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Jugoslavia. Bilancio della distruzione di un sogno
Reflections on Yugoslavia’s socialist past and present-day colonization
The destruction of a nation / Bilan de la destruction d’un rêve

by Milina Jovanović
 
November 16, 2012



Jugoslavia. Bilancio della distruzione di un sogno

di Milina Jovanovic | da Traduzione dal francese di Anna Migliaccio per Marx21.it

In questo saggio presento le mie riflessioni personali sulla vita nell’ex Repubblica socialista federale di Jugoslavia e sulle tendenze attuali di privatizzazione e presa di controllo di risorse naturali, economiche e umane del paese.

Per 10 anni ho vissuto personalmente l’esperienza del migliore periodo del socialismo iugoslavo lavorando presso un organismo di studio e ricerca. Nelle pagine che seguono vorrei cercare di spiegare brevemente i principali aspetti ed istituzioni del sistema socio politico ed economico iugoslavo evocandone lo stile di vita e ciò che rappresentava per le diverse popolazioni del paese. Sette piccoli paesi, disorientati e colonizzati (ciò che resta della Jugoslavia) si battono oggi per sopravvivere stretti tra il loro passato unico ed un presente perturbato. Disperazione e apatia si mescolano alle guerre ed all’occupazione straniera. Nondimeno il popolo jugoslavo è duro a morire e lo proverò con qualche esempio di lotte operaie attuali e resistenza popolare.

La mia generazione ebbe l’opportunità di crescere a Belgrado nella Jugoslavia socialista. Come bambini di scuole elementari partecipavamo a momenti di autogestione. La scuola intera era all’epoca diretta dagli scolari dall’amministrazione all’educazione in classe dalla pulizia alla gestione delle cucine tutto gestito dagli studenti senza la presenza di adulti. Gli scolari applicavano ed adattavano i programmi mantenevano la regolarità degli orari facevano esposizioni e giudicavano i progressi dei loro compagni di studi. Mi ricordo perfettamente di tutte le volte in cui ho svolto il ruolo dei professori. Le note che davo ai compagni avevano lo stesso peso di quelle inflitte dai professori. Noi ci sentivamo abilitati, emancipati responsabili ed insieme interamente liberi. Andavamo a scuola a turni perché è provato che alcuni soggetti sono più ricettivi all’apprendimento al mattino ed altri al pomeriggio.

L’intera società poneva l’accento sullo sviluppo dei valori collettivi. Tutto ciò che si faceva a scuola era passato al vaglio, incluse le performances individuali, e discusso in presenza di genitori e studenti. Durante l’intera durata della mia formazione la mia generazione si è sentita al sicuro.

Prima del Movimento dei non allineati il solo scopo della jugoslavia era stato quello di insegnare alle nuove generazioni a difendere il proprio paese ma senza mai ingerire negli affari di altri paesi. La mia generazione non temeva il futuro. Crescevamo sereni e ottimisti avendo come unica priorità un discreto sviluppo personale e l’affrancamento dai retaggi del capitalismo e del patriarcato.

Come studentessa universitaria e più tardi come ricercatrice scientifica in materia di società ero convinta che una delle mie priorità fosse sviluppare un approccio critico al sistema socio economico e politico iugoslavo affinché esso potesse continuare ad evolvere. Forse la mia generazione fu l’ultima degli idealisti e sognatori jugoslavi.

La Jugoslavia non somigliava ad alcuno degli altri paesi delle storia recente. Me ne sono resa conto in maniera ben più profonda quando sono emigrata negli Stati Uniti. L’amico Andrej Grubacic l’ha scritto con eloquenza “La Jugoslavia per me e per quelli come me non era solo un Paese. Era un’idea”. L’immagine stessa dei Balcani è stata il progetto di un’esistenza interetnica, di uno spazio trans etnico e multiculturale di mondi differenti, un rifugio di pirati e ribelli, femministe e socialisti, antifascisti e partigiani, un luogo dove sognatori d’ogni sorta lottavano con forza contro la peninsularità provinciale, le occupazioni e gli interventi stranieri.” Come i miei genitori, credo anch’io ad una regione che riunisce diversi universi e dove tutti sono tutto. Non ho altra emozione che rancore verso tutti coloro che hanno contribuito a distruggere la Jugoslavia e sento la stessa cosa per coloro che oggi svendono ciò che ne è rimasto. Faccio parte di coloro che appoggiano le opinioni di M. Grubacic.

Il modello socialista jugoslavo

Per certi versi il modello iugoslavo di socialismo è riconosciuto come unico anche da coloro che si oppongono a priori al socialismo. Purtroppo la gran parte dei saggi pubblicati in passato non hanno compreso questo carattere unico della Jugoslavia. Né i presupposti teorici, né la loro applicazione pratica sono ben noti in Occidente. Io non uso la formula “Jugoslavia comunista” perché questa assimila il modo di governo di un partito comunista al comunismo. Mi servo del termine comunista solo nel senso originario marxista di nuova formazione socio economica. Penso, infatti che la parola socialismo convenga meglio alla realtà sociale che esisteva in Jugoslavia tra il 1945 e il 1990. L’intera società socialista è transitoria e contiene elementi dei sistemi sociali antichi e nuovi.

La Jugoslavia socialista si fondava su molteplici principi di base, istituzioni e pratiche. I più importanti erano l’auto-gestione e la proprietà sociale. Il controllo sulle risorse locali era garantito da associazioni di produttori libere nel mondo del lavoro nel momento in cui il popolo partecipava direttamente al governo locale nelle sue associazioni di vicinato. La società aveva creato una particolare branca del diritto chiamata legge di auto gestione con corrispondenti tribunali. Taluni hanno criticato questo doppio diritto e l’abbondanza di leggi e regolamenti d’autogestione. 

E’ stato osservato che nessuno poteva possedere il frutto proveniente dalla proprietà privata ad esclusione che quello basato sul lavoro.

I teorici dell’auto gestione socialista arguiscono che questa poteva essere assicurata attraverso una forma unica di proprietà sociale. La proprietà sociale non è la stessa cosa che la proprietà di Stato. I mezzi di produzione, la terra le abitazioni le risorse naturali i beni pubblici l’arte i media e gli organismi d’insegnamento devono appartenere alla società nel suo complesso, a tutti e a nessuno in particolare. Solo un residuale 20% delle risorse agricole e delle piccole imprese permaneva in mani private. Le terre appartenenti ai contadini erano state limitate a dieci ettari per individuo.

La gran parte delle abitazioni erano costruite per I lavoratori e le loro famiglie. Secondo specifici criteri, si assegnavano gli alloggi ai lavoratori affinché li utilizzassero senza esserne proprietari. I loro figli e le successive generazioni potevano anche servirsene a propria volta senza averli in proprietà. Essi non erano affittuari. Questa forma giuridica è difficile da spiegare e travalica il punto di vista occidentale.

Nella Jugoslavia socialista un principio basilare era che i cittadini avevano il diritto inalienabile di controllo sulle risorse locali. Nelle libere associazioni di produttori i lavoratori avevano modo di assumere decisioni con cognizione di causa circa i bisogni, le risorse disponibili e dispensabili. Il popolo iugoslavo decideva delle sue risorse, dei suoi mezzi di produzione e della produzione stessa. Per esempio la produzione di energia elettrica è stata calcolata per molti decenni sulla base dei bisogni domestici. Fino agli anni 80 la gran parte dei prodotti iugoslavi era destinata all’uso interno e non all’esportazione. I documenti ufficiali mostrano che nell’arco di tempo tra gli anni 50 e gli anni 90 i partners commerciali abituali delle ex repubbliche iugoslave erano altre repubbliche iugoslave.

Oltre alla proprietà sociale l’altra istituzione fondamentale era l’autogestione. Le due cose erano ideali e principi base dell’intera organizzazione sociale. I gruppi di produzione libera (OUR) erano le unità di base del lavoro associativo ed erano organizzate a molteplici livelli. I lavoratori avevano deciso di lavorare insieme per rispondere ai propri comuni e difendere i loro interessi ed avevano creato tali associazioni. Essi lavoravano collettivamente utilizzando i mezzi sociali di produzione e i loro prodotti. Le associazioni di produttori liberi esistevano nell’ambito della produzione materiale ma anche dei servizi sociali, della cultura, dell’arte, dell’educazione e della sanità.

In alcune di esse le decisioni venivano assunte con referendum. I consigli operai si riunivano regolarmente per dirigere la quotidianità delle associazioni.

Certi autori americani come Michael Albert (4) parlano spesso dell’economia partecipativa come fosse una novità. Essi riconoscono raramente il modello iugoslavo di autogestione esistente da oltre quarant’anni. Mio padre è stato un lavoratore e contemporaneamente un gestore della produzione. Nella mia gioventù ho potuto vedere l’autogestione in pratica e misurarne l’efficacia. Per esempio l’insieme dei membri di un’associazione si riuniva per scegliere i candidati al consiglio o pianificare la produzione annuale. E’ vero che con il trascorrere del tempo l’economia di mercato ed altri fattori hanno limitato il potere economico e politico dei lavoratori. Ma questo non deve diminuire il valore dell’esperienza iugoslava di auto gestione insieme teoria e prassi.

Le associazioni di vicinato (Mesna Zajednice) erano un altro tipo di unità di base di auto governo. La gente assumeva le decisioni concernenti la propria vita quotidiana ed il loro ambiente. Essi sceglievano i propri delegati al governo comunale e nazionale ed organizzavano le proprie condizioni di vita e di lavoro, il trattamento dei bisogni sociali, la cura dei bambini, l’educazione ecc. Ogni associazione aveva i propri statuti creati dagli abitanti della zona. Le decisioni importanti erano assunte con referendum.

Le comuni erano unità territoriali più grandi, fondate sui principi della Comune di Parigi (5),destinate ad assicurare il decentramento e la partecipazione diretta del popolo al suo auto governo. Le comuni, le province autonome le repubbliche e la Federazione erano interconnesse nella medesima piramide del sistema. Le costituzioni di tutte le repubbliche riconoscevano le comuni come unità di base socio politica d’una importanza capitale per i governi delle repubbliche e della Federazione. Lo scopo principale di tutte le strutture economiche e politiche della Jugoslavia socialista era quello d’assicurare a tutti i lavoratori le condizioni migliori di lavoro e di vita. 

Durante l’intero periodo socialista ed in particolare dagli anni 60 agli anni 80 la Jugoslavia è stata un paese prospero ove ciascuno vedeva garantiti il diritto di lavorare e di ricevere un salario adeguato e beneficiare d’una educazione di grande qualità fino al dottorato di un minimo di un mese di vacanze pagate e di congedo di malattia illimitato secondo i bisogni della propria salute. Di un congedo retribuito di maternità e paternità e di un diritto all’abitazione. (6) Inoltre la Jugoslavia è stata il solo paese al mondo ad avere inserito nella costituzione i diritti e le libertà delle donne. Le donne hanno fatto passi giganteschi nel campo dell’educazione e dell’impiego investendo in gran numero di ambiti tradizionalmente a dominanza maschile. La mia tesi di dottorato ha comparato il progresso delle donne in questi ambiti in Jugoslavia e d in California. I documenti che ho raccolto mostrano che le donne iugoslave sono riuscite a progredire e distruggere le abitudini patriarcali più delle californiane. (7)

Nello stesso periodo I trasporti pubblici funzionavano bene, la vita culturale ed artistica era fiorente ed anche su diversi aspetti all’avanguardia. Ogni evento culturale ed artistico era realizzato dal popolo. Non c’era cultura d’elite o arte d’elite. La partecipazione ad ogni manifestazione era a prezzo molto abbordabile. I bambini studiavano arte musica e diverse lingue straniere fin dalla più tenera età (già alla scuola d’infanzia). Nella tradizione originale del marxismo si ritiene che ogni persona debba essere elevata ad individuo ben sviluppato. Dalle scuole elementari abbiamo appreso ad equilibrare lavoro manuale e lavoro intellettuale e a resistere agli eccessi della specializzazione. La cultura generale era molto apprezzata. I corsi di storia e geografia comprendevano lezioni su tutti i continenti. Soprattutto nei primi anni persone di ogni età ed in particolare giovani lavoravano come volontari per costruire per costruire strade e ponti e piantumare alberi e foreste. Partecipare alle opere pubbliche offriva loro un sentimento di fierezza e forniva occasioni per nuove amicizie ed ampliamento degli orizzonti. La mia generazione aveva piani di formazione comprendenti gite di una settimana per fare conoscenza dei gioielli naturali di altre regioni. Il multiculturalismo iugoslavo è raramente compreso in occidente. Durante il periodo socialista c’era un gran numero di matrimoni misti e molti avevano abbracciato la causa della fraternità ed unità della Jugoslavia. La Jugoslavia socialista aveva buona reputazione nel mondo intero: è stata vista come membro essenziale tra le nazioni non allineate e partner importante delle relazioni internazionali.

Un incubo per i politici USA

Come ha spesso ripetuto Michael Parenti, essa (la Jugoslavia n.d.t) è l’esempio di un paese che indispone I politici americani soprattutto dopo gli anni 80. Questo genere di paese sfugge alla ricerca statunitense di dominio globale, ai progetti mondiali delle grandi compagnie e alla terzomondizzazione dell’intero pianeta. (8)

All’inizio degli anni 90 venne il tempo per gli USA ed I loro alleati NATO d’intervenire: hanno fatto di tutto incluso l’utilizzo della forza bruta per cancellare la Jugoslavia dalla carta d’Europa. La Jugoslavia (e soprattutto la Serbia e il Montenegro) che non hanno gettato via quel che restava del socialismo per instaurare il sistema del libero mercato. (9) Il suo smembramento e le guerre degli anni 90 non sono l’oggetto di questo saggio. Molte cose sono state scritte in proposito soprattutto per giustificare la guerra degli USA e della NATO, e l’occupazione che è seguita. Pertanto per un piccolo numero di ricercatori e di militanti appare evidente già negli anni 90 che l’obiettivo dell’impero mondiale è il medesimo in Jugoslavia come in altri paesi del globo. Cito ancora Parenti : “lo scopo degli USA è trasformare la Jugoslavia in un gruppo di piccoli principati aventi le seguenti caratteristiche: a) l’incapacità di fissare obiettivi di sviluppo indipendente e proprio b) risorse naturali interamente accessibili agli appetiti delle grandi compagnie internazionali ivi compresa l’enorme ricchezza di miniere del Kosovo ; una popolazione impoverita ma istruita e qualificata che lavora per salari appena sufficienti alla sopravvivenza, una mano d’opera a buon mercato adatta a ridurre i salari in Europa occidentale d) lo smantellamento delle industri e petrolifere d’ingegneria e minerarie farmaceutiche navali automobilistiche e agricole così da non costituire più concorrenza per i produttori occidentali.

Gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto altri vantaggi dalla distruzione della Jugoslavia che consideravano come una potenza regionale e come il germe di una federazione balcanica. Essi sapevano che la loro presenza fisica nella penisola balcanica avrebbe portato vantaggi supplementari quali il migliore controllo delle risorse e dello sviluppo europeo, dei traffici di eroina e di organi umani, e du pipeline del mar Caspio. Le così dette missioni di pace sono diventate programmi di occupazione garantite dalla costruzione di basi militare permanete e centri di detenzione.

Sotto molti punti di vista gli USA e l’Unione europea hanno ottenuto molti degli obiettivi prefissati. Durante l’ultima visita nella mia città natale ho visto ovunque nuove costruzioni. Ma l’occupazione completa, così come la demoralizzazione totale del popolo, non sono facili da realizzare con i balcanici. Nel suo film documentario “The Weight of Chains”, il serbo-canadese Boris Malagurski ha mostrato che molti popoli si risvegliano rendendosi conto che l’economia di mercato e il dominio straniero non sono nulla di positivo. Ciò che attraversa tutti i paesi della ex Jugoslavia e che gli ideologi del libero mercato hanno chiamato “iugonostalgie” si rafforza con la coscienza della grave perdita. C’è l’affermazione di una memoria collettiva del popolo, e la prova che le opposizioni esistono nella loro unità dialettica certe forze sociali lottano per l’ingresso in Europa altre si battono per ritrovare le loro tradizioni socialiste e mantenere l’indipendenza.

I popoli iugoslavi non hanno potuto valorizzare la loro esperienza positiva del socialismo. Le ideologie imposte che glorificano i valori capitalisti e il consumismo i vantaggi dell’Europa e i progetti di affari internazionali sono influenti, ma un significativo numero di lavoratori tentano di riconquistare il proprio potere, battendosi contro le privatizzazioni, la disoccupazione e le misure d’austerità. La resistenza non è mai cessata.

L’avanzata dell’impero globale

Il programma neo coloniale si è sviluppato nel corso degli ultimi anni. Da qualche mese ho potuto osservarlo a Belgrado.

Passeggiavo per la città inciampando nelle numerose banche straniere.

In certi quartieri sono ad ogni angolo di strada con le loro entrate attaccate le une alle altre. Il numero degli uffici di cambio si è moltiplicato dagli anni 90. A questo corrisponde al dominio UE e dell’alta finanza internazionale sulle finanze serbe. I bancari serbi lavorano di malumore e appaiono scontenti delle condizioni di lavoro che gli vengono imposte. 

Gli effetti dell’ideologia capitalista di moda che glorifica i consumi sono chiaramente visibili nelle strade nei negozi, nelle istituzioni e nei media. Ogni anno si accresce il numero dei ristoranti “fast food”. I prodotti malsani hanno invaso il mercato serbo e l’importazione di OGM, benché il governo neghi di averli autorizzati Lo stesso per i cibi pieni di ormoni e batteri infettivi. Il risultato è che ci sono molti più cittadini in sovrappeso per le strade di Belgrado. Questo appare ancora un problema marginale perché i cittadini camminano molto e praticano jogging, ciclismo e yoga. L’aspetto più preoccupante è l’aumento dei quaranta o cinquantenni che soffrono di ipertensione e disturbi cardiovascolari.

Le compagnie straniere hanno acquistato molte società precedentemente iugoslave o serbe. La privatizzazione delle risorse è un esempio evidente di tale processo. Rosa Water è una società Coca-Cola ellenica; Voda Voda è la proprietaria di d’Arteska International Co., BB Minaqua Co. È collegata alla tedesca Krones, l’italiana Sidel e Thomson Machinery per la sua produzione a Cipro. Anche se molte di queste compagnie affermano di utilizzare condimenti “ecologici”, come la bottiglia Rosa a base vegetale, gli imballaggi in plastica lasciano filtrare sostanze chimiche tossiche nell’acqua delle bottiglie che molti Belgradesi oggi acquistano. In passato l’acqua del rubinetto era di gran lunga migliore, e nessuno pensava di avere bisogno d’acqua in bottiglia. Negli anni 90 tutte le bibite erano in bottiglie di vetro.

Le industri di abbigliamento e cosmesi sono di proprietà straniera o sono serbe acquistate da stranieri. Se si considera il mercato dei prodotti di abbigliamento per bambini e prodotti per l’infanzia, i prodotti di bellezza e gli alimenti si trova un miscuglio di march esteri noti che approfittano dell’apertura di questi mercati: Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestlé, Juvitana, Bebelac.

Kosili e Dr. Pavlovic sono delle eccezioni. Prima della guerra non avevamo che sparute firme italiane di prodotti per l’infanzia, mentre oggi Nestlé e Disney sono abbondantemente presenti. Anche le società serbe si danno nomi anglofoni come Beba Kids o Just Click, etc.

La marca belgradese Dahlia Cosmetics fabbricava prodotti a base minerale e vegetale. Oggi è privatizzata e, come dice il suo sito internet, è posseduta al 100% dalla belgradese Bechemija. Che a sua volta è stata formata da una fusione tra Delta de Zrenjanin e la slovena Sanpionka. Nel corso di tali privatizzazioni e fusioni migliaia di operai hanno perso il posto di lavoro. E’ difficile non immaginare che Dahlia abbia rimpiazzato I prodotti naturali con quelli sintetici. Basta leggere le etichette per porsi la legittima domanda.

Duvanska Industrija Nis (l’industria del tabacco di Nis) è stata bombardata a ripetizione durante gli attacchi della NATO nel 1999. Era una delle manifatture più importanti e impiegava 2.500 addetti (11). I bombardamenti hanno preparato il terreno per il successivo recupero. Nel 2003, il gigante dei tabacchi Philip Morris si è impadronito della fabbrica serba di sigarette. Philip Morris si serve di tabacchi OGM saturi di pesticidi e di alter sostanza tossiche nella produzione di sigarette.

Per quanto attiene alle privatizzazioni molte imprese pubbliche hanno cessato di esistere alter si sono create successivamente ma dopo un paio d’anni dalla mia ultima visita. C’era un magazzino di souvenir nella via più trafficata di Belgrado mentre ora ce n’è uno diverso e le persone che ho interrogato non mi hanno saputo dire se era ancora un magazzino di souvenir. La Serbia non ha più industrie di abbigliamento ad eccezione di Centrotekstil, Kluz, Beko, Tekstilna Industrija Zemun ha del tutto cessato di esistere. Lo stesso vale per Elektronska Industrija Nis (l’industria elettronica di Nis) e per l’INSA de Zemun, che produceva orologi da polso. Le due industrie di elettrodomestici sono scomparse. Zastava l’industria automobilistica di Kragujevac, è stata distrutta. La prospera industria di calzature è ridotta alla Boreli, una firma la cui produzione, i siti produttivi e i magazzini sono stati messi a disposizione di Borovo per eventuali acquisti. Le lunghe lotte operaie alla Boreli non hanno risolto il problema delle privatizzazioni.

Il complesso delle industrie serbe è ridotto al 37 % di ciò che era nel 1986. Inoltre alcune grandi compagnie di politici come Madeleine Albright hanno messo gli occhi sull’industria dei servizi e sulle risorse della ex Yougoslavia. La Albright Capital Management (ACM), la società dell’ex segretario di Stato USA, ha cercato di acquisire la Telecom del Kosovo, come mi è stato riferito da Tanjug ed RTS il 18 agosto. Madeleine Albright ha servito sotto Bill Clinton ed è stata l’artefice delle guerre umanitarie contro la Yougoslavia e la Serbia.

Apple ha tutt’ora molti uffici a Belgrado e vende equipaggiamenti costosi ai settori privilegiati della popolazione.

E’ stato spesso osservato che il livello di colonizzazione di un paese si misura dal livello di contaminazione della sua lingua locale da parte di quella straniera. Oggi vi sono molteplici colonizzazioni La lingua serba è intrisa di termini stranieri soprattutto anglofoni. In molti casi certi neologismi appaiono ridicoli come ibridi scritti in cirillico con ortografia serba. Fa male ascoltarli e pensare di ridere. Abbiamo già una serie di parole contaminate dalla lingua turca, derivanti da secoli di dominazione ottomana benché abbiamo resistito alla loro integrazione e al loro utilizzo, ma quei neologismi apparivano più naturali di quelli che ora stanno avvilendo la nostra lingua. Innumerevoli imprese locali, gruppi musicali, agenzie turistiche hanno nomi inglesi. I popolari ristoranti sulle rive del fiume sono più attivi che mai. Uno di questi si chiama “Bollywood”.

I trasporti pubblici funzionano ancora bene a Belgrado, benché la recente introduzione delle macchine obliteratrici elettroniche abbia seminato una certa confusione tra gli utenti. Ci sono troppi manifesti nelle strade che celebrano il nuovo capitalismo consumista, vantando i meriti delle banche delle compagnie dei prodotti stranieri. Uguale pubblicità per il Viagra che il popolo serbo ha ribattezzato “Vulkan” (vulcano).

Tutto ciò genera profitti, oltre che consumatori fedeli e dipendenti.

Mia figlia ha spiegato, nella sua tesi, che la cultura urbana di Belgrado rimane stretta tra la pressione dei mercati globali diretti dal potere politico degli USA e dell’UE, e la sua policoltura originaria sia passata che presente. Il popolo serbo e i belgradesi in particolare resistono a questo potere in molti differenti. Possono ritenere utile incorporare taluni elementi della cultura americana dominante alla propria. Perlopiù, essi mantengono le proprie tradizioni. I cittadini frequentano molti eventi estivi, quali I teatri all’aperto, I concerti gratuiti di jazz per le strade, i percorsi turistici negli anfratti della città dove le tradizioni dei villaggi si sposano al progresso tecnologico. Organizzano campi per giovani e corsi di yoga sulla spiaggia belgradese di Ada. Pare che i serbi vogliano approfittare al massimo della mescolanza culturale, resistendo allo sforzo colonialista di sopprimere ciò che è esclusivamente nazionale.

Ci sono gruppi come il Freedom Fight Movement (Movimento di lotta per la libertà). Il Freedom Fight è attivo su diversi fronti che vanno dalle lotte operaie all’opposizione alla conferenza dell’OTAN dell’anno scorso. Il gruppo collabora anche con diversi organismi internazionali che lavorano sui sistemi indipendenti di alimentazione biologica locale. L’azione determinata dei belgradesi ha indotto l’ambasciata americana a sigillare tutte le finestre che guardano sulla strada, sostituendole con i muri. L’anno scorso, quando i media hanno riportato la notizia che si stava aprendo a Belgrado la più grande centrale nucleare del paese la collera popolare ha sortito i suoi effetti e le autorità non hanno più proferito parola su questo progetto. 

I decenni di crisi economica, guerra, embargo, e bombardamenti della NATO, così come la perdita della proprietà della gran parte delle industrie e dei sistemi finanziari i programmi che hanno imposto la “riforma dell’educazione” ed il costante degradarsi delle condizioni di vita hanno avuto gravi conseguenze. L’economia nazionale serba è a tutt’oggi più importante di quella della ex Jugoslavia nel 1990, quando gli Stati Uniti affermarono che era troppo importante ed impossibile da regolare presentando questo come un motivo per smantellare la Jugoslavia. L’anno scorso il reddito mensile medio in Serbia era di appena 320 euro. Questo degrado delle condizioni di vita ha intaccato la moda. Per la prima volta le belgradesi hanno perduto l’abituale eleganza. Le giovani donne evidentemente fanno eccezione a questa regola ed appaiono alla moda, cosmopolite e ribelli come sempre.

La Serbia ha inoltre un altro grande problema che è l’invecchiamento della popolazione. E’ oggi uno dei dieci paesi al mondo con la popolazione più vecchia. Molta gente ha abbandonato la patria, e quelli rimasti non sentono più la motivazione ad allevare dei figli. La Serbia vive il settimo anno di saldo negativo tra nascite e decessi e vive una crisi demografica drammatica.

Sarebbe sbagliato pensare che I Serbi accettino tutto in silenzio. Anche nella situazione di estremo pericolo durante i 78 giorni di bombardamenti hanno fatto catene umane per difendere navi e porti, hanno organizzato concerti e manifestazione per lanciare il messaggio che essi resisteranno all’occupazione con lo spirito degli antenati. Greg Elich l’ha ben sottolineato (12) Andrej Grubacic ha descritto (13) come i lavoratori serbi hanno lottato nel corso degli anni contro le privatizzazione e la perdita dei mezzi di produzione. Quest’anno ho incontrato più serbi critici verso il governo lUE e i diktats globali degli USA che nelle mie precedenti visite. Malgrado tutto non ho lasciato Belgrado senza speranza.

I Serbi e tutti I popoli dei balcani hanno dimostrato nel corso dei secoli la propria forza la saggezza e la fermezza della resistenza a tutti gli oppressori che gli ha consentito di sopravvivere alle condizioni più sfavorevoli.

Tutti I popoli della Jugoslavia hanno perduto molto negli ultimi vent’anni. Ma anche quelli della Cecoslovacchia e della Polonia, dell’Ungheria e degli altri paesi europei. Nella sua corsa al profitto e nella sua volontà di dominio l’impero globale esige ancora più rinunce sacrifici e misure ciniche d’austerità. Le politiche funeste in economia, ecologia, educazione e sanità sono cappi al collo dei lavoratori di tutto il mondo. Possiamo sperare di risvegliare l’interesse per il passato unico della Jugoslavia e le lotte attuali dei suoi lavoratori che aprano la via ad una migliore comprensione e solidarietà oltre le frontiere.

Fonti: Balkans Infos

Note

(1) Anna Nevenic a présenté une description semblable de ce qu’ont vécu nos générations dans la Yougoslavie socialiste dans “A Short History of Serbia, Yugoslavia and the Balkan People”. 2003. Palm Springs, CA : United Children’s Network, p. 111-129
(2) Andrej Grubacic. 2010. “Don’t Mourn, Balkanize ! Essays After Yugoslavia”. Oakland : PM Press, p. 11-13
(3) Harold Lydall. 1984. Yugoslav Socialism. New York : Oxford University Press, p. 268. Même Lydall s’est servi de certains chiffres montrant qu’en 1980 30 % de la force de travail active se trouvait dans le secteur privé, laissant près de 70 % dans le secteur public.
(4) Grubacic, Ibid, pp. 220-241
(5) Mile Ilic and Branislav Markovic. 1996. Lokalna Samouprava u Jugoslaviji. Gradina.
(6) Certains de ces faits soulignés par Michael Parenti. 2000. “To Kill a Nation : The Attack on Yugoslavia”. New York : Verso. p. 17
(7) Milina Jovanovic. 1998. “Women’s Education and Employment in Yugoslavia and California”. Ann Arbor, MI : UMI
(8) Parenti, Ibid, p. 17
(9) Ibid, p. 18
(10) Parenti, Ibid, p. 19
(11) Greg Elich. 2006. “Strange Liberators : Militarism, Mayhem and the Pursuit of Profit”. Coral Springs, FL : Lumina Press, p. 213
(12) Elich, Ibid. p. 224
(13) Grubacic, Ibid. pp. 185-250 ; des exemples de luttes ouvrières à Zastava Elektro, Srbolek, BEK, Jugoremedija, et autres.




(Source: Lifeinthemix / ZNet - also in PDF)

In this essay I present my personal reflections on the life in the former Yugoslavia (Socialist Federal Republic of Yugoslavia) and on the current trends of privatization and corporate takeover of Yugoslav natural, economic, and human resources.  Years ago, I personally experienced the best phase of Yugoslav socialism and worked in academic and research institutions. Even though the following pages don’t appear in the form of a scholarly article, I attempt to briefly present and explain the most important institutions and aspects of the Yugoslav socio-political and economic system, highlighting “the Yugoslav way of life” and what it meant for the diverse peoples of Yugoslavia.  Seven small, disoriented, and colonized countries—the remains of Yugoslavia—struggle today, torn between their unique past and unsettling present. Desperation and apathy go hand in hand with wars and foreign occupation. Yet, Yugoslav people are resilient and therefore I finish this essay with some examples of current workers struggles and people’s resistance.

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Growing Up in the Socialist Yugoslavia

Growing up in Belgrade, and in the socialist Yugoslavia, my generation was very fortunate.  As elementary school children, we got to participate in self-management days. The entire school was run by students during those days: from administration, to class instruction, to cleaning and maintenance of school kitchens—everything was managed by students with no adult presence. Students applied and adjusted programs, maintained regular school schedules, gave lectures and graded assignments of their fellow students.  I vividly remember a few times when I acted as a teacher. All the grades that I gave to my schoolmates had the same importance as the grades given by our real teachers. We felt much empowered, trusted, responsible, and quite free. We went to school in shifts, because it was recognized by the society that some children (and adults) learn better in the morning and some stay more alert and creative in the afternoon.  The emphasis of the entire society was on developing collective values. Everything that happened in one classroom, including individual students’ performance, was discussed with all parents and students present. All the way into my adulthood, my generation felt safe and secure. As one of the three founders of the Nonaligned Movement, Yugoslavia’s goal was to only teach new generations how to defend their country; we never thought about meddling into any other country’s affairs.  My generation did not worry about the future[1]. We grew up relaxed and optimistic, cherishing priorities such as well-rounded self-development and self-liberation from any relicts of capitalist and patriarchal ideologies.

As a college student and later as a researcher and social scientist, I believed that one of my greatest priorities was to develop and maintain a critical approach towards the Yugoslav socio-economic and political system, so that it could continue to evolve. It is possible that my generation was one of the last generations of Yugoslav idealists and dreamers. Yugoslavia was like no other country in recent history. I came to this realization in much more profound ways once I immigrated to the U.S. My friend Andrej Grubačić wrote eloquently: “Yugoslavia for me, and for people like me, was never just a country—it was an idea. Like the Balkans itself, it was a project of interethnic coexistence, a transethnic and pluricultural space of many diverse worlds…a home to pirates and rebels; a refuge of feminists and socialists, of antifascists and partisans; a place of dreamers of all sorts struggling both against provincial “peninsularity” as well as against occupations, foreign interventions… Like my grandparents, I too believe in and dream of a region where many worlds fit, and where everything is for everyone. I have no other emotion but utter contempt for people who helped destroy Yugoslavia and I feel the same about the people who are now selling what is left of it.”[2] I am definitely one of the people who share Mr. Grubačić’s views.

Basic Characteristics of the Yugoslav Model of Socialism

In some instances, the Yugoslav model of socialism is recognized as unique even by those who are a priori against socialism. Yet, most scholarly works published outside Yugoslavia have failed to understand what constituted that uniqueness. Neither Yugoslav theoretical concepts nor their practical application are really well known in the Western world. I don’t use the phrase “communist Yugoslavia” because I don’t equate the rule of a communist party with communism. I would only use the term “communism” in its original Marxist terms as a new socio-economic formation. Rather, I believe that the word socialism is much more appropriate and reflective of the social reality that existed in Yugoslavia between 1945 and 1990. Every socialist society is transitional and contains elements of the old and new social systems. Socialist Yugoslavia was founded on several basic concepts, institutions, and practices. The most important ones were self-management and social ownership. Local control of local resources was guaranteed by the associations of free producers in the work arena while people directly participated in local governance in their neighborhood associations. In order to better address issues of self-management and social ownership, the society created a special branch of law called self-management law and corresponding self-management courts. Some people criticized this legal duality and the quantity of self-management laws and regulations.

It was considered that no one should acquire income based on private property, but based on labor. Theoreticians of socialist self-management argued that a unique category of social ownership would ensure that. Social ownership was not equal to state ownership. Means of production, land, housing resources, natural resources, common good, art, media, and educational institutions, were all to belong to the society as a whole—to everyone and no one in particular. Only about 20% of agricultural resources and small businesses were in the private sector[3]. Land that belonged to farm workers was limited to 10 hectares per individual. During the socialist era, most housing was constructed for working people and their families. Following specific criteria, workers were awarded apartments to use, but not to own. Their children and all future generations could also use the same apartments, but none of them were considered owners. Neither were they renters. This legal category is difficult to explain, as it goes beyond common understanding in the Western world.

In socialist Yugoslavia, it was a basic premise that local people had an inalienable right to control local resources. In associations of free producers, workers had many opportunities to make informed decisions about their needs, available resources, and spending. The Yugoslav people made decisions about their own natural resources, productive assets, and production itself. For example, domestic production of electric energy was designed to meet domestic needs for a period of several decades. All the way to the 1980s the majority of Yugoslav products were produced for domestic use, not for exports. Official data showed that between the 1950s and the early 1990s, the most common trading partners of all former Yugoslav republics were other Yugoslav republics.

In addition to social ownership, self-management was another crucial social institution; both were seen as ideals and basic principles of social organization.  Associations of Free Producers (OUR) were basic units of associated labor and they were organized on several levels. Working people decided to work together in order to meet their common needs and interests, so they created these associations. They worked collectively by using socially owned means of production and produced goods and values. Associations of free producers existed in the sphere of material production, but also in other social sectors such as social services, culture, art, education and health care. In every such association, most important decisions were made by referendum. Workers also formed workers councils that met regularly in order to run the associations on a day-to-day basis. Some American authors, such as Michael Albert[4], often talk about participatory economics implying that this is somewhat a new concept. Such authors rarely recognize the importance of the Yugoslav model of self-management that was in place for more than forty years. My own father was at the same time a production worker and a manager. In my youth, I was able to see self-management in practice and witness some of its organizational efficiency. For example, the complete body of workers in one association would meet and propose candidates for worker’s council, or plan their annual production. It is true that over time the existence of the market economy and other factors, limited economic and political power of the working people. Yet, this shouldn’t nullify the value of the Yugoslav experiment with self-management, in both theory and practice.

Neighborhood associations (Mesne Zajednice) were another type of basic units of self-governance. In associations of free producers, neighborhood organizations, and communes, Yugoslav people had an opportunity to engage in direct self-management. In neighborhood associations people made decisions about their neighborhoods and daily lives. In addition, they selected delegates for communal and republic governments, made decisions regarding working and living conditions, social politics, child care, education etc. Every neighborhood association had its own statute created by the people living in it. The most important decisions were also made by referendums.

Communes were larger territorial units, founded on the principles of the Paris Commune[5] to ensure decentralization and people’s direct participation in local self-governance. Communes, republics, autonomous provinces and the Yugoslav federation were connected in the same pyramid of the socio-political system. All republic constitutions acknowledged the Commune as the basic socio-political unit, critically important for republic and federal governments.  The main goal of all economic and political processes in socialist Yugoslavia was to achieve the best possible working conditions and living standards for all working people.

 

Socialist Yugoslavia’s Achievements and the Global Corporate Agenda

During the entire socialist period, and especially between the 1960s and the 1980s, Yugoslavia was a prosperous country in which every person was guaranteed the right to work and receive a living-wage, free education of superb quality—all the way to post doctorate degrees, a minimum of one month paid vacation, unlimited sick leave based on health needs, a yearlong paid maternity/paternity leave, and the right to housing[6]. In addition, Yugoslavia was the only country in the world that incorporated women’s reproductive rights and freedoms in its constitution. Women made multiple advances in the spheres of education and employment, entering traditionally male dominated fields in very significant numbers. My master’s thesis compared Yugoslav and Californian women’s achievements in these two spheres. The data I collected showed that women in Yugoslavia made greater advances and challenged patriarchal divisions more often than women in California.[7]

During the same period, public transportation worked well, cultural and artistic life flourished and much of it was considered vanguard in global terms. All forms of artistic and cultural events and performances were produced for the people and there was no “elite culture” or “elite art.” Participation in all of cultural and artistic events was very affordable. Children were taught music, art, and a number of foreign languages at a very early age (starting in kindergarten).  In the original Marxist tradition, it was considered that all people should be raised as well-rounded individuals. Starting in elementary school, we were taught to always perform and balance manual and intellectual work and to resist over-specialization. General education was highly valued. History and geography classes included lessons covering all continents. Especially during the early years of socialism, people of all ages, and youth in particular, volunteered to work together to build bridges, roads, plant trees and forests. Doing public works gave them a sense of pride, provided opportunities for new friendships and expanding horizons. My generation had annual school plans that included week long fieldtrips, so that we could go to different resorts and see natural jewels located in other Yugoslav republics. Yugoslav multiculturalism is rarely understood in the Western world. Throughout the socialist period there was a high rate of intermarriages and great numbers of people embraced what was called “Yugoslav brotherhood and unity.” Socialist Yugoslavia had a good reputation all over the world: it was seen as an instrumental member of Nonaligned Nations and an important partner in international relations.

As Michael Parenti stated numerous times, this is exactly an example of a country that would bother the U.S. policymakers, especially after the 1980s. Such countries challenge the U.S. quest for global domination, prospects of the global corporate agenda and “thirdworldization” of the entire planet[8]. At the beginning of 1990, the time came for the U.S. and its NATO allies to intervene: they did whatever was in their power, including the use of the pure force, in order to wipe out Yugoslavia from the map of Europe. Yet, Yugoslavia (and especially Serbia and Montenegro) was the only country in the region that wouldn’t voluntarily discard what remained of its socialism in order to install a free-market system[9].  The dismantling of Yugoslavia and wars of the 1990s are not the topic of this essay. Much has been written on that topic, mostly as a justification for NATO and U.S. wars and subsequent occupation. However, for a small number of scholars and activists it was obvious even in the 1990s that the goals of the global empire were no different in Yugoslavia than in multiple other countries around the globe. Again, in Parenti’s words:  “the U.S. goal has been to transform Yugoslavia into a cluster of weak right-wing principalities with the following characteristics :

a)     Incapable of charting an independent course of self-development

b)     Natural resources completely accessible to transnational corporate exploitation, including the enormous mineral wealth in Kosovo

c)     An impoverished but literate and skilled population  working at subsistence wages, a cheap labor pool that will help depress wages in Western Europe and elsewhere

d)     Dismantled petroleum, engineering, mining, pharmaceutical, construction, automotive, and agricultural industries, so they no longer offer competition against Western producers.[10]

The U.S. and its NATO allies had some additional goals to be achieved by destroying Yugoslavia. Yugoslavia was often seen as a regional power and a seed of a larger Balkan federation. That in itself was a real threat for the global empire’s quest for absolute domination. The U.S. and its European NATO allies also knew that their physical presence in the Balkan Peninsula would bring many additional rewards such as better oversight of all European resources and developments, control over the heroin trade, human and organ trafficking, and the Caspian Sea pipeline. The so-called peacekeeping missions which obviously became clear occupation agendas ensured building and maintenance of permanent military bases and detention centers.

In many ways, the U.S. and the E.U. have already achieved a number of their imperial goals. Visiting my hometown on an annual basis, I can see greater numbers of accomplishments every year. However, the complete occupation, privatization of all economic and natural resources, as well as total demoralization of people are not easy goals to achieve in the Balkans. In his documentary film The Weight of Chains, Serbian-Canadian director Boris Malagurski shows that many people are waking up, now realizing that the free-market economy and foreign domination have brought hardly anything positive. This has happened in all countries that once constituted Yugoslav republics. What free-market ideologists call “Yugonostalgia” is actually awakening and realization of the great loss. This is also an affirmation of people’s collective memory and a testimony that opposing processes exist together in their own dialectical unity: some social forces strive for inclusion in E.U., while others struggle to go back to their socialist tradition and maintain independence. Yugoslav peoples couldn’t simply erase their positive experiences gained from living under socialism. Even though the imposed ideologies glorifying capitalist values and consumerism, the values of the European Union and global corporate agenda are influential, significant numbers of workers do attempt to regain their power. They struggle against privatizations, corporate takeovers, loss of jobs and general austerity measures. The resistance has never stopped.

 

The Advancement of the Global Empire

The neocolonial agenda has advanced in recent years. Here is what I observed several months ago in Belgrade, Serbia’s capital.

People’s Resources, Industry, Financial Sector, and Consumerism

Walking around Belgrade, especially in the downtown area, I counted numerous offices of foreign banks. In many instances, these banks are on every corner and often spread out with their doors only 100 meters apart. In addition, the number of exchange offices didn’t decrease that much from the time of the early 1990s when they were mushrooming literally everywhere. This is consistent with the takeover of the Serbian financial sector by the EU powers & so-called international financial institutions. The Serbian workers who work in these banks are sometimes quite grumpy and not necessarily meeting the standards of “professionalism” expected in other countries. This time, because of an incident when an ATM machine wouldn’t return my card and the bank was closed on Friday evening, Saturday, and Sunday, I had to endure their bad customer service and arrogant attitudes. It seems that they are not happy about their working conditions imposed on them by these unscrupulous foreign banks and their disturbance and disappointment are then reflected in their work with customers.

The newly embraced capitalist ideology that glorifies consumerism is clearly visible on the streets, in shops, institutions, and in the media. Every year, there is a slightly larger number of fast food restaurants such as Mc Italia, or Greek and Chinese fast food. These unhealthy foods and drinks are coupled with what many Belgraders believe is already happening behind closed doors—imports of GMO seeds and foods, in spite of the government claims that they wouldn’t allow something like that to happen. The same is applicable to inhumanely produced meat that is full of hormones and infectious bacteria. As a result, we can see more overweight people on the streets of Belgrade. However, it seems that this is still a marginal problem since Belgraders walk a lot and many now jog, bike and go to yoga classes. The more alarming part seems to be the increase in numbers of people in their forties and fifties who suffer from high blood pressure, heart diseases, and stroke.

The foreign firms bought numerous formerly Serbian or Yugoslav companies. The privatization of Yugoslav water resources is one of the most striking examples. Rosa Water is a Coca-Cola Hellenic owned company, VODA VODA is owned by the Arteska International Co, BB Minaqua Co. is divided by Krones of Germany, Sidel of Italy and Thomson Machinery for its Cyprus production. Even though many of these firms claim that they have eco-friendly packaging, such as “Rosa plant-based bottle,” the plastic packaging and its waste are saturating the environment while leaching toxic chemicals into the bottled water that many Belgraders now buy and carry around with them. Previously, the tap water quality was much higher and hardly anyone believed that they needed bottled water. Until the 1990s, all beverages were packaged in glass bottles.

Garment and cosmetic firms are now either foreign or domestic ones that have been bought by foreigners. For example, if we look at the children’s clothing, shoes, cosmetics, food, etc. we get a combination of these mostly foreign and well-known brands that now have all markets open to them: Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestle, Juvitana, & Bebelac. Kosili and Dr. Pavlovic are among a few exceptions. While we had a few Italian baby firms present in Belgrade even before the wars of the 1990s, Nestle & Disney are definitely more present now. Even some domestic firms wanted English names such as BEBA KIDS, Just Click, etc.

Belgrade based Dahlia Cosmetics used to produce predominantly plant and mineral based cosmetic products. Now Dahliacosmetic is privatized and, as stated on its website, 100% owned by the Belgrade’s Beohemija. Beohemija in turn, was formed as a merger between Delta from Zrenjanin and Slovenian Sanpionka. In all of those mergers and privatizations thousands of workers lost their jobs and it is difficult to believe that now Dahlia wouldn’t replace the mineral based products with the use of synthetic ingredients. Just by looking at the labels of a few products I had seen, it was difficult to say.
Duvanska Industrija Niš or Nis Tobacco Industry was repeatedly bombed during the NATO’s bombing operations in 1999. It was one of the largest factories employing 2,500 workers.[11] These bombing operations prepared the terrain for the subsequent take-over. In 2003 the tobacco giant Phillip Morris seized the Serbian cigarette factory. Philip Morris uses GMO tobacco additionally saturated with pesticides in its cultivation and other toxic substances in the cigarette production.
Speaking of privatizations and loss of jobs, many businesses have closed and new ones opened in the past 2 years, since my last visit. There was a souvenir shop across the street from the Belgrade City Hall the last time I was there, but now there was a different kind of store in the same space and no one I asked knew what happened with the souvenir shop. Serbia doesn’t have the domestic garment industry anymore as Centrotekstil, Kluz, Beko, Tekstilna Industrija Zemun, all ceased to exist. The same is true for the Elektronska Industrija Niš (Nis Electronic Industry) and Zemun’s INSA that produced clocks and watches. Both of these viable domestic industries completely disappeared. Zastava—the domestic car industry based in Kragujevac is also destroyed. Once solid shoe industry is now reduced to Boreli a firm whose production sites and stores were targeted by the Croatian Borovo for potential sell-offs. Borovo claimed to be the headquarters of the Sombor firm. Workers’ prolonged struggles at Boreli have not resolved the question of privatization. In Serbia, all industry together now amounts to 37% of what it was in 1986. In addition to corporations, even politicians such as Madeleine Albright have an eye on the Yugoslav industry, services, and resources. Albright Capital Management or ACM—the former Secretary of State Albright’s Company—is buying Kosovo’s Telecom, as reported by Tanjug & RTS on August 18. Madam Albright served under Bill Clinton and was instrumental in the delivery of the “humanitarian wars” against Yugoslavia and Serbia specifically.

Apple now has several offices in Belgrade and is selling its expensive equipment to the wealthy segment of Belgrade’s population. Yugoslavia always had good foreign language university departments and domestic institutes. This year, I saw a Berlitz Institute’s office at Belgrade’s hillside called Banovo Brdo, so I suspect that the new assumption is that domestic language institutes are not necessarily considered “world-class institutions.” It might sound strange to some, but is probably a logical consequence of the destroyed economy that relied on black markets during the war years, but it is still not that uncommon to buy a computer in regular stores, get an official declaration and warranty certificates that list official service providers, and then receive service through official channels by knowledgeable individuals who would work for those servicing firms unofficially.

Language, Culture, Services, and Public Displays

It is often considered that one of the best indicators of the level of colonization is the incorporation of the language of the oppressor into the native language of the oppressed people. At this time and era oppressors come as a multiplicity, not as one. The Serbian language is definitely invaded with so many foreign words, but they are predominately English words. In many instances, they sound almost ridiculous, as funny hybrids (such as surfuj, katering, etc.), directly put in Serbian Cyrillic and with Serbian spelling. It is difficult to listen, and sometimes refrain from laughing. We still have countless numbers of Turkish words and phrases that became so deeply ingrained into the Serbian language because of the centuries long Ottoman rule; regardless of the fact that we used to resist and protest their usage, now some of them might sound better than what is currently invading the Serbian language. Countless local businesses, music bands, tourist offers, etc. all have English names instead of Serbian. In addition, Belgrade has always hosted some of the most famous rock groups, other musicians and all kinds of celebrities. This summer, it also had Cirque de Soleil perform for Belgraders. The popular riverside boat restaurants (splavovi) are as active as ever. One of them is called “Bollywood.”

For the first time I saw Chinese-Serbian people walk around town relaxed and behaving like tourists. During previous years I could see them only working in Belgrade’s Chinatown. The estimates are that now we have less than 5,000 Chinese residents in Belgrade. Some do have children who go to regular Serbian schools. This is one of the great illustrations of surprising patterns of global migrations.

Public transportation is still working well in Belgrade. Yet, they recently introduced an electronic ticketing machines to be used in buses leaving too many passengers confused and uninformed about how to use them, where to get tickets, etc. The transition has not happened smoothly.

Belgrade has too many humongous billboards that celebrate the new capitalist consumerism and contain commercials for foreign banks, corporations, and products. There are a few enormous sized billboards advertizing Viagra equivalents. Now, Serbian people have their own Viagra product called “Vulkan” (volcano). As all colonized people are, the people from the Balkans were also often over-sexualized by their oppressors over the centuries, especially men. Yet, in today’s world, many are being convinced that they need boosters and medical help. All of that generates profits and dependent, long-term customers.

Serbian People’s Realities, Resiliency and Resistance

My daughter presented in her paper that the urban culture of Belgrade remains torn between the pressures of global markets dictated by political powers coming from the E.U. and the U.S., and its own original multicultural present and past. The people of Serbia, and the Belgraders in particular, are resisting these powers in many different ways. They might find that it is beneficial to incorporate some elements of the dominant E.U. culture into their own. Yet, for the most part, they continue with their own traditions. Belgraders have many summer events such as open air theatres (this time I saw a roof-top theatre, summer scene), free street jazz concerts in downtown, countryside tourism on the edges of the city where the traditional village culture meets some of the technological advances. They also organize youth events and camps, yoga courses at Belgrade’s beach called Ada, in the grassy, shady area. It seems that Belgraders and other Serbian people remain determined to make the best of all possible cultural blends, attempting to reverse the oppressors’ quest for suppression of what is uniquely Serbian.

Belgraders also have a small sized Occupy movement and groups such as the Freedom Fight Movement. The Freedom Fight is active on multiple fronts, from accompanying workers in their struggles, to protesting the NATO conference last year. This group also collaborates with many international organizations who are working towards organic sustainable, independent local food systems. The determined political actions of Belgraders have forced the American Embassy to remove all windows from its building facing the street side! They are now built-in walls where once they had large windows. Last year, when the media reported that the largest European nuclear waste facility would open in Vinca near Belgrade the people’s outrage obviously produced some effect. The authorities are now completely silent about this issue.

The decades of economic crises, wars, embargoes, NATO bombing, the almost complete take-over of Serbian industries and financial systems, the forced loans and programs that imposed “educational reforms,” and the continuous decline in standards of living have taken a toll on the population of Serbia. The Serbian national debt is now bigger than the one that the former Yugoslavia had in 1990 when the U.S. said it was too big and impossible to pay, presenting that as a reason for supporting (actually causing) the dismantling of Yugoslavia. Last year, the median monthly income in Serbia was only 320 Euros. With this decline in living standards, I noticed especially this year, that woman’s fashions also changed. For the first time, Belgrade’s women don’t look as elegant as they once did. The young people are, of course, exceptions from any rules. They seem as fashionable, cosmopolitan, and rebellious as ever.

However, Serbia has another enormous problem: the aging of its population. It is now one of the top 10 countries in the world with the oldest population. So many of us left our homeland during our prime working years and those who stayed do not have the means and motivation to raise children. Serbia is now experiencing the 7th year in a row with negative birth rates and the country is in a dramatic demographic crisis. During this extra hot summer, it was not always easy to see Belgrade’s aged population walking around. Many of them stayed indoors.

It would be wrong to think that the Serbian people are just accepting everything silently. Even in extremely dangerous situations, such as during the 78 days of bombing Serbian people formed human chains to defend buildings and bridges, held concerts and demonstrations to send a message that they would resist occupation in the spirit of their ancestors, as Greg Elich, pointed out. [12] Additionally, Andrej Grubačić described[13] how Serbian workers fight for years and do prevent or delay some privatizations and takeover of their means of production. This year, I met more Serbs who are very critical of the Serbian government, the E.U. and U.S. global dictates than I could imagine in my previous visits. In spite of everything, I did not leave Belgrade without hope. Serbian and all Balkan peoples have demonstrated over the centuries that their resiliency, common wisdom, and stubborn, principled resistance directed towards many oppressors do help them survive, adapt, and live the best possible life under most unfavorable circumstances.

All Yugoslav people lost a lot in the past twenty years. But so did people of Czechoslovakia, Poland, Hungary, and many other European countries. In its quest for greater profits and absolute domination the global empire demands more exploitation, more sacrifices and more ruthless austerity measures. These detrimental economic, environmental, educational, health, and other social policies are actually forced down the throats of most working people around the world. Hopefully we can spark the interest in Yugoslavia’s unique past and current workers’ struggles, paving the road for greater understanding and solidarity beyond national boundaries.

 

 Notes

[1] Anna Nevenic presented a similar description of what our generations experienced in socialist Yugoslavia in: A Short History of Serbia, Yugoslavia and the Balkan People. 2003. Palm Springs, CA: United Children’s Network, p. 111-129

[2] Andrej Grubačić. 2010. Don’t Mourn, Balkanize! Essays After Yugoslavia. Oakland: PM Press, p. 11-13

[3] Harold Lydall. 1984. Yugoslav Socialism. New York: Oxford University Press, p. 268; even Lydall used some figures showing that in 1980 approximately 30% of active workforce worked in the private sector, leaving close to 70% of the workforce in the social sector.

[4] Grubačić, Ibid, pp. 220-241

[5] Mile Ilić and Branislav Marković. 1996. Lokalna Samouprava u Jugoslaviji. Gradina.

[6] Some of these facts highlighted in: Michael Parenti. 2000. To Kill a Nation: The Attack on Yugoslavia. New York: Verso. p. 17

[7] Milina Jovanovic. 1998. Women’s Education and Employment in Yugoslavia and California. Ann Arbor, MI: UMI

[8] Parenti, Ibid, p. 17

[9] Ibid, p. 18

[10] Parenti, Ibid, p. 19

[11]Greg Elich. 2006. Strange Liberators: Militarism, Mayhem and the Pursuit of Profit. Coral Springs, FL: Lumina Press, p. 213

[12] Elich, Ibid. p. 224

[13]  Grubačić, Ibid. pp. 185-250; examples of workers’ struggles from Zastava Elektro, to Srbolek, BEK, Jugoremedija, and others.


Milina Jovanovic a passé la première partie de sa vie à Belgrade avant d’émigrer aux Etats-Unis en 1990. Titulaire de plusieurs diplômes, auteur de nombreux articles de sociologie et d’un livre de poèmes, elle vit à Sunnyvale en Californie, où elle est membre du Bureau de relations humaines et chargée de cours aux immigrants du comté de Santa Clara. Son essai est publié sur deux numéros de Balkans Infos que nous reproduisons ici. (Source : Balkans Infos / InvestigAction)

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Dans cet essai je présente mes réflexions personnelles sur la vie dans l’ex-République socialiste fédérale de Yougoslavie et sur les tendances actuelles de privatisation et de prise de contrôle des ressources naturelles, économiques et humaines du pays. Il y a des années, j’ai fait l’expérience personnelle de la meilleure période du socialisme yougoslave en travaillant dans un organisme d’études et de recherches. Dans les pages qui suivent, j’essaie de décrire brièvement et d’expliquer les plus importantes institutions et les aspects du système socio-politique et économique yougoslave, en évoquant le “style de vie” yougoslave et ce qu’il signifiait pour les populations différentes du pays. Sept petits pays désorientés et colonisés – les restes de la Yougoslavie – se battent aujourd’hui pour survivre, déchirés entre leur passé unique et leur présent perturbé. Désespoir et apathie se mêlent aux guerres et à l’occupation étrangère. Pourtant le peuple yougoslave est dur au mal, ce qui me fait achever cet essai par quelques exemples de luttes ouvrières actuelles et de résistance populaire.
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Ma génération a eu la chance de grandir à Belgrade, dans la Yougoslavie socialiste. En tant qu’enfants à l’école élémentaire, nous avons participé au moment de l’auto-gestion. L’école entière était dirigée à l’époque par les écoliers, depuis l’administration jusqu’à l’éducation en classe, au nettoyage et à l’entretien des cuisines – tout était géré par les étudiants sans présence d’adultes. Les écoliers appliquaient et adaptaient les programmes, maintenaient la régularité des horaires, faisaient des exposés et jugeaient des progrès de leurs compagnons d’études. Je me souviens parfaitement des fois où j’ai joué le rôle de professeur. Les notes que je donnais à mes compagnons avaient la même importance que celles données par nos vrais professeurs. Nous nous sentions habilités, fiables, responsables, et entièrement libres. Nous allions à l’école par tournées parce qu’il était admis que certains enfants (et adultes) apprennent mieux le matin et que d’autres sont plus alertes et créatifs l’après-midi.
 
L’accent de toute la société était mis sur le développement des valeurs collectives. Tout ce qui se passait dans une salle de classe, y compris les performances individuelles des écoliers, étaient discuté en présence de tous les parents et étudiants. Pendant toute la durée de ma croissance, ma génération s’est sentie en sécurité. En tant qu’un des trois fondateurs du Mou-vement des non-alignés, le seul but de la Yougoslavie était d’apprendre aux nouvelles générations à défendre leur pays, nous n’avons jamais songé à nous mêler des affaires d’autres pays. Ma génération ne se préoccupait pas de l’avenir (1). Nous grandissions relaxés et optimistes, nous attachant à des priorités telles qu’un bon développement personnel et l’affranchissement des relents idéologiques du capitalisme et du patriarcat.
 
Comme étudiante à l’université et plus tard comme chercheuse et scientifique en matière de société, j’étais convaincue qu’une de mes priorités était de développer et d’entretenir une approche critique du système socio-économique et politique yougoslave, pour qu’il puisse continuer à évoluer. Il est possible que ma génération ait été la dernière des idéalistes et rêveurs yougoslaves. La Yougoslavie ne ressemblait à aucun autre pays de l’histoire récente. Je m’en suis rendue compte de façon bien plus profonde lorsque j’ai émigré aux Etats-Unis. Mon ami Andrej Grubacic l’écrit avec éloquence : “La Yougoslavie pour moi, et pour des gens comme moi, n’a jamais été qu’un pays – c’était une idée. A l’image des Balkans eux-mêmes, c’était le projet d’une existence interethnique, d’un espace transethnique et multiculturel de mondes différents, un foyer de pirates et de rebelles, un refuge de féministes et de socialistes, d’antifascistes et de partisans, un lieu de rêveurs de toutes sortes se battant à la fois contre la “péninsularité” provinciale et les occupations et interventions étrangères.” Comme mes grand-parents, moi aussi je crois à une région réunissant différents univers et où tout est à tout le monde. Je n’ai pas d’autre émotion qu’un mépris total pour les gens qui ont aidé à détruire la Yougoslavie, et je ressens la même chose à l’égard de ceux qui vendent aujourd’hui ce qui en reste. (2) Je fais à coup sûr partie des gens qui partagent les opinions de M. Grubacic.

 Le modèle socialiste yougoslave

Par certains côtés, le modèle yougoslave de socialisme est reconnu comme unique même par ceux qui sont à priori opposés au socialisme. Pourtant, la plupart des études savantes publiées en dehors de la Yougoslavie n’ont pas compris ce qui constituait ce caractère unique. Ni les concepts théoriques ni les applications pratiques ne sont bien connus en Occident. Je n’emploie pas la formule “Yougoslavie communiste” parce que je n’assimile pas la gouvernance d’un parti communiste au communisme. Je ne me sers du terme “communisme” que dans son sens original marxiste de nouvelle formation socio-économique. En fait, je pense que le mot “socialisme” convient mieux à la réalité sociale qui existait en Yougoslavie entre 1945 et 1990. Toute société socialiste est transitoire et contient des éléments des systèmes sociaux anciens et nouveaux.
 
La Yougoslavie socialiste se fondait sur plusieurs principes de base, institutions et pratiques. Les plus importants étaient l’auto-gestion et la propriété sociale. Le contrôle sur place des ressources locales était garanti par des associations de producteurs libres dans le monde du travail alors que les gens participaient directement à la gouvernance locale dans leurs associations de voisinage. La société avait créé une branche spéciale de légalité appelée loi d’auto-gestion avec des tribunaux correspondants. Certains critiquaient cette dualité légale et l’abondance de lois et de règlements d’auto-gestion.
 
Il était considéré que personne ne devait avoir de revenu provenant de la propriété privée, autre que celui basé sur le travail. Les théoriciens de l’auto-gestion socialiste arguaient que cela pouvait être assuré par une catégorie unique de propriété sociale. La propriété sociale n’était pas la même chose que la propriété d’Etat. Les moyens de production, la terre, le logement, les ressources naturelles, le bien public, l’art, les médias et les organismes d’enseignement devaient appartenir à la société dans sa totalité – à tout le monde et à personne en particulier. Seulement environ 20 % des ressources agricoles et des petites affaires demeuraient dans le secteur privé. (3) La terre appartenant aux fermiers était limitée à 10 hectares par individu. La plupart des habitations étaient construites pour les travailleurs et leurs familles. Selon des critères spécifiques, on allouait des appartements aux travailleurs pour qu’ils en usent sans en être propriétaires. Leurs enfants et les générations à suivre pouvaient aussi s’en servir sans en avoir la propriété. Ils n’en étaient pas non plus locataires. Ce système légal est difficile à expliquer, parce qu’il dépasse la compréhension de l’Occident.
 
Dans la Yougoslavie socialiste, un principe de base était que les citoyens locaux avaient le droit inaliénable de contrôler les ressources locales. Dans les associations de producteurs libres, les travailleurs avaient beaucoup d’occasions de prendre des décisions en connaissance de cause sur leurs besoins, ressources disponibles et dépenses. Le peuple yougoslave décidait de ses ressources naturelles, de ses moyens de production et de la production elle-même. Par exemple ; la production d’énergie électrique était destinée à subvenir aux besoins domestiques pendant plusieurs décennies. Jusque dans les années 80, la majorité des produits yougoslaves étaient destinés à l’usage domestique, pas à l’exportation. Les documents officiels montrent qu’entre les années 50 et le début des années 90, les partenaires commerciaux habituels des ex-républiques yougoslaves étaient les autres républiques yougoslaves.
 
En plus de la propriété sociale, l’auto-gestion était l’autre institution fondamentale. Les deux étaient vus comme l’idéal et les principes de base de l’organisation sociale. Les groupements de producteurs libres (OUR) étaient les unités de base du travail associatif et étaient organisés à plusieurs niveaux. Les travailleurs avaient décidé de travailler ensemble pour subvenir à leurs besoins communs et défendre leurs intérêts, et ont créé ces associations. Ils travaillaient collectivement en utilisant les moyens sociaux de production et leurs produits. Les associations de producteurs libres existaient dans le domaine de la production matérielle, mais aussi dans ceux des services sociaux, de la culture, de l’art, de l’éducation et de la santé. Dans chacune d’entre elles, les décisions étaient prises par référendum. Des conseils ouvriers se réunissaient régulièrement pour diriger le quotidien des associations.
 
Certains auteurs américains, comme Michael Albert (4) parlent souvent de l’économie participative comme étant une nouveauté. Ils reconnaissent rarement l’importance du modèle yougoslave d’auto-gestion existant depuis plus de quarante ans. Mon propre père était à la fois un travailleur dans la production et un gestionnaire. Dans ma jeunesse, j’ai pu voir l’auto-gestion en pratique et mesurer son efficacité. Par exemple, c’était l’ensemble des membres d’une association qui se réunissait pour choisir les candidats au conseil ou planifier la production annuelle. C’est vrai qu’avec le temps, l’économie de marché et d’autres facteurs ont limité le pouvoir économique et politique des travailleurs. Mais cela ne doit pas diminuer la valeur de l’expérience yougoslave d’auto-gestion, à la fois en théorie et en pratique.
 
Les associations de voisinage (Mesna Zajednice) étaient un autre type d’unités de base du self-gouvernement. Les gens y prenaient les décisions concernant leur vie quotidienne et leur entourage. Ils y choisissaient leurs délégués aux gouvernements communaux et nationaux et organisaient leurs conditions de vie et de travail, le traitement des besoins sociaux, le soin des enfants, l’éducation,, etc. Chaque association avait ses propres statuts créés par les habitants du secteur. Les décisions importantes y étaient aussi prises par référendums.
 
Les communes étaient des unités territoriales plus larges, fondées sur les principes de la Commune de Paris (5), et destinées à assurer la décentralisation et la participation directe du peuple à son auto-gouvernement. Les communes, les provinces autonomes, les républiques et :la Fédération étaient inter-connectées dans la même pyramide du système. Les constitutions de toutes les républiques reconnaissaient la commune comme l’unité de base socio-politique, d’une importance capitale pour les gouvernements des républiques et de la Fédération. Le but principal de toutes les structures économiques et politiques de la Yougoslavie socialiste était d’assurer à, tous les travailleurs les meilleurs conditions de travail et de vie.

 
Pendant toute la période socialiste, et particulièrement entre les années 60 et 80, la Yougoslavie était un pays prospère où chacun avait la garantie de pouvoir travailler, recevoir un salaire décent et bénéficier d’une éducation de grande qualité jusqu’après le doctorat, d’un minimum d’un mois de vacances payées, d’un congé maladie illimité selon les besoins de santé, d’un congé payé d’un an de maternité-paternité et d’un droit au logement. (6) De plus, la Yougoslavie était le seul pays au monde à avoir inclus dans sa constitution les droits et libertés de la femme. Les femmes ont fait des percées multiples dans les domaines de l’éducation et de l’emploi, investissant en grand nombre ces espaces traditionnellement à dominance masculine. Ma thèse de maîtrise comparait les progrès des femmes dans ces deux domaines en Yougoslavie et en Californie. Les documents que j’ai réunis montrent que les femmes yougoslaves ont réussi plus d’avancées et mieux défié les habitudes patriarcales que les Californiennes. (7)
 
Pendant la même période, les transports publics fonctionnaient bien, la vie culturelle et artistique était florissante et même, sur beaucoup de points, était considérée comme d’avant-garde. Toutes les performances et tous les événements artistiques et culturels étaient réalisés pour le peuple, il n’y avait pas de “culture d’élite” ou d’”art d’élite”. La participation à toutes les manifestations était d’un prix très abordable. Les enfants apprenaient la musique, l’art et un nombre de langues étrangères dès un âge précoce (déjà au kindergarten). Dans la tradition originelle du marxisme, on considérait que toute personne devait être élevée en individu bien développé. Dès l’école élémentaire, on nous apprenait à équilibrer le travail manuel et le travail intellectuel, et à résister à un excès de spécialisation. L’éducation générale était hautement prisée. Les classes d’histoire et géographie comprenaient des leçons sur tous les continents. Surtout lors des premières années du socialisme, des gens de tous âges, les jeunes en particulier, se portaient volontaires pour travailler ensemble à construire des ponts et des routes, à planter des arbres et des forêts. Participer à des travaux publics leur donnait un sentiment de fierté et fournissait les occasions de nouvelles amitiés et d’élargissement de l’horizon. Ma génération avait des plans annuels d’école, qui comprenaient des sorties d’une semaine, qui nous menaient à des sites différents où nous faisions la connaissance des bijoux naturels des autres républiques. Le multiculturalisme yougoslave est rarement compris en Oc-cident. Pendant la période socialiste, il y a eu une forte proportion de mariages mixtes et un grand nombre de gens avaient embrassé la cause de ce qu’on appelait la “fraternité et unité” yougoslaves. La Yougoslavie socialiste avait une bonne réputation dans le monde entier : elle était vue comme un membre essentiel des nations non-alignées et un partenaire important des relations internationales.

Un cauchemar pour les politiciens US

Comme l’a souvent répété Michael Parenti, elle a l’exemple d’un pays qui indispose les politiciens américains, surtout depuis les années 1980. Ce genre de pays défie la recherche US de domination globale, les projets mondiaux des grandes compagnies et la “tiersmondisation” de toute la planète. (8)
 
Au début de 1990, le temps est venu pour les USA et ses alliés de l’OTAN d’intervenir : ils ont fait tout ce qu’ils ont pu, y compris en utilisant la force brutale, pour effacer la Yougoslavie de la carte de l’Europe. La Yougoslavie (et surtout la Serbie et le Monténégro) était le seul pays de la région à ne pas rejeter ce qui restait de son socialisme pour installer le système du marché libre. (9) Son démembrement, et les guerres des années 90 ne sont pas le sujet de cet essai. Beaucoup de choses ont été écrites à ce propos, surtout pour justifier les guerres des USA et de l’OTAN, et l’occupation qui a suivi. Pourtant, pour un petit nombre de chercheurs et de militants, il était évident déjà dans les années 90 que les objectifs de l’empire mondial étaient les mêmes en Yougoslavie que dans beaucoup d’autres pays du globe. Citons encore Parenti : “Le but des USA était de transformer la Yougoslavie en un amas de faibles principautés de droite avec les caractéristiques suivantes :
a) l’incapacité de se fixer une perspective indépendante de développement propre ;
b) des ressources naturelles entièrement accessibles à l’exploitation par les grandes compagnies internationales, y compris l’énorme richesse minière du Kosovo ;
c) une population appauvrie mais instruite et qualifiée, travaillant pour des salaires à peine suffisants pour vivre, une main d’œuvre à bon marché aidant à réduire les salaires en Europe de l’ouest et ailleurs ;
d) le démantèlement des industries pétrolière, d’ingéniérie, minière, pharmaceutique, du bâtiment, automobile et agricole de manière à ce qu’elles ne concurrencent plus les producteurs occidentaux.”
 
Les Etats-Unis et leurs alliés de l’OTAN voyaient d’autres profits à détruire la Yougoslavie. Celle-ci était considérée comme une puissance régionale et le germe d’une fédération balkanique. Ils savaient que leur présence physique dans la péninsule balkanique leur apporterait des gratifications supplémentaires telles qu’un meilleur contrôle des ressources et développement européens, du trafic de l’héroïne et des organes humains, et du pipeline de la mer Caspienne. Les soi-disant missions de paix sont devenues des programmes d’occupation assurant la construction et l’entretien de bases militaires permanentes et de centres de détention.
 
A beaucoup de points de vue, les USA et l’Union européenne ont atteint un certain nombre de leurs buts. Lors de ma visite annuelle à la ville où je suis née, je vois de nouvelles réalisations à chaque fois. Mais l’occupation complète, la privatisation de toutes les ressources économiques et naturelles, ainsi que la totale démoralisation du peuple, ne sont pas faciles à achever dans les Balkans. Dans son film documentaire “The Weight of Chains” (le poids des chaînes), le réalisateur serbo-canadien Boris Malagurski a montré que bien des peuples se réveillent, se rendant compte que l’économie de marché et la domination étrangère n’ont rien amené de positif. C’est ce qui se passe dans tous les pays qui constituaient jadis la Yougoslavie. Ce que les idéologues du marché libre appellent la “yougonostalgie” se renforce avec la conscience d’une grande perte. Il y a l’affirmation d’une mémoire collective du peuple, et le preuve que des oppositions existent dans leur unité dialectique : certaines forces sociales luttent pour leur entrée dans l’UE alors que d’autres se battent pour retrouver leur tradition socialiste et maintenir leur indépendance.
 
Les peuples yougoslaves n’ont pas pu effacer leur expérience positive de la vie sous le socialisme. Les idéologies imposées qui glorifient les valeurs capitalistes et le consumérisme, les avantages de l’Europe et les projets du business international sont influentes, mais un nombre significatif de travailleurs essaient de reconquérir leur pouvoir. Ils se battent contre les privatisations, le pillage de leurs établissements, les pertes d’emplois et les mesures d’austérité. La résistance n’e jamais cessé.


La progression de l’empire global

Le programme néo colonial s’est développé au cours des dernières années. Voici ce que j’ai vu à Belgrade, il y a quelques mois.

En me promenant dans la ville, j’ai été frappée par le nombre de banques étrangères. A certains endroits, elles sont à chaque coin de rue, avec leurs entrées proches les unes des autres. Le nombre de bureaux de change n’a pas diminué depuis leur multiplication au début des années 90. Cela correspond à la mainmise sur le secteur financier serbe par les puissances de l’UE et les organismes de la haute finance internationale. Les employés serbes qui travaillent dans ces banques sont souvent de mauvaise humeur et désagréables avec les clients, et ne semblent pas heureux des conditions de travail qui leur sont imposées.
 
Les effets de la nouvelle idéologie capitaliste à la mode, qui glorifie la consommation, sont clairement visibles dans les rues, les magasins, les institutions et les médias. Chaque année, il y a un nombre légèrement accru de restaurants “fast food”. Les boissons et aliments malsains accompagnent ce que beaucoup de Belgradois considèrent comme se produisant en coulisse – l’importation de nourriture et de semences OGM, malgré les affirmations du gouvernement qu’il n’autoriserait jamais ce genre d’opération. La même chose s’applique à la viande remplie d’hormones et de bactéries infectieuses. Le résultat est qu’on voit plus de gens en surpoids dans les rues de Belgrade. Cela dit, il semble que ce soit un problème encore marginal, car les Belgradois marchent beaucoup, et se sont mis au jogging, à la bicyclette et aux classes de yoga. L’aspect le plus alarmant semble être l’accroissement du nombre de personnes dans la quarantaine ou la cinquantaine souffrant d’hypertension, de crises cardiaques ou d’attaques.
 
Les compagnies étrangères ont acheté beaucoup de sociétés précédemment yougoslaves ou serbes. La privatisation des ressources yougoslaves en eau est un exemple frappant de ce processus. Rosa Water est une société Coca-Cola hellénique ; Voda Voda est la propriété d’Arteska International Co., BB Minaqua Co. est partagé entre l’allemand Krones, l’italien Sidel et Thomson Machinery pour sa production à Chypre. Même si beaucoup de ces compagnies affirment qu’elles utilisent des conditionnements écologiques, comme la “bouteille Rosa à base végétale”, les emballages plastiques et leurs déchets saturent l’environnement et laissent filtrer des substances chimiques toxiques dans l’eau en bouteille que beaucoup de Belgradois achètent aujourd’hui et trimballent avec eux. Jadis, l’eau du robinet était de bien meilleure qualité, et presque personne ne pensait avoir besoin d’eau en bouteille. Jusque dans les années 1990, toutes les boissons étaient contenues dans des bouteilles en verre.
 
Les entreprises de vêtements ou de cosmétiques sont soit étrangères, soit serbes achetées par des étrangers. Par exemple, si l’on considère les vêtements d’enfants, les souliers, les produits de beauté ou les aliments, on trouve un mélange de marques étrangères connues qui profitent de l’ouverture de tous les marchés : Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestlé, Juvitana, Bebelac. Kosili et Dr Pavlovic sont des exceptions. Alors qu’avant les guerres de 1990-1999, nous n’avions à Belgrade que quelques firmes italiennes de produits pour enfants, Nestlé et Disney sont abondamment présents. Même des sociétés serbes veulent des noms anglais, comme Beba Kids ou Just Click, etc.
 
La firme belgradoise Dahlia Cosmetics fabriquait des produits à base minérale ou végétale. Aujourd’hui, elle est privatisée et, comme le dit son site internet, est possédée à 100 % par le belgradois Bechemija. Celui-ci à son tour a été formé par une fusion entre Delta de Zrenjanin et le slovénien Sanpionka. Au cours de toutes ces privatisations et fusions, des milliers d’ouvriers ont perdu leurs emplois. Et il est difficile de croire que Dahlia ne remplace pas les produits d’origine naturelle par des ingrédients synthétiques. Rien qu’en regardant certaines étiquettes, on peut se poser la question.
 
Duvanska Industrija Nis (l’industrie du tabac de Nis) a été bombardée à répétition durant les frappes de l’OTAN en 1999. C’était une des usines les plus importantes, employant 2.500 personnes (11). Les bombardements ont préparé le terrain pour la récupération ultérieure. En 2003, le géant du tabac Philip Morris s’est emparé de l’usine à cigarettes serbe. Philip Morris se sert de tabac OGM saturé de pesticides au cours de sa culture et d’autres substances toxiques lors de la production des cigarettes.
 
En ce qui concerne les privatisations et pertes d’emplois, beaucoup d’affaires ont cessé d’exister, et d’autres se sont créées depuis ma dernière visite, il y a deux ans. Il y avait un magasin de souvenirs dans la rue face à la mairie de Belgrade, mais cette fois il y avait un magasin différent et aucune personne que j’ai interrogée n’a pu me dire ce qu’était devenu le magasin de souvenirs. La Serbie n’a plus d’industrie du vêtement depuis que Centrotekstil, Kluz, Beko, Tekstilna Industrija Zemun ont tous cessé d’exister. La même chose est vraie de l’Elektronska Industrija Nis (l’industrie électronique de Nis) et de l’INSA de Zemun, qui produisait des horloges et des montres. Ces deux industries domestiques viables ont disparu. Zastava, le fabricant automobile de Kragujevac, a été détruit. L’industrie jadis prospère de la chaussure est réduite à Boreli, une firme dont la production, les sites et les magasins ont été la cible du croate Borovo pour des achats éventuels. De longues luttes ouvrières à Boreli n’ont pas résolu le problème de sa privatisation.
 
L’ensemble de l’industrie serbe se monte aujourd’hui à 37 % de ce qu’elle était en 1986. En plus des grandes compagnies, des politiciens comme Madeleine Albright ont l’œil sur l’industrie les services et les ressources de l’ex-Yougoslavie. L’Albright Capital Management (ACM), la société de l’ex-secrétaire d’Etat US, ont cherché à acheter le Telecom du Kosovo, comme m’ont rapporté Tanjug et RTS le 18 août. Madeleine Albright a servi sous Bill Clinton et a été l’artisan de la “guerre humanitaire” contre la Yougoslavie et la Serbie.
 
Apple a aujourd’hui plusieurs bureaux à Belgrade et vend des équipements coûteux au secteur fortuné de la population.
 












On considère souvent que le niveau de colonisation d’un pays se mesure au degré d’incorporation de la langue étrangère dans la langue locale. Aujourd’hui, les colons sont multiples. La langue serbe est truffée de mots étrangers, mais ils sont surtout anglais. Dans beaucoup de cas, ils paraissent même ridicules, comme d’étranges hybrides écrits en cyrillique avec une orthographe serbe. On a du mal à les écouter et à se retenir de rire. Nous avons déjà une quantité de mots turcs profondément enracinés dans la langue serbe en raison des siècles de domination ottomane, malgré le fait que nous ayons résisté à leur intégration et protesté contre leur emploi, mais beaucoup d’entre eux paraissent plus naturels que ceux qui envahissent aujourd’hui notre langue. D’innombrables affaires locales, groupes musicaux, offices de tourisme, ont des noms anglais. Les populaires restaurants au bord de l’eau sont plus actifs que jamais. L’un d’entre eux s’appelle “Bollywood”.
 
Les transports publics fonctionnent toujours bien à Belgrade, bien que l’introduction récente dans les autobus de machines à billets électroniques ait semé une certaine confusion parmi les usagers. Il y a dans la ville trop d’affiches qui célèbrent le nouveau consumérisme capitaliste, vantant les mérites des banques, des corporations et des productions étrangères. D’énormes placards font la publicité d’équivalents du Viagra. La population serbe a même son propre Viagra baptisé “Vulkan” (volcan).
 
Tout cela génère des profits, ainsi que des consommateurs fidèles et dépendants.
 














Ma fille a expliqué dans sa thèse que la culture urbaine de Belgrade demeurait déchirée entre la pression des marchés globaux dirigés par les pouvoirs politiques des USA et de l’UE, et sa polyculture originale à la fois passée et présente. Le peuple serbe, et les Belgradois en particulier, résistent à ces pouvoirs de beaucoup de façons différentes. Ils peuvent penser qu’il est profitable d’incorporer certains éléments de la culture US dominante à la leur. Mais pour la plupart, ils maintiennent leurs traditions. Les citadins connaissent beaucoup d’événements d’été, tels que des théâtres en plein air, des concerts gratuits de jazz dans la rue, des parcours touristiques dans le environs de la ville où les traditions villageoises se marient aux progrès technologiques. On organise aussi des camps de jeunes, des cours de yoga sur la plage belgradoise d’Ada. Il semble que les Serbes veuillent profiter au maximum des mélanges culturels tout en résistant à l’effort colonialiste de supprimer ce qui est exclusivement national.
 
Il y a aussi des groupes comme le Freedom Fight Movement (mouvement de combat pour la liberté). Le Freedom Fight est actif sur de nombreux fronts, depuis le soutien des travailleurs dans leurs luttes jusqu’à l’opposition à la conférence de l’OTAN de l’année dernière. Le groupe collabore aussi avec de nombreux organismes internationaux qui travaillent à des systèmes indépendants d’alimentation organique locale. Les actions déterminées des Belgradois ont forcé l’ambassade américaine à supprimer toutes les fenêtres du bâtiment du côté de la rue. Il y a maintenant des murs où il y avait de larges fenêtres. L’année dernière, quand les médias ont rapporté qu’on allait ouvrir le plus grand site d’Europe de déchets nu-cléaires à Vinca, près de Belgrade, la colère populaire a apparemment eu de l’effet. Les autorités ne disent plus un mot du projet.
 
Les décennies de crise économique, de guerres, d’embargos, de bombardements de l’OTAN, ainsi que la perte de propriété de la presque totalité des industries et systèmes financiers, les emprunts forcés, les programmes qui ont imposé des “réformes de l’éducation” et la constante dégradation des conditions de vie, ont eu de graves conséquences. La dette nationale serbe est aujourd’hui plus importante que celle de l’ex-Yougoslavie en 1990, quand les Etats-Unis affirmaient qu’elle était trop importante et impossible à régler, présentant cela comme un motif de démantèlement de la Yougoslavie. L’année dernière, le revenu moyen mensuel en Serbie était de seulement 320 euros. Avec cette dégradation des conditions de vie, j’ai noté cette année que la mode féminine avait changé. Pour la première fois, les Belgradoises n’avaient pas leur élégance habituelle. Les jeunes font évidemment exception à toute règle. Ils paraissaient aussi à la page, cosmopolites et rebelles que d’habitude.
 
Cela dit, la Serbie a un autre grand problème, le vieillissement de sa population. C’est aujourd’hui l’un des 10 pays du monde où la population est la plus âgée. Tant de gens parmi nous ont quitté leur patrie pendant leurs années d’activité et ceux qui sont restés n’ont ni les moyens ni la motivation d’élever des enfants. La Serbie vit sa septième année de proportion négative de naissances et se trouve dans une crise démographique dramatique.
 
Il serait erroné de penser que les Serbes acceptent tout en silence. Même dans les situations d’extrême danger, comme durant les 78 jours de bombardement, ils ont formé des chaînes humaines pour défendre les bâtiments et les ponts, ils ont organisé des concerts et des manifestations pour envoyer le message qu’ils résisteraient à l’occupation dans l’esprit de leurs ancêtres. Greg Elich l’a bien souligné. (12) Andrej Grubacic a décrit (13) comment les travailleurs serbes ont lutté pendant des années contre les privatisations et la perte de leurs moyens de production. Cette année, j’ai rencontré plus de Serbes qui étaient critiques de leur gouvernement, de l’UE et des diktats globaux des USA qu’au cours de mes précédentes visites. Malgré tout, je n’ai pas quitté Belgrade sans espoir.
 
Les Serbes, et tous les peuples des Balkans, ont démontré au cours des siècles leur force, leur sagesse commune et la fermeté de résistance à tous les oppresseurs qui leur ont permis de survivre, de s’adapter et de vivre le mieux possible dans des conditions défavorables.
 
Tous les peuples de la Yougoslavie ont perdu beaucoup au cours des vingt dernières années. Mais aussi ceux de la Tchécoslovaquie, de la Pologne, de la Hongrie, et d’autres pays européens. Dans sa chasse au profit et sa volonté de domination, l’empire global exige encore plus d’exploitation, de sacrifices et de mesures cyniques d’austérité. Les politiques funestes dans l’économie, l’écologie, l’éducation, la santé et le reste de la société sont enfoncées dans la gorge des travailleurs dans le monde entier. On peut espérer que nous puissions éveiller l’intérêt pour le passé unique de la Yougoslavie et les combats actuels de ses travailleurs, qui ouvrent la voie à une meilleure compréhension et solidarité par-dessus les frontières.
 
 

Notes

(1) Anna Nevenic a présenté une description semblable de ce qu’ont vécu nos générations dans la Yougoslavie socialiste dans “A Short History of Serbia, Yugoslavia and the Balkan People”. 2003. Palm Springs, CA : United Children’s Network, p. 111-129

(2) Andrej Grubacic. 2010. “Don’t Mourn, Balkanize ! Essays After Yugoslavia”. Oakland : PM Press, p. 11-13

(3) Harold Lydall. 1984. Yugoslav Socialism. New York : Oxford University Press, p. 268. Même Lydall s’est servi de certains chiffres montrant qu’en 1980 30 % de la force de travail active se trouvait dans le secteur privé, laissant près de 70 % dans le secteur public.

(4) Grubacic, Ibid, pp. 220-241

(5) Mile Ilic and Branislav Markovic. 1996. Lokalna Samouprava u Jugoslaviji. Gradina.

(6) Certains de ces faits soulignés par Michael Parenti. 2000. “To Kill a Nation : The Attack on Yugoslavia”. New York : Verso. p. 17

(7) Milina Jovanovic. 1998. “Women’s Education and Employment in Yugoslavia and California”. Ann Arbor, MI : UMI

(8) Parenti, Ibid, p. 17

(9) Ibid, p. 18

(10) Parenti, Ibid, p. 19

(11) Greg Elich. 2006. “Strange Liberators : Militarism, Mayhem and the Pursuit of Profit”. Coral Springs, FL : Lumina Press, p. 213

(12) Elich, Ibid. p. 224

(13) Grubacic, Ibid. pp. 185-250 ; des exemples de luttes ouvrières à Zastava Elektro, Srbolek, BEK, Jugoremedija, et autres.



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