Informazione

IL MANIFESTO DEI RESISTENTI

by I RESISTENTI
Wednesday April 23, 2003 at 12:19 PM (Fonte: Indymedia)



La nostra storia non è cominciata adesso. Le Resistenze
come alternativa possibile. Un Manifesto comune per tutti i Resistenti


Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia
il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola
che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di
Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla
montagna del Principe Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la
fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l'onda lunga che ha portato
alla Repubblica del '36 e alla resistenza antifranchista fino ai
nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a
Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti -
Ciceruacchio per il suo popolo - insieme al figlio Lorenzo cadeva
sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino
indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in
Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo
ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai
piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre
barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a
piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come
"strade di una caserma opportunamente ampliata" perché i padroni
temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come
Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate
infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo
conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe furono
mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul
popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono
formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero
nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a
disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono
alla Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore
degli ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può
essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori
del prodotto del loro lavoro". Capite adesso perchè lo sciopero dei
lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate
e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche
nelle nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno.
Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader
che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del
generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani,
impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani,
nell'ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero
tre scariche della fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo
cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i
militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e
per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne
deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza
e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che
dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del
poeta arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia
violare con stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia
addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l'occidente sia
considerato colpevole".
Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle
bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o
fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia.
Ma gli arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del
deserto, Omar Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le
camicie nere che occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani,
quello che aveva massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar
Al Muktar. Ma il suo fantasma inquieta così tanto gli eredi di
Graziani da impedire che in Italia si possa vedere il film che parla
della sua storia. Fanno paura anche da morti i Resistenti!!!
Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi
Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle
loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la
resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che
fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697
contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli
schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si
ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé
cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord,
eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli
spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma
duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti
di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure
della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra
selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che
volevamo una sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci
insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere
quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le
montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo
resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li
abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete
visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a
Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la
coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del
Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più
tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas
giurarono di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del
Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui
Tamara Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro"
veniva ferito e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme
al Chino e a Willy. Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba
contro la privatizzazione dell'acqua, avevano la sua immagine sulle
nostre bandiere, la stessa immagine e le stesse bandiere che
sventolano sulle terre occupate del Brasile dei Sem Terra, nelle zone
liberate dalla FARC in Colombia tra i piqueteros in Argentina. I
militari, gli jacuncos o quei perros degli "aucisti", sentono un
brivido lungo la schiena quando invece di indios e campesinos
impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete
riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso
pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo
difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu
del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del
1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale
Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard
Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di
Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati
dall'agenzia Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli
immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono
quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt
o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S.
Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per
l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di
conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perchè i
Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno
guardare ben oltre le sbarre della loro cella.
Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le
abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal
nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della fabbrica di
Trattori a Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi
volevano ridurci in cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di
noi. Insieme a lui ed a noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio
Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi
e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede
coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre
bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino.
Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la
polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell'Ottobre.
"Il mio insostituibile Kamo" diceva Ulianov preparando il primo
assalto al cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le
munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì,
insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò
per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in
rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di
concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei
collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla
Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli
ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto
ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi
dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo
combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo
insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine
del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO
ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in
occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti
ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli
operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della
periferia romana e i contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una
canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma
del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano.
"Cammina frut" scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile
della frontiera con l'Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in
Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne
greche.
Tanti di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna,
affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i
bombardamenti tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli
occhi, abbiamo resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle
democrazie europee che temevano il nazifascismo ma temevano ancora di
più la rivoluzione popolare e l'onda lunga dell'ottobre sovietico.
Quando finì la guerra non eravamo tutti convinti che fosse finita
veramente. In Emilia-Romagna - come dice Vitaliano che fu partigiano e
vietcong- non consentimmo ai fascisti di cavaresela a buon mercato e
in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi e gli
americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i
tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di
Euskadi non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del
franchismo in Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in
Spagna e in Grecia ci sono ancora i movimenti di lotta più forti e
decisi d'Europa?
Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo
Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani
hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i
Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come
Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale
degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare
lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai
saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell'Africa siamo
arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci
riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti.
L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con
la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci
contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle
giungle del Vietnam. L'immagine del piccolo Truong che scorta
prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni
degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai
molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son "il
poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio
si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli
americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e
vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati
dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti
siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche
gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso
corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata
americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima
gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo
hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo
giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un
elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus
rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e
coraggioso paese.
E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come
quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che
hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano
come macigni sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza
dell'occidente. C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle
giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto
ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di
ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di
conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li
circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel
Corrie.
Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in
Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio
Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti
scrivendo che la "Resistenza contro l'invasione è la prima condizione
per la pace". I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo
mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro
dall'imperialismo e dalla guerra. E' arrivato il momento di unirli, di
dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli
riconoscere a chi - da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da
Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per rendere possibile un
altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie
è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all'imperialismo
occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai
corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia.
Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della
libertà, all'idea di libertà fondata sull'homo economicus noi
proponiamo all'umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il
poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza,
un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze
è cominciata.
Aprile 2003, terzo anno della guerra infinita
I Resistenti

LA LIBERAZIONE DI TRIESTE


Testimonianza di Milka Cok (Ljuba) di Longera

«Il primo bunker venne costruito nell'estate del '44 sotto
casa nostra, che si trovava proprio dietro quello che adesso
è l'asilo di Longera, una vecchia osteria dove allora si erano
insediati i tedeschi. La gente entrava davanti ed usciva dietro,
sulla campagna, era in una posizione ideale per quel tipo di
movimenti.
Poi ci accorgemmo di essere spiati, ed un altro bunker venne
costruito più su, dove ora c'è il monumento. Consisteva in una
piccolissima stanza, dove potevano stare da 4 a 6 persone, ed un
piccolissimo cunicolo che portava sul monte. Il bunker serviva
come base per partigiani che stavano lì nascosti di giorno e che
uscivano la notte per compiere le loro missioni.

Allora avevo sedici anni, facevo parte dello S.K.O.J. [1]; noi
ragazzi avevamo ognuno una zona della città dove andavamo di
notte a scrivere con vernice e pennello; la mattina, invece di
andare a scuola, nascondevamo tra i libri, nelle borse, i volantini
che venivano da Gropada [2] e li portavamo in città. Poi
accompagnavamo in Carso i giovani che volevano unirsi ai partigiani:
davamo loro degli attrezzi agricoli e li portavamo attraverso Monte
Spaccato, dove lavoravano quelli della Todt [il servizio obbligatorio
istituito dai nazisti, n.d.a.] a fare fortificazioni, dicendo a
questi che i ragazzi andavano a lavorare in campagna. Passavamo
oltre, dopo un poco abbandonavamo gli arnesi ed i giovani andavano
fino a Gropada, da dove poi si sarebbero uniti ai partigiani.

Il giorno del rastrellamento e del massacro (21.3.1945, n.d.a.)
venne su a Longera la "banda Collotti" con Collotti in persona.
La gente sospetta e schedata venne prelevata e condotta al centro
del dopolavoro che si trovava in fondo al paese. C'ero anch'io con
la mia famiglia, avevo due fratelli partigiani, eravamo "sospetti".
Verso le 11 sentimmo i primi spari, mitraglie, bombe a mano. Capii
subito che si trattava del bunker: qualcuno aveva fatto la spia. Mi
disse poi proprio uno della "banda Collotti" che c'era in paese
uno spione che andava di notte ad origliare sotto le finestre dei
compaesani.

Quelli della "banda Collotti" portarono tre compagni incatenati,
tra cui anche il padre di Danilo, che aveva il figlio nel bunker.
Volevano che lo aprisse, ma lui si rifiutò e lo uccisero. Danilo mi
raccontò poi che loro, nel bunker, avevano deciso, se fossero stati
attaccati, di attaccare a loro volta e di non lasciarsi prendere
vivi dai fascisti. Durante l'attacco al bunker morirono Pavel, che
era il comandante, Stojan e Radivoj [3]. Gli altri tre si salvarono
nascondendosi dietro la nostra casa e si rifugiarono a Gropada.

Al dopolavoro chiamarono fuori la mia famiglia e ci portarono tutti
fino al bunker, dov'erano stati messi in fila i quattro morti, anche
il papà di Danilo. Volevano che dicessi i nomi dei morti, ma mi
rifiutai, allora mi fecero andare tra i corpi e mi minacciarono di
uccidermi. Credetti davvero che sarei morta, ma spararono solo una
raffica che non mi colpì e svenni. Mi riportarono poi a casa e di
nuovo al bunker e poi ancora di nuovo al dopolavoro. Lì vidi anche
i loro feriti (della P.S., n.d.a.), che vennero portati via subito.

Al pomeriggio mi chiamò Collotti in persona; io non volevo andare
perché avevo visto Slavko (uno dei costruttori del bunker) che era
stato torturato ed era ancora fuori di sé, diceva che non aveva
potuto sopportare le torture, era irriconoscibile.

Collotti mi disse che sapeva tutto di me, di quello che avevo fatto,
del cibo che portavo nel bunker, di ciò che facevo a Borst e a
Gropada. Io negai di essere la figlia di Rodolfo Cok, lui fece
per picchiarmi ma si fece male da solo... allora mi fecero ruzzolare
giù per un piano di scale. La sera poi ci portarono in via Cologna.

Fu proprio il giorno delle Palme che mi portarono nella stanza
della tortura: mi legarono ad una sedia, mi torturarono con
l'elettricità, mi bruciarono con le sigarette, mi picchiarono, mi
tirarono su con una corda legata alle spalle torcendomi le braccia...
una ragazza ebbe le braccia spezzate, un compagno morì poco dopo.
Nonostante tutto non parlai e dopo dieci giorni ci portarono al
Coroneo dove ci passarono alle S.S.; là vennero anche mia madre ed
altri di Longera.
Sentivamo di notte i camion che venivano a prendere la gente per
portarla in Risiera, ma anche al Coroneo riuscivano a girare i fogli
partigiani e questo ci dava coraggio.

Erano gli ultimi giorni di guerra e ci dissero che ci avrebbero
portato in Germania. Ci condussero a piedi fino a Roiano: lì gli
uomini vennero caricati su un camion mentre noi aspettammo tutto
il giorno che venissero altri camion per portarci via, ma non venne
nessuno, perche a nord le strade erano già bloccate. Così
ci riportarono al Coroneo e dopo ci rimandarono a casa.

A Longera la nostra casa era distrutta: una notte che pioveva e
non potevamo dormire ci eravamo messi di guardia contro i tedeschi:
ma ad un certo punto vedemmo arrivare i partigiani, da tutte le
parti venivano fuori i partigiani e questa è stata una gioia così
grande che non la posso descrivere».



[1] Savez Komunisticne Omladine Jugoslavije (Lega della Gioventù
Comunista Jugoslava).

[2] Piccolo paese carsico tra Bazovica-Basovizza e Padrice-Padriciano.

[3] I caduti del bunker, i cui nomi sono ricordati nel cippo di
Longera, sono: Andrej Pertot, Pavel Petvar, Angel Masten ed Evald
Antoncic.


(Tratto da: Claudia Cernigoi, "Operazione foibe a Trieste. Come si
crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista
attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo". Edizioni Kappa
Vu, Udine 1997.)

JUGOSLOVENSKOJ I SVETSKOJ JAVNOSTI

Borba koju ovde vodim tice se istine i slobode. To zna cela
planeta.

Ovaj nelegalni sud dozivljava svakodnevni fijasko. I to u svom
sopstvenom poluvremenu. U poluvremenu u kojem nastupa njihova
lazna tuzba i njihovi lazni svedoci. To traje vec drugu
godinu. Oni ne smeju ni da misle kako ce izgledati moje poluvreme,
u kojem govorim ja, u kojem govore svedoci koje ja pozovem.

Protiv mene su upotrebili sva sredstva politickog, medijskog,
psiholoskog i fizickog pritiska. NEUSPESNO.

Sada su pristupili brutalnom progonu koristeci se bezocnim
lazima. Taj progon je i fizicki i pracen je medijskom kampanjom.

A cela javnost vidi da su pocinioci zlocina, koje su pohapsili,
upravo isti oni kojima je aktuelna vlast odavala priznanje za
"doprinos" pucu od 05. oktobra, koji su, sa carapama na glavama
preskakali ogradu rezidencije, koji su me uhapsili i kidnapovali
za njihov racun.

Brutalnom progonu moje supruge i sina pristupili su iskljucivo
zbog mene. Zato sto ne mogu da me slome.
Zato sto sam svakako moralni pobednik. Zato sto je istina na
mojoj strani.

Zbog tog progona, ja vec trecu godinu nisam video sina, a od
skora ni suprugu. To im i jeste cilj, da mi onemoguce svaki kontakt.
To pravo ovde nikome nije, niti moze biti, uskraceno. Zato su i
odlucili da ga meni uskrate na ovako necastan nacin.

Trazim da prestane progon moje supruge i sina jer je iskljucivo
politicki motivisan i u funkciji onemogucavanja borbe koju vodim i
pravdanja zlocina nad Jugoslavijom i njenim gradjanima.


Hag, 23. aprila 2003.

Slobodan Milosevic

NEL 2018 I SERBI SARANNO MINORANZA ETNICA ANCHE IN SERBIA



Da li su Srbi, izmedju dva popisa stanovnistva, etnicki
ocistili gradjane drugih nacionalnosti

Srbi u Srbiji manjina 2018.

Neki narodi bi se i bez ratova i migracija smanjivali, jer su jos
1991. bili staraècke nacije s malim natalitetom. Iako je rat napunio
Srbiju izbeglicama Srbima, srpsko stanovnistvo poraslo samo jedan
odsto

Hrvati, Madjari, Bugari, Vlasi, Bosnjaci... Gotovo da nema nacionalne
manjine u Srbiji koja se nije pozalila na popis 2002. Nacionalno telo,
tvrde predstavnici tih manjina, osipa se iz ovih ili onih razloga -
ali uvek zbog Srba i Milosevicevog rezima.
Istina je da je popis pokazao da je Hrvata u Srbiji manje nego 1991.
godine 25 odsto, a Madjara i Bugara 13 odsto. Upuæeni, meðutim,
tvrde da bi do toga doslo i da nije bilo ratova i migracija, jer su i
u popisu od pre 11 godina imali staracko stanovnistvo i negativan
prirodni prirastaj.
Ipak, bez obzira na statistiku, Jozef Kasa, lider Saveza vojvodjanskih
Madjara i potpredsednik srpske Vlade, kako sam kaze, spreman je da
pred Haskim tibunalom posvedoci da je za proteklih deset godina u
Srbiji bilo etnickog ciscenja.
I predstavnici vlaske i rumunske manjine, pozivajuci se na popis
stanovnistva iz 2001, oglasili su se tvrdeci da "postoje ozbiljne
sumnje da su popisivaci, uz pomoc grafitnih olovaka i naknadnog
prepravljanja podataka, bitno uticali da broj ljudi koji su se
izjasnili kao Rumuni -Vlasi bude daleko manji od stvarnog stanja na
terenu".

Bebe i nacija

Istovremeno, srpsko stanovni¹tvo u centralnoj Srbiji u poslednjoj
deceniji se uvecalo za samo jedan odsto. U Vojvodini, koja je etnicki
heterogena, ali u kojoj su Srbi i 1991. cinili 57 odsto stanovnistva,
danas je 200.000 pripadnika vise, te sada cine 65 odsto satnovnistva.
Goran Penev, iz Centra za demografska istrazivanja, uporedjujuci
stanje izmedju dva popisa kaze da je mnogo vise onih koji su umrli kao
Srbi, nego beba koje su rodile majke srpske nacionalnosti.
- Popis je pokazao da se i ukupno stanovnistvo centralne Srbije i
Vojvodine, ukljucujuci tu i Srbe i druge etnicke i nacionalne manjine,
smanjilo za 51.000 u odnosu na 1991, a da je to posledica imigracije,
doseljavanja, odseljavanja i negativnog prirodnog prirastaja, koji
imaju svi sem Roma, Albanaca i muslimana - kaze Penev.
Bez obzira na te cinjenice, dr Sandor Pal, predsednik Demokratske
zajednice vojvodjanskih Madjara, poslanik u Skupstini Srbije (DOS),
kaze da je bilo otvorenog, grubog i manje otvorenog, finog psiholo¹kog
pritiska. Zbog toga se deo Madjara, kaze Pal, iselio.
- I to oni najbolji, u najboljim godinama, s malom decom - sa
zaljenjem kaze Pal.
I Josip Gabric, potpredsednik Demokratskog saveza Hrvata Vojvodine,
kategorican je u tvrdnji da su Hrvati iz Vojvodine proterani, i to
35.000 do 40.000, i da je upravo to glavni razlog smanjenja ove
nacionalne manjine u Srbiji. Dragomir Dragic, predsednik Foruma za
kulturu Vlaha, pak, smatra da se, kad je ova manjina u pitanju, ne
moze govoriti o etnickom ciscenju u izvornom smislu, ali da je "Vlah
prihvatljiv samo u varijanti kao Srbin".
Vlasi su se, prema Penevu, uvecali za 25.000 pripadnika manjine u
odnosu na 1991, ¹to je oko 160 odsto, a to se nikako ne mze pripisati
prirodnom prirastaju, vec takozvanom etnickom transferu.
- Karakteristika poslednjeg popisa je sto se mnogo ljudi nije
izjasnilo o svojoj nacionalnosti. Takvih je sada deset puta vise nego
1991. - tada ih je bilo samo 10.000. U toj grupi mogu biti i
prestavnici vecinskog srpskog naroda, ali i nacionalnih manjina. I to
je ono sto mi demografi ne mozemo nikako da utvrdimo na osnovu popisa
- veruje Penev.

Etnicki transfer

Onih koji su se izjasnjavali kao Jugosloveni manje je cak 74 odsto,
ili 230.000. To se moze tumaciti kao etnicki tansfer. Pored stanovnika
koji su se zvali prema drzavi koja je nestala, i Crnogorci su se, sa
118.000 sveli na 69.000. Bugarska nacionalna manjina, nastanjena
uglavnom u dve opstine - Dimitrovgrad i Bosilegrad, takoðe ima nizak
prirodni prirastaj i veliku stopu smtrnosti. Pre 11 godina, u Srbiji
je bilo oko 26 hiljada Bugara, a sada ih je oko 6.000 manje.
U samom Dimitrovgradu, na primer, danas je od oko 13.500 zitelja, 49
odsto Bugara. I predstavnici ove manjine navode visestruka rasipanja
pripadnika nacije: ekonomsko, politicko. Sama atmosfera je bila takva,
kazu oni, da je bila potrebna i svojevrsna mimikrija kako bi se
prezivelo. I da se zbog toga mnogo Bugara izjasnjavalo kao
Jugosloveni, ili se uopste nisu izjasnjavali.
Ipak, Penev tvrdi da je metodologija popisa takva da se ne moze sa
sigurnoscu utvrditi ni stvaran broj vecinskog stanovnistva, a kamoli
nacionalnih manjina.
Na osnovu cega onda prvi ljudi manjina tvrde da je u Srbiji bilo
etnickog ciscenja?
- Taj izraz znaci da se jedno podrucje ocisti od jedne nacionalnosti,
sto se ovde nije desilo. Iako nekih etnickih grupa ima manje nego u
predhodnom popisu, to ne mo¾e da znaci etnicko ciscenje. Obja¹njenja
ima vise. Recimo, kod zivorodjene dece u obrazac se upisuje
nacionalnost majke, a to ne mora da znaci da ce kasnije biti i
nacionalnost deteta. Drugo, za decu do 14 godina roditelji se
izjasnjavaju o nacionalnosti. Trece, nije retko da se umrlima menja
nacionalnost. Odnosno, dogadja se da se prilikom evidentiranja umrlog
podatak cesto razlikuje od onog koje je pokojnik dao za zivota -
objasnjava Penev.
A ako Srbi, veruju upuceni, nastave da se ovim tempom osipaju, za 15
godina ce postai manjina u sopstvenoj zemlji. I danas su od stotinu
rodjene dece u Srbiji tek 36 Srbi, a ostali su druge vere i nacije.
Dr Pal pak, objasnjava da su oni Madjari koji nisu hteli da idu u rat
bili sikanirani, bacane su im bombe na kuce, otpustani su sa posla. U
sela gde su Madjari vecinsko stanovnistvo, kaze on, naseljavane su
izbeglice.
- Tako je promenjen etnicki sastav stanovnistva, a to se kosi sa svim
medjunarodnim konvencijma. Prave se kuce o drzavnom trosku, ali u njih
se nece vratiti Madjari koji su otisli. Cak mislim da su svi prepadi,
u neku ruku bili organizovani i smisljeni, samo da bi se nasi
sunarodnici strahom naterali da odu iz zemlje - veruje dr Pal.
Gabric, kao i predstavnici bugarske manjine, problem Hrvata u
Vojvodini vide i u tome sto su, opet zbog politicke prisile, morali da
se izjasnjavaju kao Jugosloveni, a da je, prema njegovoj evidenciji,
tako prikrivenih Hrvata bilo i vise od 380.000, na celoj teritoriji
danasnje Srbije i Crne Gore. Taj strah od izjasnjavanja o nacionalnoj
pripadnosti i danas postoji, pa je mnogo onih koji uop¹te nije hteo da
se popise.
A nacionalne manjine su, kao sto je poznato, veoma disciplinovano
politièko telo. One, koje za razliku od srpskih biraca, kad dobiju
jasnu poruku od svojih politickih lidera, ispunjavaju gradjansku
duznost. To je pokazala i situacija na nedavno ponovljenim izborima za
predsednika Srbije. Tada se ispostavilo da su nacionalne manjine u
vecoj meri glasale nego Srbi.
Neki zapadni teoreticari, kao Dalijel Gros, na primer, veruju da ce na
Balkanu "preziveti samo one drzave u kojima vecinski narod bude cinio
najmanje 90 odsto stanovnistva". Ovo upozorenje kao da je poslu¹ala
samo Hrvatska, jer je uspela da ocisti manjine, pa danas ima vise od
90 odsto hrvatskog stanovnistva. Ova ZSCG, kao i ostale zemlje u
okruzenju, nastoji da prezivi kao visenacionalna i tolerantna sredina.

BRANKICA RISTIc

Glas Javnosti,
Sreda, 16. 4. 2003.


http://www.glas-javnosti.co.yu/danas/srpski/T03041501.shtml