Informazione

Date: Thu, 27 Feb 2003 14:33:41 +0100
From: "Jedinstvena sindikalna organizacija Zastava" <sindikat@...>
Organization: Samostalni sindikat

APPELLO

A TUTTE LE PERSONE DI BUONA VOLONTA,
ASSOCIAZIONI, STRUTTURE SINDACALI ECC...

APPELLO PER VINCERE NELLA BATTAGLIA CON IL TEMPO

PER SALVARE UNA VITA

ALEKSIC NENAD, 26 anni di Kragujevac - Yugoslavia (SIC)
Indirizzo: Ru?ice Bojovic 6, 34000 Kragujevac - Yugoslavia
Infermiere, padre Dragan, madre Radmila

Le previsioni dei medici sono 10 giorni di vita se non venisse
sottoposto all' intervento chirurgico
TRAPIANTO DI CUORE (in Yugoslavia non fattibile).

Trapianto verra' fatto a Monaco di Baviera - Clinica Universitaria
Groshaden. Costi di trapianto cca 100.000 Euro. Nel caso che non sara'
fattibile (per i motivi economici) verranno incorporate "camere di
plastica" nel cuore - costo previsto 40.000 Euro.

Ogni contributo e' prezioso, goccia per goccia faremo mare. La vita al
costo preciso - da 100.000 a 40.000 Euro.


Allegato : Documentazione medico-sanitaria, Riferimenti della Banca
Yugoslava e quella Tedesca ***

Per ulteriori informazioni contattare Rajka Veljovic
SINDACATO ZASTAVA
Tel + 381 34 335 762 (8h00-12H00)
E-mail: sindikat@...


*** I files JPG con la documentazione sono scaricabili al sito:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/NenadAleksic/

[See also the english texts:
30 Giorni: After the bomb the chaos (by Gianni Valente)
http://www.kosovo.com/erpkim26feb03c.html
Interview: Bishop Artemije: Victims of humanitarianism (by Gianni
Valente)
http://www.kosovo.com/erpkim26feb03d.html#2%5d

---

http://www.30giorni.it/articolo.asp?id=308

30GIORNI Nella chiesa e nel mondo
mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti

Estratto del N. 2 - 2003

KOSOVO
A quattro anni dalla "guerra umanitaria" in Kosovo

Dopo le bombe il caos

Gli estremisti albanesi continuano a far saltare in aria le chiese
ortodosse. E l'incombente smobilitazione dei contingenti militari
internazionali mette a rischio anche gli antichi monasteri medievali.
Mentre aumentano le ostilità verso il personale Onu e gli attentati
contro gli esponenti moderati del partito di Rugova

di Gianni Valente



A Decani, che a parole è ancora una città della provincia autonoma del
Kosovo appartenente alla Serbia, di serbi non ce ne sono più. Solo nel
monastero dedicato all'Ascensione del Signore i 35 monaci e qualche
anziana perpetua della comunità, coi ritmi ordinari della loro vita
quotidiana, consentono che questo luogo tanto caro alla memoria e
alla devozione dell'ortodossia serba non si sia già trasformato in un
monumento alle glorie passate. Tra loro c'è anche padre Sava Janjic,
il "cybermonaco" che da quattro anni tiene le redini di un
cliccatissimo sito internet dove ha raccontato prima gli orrori del
conflitto e adesso la vita sotto assedio dei pochi serbi rimasti in
Kosovo dopo le pulizie etniche seguite alla "guerra giusta" targata
Nato del '99. Alle cinque, insieme ai suoi confratelli, si reca nella
chiesa senza elettricità per le preghiere del mattino. Che qui, da
quasi settecento anni, si ripetono sempre uguali. Così come le sante
liturgie, quelle scritte da san Giovanni Crisostomo nel IV secolo.
Poi, subito al lavoro, nella stanza piena di computer, di modem, di
scanner.
Non si può dire che padre Sava e i suoi compagni si presentino come
dei fanatici istigatori all'odio etnico. La documentazione che
divulgano via internet adesso batte tutta sul calvario della comunità
serba in Kosovo. Ma si ricordano anche gli interventi con cui, prima
della guerra, i monaci di Decani denunciavano la "politica cieca e
irrealistica" del regime di Milosevic, prendendo le distanze - a
differenza di altri esponenti dell'ortodossia serba - dalle mitologie
ancestrali della stirpe, del sangue e dei confini etnici perenni
tracciati dalla volontà divina. Per questi trascorsi, i monaci di
Decani sono stati accusati di tradimento dagli ultranazionalisti
serbi, specialmente quando durante l'escalation del conflitto etnico e
della repressione dell'esercito iugoslavo diedero asilo a più di
duecento musulmani albanesi in fuga dalle rappresaglie dell'esercito
serbo.
Eppure adesso quella che si vive a Decani è una normalità artificiale,
sospesa a un filo. Il filo spinato dei recinti militari della Kfor, la
forza multinazionale dislocata dal giugno '99 anche qui, come in tutto
il Kosovo, a garantire la "pace" bugiarda seguita alla pioggia delle
bombe intelligenti. Da allora, i reggimenti italiani che si sono
succeduti nella task force "Sauro" dislocata a Decani vengono ospitati
in un decadente ex centro-vacanze a cinquecento metri dal monastero. I
reticolati inglobano il complesso religioso ortodosso all'interno
dell'area militare. Ma presto anche questa tranquillità sotto tutela
potrebbe venir meno.
Non è un mistero che nei prossimi mesi, forse già entro la primavera,
le truppe italiane di stanza a Decani verranno trasferite a Pec, dove
è stato ultimato il cosiddetto Camp Italy, la struttura logistica
centrale intorno a cui ruotano i programmi di ristrutturazione e di
graduale smobilitazione della presenza militare italiana in Kosovo. La
cosa allarma intellettuali e studiosi di tutto il mondo, che vedono
messa a repentaglio la sopravvivenza di una delle opere più belle e
rilevanti dell'architettura serbo-ortodossa medievale. Ma preoccupa
soprattutto i monaci. Dice padre Sava: «Fin dalla scorsa estate
abbiamo raccolto per vie indirette notizie e documenti che
annunciavano lo spostamento della task force "Sauro". L'imminente
rimozione dell'unità Kfor è stata più volte confermata anche alle
autorità municipali albanesi di Decani. Io personalmente ho scritto al
comando Kfor in Kosovo, per riaffermare che la riduzione della
presenza militare, in condizioni di sicurezza così precarie, metterà a
rischio la sopravvivenza del monastero. Sto ancora aspettando risposte
concrete».
In questi anni neanche la presenza del contingente italiano ha
risparmiato al monastero di Decani le "provocazioni" degli estremisti
albanesi: il cimitero comunale dissacrato, il boschetto circostante
distrutto, un paio di granate atterrate vicino alla chiesa. Anche chi
fa la spesa per la comunità può girare in città solo grazie alla
scorta di soldati italiani. «La task force "Sauro"» aggiunge padre
Sava «è l'unico posto in cui possiamo ricevere assistenza medica e
altri aiuti urgenti. Non ci è permesso l'accesso a nessuna
istituzione, lì in città». Ora che nell'area di Decani si avvicina
anche il passaggio di consegne tra la polizia Onu e le forze di
polizia locale, in cui si sono riciclati buona parte degli ex
miliziani estremisti albanesi dell'Uck, gli appelli dei monaci per il
mantenimento della task force "Sauro" assumono toni allarmati: «Il
piano a lungo termine» insiste padre Sava «è di costringerci a
lasciare il monastero, per poi magari trasformarlo in un museo o in un
"monumento cristiano" del Kosovo indipendente. Ma confido nei soldati
italiani: già durante la guerra mondiale furono i vostri carabinieri a
salvare il monastero di Decani dai Balli Kombetar, i paramilitari
nazionalisti albanesi che combattevano a fianco dei nazisti e che
volevano distruggerlo...». Anche un colonnello italiano che ha passato
due anni nel Kosovo occidentale, e che chiede di mantenere
l'anonimato, sul destino delle antiche chiese ortodosse in caso di
smobilitazione dei peacekeepers internazionali, nutre pochi dubbi:
«Gli estremisti aspettano solo che ce ne andiamo per fare piazza
pulita dei luoghi santi ortodossi concentrati nel Kosovo. Pensano che
solo radendoli al suolo, le chiese e i santuari perderanno la forza di
richiami perenni al ritorno dei serbi».

Sotto gli occhi dell'Onu

Tra '98 e '99, durante le rappresaglie dell'esercito di Milosevic in
Kosovo, a detta della locale comunità islamica furono distrutte o
danneggiate più di duecento moschee. Ma adesso, in tutte le aree in
cui è spartita la regione sotto protettorato internazionale, i
minareti spigano a decine tra i cantieri delle città e dei paesi in
ricostruzione, anche grazie agli aiuti di solerti finanziatori
sauditi. Per le chiese è successo il contrario. Dall'arrivo delle
truppe Onu ne sono state distrutte o sventrate 112, mentre venivano
dissacrati a dozzine i cimiteri. La maggior parte delle distruzioni
avvenne tra il '99 e il duemila, quando tracimò la sete di vendetta
albanese contro tutto ciò che veniva identificato col dominio politico
serbo. In diversi casi, come a Djakovica, o a Pristina, le chiese
saltarono in aria sotto gli occhi dei soldati della Kfor. Poi
le truppe internazionali intensificarono la difesa intorno agli
obiettivi sensibili di natura religiosa. Soprattutto intorno ai
monasteri e alle chiese antiche - oltre al monastero di Decani, il
patriarcato di Pec, il monastero di Gracanica, la cattedrale della
Madonna di Ljevisa, a Prizren - che gli ortodossi considerano come la
culla della propria tradizione ortodossa. Vennero poste sotto scorta
anche decine di altre chiese. Ma passata la sfuriata, fuggita la gran
parte dei 200mila serbi, per comprensibili motivi di gestione delle
risorse si va gradualmente abbassando la guardia dei presidi militari
intorno alla rete sparsa di chiese e cappelle quasi sempre vuote e
spesso già danneggiate. E si apre il fianco allo stillicidio di
attentati sporadici ma persistenti, che oltre a sfogare la non sopita
ostilità etnica perseguono il calcolato, sistematico disegno di
bonificare per sempre la terra kosovara da luoghi e simboli cari alla
memoria storica e religiosa di tutti i serbi. Le ultime chiese
dinamitate sono state, nella notte tra il 16 e il 17 novembre scorso,
quella di Ognissanti a Durakovac e quella di San Basilio a Ljubovo,
ambedue nel distretto occidentale di Istog, dove negli ultimi mesi
erano stati rimossi i presidi permanenti e si era passati a un livello
di protezione "indiretta", affidata alle transenne, ai fasci di
luce accesi giorno e notte, a sporadici pattugliamenti e all'azione
della polizia civile, composta da albanesi. Il giorno dopo, una nota
del comando Kfor ha confermato la decisione della forza di pace a
guida Nato di mantenere presidi fissi solo intorno a siti religiosi
«di importanza storico-artistica o attivi al culto». Lo scorso 20
gennaio, il ministro dell'Educazione del governo provvisorio ha
addirittura ipotizzato la demolizione "autorizzata" della chiesa di
Cristo Salvatore, nel centro di Pristina, rimasta incompiuta dopo che
la costruzione era stata interrotta per gli eventi bellici, con
il pretesto che l'edificio sorgerebbe "illegalmente" su terreni
appartenenti al locale campus universitario. Infine, il 23 gennaio, il
comando Kfor ha fatto parziale marcia indietro, rendendo nota la
decisione di congelare il programma di rimozione dei check-point
ancora posti a protezione degli edifici di culto minacciati.

Questi ed altri recenti episodi simili riaprono le domande
sull'esistenza o meno di una strategia a lungo termine per
la salvaguardia delle chiese serbo-ortodosse. E anche gli
interrogativi sulle singolari aporie del pensiero unico
occidentalista. Sempre solerte nel raccogliere e divulgare i segnali
dell'ostilità islamica verso la sedicente civiltà cristiana
occidentale. Ma quanto mai omertoso rispetto alle violenze ancora
perpetuate nel cuore dell'Europa dagli estremisti
islamici albanesi. Gli stessi che durante la guerra, organizzati nelle
milizie dell'Uck, godettero guardacaso di diffuse e
documentate complicità politiche e militari da parte dei centri di
potere occidentali.

Dopo la guerra umanitaria, il caos

L'incerto destino delle chiese ortodosse è solo un tassello vagante
del frantumato mosaico kosovaro. A quasi quattro anni dall'intervento
Nato, l'ultima sanguinosa convulsione della storia balcanica si
prolunga nello stato confusionale e sconnesso in cui si
trascina il Kosovo sotto tutela internazionale. Una polveriera
attraversata da confitti latenti, senza prospettive credibili di
stabilità politica. L'ambigua risoluzione 1244 dell'Onu, che
congela ogni discussione sullo status definitivo della regione
condizionandola al ritorno dei profughi serbi e rom e al rispetto dei
loro diritti, è giudicata dagli osservatori come un'irrealizzabile
utopia. In essa, vengono richiamati esplicitamente gli accordi di
Rambouillet del 23 febbraio '99, col riferimento al principio di
autodeterminazione dei popoli come criterio per stabilire
il definitivo assetto della regione. E questo conferma la schiacciante
maggioranza albanese nella convinzione che, prima o poi, verrà
ufficialmente riconosciuta la completa indipendenza della nazione
kosovara. Ma la stessa risoluzione non giustifica alcuna violazione
unilaterale del principio di integrità e sovranità territoriale della
peraltro agonizzante Federazione Iugoslava.

Sul campo, la situazione concreta fa apparire a molti irrealistico il
puntiglio europeo di tener fede agli obiettivi annunciati di
"restaurare" la convivenza multietnica prima di cercare, a lungo
termine, una via morbida e "consensuale" all'indipendenza kosovara.
Dei quasi 200mila serbi fuggiti, ne sono tornati (secondo i dati
forniti dalla Kfor) poco più di tremila. Quelli che erano rimasti
sopravvivono sotto assedio in enclave protette dalle truppe
internazionali. A nord, nella fascia dove adesso si è concentrata la
minoranza serba, Mitrovica, la nuova Berlino, rimane il simbolo del
rifiuto della convivenza tra serbi e albanesi, con la linea di
divisione tra le due etnie che scorre lungo l'Ibar, il fiume
cittadino. A Pristina, per fare un esempio, sono rimaste poche decine
di serbi, dei 40mila che ce ne erano prima della guerra.
Nell'intera regione di Pec erano 32mila, e ne sono rimasti un
migliaio.

Sullo sfondo, proprio la questione rimossa dello status definitivo del
Kosovo mantiene tutta la situazione sospesa in un limbo carico di
tensioni. Con una presenza internazionale frammentata, dai costi
astronomici (l'Umnik, l'Amministrazione Onu che gestisce le
istituzioni politiche e amministrative, paga anche gli stipendi di
molti impiegati pubblici, oltre a quelli del proprio personale), su
cui si concentra una sempre più palpabile ostilità popolare. Negli
ultimi mesi, si sono infittite le intimidazioni, i microattentati e le
manifestazioni di insofferenza popolare contro i dipendenti Onu.
L'arresto di esponenti del movimento guerrigliero Uck accusati di
orrendi crimini compiuti spesso contro albanesi moderati, ha provocato
nei mesi scorsi diversi scontri di piazza tra le frange di popolazione
più legate agli ex paramilitari e le forze di polizia internazionali.
E lo scorso 22 gennaio, un missile anticarro ha centrato il comando di
polizia Onu a Pec. Si è trattato del più grave attentato contro le
forze di pace di tutto il "dopoguerra". Allo stesso tempo, la
prospettiva di un protettorato Onu prolungato per decenni, che prenda
tempo sulla questione cruciale dello status definitivo della
regione nell'attesa di far decantare gli odi atavici, rischia di
modificare alla lunga solo i rapporti di forza all'interno del
campo albanese. Alle elezioni municipali dello scorso 26 ottobre, che
hanno visto un'affluenza di elettori inferiore al 60 per cento, il
partito del presidente Ibrahim Rugova (Ldk), pur confermando la sua
preminenza, ha perso consensi nei confronti dei partiti più radicali
(Pdk e Aak), che ancora accarezzano il sogno della "grande Albania",
guidati dagli ex miliziani dell'Uck Hashim Taqi e Ramush Haradinaj. E
negli ultimi tempi i gruppi estremisti albanesi hanno firmato
una serie di attentati rivolti direttamente a colpire le forze
moderate che si riconoscono in Rugova. A ottobre, il giorno
dopo il voto, è stato ucciso il sindaco di Suhareka, esponente
dell'Ldk. Il 13 dicembre, un ordigno fatto esplodere a
Pristina ha ferito 25 persone. Il 4 gennaio, a cadere sotto i colpi
dei terroristi insieme al figlio ventenne e a un parente è
stato Tahir Zemaj, noto ex capo guerriglia, anche lui legato al
partito di Rugova e soprattutto testimone eccellente nei
processi contro gli ex miliziani dell'Uck.

Ora che gli imbonitori di turno preparano il mondo a una nuova guerra
"moralmente giustificata", potrebbe non essere inutile dare uno
sguardo a come i bombardamenti umanitari hanno lasciato le cose in
Kosovo. Dove, quattro anni dopo, in un groviglio da cui nessuno sa
come uscire, la realtà più stabile appare l'enorme base militare Usa
di Ferizaj/Urosevac. Una vera e propria città di cinquemila soldati,
con case e caserme sorte in tempo record su un terreno che gli
strateghi militari a stelle e strisce hanno "affittato" fino al 2099.


© 30Giorni nella chiesa e nel mondo. Tutti i diritti sono riservati


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KOSOVO: MONASTERI A RISCHIO SENZA SOLDATI ITALIANI
(ANSA) - ROMA, 19 FEB - I monasteri medievali serbo ortodossi del
Kosovo rischiano di sparire se non continuera' la protezione dei
soldati della missione Nato (Kfor) presenti nella regione dal giugno
del 1999. L'allarme viene lanciato dalla rivista '30 giorni' nel
numero in edicola questa settimana.
Secondo il giornale dal 1999 sono state 110 le chiese ortodosse
distrutte dalla dinamite degli estremisti albanesi e ora e' a rischio
anche il gioiello medievale del monastero di Decani per il ventilato
ritiro dei soldati italiani della Kfor che lo presidiano da tre anni e
mezzo, e che dovrebbero essere trasferiti nella nuova base italiana
appena ultimata vicino a Pec. ''Ho scritto al comando Kfor in Kosovo -
ha detto padre Sava, uno dei monaci - e ho espresso la mia
preoccupazione per la sopravvivenza del monastero. Non ho
ancora avuto una risposta ma confido nei soldati italiani, gia'
durante la seconda guerra mondiale sono stati i carabinieri a salvare
il monastero di Decani dai Balli Kombetar'', i paramilitari
nazionalisti albanesi che combattevano a fianco dei nazisti. Anche un
colonnello italiano che ha chiesto l'anonimato, ha dichiarato al
giornale che ''gli estremisti albanesi aspettano solo che ce ne
andiamo per far piazza pulita dei luoghi sacri ortodossi, pensano che
solo radendoli al suolo le chiese e i monasteri perderanno la forza di
richiami perenni al ritorno dei serbi''. Il giornale ospita anche
un'intervista a Vittorio Sgarbi che sostiene la necessita' di
proteggere le chiese e i monasteri ortodossi che, eretti tra il XIII e
il XIV secolo, ''hanno reso questo lembo dei Balcani un vero e proprio
scrigno di tesori artistici''. Sgarbi si sofferma in particolare
sugli affreschi ''nei quali la decorazione espressa con una vivacita'
e una originalita' tanto piu' difficile quanto piu' rigido e' lo
schema bizantino''. ''Vi sono dei passaggi - ha aggiunto Sgarbi - in
cui sembra di vedere Giotto''.
(ANSA) COR*VD 19/02/2003 19:06
http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20030219190632478891.html

http://www.wsws.org/articles/2003/feb2003/croa-f26_prn.shtml

World Socialist Web Site www.wsws.org
WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans

War crimes tribunal drops charges against Croatian general

By Keith Lee and Paul Mitchell
26 February 2003

The International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY)
has dropped war crime charges against the former Chief of the Croatian
Army, General Janko Bobetko. Medical experts appointed by the tribunal
have declared the 83-year-old Bobetko too ill to stand trial.

Bobetko was the most recent of a number of top ranking Croatian
military officers to be accused of war crimes during the Homeland War.
This conflict erupted soon after Croatia declared independence from
Yugoslavia in June 1991 and the Serb majority in the Croatian Krajina
region responded by establishing an independent Serb Republic.

As the war escalated the United Nations sent peacekeeping troops into
the Krajina in February 1992. The following year Croatian Army units
attacked an area close to the UN patrolled area called the Medak
Pocket. Canadian UN troops reported how the Croatian Army laid waste
to the area killing unarmed Serb civilians.

In May 2001 the ICTY indicted General Rahim Ademi, commander of the
Medak Pocket troops, with unlawful killing of at least 38 Serb
civilians and the destruction of hundreds of buildings. Late in 2002
the ICTY charged Bobetko with "command responsibility" for the attack.

In his autobiography All My Battles Bobetko boasts of his role in the
Medak Pocket as proof of his military ingenuity.
The indictment points, however, that the most intense killing and
destruction took place after a ceasefire had been agreed.

The ICTY has also charged another Croatian general, Ante Gotovina,
with "command responsibility" for war crimes committed during the
August 1995 Croatian offensive code-named Operation Oluja (Storm)
which recaptured the Krajina and led to the biggest single act of
ethnic cleansing in the Yugoslav civil war. Between 150,000-200,000
Krajina Serbs were displaced, about 150 murdered and hundreds more
disappeared.

The indictments have caused a political crisis in Croatia because they
question the claim that the Homeland War was a progressive war of
liberation and undermine the Western powers' claim that the Balkan
conflict was entirely the product of former Yugoslav President
Slobodan Milosevic's drive for a Greater Serbia. The atrocities
detailed in the indictments show that the upper echelons of the
Croatian military promoted a brand of nationalism every bit as
reactionary as Milosevic's Serbian nationalism; one that glorifies the
Nazi puppet regime in Croatia during the 1940s and speaks of
regaining Western Bosnia.

The crimes committed during the Homeland War were never investigated
during the ten years that President Franjo Tudjman's Croatian
Democratic Union (HDZ) governed Croatia after its separation from
Yugoslavia. Following threats to stop an International Monetary Fund
loan, the HDZ did pass a law on cooperation with the ICTY and handed
over ten Bosnian Croats accused of war crimes in Bosnia in 1997.
However the HDZ regarded those involved in the Homeland War as
untouchable heroes.

When HDZ rule collapsed in January 2000, the Western powers claimed
the new coalition government led by Ivica Racan's Social Democratic
Party (a successor to the former Communist Party) heralded a break
with the extreme nationalism of the Tudjman era and that it would
agree to Croatian war crimes investigations. These investigations were
particularly necessary to bolster the new and fragile pro-Western
Serbian government that was faced with a crisis over its decision to
hand over Milosevic to the ICTY.

After meeting Croatian officials, ICTY Chief Prosecutor Carla del
Ponte declared, "The whole tone is different... Finally
we have a partner in the Balkans and not just another problem."

However, the indictments caused severe difficulties in Croatia. In
2000, the HDZ organised massive demonstrations and blockaded the
Zagreb-Split highway after the indictment of General Mirko Norac for
war crimes committed in 1991. Twelve generals, including Bobetko,
signed an open letter criticising Racan's attempts to "devalue" the
Homeland War, sparking off rumours of a coup. In July 2001, four
ministers in Racan's government belonging to the Social Liberal Party
resigned after Gotovina and Ademi were indicted causing a vote of no
confidence to be taken in the Croatian Assembly.

By the time of her appearance at the UN Security Council last year,
del Ponte appeared exasperated. "In June 2001 ... as an expression of
trust, I gave the Croatian Government advanced notice of a sealed
indictment against General Ante Gotovina, a commander of forces who
was accused of crimes against humanity. My trust was misplaced-he was
allowed to evade arrest and according to various reliable sources he
is now enjoying a safe haven in the territory of Croatia," she said.
Del Ponte continued, "In May this year I again provided the Croatian
authorities with advanced notice of an imminent indictment against
General Bobetko, former Chief of Staff of the Croatian Army....
Instead of compliance with the Tribunal's order, the Croatian
Government has taken upon itself to seek to challenge the warrant
and the indictment itself. We next heard that the General's health
does not permit his travel to The Hague. More delay and obstruction.
The attitude of Croatia is unacceptable."

With unemployment in Croatia over 20 percent and public expenditure
more than 50 percent of GDP-the highest in Europe-the government has
speeded up the HDZ programme of privatisations, layoffs and reductions
in welfare.
Croatia's has joined the World Trade Organisation and applied for
membership of NATO and the European Union.

To head off the widespread strike action these policies are provoking
the government is playing the nationalist card. In June 2001 Racan
announced plans to erect a huge monument to the Homeland War saying
"At this time of difficult decisions and self-sacrifice ... we should
remember and be inspired by the strong unity of the Homeland War ...
[when] ... there was no left, no right, there were no political,
social, cultural or other differences."

Racan is no stranger to the use of nationalism to divert the working
class. A former Stalinist bureaucrat like Milosevic, he was elected
president of the ruling Croatian Communist Party in 1989 and played a
key role in the break up of the Yugoslav federation. In 1990 he
clashed with Milosevic, declaring that Croatia would no longer
"provide bread to Serbia" and organised the first multi-party
elections specifically to approve his separatist line.

Racan defends the Medak Pocket attack as a "legitimate military
operation" and states that Bobetko performed his "constitutional duty
to liberate Croatian territory" and so cannot be considered guilty of
"command responsibility". However, he is happy to accuse Milosevic of
"command responsibility" for Serbian atrocities and sanctioned
Croatian President Stipe Mesic's appearance as a witness for the
prosecution at Milosevic's trial. For his part, Milosevic claims
the atrocities were also individual acts of violence that occurred
whilst he was trying to preserve the Yugoslav federation
and its constitution.

The case has highlighted divisions between Europe and the United
States. Recently US Ambassador for War Crimes, Pierre-Richard Prosper,
told the ICTY it should focus on the arrest of four remaining key
suspects and then halt its investigations and hand over existing cases
to local courts. Prosper said that during a visit to the Balkans he
would aim to "press" the governments in Serbia, Bosnia, and Croatia to
arrest all remaining fugitives, but he cancelled his visit to Croatia
at the last minute as a slap in the face to del Ponte and her efforts
to indict the Croatian generals.

The US has reason to be concerned at a high profile trial of the
generals. The Croatian army acted as Washington's proxy army against
Milosevic and there is plenty of evidence that the Clinton
administration provided vital support to Croatia during Operation
Storm. In his book To End A War, Clinton's special envoy Richard
Holbrooke described the Croat forces as his "junkyard dogs" and
recounts his conversation with the Croatian defence minister during
the battle, saying, "We can't say this publicly but please take Sanski
Most, Prijedor and Bosanki Novi. And do it quickly before the Serbs
regroup."

The US government endorsed a contract between the Croatian army and
the US military consultancy firm Military Professional Resource
Incorporated to provide military training.

Franjo Tudjman's son Miro, who was head of Croatian intelligence at
the time, claims the relationship went further-with the Croatian and
US governments enjoying a "de facto partnership". He says the US
provided $10 million worth of listening and intercept equipment and
all "intelligence in Croatia went on line in real time to the National
Security Agency in Washington."

Gotovina seemed especially close to US officials, which may explain
his ability to evade capture for so long. It is alleged that US drone
aircraft operated out of his headquarters in order to spy on Yugoslav
army movements. Photographs show Gotovina with US military personnel
in front of a computer screen showing "Battle Staff Training Program"
and "Welcome to Training Center Fort Irwin". According to Nenad
Ivankovic, former army commander and Gotovina's biographer, Gotovina
"feels betrayed by the silence of the US today and by the people he
knew. The CIA saw everything that happened during Operation Storm and
never objected then." Washington has refused all requests from the
ICTY for documents and satellite photographs relating to this period.

Another concern of US officials is to prevent the concept of "command
responsibility" becoming a definition for war crimes. Lawyers for the
Croat generals have pointed out that Clinton, Holbrooke and other US
officials could also be charged with command responsibility for
Operation Storm because "they knew the attack was coming and gave it
the green light."

This threat is taken seriously. In 2002 Henry Hyde chairman of the
House Committee on International Relations warned that the ICTY could
investigate officials who were "formulating and carrying out US
government policy" for command responsibility in connection with
Operation Storm. Gotovina's indictment was the "best example of the
ICTY's politicised and inaccurate prosecution," a Senate inquiry was
told.

In a series of articles in September 2002, journalists in the
Washington Times repeated Hyde's warning and attacked the concept of
command responsibility as "a threat to US national interests". In
effect, the Times pronounced, the concept made "war itself a crime"
and illegalised the use of "overwhelming force", that is, the
foundation of US military strategy.
The Times pointed out that Operation Storm was the model for Operation
Enduring Freedom in Afghanistan, where the Northern Alliance acted as
a US proxy army. If command responsibility is made a definition of a
war crime then "the United States can be made accountable for the
actions of its allies around the world. There will be nothing
preventing the International Criminal Court from making US officials
responsible for isolated criminal acts that have been committed by
Northern Alliance troops."

The Operation Storm indictment, the Times concluded, "threatens to
limit Washington's ability to project its power around the world."


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ARTEL GEOPOLITIKA by www.artel.co.yu
office@...
Date:25 Fevrier 2003


LE TERRORISME DES SEPARATISTES ALBANAIS AU KOSOVO ET METOHIJA

Rade Drobac
Février 1999.

La situation actuelle au Kosovo et Metohija demontre tres
clairement les vrais buts des separatistes et terroristes
albanais et confirme en totalite le contenu de ce texte ecrit en
fevrier 1999, un peu avant l`agression de l`OTAN contre la
Yougoslavie, precisement pour supporter ces memes
separtatistes et terroristes.

Bien que l'activité terroriste des séparatistes albanais au
Kosovo et Metohija se soit manifestée sous sa forme
extrêmiste armée, et à l'échelle massive, au début de 1998
(raids sur les forces de sécurité dans les villages de Luzane
et Likosane, en février 1998), ses racines sont de date bien
plus ancienne, cependant que son but stratégique reste le
même - la création de la "Grande Albanie", de l'Etat
étniquement pur, de l'Etat explicitement national de tous les
Albanais.

Le terrorisme albanais au Kosovo et Metohija est issu du
concept politique commandant l'expulsion par la force et les
menaces de la population non-albanaise, notamment des
Serbes et Monténégrins, aux fins de s'assurer la majorité
dans la structure nationale de la population, et d'en faire la
base des revendications en vue du contrôle politique sur ce
territoire et de l'annexion de celui-ci à ladite "Grande
Albanie" devant incorporer également des parties des
territoires d'autres Etats voisins - la Macédoine et la Grèce.

Les racines et la continuité du séparatisme et du
terrorisme albanais

Les meurtres, les persécutions et les harcèlements de la
population serbe et monténégrine remontent au temps de la
domination de l'empire Ottoman. On profitait de ce que la
majorité de la population albanaise sur place, du fait d'avoir
accepté l'Islam, jouissait d'un statut privilégié auprès des
Turcs et se livrait impunément à la terreur contre la
population chrétienne, les Serbes et les Monténégrins. Cette
violence était dirigée par les pachas et les tout-puissants
locaux.

Après la libération de la Serbie et du Monténégro de
l'occupation turque, à la fin du XIXe s., les actes de violence
s'étaient réduits, mais n'ont jamais été définitivement
arrêtés. Au cours de la Première Guerre mondiale, qui
affligea lourdement la Serbie (un tiers de sa population y
périt dans les combats ou autrement), les séparatistes et
terroristes albanais en profitent pour renouveler et
intensifier les actes de de terreur et violence à l'encontre de
la population serbe et monténégrine. L'histoire note comme
un fait particulièrement cruel, l'extermination massive de
soldats serbes épuisés, affamés et gelés par le froid en 1916,
pendant que l'armée serbe traversait les montagnes du
Kosovo, de Metohija et de l'Albanie, durant son retrait vers
la Grèce.

Après la fin de la Ire Guerre mondiale, dans la période
1919-1924, des crimes terroristes furent perpétrés à travers
le territoire de la Province de Kosovo et Metohija par le dit
"Mouvement des katchaks" - un mouvement qui
amalgamait la politique avec le banditisme et la violence.
Or, le Royaume de Yougoslavie repoussait avec succès
pendant vingt ans le terrorisme et le banditisme albanais,
celui-ce ne pouvait donc pas provoquer des effets négatifs
plus importants.

Le terrorisme albanais des "Katchaks" d'une portée plus
importante et avec des conséquences quasiment tragiques
pour les Serbes, les Montégénrins et les autres
communautés à travers le Kosovo et Metohija, renaît sous
la baguette de l'Italie fasciste, aussitôt après l'occupation de
l'Albanie en avril 1939. Les irruptions des bandes de
criminels depuis l'Albanie sur le territoire du Kosovo et
Metohija, nonobstant les obligations que le gouvernement
italien avait aux termes du traité intergouvernemental, soit
de respecter l'intégrité de la Yougoslavie, servaient pour
provoquer des conflits armés et pour préparer le terrain
pour les conquêtes fascistes postérieures et la fragmentation
de la Yougoslavie. Après la brève guerre d'Avril (amorcée
par le bombardement de Belgrade par l'Allemagne fasciste
le 6 avril 1941), et procédant de l'accord des ministres des
affaires étrangères de l'Allemagne et de l'Italie (Vienne,
21-24 avril 1941), le dictateur italien B. Mussolini promut
officiellement le 29 juillet de la même année, "la Grande
Albanie" à laquelle sont annexées notamment des régions
de la partie orientale du Monténégro, du Kosovo et
Metohija, de la partie occidentale de la Macédoine, et une
partie de l'Epire greque. Ainsi, à l'aide des puissances
fascistes on vut se réaliser la "Grande Albanie", une
création collaborationniste et chauviniste de par son
caractère - le rêve des séparatistes et terroristes albanais,
aujourd'hui aussi.

Sous les auspices de l'Italie fasciste, avec l'aide de celle-ci,
et pendant les trois années d'occupation, les séparatistes et
terroristes albanais au Kosovo et Metohija ont tué environ
10.000 Serbes et Monténégrins, ont incendié et rasé environ
30.000 habitations et expulsé 60 à 70.000 Serbes et
Monténégrins. Dans la même période, plus de 100.000
Albanais d'Albanie sont venus s'installer sur les propriétés
des Serbes et Monténégrins expulsés.

A la capitulation de l'Italie, septembre 1943, les terroristes
albanais reçoivent un nouveau mentor - l'Allemagne
fasciste, avec l'espoir que c'est par lui qu'ils sauvegarderont
leurs intérêts. La marche victorieuse des puissances alliées,
déclenchée dès la moitié de 1944, dans le cadre de laquelle
l'Armée populaire de libération de la Yougoslavie a apporté
une contribution significative, notamment par le fait d'avoir
libéré elle-même son propre Etat, brise définitivement le
IIIe Reich nazi. A partir de ce moment et jusuq'à la défaite
définitive de l'Allemagne, les terroristes albanais, valets
fidèles du fascisme, assuraient la protection de l'armée
allemande qui en se retirant de la Grèce passait par le
Kosovo et Metohija. Après l'évacuation des Allemands, les
vestiges des unités des bandes de terrroristes et séparatistes
albanais restent au Kosovo et Metohija, ne renoncent pas à
l'idée et à leur volonté de poursuivre le combat pour
l'instauration de la frontière étnique de l'Albanie.

L'Armée populaire de libération nationale de la
Yougoslavie a vaincu, jusqu'en mai 1945 - date de la
capitulation de l'Allemagne - le gros des formations
bandites et poursuivi ses combats armés avec les vestiges
des terroristes - les "ballistes" - dans les forêts de Kosovo
et Metohija, même pendant un certain temps au lendemain
de la guerre.

Aussitôt après la Seconde guerre mondiale, et grâce au
climat favorable dans les relations de la Yougoslavie
nouvelle et de l'Albanie, quelques 200.000 Albanais
d'Albanie vinrent s'installer au Kosovo et Metohija, alors
que dans le même temps les Serbes et les Monténégrins
expulsés pendant l'occupation italienne se virent interdire
par la loi le retour sur leurs propriétés respectives.

Les nids nationalistes-séparatistes (Drenica et autres)
détruits dans la période de l'existence de l'ancienne R.S.F.
de Yougoslavie, tentaient sporadiquement de réactiver leurs
activités terroristes, mais vainement. Dans l'impossibilité de
réaliser leurs visées par les méthodes les plus radicales - le
terrorisme, les séparatistes albanais matérialisaient leurs
aspirations grand-albanaises et chauvinistes en se livrant à
des pressions politiques, des chantages et des manipulations,
et en profitant à ces fins des aspirations séparatistes de
certaines républiques qui composaient la fédération
yougoslave à l'époque, la Slovénie et la Croatie en
l'occurrence. Dans la même période, sous la protection
bienveillante des hommes politiques albanais locaux, qui
dirigeaient à l'époque cette Province de la Serbie, on se
livrait en douceur à l'expulsion des Serbes et Monténégrins
dont les dimensions croissaient au fur et à mesure que
s'épanouissait le niveau de l'autonomie de cette province
serbe, à l'égard du pouvoir républiquain et fédéral. Dans la
seule période de 1981 à 1988, environ 28.000 Serbes ont dû
quitter le Kosovo et Metohija sous la pression des
séparatistes albanais.

Le séparatisme et le terrorisme albanais, en fonction de
la désintégration de l'ancienne Yougoslavie

Un nouvel encouragement du mouvement
national-séparatiste et terroriste albanais, date de la fin des
années 80 et du commencement des années 90. L'autonomie
émancipée dont jouissait la Province, qui comprenait
également des éléments de statut fédéral et confédéral
(représentation directe au niveau de la Fédération, bien que
partie intégrante de la Serbie, autonomie décisionnelle sur
la quasitotalité des affaires sans consultations avec la
République-mère et sans possibilité pour la Serbie, la
République-mère, de les contester, le pouvoir absolu dans
les domaines juridique, exécutif et autres) ne lui suffisait
pas à l'époque, l'objectif des séparatistes albanais au Kosovo
et Metohija ayant été et demeurant le pouvoir et
l'indépendance absolues. Dans le processus de la
désintegration violente de l'ancienne Yougoslavie, les
séparatistes albanais étaient patronnés par les directions
politiques identiques dans les Républiques de l'ancienne
Yougoslavie qui firent sécession (Slovénie, Croatie,
Bosnie-Herzégovine et Macédoine).

Au début, les nationalistes-séparatistes tentent d'accomplir
leurs visées séparatistes par l'incitation de manifestations
massives des Albanais, par les grèves truquées (des mineurs,
des services publics), les sabotages et autres actions du
genre placées sous le slogan: "Kosovo-République". Ce
slogan articulait la première étape du programme des
nationalistes grand-albanais, car l'obtention du statut de
République permettrait la sécession selon le modèle
appliqué par la Slovénie, la Croatie, la Bosnie-Herzégovine
et la Macédoine. Il dissimulait un objectif sécessionniste -
la séparation en étape de la Serbie et de la Yougoslavie et
l'intégration avec l'Albanie. Pendant les troubles à
l'intérieur du Kosovo et Metohija, en 1991, les
nationalistes-séparatistes votent et proclament
anticonstitutionnellement et dans l'illégalité le
"Kosovo-République" (la dite Constitution de Kacanik)
avec l'appui et l'aide dissimulées de leurs nouveaux tuteurs
- des milieux particuliers de la communauté internationale,
ceux-mêmes qui avaient soutenu la désintégration de
l'ancienne Yougoslavie. Le dessein est clair - créer des
structures étatiques parallèles devant permettre avec
l'assistance des puissances étrangères qui leur sont
favorables, l'internationalisation de la question du Kosovo
et Metohija dans le but de s'assurer une légitimité politique
internationale et l'ouverture du processus de sécession de la
Serbie et de la Yougoslavie.

La radicalisation, voire la reprise du terrorisme comme
moyen de réalisation des objectifs politiques des séparatistes
albanais au Kosovo et Métohija, s'inscrit dès 1992, dans le
cadre de l'Alliance démocratique de Kosovo. Il a été établi
que les ressortissants de la structure autoproclamée comme
le "Ministère de la défense et l'état-major de la République
de Kosovo" opéraient selon les instructions et les ordres du
leader de l'Alliance démocratique de Kosovo, Anton Kolja,
et du ministre de la défense d'un Etat étranger, l'Albanie en
l'occurrence - le général Safet Zullallia, à l'époque.
Simultanément, le leader politique nationaliste albanais et
chef du Parti démocratique albanais Salli Berisha assure ses
services logistiques aux terroristes du Kosovo et Metohija,
concernant, notamment, leur entraînement dans les centres
du Nord de l'Albanie. L'élection de Salli Berisha à la
présidence de la République albanaise en 1992 et un premier
effondrement de l'organisation de l'Etat albanais (la faillite
de la pyramide de l'épargnes, fin 1996, le pillage des dépôts
d'armes de l'armée albanaise, l'écroulement du système de
sécurité - la police) encouragent le renforcement du soutien
apportée au terrorisme et au séparatisme au Kosovo et
Metohija. Ce n'est pas par hasard que c'est à la même
époque que la formation terroriste, ladite "Armée de
libération du Kosovo" ("OVK-UCK") se fait entendre pour
la première fois.Et parallèlement avec ces développements,
l'Albanie apporte son plein soutien politique aux
séparatistes et terroristes au Kosovo et Metohija, en
reconnaissant, notamment, la légitimité de la "République
de Kosovo" illégale et en autorisant le fonctionnement en
Albanie de la représentation "diplomatique" de cette
création étatique inexistante. L'Albanie est le seul Etat à
reconnaître les actes illégaux et l'Etat virtuel du Kosovo,
sur le territoire d'un autre Etat souverain, contrairement à
tous les documents et principes internationaux. Toujours
dans la même période, l'organisation terroriste des
séparatistes albanais s'étend, de nouveaux centres s'ajoutent
à ceux qui opèrent déjà à Tirana et à Elbasan, et on voit
s'établir par l'Adriatique une voie de passage des terroristes
venant d'Italie.

En Albanie s'entraînent: des émigrants - terroristes de
Kosovo et Metohija, des terroristes d'Albanie elle-même,
des Albanais vivant à l'étranger et des mercenaires venus
des côtés les plus divers, y compris les moujahedines.
Indolente, puis favorable et souvent encourageante, la
position qu'une partie des milieux politiques internationaux
observe à l'égard des terroristes, y compris l'aide croissante
de l'Albanie, finit par contribuer à l'escalade des actes
terroristes dans la Province autonome de Kosovo et
Metohija. Les données ci-après pour la période 1991-1998,
le démontre nettement:

Années en revue et nombre d'actes terroristes:
1991. - 11
1992. - 12
1993 .- 8
1994. - 6
1995. - 11
1996. - 31
1997. - 31
1998. - 1885

Les buts et la stratégie des chauvinistes grand-albanais

L'objectif politique des nationalistes dans les structures
d'Etat et politiques d'Albanie et dans les milieux des
nationalistes-séparatistes au Kosovo et Métohija, est -
comme ce fut toujours le cas au fil de l'histoire - identique:
"la Grande Albanie" étniquement pure. Et le
Kosovo-et-Metohija constitue le centre focal des
aspirations de tous les Albanais souhaitant la création de
cet Etat fantomatique, le point de déclenchement de l'action
par tous les moyens sur la voie de la réalisation de cet
objectif.

Le rôle du Kosovo et Metohija dans le concept
grand-albanais apparaît comme la synthèse de plusieurs
intérêts dont certains se sont déjà articulés comme étant les
plus importants. La raison la plus importante, stratégique,
qui fait que la conquête du pouvoir au Kosovo et Metohija
devient d'une importance clée pour la concrétisation de la
"Grande Albanie", réside dans le fait que cette région figure
au centre de l'entité politique et étatique imaginée. Sans le
contrôle sur cette région, les Albanais qui vivent en
Macédoine sont coupés. Une deuxième raison est le
pourcentage extrêmement élevé de la population albanaise
dans la région. C'est d'ailleurs la base unique sur laquelle
les séparatistes et les terroristes fondent leur revendication
en faveur de leur sécession de la Serbie et de la
Yougoslavie.

En outre, il convient de souligner que le
Kosovo-et-Métohija est une région dotée de richesses
naturelles exceptionnelles, et que c'est par elle que passent
les artères de communication reliant l'Europe et le
Proche-Orient. Dans ce contexte, l'on se doit de souligner
que l'Albanie a depuis toujours appuyé, voire encouragé,
l'activité séparatiste et terroriste, notamment parce que
dans son histoire de courte durée (elle a été créée en 1912)
elle n'a jamais été stable et un Etat de droit. Le "problème"
du Kosovo et Metohija lui servait toujours pour détourner
l'attention de l'opinion nationale propre des problèmes
intérieurs sur les problèmes extérieurs de l'Albanie.
L'exemple le plus récent en sont les événements qui se
succèdent en Albanie qui est, depuis la fin de 1996, marquée
par l'instabilité, les désordres, les conflits, le chaos politique
et économique. L'Albanie trouve son intérêt dans l'enjeu du
nationalisme grand-albanais afin de rejeter la culpabilité
pour toutes ses difficultés propres (l'effondrement de l'Etat
et la profonde crise économique et sociale) sur le terrain de
l'irrationnel, cependant que le tout s'imbrique aussi dans les
plans stratégiques de ses mentors les plus récents - l'OTAN
- consistant à consolider les positions stratégiques dans les
Balkans (renforcement de l'aile sud de l'OTAN). C'est dire
aussi que le Kosovo et Metohija forme le point central d'un
nouveau retranchement géostratégique de l'OTAN. D'où
aussi cette tendance des Etats-Unis d'Amérique (de
l'OTAN) à faire déployer à tout prix des troupes à travers le
Kosovo et Metohija.

Les séparatistes et terroristes et les extrêmistes
grand-albanais de Kosovo et Metohija ont accueilli le
nouvel agencement des forces politiques dans le monde
comme une occasion se prêtant à la réalisation de leur rêve
séculaire - faire sécession d'une partie du territoire étatique
de la Serbie et de la Yougoslavie, qu'ils ont presque purifié
sur le plan étnique, afin de l'annexer à l'Albanie. A l'instar
des périodes historiques précédentes, ils profitent pour
réaliser ses propres objectifs des intérêts stratégiques et
hégémoniques des grandes puissances, ceux de l'OTAN
dans ce cas le plus récent, qui souhaitent contrôler toutes les
voies allant de l'Europe vers le Proche-Orient, voire les
artères terrestres vers les matières premières stratégiques (le
pétrole).

Leur tâche est rendue plus facile notamment par l'intérêt
d'une partie d'Etats islamiques qui souhaitent faire du
Kosovo et Metohija un catalyseur de l'islamisme, y obtenir
un nouvel appui islamique sûr et solide (à côté de la
Bosnie-Herzégovine), et ce dans le cadre du concept bien
connu de la création de la "transversale verte", voire de ce
pont islamique qui irait de la Turquie vers l'Europe centrale
et occidentale.

Le terrorisme, l'arme des séparatistes

Le terrorisme comme moyen de réalisation de leur objectif,
les terroristes alabanis l'ont choisi pour deux raison
principales. D'abord parce qu'ils n'ont pas réussi à renverser
l'Etat serbe et la Yougoslavie à travers le processus
politique et non violent, leur conception d'aquisition
graduelle de l'indépendance complète par les pressions et les
chantages politiques ayant été empêchée par les
modifications de la Constitution de la Serbie et du Kosovo
et Metohija, effectuées en 1989. Et ensuite, parce que c'était
pour eux le moyen unique pour déstabiliser la situation au
Kosovo et Metohija, pour provoquer la réaction des organes
légitimes du pouvoir et en profiter à des fins de
manipulations de l'opinion internationale qui devaient, elles,
aboutir à l'internationalisation du problème et à son
règlement en dehors des institutions de l'Etat légitime en
place, avec l'appui et l'aide d'une partie de la communauté
internationale. Dans la réalisation de cet objectif les
séparatistes albanais au Kosovo et Metohija, et en Albanie,
comptent sur l'appui sans réserves de leurs nouveaux
mentors (l'OTAN) et leur formule vérifiée déjà (en
Slovénie, en Croatie et en Bosnie-Herzégovine) de
renversement d'Etats souverains - l'agression sur un Etat
précis assortie de l'utilisation de terroristes locaux, de
pressions et chantages extérieurs, de l'assistance logistique
et financière de l'étranger, de mercenaires venant de pays
tiers. Le résultat de cette décision de passer du politique au
terrorisme, a été cette énorme expansion du terrorisme à
travers les Kosovo et Metohija, au cours de 1998.

Cette "expulsion de la Serbie" de "leur Kosovo", les
terroristes de ladite "Armée de libération du Kosovo"
("OVK" - "UCK") s'efforcent de l'accomplir par leurs
attaques terroristes massives sur les ressortissants des forces
du Ministère des affaires intérieures. Sur le total des 1885
actes terroristes opérés en 1998, 1129 avaient comme cibles
les ressortissants et les institutions des organes de la
sécurité, Cent-quinze policiers ont été tués et 403 plus ou
moins grièvement blessés. De même, 15 ont été kidnappés (3
tués, 3 libérés, et le sort de 9 policiers reste inconnu). Au
cours de la même année, les terroristes se sont livrés au
Kosovo et Metohija à de nombreux actes de terrorisme
contre des civils, et ont tué

- 46 civils de nationalité serbe et monténégrine;

- 77 civils de nationalité albanaise, loyaux à l'Etat serbe et
à la Yougoslavie;

- 14 civils de nationalités diverses, titulaires de la fonction
publique ou travaillant dans des services publics;

plus ou moins grièvement blessé, 158 personnes, dont:

- 74 civils de nationalité serbe et monténégrine;

- 72 civils de nationalité albanaise;

- 3 civils, ressortissants de la communauté

nationales des Goranci;

- 9 civils appartenant à d'autres nationalités;

enlevé au total 293 civils, dont:

- 173 civils de nationalité serbe et monténégrine (13 tués, 2
se sont évadés, 68 remis en liberté, le sort de 90 personnes
reste inconnu);

- 101 ressortissants de nationalité albanaise (16 tués, 8 se
sont évadés, 34 remis en liberté, le sort de 43 personnes reste
inconnu);

- 14 Romes (2 tués, le sort de 5 reste inconnu, 7 ont été
remis en liberté);

- 2 Egyptiens (sort inconnu);

- 1 ressortissant de la R.F. de Yougoslavie de
l'ex-République yougoslave de Macédoine (remis en
liberté);

- 2 civils d'autres nationalités (sort inconnu).

Des terroristes albanais appartenant à ladite "Armée de
libération du Kosovo" ("OVK"-"UCK") ont tenté au cours
de 1998, 708 fois de passer la frontière d'Etat (504 fois pour
entrer dans la R.F. de Yougoslavie, 204 fois pour sortir de la
RFY) afin de s'entraîner et de s'armer en Albanie. Cela a
provoqué 125 incidents de frontière, dont 100 opérations
armées par quelques milliers de terroristes contre les
gardes-frontières yougoslaves. Dans la structure des
terroristes tués (715), blessés (366) et des terroristes arrêtés
(93), on a pu identifier des ressortissants de la minorité
nationale albanaise du Kosovo et Metohija, des nationaux
d'Albanie, des fondamentalistes islamiques et des
mujahedines du Proche-Orient et d'Asie (un grand nombre
reliés à Osman Bin Laden), ainsi que des mercenaires
d'Etat européens (y compris les Etats créés dans l'espace de
l'ancienne Yougoslavie). Dans leur mission de défense de la
frontière d'Etat et de prévention des irruptions de
terroristes, 36 ressortissants de l'Armée de Yougoslavie ont
été tués, et 105 blessés. Il convient de faire remarquer que
lors de ces irruptions illégales des terroristes albanais
venant d'Albanie, ceux-ci bénéficiaient de l'appui armé des
ressortissants de l'Armée albanaise.

Il faut souligner aussi que les terroristes de ladite "Armée
de libération du kosovo" ("OVK"-"UCK") ont pour la
première fois, après la Seconde Guerre mondiale, formé des
camps pour les personnes détenues, à travers le Kosovo et
Metohija (Junik, Glodjane, Izbica, Lipovica, et d'autres
localités), et y recouraient à des excutions en usant des
méthodes les plus brutales caractéristiques pour l'époque
des nazis-fascistes (le crématoire à Klecka - incinération
de Serbes et Monténégrins, les charniers à Donji Ratis,
Volujak, et autres).

Ladite "OVK"-"UCK" est une organisation terroriste

Dans le vaste spectre de positions politiques contradictoires
et hypocrites, relatives aux événements au Kosovo et
Metohija, les plus cyniques sont les tentatives faites pour
que le terrorisme évident et éclatant de la dite "Armée de
libération du Kosovo" soit présenté comme la "lutte pour la
protection des droits humains menacés", la "résistance du
peuple armée", une "insurrection"; le combat contre
"l'agressions serbe", contre "la colonisation", contre
"l'apartheid"; que les terroristes soient qualifiés de
"formations albanaises armées", de corps de "résistance
collective des Albanais", pour devenir des "civils" éliminés
par la police. Cette "couverture des terroristes" et la
relativisation de leur résponsabilité et action abusive, sont
ressenties à l'heure actuelle également, signifient
l'évitement de toute condamnation du terrorisme et des
terroristes de la part de la communauté internationale,
marquent une tentative ouverte pour les faire légitimer
tacitement. Cette position des leaders du nouvel ordre
mondial vient confirmer le fait que dans leurs activités à
l'égard du Kosovo et Metohija, ils sont guidés par leur
propres intérêts, et non par le Droit et les bonnes pratiques
internationaux. L'ONU, l'UE, la CSCE et d'autres facteurs
politiques influents, sont instrumentalisés par les
Etats-Unis d'Amérique et un petit nombre de leurs alliés, et
n'osent pas s'en opposer, bien que l'action de ladite
"OVK-UCK" s'inscrit par son essence même dans le
contexte de la définition généralement reconnue et admise
du terrorisme international. Bien qu'il existe plus de 120
définitions du terrorisme et qu'aucune ne soit la définition
acceptée par tous, il existe tout de même un certain nombre
d'élements communs, généralement acceptés et reconnus,
qui rangent une activité criminelle dans la catégorie du
terroriste. Partant de là ainsi que de la théorie portant sur
l'étude du terrorisme contemporain, ladite "Armée de
libération du Kosovo" est une organisation terroriste, et ce
pour les raisons ci-après:

- elle se guide sur un objectif politique non légitime: la
sécession de la Province du Kosovo et Metohija de son
Etat-mère, et son annexion à l'Etat d'Albanie voisin, en
vue de la création de "la Grande Albanie" (à l'intérieur des
frontières étniques peuplées par des Albanais);

- la méthode d'action de base est le combat avec la police et
non avec l'armée;

- elle a tué un grand nombre de ressortissants de la force de
la police, de l'armée, ainsi que de civils, s'est livré à une
destruction massive de biens en y recourant aux plus
brutales des méthodes de terrorisme et de banditisme, ainsi
qu'aux armes les plus diversifiées;

- au niveau de son organisation ladite "OVK-UCK"
s'articule comme étant la somme de groupes faiblement liés
entre eux, qui agissent simultanément, et à la fois, comme
terroristes et comme criminels et sans aucune
subordination;

- la conspiration est le mode de communication entre les
chefs de groupes et les collaborateurs étroits des terroristes.

Les Etats-Unis d'Amérique s'appuient sur la définition (du
FBI) qui dit: "Le terrorisme est le recours illégal à la force
ou à la violence à l'encontre des personnes ou des biens aux
fins d'intimider ou de faire pression sur le gouvernement, la
population civile, ou sur quelque autre segment de la
société, afin d'atteindre des objectifs politiques et sociaux".
Les activités de ladite "OVK-UCK" s'inscrivent
précisément dans une telle définition.

Aux termes de la Convention de Genève, également, ladite
"OVK-UCK" relèvent des organisations terroristes du fait
d'effectuer des attaques-embuscades contre des civils
innocents et les forces de sécurité, alors que la Convention
reconnaît la guérilla en tant que moyen de guerre "s'il s'agit
véritablement d'une guerre", ce qui n'est pas le cas en
l'occurrence, car il ne s'agit pas de deux armées en conflit
mais de "civils" armés qui attaquent lâchement des victimes
appartenant à toutes les structures de la population, ainsi
que des institutions et des fonctionnaires publics de l'Etat.
En outre, selon la règle, les ressortissants d'une guérilla
s'opposent ouvertement à leur adversaire.

Le fait qu'il s'agit véritablement d'une organisation
terroriste, est confirmé également par les liaisons de celle-ci
avec des groupes islamiques fondamentalistes-terroristes du
Proche-Orient, d'Afghanistan et de certains pays d'Asie,
ainsi qu'avec le terrorisme d'Etat que l'Albanie pratique à
l'encontre de la Serbie et de la Yougoslavie.

Par conséquent, tout ce que nous venons de préciser
confirme sans aucun doute que l'organisation
séparatiste-terroriste, ladite "OVK-UCK", revêt aux
termes de tous les critères internationaux, le caractère d'une
organisation terroriste. Etant donné les objectifs des
terroristes, on peut facilement supposer que les fondateurs
en sont des leaders politiques albanais au Kosovo et
Metohija, tandis que les sponsors étrangers en sont
l'Albanie, les Etats-Unis d'Amérique, l'Allemagne, ainsi
que certains autres pays de l'Europe occidentale. Le
sponsorship sur ladite "OVK-UCK" et la signification du
fait qu'on évite de condamner son caractère terroriste,
ressortent d'une déclaration de Christopher Hill,
ambassadeur des Etats-Unis d'Amérique à Skoplje, fait
vers la mi-1998: "Notre concept ne signifie pas
nécessairement que nous sommes en train d'extraire le
Kosovo de la Serbie, bien que les Albanais auraient aimé
cela. Mais, ce que nous souhaitons, et c'est le moins qu'on
puisse dire, c'est d'expulser le gros de la Serbie du Kosovo,
et ce sont, pour commencer, les policiers". Si l'on prend en
considération le nombre d'attaques terroristes perpétrées au
cours de 1998, et si on le met en rapport avec le souhait
exprimé par l'ambassadeur Hill "d'expulser la Serbie et ses
policiers" du Kosovo et Metohija, il transparaît clairement
qu'il s'agit d'un soutien ouvert au séparatisme et au
terrorisme.

Dans le contexte d'une telle ambiance politique, modelé par
les protagonistes de l'hégémonisme global à l'échelle
mondiale, on confod totalement les causes et les effets, on
fait une substitution des thèses, de sorte que la victime des
harcèlements terroristes - la Serbie et la Yougoslavie, en
l'occurrence - sur son propre territoire, finit par être
qualifiée d'agresseur, tandis que les terroristes, les assassins
et les kidnappeurs sont transformés en victimes.

Leur hypocrisie, les puissants influents au sein de la
communauté internationale la dissimule sous leur pacifisme
verbal, bien que leur action proprement parlant instigue et
prolonge les conflits au Kosovo et Metohija. La
conséquence logique de cet appui a été l'accroissement du
nombre d'attaques terroristes de ladite "OVK-UCK" au
cours de 1998 et à travers toute la région du Kosovo et
Metohija. Cela est devenu particulièrement transparent
après la signature de l'accord entre le président de la R.F. de
Yougoslavie, S. Milosevic, et l'envoyé américain R.
Halbrooke. En guise de réponse au retrait partiel de la
police de la République de Serbie et de l'armée de la RFY
du Kosovo et Metohija, opéré non seulement pour honorer
les obligations prises, mais également dans le souhait de
calmer les conflits et de faire résoudre les problèmes
pacifiquement, par le dialogue politique, les terroristes de
ladite "OVK-UCK" ont intensifié leurs attaques. Du 13
octobre 1998 au 11 février 1999, ladite

"OVK-UCK" a effectué 753 attaques terroristes:

tués: 89 personnes, dont:
- policiers: 19
- civils: 70


blessés: 160 personnes, dont:
- 84 policiers
- 76 civils


kidnappés: 55 personnes, dont:
- policiers: 6 (2 tués)
- civils: 49 (1 tué)
- le sort des autres personnes kidnappées reste incertain.


Et durant tout ce temps, les facteurs internationaux
interprétaient tous ces crimes comme étant des
"provocations" et des "réactions aux meurtres de civils
albanais", leurs condamnations ne s'adressaient qu'aux
organes légitimes et légaux de la Serbie dont toute action
entreprise à l'encontre des terroristes fut stigmatisée du
coup comme "recours exagéré à la force", comme "massacre
de civils", comme "réaction militaire démesurée", comme
"catastrophe humanitaire", et ainsi de suite.

Parallèlement, le soutien logistique ouvert et tout autre
soutien et aide aux terroristes albanais, depuis l'Albanie,
sont passés sous silence ou sont justifiés. Le fait que les
terroristes albanais du Kosovo et Metohija son entraînés
dans des centres en Albanie (Tirana, Elbasan, Bajram Curi,
Tropoïe, Kruma, etc.) par des officiers de l'armée albanaise,
des services de renseignement de certains pays
ouest-européens, et par les combattants du "jihad", ne
dérange personne, de toute évidence. Et même le soutien
financier abondant de la narco-mafia albanaise et de
certains pays islamiques à ladite "OVK-UCK", ne suscite
aucune réaction correspondante des pays qui autrement
combattent rigoureusement cela sur leur propre territoire.
Ceci dit, il n'est pas étonnant que ladite "OVK-UCK",
organisation terroriste qui occupe certainement la première
place de par les crimes commis en 1998, non seulement ne
figure pas sur la liste des organisations terroristes, mais
qu'on voit s'accroître aussi les pressions d'un petit nombre
de pays, et en premier lieu des Etats-Unis d'Amérique, pour
qu'elle soit présentée comme partenaire politique légitime et
négociateur d'égal à égal dans le dialogue sur le Kosovo et
Metohija. C'est dire aussi que les Etats-Unis d'Amérique
s'en prennent impitoyablement aux terroristes qui les
menacent, n'hésitent pas de s'attaquer aux terroristes sur
les territoires des Etats indépendants, mais menacent de
recourir à l'OTAN pour empêcher la Serbie et la
Yougosalvie de combattre les terroristes sur leur propre
territoire.

Le crime comme source de financement du terrorisme

Une multitude de données dignes de foi indiquent que les
plus importantes sources de fonds pour le financement des
activités terroristes au Kosovo et Metohija proviennent des
activités criminelles de la mafia albanaise: le trafic des
narcotiques aux Etats-Unis d'Amérique, en Suisse, en
Allemagne, en Belgique, en Grande Bretagne et dans
d'autres pays européens (les voies de la drogue: Asie -
Europe et USA); la contrebande et le trafic des armes
depuis certains pays européens et asiatiques; le racket, les
chantages et actes de violence à l'encontre des membres de
la commuanuté nationale des Albanais travaillant à
l'étranger; la prostitution, la falsification des titres de
voyage et les entrées clandestines aux Etats-Unis
d'Amérique et dans des pays européens, des Albanais du
Kosovo et Metohija et d'autres ressortissants de pays non
européens; le commerce des organes humains; la mendicité
des mineurs de nationalité albanaise; le vol qualifié et
l'escroquerie, ainsi que d'autres activités criminelles. Le
vaste éventail d'activités criminelles des Albanais, organisés
sur la base de leur appartenance nationale,
indépendamment de ce qu'ils sont des nationaux d'Albanie,
de Yougoslavie, de Maédoine ou de Grèce, et selon les
principes du clan, relève par son importance des plus
grandes structures criminelles en Europe et dans le monde.
Est particulièrement dangereuse et "réussie" la
"narcomafia" albanaise qui est, selon les évaluations
d'experts, la troisième en Europe d'après le gain réalisé. Une
bonne partie des fonds ainsi obtenus est utilisée pour
financer "l'Etat" parallèle, illégal, au Kosovo et Metohija, et
pour équiper les terroristes en armes ultramodernes. Le
trafic des armes qui sont, via l'Albanie, destinées au Kosovo
et Metohija assume d'ores et déjà des proportions énormes.

Des fonds significatifs sont obtenus pr le racket des
Albanais travaillant à l'étranger. Ils sont forcés de verser
régulièrement un minimum de 3% de leur revenu aux
comptes des représentants des terroristes albanais dans de
nombreux pays d'Europe occidentale, aux Etats-Unis
d'Amérique et au Canada, et selon certains indices
confirmés ceux-ci et des fonds encore plus importants sont
collectés par la menace, le chantage ou le harcèlement de
ceux qui s'y opposeraient. Au Kosovo et Metohija, les
citoyens de nationalité albanaise sont contraints de verser
un "impôt" aux séparatistes alors qu'ils ne s'acquittent pas
de leurs obligations légalement dues, et tandis que pour les
leaders séparatistes toute tentative plus sérieuse de mise en
application de la loi (paiements des impôts, taxes et autres
redevances) devient immédiatement, "pression", "violence",
sur "les civils albanais", bien qu'il s'agisse d'obligations
affectant à titre d'égalité tous les citoyens, indépendamment
de leur origine nationale.

La solidarité internationale dans la lutte contre le
terrorisme

En ce qui concerne le financement du terrorisme albanais,
une part importante y revient aux fondamentalistes
islamiques d'Arabie saoudite, d'Afghanistan et d'autres
pays musulmans, ainsi qu'à certains services de
renseignement occidentaux dont les activités ne sauraient
échapper à la connaissance et à la volonté des facteurs
politiques de ces pays.

Bien que tous les Etats aient, aux termes du droit
international, l'obligation ni d'encourager ni de tolérer le
financement des activités terroristes dirigées contre d'autres
Etats, dans le cas concret cela n'est pas respecté par une
partie de la communauté internationale. L'appliction des
doubles normes se situe en fonction de la réalisation des
intérêts politiques et autres des facteurs internationaux clés.
Outre la Charte de l'ONU, les actes interdisant le
financement et tout autre appui et soutien au terrorisme, et
condamnant généralement toute activité terroriste sont: la
Résolution de l'Assemblée générale de l'ONU 2113 du 21
décembre 1965; la Résolution - Déclaration sur les modes
d'application du Droit international et la coopération des
Etats; la Résolution 2625/25 du 24 octobre 1970; la
Résolution - Déclaration sur le renforcement de la sécurité
internationale, n. 2734/25 du 16 décembre 1970, la
Résolution n. 3314 du 14 décembre 1974, ainsi que de
nombreux autres documents internationaux, y compris
nécessairement les résolution du Conseil de sécurité de
l'ONU n. 1160, 1199 et 1203, ainsi que la toute dernière
résolution de l'Assemblée générale de l'ONU n. 53/108 du
26 janvier 1999.

C'est sur la même voie que se situent aussi les positions de
la conférence sur la répression du terrorisme dans le monde,
tenue en 1997 au Caire. Ce sommet spécifique des chefs
d'Etat et de gouvernement a qualifié le terrorisme comme le
plus grand mal global du monde contemporain, alors que
dans ses conclusions la Conférence lance un appel général
invitant tous les Etats du monde à lutter en commun, à
s'entraider et à collaborer en faveur de l'élimination du
terrorisme. Quant aux protagonistes du comportement
contradictoire, violent et autoritaire, et même s'il s'agit de
défenseurs du globalisme, de l'hégémonie, de la religion ou
de l'idéologie, ces documents en vigueur qui les engagent
également, ne représentent pas un obstacle dans la
réalisation de leurs intérêts dans l'espace des Balkans, en
vertu de la politique conséquente d'application de normes
doubles. Au lieu de couper les racines du terrorisme, ils sont
devenus, consciemment ou inconsciemment, ses complices.

La légalite de la lutte des organes d'Etat de la Serbie et
de la R.F. de Yougoslavie contre le terorisme

Aux fins de protéger l'Etat contre le terrorisme des
séparatistes albanais et d'assurer l'ordre et la sécurité de
tous les citoyens de la Province, les ressortisants de la police
entreprenaient des activités antiterroristes légitimes.
Pendant l'exercice de leurs fonctions, les ressortissants de la
police ont été, au cours de 1998, attaqué à 1129 reprises par
des terroristes albanais; 115 policiers ont été tués, 403 plus
ou moins grièvement blessés, et 15 ont été kidnappés dont 3
ont été tués et 9 ont été portés disparus. Or, ce qui est
légitime dans la lutte antiterroriste aux Etats-Unis
d'Amérique, en Irlande du Nord, en Espagne (Basques), en
France (Corse) et dans d'autres pays, aux termes de la
volonté des puissants mondiaux et de l'OTAN est proclamé
comme illégitime quand il s'agit de la Serbie et de la
Yougoslavie. Et avec leur agression informative et la
promotion médiatique de notions nouvelles, telles que: le
"recours éxagéré à la force", l'"action démesurée des forces
de la police", la "catastrophe humanitaire des Albanais", et
autres, on tente d'empêcher que les forces de sécurité légales
brise le terrorisme au Kosovo et Metohija. Les terroristes
sont constamment amnistiés. Les Résolutions du Conseil de
sécurité de l'ONU n. 1160, 1199 et 1203, non seulement
qu'elles ne condamnent pas les terroristes de ladite
"OVK-UCK", mais sont même utilisées pour faire pression
sur la R.F. de Yougoslavie. C'est donc par des documents
internationaux qu'on soutient ouvertement le terrorisme et
les terroristes au Kosovo et Metohija. Sous la pression des
Etats-Unis d'Amérique, les plus hauts fonctionnaires de
l'ONU ne peuvent pas remplir leurs obligations de
protecteurs objectifs de la légalité et de la Charte de l'ONU.
Ainsi, Koffi Anan, le secrétaire général de l'ONU, en
parlant le 5 juin 1998 sur les activités antiterroristes de la
police au Kosovo et Metohija, a dit: "Si le monde doit
apprendre quelque chose de ce chapitre noire de l'histoire,
alors c'est qu'à ce genre d'agression (il est question de la
lutte de la police contre les terroristes) il convient de
s'opposer immédiatement et énergiquement". Tout ce qui
vient d'être évoqué a fini par favoriser la réorganisation des
terroristes, la poursuite de leurs activités criminelles. La
République d'Albanie, sans se cacher, sous les yeux de la
communauté internationales et des observateurs
internationaux dans cet Etat et au Kosovo et Metohija,
continue impunément à aider directement les terroristes de
ladite "OVK-UCK". Pour ce qui est du volume de la
logistique armée appuyant depuis l'Albanie l'exécution des
raids terroristes au Kosovo et Metohija, en dit long un
constat du sous-secrétaire de l'ONU pour le désarmement,
Giant Danapaul, fondé sur des données officielles d'une
mission spéciale de l'ONU en Albanie, aux termes
desquelles on a pillé des entrepôts des forces armées
d'Albanie environ 650.000 armes, 1,5 milliard de balles et
20.000 tonnes d'explosif, alors qu'on sait qu'environ 200.000
pièces d'armes ont été clandestinement transférées au
Kosovo et Metohija. Evidemment, il convient d'y ajouter les
armes et la munition destinées aux terroristes par certains
services de renseignement et par la mafia albanaise du
monde entier, et livrées par les centres d'entraînement et
d'armement des terroristes de ladite "OVK-UCK" dans le
Nord de l'Albanie. En font partie des armes et équipement
ultramodernes de l'OTAN, y compris les armes dont l'usage
est interdit par les conventions internationales. Les facteurs
internationaux, obéissant conséquemment au stéréotype
créé à dessein de la responsabilité exclusive de la Serbie et
de la Yougoslavie, ignorent ouvertement l'agression
terroriste sur un Etat souverain - la République fédérale de
Yougoslavie. Ainsi, ce qui dans l'énorme majorité d'Etats
de par le monde constitue le crime le plus grand - les
attaques, les meurtres et les enlèvements des ressortissants
de la police -, est qualifié tendencieusement dans le cas de
la Serbie et de la Yougoslavie de "résistance à la
répression", de "lutte de libération d'un peuple opprimée" ou
de "lutte des civils exposés aux représailles des autorités". Et
on l'utilise comme fondement "légal" pour insister
continuellement sur la réduction du nombre de
ressortissants de la police au Kosovo et Metohija, dans une
situation où les terroristes albanais intensifient leurs actions
et les dirigent de plus en plus sur les milieux urbanisés.

L'objectif stratégique de cette politique est clair - expulser
graduellement du Kosovo et Metohija les institutions et les
organes légaux de la Serbie, et permettre la reprise complète
de la Province par les Albanais, en vue d'une sécession
future.

L'option de la Serbie et de la Yougoslavie, en faveur du
règlement pacifique

Nonobstant cette constellation et positions à propos de
Kosovo et Metohija, la Serbie et la Yougoslavie préconisent
leur position politique de principe, voire que toutes les
questions relatives à cette Province sudserbe doivent être
résolues par la voie pacifique, par le dialogue démocratique
et dans l'intérêt de toutes les communautés nationales
vivant au Kosovo et Metohija. La Serbie et la Yougoslavie
n'avaient besoin d'aucune menace d'action militaire par
l'OTAN en vue de la réalisation de la paix, leur option à cet
effet ayant été articulée bien avant. L'accord du Président
de la RFY Slobodan Milosevic et de l'Ambassadeur Richard
Halbrooke devait apporter aux facteurs internationaux le
véritable tableau de la situation au Kosovo et Metohija et
de ce qui s'y passe réellement, et contribuer à la réalisation
d'un règlement pacifique. La bonne volonté de la partie
serbe et yougoslave s'est traduite par la mise en application
intégrale des accords convenus. Une partie des forces de la
police légitime a été retiré de Kosovo et Metohija, ont été
supprimés les lieux de stationnement de ces forces dans les
localités habitées, et éliminés les postes de contrôle sur les
voies de communication, etc., alors que la mission
diplomatique d'observation (KVM) au Kosovo et Metohija
s'est vue assurer les conditions nécessaires pour son travail
- la vérification.

Après la réalisation de l'Accord, le Gouvernement de la
République de Serbie et les représentants de toutes les
communautés au Kosovo et Metohija ont signé la
Déclaration sur les cadres politiques d'autogouvernement
au Kosovo et Metohija, mais en l'absence uniquement des
représentants des partis albanais nationalistes-séparatistes
désunis. Le Gouvernement de la République de Serbie a
lancé une série d'invitations au dialogue politique, mais en
vain. Ainsi, et de fait, la Serbie et la Yougoslavie se sont
acquittées de leurs obligations découlant des Résolutions
pertinentes du CS, des Accords et conclusions de l'UE, et du
Groupe de contact, et ont fait sincèrement état de leur
intérêt en vue du dépassement des problèmes en suspens par
un dialogue franc et ouvert, assorti du respect des principes
fondamentaux convenus avec l'ambassadeur R. Holbrooke.
Les plus importants en étant: la protection de l'intégrité
territoriale et de la souveraineté de la Serbie et de la RFY,le
respect des droits des minorités selon les normes
européennes et mondiales les plus peaufinées, la mise en
place d'une autonomie qui ne sortirait pas des cadres des
constitutions de la Serbie et de la RFY, et la réalisation
d'accords devant protéger à titre égal toutes les
communautés nationales vivant au Kosovo et Metohija.

La réponse à tous ces efforts précités de la Serbie et de la
RFY, ont été les attaques terroristes plus violentes par
ladite "OVK-UCK" sur les ressortissants de l'armée et de
la police, les représentants des autorités d'Etat et les civils
innocents. Dans ce contexte de la violence et de la cruauté,
il convient surtout de signaler l'attentat du café "Panda" à
Pec, dans lequel des terroristes albanais ont tué six jeunes
hommes serbes âgés de 15 à 31 ans.

Il ne fait pas de doute que dans ce comportement des
terroristes la partialité d'une partie de la communauté
internationale (la Mission de vérification) y est
certainement pour quelque chose, et qu'il en est de même
avec le soutien politique plus ample et toute autre forme de
soutien qui leur vient de la République d'Albanie. Car, de
nombreux arguments témoignent que tout le monde
comprend parfaitement bien ce qui se passe réellement au
Kosovo et Metohija, qui attaque qui et qui défend qui. A cet
égard, est particulièrement illustrant le cas monté du
"massacre de civils albanais" dans le village de Racak, qui
correspond à une manipulation médiatique calculée pour
détourner l'attention des crimes de plus en plus fréquents et
cruels perpétrés par les terroristes albanais, et, partant, pour
"créer" les conditions en vue de la poursuite et de
l'intensification des pressions et des menaces à l'égard de la
Serbie et de la RFY. Un constat public de Dan Everts, chef
de la Mission de la CSCE en Albanie, prononcé au début de
janvier 1999, suivant lequel "on ne saurait nier que le Nord
de l'Albanie représente une base pour l'entraînement de
l''OVK-UCK'" n'a même pas donné lieu à une
condamnation sérieuse de l'Albanie par la communauté
internationale qui ne ménage pas ses protestations
venimeuses à propos de toute action antiterroriste de la
police au Kosovo et Metohija. L'arrestation à Tirana d'un
ressortissant (Max Ciciku)du groupe
fondamentaliste-terroriste d'Osam Bin Laden, affecté aux
activités terroristes à déployer au Kosovo et Metohija, à en
juger d'après les déclarations des Etats-Unis d'Amérique en
faveur de la persécution et du châtiment de tout terrorisme,
et surtout de celui qui menace les EUA eux-mêmes (Bin
Laden figurant en tête de liste des plus grands terroristes
recherchés par les EUA), devrait donc fournir une raison
valable pour entreprendre des mesures contre l'Albanie et
pour l'empêcher à soutenir désormais ouvertement le
terrorisme et les terroristes, voire à porter atteinte au
territoire souverain de la Serbie et de la RFY. La
Résolution du Parlement albanais du 28 décembre 1998,
"exigeant le soutien énérgique du gouvernement et de l'Etat
albanais aux frères du Kosovo", représente selon toutes les
normes internationales une agression sur l'Etat voisin. Les
entretiens des hommes d'Etat et politiques d'Albanie avec
les terroristes de ladite "OVK-UCK", à Tirana, sont un
exemple éclatant d'une politique subversive, dirigée contre
l'intégrité et la souveraineté de la RFY, l'un des Etats
membres de l'ONU.

Nonobstant, les défenseurs - à l'échelle internationale - du
recours à la force contre la RFY continuent à préconiser la
poursuite des menaces et des pressions, y compris militaires,
à l'égard de la Serbie et de la Yougoslavie qu'on voudrait
exclusivement responsables de l'état de choses et des
problèmes au Kosovo et Metohija, tout en fermant les yeux
devant le terrorisme et le séparatisme flagrants.

Les terroristes de ladite "OVK-UCK" et l'Albanie - leur
inspirateur et complice, bien qu'ils aient commis une
multitude de crimes et d'attaques, restent pour le moment
exempts de leur résponsabilité pour avoir provoqué cette
crise dans la région, dont les conséquences restent
inconcevables.

La crise au Kosovo et Metohija ne pourra être résolue aussi
longtemps que les terroristes albanais ne seront
publiquement et décisivement qualifiés comme tels, comme
tous les terroristes dans les autres parties du monde, aussi
longtemps que leur activité ne sera condamnée sans
ambiguïté, et que ne seront entreprises toutes les mesures
qui s'imposent pour les priver de toute aide et soutien de
l'étranger, et pour que tous les autres habitants du Kosovo
et Metohija - qui composent la majorité -, aient la
possibilité d'articuler ouvertement et librement sans
craindre pour leur vie et celle de leurs familles, leurs propres
positions sur les modalités de la vie en commun de toutes
les communautés nationales au sein du Kosovo et Metohija.