Informazione

CON QUALE FACCIA?

Dall'Italia, influenti settori dell'associazionismo,
organizzazioni cosiddette "non-governative" ed esponenti
del centrosinistra sono in questi giorni a Sarajevo.
Forse per festeggiare i dieci anni dal riconoscimento
della secessione della Bosnia-Erzegovina ed il conseguente
inizio della guerra fratricida.

(di I. Slavo)


Il 6 aprile 1992 l'Unione Europea e gli USA riconoscevano la
Bosnia-Erzegovina come Stato indipendente. Sancendo la esistenza
di uno Stato a se' nei confini della ex-repubblica federata di
Bosnia ed Erzegovina, la diplomazia internazionale sferrava il
colpo mortale - dopo il riconoscimento delle secessioni slovena
e croata - ai valori della "Fratellanza ed Unita'" ed ai delicati
equilibri della convivenza multi-nazionale nella Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia, della quale la Bosnia-
Erzegovina rappresentava il cuore storico e simbolico.

L'iniziativa diplomatica contraddiceva persino le raccomandazioni
di politici e mediatori occidentali, come Lord Carrington. Dopo
soli quattro giorni, la neonata Armija (esercito) bosniaca non aveva
remore ad attaccare le caserme federali. Due settimane dopo, mentre
infuriava ormai la guerra civile, il governo federale jugoslavo
decideva il ritiro delle sue forze armate. Il 27 aprile 1992
Serbia e Montenegro proclamavano infatti la nuova Federazione
Jugoslava, della quale neanche la Bosnia faceva piu' parte.
Il ritiro delle forze armate federali dalla Bosnia-Erzegovina
incominciava il 19 maggio e veniva completato il 6 giugno 1992.

La guerra fratricida tra i diversi partiti ("etnici" e non:
musulmani islamisti, musulmani moderati di Abdic, serbi, croati)
in Bosnia-Erzegovina durera' piu' di tre anni, finche' cioe' i
tempi non saranno diventati maturi per ridurre quella "repubblica
indipendente" in un protettorato internazionale, statarello-vassallo
con una economia a pezzi, insanabili contrasti politici al suo
interno, ed infiniti drammi incisi nella carne dei suoi abitanti.

La vicenda della sanguinosa secessione della Bosnia-Erzegovina
era iniziata nel gennaio 1992: Alija Izetbegovic, il musulmano
presidente di turno della Bosnia-Erzegovina (benche' a vincere
le elezioni fosse stato Fikret Abdic, costretto a farsi da parte
nell'ambito di una vicenda mai chiarita) aveva mancato di
passare la consegna al serbo Radovan Karadzic: si trattava di
un vero "golpe bianco", che infrangeva la regola della "presidenza
a rotazione". La storia politica di Izetbegovic e' stata tenuta
nascosta al pubblico occidentale. Basti dire che era uscito dal
carcere solo nel 1988, dopo aver scontato 6 anni su 14 di pena
che gli erano stati inflitti per "istigazione all'odio tra le
nazionalita'". Gia' autore di testi di propaganda islamista
come la "Dichiarazione Islamica", i rapporti suoi e del suo partito
(Partito di Azione Democratica, SDA) con le cancellerie occidentali
erano e continuarono ad essere idilliaci nel corso di tutto il
conflitto.

Tanto che nel successivo mese di febbraio, la "Comunita'
Internazionale" prometteva agli islamisti sarajevesi aiuto ed
accoglienza nelle istituzioni euro-atlantiche se avessero proclamato
la indipendenza della repubblica. Viene percio' indetto un
referendum (anticostituzionale) per il giorno 29 dello stesso mese,
che sara' boicottato dal 35 per cento degli aventi diritto. Solo
il 65% dei votanti, essenzialmente croati e musulmani di Bosnia,
voteranno a favore della secessione. Ma ufficialmente si canta
vittoria, ed il clima nel paese incomincia a surriscaldarsi, benche'
la stragrande maggioranza della popolazione, di ogni "etnia", non
possa ancora neanche lontanamente immaginare che si sta veramente
andando verso una immane tragedia, di fronte alla quale si fara'
trovare incredula ed impotente.

Nel marzo, quando la guerra a tutto campo non e' ancora scoppiata,
la prima Conferenza per la pace in Bosnia, a Lisbona, si conclude
con un accordo (il "piano Cutileiro") per la cantonalizzazione
della ex-repubblica federata. Immediatamente, i rappresentanti
delle delegazioni croata e musulmana sono convocati negli Stati
Uniti, dove l'ex-ambasciatore a Belgrado Zimmermann li persuade a
ritirare la loro firma dall'accordo. Lo stesso Cutileiro imputera'
alle parti musulmana e croata la rottura del patto (ad esempio
nella lettera pubblicata sull'"Economist" del 9/12/1995), e
Zimmermann in persona raccontera' quei fatti, come riportato ad
esempio da David Binder sul "New York Times" del 29/8/1993.

In Occidente, la vicenda del "Piano Cutileiro" deve rimanere
nascosta alla opinione pubblica ed al movimento pacifista: la
"Comunita' Internazionale" deve apparire come un attore super partes
generosamente impegnato in uno sforzo di pacificazione... Le colpe
per la guerra che sta scoppiando vanno addossate alle popolazioni
locali, razzisticamente imputate di "odi atavici" ed incapacita' alla
convivenza; in particolare, i serbi - in quanto componente che
meno di tutte ha interesse alla secessione della Bosnia-Erzegovina -
vanno demonizzati e presi a capro espiatorio della tragedia.

Eppure, con la secessione, ogni discorso su "Sarajevo multietnica"
diventava pura demagogia: era la Jugoslavia stessa ad essere
multietnica, perche' la si era voluta squartare? Perche'
incappare in questo rischio, di rianimare in maniera tanto
irresponsabile, nella memoria della popolazione di quelle
terre, i fantasmi dei fatti accaduti durante la II Guerra
Mondiale? Pesavano infatti ancora come macigni le memorie dei
massacri compiuti dai collaborazionisti del nazifascismo:
le divisioni musulmane inquadrate nelle SS, gli ustascia
croati, le bande dei cetnici scatenate contro gli stessi
partigiani serbi, soprattutto nelle fasi finali del conflitto.
Perche' non ricordare, soprattutto a sinistra, che in Bosnia-
Erzegovina i valori della "Unita' e Fratellanza", del progresso
civile, avevano potuto trionfare solo grazie alla vittoria
nella Guerra di Liberazione, e grazie al socialismo, contro
la mentalita' reazionaria del differenzialismo "etnico" e del
bigottismo religioso?

Niente da fare: in Occidente di questo non si parlava. Si
preferiva drogare l'opinione pubblica con urla esasperanti
su "l'assedio di Sarajevo" (in realta', una citta' spaccata
in due, tra quartieri a maggioranza dell'una o dell'altra
"etnia"), sull'"esempio di Tuzla" (in realta', una citta'
ostaggio del suo aereoporto, dal quale arrivavano i
rifornimenti militari ai musulmani), sui "lager serbi" e
sugli "stupri etnici" (che, fatte salve tante gravissime vicende
avvenute durante il conflitto, erano frutto dello sforzo
propagandistico di agenzie specializzate nella disinformazione
strategica, come la ITN e la Ruder&Finn Public Global Affairs).

Intellettuali e politici di mezzo mondo faranno il loro sporco
lavoro, impegnandosi per mesi ed anni a creare e vezzeggiare
una "identita' nazionale bosniaca" inesistente, contribuendo
di fatto alla propaganda bellica, allo scopo di alimentare
odio e divisione tra le varie parti in conflitto. Ideologi
del "piccolo e' bello"; strenui oppositori del "centralismo
di Belgrado"; "antistalinisti" che sono in realta' anticomunisti,
antititoisti, antijugoslavi; razzisti slavofobi istriano-dalmati,
adesso particolarmente accesi di odio antiserbo; teorici della
"societa' civile"; lobbyisti di organizzazioni che, piuttosto
che "non-governative", rappresentano la avanguardia della
ricolonizzazione straniera; religiosi, a parlar male di altre
confessioni religiose: a tutti questi, e solo a questi, viene
data la possibilita' di parlare e scrivere, di interpretare e
di orientare l'opinione pubblica.

Con quale faccia tutti costoro si ripresentano oggi a Sarajevo?
Con quale faccia, poi, in rappresentanza di quella "Europa"
che, incitando la Bosnia-Erzegovina alla secessione, e' stata
corresponsabile del martirio di quel paese? E con quale faccia
insistono ad usare slogan come quello dell' "assedio di Sarajevo",
dopo avere chiuso entrambi gli occhi davanti allo svuotamento dei
quartieri serbi di Sarajevo nel 1995?

Noi rimaniamo dell'idea, ben espressa da Ivo Andric, secondo cui
"nulla di buono puo' esserci per la Bosnia finche' sara' Dzelaludin
a comandare". Dzelaludin, cioe' l'occupante straniero - all'epoca,
un rappresentante dell'Impero Ottomano; oggi, forse, Dzelaludin e'
un rappresentante della Commissione Europea.


===*===

ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà
Città di Sarajevo-Il Sindaco
Osservatorio sui Balcani


COMUNICATO STAMPA


Roma 19 marzo 2002


ROMANO PRODI A SARAJEVO
CON LA SOCIETA¹ CIVILE ITALIANA ED EUROPEA

IL 6 APRILE, IN OCCASIONE DEI DIECI ANNI DALL¹INIZIO
DELLA GUERRA IN BOSNIA-ERZEGOVINA

Il prossimo 6 aprile in occasione del decimo anniversario dell¹inizio
della guerra a Sarajevo e in Bosnia Erzegovina l¹ICS-Consorzio Italino
di Solidarietà, l¹Osservatorio per i Balcani insieme alla municipalità
di
Sarajevo promuovono l¹iniziativa ³L¹Europa oltre i confini, l¹Europa
dal basso² per rilanciare l¹impegno per la pace, la cooperazione, la
riconciliazione nei Balcani e la loro integrazione nell¹Unione Europea.

Interverrà al meeting l¹on. Romano Prodi, Presidente della
Commissione Europea.

Saranno presenti all¹iniziativa Sindaci e amministratori locali delle
Regioni italiane, parlamentari italiani ed europei, rappresentanti di
ONG e di associazioni volontariato di molti paesi europei. Dall¹Italia
partirà con pullman il 4 aprile un¹ampia delegazione composta da
organizzazioni pacifiste e di volontariato: sono ancora aperte per pochi
giorni le iscrizioni alla delegazione.

Nel corso della conferenza sarà presentato l¹appello ³L¹Europa oltre i
confini² per un¹integrazione certa e sostenibile dei Balcani nell¹Unione
Europea e sarà costituito il network euro-balcanico ³Europa dal
basso², formato da organizzazioni della società civile di diversi paesi
europei dell¹est e dell¹ovest. Sono previste anche altre iniziative
accanto alla conferenza: iniziative e incontri a Mostar, Tuzla e Banja
Luka, una corsa podistica non competitiva il 7 aprile, una
manifestazione per la pace e la riconciliazione.

L¹iniziativa è sostenuta, tra gli altri, anche dalla regione Trentino
Alto Adige, la Regione Emilia Romagna, la Regione dell¹Umbria, la
Regione
Toscana, i comuni di Roma, Venezia, Modena, dalle province di
Ravenna e Lodi, da Banca Etica.

Per informazioni e partecipare:
ICS, Via Salaria 89, 00198 Roma ­ tel. 0685355081, e-mail:
icsuffroma@...
http://ics.mir.it/sarajevo2002.html

--
Claudio Bazzocchi

_______
/ \ CONSORZIO ITALIANO DI SOLIDARIETA'
/ ICS \
/ \ La sfida della solidarieta'

http://ip21.mir.it/ics/

Via Salaria, 89 - 00198 ROMA

tel 06/85355081
fax 06/85355083

===*===

>From: "Osservatorio sui Balcani" <segreteria@...>
>To: "Segreteria - OB" <segreteria@...>
>Subject: Siamo in partenza per Sarajevo
>Date: Wed, 3 Apr 2002 19:45:30 +0200
>
>Cari amici, saremo domani in viaggio per Sarajevo....
>
>
>Potrete seguire le iniziative "Europe beyond the borders - Europe from
>Below" grazie ad un aggiornamento quotidiano del nostro portale
>(www.osservatoriobalcani.org).
>
>
>Cogliamo l'occasione per segnalarvi un editoriale di Michele Nardelli
che,
>prendendo spunto dalle giornate di Sarajevo e dai tragici eventi in
>Palestina ed Israele, riflette sulla necessità di un ruolo forte
>dell'Europa.
>http://auth.unimondo.org/cfdocs/balcani/news/newsID1.cfm?NewsID=712
>
>
>Alla pagina seguente potete inoltre consultare l'elenco dei
partecipanti
>alle iniziative nella capitale bosniaca:
>http://auth.unimondo.org/cfdocs/balcani/news/newsID1.cfm?NewsID=714
>
>
>
>
>
>
>Osservatorio sui Balcani
>Palazzo Adami
>Piazza S.Marco 7
>38068 ROVERETO (TN)
>tel. 0464.424230
>fax. 0464.424299
>e-mail: segreteria@...
>www.osservatoriobalcani.org

> http://www.antiwar.com/malic/pf/p-m040402.html

ANTIWAR, Thursday, April 4, 2002

Balkan Express
by Nebojsa Malic
Antiwar.com

Bosnia Revisited

10 Years On

Ten years ago this Friday, the
Bosnian capital of Sarajevo woke up
under a blockade. Set up by a Bosnian Serb
militia to protest the impending - and
illegal - declaration of independence
by a Muslim-Croat regime, it escalated
into a full-fledged siege and a bloody
ethnic conflict that dragged on for
1326 days. In the course of what
became known as the Bosnian War
(1992-1995), Serbs fought Muslims,
Croats and - eventually - NATO. Croats
fought both Serbs and Muslims, and
occasionally allied with either. Muslims
fought Serbs, Croats, and even other
Muslims, howling all along for the UN
or NATO to intervene on their side.
They also solicited and accepted help

from hundreds of vicious "holy
warriors" from Islamic countries,
claiming at the same time to be secular,
democratic, multi-ethnic and tolerant.

The Fog of Facts

The war has been defined as an
aggression, a civil war, a religious or
ethnic conflict, a clash of civilizations,
a genocide, a war of secession
and a war of succession, with every
belligerent using the definition that
suited them best.

Same thing happened with the
casualty figures. No one knows for certain how
many people actually died in Bosnia.
Usual wartime practice of inflated
claims of enemy casualties was
combined with a new practice of inflating
one's own civilian deaths, in order to
gain sympathy from abroad. Figures
thus range from 250,000 Muslims
alone to 60,000 on all sides. Similarly,
it is claimed that up to 2 million people
were displaced, but it is still
unclear how many were displaced by
force. Many certainly were, yet they all
claim so. No one admits fleeing in the
face of danger, even if that is the truth.

Beyond a doubt, the war in Bosnia
was brutal. Atrocities were a part of
everyday fighting, and international
conventions were hardly heeded as
boundaries between civilians and
military were blurred to nonexistence.
Sharpshooters on urban frontlines
picked off anything that moved. Millions
of land mines killed anyone who came
along. Artillery bombardment killed
indiscriminately. Captured foes,
military or civilian, were often
brutalized and killed. The real atrocities,
however, quickly became obscured by a sea
of garish claims calculated to gain
media attention: concentration camps,
mass murder, mass and systematic
rape of women, and even genocide. And while
it was easy to document the everyday
atrocities, finding evidence for these
claims has proven much more elusive.

A House Divided

To be sure, there are a few facts few
can disagree on. One is that Bosnia is
divided today between the Serb
Republic (48%) and the Muslim-Croat
Federation (51%), the remaining 1%
taken up by the internationally-run
"district" of Brcko. The Federation is
further subdivided into 10 cantons,
largely along ethnic lines.

The entire country is effectively - but
not officially - ruled by an
international viceroy, with the prosaic
title of High Representative and
offices in a walled white mid-rise
along the former frontline in downtown
Sarajevo.

Some 20,000 NATO troops still remain
in Bosnia as part of a "stabilization"
(i.e. occupation) force, or SFOR.
That's down from 60,000 sent there 6
years ago. Among them are still a 1000 or
so Americans, despite a promise by a
former Emperor that they would only
stay one year. Many of those who served
in Bosnia are now occupying Kosovo,
as part of KFOR.

Word Games

Few other places testify to the power
of words as much as Bosnia today. Its
very name has become a weapon in
political, cultural and ethnic conflict
that still simmers in that ruined land.
Muslims have bestowed upon
themselves the name "Bosniak," an
Austrian-era archaism denoting inhabitants
of Bosnia, thus implying their
ownership of the country. Very often,
Muslims are simply referred to as "Bosnians,"
clearly implying that Serbs and Croats
are pesky minorities at best,
murderous intruders at worst.

Residents of the Muslim-Croat
Federation mention the phrase
"Bosnia-Herzegovina" as often as
possible, as if uttering the country's
name could somehow conjure it into
existence. In the Serb Republic, on
the other hand, the name is mentioned seldom,
if ever - as if ignoring it could make
the country disappear.

Rather than simple word games, these
are serious indicators that the
attitudes which a decade ago led to
the war are alive and well today,
ingrained deeply into the fabric of
society, and poisoning ethnic
relations every day more.

Oscar Politics

Just two weeks ago, a picture about
the Bosnian War won the (American)
Academy Award for best foreign film.
The award, earned by Danis Tanovic
for his brilliant directing, a clever
screenplay and captivating music
score, was immediately drawn into Bosnia's
political maelstrom. His words from the
award ceremony, "This is for my
country, for Bosnia," were twisted and
abused almost as soon as he uttered them.

Thus the Bosnian Serbs, portrayed
rather unflatteringly in "No Man's
Land," smarted and scoffed at the
accomplishment. Croats claimed the
award as their
own, on the grounds that many ethnic
Croats starred in the film. Bosnian
Muslims, on the other hand, would not
shut up about their success; Tanovic
is a Muslim, and the film sometimes
unabashedly peddled their war
propaganda. Yet they conveniently
forgot that the Muslim authorities'
refusal to allow Tanovic to film in
Bosnia made him move the production
to Slovenia.

To his greatest credit, Tanovic himself
refused to be drawn into politics,
staying away from the limelight and
even avoiding a triumphant return to
Sarajevo he knew would turn into a
media circus.

Back To Square One?

Just last week, the departing viceroy
managed to convince some of Bosnia's
leading politicians to agree on a
package of constitutional reforms that
would give greater rights to all three
major ethnic groups. This is seen as
a step ahead from the institutional
discrimination of the Dayton Peace
Agreement, which favored ethnic
oligarchies.

Nonetheless, the reforms are still
based on ethnic, collective politics,
and their system of quotas and parity is
merely trying to restore the situation
from just before the war. This system,
and its abuse by ethnic parties, led
to the war in 1992. Reinstating it will
hardly undo the damage.

Ironically, the judicial review that led
to the reforms was initiated by the
wartime Muslim leadership, which
hoped to accomplish its goal of unifying
Bosnia under Muslim domination by
abolishing the Serb Republic. The current
agreement thwarts that plan, but it's far
from being defeated. As long as it
exists, Serb and Croat politicians will
bitterly oppose all calls for a
citizens' republic, a non-ethnic
political society that might give Bosnia
a raison d'etre and a future. Muslim
integrationists' wartime claim to
represent a secular, citizens' republic
seems to have poisoned that well for
a long time to come.

No Man's Land

Unlike irony, tragedy, suffering or
deceit, hope is one thing Bosnia is
perpetually short of. Stumbling under
the weight of loss, destruction,
poverty, crime and repression that
have marked the past decade, the
residents of Bosnia are far from any
sort of miraculous deliverance. Some
ruined buildings may have been
mended, but the wounds in people's
souls may never be.

Meanwhile, Bosnia continues to exist
as a sort of black hole, bereft of
meaning, form, function or future. In
order to be free, those who live in it
need to take responsibility for their
feelings. But what then? Bosnia's
peoples could find a way to live
together and build a true Bosnian
nation.
Or, they could peaceably part and
bury Bosnia as Yugoslavia - another
idea of multi-ethnic coexistence - was
buried recently. Or, most likely, they
would simply jump into another round
of ethnic bloodshed, hoping that
violence could persuade the others,
or at least kill them off.

The occupation is not addressing any
of the persisting ethnic, political or
even social issues. It merely
represses them, postponing the day of

reckoning and prolonging Bosnia's
continuing agony. Such an approach is
somewhat justified by the absence of
bloodshed, but it might make things
worse in the long run - if they can
possibly get worse, that is.

Bosnia is a living monument to the
horror of Yugoslav dissolution, the
harrowing reminder that people are
not footnotes, and can't simply be erased
or left behind. It is, as Tanovic's film
so aptly states, a "No Man's Land,"
resting on a landmine that would
surely kill if it were to try and rise. It
is a testament to Empire's criminal
misconduct in the Balkans, as it sought
to impose unworkable solutions
without understanding the problems.

Most of all, ten years later, Bosnia
remains a paradox. And those were
never easy to inhabit.

PARTITO SOCIALISTA DELLA SERBIA
COMITATO CENTRALE
Belgrado, 3 aprile 2002

SOLIDARIETA' CON LA PALESTINA
COMUNICATO STAMPA

Il Partito Socialista della Serbia condanna la
pericolosa escalation della violenza da parte
dell'esercito israeliano contro la popolazione
e le autorita' palestinesi.
Gli imperativi sono: il cessate il fuoco immediato,
il ritiro delle truppe israeliane dalle citta' palestinesi,
e la prosecuzione del processo di pace, nel pieno rispetto
di tutte le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU in merito.
Il Partito Socialista della Serbia e' determinato a
proteggere la storica amicizia e la mutua solidarieta'
che lega i popoli della Jugoslavia e della Palestina,
e sottolinea il suo appoggio ad una giusta soluzione
della crisi, che comprenda il ritiro israeliano da tutti
i territori occupati e le condizioni per il normale
funzionamento dello Stato di Palestina, con la costruzione
di fiducia e cooperazione tra tutti i popoli e gli Stati
della regione, senza interferenze da parte di fattori
esterni alla regione.
Il Partito Socialista della Serbia rinnova il monito
che la lotta contro il terrorismo nel mondo si puo'
combattere solamente all'interno del quadro dell'ONU
sulla base di regole universalmente accettate e dei
principi della Carta dell'ONU. Il piu' grande
pericolo per il mondo e' il terrorismo sponsorizzato
ed il suo uso strumentale come pretesto per attacchi
brutali contro la liberta' e la sovranita' dei popoli
e per la imposizione di una dittatura nelle relazioni
internazionali.


Subject: SPS: Solidarity with Palestine
Date: Wed, 3 Apr 2002 19:07:53 +0200
From: "Vladimir Krsljanin"


SOCIALIST PARTY OF SERBIA
HEAD COMMITTEE
Belgrade, April 3, 2002

SOLIDARITY WITH PALESTINE
PRESS RELEASE

The Socialist Party of
Serbia condemns the dangerous escalation
of violence of Israeli army against
Palestinian people and Palestinian
authorities.
Immediate cease-fire,
withdrawal of Israeli troops from
Palestinian cities and continuation of
the peace process, with full respect
of all relevant UN Security Council
resolutions, are the imperatives.
The Socialist Party of
Serbia is determined to protect the
historical friendship and mutual
solidarity between the peoples of
Yugoslavia and Palestine and underlines
its support to a just solution of
the crisis which must incorporate
Israeli withdrawal from all occupied
territories and conditions for normal
functioning of the State of Palestine,
with the building of confidence and
cooperation of all peoples and states in
the region, without interference of
out-of-regional factors.
The Socialist Party of
Serbia repeats the warning that struggle
against the terrorism in the world can
be fought only within the frameworks
of the Organization of United Nations on
the basis of generally accepted
rules and principles of UN Charter.
Biggest danger for the world is the
sponsored terrorism and its misuse as
pretext for brutal attacks on freedom
and sovereignty of peoples and for
imposing the dictatorship in the
international relations.

To join or help this struggle, visit:
http://www.sps.org.yu/ (official SPS website)
http://www.belgrade-forum.org/ (forum
for the world of equals)
http://www.icdsm.org/ (the international
committee to defend Slobodan Milosevic)
http://www.jutarnje.co.yu/ ('morning
news' the only Serbian newspaper
advocating liberation)

Una versione, piu' dettagliata, da ''Politika'', sull'indagine
delle Nazioni Unite (Unep) sull'uranio impoverito nel sud della
Serbia. (Da A. Tarozzi. Traduzione di Z. Nedanovska)

1. FONTE: Politika.
2. TITOLO: Minacciano le acque sotterranee.
3. INDICE: La conferma ufficiale dell'UNEP.
4. SITO INTERNET: http://www.politika.co.yu/2002/0403/01_39.htm
5. AUTORE: V.Pesic.
6. NUMERO DI PAGINE: 2.
7. DATA: 3/04/02.

Gli esperti dell'UNEP hanno confermato ufficialmente
che i proiettili all'uranio impoverito, usati durante i
bombardamenti della NATO, hanno causato conseguenze
pesanti all'ambiente nei comuni di Vranje, Bujanovac e
Presevo.
Dal 24 marzo al 9 giugno del 1999, i bombardieri della NATO,
con l'uranio impoverito, hanno colpito cinque località
nei comuni citati. Una località colpita si trova a Vranje e
due a Bujanovac e a Presevo. I membri dell'UNEP hanno
consegnato all'Istituto per la protezione della salute di
Vranje i risultati delle analisi di 161 campioni di
vegetazione, suolo ed aria. Sono stati nella Serbia
meridionale nel periodo dal 27 ottobre al 5 novembre del
2001, ed hanno visitato tutte le cinque località minacciate,
dove hanno preso i campioni. Miroslav Simic, fisico,
dell'Istituto per la protezione della salute di Vranje
e membro del Consiglio federale per il monitoraggio delle
conseguenze dei bombardamenti della NATO, ha detto ai
giornalisti che gli esperti dell'UNEP hanno riconosciuto,
per la prima volta, che la contaminazione da uranio
impoverito ha lasciato conseguenze sull'ambiente nel
comune di Vranje.
L'uranio impoverito minaccia, in tempi brevi, di esporre
al pericolo le falde acquifere, il bestiame e la vegetazione.
I nostri esperti hanno scoperto su una località di
Pljackovica, presso Vranje, una concentrazione di uranio
nell'aria e nel suolo. L'aumento della concentrazione di
uranio nel suolo era di quattro milligrammi al chilo. I
campioni sono stati analizzati nei laboratori di Francia,
Italia e Svizzera. La stessa analisi è stata effettuata
anche nei laboratori in Grecia, Russia e Norvegia, poichè
i nostri esperti hanno insistito su quello.
All'Istituto di Vranje si aspettavano che i campioni
avrebbero dimostrato l'aumento della concentrazione di
uranio da uno a diciotto milligrammi al chilo nel suolo.
Tuttavia, sono rimasti sorpresi dall'avvertimento che si
debba prestare attenzione in particolare alla protezione
delle falde acquifere, perchè sono proprio quelle che
potrebbero minacciare la salute umana. Gli esperti
dell'Istituto attendono il risanamento del suolo. E'
già stato fatto il catasto delle acque potabili e quello
dei pozzi. I preparativi per un controllo permanente della
concentrazione di uranio impoverito nell'acqua sono già
terminati.
Gli esperti dell'Istituto per la protezione della salute
di Vranje, dell'Istituto di Vinca e del Centro clinico della
Serbia, hanno fatto le analisi di cibo ed acqua, e per ora
hanno constatato come non ci sia un aumento di
concentrazione di uranio impoverito. Simic ha informato i
giornalisti che il nostro Governo ha stanziato 150 milioni
di dinari per il risanamento del terreno più a rischio.
Le località più pericolose nella Serbia meridionale, a
causa delle acque sotterranee, adesso sono Pljackovica e
il territorio del villaggio di Borovac, presso Bujanovac.
Negli ultimi giorni i cittadini di Vranje sono molto
angosciati e preoccupati perchè in alcuni dei nostri media
sono apparse informazioni secondo le quali le analisi
dell'Istituto per la medicina del lavoro (Dr Dragomir
Karojevic) di Belgrado mostrerebbero che nei campioni
del sangue e dell'urina di 30 cittadini di Borovac e
Bratoselac, presso Bujanovac, è stato riscontrato uranio
impoverito.
Anche se non ci sono le relazioni ufficiali, nel villaggio
di Borovac, presso Bujanovac, sono state riscontrate
deformazioni nella vegetazione. Pljackovica, Borovac,
Bratoselac, Reljan e Svinjiste - nei comuni di Vranje,
Bujanovac e Presevo - ancora fanno e faranno paura ai
cittadini della Serbia meridionale.