
Fondazione UnoAmerica è che “L’America
Latina è in pericolo perché esistono 14
paesi latinoamericani che appartengono o
sono vincolati al Foro di San Paulo. Benché
siano arrivati al potere per la via
democratica, costoro stanno distruggendo la
democrazia e le libertà come è il caso di
Hugo Chavez, Evo Morales, Rafael Correa,
Cristina Kirchner e Daniel Ortega”.
Obiettivo di questa organizzazione è “creare
un meccanismo di scambio, informazione,
coordinamento permanente e mutuo appoggio
tra i settori democratici”. Secondo alcuni
osservatori è la versione rimodernata della
micidiale Operazione Condor che coordinò le
dittature militari negli anni ’70 e che fu
creata per affrontare quella che veniva
denominata “insorgenza sopranazionale” (7).
Secondo altre fonti
questa rete richiama più da vicino la CAL
(Lega Anticomunista Latinoamerica affiliata
alla WACL, la Lega Anticomunista Mondiale)
formata da gruppi neofascisti e di destra.
Al congresso della CAL in Paraguay nel 1977
c’era anche Giorgio Almirante. A quello del
1979 a Buenos Aires partecipò sicuramente
Stefano Delle Chiaie che insieme al
Battallon 601 dell’intelligence
dell’esercito argentino, stava preparando il
colpo di stato di Garcia Meza in Bolivia che
avvenne l’anno successivo.
Bolivia,
Croazia, Italia e reti neofasciste
Come abbiamo visto,
contro i governi progressisti dell’America
Latina si stanno rimettendo in moto diverse
reti che hanno già sperimentato la
loro sanguinaria attività nella guerra
fredda. Gli “uomini neri” che si sono
prestati a tutto campo nella “guerre di
bassa intensità” in America Latina come in
Europa, si stanno riattivizzando per
impedire la sperimentazione e la crescita di
un progetto socialista nel XXI° Secolo.
Quanto è coinvolta l’Italia in questo
risveglio degli “uomini neri” dormienti? Le
stragi fasciste, il ruolo di Gladio, la
funzione dei gruppi neofascisti contro
la sinistra e i movimenti, il “noto
servizio” etc. è tutta acqua passata – visto
che il progetto neofascista in qualche modo
oggi si esprime a livelli di governi
centrale e locali - oppure questo attivismo
merita la dovuta attenzione?
Quando sentiamo parlare di Bolivia possiamo
non rammentare che quel paese è stato il
rifugio di neofascisti “pesanti” come
Stefano Delle Chiaie o Pierluigi Pagliai? Il
primo collaborò al colpo di stato del 1980
del gen. Garcia Meza e ne divenne
collaboratore insieme a Klaus Barbie, l’ex
capo della Gestapo di Marsiglia. Il secondo fu ferito a La Paz
il 9 ottobre 1982 e riportato in Italia –
nel quadro dell’operazione Marlboro/Pall
Mall dei servizi italiani - contro la sua
volontà. Morì pochi giorni dopo in un
ospedale romano. Il consulente del giudice
Salvini, Aldo Giannuli, racconta che
sull’aereo italiano espressamente inviato
in Bolivia c’erano praticamente
rappresentanti di tutti i servizi segreti
e gli apparati di sicurezza italiani.
Stefano delle Chiaie si sottrasse
all’arresto attraversando il confine tra
Bolivia e Argentina in compagnia di un
uomo del Battallon 601 dell'Esercito
Argentino.
Ma le connessioni tra i neofascisti italiani
e la Bolivia sono tornate alla luce anche
recentemente e proprio in occasione dei
violenti pogrom contro gli indios e i
funzionari governativi avvenuti sempre a
Santa Cruz, il “cuore nero della Bolivia”
(8).
Più di qualche testimonianza afferma di aver
visto tra i killer che ammazzarono a
settembre del 2008 un gruppo di indios nella
località di El Porvenir, Marco Marino
Diodato, un noto neofascista italiano
rifugiatosi in Bolivia negli anni ’80 e oggi
più che cinquantenne.
Diodato in Bolivia si è sposato con una
nipote del generale golpista Hugo Banzer,
era diventato un uomo d’affari e un
consulente militare in quanto ex
paracadutista. Nel 1994/95 mette in piedi ua
organizzazione paramilitare la FRIE (Forza
di Reazione Rapida dell’Esercito)
Nel 1999 fu arrestato per una serie di
truffe e condannato a dieci anni ma nel 2004
riuscì a “fuggire” dalla clinica Bilbao di
Santa Cruz dove era riuscito a farsi
ricoverare. Oggi lo segnalano come
consigliere di Leopoldo Fernandez,
governatore di Pando (un’altra delle regioni
secessioniste che si oppongono al governo
boliviano di Evo Morales) arrestato con
l’accusa di essere il mandante proprio del
massacro degli indios a El Porvenir (8)
Ma il vero crocevia di questa rete sembra
essere la Croazia e la comune esperienza
accumulata nella guerra civile secessionista
in Jugoslavia durante gli anni Novanta. In
quel conflitto, fascisti italiani, slavi,
francesi, tedeschi etc si ritrovarono
insieme nelle milizie paramilitari fasciste
del Partito del Diritto Croato (HOS).
La Commissione Parlamentare d’inchiesta
sulle stragi, a cavallo tra il 2000 e il
2001, chiese al Ministero degli Interni e al
ROS dei Carabinieri l’acquisizione dei
“Dossier balcanici” contenenti una ventina
di nomi di neofascisti che avevano
combattuto in Croazia e Bosnia durante la
guerra civile che dilaniò la Jugoslavia
negli anni ’90. (9)
In quelle settimane si stava indagando
sull’attentato dinamitardo contro Il
Manifesto che portò al ferimento e
all’arresto dell’attentatore – il noto
neofascista Andrea Insabato. Quest’ultimo,
nel 1991 aveva promosso l’arruolamento in
Italia di mercenari disposti ad andare a
combattere per “la sorella Croazia che ora
ha un nemico più grande. Si deve difendere
dai serbi e dai comunisti”. Per la polizia
c’erano almeno una trentina di neofascisti
esperti di esplosivi e una ventina di loro
aveva combattuto in Jugoslavia. (10)
Il sito antifascista francese “Reflex”
riferisce che neofascisti francesi, italiani
e tedeschi, furono integrati in Croazia e
Bosnia nella “Legione Nera”, derivazione
balcanica messa in piedi dall’organizzazione
fascista francese Nuova Resistenza
nell’estate del 1991, ossia nello stesso
periodo dell’arruolamento avviato da Andrea
Insabato e dal suo gruppo “Rinascita
Nazionale”. Ma se il progetto di Insabato si
arenò – il suo progetto era una sorta di
linkage con la destra croata che prevedeva
l’aiuto militare italiano in cambio delle
zone croate rivendicate dall’Italia – i
fascisti italiani rimasero lo stesso a
combattere nelle milizie paramilitari in
Croazia e Bosnia contro serbi e musulmani
(11).
In quel contesto si ritrovarono insieme un
vasto raggruppamento di “uomini neri” non
solo dell’Europa occidentale ma anche
ungheresi, rumeni, ultracattolici irlandesi,
personaggi del tutto simili a quelli che
abbiamo trovati coinvolti nella vicenda
boliviana.
Un ruolo centrale nel finanziamento dei
gruppi fascisti nei Balcani, chiama in causa
quella che possiamo definire la “Holding
nera” cioè il complesso impero finanziario
messo in piedi in Gran Bretagna da Fiore,
Morsello e dai fuoriusciti neofascisti che
gravitavano intorno a Terza Posizione e che
oggi animano la più forte tra le
organizzazioni neofasciste italiane: Forza
Nuova.
Varie fonti britanniche – sia antifasciste
che giornalistiche – segnalano l’impetuosa
crescita finanziaria delle attività gestite
in Gran Bretagna dal leader di Forza Nuova,
Roberto Fiore. Ma segnalano anche come
questa attività dei neofascisti italiani
abbia potuto godere della copertura dei
servizi segreti britannici Mi 6(copertura
acquisita nei campi di addestramento dei
falangisti in Libano) (12).
Le più note società che fanno capo ai
neofascisti italiani in Gran Bretagna sono
le agenzie turistiche Easy London e i circa
1.300 negozi della catena Meeting
Point. .«Altre importantissime
fonti di finanziamento del movimento sono
due organizzazioni ultra cattoliche, che fin
dagli inizi della latitanza hanno offerto a
Fiore e Morsello protezione, ma soprattutto
danaro, sono la St.George
Educational Trust e la
St.Michael Arcangel Trust, vale a
dire enti per la promozione degli
insegnamenti della chiesa cattolica. Della
prima – afferma l’autore del libro “Trame
Nere” Giuseppe Scaliati - Fiore è
amministratore ed è direttamente collegata
alla St.George League, un
piccolo e ricchissimo gruppo nazista in
contatto con personaggi e fondi delle ex SS;
la seconda, al pari della prima in quanto a
ricchezza, prende il nome dall’Arcangelo
Michele, santo patrono dei miliziani della
Guardia di ferro del leader fascista
rumeno Corneliu Codreanu».
E’ inquietante il nome scelto. Infatti
dietro un rassicurante e molto cristiano
nome come quello dell’Arcangelo Michele
agiva proprio la Legione dell’Arcangelo
Michele nella Romania fascista degli anni
trenta e quaranta. E in tempi più recenti
(il 2004) i fascisti rumeni di Noua
Dreapta hanno fatto parte del coordinamento
neofascista europeo messo in piedi da Forza
Nuova con NDP (Germania); Noua Dreapt
(Romania); Alleanza Patriottica (Grecia) e
La Falange (Spagna). Mentre ne fanno parte
semplicemente come affiliati: Renouveau
Francais (Francia); Partido Nacional
Renovador (Portogallo); Nationale Alliantie
(Olanda) e Alleanza Nazionale Bulgara
(Bulgaria).
Ma non è tutto, un‘altra inchiesta
giornalistica porta alla luce l’esistenza
del “Gruppo dei Quaranta”. Il gruppo che
utilizza anche i fondi della “Third Position
International” doveva acquisire un intero
paese in Spagna per farne una sorta di zona
liberata nera. “Le tracce del gruppo” scrive
Guido Olimpio, l’esperto di intelligence del
Corriere della Sera “sono state individuate
nella ex Jugoslavia, in Italia e ovviamente
in Gran Bretagna. Usando come copertura
ditte e società, i neonazisti hanno
arruolato lo scorso anno volontari da
inquadrare nelle unità paramilitari della
milizia croata HOS. Aiuti alla fazione sono
stati inviati da Third Position
International che ha patrocinato raccolte di
denaro “in favore dei bambini croati”. Ed
ancora “E’ probabile che attraverso il
centro di reclutamento i neofascisti siano
riusciti a raccogliere miliziani
dell’ultradestra europea disposti a dar
manforte ai camerati croati”. Sempre secondo
Olimpio, il terminale italiano del “Gruppo
dei Quaranta” è una rete che raccoglie i
resti di varie formazioni (neofasciste, NdR)
come i NAR, Ordine Nuovo e Terza Posizione
(14).
La “sicurezza
dei cittadini” come schermo della rete
degli “Uomini neri”
Connettendo insieme questi pezzi, emerge un
quadro che in Italia – e non solo in Bolivia
e America Latina – nessuno farebbe bene a
sottovalutare. La rete degli “uomini neri”
che hanno combattuto tutte le guerre sporche
della “lotta al comunismo”, appare piuttosto
attiva, ben finanziata e organizzata. Le
relazioni tra gli uomini neri in America
Latina, Croazia, Italia etc. appaiono molto
strette tra loro e ancora attrezzate per
intervenire lì dove nuove campagne li
chiamino in attività per i loro servigi:
ieri in Jugoslavia, oggi in Bolivia, magari
sotto il volto rassicurante di Ong o di una
organizzazione religiosa europea (15).
E' emblematica la similitudine tra gli
obiettivi della FIER costituita dal fascista
italiano Diodato in Bolivia
("proteggere i cittadini dai
narcotrafficanti) con la Loggia Secuiesti di
Arpad Magyarosi e di Tibor Revesz in Romania
(“La LS è una organizzazione sovrana
destinata a formare milizie per difendere i
cittadini e non per servire propositi
politici che si finanzia con risorse
private”) e il progetto per l'Italia
elaborato in Gran Bretagna dai leader Forza
Nuova. In Italia uno degli obiettivi è
quello di "dar corso ad azioni di contrasto
alla micro e macrocriminalità e allo spaccio
di stupefacenti, mediante la formazione di
gruppi di tipo paramilitare non armati che
dovrebbero operare dopo aver acquisito il
necessario consenso della cittadinanza".
Obiettivi così e parole del tutto simili le
stiamo verificando da mesi nell’agenda
politica del nostro paese.
Fonti:
(1) Andrea Cangini su “Il
Quotidiano nazionale/Resto del Carlino”
del 21 aprile 2009 ma anche Nik Nikandrov
in http://en.fondsk.ru/article.php?id=2111 tradotta
in
italiano da http://www.bollettinoaurora.da.ru e pubblicata
nella
newsletter del Coordinamento per la
Jugoslavia dell’11 maggio “Balkan
Connection en Bolivie”
(2) http://www.laprensa.com.bo/noticias
del
10 maggio 2009
(3) La Rat Line o sentiero
dei topi fu la via di fuga che i servizi
segreti USA e il Vaticano organizzarono
nell’immediato dopoguerra per far
fuggire in America Latina e Spagna i
criminali nazisti e i loro collaboratori
italiani, francesi, jugoslavi, polacchi,
ucraini, rumeni etc. Snodo fondamentale
della Rat Line era Genova
(4) New York Times del 26
settembre 2008
(5) Il Foro di San Paulo è
il forum annuale della sinistra
latinoamericana fondato nel 1990 nella
città brasiliana e che è stato
l’incubatoio dei processi di cambiamento
popolare e democratico in tutto il
continente.
(6) Vedi il sito della
Fondazione: www.unoAmerica.org.
Nel sito – nella sezione italiana -
compare una intervista di uno dei
maggiori commentatori de “L’Opinione” –
Dimitri Buffa - al neofascista
venezuelano Alejandro Pena Esclusa in
visita in Italia. L’Opinione conta tra i
suoi editorialisti anche il neofascista
Giusva Fioravanti fondatore dei NAR, autore
di numerosi omicidi e condannato per la
strage alla stazione di Bologna
(7) Bruno Matapay in
Virtin/Red Informativa del 24 aprile
2009
(8) Maurizio Chierici. Il
nodo Bolivia, su l’Unità del 14 maggio
2008
(9) La Repubblica del 19
settembre 2008. Vedi anche l’inchiesta
di www.selvas.org “Il
caso
Diodato”, l’italiano più famoso in
Bolivia e l’inchiesta di Wilson Garcia
Merida tradotta e pubblicata su: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6084&lg=it
(10) Gianni Cipriani, Il Nuovo 23
dicembre 2000/ Indymedia Lombardia
(11) Atti della Commissione
Parlamentare di inchiesta sulle Stragi,
seduta di martedi 9 gennaio 2001
(12) Sia il sito antifascista
“Searchlight” sia The Guardian
pubblicarono ampi servizi su questo
(13) Giuseppe
Scaliati, “Trame Nere”, edizioni Frilli
2005
(14) Guido Olimpio, in Corriere della
Sera del 24 novembre 1997
(15) "Inside
the
League: The Shocking Expose of How
Terrorists, Nazis, and Latin American
Death Squads Have Infiltrated the World
Anti-Communist League", by Scott and Jon
Lee Anderson, 1986, http://www.namebase.org/sources/HB.html