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Venezuela, rinnegati, bugiardi e smemorati

Contro il Venezuela sono messi in campo gli stessi strumenti che jugoslavi e serbi hanno conosciuto troppo bene: disinformazione strategica, fondi stranieri ad organizzazioni eversive, demonizzazione del leader, sostegno politico aperto da Occidente ai settori golpisti e terroristi, minacce militari... Intristisce, a parte tutto e al di là del tradimento della ex-sinistra nostrana, il fatto che ogni volta che si presenta uno scenario simile i commentatori antimperialisti facciano la \"bella scoperta\" con apparente inedito stupore, come se fosse la prima volta, come se non imparassimo mai niente dal passato. In particolare, il paradigma jugoslavo – da Otpor alle notizie false sui media – è regolarmente rimosso e ignorato. (a cura di Italo Slavo)

1) Venezuela: cartina di tornasole della sinistra (di Fabio Marcelli)
2) Il Venezuela e la questione della difesa del potere rivoluzionario (di Fosco Giannini)
3) ”Revolucionari” u Caracasu su danju na ulicama, a noću u luksuznim barovima (N. Babić)
[I \"rivoluzionari\" di Caracas, di giorno per strada e di notte in ville e locali di lusso]
4) Da Geraldina Colotti, Caracas, sul risultato elettorale: l\'ultimo articolo censurato dal \"Manifesto\"


Si veda anche: Venezuela, ecco come Omero Cia(i) – Repubblica – risponde a Cremaschi (di Giorgio Cremaschi, 8 agosto 2017)


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Venezuela: cartina di tornasole della sinistra

di Fabio Marcelli, 9 agosto 2017

Quando la sinistra latinoamericana si difende e magari osa addirittura vincere sia sul piano politico che su quello militare, diventa “antidemocratica”, “autoritaria”, e via pontificando

Da sempre la sinistra evolve e si qualifica in relazione agli avvenimenti di portata internazionale. Così fu, tanto per fare l’esempio fu famoso, per il Partito Comunista d’Italia fondato nel gennaio del 1921 al Congresso di Livorno come scissione del Partito socialista che ebbe come motivazione determinante il diverso atteggiamento nei confronti della Rivoluzione sovietica e dell’URSS allo stato nascente. Dalla lotta al fascismo alla Resistenza  alla Costituzione repubblicana, per molti decenni forte e radicata in tutti i settori sociali, oggi, la sinistra in Italia è ridotta a ben poca cosa, per effetto della fine del PCI, che certamente ebbe basi obiettive ma che fu accelerata e condotta in modo inconsulto dalla scellerata direzione politica di Occhetto e dei suoi ancora peggiori successori. E per effetto della sua visione sostanzialmente subalterna alla classe dominante che ha impedito di elaborare una linea all’altezza delle trasformazioni epocali in atto oramai da lungo tempo.

Un’ulteriore dimostrazione di quanto sia oggi ridotta male la sinistra italiana è oggi costituita dal suo atteggiamento nei confronti di ciò che avviene in Venezuela. Abbiamo una vasta gamma di prese di posizione sostanzialmente liquidatorie. Pare quasi che la sinistra latinoamericana (il discorso non si ferma ovviamente al Venezuela, ma riguarda altre esperienze importantissime in corso, prima fra tutte la Bolivia di Evo Morales) piaccia a certi nostri sedicenti intellettuali, solo quando viene repressa sanguinosamente, sconfitta e costretta all’esilio. Parafrasando  quello che secondo alcuni disse una volta il generale Sheridan, secondo questi sedicenti intellettuali, l’unico militante di sinistra latinoamericano è quello morto, incarcerato e torturato, che ci mette in condizione di sembrare tanto buoni, compassionevoli e democratici. Quando invece la sinistra latinoamericana si difende e magari osa addirittura vincere sia sul piano politico che su quello militare, diventa “antidemocratica”, “autoritaria”, e via pontificando. Per non parlare di certi “specialisti” oramai babbioni incartapecoriti che misurano la temperatura ai “regimi”, scuotendo mesti e delusi il capoccione e concludendo che “non si tratta certo di socialismo”. Loro sanno bene di che parlano dato che in lunghe vite hanno accumulato fallimenti su fallimenti, di cui pagano oggi il prezzo le giovani generazioni in balia di un capitalismo neoliberista che non fa certo prigionieri ma distrugge costantemente il loro futuro e insieme quello del nostro e di altri Paesi.

Altro grosso equivoco riguarda il ruolo delle Forze Armate. Secondo certi geni, parrebbe che militari e poliziotti siano sempre e comunque dalla parte sbagliata, specialmente se operano in Paesi distanti dal “faro” della civiltà occidentale che, sempre secondo costoro, rappresenterebbe la democrazia per antonomasia.

Fortunatamente non è così. In Portogallo furono i militari a rovesciare la dittatura pluridecennale di Caetano. In Russia Lev Trotzky costruì l’Armata Rossa con il contributo determinante di reparti interi dell’esercito zarista che erano passati dalla parte giusta della barricata. In Italia negli anni Settanta le Forze armate e quelle di polizia, carabinieri compresi, furono attraversate da un grande movimento democratico di massa che si ispirava all’allora fortissimo e luminoso esempio della classe operaia. I militari bolivariani che in Venezuela hanno difeso con successo le loro basi dagli attacchi di mercenari e paramilitari dicono di sé, giustamente, di essere “popolo in armi”. E occorre augurarsi che costituiscano a loro volta un esempio per i colleghi di altri Paesi dell’America Latina e del Terzo Mondo e di altri mondi.

Domenica 30 luglio il popolo venezolano, nonostante i dubbi dei soloni del manifesto che hanno pensato bene di licenziare la loro redattrice militante Geraldina Colotti, ha fatto un passo importante verso la sconfitta definitiva delle destre e verso il socialismo. La spaccatura del Paese, che tanto preoccupa tali soloni, non è certo un fatto nuovo e deriva dalla dinamica stessa della lotta di classe sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Dal 30 luglio però, e questo sono in molti a non capirlo, si è messa in moto una dinamica importante di riaggregazione popolare attorno all’Assemblea Nazionale Costituente.

Certamente l’hanno capito, molto meglio di quelli del manifesto, i caporioni del capitalismo internazionale, i funzionari messi dalla finanza a guida di Paesi importanti, come il nostro, che hanno scatenato una vera e propria guerra santa contro il Venezuela bolivariano, reo di voler continuare ad esistere, realizzando i diritti e le aspirazioni del suo popolo e mostrando nei fatti la possibilità di un’alternativa ai disastri del neoliberismo imperante. Chi anche in Italia non sta dalla parte di Maduro e del Venezuela bolivariano non è certamente degno di far parte della sinistra che dobbiamo rifondare. Si parli di questo, non di nomi, organigrammi e alchimie squallide, continuando l’atroce andazzo  che ha distrutto la sinistra più importante e forte del mondo occidentale e continua ad ipotecarne pesantemente ogni possibile rinascita. Sicuramente la sinistra deve conoscere anche altre importanti discriminanti, ad esempio sulla questione delle migrazioni, ma questa dell’appoggio alle esperienze rivoluzionarie è di natura fondamentale.



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Il Venezuela e la questione della difesa del potere rivoluzionario

di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI
8 agosto 2017

Il compagno Giorgio Langella, segretario regionale del PCI del Veneto e membro della Direzione Nazionale, qualche giorno fa ha fatto circolare un intervento del senatore Corsini (esponente di Articolo Uno–MDP) sulla questione del Venezuela. Riportiamo, per brevità, le parole con le quali Langella accompagna l’invio dell’intervento del senatore Corsini: “Su segnalazione del compagno Beccegato ho letto l’intervento del senatore Corsini sul Venezuela. Una cosa indecente, che evidenzia una sudditanza servile oltre che culturale nei confronti dell’imperialismo statunitense. Qua si confonde ‘il popolo venezuelano’ con la classe benestante, quelli che hanno perso i privilegi che avevano perché più ricchi, più simili a noi ‘civili occidentali’. E una posizione da colonialisti, intollerabile. Forse (anzi sicuramente) neppure i democristiani di destra ai tempi di Allende… Con gente come Corsini non possiamo avere nulla a che fare. Sono da un’altra parte. Penso che la questione Venezuelana, così come quella Ucraina, quella siriana, quella palestinese ecc. non possono essere messe da parte o considerate ininfluenti quando si parla di ‘alleanze’ e si dice che bisogna considerare le questioni territoriali o italiane. Sono, a mio avviso, questioni dirimenti. Non si può stare dalla parte dell’imperialismo in politica estera e fare i progressisti in Italia. Credono di rifarsi una verginità ponendosi dalla parte del vincitore. Non si pongono problemi, non analizzano le cose, dicono quello che più conviene loro, vanno dove tira il vento. Oggi è di moda, in questa ‘sinistra snob’ attaccare chi sta tentando di trasformare il sistema, chi combatte lo strapotere della ‘democrazia imperiale’, chi non accetta il ‘pensiero unico’. Questa è un’ambiguità non solo irritante ma estremamente pericolosa”.

Ma cos’aveva affermato Corsini, in Aula, per suscitare l’indignata – quanto giusta – reazione del compagno Langella? Ecco uno stralcio dell’intervento del senatore “bersaniano”: “Signor Presidente, è per me del tutto naturale associarmi alle dichiarazioni del presidente Casini e dei colleghi che mi hanno preceduto, anche perché in Commissione esteri, tempo fa, abbiamo proposto una risoluzione che è stata portata all’attenzione dell’Assemblea. In tale risoluzione denunciavamo il processo autoritario e totalitario che è appunto in corso in Venezuela.… Qual è il dato veramente impressionante? È il fatto che Maduro sta imponendo, non semplicemente un monopolio d’autorità, che espropria il Parlamento delle sue legittime funzioni di rappresentante della volontà popolare, ma che sta, come dire, imponendo un monopolio politico che estromette gli avversari e i contendenti dall’arena e dalla scena politica. Oltre al fatto che la storia di questi giorni è costellata di incidenti, di uccisioni, di sparatorie, di interventi che umiliano la dignità umana e la dignità dei singoli soggetti. Dobbiamo anche denunciare un fatto. È in corso, e molti parlamentari ne sono stati vittime, una sorta di mail bombing da parte di nostri connazionali, i quali si ostinano caparbiamente a negare la realtà dei fatti, cioè quella di un Paese martoriato che è sottoposto al processo di affermazione di una dittatura violenta e totalitaria. È per queste ragioni che noi oggi vogliamo riconfermare la nostra solidarietà al popolo venezuelano e trarre appunto auspici perché il Paese possa vedere rapidamente il ripristino della regola democratica nella sua pienezza”.

Questa di Corsini è una posizione coerentemente e pienamente controrivoluzionaria, oggettivamente (e soggettivamente) filo imperialista, completamente e dogmaticamente succube dell’ideologia conservatrice occidentale e capitalistica. Da questo punto di vista il compagno Langella, con il suo “j’accuse”, ha svolto con ogni probabilità un compito che è andato ben oltre la sua stessa denuncia della natura politica contingente dell’Articolo Uno–MDP, ponendo invece una questione politico–teorica di fondo che in troppi, anche a sinistra, vanno, a partire anche dalla “questione venezuela”, eludendo : la liceità o meno della difesa della rivoluzione attraverso la forza. 

Questione che si era già posta, ad esempio, con Gorbaciov, nella fase che precedette lo scioglimento dell’URSS e il conseguente cambio negativo del quadro mondiale: poteva Gorbaciov far sì che l’Armata Rossa salvasse l’unità sovietica? Si, teoricamente avrebbe potuto, ma non l’ha potuto fare in virtù di una, propria, degenerazione ideologica, di tipo liberale.

Che la rivoluzione possa difendersi o meno con la forza dalla consueta – rispetto ai moti rivoluzionari – reazione violenta dell’imperialismo (in America Latina quasi sempre USA) delle destre, del capitalismo e delle forze militari, è forse la questione centrale, quella dirimente, che separa – nel giudizio, nello schierarsi – le forze rivoluzionarie da quelle controrivoluzionarie o della sinistra moderata, quelle “interne” al sistema capitalistico. E’ il problema dei problemi: quello del potere. Ed è bene – una volta tanto – affrontare la “questione venezuelana” dal punto di vista anche teorico, politico–teorico. E’ bene – una volta tanto – approfittare del contingente per riaprire una riflessione profonda e di nuovo appropriarci della grandezza del nostro pensiero, del pensiero e della prassi della rivoluzione. Anche per sfuggire ai meschini, vischiosi ed intellettualmente mortificanti “pensierini” sul contingente.

La posizione assunta dal senatore Corsini non è, purtroppo, appartenente solo all’Articolo Uno–MPD: oltreché, naturalmente, la destra, in verità è quasi tutta la sinistra italiana (persino una parte comunista di essa) che oggi sposa le posizioni del senatore “bersaniano”. Tanto per dire: persino “il quotidiano comunista” il Manifesto (tranne la compagna Geraldina Colotti ) fa molta fatica a schierarsi completamente con Maduro, fa molta fatica ( e forse non ci arriva mai) a definire legittimo l’uso della forza per la difesa della rivoluzione chavista.

A questi tentennamenti, a queste posizioni di fatto utili e funzionali alla controrivoluzione dà una risposta di altissimo valore politico e teorico Domenico Losurdo, nel suo ultimo libro sul “Marxismo Occidentale”, marxismo uccisosi – secondo l’Autore – anche a partire dalla rinuncia alla presa del potere e alla sua difesa.

L’illegittimità” della difesa della rivoluzione anche con la forza è una categoria pseudo filosofica che ha segnato e segna di sé ogni involuzione moderata del pensiero comunista e della sinistra occidentale; un’involuzione che è speculare alla rinuncia della trasformazione rivoluzionaria e della presa del potere: questo è il punto centrale della discussione che il compagno Langella ha aperto.

Non è un caso, infatti, che il Partito Comunista Italiano, in quella sua lunga storia involutiva che l’ha portato dall’accettazione della NATO alla “Bolognina”, passando attraverso la rottura col movimento comunista mondiale e l’abbandono del leninismo, abbia scandito questo stesso, proprio, processo involutivo con vere e proprie ricusazioni dei punti storici alti delle rotture rivoluzionarie: il PCI che volgeva verso la “Bolognina” iniziò – ben prima di essa – a rompere teoricamente con il Terrore di Robespierre, poi con la Comune di Parigi, poi con la stessa Rivoluzione d’Ottobre, per non parlare dell’accusa dogmatica e pregiudiziale ad ogni difesa del socialismo con la forza, posizione che cresceva contemporaneamente – o che seguiva – alla scelta del passaggio al socialismo solamente attraverso la via parlamentare.

Quando Pietro Secchia, già da tempo in disgrazia nel PCI, andò in Cile nel gennaio del 1972 a sostenere il governo Allende e a Santiago, di fronte ad una piazza strapiena di popolo, chiese con forza, in un suo comizio, ai comunisti, ai socialisti cileni, allo stesso governo Allende e alle “forze patriottiche e popolari” di prepararsi a fronteggiare con le armi l’inevitabile reazione degli USA, della destra cilena e di Pinochet alla rivoluzione, il PCI rispose con uno sdegnato silenzio alle parole di Secchia, che poi, per le sue stesse parole, fu avvelenato dalla CIA nell’aereo che lo riportava in Italia, dove morì pochi mesi dopo.

L’abbandono dell’orizzonte rivoluzionario, la rinuncia alla difesa della rivoluzione con la forza ha sempre caratterizzato le forze già rivoluzionarie che imboccavano una discesa moderata. E’ stato così per la Socialdemocrazia tedesca della fine del 1800, quando essa, rompendo platealmente, teoricamente, con la Comune di Parigi, iniziò a trasformarsi in quella Socialdemocrazia che avremmo conosciuto, nella sua essenza di soggetto politico del sistema capitalistico, dal ‘900 ad oggi.

Ma anche nel Partito della Rifondazione Comunista, nella lunga monarchia bertinottiana, l’abbandono delle categorie marxiste e leniniste della rottura rivoluzionaria e dell’antimperialismo conseguente (che non può non sfociare negli atti rivoluzionari della rottura di sistema e della difesa con la forza del nuovo sistema socialista) sono stati i cavalli di Troia per l’abbandono, da parte del PRC bertinottizzato, della cultura comunista, materialista. Chi non ricorda il Bertinotti che giudica e liquida, attraverso una sua indegna (sul piano storico e teorico) commemorazione, a Livorno, nei primi anni ’90, dell’Ottobre e del “socialismo realizzato”, la lotta dei bolscevichi contro la guardia bianca e zarista come “anticipazione della degenerazione dello stalinismo”? Chi non ricorda il Bertinotti della “Resistenza angelicata”, un’accusa alla “violenza della Resistenza”, che si innalzava – assieme a quelle della destra, di Gianpaolo Pansa e dell’intero revisionismo di sinistra – proprio nel momento in cui la lotta armata e antifascista dei partigiani iniziava ad essere largamente demonizzata? Chi non ricorda il Bertinotti che negava – in un rigurgito pieno di filo occidentalismo – il carattere di Resistenza alla lotta del popolo iracheno contro gli invasori nord americani? E chi non ricorda l’ex segretario del PRC imperversare sui giornali, sulle televisioni, a favore della sua nuova idea della “non violenza”, ideuzza piccolo borghese che – consapevole o no Bertinotti – apriva le cateratte dell’abbandono della cultura comunista e rivoluzionaria per tutto il “nuovo” PRC?

In seguito alla vera e propria devastazione politica e teorica prodotta dalla lunga involuzione del PCI e poi dal bertinottismo, siamo in minoranza, oggi, a riconoscere la liceità storica della difesa del potere rivoluzionario anche con la forza; siamo una minoranza, dunque, a riconoscere il valore rivoluzionario della lotta, della Resistenza di Maduro contro la violenza dell’asse USA – destra capitalista venezuelana.

Ma la legittimità, politica ed etica, della difesa con la forza della rivoluzione è un cardine stesso di tutto il pensiero e della prassi della rivoluzione.

E qui, veniamo a Lenin, all’esigenza assoluta di rimettere in circolo e far rientrare, almeno nel senso comune dei comunisti e delle comuniste e di chi milita “a sinistra”, le categorie centrali del pensiero rivoluzionario.

Riappropriamoci del quanto mai attuale saggio di Lenin “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”.

Kautsky pubblica nell’agosto del 1918, sulla rivista “Sozialistische Auslandpolitik”, proprio durante la ripresa violenta della lotta controrivoluzionaria che puntava a sconfiggere l’Ottobre, un saggio dal titolo esplicito, che già in sé preannunciava la svolta antirivoluzionaria di Kautski: “Demokratie oder Diktatur” (Democrazia o Dittatura). Kautski, in pieno revisionismo controrivoluzionario, anticipa di diversi decenni le posizioni di quei comunisti e dirigenti e intellettuali della sinistra occidentale che, a partire dalla condanna della difesa rivoluzionaria del potere rivoluzionario, rinunciano di fatto alla stesso progetto della trasformazione socialista. Kautsky è esplicito sin da titolo del suo articolo: la “Democrazia” è in antitesi alla “Dittatura”, un giudizio apodittico attraverso il quale si rompe con Marx, con l’Ottobre, con Lenin per giungere alla divinizzazione della democrazia borghese come ultima spiaggia della democrazia della storia e alla conseguente demonizzazione del potere rivoluzionario, la Dittatura, che Kautsky intende non come il potere della grande classe lavoratrice e sfruttata sulla ristretta classe dei padroni e degli sfruttatori, ma in senso metafisico, come oppressione in sé, così come la borghesia ha giudicato essere, per ovvie ragioni, il potere proletario. 

Oggi è Maduro che difende il potere del popolo e gli USA, la destra venezuelana pagata da Washington, le destre di ogni parte del mondo e le sinistre pavide del mondo definiscono il potere rivoluzionario chavista “la dittatura”. E così, attraverso questa feroce mistificazione politico–semantica, i media dell’intero mondo occidentale fanno passare Maduro come un dittatore, in modo che tutti dimentichino che il vero problema, per il capitalismo occidentale e per l’imperialismo USA, è quello legato al fatto che il petrolio, l’oro, i diamanti, le terre, le ricchezza naturali venezuelane sono state da Chavez sottratte ai pochi padroni per riconsegnarle al popolo; far dimenticare che il vero problema per gli USA è di tipo prettamente geopolitico, nella misura in cui il Venezuela si libera dal potere imperialista offrendosi come punto di riferimento per i popoli e gli Stati che in America Latina vogliono sottrarsi alla dittatura economia, politica e militare imperialista nel momento in cui il Venezuela chavista rafforza il blocco che, a partire dai BRICS, si erge nel mondo come diga antimperialista.

Come risponde Lenin all’attacco controrivoluzionario di Kautsky? Dobbiamo rileggerlo, riassumerlo, anche questo Lenin, poichè solleva un punto centrale di tutto il pensiero rivoluzionario.

Lenin risponde all’articolo/saggetto di Kautsky con un proprio saggio: “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”. Dopo aver letto nella Pravda qualche estratto del saggio di Kautsky, Lenin, infuriato, scrivendo a Berzin, Joffe e Vorovski afferma: “Le vergognose sciocchezze, il balbettio infantile e il vilissimo opportunismo di Kautsky inducono a domandarsi: perché non facciamo niente contro lo svilimento teorico del marxismo da parte di Kautsky?”. Ma Lenin non perderà tempo e nel suo saggio di risposta ridicolizzerà Kautsky. Almeno per tutti i compagni e le compagne: è ora – ora – di rileggerlo.

Rispetto al potere rivoluzionario e la sua difesa, Lenin scriverà sul “Rinnegato Kautsky”: “Si può dire senza esagerazione che questo è il problema centrale di tutta la lotta di classe. Ed è quindi necessario esaminarlo attentamente”. 

Lenin lo farà e in relazione al distinguo che Kautsky introduce tra “democrazia e dittatura”, il capo dell’Ottobre scriverà: “Si tratta di una confusione teorica così mostruosa, di un’abiura così completa del marxismo che, bisogna ammetterlo, Kautsky supera di gran lunga Bernstein”. “Il nostro ciarlone – continua Lenin – ha riempito quasi un terzo del suo opuscolo, 20 pagine su 63, con una chiacchierata assai gradevole per la borghesia, perché equivale al tentativo di abbellire la democrazia borghese e di velare la questione della rivoluzione proletaria”. E ancora, scrive Lenin: “Del marxismo si ammette tutto, tranne i mezzi rivoluzionari di lotta…”. E in un passaggio incredibilmente contemporaneo e attuale, che davvero sembra parlare del ruolo che il Venezuela chavista già svolge e può ancor più svolgere nella lotta antimperialista mondiale (ed è soprattutto per questo che gli USA scatenano le iene reazionarie venezuelane contro Maduro) così scrive Lenin, in relazione alla distinzione operata da Kautsky su “rivolgimento pacifico” e rivolgimento violento”: “Sta qui il nodo della questione. Tutti sotterfugi, i sofismi, le falsificazioni truffaldine servono a Kautsky per scansare la rivoluzione violenta, per nascondere il fatto che egli la rinnega ed è passato alla politica operaia liberale, cioè dalla parte della borghesia. Lo storico’ Kautsky travisa così spudoratamente la storia che finisce per ‘dimenticare’ l’essenziale, cioè che il capitalismo premonopolistico – il quale aveva toccato l’apogeo negli anni ’70 – si distingueva, in virtù dei suoi tratti economici, manifestatisi in modo particolarmente tipico in Inghilterra e in America, per un amore relativamente più grande della pace e della libertà. Mentre l’imperialismo, cioè il capitalismo monopolistico giunto a definitiva maturità solamente nel secolo XX, si distingue, in virtù dei suoi tratti economici essenziali, per un amore assai meno forte della pace, della libertà, per un maggiore e generalizzato sviluppo del militarismo. Non avvedersi di questo, quando si esamina fino a qual punto sia tipico o probabile un rivolgimento pacifico o violento, significa degradarsi al livello del più volgare lacchè della borghesia”.

E’ la questione dell’imperialismo, della sua ferocia economica e militare che non prevede la possibilità che popoli e Stati ad esso già sottomessi possano liberarsi ( come, appunto, il Venezuela di oggi) quella che pone Lenin e che certo non può essere più presente nel pensiero addomesticato del senatore Corsini. E di troppi altri, anche a sinistra.

Quando Chavez iniziò a vincere, sul quotidiano ampiamente bertinottizzato “Liberazione” non andava giù il fatto che quel leader rivoluzionario era un militare: un altro di quei tanti “pregiudizi” del marxismo occidentale esausto che portano, infine, alla rinuncia della lotta rivoluzionaria. Oggi, in troppi, anche a sinistra, persino tra i comunisti (ma non nel nostro PCI) si insinua un tarlo devastante e borghese: Maduro non dovrebbe difendere la rivoluzione chavista con la forza. Dovrebbe consegnare il Venezuela a Trump e alla destra venezuelana, invece? Lenin consigliava e continua a dirci di no, per non essere dei rinnegati.



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”Revolucionari” u Caracasu su danju na ulicama, a noću u luksuznim barovima

01/08/2017    N. BABIĆ

Donald Trump je upravo izrekao sankcije predsjedniku Venezuele Nicolasu Maduru i svrstao ga u društvo ”diktatora” Bashara Al-Assada, Kim Jong-una, iranskih klerika i Raula Castra.

Mediji rade punom parom kako bi ”oporbu Venezuele” prikazali kao ”revolucionare koji se bore za pravo na bolji život i protiv režima”. Mnogi od njih opće nemaju novinar u Venezueli i samo kopiraju propagandu koju plasiraju CNN, Fox News, The Huffington Post i drugi.

Oni govore o Venezueli u kojoj ”vlada siromaštvo u koje je narod gurnula aktualna vlada”,  koju treba svrgnuti, iako je izabrana na demokratskim i slobodnim izborima. Gotovo svi krive Madura i vladu u Caracasu za ”pokolj nad civilnim stanovništvom”

Mnogi ”novinari” pišu članke u kojima stvaraju sliku o ”lijepoj idealističkoj mladeži, sanjarima na barikadama slobode koji s ovo vladom nemaju nikakvu budućnost.

I upravo u vrijeme ove bjesomučne propagande iz Caracasa za Bloomberg se javlja Andrew Rosati, koji je sve samo nije socijalist, ali je jedan od rijetkih koji svoj posao obavlja po svim pravilima struke i novinarske etike.

Rosati za Bloomberg otkriva društveni status čelnika prosvjeda, mladih i bogatih ljudi koji po danu stoje na barikadama, a noći provode u luksuznim stanovima i barovima na brdu Chacao u susjedstvu Caracasa, gdje se nalazi uporište takozvane ”demokratske oporbe”.

Pričao je s Lorenom (24), nakon što je cijeli dan prosvjedovala i navečer se vratila na ”Manhattan” Caracasa, kako bi proslavila rođendan u luksuznim lokalima u društvu lokalnih poduzetnika.

Za Bloomberg je izjavu dao i vlasnik restorana u elitnom dijelu Caracasa, a ono što je rekao je sušta suprotnost onome što čujemo u medijima.

Upravo ova priča Andrewa Rosatija bi trebala otvoriti oči onima koji u bandama huligana, predvođenih zlatnom mladeži Caracasa, žele vratiti status kojeg su izgubili 1999. i dolaskom Chaveza na vlast.

Njih nije briga za potomke Afrikanaca, ”campesinose”, radnike i proizvodni sektor koji je na izborima za Ustavotvornu skupštinu glasao od sreće, unatoč bojkotu i nasilnom protivljenju.

”Zlatna mladež” Caracasa i njihovi roditelji znaju da će padom Madura sve biti privatizirano, da će dobiti dio kolača, a bande huligana će dobiti zadovoljštinu u teritoriju na kojem će se slobodno moći baviti kriminalom.

Zašto nam mediji nesebično nam pojasne što se zapravo događa u Venezueli? Zašto su dva kandidata za Ustavotvornu skupštinu ubijena neposredno prije izbora? Ipak, na internetu postoje tisuće videa koji pojašnjavaju ovu priču.

Osim toga, europski političari su uglas osudili izabranu vlast, a zaboravili su osuditi brazilski institucionalni državni udar ili bombardiranje u Jemenu.

I na kraju dolazi Andrew Rosati, koji iz najbogatijeg dijela Caracasa piše za Bloomberg.

Razgovarao je s Tomásom Perezom, vlasnikom građevinske tvrtke koji je bio na zabavi na kojoj je DJ puštao house glazbu. Kaže da je otet dva puta i od tada kroz naselja u  prolazi u najnovijoj Toyoti 4Runner s neprobojnim oklopom.

”Ujutro u 7 ponovno na ulice, tako da se riješim mamurluka”

Na brdu Chacao možete jesti brzu hranu. Kuhar Carlos Garcia kaže da 10 tanjura venecuelanske hrane u restoranu ”Alto” košta u protuvrijednosti 20 američkih dolara.

”Evo, imate luksuz”, kaže Garcia (44), čiji je restoran jedini s Michelinovom zvjezdicom u zemlji.

”Taj luksuz si mogu priuštiti uglavnom oni koji imaju američku valutu. Više od deset godina stroge kontrole je dovelo do procvata crnog tržišta dolara, koji se razmjenjuju na stotine puta više od njegove službene vrijednosti. Mnogi građani su sakrio dolare za teške situacije, a neke multinacionalne tvrtke plaćaju u stranoj valuti. Neki Venecuelanci imaju ugovore s vladom s kojima imaju pristup dolarima”, piše Andrew Rosati.

”Venecuelanci koji nemaju ta sredstva će također naći načina da uživaju u životu. Jedna je skupina kupila likere u trgovinama na brdu Chacao, a ostale grupe u španjolskom stilu odlaze u pubove gledati sportske događaje”, nastavlja Rosati.

”Svatko je u potrazi za ispušnim ventilom i svatko na svojoj razini”, kaže Pedro Mezquita, kritičar i radijski voditelj.

Jose Cabrera, student od 22 godine koji je bio u baru smještenom na krovu, kaže da proučava ulogu svakog prosvjeda, ali ga njegovi prijatelji nekada kritiziraju zbog izlazaka.

”Gledajte, ja odlazim, bunim se, ispunjavam svoju dužnost za moju zemlju. Ali što da radimo noću? Blokiramo ulice? Marširamo na Palaču  Miraflores? Sutra ću se vratiti na ulicu u 7 sati i riješit ću se mamurluka”, kaže  Jose Cabrera.

Sličan je članak tijekom prosvjeda u Brazilu protiv Dilme Rousseff napisao novinar The Guardiana, koji je također primijetio kako su ”mladi revolucionari” bili sve djeca više srednje klase koja se obogatila za vrijeme diktature i tijekom neoliberalnih politika ’90-ih.

Oni žele povratiti izgubljeni status. Žele da se privatizira i uništi sve i da ne moraju biti ”elita” samo na brdu u blizini Caracasa. Zlatna mladež prosvjeduje jer želi na teret drugih imati jahte, još luksuznije vile, ali ne samo u Venezueli, nego i Europi, Americi ili negdje drugdje u svijetu. Zapravo ih možemo i razumjeti. Odrasli su kao egoisti i da doslovno preziru ”obojene”, pripadnike autohtonih naroda, ”campesinose” i radnike. No, neobjašnjiva je podrške koju kao ”revolucionari” imaju od strane europske socijaldemokracije i velikog dijela nevladinih udruga i ljevice iz galaksije trockističke ”4. Internacionale”.



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Venezuela, Caracas. Da Geraldina Colotti la cronaca di oggi, sul risultato elettorale di questa notte

da Geraldina Colotti, Caracas
1 agosto 2017 

Nelle file ai seggi c’è sempre chi fa musica, balla, ritma gli slogan. Una splendida ragazza afrovenezuelana danza e canta con una voce vibrante. Siamo all’interno del Poliedro, il grande spazio per gli eventi ora adibito a seggio elettorale. E’ uno dei 14. 515 seggi elettorali previsti per votare i 537 esponenti dell’Assemblea Costituente, più gli 8 rappresentanti indigeni che verranno decisi domani 1 agosto secondo le modalità comunitarie dei nativi. Questo seggio “addizionale” è stato allestito in emergenza, per consentire ai cittadini che vivono nelle zone colpite dalle violenze dei “guarimberos” di votare in sicurezza. Per questo è stato dichiarato perimetro sensibile per 500 metri.

Le forze armate lo presidiano, i funzionari del Consejo Nacional Electoral (Cne) forniscono informazioni e supporto a chi è venuto qui pensando di poter votare comunque anche se risiede in un altro comune. Invece qui può votare solo chi abita nell’est di Caracas: i quartieri benestanti, focolaio delle violenze che durano da tre mesi e che hanno provocato 116 morti. Ma in molti vogliono votare qui, pensano che il Poliedro sia un seggio per tutti. Alla fine firmano un registro testimoniale, che non ha valore ai fini del voto, ma che comunque dà conto dei 1500 testardi che non se ne sono voluti andare. Verso la mezzanotte, la presidente del Cne, Tibisay Lucena, leggerà i risultati della giornata elettorale, la cui chiusura si è protratta fino alle 19 e molti seggi hanno dovuto attendere per le molte persone in coda. Diversi centri, come il Poliedro, hanno tardato ad aprire per i ritardi dei presidenti dei seggi, ma la gente è rimasta in coda.

Intorno a Tibisay, le altre 3 dirigenti dell’organismo, particolarmente preso di mira dalle destre che ne disconoscono l’autorità.

Hanno votato – dice – 8.089.320 persone: il 41,53 % degli aventi diritto (19,5 milioni) su una popolazione di 30.620.404 persone.

Il sistema altamente informatizzato è stato nuovamente giudicato a prova di frodi dal gruppo di osservatori internazionali, che ha rilasciato una articolata dichiarazione. Eppure le destre hanno subito respinto i risultati del voto, sostenuti dalla “comunità internazionale”: che aveva invece avallato gli oltre 7 milioni di voti, sparati a tempo di record e a dispetto della stessa logica dopo il “plebiscito” organizzato dalle destre senza il Cne e senza controllo legale. Oltre agli Usa e alla Ue, che minacciano di estendere le sanzioni al Venezuela, 8 paesi – Argentina,Cile, Perù, Colombia, Brasile, Messico, Costa Rica e Panama – non hanno riconosciuto il voto, continuando ad appoggiare l’agenda violenta che le destre hanno mantenuto anche per oggi e che prevede la costituzione di un “governo parallelo” modello siriano. Anche il cosiddetto “chavismo critico” ha deciso di passare definitivamente in questo campo.

La testardaggine non è mancata a questo voto.

  • Oltre alla pioggia, i cittadini che sono arrivati al Poliedro hanno superato ostacoli di ogni tipo.
  • Hanno anche rischiato la vita nei quartieri in cui gli oltranzisti hanno giurato di bruciare vivo chi fosse intenzionato a votare. Dopo la trentina di persone date alle fiamme perché afro-venezuelane, chaviste o “presunto” tale, nessuno prende la minaccia sotto gamba.
  • Anche durante il voto vi sono stati scontri, seggi dati alle fiamme e 16 morti, tra i “guarimberos”, ma anche tra le forze di polizia.
  • Diversi chavisti sono stati feriti nel tentativo di difendere le urne, un candidato è stato ucciso nel Bolivar e una bomba nascosta nella spazzatura ha colpito una pattuglia nella Piazza Altamira, uno degli epicentri delle violenze.
  • Molti elettori hanno dormito nelle vicinanze del seggio, altri sono arrivati a piedi, altri ancora in bicicletta. Quasi tutti si fermeranno per la notte o verranno ospitati dagli amici dopo aver festeggiato in Piazza Bolivar fino a tarda notte insieme al presidente Maduro.

Data la fila chilometrica che si è protratta per tutta la giornata nei quartieri governati dalle destre, è logico pensare che tra i votanti, oltre ai chavisti c’erano anche moltissime persone di opposizione, sicuramente contrarie al governo, ma anche alle violenze xenofobe e squadriste. Avranno la loro voce nella Costituente, che si installerà tra 72 ore. Al Poliedro, sentiamo parlare italiano, pensiamo si tratti di antichavisti, com’è per gran parte degli italiani che vivono in Venezuela e che hanno fatto fortuna qui. Ma ci sbagliamo:

“Siete italiani?” chiediamo alla coppia. “Solo io – ci risponde una signora atletica inanellando il discorso senza prendere il respiro – mi chiamo Donatella e sono di Roma. Poco fa scorrevo le notizie dei giornali di lì. Ma di che parlano, quali menzogne raccontano, ma lo sanno quel che abbiamo subito in questi tre mesi di locura di questi fascisti… mercenari che taglieggiano e bruciano le persone? Vivo qui da tanti anni, ho appoggiato il proceso bolivariano fin dall’inizio, siamo passati attraverso mille prove, ma ne vale la pena. Siamo qui per esercitare un diritto che nessuno ci può negare: né Trump, né i guarimberos. Ditelo, ai politici italiani…”

Nel Tachira, per andare a votare schivando le trappole dei “guarimberos”, molti hanno guadato un fiume.  Un’immagine che non comparirà sui media mainstream, ma che sta rimbalzando sulle reti sociali insieme a quella di una giovane disabile che, priva di braccia, ha votato con un piede. Con il voto elettronico ha potuto farlo. Testardo e motivato, il popolo chavista:

“Quando un popolo decide di difendere la propria storia, diventa indistruttibile”, ha detto la candidata Delcy Rodriguez, ex ministra degli Esteri, promossa dal voto. Un voto “profondamente antimperialista”, ha aggiunto riferendosi alle ingiunzioni di Trump e dell’Europa. L’elettorato chavista è tornato in massa alle urne, motivato dalla possibilità di poter decidere anche fuori dalle pastoie burocratiche e per portare una critica a quello che finora non ha funzionato.





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Segnaliamo l\'importante inchiesta giornalistica prodotta dal canale televisivo LA7:

Medjugorje SPA

31/03/2017 – In questi giorni il Papa ha mandato un messo a Medjugorje per studiare il fenomeno. Mentre si attende una risposta cresce il dibattito nella Chiesa. Andrea Casadio tra i pellegrini che ogni giorno si recano lì per pregare...


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Sullo stesso argomento, e per una sua contestualizzazione storica, si veda la nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/prebilovci.htm



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*** Nel 75.mo Anniversario della prima esecuzione della Settima Sinfonia \"Leningrado\" di Dimitri Shostakovich, 9 agosto 1942 ***


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 15-06-17 - n. 636

L\'assedio di Leningrado, Shostakovich, e il revisionismo storico

Jenny Farrell - Socialist Voice | communistpartyofireland.ie
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

giugno 2017

La guerra fredda contro la Russia - e in precedenza contro l\'Unione Sovietica - continua. Ciò include la rimozione dalla memoria pubblica delle numerose atrocità commesse dalla Germania nazista sulla popolazione sovietica e il ruolo eroico di quest\'ultima nella sconfitta del fascismo.

Il 22 giugno 1941 la Germania invase l\'Unione Sovietica. Ciò portò a un massacro delle proporzioni dell\'Olocausto: 25 milioni di russi morirono, si tratta di oltre la metà dei morti della Seconda Guerra Mondiale.

Uno degli atti più orripilanti per barbarie fu l\'assedio tedesco di Leningrado. Per quasi 900 giorni, dall\'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944, tutte le forniture vennero tagliate e la popolazione di Leningrado venne affamata. Trovarono la morte più di un milione di persone.

Con un balzo in avanti, arriviamo all\'aprile 2017 e al ferale attacco terroristico (di gruppi piuttosto che di stati) a San Pietroburgo (Leningrado). Dopo attacchi simili nelle altre città dell\'Europa occidentale, Berlino ha issato la bandiera nazionale del paese vittima sulla Porta di Brandeburgo come espressione di solidarietà ma non questa volta, perché San Pietroburgo non ha alcun \"rapporto speciale\" con Berlino, secondo il sindaco, nativo di Berlino Ovest. Forse nel revisionismo storico imperante non ha mai neanche sentito parlare di Leningrado.

L\'assedio di Leningrado è stato registrato non solo nei libri, ma nella musica. Un residente di Leningrado di quel periodo tremendo era il compositore Dimitri Shostakovich. Iniziò a lavorare su una sinfonia subito dopo l\'inizio dell\'attacco, esprimendo i suoi pensieri sulla vita sovietica e sulla capacità del suo popolo di sconfiggere i fascisti. Questa, la sua Settima sinfonia, è conosciuta come Leningrado.

Ha quattro movimenti. Il primo è intitolato \"Guerra\" e inizia con la musica lirica che descrive una vita pacifica nell\'URSS prima dell\'invasione fascista. Un violino solista viene interrotto da un tamburo lontano e dal \"tema dell\'invasione\", ripetuto dodici volte, con un numero crescente di strumenti che suonano sempre più forte e strillando creano un profondo senso di disagio. I tamburi militari punteggiano questa sezione, che si conclude con un\'espressione di dolore e di orrore. Segue un passaggio più tranquillo: un flauto solista e poi un fagotto compiangono i morti. L\'accompagnamento è frammentato: il lamento per i caduti. Domina la dissonanza.

Nel secondo movimento, \"Memorie\", lo stato d\'animo cambia ricordando tempi più felici, sono presenti alcune melodie da ballo, sebbene sia presente una nota triste.

La musica del terzo movimento, \"Ampie distese della nostra terra\", afferma l\'eroismo del popolo, il suo umanesimo e la grande bellezza naturale della Russia. Il movimento è un dialogo tra il coro, il sollievo dato dallo splendore della patria, e la voce solista, i violini, l\'individuo in tormento. Sia il secondo che il terzo movimento esprimono la convinzione di Shostakovich che \"la guerra non necessariamente distrugge i valori culturali\".

Riguardo il movimento finale, \"Vittoria\", Shostakovich ha commentato: \"La mia idea di vittoria non è qualcosa di brutale; è piuttosto la vittoria della luce sull\'oscurità, dell\'umanità sulla barbarie, della ragione sulla reazione\". Il movimento inizia descrivendo musicalmente il popolo in attività in tempo di pace, pieno di speranza e felicità, poi i tamburi e le armi di guerra sovrastano il quadro. La musica marcia, combatte e resiste.

La vittoria non è facile. Shostakovich inizia con il rullo dei timpani che han concluso il lento l\'adagio del terzo movimento raggiunto gradualmente da altre voci. Lentamente la musica si muove verso la sua conclusione, con gli ottoni e il cembalo. Forza la strada un luminoso Do maggiore: la chiave ottimale della vittoria. Eppure, gli accordi finali in questa magnifica chiave contengono un suono doloroso. Nel pieno riconoscimento della realtà, della sofferenza inimmaginabile della guerra, la sinfonia non può finire con un semplice trionfo.

Shostakovich compose la maggior parte della sinfonia mentre era sotto assedio a Leningrado. Dopo diversi mesi di assedio, e nonostante le sue obiezioni, il governo sovietico evacuò la famiglia Shostakovich, insieme ad altri artisti.

La Sinfonia di Leningrado è stata eseguita il 9 agosto 1942 nella sua città natale assediata. La partitura venne trasportata in aereo attraverso linee naziste. L\'orchestra contava solo quindici musicisti, ma altri vennero richiamati dal fronte.

Una clarinettista di questa storica performance, Galina Lelyukhina, ricorda delle prove: \"Avevano annunciato alla radio che tutti i musicisti viventi erano invitati. Era difficile muoversi. Ero stata ammalata di scorbuto e le mie gambe erano doloranti. All\'inizio eravamo in nove, ma arrivarono altri. Il direttore, Eliasberg, fu trasportato in slitta, perché la fame lo aveva reso molto debole\".

Il 9 agosto 1942 la sala era pronta, con porte e finestre aperte in modo che chi era all\'esterno potessero sentire. La musica venne trasmessa per le strade e al fronte per ispirare tutta la nazione. L\'armata Rossa prevenne i piani tedeschi di interrompere il concerto, bombardando il nemico in anticipo per assicurare il silenzio per le due ore necessarie al concerto.

Una sopravvissuta dell\'assedio, Irina Skripacheva, ricorda: \"Questa sinfonia ha avuto un enorme impatto su di noi. Il ritmo incitava una sensazione di elevazione, di volo... Al tempo stesso potevamo sentire il timore spaventoso delle orde tedesche. Fu indimenticabile e travolgente\".

Settantacinque anni più tardi, lungo il confine occidentale della Russia, i carriarmati e le truppe NATO (compresi i tedeschi) si preparano alla guerra.

La Settima Sinfonia di Shostakovich, Leningrado, è disponibile su Youtube.

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Dmitri Shostakovich: Symphony No.7 in C major, Op.60 \"Leningrad\"

I. Allegretto (00:00)
II. Moderato (poco allegretto) (26:56)
III. Adagio (37:04)
IV. Allegro non troppo (56:06)

Leningrad Philharmonic Orchestra
Yevgeny Mravinsky, conductor
February 26, 1953
Large Studio of Moscow Radio




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The author is a well-known UK pundit who writes frequently on Russia.  He is currently running a crowdfunding to sue the Times, one of its writers, Oliver Kamm, and its publisher, Rupert Murdoch, for libel and stalking. If you like this article, please consider supporting this writer.  He is one of the best out there on Russia.

For more info about that see:  The Times, RT and Oliver Kamm, an Obsessed Neocon Stalker  and  Creepy London Times Moron Cyber-Stalks Leading UK Russia Expert (Video)




Neocons Have Been Destroying Sovereign Nations for 20 Years

An excellent article from one of our favorite Russia authors pointing out similar patterns in the destruction of Yugoslavia, Libya, and Syria

Neil Clark 
Mon, Jul 17, 2017

A resource-rich, socialist-led, multi-ethnic secular state, with an economic system characterized by a high level of public/social ownership and generous provision of welfare, education and social services.

An independent foreign policy with friendship and good commercial ties with Russia, support for Palestine and African and Arab unity - and historical backing for anti-imperialist movements.

Social progress in a number of areas, including women’s emancipation.

The above accurately describes the Federal Republic of Yugoslavia, the Libyan Arab Jamahiriya and the Syrian Arab Republic. Three countries in three different continents, which had so much in common.

All three had governments which described themselves as socialist. All three pursued a foreign policy independent of Washington and NATO. And all three were targeted for regime change/destruction by the US and its allies using remarkably similar methods.

The first step of the imperial predators was the imposition of draconian economic sanctions used to cripple their economies, weaken their governments (always referred to as ‘a/the regime’) and create political unrest. From 1992-95, and again in 1998, Yugoslavia was hit by the harshest sanctions ever imposed on a European state. The sanctions even involved an EU ban on the state-owned passenger airliner JAT

Libya was under US sanctions from the 1980s until 2004, and then again in 2011, the year the country with the highest Human Development Index in Africa was bombed back to the Stone Age.

Syria has been sanctioned by the US since 2004 with a significant increase in the severity of the measures in 2011 when the regime change op moved into top gear.

The second step was the backing of armed militias/terrorist proxies to destabilise the countries and help overthrow these \"regimes\". The strategy was relatively simple. Terrorist attacks and the killing of state officials and soldiers would provoke a military response from ‘the regime, whose leader would then be condemned for ‘killing his own people’ (or in the case of Milosevic, other ethnic groups),  and used to ramp up the case for a ‘humanitarian intervention\' by the US and its allies. 

In Yugoslavia, the US-proxy force was the Kosovan Liberation Army, who were given training and logistical support by the West.

In Libya, groups linked to al-Qaeda, like the Libyan Islamic Fighting Group, were provided assistance, with NATO effectively acting as al-Qaeda’s air force 

In Syria, there was massive support for anti-government Islamist fighters, euphemistically labelled \'moderate rebels.\' It didn’t matter to the ‘regime changers’ that weapons supplied to ‘moderate rebels’ ended up in the hands of groups like ISIS. On the contrary, a declassified secret US intelligence report from 2012 showed that the Western powers welcomed the possible establishment of a Salafist principality in eastern Syria, seeing it as a means of isolating ‘the Syrian regime’.

The third step carried out at the same time as one and two involved the relentless demonisation of the leadership of the target states. This involved the leaders being regularly compared to Hitler, and accused of carrying out or planning genocide and multiple war crimes. 

Milosevic - President of Yugoslavia - was labelled a ‘dictator’ even though he was the democratically-elected leader of a country in which over 20 political parties freely operated.

Libya’s Muammar Gaddafi was portrayed as an unstable foaming at the mouth lunatic, about to launch a massacre in Benghazi, even though he had governed his country since the end of the Swinging Sixties. 

Syria’s Assad did take over in an authoritarian one-party system, but was given zero credit for introducing a new constitution which ended the Ba’ath Party’s monopoly of political power. Instead all the deaths in the Syrian conflict were blamed on him, even those of the thousands of Syrian soldiers killed by Western/GCC-armed and funded ‘rebels’.  

The fourth step in the imperial strategy was the deployment of gatekeepers - or ‘Imperial Truth Enforcers’ - to smear or defame anyone who dared to come  to the defence of the target states, or who said that they should be left alone.

The pro-war, finance-capital-friendly, faux-left was at the forefront of the media campaigns against the countries concerned. This was to give the regime change/destruction project a \'progressive’ veneer, and to persuade or intimidate genuine ’old school’ leftists not to challenge the dominant narrative.

To place them beyond the pale, Yugoslavia, Libya and Syria were all labelled ’fascist,’ even though their leadership was socialist and their economies were run on socialistic lines. Meanwhile, genuine fascists, like anti-government factions in Ukraine (2013-14), received enthusiastic support from NATO.

The fifth step was direct US/NATO-led military intervention against \'the regime\' triggered by alleged atrocities/planned atrocities of the target state. At this stage, the US works particularly hard to sabotage any peaceful solution to the conflicts they and their regional allies have ignited. At the Rambouillet conference in March 1999, for example, the Yugoslav authorities, who had agreed to an international peace-keeping force in Kosovo, were presented with an ultimatum that they could not possibly accept. Lord Gilbert, a UK defence minister at the time, later admitted \"the terms put to Milosevic (which included NATO forces having freedom of movement throughout his country) were absolutely intolerable … it was quite deliberate.\"

In 2011, the casus belli was that ‘the mad dog’ Gaddafi was about to massacre civilians in Benghazi. We needed a ‘humanitarian intervention’ to stop this, we were repeatedly told. Five years later, a House of Commons Foreign Affairs Committee report held that \"the proposition that Muammar Gaddafi would have ordered the massacre of civilians in Benghazi was not supported by the available evidence.\"

In 2013, the reason given for direct military intervention in Syria was an alleged chemical weapons attack by \'Assad\'s forces\' in Ghouta. But this time, the UK Parliament voted against military action and the planned ‘intervention’ was thwarted, much to the great frustration of the war-hungry neocons. They still keep trying though.

The recent claims of The White House, that they had evidence that the Syrian government was planning a chemical weapons attack, and that if such an attack took place it would be blamed on Assad, shows that the Empire hasn’t given up on Stage Five for Syria just yet. 

Stage Six of the project involves the US continuing to sabotage moves towards a negotiated peace once the bombing started. This happened during the bombing of Yugoslavia and the NATO assault on Libya. A favoured tactic used to prevent a peaceful resolution is to get the leader of the target state indicted for war crimes. Milosevic was indicted at the height of the bombing in 1999, Gaddafi in 2011.

Stage Seven is ‘Mission Accomplished’. It’s when the target country has been ‘regime-changed’ and either broken up or transformed into a failed state with strategically important areas/resources under US/Western control. Yugoslavia was dismantled and its socially-owned economy privatised. Montenegro, the great prize on the Adriatic, recently joined NATO.

Libya, hailed in the Daily Telegraph as a top cruise ship destination in 2010, is now a lawless playground for jihadists and a place where cruise ships dare not dock. This country, which provided free education and health care for all its citizens under Gaddafi, has recently seen the return of slave markets.

Syria, though thankfully not at Stage Seven, has still been knocked back almost forty years. The UNDP reported: \"Despite having achieved or being well under way to achieving major Millennium Development Goals targets (poverty reduction, primary education, and gender parity in secondary education, decrease in infant mortality rates and increasing access to improved sanitation) as of 2011, it is estimated that after the first four years of crisis Syria has dropped from 113th to 174th out of 187 countries ranked in the Human Development Index.\"

Of course, it’s not just three countries which have been wrecked by the Empire of Chaos. There are similarities too with what’s happened to Afghanistan and Iraq. In the late 1970s, the US started to back Islamist rebels to destabilise and topple the left-wing, pro-Moscow government in Kabul. 

Afghanistan has been in turmoil ever since, with the US and its allies launching an invasion of the country in 2001 to topple a Taliban \'regime\' which grew out of the ’rebel’ movement which the US had backed. 

Iraq was hit with devastating, genocidal sanctions, which were maintained under US/UK pressure even after it had disarmed. Then it was invaded on the deceitful pretext that its leader, Saddam Hussein, still possessed WMDs.

The truth of what has been happening is too shocking and too terrible ever to be admitted in the Western mainstream media. Namely, that since the demise of the Soviet Union, the US and its allies have been picking off independent, resource-rich, strategically important countries one by one. 

The point is not that these countries were perfect and that there wasn’t political repression taking place in some of them at various times, but that they were earmarked for destruction solely for standing in the way of the imperialists. The propagandists for the US-led wars of recent years want us to regard the conflicts as ‘stand alones’ and to regard the ‘problem\' as being the ‘mad dog’ leadership of the countries which were attacked. 

But in fact, the aggressions against Yugoslavia, Libya, Syria, Afghanistan and Iraq, and the threatening of Iran, North Korea, Russia and Venezuela are all parts of the same war. Anyone who hasn’t been locked in a wardrobe these past twenty years, or whose salary is not paid directly, or indirectly, by the Empire of Chaos, can surely see now where the ‘problem’ really lies.

The ‘New Hitlers’ - Milosevic, Hussein and Gaddafi - who we were told were the ‘biggest threats’ to world peace, are dead and buried. But guess what? The killing goes on.


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