Informazione

Immigrazione serba a Trieste

La testimonianza di tre lavoratori
di Renato Kneipp
Segretario Fillea-Cgil di Trieste

(da "L' Ernesto", numero 5/2000)

Dalla caduta del Muro di Berlino sono passati oltre dieci anni e i più
ricorderanno a malapena che Trieste confinava con un Paese, la
Jugoslavia, non allineato e non facente parte del Patto di Varsavia,
un Paese considerato comunista. Ciò comportò non pochi problemi e
momenti di forti tensioni in queste terre di confine; tuttavia, con il
passare degli anni, pur in presenza di grosse difficoltà nei rapporti
politici tra i due paesi confinanti, gli interscambi economici
cominciarono ad intensificarsi e a radicarsi in diversi settori. Tutto
ciò fu merito anche dell'impegno dei cittadini italiani appartenenti
alla minoranza slovena, che da sempre vivono nella nostra città e che
hanno saputo con grande intelligenza avviare in modo corretto questo
rapporto di reciproca convenienza ed utilità.
In questa prima fase furono le aziende di "import-export" ad essere le
apri- pista di tali scambi, che permisero di superare una barriera
confinaria (più mentale che fisica) che fino ad allora sembrava
insormontabile. Non tutto però fu così facile, anche perché le forze
reazionarie, nazionaliste e fasciste presenti massicciamente a
Trieste, si erano da sempre contraddistinte nell'opporsi a qualsiasi
tipo di apertura e di collaborazione con la Jugoslavia.
Ma la carenza di determinate figure professionali, aprì la porta a
centinaia di cittadini jugoslavi, provenienti dalla fascia confinaria
che in virtù degli "Accordi di Udine" attraversavano giornalmente il
confine tra i due stati, esibendo semplicemente il famoso e tuttora
esistente "lascipassare", che riconosce pari diritti anche ai
cittadini italiani. In tal modo centinaia e poi migliaia di donne e di
uomini attraversarono il confine per venire in Italia a cercare
lavoro. In particolare, le donne trovarono occupazione presso le
famiglie come collaboratrici domestiche o come commesse nei negozi
triestini, data la conoscenza di almeno due lingue, requisito
indispensabile per lavorare in una zona di confine, dove la clientela
proveniente dall'estero raramente conosce l'italiano. Gli uomini
furono inseriti in quei comparti dove maggiore era la fatica fisica,
come l'edilizia.
In quella fase vi fu un miglioramento delle condizioni economiche
generali, che non riguardava solo i paesi occidentali, ma anche i
paesi dell'est europeo e le Repubbliche della Jugoslavia più vicine al
nostro confine, ove iniziò a manifestarsi il problema della carenza di
manodopera, problema al quale si cercò di dare risposta facendo
affluire i lavoratori dalle realtà più povere della Jugoslavia. Tale
politica portò in queste terre di confine centinaia di lavoratori
serbi, montenegrini, bosniaci e macedoni, parte dei quali gradualmente
iniziò ad entrare in Italia, dove si poteva guadagnare di più. Da
allora il numero di questi lavoratori è costantemente aumentato,
portando Trieste ad essere, nel contesto italiano, una delle realtà
con la percentuale più alta di stranieri rispetto alla popolazione
residente. Attualmente la stragrande maggioranza degli immigrati
proviene dalla Jugoslavia, ovvero dalla Serbia e più precisamente
dalla zona di Pozarevac, nota in quanto città natia dell'ex presidente
Jugoslavo Slobodan Milosevic. Quasi tutti sono in possesso di un
regolare permesso di soggiorno, che permette loro di poter lavorare in
regola sotto il profilo assicurativo. Però, come del resto succede
anche a molti nostri connazionali, non tutti riescono a trovare un
lavoro regolare, pertanto sono spesso costretti ad accettare lavori in
nero e sottopagati. Per capire cosa significa per l'economia triestina
l'apporto di questi lavoratori è sufficiente evidenziare che, ormai,
oltre la metà degli occupati nel settore delle costruzioni sono
stranieri.
Una discreta parte di questi si è pienamente integrata nella vita
sociale della città: oltre il lavoro, frequentano associazioni e
circoli culturali, mandando i figli nelle scuole di ogni ordine e
grado, iscrivendoli nelle varie società sportive. Ma al di la di
questi casi "felici", tanti sono i problemi che comunque tutti gli
stranieri devono affrontare. Senza considerare l'aspetto burocratico
per ottenere - rinnovare il permesso di soggiorno, o i vari documenti
da dover esibire per avere diritto all'assistenza medica, la questione
più critica è rappresentata dalla ricerca di una casa. Oggi un
appartamento decente, ad un prezzo onesto, è quasi impossibile
trovarlo e questo ha costretto i cittadini stranieri e le loro
famiglie a doversi accontentare di alloggi spesso del tutto
inabitabili. Non a caso agli stranieri che risiedono in città vengono
offerti quei vani dove gli italiani non vogliono più abitare, in cui i
servizi spesso sono in comune, dove spesso vi è un solo rubinetto con
la sola acqua fredda, oppure vengono affittate soffitte, cantine o
magazzini trasformati abusivamente in alloggi ma per i quali si pagano
prezzi spropositati Si sta verificando lo stesso fenomeno degli anni
'60 e '70 nelle grandi città del nord industrializzato, quando gli
immigrati che provenivano dal sud Italia non riuscivano a trovare
delle sistemazioni civili. Il fatto che i mariti ed i padri abbiano
portato in Italia mogli e figli, ha contribuito a favorire quella
integrazione di cui sopra parlavamo. Ormai alcuni immigrati sono nella
nostra città da quasi trent'anni, ed erano arrivati quando a governare
la Jugoslavia c'era il Maresciallo Josip Broz Tito e non esistevano
assolutamente tensioni di alcuna natura tra le popolazioni delle varie
Repubbliche che formavano quel Paese. Altri sono arrivati dopo la
morte di Tito, quando purtroppo la Jugoslavia incominciò a
sgretolarsi; gli ultimi sono giunti quando la loro terra veniva
bombardata dagli aerei della Nato che dalle nostre basi partivano alla
volta di Belgrado, di Kragujevac, di Pancevo o di Novi Sad, portando
distruzione e morte. Pertanto ho ritenuto opportuno ed utile sentire
tre lavoratori serbi, che sono giunti a Trieste in tre distinte fasi,
ed attraverso le loro testimonianze capire che cosa li ha spinti a
venire in Italia, quali siano stati i maggiori problemi che hanno
dovuto affrontare e cosa ne pensano della loro condizione di immigrati
in Italia.


L'incontro con i lavoratori serbi


Per fare ciò, mi sono recato al "Club associazione culturale serba Vuk
Karadzic", luogo fondato ed autogestito da un gruppo di lavoratori
serbi, i quali hanno in questo modo dato la possibilità a tanti loro
connazionali di potersi ritrovare in una sala e non per strada o in
una piazza, potendo magari bere un caffè alla turca, giocando una
partita a scacchi o a domino e guardando (grazie all'antenna
satellitare) la televisione jugoslava e sentirsi un po' come a casa.
Particolari e drammatiche furono quelle serate segnate dagli attacchi
aerei della Nato contro la Jugoslavia. Alle 19.30, ora del
telegiornale di Belgrado, il Club si riempiva di gente che in profondo
silenzio e con il cuore in gola aspettava di sapere dove erano cadute
le ultime bombe o i missili e quali danni avevano provocato. Le
immagini che arrivavano via satellite erano come un pugno nello
stomaco per tutti, ma per loro che si trovavano a centinaia di
chilometri di distanza dalla propria martoriata terra e che con
difficoltà riuscivano a malapena a mettersi in contatto telefonico con
le proprie famiglie, quella esperienza fu una cosa veramente
traumatica. Diversi decisero di rientrare in Jugoslavia, perdendo in
alcuni casi anche il lavoro, altri portarono in Italia la famiglia,
altri parteciparono assieme a noi alle innumerevoli manifestazioni
contro la vile aggressione della Nato.
Ed è proprio qui, in questo luogo, che incontro i nostri tre
interlocutori, che con grande disponibilità hanno accettato di fare
quattro chiacchiere con noi. Dopo aver ordinato un caffè alla turca,
accompagnato da un tipico dolce, il ratlog, inizia la conversazione
con Zile, Zivorad e Dejan.

Il racconto di Zile


Zile racconta che ormai sono passati 25 anni da quando è arrivato a
Trieste e che oggi può ritenersi abbastanza soddisfatto di come sta
vivendo nella nostra città. Ma prima di arrivare qui, appena finito il
servizio militare, aveva avuto una breve esperienza nella "democratica
Austria", dove trovò lavoro in una piccola fabbrica che produceva
pezzi di ricambio in gomma per automobili. Una notte, nella casa dove
assieme ad altri dormiva, irruppe la polizia che, dopo aver
identificato i presenti, rinchiuse in carcere tutti coloro che erano
sprovvisti di un regolare permesso e Zile tra questi. Comunque fu
"fortunato", visto che dopo una "sola" settimana, assieme ad altri
cinquanta, fu rimpatriato alla volta della Jugoslavia. Meno fortunati
furono quelli che dovettero aspettare anche un mese in galera, prima
di essere rispediti nel loro paese.
Dopo questa non certo felice esperienza, Zile ritentò nuovamente ed
arrivato a Trieste, nel tempo di alcune settimane, riuscì a trovare
lavoro presso l'impresa dove tuttora svolge la propria attività.
All'epoca tutta la documentazione e le relative autorizzazioni del
Ministero, indispensabili per l'ottenimento del permesso di soggiorno
per motivi di lavoro, le procurava l'impresa stessa e al lavoratore
non rimaneva altro che recarsi al Consolato italiano di
Koper-Capodistria, dove gli veniva rilasciato il visto. Inizialmente
la sistemazione alloggiativa gli fu garantita dal datore di lavoro,
che gli mise a disposizione una baracca (attrezzata) dove visse per
oltre tre anni.
Successivamente, una volta arrivata la moglie, affittò una stanza di
un appartamento nel quale, in spazi ristretti, vivevano assieme
quattro famiglie, le quali avevano a disposizione un unico gabinetto
ed una unica cucina, dove il padrone di casa controllava che l'uso del
gas fosse limitato. Anche l'intimità coniugale veniva in tal modo
limitata e ciò contribuì ad accelerare la ricerca di una sistemazione
più consona alle giuste esigenze di una famiglia. Poi, passando da una
finita locazione ad uno sgombero forzato causa l'inabitabilità di una
casa pericolante e ad uno sfratto esecutivo, Zile e sua moglie
trovarono, grazie anche all'interessamento del datore di lavoro di
quest'ultima, un appartamento che finalmente offrì quelle
caratteristiche abitative e contrattuali che da tempo cercavano.
Zile ricorda di essere stato tra i primi o addirittura il primo
lavoratore jugoslavo ad aver superato a Trieste l'esame per la patente
di guida italiana, il che gli permise di acquistare la sua prima
automobile, di seconda mano. Zile però si contraddistinse da subito
anche sul versante sindacale, pretendendo il rispetto dei propri
diritti di lavoratore. Innanzitutto chiarì con l'impresa che gli
straordinari dovevano essere fatti solo in casi specifici e non come
un normale prolungamento dell'orario di lavoro o addirittura come un
obbligo. Pertanto rifiutò in tal senso di lavorare tutti i sabati,
come era ormai diventata abitudine consolidata in azienda. Il suo
esempio fu a questo punto ripreso anche da altri compagni di lavoro,
che presero grazie a lui maggior coraggio nel far valere diritti
troppo spesso dimenticati.
Per quanto concerne i rapporti tra lavoratori italiani e stranieri
egli stesso conferma che raramente ci sono stati dei problemi e
comunque quasi mai derivanti dal loro status di stranieri. Anzi il
fatto di aver da sempre lavorato gomito a gomito, ha notevolmente
contribuito alla reciproca conoscenza ed al superamento delle
diffidenze iniziali.

Il racconto di Zivorad


Zivorad inizia ricordando che nel paesino dal quale è partito per
cercare maggiore fortuna in Italia, l'unica fonte di reddito era ed è
ancora oggi l'agricoltura e l'allevamento di bestiame(bovini e suini).
Già suo padre emigrò in Svezia dove lavorò per ben 28 anni e anche
lui, sebbene a malincuore, dovette, dieci anni fa, fare le valige e
partire. Essendo riservista dell'esercito jugoslavo, quando iniziarono
gli scontri tra serbi e croati, volle in tutti i modi evitare di dover
combattere contro chi fino a ieri gli era stato amico e fratello.
Ancora oggi non riesce a dare un senso al disfacimento della
Jugoslavia e alle migliaia di morti che hanno insanguinato un Paese
dove la fratellanza tra popoli diversi per nazionalità, religione,
lingua o per tradizioni, avevano trovato nella convivenza e nel
reciproco arricchimento culturale la migliore risposta alle divisioni.
All'epoca Zivorad, attraverso un familiare che viveva a Trieste,
ottenne un permesso di soggiorno turistico che gli dette modo, uno
volta arrivato a Trieste, di chiedere di rimanere in Italia per motivi
"umanitari". Da prima fu ospitato presso questo parente e
successivamente, dopo aver trovato un lavoro in regola, si sistemò in
un appartamento non certo di lusso, situato in un palazzo dove
risiedono esclusivamente cittadini non italiani. In Jugoslavia ha
lasciato la moglie, due figlie e l'anziana madre, che quando il lavoro
glielo permette va a trovare, dovendosi sobbarcare oltre 1200 km
all'andata ed altrettanti al ritorno. Prima che il suo Paese venisse
smembrato bastava farne 800 di km per arrivare a casa, ora però deve
attraversare prima l'Austria, poi l'Ungheria per arrivare in
Jugoslavia, anche perché per passare dalla Slovenia e dalla Croazia,
come si faceva una volta, bisogna ottenere dei visti di transito molto
onerosi (e le pratiche per ottenerli sono alquanto lunghe e
complicate). Anche lui vorrebbe ricongiungersi con la sua famiglia, ma
le ultime leggi italiane che regolano la materia sono alquanto rigide,
riguardo alla disponibilità alloggiativa del richiedente, il quale
deve poter disporre di una abitazione che sia in regola con i
parametri minimi di abitabilità previsti dalle normative vigenti. Con
i soldi che Zivorad guadagna non può permettersi attualmente niente di
meglio, il che gli nega ogni possibilità di far arrivare sua moglie e
le figlie a Trieste.
Anch'egli spera che la Jugoslavia possa finalmente uscire
dall'isolamento internazionale che negli ultimi dieci anni l'ha
fortemente indebolita, sia dal punto di vista economico che politico.
Ciò che però ha voluto alla fine sottolineare è l'auspicio che il
popolo jugoslavo, possa decidere del proprio futuro senza subire
condizionamenti, sia esterni che interni.

Il racconto di Dejan


L'ultima testimonianza è quella del più giovane dei tre, Dejan, che ha
36 anni, è sposato, ha due figli di 9 e 14 anni che sono rimasti in
Jugoslavia assieme alla madre.
Dejan è arrivato a Trieste nell'aprile di quest'anno, grazie alla
richiesta di assunzione fatta da un'impresa artigiana edile, che non
trovando manodopera disponibile in loco ha ottenuto l'autorizzazione
ad assumere un lavoratore "extra comunitario". Quando gli aerei della
Nato iniziarono a colpire la Jugoslavia non scappò, come altri fecero,
ma restò nel suo Paese a coltivare la terra, sfamando la sua famiglia
e garantendo in questo modo che il raccolto venisse utilizzato per dar
da mangiare a tutto il Paese, martoriato dai bombardamenti e
dall'embargo. Proprio l'embargo appesantì ulteriormente la già
difficile situazione economica di migliaia e migliaia di famiglie
jugoslave e costrinse tanti come Dejan ad emigrare per sopravvivere. A
differenza di altri Dejan aveva già un lavoro in Italia che lo
aspettava, non aveva però un posto dove poter dormire.
Da prima si arrangiò a casa di amici, poi trovò un "buco" di 25 metri
quadrati al costo di 400.000 al mese, senza servizi, senza
riscaldamento e con un'umidità tale che i muri sono spesso bagnati.
Spera di poter quanto prima risolvere il problema della casa, anche
perché vorrebbe comunque che la sua famiglia lo raggiungesse e
certamente non potrebbe farlo con l'attuale sistemazione.
Anche Dejan fa alcune battute sulle ultime novità politiche che il suo
Paese sta attraversando. Analogamente alla stragrande maggioranza dei
suoi connazionali, che vivono e lavorano all'estero, non ha potuto
recarsi a votare, in quanto sia la proibitiva distanza che l'elevato
costo del viaggio, glielo hanno di fatto proibito. Il risultato del
voto non lo ha particolarmente sorpreso, anzi ritiene logico che la
gente si sia espressa in tal modo, considerando le promesse che i
paesi occidentali avevano fatto in caso Milosevic avesse perso.
Contestualmente ribadisce che la popolazione ha voluto anche dare un
chiaro segnale di volontà di cambiamento per una Jugoslavia più
democratica, ma soprattutto per una politica che sia più vicina alle
loro aspettative ed alle loro esigenze.

Un ultimo accenno hanno voluto farlo sulla guerra che l'anno scorso
devastò tutta la Jugoslavia e tutti e tre hanno più o meno espresso le
stesse opinioni e valutazioni.
1) Le bombe ed i missili hanno colpito principalmente i punti
strategici economici e viari, lasciando quasi intatti gli obiettivi
militari, a dimostrazione che gli Stati Uniti ed i paesi della Nato
volevano soprattutto devastare la loro terra e distruggere la loro
economia, oltre che ferire mortalmente l'orgoglio di un popolo
abituato a combattere per la difesa dei propri diritti.
2) L'inquinamento dell'acqua, dell'aria e della terra provocata dai
bombardamenti e dall'uso di proiettili all'uranio impoverito stanno
già causando immensi problemi sanitari, non solo ai popoli della
Jugoslavia, ma a tutti coloro che vivono nei paesi confinanti,
pertanto sarà necessario che la comunità scientifica internazionale
trovi quanto prima delle risposte concrete.
3) La così detta "guerra umanitaria", scatenata per "aiutare" gli
albanesi del Kossovo, non ha minimamente risolto i problemi di
convivenza di quella regione: viceversa, dopo i bombardamenti e
l'arrivo delle forze militari della Nato, le divisioni etniche si sono
ancor più approfondite e le varie mafie che si stanno impossessando
del territorio stanno a loro volta condizionando il futuro di quelle
popolazioni.
4) Sperano ora che l'intelligenza degli uomini riporti la pace in
tutta i territori della Jugoslavia, e che la loro tragedia non si
ripeta mai più.

http://www.lernesto.it/5-00/Kneipp-9i.htm

DUE ORE DI SPARATORIA TRA SOLDATI ITALIANI E TERRORISTI IN KOSOVO

E' successo il 29 agosto, quando i soldati delle truppe italiane della
KFOR sono dovuti intervenire per bloccare una aggressione in atto, da
parte di terroristi pan-albanesi, contro quattro contadini serbi
disarmati che erano al lavoro nei campi presso Gorazdevac, a 55
chilometri da Pristina.
I soldati italiani sono stati allora bersagliati dai terroristi per ben
due ore, in uno dei peggiori episodi di violenza in cui siano state
coinvolte le truppe di occupazione occidentali sin dal loro arrivo nella
provincia serba, nel giugno 1999. Fortunosamente lo scontro non ha
causato vittime, ed un solo terrorista e' stato fermato.
Non ci risulta che alcun media italiano abbia riportato la notizia. Lo
stesso sito dei dispacci ANSA sul Kosovo risulta non aggiornato proprio
dal 29 agosto, come se i giornalisti o i loro datori di lavoro siano
rimasti sotto shock per l'accaduto.

---

+++ UCK GREIFT SERBISCHEN KONVOI AN
GORAZDEVAC. Vorgestern griffen albanische UCK-Terroristen beim
metochischen Gorazdevac einen Konvoi der serbischen Zivilisten
an, der von der "internationalen Polizei" UNMIK geleitet wurde.
Mehr als zwei Stunden dauerte das Gefecht zwischen den
Terroristen und den italienischen Peacekeepers. STIMME KOSOVOS
+++ (http://www.amselfeld.com - 31. August 2002)

---

http://www.serbianna.com/news/09_02/06.shtml

Ethnic Albanians Fire on Peacekeepers

By GARENTINA KRAJA
The Associated Press
August 30, 2002

PRISTINA, Yugoslavia (AP) - NATO peacekeepers and
ethnic Albanian gunmen traded gunfire for two hours
Thursday, after the troops were called in to protect
Serb farmers, officials said.
The fighting was some of the heaviest involving
peacekeepers since they arrived three years ago. But
there were no reports of any casualties, and one
ethnic Albanian was detained.
The Italian peacekeepers were called in after shots
were fired at four Serbs working their land under the
protection of U.N. forces and local police, United
Nations spokesman Andrea Angeli said. They came under
fire as they arrived in the village of Gorazdevac,
some 55 miles west of the provincial capital Pristina,
Angeli said.
Two military helicopters helped fight off the
attackers during the clash, which ended with one
suspect being detained, a NATO official said on
condition of anonymity.
The official did not specify how many peacekeepers and
U.N. police were involved, but said special forces
were called in after the regular peacekeeping
contingent responsible for the area asked for help.
The detained suspect was an ethnic Albanian, Angeli
said.
The firefight came as the U.N. administration has
increased efforts to repatriate Serbs who fled Kosovo
because of ethnic violence.
It was the first time peacekeepers guarding the Serb
minority were shot at since arriving after troops
loyal to former Yugoslav President Slobodan Milosevic
left in 1999.
Serbs have been targeted by ethnic Albanian extremists
seeking revenge for the crackdown under Milosevic that
left thousands dead, and dozens of Serbs have been
killed over the past three years. Tens of thousands
have fled.

---

http://www.rferl.org/newsline/2002/08/4-SEE/see-300802.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
September 1, 2002

GUNMEN PIN DOWN PEACEKEEPERS IN KOSOVA [RFE/RL's
preferred spelling]

UN civilian administration (UNMIK) police spokesman
Barry Fletcher told Reuters in Prishtina on 29 August
that unidentified gunmen shot at Serbian woodcutters
in the Peja district and "police responded with three
vehicles and a total of eight officers. When they
arrived, they were fired upon and they had to take
cover." Fletcher added that the police "were being
fired at from at least three different places, and
people who were shooting were too far away for the
range of pistols. [The police] couldn't move because
of the shooting." The police then called for KFOR
troops to come to the scene. "But the KFOR troops were
also fired at, and both UNMIK police and KFOR were
trapped for at least two hours." Italian peacekeepers
then brought up reinforcements and military vehicles,
which prompted the gunmen to flee. Italian military
police detained one suspect who refused to speak.
UNMIK spokeswoman Andrea Angeli said nonetheless that
he is an ethnic Albanian. AP described the attack as
one of the worst cases of violence since NATO troops
entered Kosova in June 1999. PM

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From : Italo Slavetti
To : rubrica.lettere@...
Date : Mon, 2 Sep 2002 14:33:03 +0200
Subject : Civilta' giuridica e battaglie politiche

> Spett.le Redazione de "La Repubblica",
>
> credo che l'opinione pubblica democratica e progressista, della quale
il
> vostro giornale e' specchio e portavoce insieme, debba evitare di
> commettere l'errore di biasimare il governo Berlusconi, e lo stesso
> premier - che non avendo ancora rimpiazzato il Ministro Ruggero e' di
> fatto responsabile in prima persona delle scelte di politica estera
> dell'Italia - per il ventilato accordo con gli USA in merito alla
(non)
> giudicabilita' dei cittadini statunitensi da parte del Tribunale
Penale
> Internazionale (TPI). Su questo tema ritengo che si debba fare molta
> attenzione, evitando di analizzare e criticare la posizione
> berlusconiana usando solamente la (pur legittimamente dura) polemica
> di politica interna, tra maggioranza ed opposizione nel nostro Paese.
>
> Si dice che la posizione di Berlusconi, che e' d'accordo a garantire
> l'impunita' ai cittadini statunitensi che commettono crimini di guerra
e
> contro l'umanita', romperebbe lo schieramento europeo. Ma un governo
> diverso ovviamente non potrebbe scegliere in altro modo, poiche' e'
> prioritario confermare innanzitutto la affidabilita' (come direbbe
> D'Alema) della classe dirigente italiana, ed il rispetto della nostra
> "partnership" con gli USA. Sara', semmai, la Unione Europea in toto a
> doversi conformare ai voleri degli USA, e certo lo fara', non l'Italia
a
> mettere in discussione unilateralmente il proprio servaggio.
>
> Ma anche dal punto di vista strettamente giuridico, di diritto
> internazionale cioe', le ragioni per garantire agli USA uno status
> "super legibus", di immunita' "a priori", sono forti e vanno intese
nel
> quadro dei criteri ai quali si deve improntare la moderna civilta'
> giuridica. Va ricordato che e' oramai prassi consolidata la immunita'
> per i responsabili politici e militari delle grandi democrazie
> occidentali. Ad esempio, il premier israeliano Sharon non e'
> chiamabile in causa per i fatti di Jenin, ovviamente, e d'altronde
> il suo status "immune" gli e' garantito gia' dai tempi di Sabra e
> Chatila (se fosse stato riconosciuto colpevole di strage per quei
fatti,
> non avrebbe potuto godere di mano libera per le recenti operazioni
> in Palestina). Ma, per rimanere nel nostro "orticello" italiano, va
> ricordato che una legittima impunita' e' stata "de facto" sancita
> anche a favore degli esponenti del governo D'Alema, per i fatti
> della primavera del 1999. La magistratura a tutti i livelli, per
ultima
> la Corte di Cassazione (vedasi sentenza Sezioni unite, ordinanza
> 8157/02; depositata il 5 giugno scorso), ha provveduto a dichiarare
> "ab principio" il non luogo a procedere per le denunce intentate
> da migliaia di cittadini per strage, violazione della Costituzione,
> crimini di guerra, eccetera, relativamente alla partecipazione
> dell'Italia ai bombardamenti sui petrolchimici, i convogli di
profughi,
> i treni, le stazioni radiotelevisive (con i giornalisti dentro), sul
> territorio
> della Repubblica Federale di Jugoslavia.
>
> In tutti i casi del genere si tratta molto semplicemente di proteggere
> i responsabili politici democratici e gli Stati occidentali da
> dispositivi
> accusatori mossi da fini meramente politici, e che possono recare
> intralcio alle sempre piu' frequenti iniziative di carattere militare
> (cioe' umanitario) intraprese contro paesi stranieri, anche molto
> lontani dalla Penisola.
> Ben diverso dovra' essere ovviamente il criterio giuridico da adottare
> nel caso di quei politici del campo avverso (cioe' non democratici)
> che e' necessario vengano processati e puniti duramente, anche in
> base - se necessario - ad accuse artefatte o mendaci (si veda ad
> es. il caso di S. Milosevic). Il garantismo ed il diritto alla
> "legittima
> suspicione" che gli USA vogliono garantiti per se' nel quadro
> internazionale non saranno mai applicabili neanche per i terroristi
> islamici, che giustamente gli USA rinchiudono a Guantanamo,
> dove li sottopongono a trattamenti lesivi dei piu' elementari diritti
> umani: ma i suddetti islamisti non rientrano nel novero dei soggetti
> democratici, anzi direi che e' dubbio che si possano a costoro
> ascrivere attributi umani qualsivoglia, in quanto islamisti (come
> illustrato da un intellettuale raffinato come Oriana Fallaci
> su giornali e libri editi in tutto il mondo). La civilta' giuridica
> occidentale, che deriva direttamente da quella romana, non
> potra' dunque prevedere alcun "diritto a priori", tantomeno
> "immunita'" per costoro.
> Ed oggi, che l'antico "jus romanus" evolve, con i
> tempi ed i ritmi della globalizzazione, cioe' di internet e delle
> fibre ottiche, verso il piu' attuale "jus fortius", nemmeno noi
> appartenenti al popolo della sinistra potremo eccepire con
> ragionamenti del tutto fuori moda e fuori luogo, basati su
> concezioni del "diritto" di derivazione illuministica. Questo
> nemmeno ai lodevoli fini della battaglia politica interna.
>
> Italo Slavetti (Roma)
>
>
>
>
>

BARLETTA venerdì 6 settembre, ore 19.30

Spazio dibattiti Festa di Liberazione, Viale Giannone (nei pressi della
stazione)
"XXI secolo: guerra permanente?"

Intervengono
Azmi Jarjawi - della comunità palestinese, Bari
Andrea Catone - associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in
terra di Bari
Laura Marchetti - dir. naz, PRC
Ugo Villani, docente di diritto internazionale Università La Sapienza,
Roma
coordina Michele Rizzi, com. pol. naz. PRC
sarà proiettato il video "La guerra umanitaria della NATO"

sarà disponibile il libro di J. Elsaesser "Menzogne di guerra - le bugie
della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo", ed. La città
del Sole, Napoli


===*===


Jürgen Elsässer:

"MENZOGNE DI GUERRA
Le bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per
il Kosovo"

Traduzione di Mara Oneta
Prefazione di Andrea Catone
Collana "Frontiere del presente"
Ed. La Citta' del Sole, Napoli 2002
ISBN 88-8292-183-2; prezzo 11 euro

Si tratta della versione italiana del libro edito in Germania
con il titolo "Kriegsverbrechen" dalle edizioni KONKRET
(Amburgo 2000), oggi giunto alla quarta edizione.

Edizioni "La Citta' del Sole"
Via Giovanni Ninni 34, 80135 Napoli
Tel. 081-4206374, fax 081-7041804

AUF DEUTSCH / NA SRPSKOHRVATSKOM:

http://www.juergen-elsaesser.de/html/template.php?
inhalt=../de/buecher/inhalt_buecher.html&buch=buch_leer.html

Jürgen Elsässer
Ratni zlocini - Bestidne lazi i zrtve NATO-a u kosovskom
sukobu
JASEN Verlag, 207 Seiten, 14.50 Euro

Jürgen Elsässer
Kriegsverbrechen Die tödlichen Lügen der Bundesregierung
und ihre Opfer im Kosovo-Konflikt,
Hamburg (Konkret) 2000, 190 Seiten, 26,80 DM

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previ accordi telefonici) chiamare od inviare un fax al numero
06-4828957.

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