Informazione

Voce jugoslava / Jugoslavenski glas

Svakog utorka, od 13,30 do 14,00 sati, na Radio Città Aperta, na valu
FM 88.9 za regiju "Lazio", na Internetu:
http://www.radiocittaperta.it
dvojezicna emisija (po potrebi i vremenu na raspolaganju),
"Jugoslavenski glas".
Emisija je u direktnom prijenosu. Tel. 06 4393512.
Podrzite taj slobodni i nezavisni glas, kupujuci knjige, video kazete,
brosure... na nasem raspolaganju.
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Ogni martedì dalle ore 13,30 alle 14,00, su Radio Città Aperta, FM
88.9 per il Lazio, e via Internet:
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"Voce jugoslava".
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Program - programma 29 aprile 2003

1. Jucer, danas sutra, datumi "Da se ne zaboravi"
2. Kratke vijesti "Od Triglava do Vardara..."
3. Isjecci iz "Ratne propagande" M. Chossudovskog
Zaustavite politicka hapsenja, apel "Slobode"
4. Inicijative i apeli.

1. Ieri, oggi, domani, date "Da non dimenticare"
2. Brevi notizie "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."
3. Stralci da "Propaganda di guerra" di M. Chossudovsky,
Fermate gli arresti politici a Belgrado! Appello di "Sloboda".
4. Iniziative e appelli.

Riceviamo e diffondiamo questo articolo, apparso sul numero del 25
aprile 2003 del quotidiano giuridico on line
"Diritto e Giustizia". (Ringraziamo l'avv. MRB per la segnalazione)

---


Dal Kosovo all'Iraq, il tramonto dell'Onu

di Roberto Oliveri del Castillo *


Cessati i combattimenti in Iraq, dopo 28 giorni di guerra, si registra
il dato della caduta del regime di Saddam Hussein con unanime
sollievo. Passa in secondo piano, così, il costo del conflitto, e che
a prescindere dal numero di morti civili innocenti, la popolazione
civile è stremata: mancano ospedali, cibo, medicine, acqua, luce,
ovvero delle condizioni di vita più elementari.
Ma se l'uomo della strada è incline a dimenticare, per il flusso
mediatico cui è quotidianamente sottoposto, le notizie di ieri a causa
delle notizie di oggi e quelle di oggi per far posto a quelle di
domani, all'uomo di buon senso e in particolare al giurista spetta
qualche considerazione critica sull'intervento militare
angloamericano.
Un intervento, quello in Iraq, che ha mutato giustificazione giuridica
nel corso dei giorni: prima la violazione di risoluzioni dell'Onu da
parte di Saddam, poi la presenza di armi di distruzione di massa, poi
il carattere non democratico del regime, poi un po' di tutto.
Durante un convegno organizzato il 17 aprile scorso all'Università di
Bari da Magistratura democratica, con il prof. Vincenzo Starace, sono
state analizzate tutte queste argomentazioni con il risultato di
apparire per quelle che sono: tentativi di giustificare un illecito
sotto il profilo giuridico e morale innanzi alla collettività globale.
Solo per fare un esempio, la famigerata risoluzione n. 1441 del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu del novembre 2002, afferma che ci
saranno "gravi conseguenze" in caso di non collaborazione del regime
con gli ispettori delegati ai controlli, mentre di norma la formula
utilizzata dal Consiglio per autorizzare la forza si basa sul concetto
di "uso di tutti i mezzi necessari per".
Tuttavia, non va dimenticato che l'intervento in Iraq costituisce -
anche per l'Italia, che ha condiviso l'intervento - l'ennesima
violazione dell'ordinamento internazionale e dell'Onu, dimenticando
che anche in occasione dell'attacco all'Afghanistan e, prima ancora,
nel marzo 1999, dell'intervento Nato contro la Jugoslavia durante la
crisi del Kosovo, non vi era alcuna autorizzazione del Consiglio di
Sicurezza all'intervento armato, né precedente, né postuma.
Va rimarcato, poi, che tra le tante vulgate che si sono aggirate in
questi anni in tema di legittimità di interventi armati nei confronti
di stati sovrani, quella più equivoca (forse perché interamente
gestita in Italia da un governo di sinistra, durante una grave guerra
civile interna alla Jugoslavia e combattuta in blocco dalla Nato) è
proprio quella dell'intervento cd. "umanitario" in Kosovo, che pare
avere ancora una certa vivacità intellettuale, se è vero (cfr. S.
Zappalà, "Il Kossovo, l'Iraq e le violazioni della Carta delle Nazioni
Unite", in D&G n. 14 del 12 aprile 2003) che questo intervento è
considerato in linea con i principi dell'ONU e affetto solo "da vizi
di forma", oltre che reso inevitabile dalla situazione venutasi a
creare.
Al di là del fatto che nel campo giuridico ogni violazione di forma si
riflette sulla sostanza dei diritti, e che pertanto un intervento
armato non difensivo e non autorizzato dal Consiglio di Sicurezza
dell'Onu ai sensi dell'art. 51 della Carta, è sempre illegittimo, la
guerra era realmente l'ultima risorsa, o la crisi poteva avere uno
sbocco diplomatico?
Qualche dubbio è legittimo.
Per capire la genesi di quell'intervento, è necessario tornare alla
situazione di cinque anni fa, quando in Kosovo, dopo anni di scontri
fattisi sempre più cruenti tra le forze serbe e l'Uçk, l'esercito
indipendentista kosovaro, e dopo l'intervento di una missione
internazionale Osce (chissà mai perché a guida americana nonostante il
carattere europeo dell'organizzazione) che sembra ristabilire una
calma apparente, si giunge all'escalation del gennaio 1999, quando -
durante le trattative di pace di Rabouillet - vengono rinvenuti a
Racak 45 cadaveri di etnia albanese, il che avvia i negoziati verso
l'ultimatum finale.
La presunta strage è sempre stata ammantata di mistero, perché in
realtà Racak era tornata sotto controllo Uçk da oltre 24 ore quando si
diffusero le informazioni sul ritrovamento alla stampa occidentale, e
furono gli albanesi a condurre la stampa occidentale sul posto.
Nel mondo dell'informazione continua, nulla è più manipolabile
dell'informazione stessa.
Come che sia, il vero oggetto di analisi dovrebbero essere i negoziati
di Rambouillet, il contenuto delle proposte del cd. gruppo di
contatto (Usa, Francia, Inghilterra, Germania, Italia e Russia),
l'ultimatum alla Serbia e la risoluzione serba all'indomani del ritiro
della missione Osce.
Partendo da quest'ultimo punto, la risoluzione dell'Assemblea
nazionale serba condannava il ritiro degli osservatori Osce, e
prendeva in considerazione l'ipotesi di una "presenza internazionale"
che vigilasse sugli accordi che si sarebbero conclusi a Rambouillet
relativamente all'"autonomia del Kosovo che garantisse uguali diritti
a tutti i cittadini e a tutte le comunità etniche nel rispetto della
sovranità e dell'integrità territoriale della Repubblica di Serbia e
della Repubblica federale di Jugoslavia" (cfr. Marc Weller,
International documents & analysis, vol I, The crisis in Kosovo
1989-1999, Cambridge University Press, 1999).
Questa proposta, avanzata ai negoziatori il 23 febbraio 1999, non fu
mai presa in considerazione.
Ciò che fece naufragare l'accordo, dopo che la Serbia aveva accettato
le principali proposte politiche, furono le disposizioni introdotte
mediante "allegati" all'ultimo momento e durante i negoziati di
Parigi nel marzo 1999, secondo le quali sarebbe stata la Nato a
vigilare sugli accordi con un "diritto di passaggio libero senza
restrizioni e un accesso illimitato in tutta la repubblica federale di
Jugoslavia, compresi il suo spazio aereo e le sue acque
terrritoriali". Inoltre le autorità avrebbero dovuto eseguire gli
ordini della Nato "su una base prioritaria e con tutti i mezzi
appropriati" (cfr. Noam Chomsky, In Kosovo, un'altra soluzione era
possibile, su Le monde diplomatique, 9 marzo 2000) .
Di fronte a richieste dell'ultimo momento che comportavano di fatto
l'occupazione dell'intero territorio jugoslavo da parte di una forza
estranea all'Onu e all'Osce, i serbi non potevano che rifiutare, cosa
che avvenne il 18 marzo 1999.
Dopo una settimana iniziavano i bombardamenti della Nato, che
colpivano non solo istallazioni ed obiettivi militari, ma anche
strutture civili, ospedali, fabbriche, ambasciate.
All'esito, il 9 giugno, la Jugoslavia accettava una presenza
internazionale che contenesse forze Nato nel solo Kosovo.
In sostanza, dopo 78 giorni di bombardamento si è raggiunto un
risultato già ampiamente alla portata dei negoziatori - in quanto
sostanzialmente accettato dalla Jugoslavia prima dell'intervento Nato
- ovvero un'occupazione militare di forze Nato e russe nel solo
Kosovo.
Bisognerebbe chiedersi, come autorevoli analisti internazionali:
l'ultimatum last minute della Nato "Era un cavallo di Troia? Mirava a
salvare la pace, o a sabotarla?" (cfr. Robert Frisk, The Independent,
Londra, 26 novembre 1999)
Al di la' delle inutili devastazioni e delle innumerevoli morti
evitabili, il conflitto ha aggiunto due risultati, tra loro connessi,
che - insistendo sui negoziati trasparenti e senza diktat inspiegabili
(secondo buon senso, ma spiegabili in una logica di potenza) - non si
sarebbero verificati: 1) l'accelerazione da parte serba del redde
rationem etnico in Kosovo; 2) la contro-pulizia etnica albanese
all'indomani del conflitto, tant'è che a fronte dei 200.000 serbi di
Kosovo oggi ne restano meno di 60.000, con buona pace di un Kosovo
multietnico e pacificato.
In definitiva, l'opzione militare è stata decisa dalla Nato dopo aver
"deciso di rigettare le opzioni diplomatiche, che non erano affatto
esaurite" (cfr. Noam Chomsky, op. cit.), come riconosciuto
tardivamente da autorevoli mezzi di informazione occidentali secondo i
quali "sarebbe stato possibile avviare un vero ciclo di negoziati - e
non il disastroso diktat americano presentato a Milosevic alla
conferenza di Rambouillet - e inviare un consistente numero di
osservatori esterni capaci di proteggere sia i civili albanesi che i
civili serbi" (cfr. editoriale del Boston Globe del 9 dicembre 1999,
citato da Noam Chomsky, op. cit.).
Questo sull'inevitabilità del conflitto.
Sul punto della sostanziale rispondenza dell'intervento ai principi
della Carta dell'Onu, va segnalato che l'articolo 2 paragrafo 4 della
Carta fa espresso divieto agli stati membri di usare la forza per la
risoluzione di controversie internazionali nonché al fine di incidere
sull'integrità territoriale o l'indipendenza politica di altro Stato,
mentre le finalità dell'Onu (articolo 1 par. 1, 2 e 3) si evidenziano
per lo sviluppo delle relazioni amichevoli, la risoluzione pacifica
delle controversie, la cooperazione internazionale anche per i
problemi di tipo umanitario.
Altrettanto infondata è l'argomentazione umanitaria fondata su
presunto "stato di necessità".
Appare veramente paradossale, infatti, che per salvaguardare i diritti
umani di una parte della popolazione di uno stato si sottoponga
l'altra parte, in ipotesi non responsabile per l'atteggiamento
persecutorio di un governo, alle vessazioni proprie di una guerra da
parte di paesi terzi che nella fattispecie non hanno alcun interesse
essenziale, per quanto "civili e sensibili ai problemi umanitari" in
quanto per interessi essenziali devono intendersi quelli connessi alla
propria sopravvivenza, integrità territoriale ed indipendenza politica
(cfr. Giuseppe Palmisano, Not in my name - Guerra e diritto, Editori
Riuniti, 2003).
E poi, tali valutazioni non devono comunque essere prese da un
organismo, il Consiglio di Sicurezza, a ciò deputato dall'ordinamento
giuridico internazionale?
Diversamente opinando, in futuro chiunque potrebbe ritenersi investito
di una missione umanitaria e scatenare una guerra giustificandola a
difesa di un popolo oppresso. Ieri in Kosovo è intervenuta la Nato a
protezione degli albanesi, oggi in Iraq gli Stati Uniti ed un gruppo
di paesi satelliti a protezione degli stessi iracheni e dei curdi,
domani i paesi arabi potrebbero ritenere meritevole dello stesso
trattamento Israele per come agisce nei territori (occupati) a danno
dei palestinesi da oltre trent'anni, in contrasto con innumerevoli
risoluzioni Onu.
La realtà è un'altra.
In questi anni stiamo assistendo ad una pericolosa eclissi dei diritti
sul piano delle legislazioni interne in tutto l'occidente, dal lavoro,
alla cittadinanza, alla giustizia, con compressione dei poteri di
garanzia e controllo, e dove finanche la Costituzione Italiana diventa
un fastidioso retaggio del passato da rivedere.
A tale situazione fa eco, sul versante internazionale, un altrettanto
grave ridimensionamento dell'Onu, con guerre che vengono scatenate per
tutelare diritti e diritti che vengono schiacciati (si pensi ai
"dannati" senza nome di Guantanamo, non prigionieri di guerra, non
imputati, non cittadini) in nome della sicurezza e della guerra al
terrorismo globale, in una spirale perversa e senza fine, in cui anche
la tortura diventa lecita dopo secoli di bando.
Francis Fukujama nel 1992 parlò, per il dopo guerra-fredda, di un
periodo di pace e prosperità nelle relazioni internazionali e di fine
della storia: Non immaginava, forse, che quel periodo cui si riferiva
sarebbe stato caratterizzato, più semplicemente, dalla fine del
diritto e dal tramonto dell'Onu.
A questi scenari ci si può e ci si deve opporre recuperando la memoria
del 25 aprile e, in generale, dello spirito riformatore che animò la
collettività internazionale dopo la tragedia del secondo conflitto
mondiale, troppo spesso dimenticati.

* Magistrato del pubblico ministero

"Processo" Milosevic / Milosevic "trial"

Di seguito, nel messaggio inviatoci dal Comitato Internazionale per la
difesa di Slobodan Milosevic, sono riportati alcuni significativi
recenti stralci dal "processo" dell'Aia. Si tratta dei passaggi in cui
il "magistrato" May e la "pubblica accusa" Nice si accordano per la
revisione della trascrizione del dibattimento, dunque per la sua
censura, allo scopo di impedire la divulgazione di quegli interventi
di Milosevic considerati "ad uso esterno" e dunque irrilevanti o
inopportuni per gli Atti del "processo".

Questo episodio si aggiunge a molti molti altri, dei quali rimane
testimonianza tra le ormai migliaia di pagine di verbali del
"processo" nonostante il silenziatore imposto a tutti i massmedia
internazionali; episodi che dimostrano l'abominio giuridico ed il
carattere paralegale del "Tribunale" dell'Aia. Come ulteriore esempio
di tale abominio, invitiamo a leggere ad esempio la pagina 11467 degli
Atti, relativa al 10 ottobre 2002, ormai leggendaria poiche' in essa
per la prima volta nella storia un "magistrato" (Richard May) dichiara
che la Corte accetta il "sentito dire" come prova.

Piu' sotto riportiamo un ulteriore testo, dell'inizio di marzo, che e'
tra le pochissime sintesi del dibattimento messe in circolazione via
internet negli ultimi mesi.

Chi avesse la possibilita' di seguire questo vero e proprio insulto
alla civilta' giuridica, giorno per giorno, e' invitato a collegarsi
ai siti che trasmettono le sedute pubbliche in formato Realplayer:

LIVE ENGLISH VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
LIVE SERBIAN VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/bcs/room1.ram
ENGLISH VIDEO ARCHIVE
http://hague.bard.edu/video.html
SERBIAN VIDEO ARCHIVE
http://tribunal.freeserbia.com

Sintesi e notizie dal processo si possono anche trovare al sito

http://www.slobodan-milosevic.org/

che e' ricco di documentazione altrimenti irreperibile.


===


Newsletter of the International Committee to
Defend Slobodan Milosevic (ICDSM)

Subscribe to our free newsletter at
http://emperor.vwh.net/MailList/icdsm.php
Receive articles from ICDSM Website

Please forward this text or send the link to a friend.
http://www.icdsm.org/more/redact.htm

========================================================

Hague Tribunal Alters Transcripts of the
Milosevic 'Trial'!

By Andy Wilcoxson

[Posted 26 April 2003]

========================================================

Look at the two passages below.

In Passage #1, Prosecutor Jeffrey Nice
suggests redacting (censoring) the
transcript if President Milosevic makes
remarks "for external consumption."

In Passage #2 Slobodan Milosevic is
cross-examining a witness and asks a
question that Nice and Judge Richard May
don't like. Nice asks May to redact the
question from the transcript. The question
gets redacted. Then May consoles the
witness, promising to protect him from
"harrying" questions and order Mr.
Milosevic to limit his cross-examination to
"what is relevant and proper."

(As some people may be unaware, The Hague
uses an adversarial system. This involves,
precisely, sharp and often lengthy
cross-examinations, with lines of
questioning intended to "harry" the witness,
with the goal of catching him in
contradictions and lies. By intervening to
prevent Milosevic from pursuing lines of
questioning unpleasant to the witness, Judge
May reveals the truth: that this is a show
trial. But it is an awkward show trial,
because the victim won't cooperate. Hence
Mr. Nice's worry that Milosevic is speaking
for "external consumption." We have a bit of
a contradiction here: it's a show trial but
they're afraid to have Mr. Milosevic's words
shown.)

If you go to the relevant part of the video
you won't have to be an expert to see that
the tape has been crudely doctored.

Video at:
http://hague.bard.edu/video/icty_env.20030401.ram
Go to the 1 hour, 4 minute and 20 second
mark of segment 2.

[Passage #1 begins here]

On March 31, 2003 (Page 18257 of the
transcript starting on line #7)

Mr. Nice: I remind the Court that I never
respond to the various allegations that are
made by the accused. I'm not going to change
the policy now. If at any time the Chamber
thinks that these allegations may be simply
for external consumption, it's always
possible to redact the transcript. I'm not
going to enter into any kind of a debate
with the accused over that sort of
allegation.

[Passage #1 ends here]

***

[Passage #2 begins here]

On April 1, 2003 (Page 18300 of the
transcript starting on line #6)

Slobodan Milosevic: I see. We'll come to
that later. Now, tell me, please, is it true
that you went to the Radojka Lakic
elementary school?

Witness Alija Gusalic: Yes.

Slobodan Milosevic: [redacted]

Mr. May: That is totally irrelevant. That's
a most improper question.

Slobodan Milosevic: [Interpretation] Mr. May
--

Mr. May: No, it is not a proper question,
and the witness will not have to answer it.
Now, kindly confine yourself to what is
relevant and proper.

Mr. Nice: May that passage be redacted from
the transcript.

Mr. May: Yes. Now, go on to something else.

Witness Alija Gusalic: [Interpretation] You,
Mr. --

Mr. May: Mr. Gusalic.

Witness Alija Gusalic: Shame on you, Mr.
Milosevic.

Mr. May: Mr. Gusalic, I can understand that
you'll be annoyed, but try not to be. You
will be protected from questions of that
sort. You're not here to harry the witnesses
or bully them, Mr. Milosevic. Now you'll
confine yourself to proper questions.

Slobodan Milosevic: Mr. May, I think that
this is proof that Mr. Nice is abusing this
witness. He is obtaining statements from him
which are not truthful.

Mr. May: You can ask the witness proper
questions. Now, get -- move on to that.

[Passage #2 ends here]

-- Andy Wilcoxson

===================================

Footnotes and Further Reading

===================================

[1] Using your computer, you may access the
trial proceedings in English or Serbian. You
may watch live or from archive. You will
need Realplayer. If you don't have it, go to
http://www.real.com/realone/dmm/video_trial/

Here are the hyperlinks and URLs to get you
to the videos.


LIVE ENGLISH VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
LIVE SERBIAN VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/bcs/room1.ram
ENGLISH VIDEO ARCHIVE
http://hague.bard.edu/video.html
SERBIAN VIDEO ARCHIVE
http://tribunal.freeserbia.com

www.icdsm.org


===


http://www.slobodan-milosevic.org/news/martinovic031103.htm

Report from UN Tribunal - Milosevic vs. 1st Bosnia Witness
Jurist (via S-M.org) ^ | March 11, 2003 | Vera Martinovic

Posted on 03/12/2003 8:41 AM PST by vooch

For the last two days the Prosecution was busy with 3
new witnesses and few technical/legal debates in open
court. This all was just quantity and their case further
caved in.

First, they invited our Government representative to
discuss documents needed for this 'trial'. I saw a piece of
this argument, read reports of it in our press and heard
bits on TV, and I also read a JCI article on that.

It is always far more significant what JCI omits to report
than what it actually reports. In her last piece, titled
'Trial Chamber Declines to Order Serbia-Montenegro to
Produce Documents', Judith Armatta writes just about
everything but the crucial thing: that May & friends
refused to order a free physical access to the State
archives by the Prosecution.

The request from Nice was that the Prosecution wants
to 'examine the archives and find' what they need.

The Yugoslav representative at the session, the Foreign
Minister's Adviser Djeric, argued this would be a
'document fishing' and 'frisking another country'.

The exact words by May were: 'The Trial Chamber is
not convinced that the Prosecution should be allowed
such physical access.'

This is a step even the ICTY is reluctant to take, so
Yugoslavia has been only ordered to answer to a
'priority list' of the requested specific documents by the
Prosecution within two months time. Therefore, it has
been ordered to produce documents, thus exactly the
opposite of what the title of the article claims. You will
not learn this by reading Ms Armatta's 'informative'
piece.

As regards 3 witnesses, it was significant that the first
witness for Bosnia & Herzegovina segment appeared,
then there was another General/'insider' and finally
another Dubrovnik witness started to testify today and
will finish tomorrow.

Do you know that at the end of today's session May
read out a list of some 20 more Dubrovnik witnesses
and asked the Prosecution with exasperation in his
voice: "Do you really need that amount of witnesses?!
We have already heard plenty of witnesses regarding
Dubrovnik. Think about that."

The first Bosnia-witness was one Mrs Malesevic, a
Chairperson of the Bosnia & Herzegovina Prison Camp
Inmates Association. She described in gruesome detail
(or else, confirmed the descriptions provided by Nice) all
63 ways and means of maltreatment and abuse against
the prisoners in 520 Serbian prison camps.

The problem was she had not a single evidence to
substantiate that vivid sadistic imaginativeness: no
names nor dates were given, the locations were
dubious (e.g. she had mentioned a prison camp in a
fortress in Bijeljina, whereas no such place exists
there), and she herself knows nothing about all those
places, because she was imprisoned in a Croatian camp
for nine months!

She claimed all has been documented by the 'statements
from witnesses' but was unable to produce a single one,
arguing 'all has been still under investigation' (after 12
years?!).

The most ridiculous moments with this confused
woman were when Milosevic, well-informed as usual,
had put to her that her claims of 2,500 Muslims being
in that Croatian camp Kresevo where she had been
kept were equal to the total number of Muslims in
that municipality and that her own earlier statement
in Sarajevo on 20 April 1994 was that there were only
500 civilians there.

"It will now turn out that I'm defending the Croats
here', joked Milosevic.

The poor woman was finally reduced to such mumbled
answers of 'I can not remember the details' (and she
'remembered' all the genital-cutting, excrement & body
parts-eating and other events to which she was never
present and to which she could not name a single
witness).

In re-direct, Nice made her 'promise' to 'subsequently'
find and submit 'documents'.

When will it be, I wonder? What were they doing for the
last 12 years? So, the first Bosnian 'witness' finished in
disgrace and stupidity.

The 'insider' General Milosav Djordjevic was completely
useless: a long-time pensioner, who had been in a top
position of the Serbian Defence Ministry for only 1 year,
could not provide a single piece of information, apart
from his own personal opinion that Serbian police was
better equipped than the JNA.

The old army man resented Milosevic for not helping
the JNA more (and he's been on trial for exactly the
opposite, mind you!).

Milosevic teased him mildly: "You claim that I took
more care about the Police than about the Army. Is it
any wonder that I took more care about what was my
job, instead of caring about what was not my job?"

And when Milosevic said: "You came here to testify
against me. Do you claim that I hated the Army?".

The old man explained meticulously: "I did not come
here to testify against you. The Federal Government
allowed me on 3 March to testify of what I know;
whether this would be against you or in favor of you, I
would not enter into that."

That was the end of it. Insiders' business is definitely a
wrong card for the Prosecution.

And yet another Dubrovnik witness?

This was a Director of the Institute for the Cultural
Monuments Protection in Dubrovnik, Mrs Baca. She
started with some maps of Dubrovnik, with 4-10 black
spots on them, representing buildings that had been hit.
Through her, the Prosecution introduced 4 more binders
of documents, proving that Dubrovnik actually is on the
UNESCO list of the world cultural heritage!

Here's something the Prosecution will be finally able to
prove. She is to continue tomorrow.

---

The above article is intellectual property of Vera Martinovic
Posted For Fair Use Only

http://www.b-i-infos.com/

B. I. Balkans-Infos est un mensuel de politique internationale
totalement indépendant de tout gouvernement, institution ou parti, qui
paraît depuis près de sept ans. Il n'est diffusé que sur abonnements.
Fondé à l'origine pour réagir aux mensonges des grands médias
concernant la Yougoslavie et les Balkans, il est devenu un organe de
référence dans une dénonciation d'ensemble de l'impérialisme
économique, du fanatisme religieux et de la désinformation.

B.I. Balkans - Infos N° 77 mai 2003


SOMMAIRE DU N° 77

Deux articles passionnants sur les coulisses de la guerre à l'Irak.

Le premier explique qu'un des buts de l'agression américaine - avec le
contrôle du pétrole - a été le sauvetage du dollar.

Le second dévoile le secret de la résistance inattendue de la France,
de l'Allemagne et de la Russie.

Des révélations sur les projets américains de protectorat militaire en
Irak et de pressions sur la Syrie.

Kosta Christitch analyse la situation en Serbie après l'assassinat du
Premier ministre Zoran Djindjic et Alain Jejcic traite des dangers de
l'état d'exception.

Un des ex-rédacteurs en chef de la chaîne nationale serbe, rescapé du
drame, fait un récit émouvant de la nuit où l'OTAN a bombardé
l'immeuble de la télévision à Belgrade, faisant plus d'une dizaine de
morts.

Jean-Michel Bérard dénonce la régionalisation envisagée de la
Roumanie, et le Dr Rajko Dolecek fait le procès de la vénalité des
politiciens.

Et de nombreux témoignages de nos lecteurs sur les évènements
d'actualité.

Le quatrième roman d'Ivanka Mikic, " Komarac ", remporte un succès
mérité à Belgrade. Le livre en serbe est disponible en France pour le
prix de 15 euros (envoi compris). Le commander au journal.


EDITORIAL N 77

LES NEOCONS

Je n'invente rien. C'est ain-si que les Américains appellent la clique
de Bush. The "Neocons". The "New Con-servatives". Les nouveaux
conservateurs. Un savoureux hasard linguistique fait que l'appellation
leur va à ravir en français.
Ces neocons sont l'incarnation de ce que l'Amérique peut produire de
plus sinistrement réactionnaire : un mélange d'ignorance, d'avidité et
de bigoterie.
Malheureusement pour l'hu-manité, ils sont aujourd'hui les maîtres du
monde.
Leurs méfaits sont connus. Ils ont déclenché quatre guerres,
progressivement de plus en plus seuls. Ils ont ravagé la Yougoslavie,
l'Af-ghanistan et l'Irak. Ils me-nacent aujourd'hui de se-mer leur
chaos impérial dans d'autres pays. Au mépris croissant de la légalité
internationale et de l'ONU.
Qui sont donc ces Attilas du XXIe siècle ? Une morphologie sommaire
pourrait distinguer quatre types principaux.

Le capitaliste rapace.

Il est le militant du mondialisme militarisé, du libéralisme sauvage
imposé par la force. Ses égéries sont les pétroliers, les
multinationales, les industriels de l'armement. A son image, la
plupart des hauts responsables du gouvernement Bush sont liés aux
grandes compagnies américaines, dont ils défendent cyniquement les
intérêts. Sa cause est la préservation du monopole commercial du
dollar, le contrôle des sour-ces d'énergie, la réduction à la
dépendance des économies nationales, la colonisation et le pillage des
Etats indépendants.

Le shérif dément.

Son monde manichéen est divisé en adjoints et en barbares. Sa loi est
la seule va-lable, en vertu du droit du plus fort. Sont agrées les
domestiques qui le servent les yeux fermés, sont combattus les égarés
qui ne pensent pas comme lui. A son image, les faucons du Bureau Ovale
et du Pentagone, les Rumsfeld, Cheney ou Rice, rêvent d'enfoncer leur
"démocratie" dans la gorge de tous les récalcitrants au moyen d'un
cocktail de chantages et de bom-bes, pour faire régner la "pax
americana" sur une planète à leurs genoux.

Le dévôt abruti.

Il passe son temps en prières et oblige tout le monde à prier avec
lui. Son Dieu, drapé dans la bannière étoilée, a défini "l'axe du mal"
conformément à l'étroite morale d'un quarteron de puritains exaltés.
Sa mission est la croisade, sa vocation l'extermination des
hérétiques. Pour lui, c'est-à-dire pour Bush, l'épée flamboyante de sa
secte religieuse doit embrocher les méchants pour offrir au Seigneur
le chachlik de la rédemption.

Le camelot zélé.

En fait, il y en deux, de mo-dèles de camelots zélés, dans le lobby de
Washington.
D'abord l'avocat de l'islam, qui s'est toujours trompé dans le choix
de ses protégés. Il a soutenu, financé et armé les fondamentalistes
antiserbes en Bosnie, les terroristes albanais au Kosovo, les
fanatiques anti-russes en Af-ghanistan. A chaque fois, la pire
régression confessionnelle contre la modernité pluraliste et laïque.
Aujourd'hui, il favorise les chiites en Irak, qui sont loin d'être les
moins durs des musulmans.

Puis il y a le porte parole de Sharon, c'est-à-dire du pendant juif de
l'intransigeance islamique. Pour ce second ca-melot, Israël et les
Etats-Unis sont deux oasis de démocratie qui ne peuvent se maintenir
dans le désert hostile de l'intégrisme anti-occidental que par leur
puissance militaire. A son image, les Wolfowitz, Per-le ou Feith,
pensent que la po-litique américaine doit avoir pour but principal
l'anéantissement des ennemis d'Israêl : ils sablent le champagne en
voyant les Palestiniens étranglés, Saddam Hussein terrassé et les
autres régimes arabes directement menacés.

Ce recensement des "influen-ces" washingtoniennes appelle une
précision. Le quatuor ci-dessus symbolise un groupe au pouvoir, pas
l'ensemble qu'il prétend représenter. On n'insistera jamais assez sur
ce point, car dissocier les deux est difficile. Le jeu du groupe au
pouvoir est de s'identifier à son ensemble pour valider sa politique,
comme le jeu de toute opposition est de se servir de cette identité
pour attaquer l'ensemble.

D'où les amalgames intolérables. Dénoncer Bush et ses néocons devient
de l'anti-américanisme primaire, com-me condamner Sharon et ses
sponsors d'outre-Atlantique devient de l'anti-sémitisme, ou rejeter la
shariah devient la haine des Arabes.
Accusations d'une rare stupidité, car trouver que les intérêts d'une
nation ou d'un peuple sont mal défendus par ses dirigeants est plutôt
prendre ces intérêts à c?ur.
De plus, la raison critique est un acquis majeur du progrès. On se
bétonne dans la sclérose mentale si on ne peut pas faire le procès de
l'impérialisme sans être anti-américain, celui de la répression
sharonienne sans être raciste et celui du fondamentalisme musulman
sans préparer le futur "choc des civilisations". Ce qui oblige à
cerner nettement ces procès : non à Bush, mais l'Amé-rique est un pays
qu'on continue à admirer, à imiter et même à aimer ; non à Sharon,
mais l'existence d'Israêl ne peut être remise en question et personne
ne méconnaît les atrocités du terrorisme palestinien ; non aux
nouvelles croisades, mais l'islam, dans sa forme dominante actuelle,
est une religion offensive, prosélytique et inacceptable.

Trois observations qui tempèrent certaines convictions manichéennes et
affermissent le réquisitoire contre les chefs qui, par leur
aveuglement, leur sectarisme, leur avidité ou leur violence,
trahissent les Américains, les juifs et les musulmans.

Cette mise au point étant faite, revenons à nos néocons. La
justification "idéologique" de leur politique est une notion qui est
probablement la plus catastrophique de tou-te la géostratégie moderne
: la notion du droit, ou du devoir d'ingérence.

Pourquoi cette notion est-elle une aberration ?

1) - Elle implique un jugement de valeur porté sur des nations ou des
régimes.
Au nom d'une "moralité" occidentale, dont le moins qu'on puisse dire
est qu'elle n'est pas toujours mise en pratique par les Etats qui la
prônent, et d'un système politique - à base de démocratie
parlementaire, de libéralisme économique et d'égalitarisme cito-yen -
qui n'est pas forcément adapté au niveau de développement de tous les
pays de la planète. Les critères de répartition des pays en "bons" et
"mauvais", déjà au départ, ne font pas l'unanimité.

2) - Qui va porter ce jugement ? Il faut un référent suprême qui
s'arroge - ou à qui on reconnaît - le droit de le faire. Un rôle qui
pourrait en partie - idéalement - être joué par les Nations Unies.
Mais malheureusement la realpolitik n'est pas une utopie. Nous vivons
dans un monde où le droit revient au plus fort. En fin de compte,
toute intervention ne peut être décidée - et réalisée - que par la
première puissance du monde, les Etats-Unis. La liste d'"Etats-voyous"
n'est pas établie par André Glucksmann ou Ber-nard-Henri Lévy, ni même
par Kofi Annan, elle est établie par les stratèges du Bu-reau ovale et
du Département d'Etat. C'est l'allumé du Te-xas et sa CIA qui décident
de qui peut continuer à exister.

3) - Cette liste, pour des raisons diplomatiques, stratégiques ou
militaires, entraîne des injustices qui ne peuvent que discréditer la
morale qu'elle prétend représenter. Tel pays doit être mis au pas tout
de suite, comme l'Irak, alors que tel autre paraît plus dangereux,
com-me la Corée du Nord ; telle nation est piétinée parce qu'elle est
indocile, comme la You-goslavie, alors que tel-le autre est cajolée
com-me pilier de l'OTAN, comme la Turquie ; tel chef d'Etat doit être
abattu parce qu'il rue dans les brancards, comme Milosevic ou Saddam
Hus-sein, alors que beaucoup d'autres, bien plus dictatoriaux, sont
épargnés parce qu'ils se montrent coopératifs.

4) - Plus grave encore, la notion d'ingérence conduit, par définition,
à la guerre, au mépris d'un des acquis les plus importants de la
civilisation : la différence entre la guerre offensive et la guerre
défensive. Un progrès de l'humanité a été d'honorer la résistance en
condamnant l'attaque. Or l'ingérence, quel qu'en soit le motif, est
toujours une agression. Un engrenage se met en route, qui mène
inéluctablement de la guerre d'intervention à la guerre de prévention,
c'est à dire à l'initiation des hostilités. On ne réagit plus, on
prend les devants. On ne se défend pas, on attaque. Or l'attaque est
le privilège du plus fort. Désormais, la vie et la mort des peuples
dépendent du bon plaisir de celui, même si c'est un débile mental, qui
peut déclencher l'apocalypse quand il le veut.

5) - Ce pouvoir démesuré cherche à se justifier par la nécessité de
combattre le terrorisme. Mais la guerre en elle-même est une horreur.
Surtout celle qui se fixe ouvertement comme objectif de frapper la
population civile de stupeur en la privant d'eau, d'électricité, de
transports, de nourriture et d'abris. Cette guerre-là, qui prétend
combattre le terrorisme, n'est qu'un terrorisme elle-même. La seule
différence, c'est qu'au lieu d'être un terrorisme de désespoir et de
misère, elle est un terrorisme de puissance et de gros budget.

6) - La notion d'ingérence pose un problème éthique. Dans le mesure où
il ne menace pas le monde de conquêtes continentales, comme Hitler,
quel hom-me, si autoritaire ou cruel qu'il soit, mérite qu'on sacrifie
des milliers de victimes à son expulsion ? Quel homme, si dictatorial
qu'on l'accuse d'être, vaut qu'on écrase son peuple pour s'en
débarrasser ? Comment ces soit-disant humanistes peuvent-ils se
permettre d'affirmer froidement, du haut de leur arrogance : "il vaut
mieux mourir bombardé ou affamé que vivre dans la servitude" ? De quel
droit décident-ils de ce qui est bon ou mauvais pour les peuples,
ressuscitant ainsi l'ancien colonialisme des con-quistadors, qui
massacraient les indigènes en prétendant faire le salut des sauvages
malgré eux ?

Voilà l'aberration qui sert de bible aux néocons. Elle aboutit à une
formule qui est un sommet de confusion mentale, une perversion
ahurissante à la fois de la morale et du langage, la formule : "Il
faut faire la guerre pour faire la paix". Et à une conception
originale dont les policiers et magistrats apprécieront la subtilité,
celle de "l'attaque préventive par auto-dé-fense". Les agressions sont
pardonnées d'avance, elles ne sont plus des délits, mais des
précautions. Si on tire le premier en massacrant tout le monde autour
de soi, c'est seulement pour se protéger. Les partisans de ce délire
sont plus que des imbéciles qui se trompent, ils sont des criminels,
responsables de plus de morts que les dictateurs qu'ils prétendent
combattre.

Ils ne cessent de se tromper de bataille. Ce n'est pas Milose-vic ou
Saddam Hussein qui menaçaient la paix. Ce sont les néocons de
Washington qui sont des dangers pour l'humanité.

Louis DALMAS.


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