Informazione

Associazione "S.O.S. Yugoslavia"
V. S. Anselmo 13 - 10155 Torino
338/1755563 - 328/7366501

Disponibile il "QUADERNO YUGOSLAVIA N. 1"

Informiamo che a cura dell’Associazione "S.O.S. Yugoslavia" è stato
prodotto un fascicolo contenente la raccolta di documenti
sull’aggressione alla Repubblica Federale Jugoslava (1999-2001).
Si tratta di una raccolta di materiali utilizzati ed in parte diffusi
nell’ambito delle attività dell’Associazione durante il conflitto del
Kosovo.

L’Associazione torinese, costituita nella primavera del 99’ sulla
spinta solidaristica di un gruppo di persone sensibili alle vicende
patite dai popoli jugoslavi, con una parte della comunità slava di
Torino, ha sviluppato un progetto d’aiuto concreto che si è
concretizzato nell’invio di materiali umanitari là dove il soccorso
internazionale era quasi assente, Voivodina, area di Kragujevac e
Belgrado. Il lavoro solidaristico si è sviluppato efficacemente ed è
tuttora in corso, validamente impegnato nella campagna di adozioni a
distanza.
La natura particolare del recente conflitto balcanico, la
cosiddetta "guerra umanitaria", mobilitava le coscienze e costringeva a
scelte di carattere morale, tali scelte, però, avvenivano nel frastuono
di un martellamento mediatico finalizzato a giustificare i
bombardamenti che sistematicamente colpivano le infrastrutture civili
dell’intera Repubblica Federale Jugoslava: fabbriche, centrali
energetiche, ponti, ferrovie (treni e passeggeri inclusi), abitazioni
civili, ambasciate, il palazzo della televisione (operatori inclusi),
autobus, profughi. Questo strano umanitarismo costellato di "errori"
ed "effetti collaterali" era sostenuto da un sistema informativo troppo
contraddittorio e fazioso per celare la sua vera natura di autentica
propaganda di guerra. La tragica situazione imponeva lo sforzo di
oltrepassare la versione superficiale dei fatti per andare al di là
dell’immagine del nemico mostruoso e crudele, sicché per tutto il corso
del conflitto e anche dopo, parallelamente all’opera solidaristica
umanitaria l’associazione raccoglieva una ricca documentazione sugli
aspetti più gravi delle vicende in cui erano coinvolti i civili
jugoslavi; la campagna di demonizzazione del popolo serbo già avviata
durante il conflitto in Bosnia, la strumentalizzazione della questione
profughi, il ruolo dell’UCK e la pericolosità delle armi all’uranio
impoverito.
Questi argomenti sono stati trattati avendo cura di citare le fonti e
di fornire un quadro preciso sulla base di documenti oggettivi, perché
lo scopo era quello di superare i pregiudizi e capire quanto accadeva
senza lasciarci trasportare da facili odi verso il nemico di turno, in
una parola, per promuovere finalmente una solidarietà cosciente,
indispensabile oggi più che mai dato il contesto internazionale,
attraverso un lavoro di informazione, puntuale, corretta e documentata.

L’isolamento in cui si è condotta l’attività dell’associazione, così
come l’ostilità da parte di certe aree del movimento pacifista durante
la guerra, sono oggi controbilanciate dalla verità venuta infine a
galla; i tormentoni che per mesi hanno alimentato il mito della "guerra
giusta" sono scomparsi, inghiottiti da nuove campagne mediatiche che
contraddicevano o sorvolavano disinvoltamente le precedenti (i soldati
italiani intossicati dall’uranio impoverito e subito dopo la "mucca
pazza"), travolti dalla disinformazione (le fosse comuni non esistevano
o le poche ritrovate contenevano tanto serbi che albanesi), cancellati
dall’indifferenza dei media verso la "pulizia etnica" condotta
dall’UCK, e dimenticati, semplicemente caduti nell’oblio generale.
Quanto al dopo, conclusosi il conflitto calava il sipario, eppure le
conseguenze del profondo cambiamento portato nella società di quei
popoli è causa di sofferenze la cui portata si coglie soltanto si
conosce direttamente. Ora che il "bene" ha vinto sul "male" la nostra
solidarietà continua, concreta e cosciente come prima, consentendoci di
affermare senza dubbi che quella guerra nulla ha avuto di giusto, molto
di neocoloniale, moltissimo di falso e propagandistico, proprio come la
pubblicità.

Riteniamo utile mettere il materiale di documentazione raccolto in
questi anni a disposizione di quanti fossero interessarti, a questo
scopo stiamo curando la pubblicazione di alcuni dossier tematici che
abbiamo chiamato "Quaderni Jugoslavia". Il numero uno è disponibile
prendendo contatto con l’associazione, altri ne seguiranno fino ad
esaurimento dell’archivio.

Per contatti: i numeri sopra indicati, oppure per email:
posta@...

LA SLOVENIA DEVE RINGRAZIARE MILOSEVIC

Lo storico sloveno Anton Bebler ha confermato, in una analisi apparsa
sul "Delo" di Lubiana, che Slobodan Milosevic ebbe un ruolo essenziale
nel distogliere i capi dell'Armata Federale dall'uso della forza in
Slovenia nei giorni a cavallo tra giugno e luglio 1991. L'analisi di
Bebler, pubblicata nell'anniversario del riconoscimento internazionale
alla secessione slovena, che diede inizio allo squartamento del paese,
conferma in realta' quello che non e' mai stato un segreto per nessuno.
Di tante colpe presunte di Slobodan Milosevic, questa - di pensare che
potesse esistere una Jugoslavia amputata di qualcuna delle sue
repubbliche e dei suoi popoli costitutivi - non gli viene mai
attribuita come tale ne' dalla NATO, ne' da alcun "tribunale ad hoc",
ne' dai falsi pacifisti e commentatori ipocriti, i quali hanno
viceversa tutti caldeggiato e salutato con soddisfazione lo
smembramento della scomoda Jugoslavia in tanti statarelli-
banana "etnici". (I. Slavo)

Rettete Milosevic Slowenien?

LJUBLJANA, 26.Dezember 2001. Die ehemalige Führung Serbiens unter
Slobodan Milosevic rettete 1991 Slowenien vor einem entschiedenen
Eingreifen der damaligen Jugoslawischen Volksarmee (JVA). Milosevic
unterband das harte Eingreifen der Armee, obwohl sich die Armeespitze
bereits dazu entschlossen hatte um die territoriale Integrität des
Landes zu sichern. Dies bestätigt der slowenische Historiker Dr. Anton
Bebler in einer Analyse der Ereignisse, die zur Unabhängigkeit der
ehemaligen jugoslawischen Teilrepublik Slowenien geführt hatten.
Beblers Ausführungen erschienen in der Wochenzeitung Delo anläßlich des
zehnten Jahrestages des slowenischen Unabhängigkeitsreferendums.

TANJUG / AMSELFELD.COM

FUMARE NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

Il direttore del settimanale croato "Nacional", Pukanic, ha denunciato
in una intervista che "persone del Montenegro" gli hanno ripetutamente
offerto soldi perche', in cambio, facesse scendere una cortina di
silenzio sui traffici di sigarette. La rivista infatti si e' occupata
in una serie di recenti articoli della "mafia balcanica delle
sigarette", che fa capo al Montenegro. Persone vicine al presidente
montenegrino Djukanovic avrebbero offerto a collaboratori di
Pukanic "somme in marchi tedeschi, composte da sette cifre".

Zeitung soll schweigen

PODGORICA/ZAGREB, 25. Dezember 2001. Der Direktor der kroatischen
Wochenzeitung "Nacional", Ivo Pukanic, gab gestern in einem Interview
bekannt, dass ihm "gewisse Leute aus Montenegro" bisher zweimal Geld
angeboten haben, damit das Blatt nicht weiter über den illegalen
Zigarettenhandel schreibt. Die Wochenzeitung hatte jüngst in einer
Serie über die "Zigarettenmafia des Balkans" berichtet.
Pukanic sagte der in Podgorica erscheinenden Zeitung "Glas Crnogoraca",
zwei seiner Freunde seien im slowenischen Brezice von Vertrauensleuten
des montenegrinischen Präsidenten Djukanovic kontaktiert worden und
hätten einen siebenstelligen DM-Betrag angeboten bekommen. Wie Pukanic
weiter erklärte, habe man den Bestechungsversuch zurückgewiessen.

Quelle: BEOGRAD.COM / AMSELFELD.COM

DIBATTITO: TITO E STALIN

1: IL MOVIMENTO DI CUCCHI E MAGNANI


Trascrizione della conversazione con Francesco
Ferraretto (FF) ed un altro compagno di Roma suo
amico (AA), entrambi ex partigiani ed appartenenti
al movimento di Cucchi e Magnani a partire dal 1948.
Il colloquio si e' tenuto a Roma nel gennaio 2000
con la redazione di "Voce Jugoslava" (VJ), che ha
effettuato la registrazione.

---

AA: ...Di queste questioni un esperto e' Maras
[Giuseppe], membro del Comitato esecutivo dell'ANPI.
Era amico personale di Tito e di Kardelj, e poi fu
anche amico di Mattei. Era il rappresentante delle
Brigate Verdi nell'ANPI, l'Associazione Nazionale
Partigiani d'Italia, e quindi conosce molto bene
la situazione di quel tempo, dei rapporti fra la
Resistenza fatta dagli italiani all'estero e quella
in Italia...

VJ: Voi la vostra Resistenza l'avete fatta a Roma?

AA: Si.

VJ: E la vostra vicenda jugoslava dunque e' degli
anni successivi? Da cosa nacque l'interesse per
la questione jugoslava?

AA: Fu a causa della Risoluzione del Cominform
contro la Jugoslavia [1948]. Praticamente, il
Cominform - che era un comitato di uffici dei
partiti comunisti, quello cioe' che sostitui'
il Comintern - dietro pressione della maggioranza
sovietica si pronuncio' contro la Jugoslavia,
dichiarandola "paese fuori campo", intendendo il
campo dei paesi socialisti.
Questo naturalmente genero' un isolamento della
Jugoslavia, sia dal punto di vista dei rapporti
con gli altri paesi comunisti sia nei confronti del
mondo occidentale, dove la Jugoslavia non era
assolutamente vista con occhio benevolo, era sempre
un paese comunista...

FF: Mah, praticamente la mia storia e' semplicissima -
e non c'entra niente mia moglie, io mia moglie l'ho
conosciuta a cose fatte...
Eravamo giovani comunisti, all'epoca, e dopo Stalin
per noi veniva Tito nella scala, chiamiamola cosi',
degli eroi, dei combattenti antifascisti. E, ad un
certo momento, sentire dall'oggi al domani, dalla sera
alla mattina, che Tito non era un eroe antifascista
che aveva combattuto eroicamente, ma era
nientepopodimeno che una spia dell'America, una spia
della Gestapo, il colpo fu talmente evidente che molti
di noi dubitaroro e dissero: vogliamo vedere, vogliamo
capire, vogliamo approfondire...
Bastarono queste parole perche' io venissi radiato
dal Partito Comunista - non espulso, radiato: la
differenza era che gli espulsi non potevano rientrare,
i radiati potevano rientrare.

AA: E con noi anche due deputati del Parlamento
italiano, Cucchi e Magnani, due deputati comunisti.

FF: ...dei quali uno medaglia d'oro della Resistenza!

VJ: La loro posizione critica rispetto al Cominform
forse era legata anche ad esperienze della guerra
partigiana in Jugoslavia?

FF: Magnani partecipo' alla Resistenza in Jugoslavia
nella Divisione Italia. Lui passo', l'8 settembre,
dall'esercito italiano ai partigiani di Tito. Parlo
di Valdo Magnani, che poi era nientepopodimeno che
il segretario della Federazione PCI di Reggio Emilia,
ed era legato a Togliatti: era cugino della Nilde
Iotti, ed uno dei pupilli di Togliatti. Infatti non
appena Magnani accenno' - seguito da Cucchi e da
altri fra cui Libertini, ad esempio: Lucio Libertini
- l'intenzione di fare questo movimento che in effetti
si costitui' e si chiamo' Movimento dei Lavoratori
Italiani, vennero espulsi con ignominia...

AA: Fu una sera, a Piazza della Fontanella Borghese...

FF: Si, furono espulsi da Togliatti, che li indico' in
questo modo: "Anche il migliore destriero - riferendosi
al Partito Comunista - nel suo crine ha dei pidocchi".
Cioe', Valdo Magnani e Aldo Cucchi - ed anche noi! -
erano dei pidocchi che avevano cavalcato sulla criniera
di questo cavallo magnifico che era il PCI... Fu una
lotta terribile...

VJ: Che storia ebbe questo Movimento dei Lavoratori
Italiani?

FF: Il Movimento dei Lavoratori Italiani ebbe una
bella storia, perche' vi aderirono elementi come
Lucio Libertini, per esempio, che poi ebbe tutta una
storia nella Rifondazione Comunista e fu fino all'ultimo
Senatore della Repubblica, Carlo Andreoni, Cocconi,
e tutta una serie di partigiani... Questo movimento
partecipo' alle elezioni del 1953, le famose elezioni
della "legge truffa", e con il suo mezzo milione di voti
impedi' che la legge truffa passasse, perche' se quel
mezzo milione non avesse votato, molto probabilmente
la legge truffa sarebbe passata. Con una maggioranza
del 51 virgola qualcosa per cento la legge non passo'...

VJ: Dunque il movimento ebbe una rappresentanza
parlamentare?

FF: La rappresentanza parlamentare era costituita da
Valdo Magnani e da Cucchi, che erano tutti e due
deputati al Parlamento Italiano e passarono con
questo Movimento.

VJ: Furono eletti nelle liste del Movimento Lavoratori
Italiani?

FF: No, erano stati eletti nelle liste del Partito
Comunista, ma passarono a capo di questo movimento.
Parliamo del 1951-1953. Poi, successivamente, credo
che questo movimento si trasformo' in Unione dei
Socialisti Italiani... Vi aderirono dei giovani elementi
come Nicola Caracciolo, Carocci (lo storico), insomma
dei giovani, come noi, classe 1928-1929, grossi elementi,
un bel fiorire di personaggi...

AA: C'era anche un giornale, si chiamava "Il Risorgimento
Socialista".

FF: Poi, man mano, questo movimento si liquefece,
soprattutto in seguito alla morte di Stalin ed al
riavvicinamento tra l'Unione Sovietica e la Jugoslavia,
quando Krusciov ando' a Belgrado e disse: "Abbiamo
sbagliato", anzi: lui dette le colpe a Molotov e Beria,
e quest'ultimo nel frattempo era gia' morto, e quindi
poteva prendersi anche quelle colpe...

AA: Poi ci fu il XX Congresso, e la denuncia dei
crimini di Stalin. Ma in realta' si puo' dire che
questa denuncia aveva gia' avuto inizio proprio con
la rottura tra la Jugoslavia ed il Cominform, perche'
gia' allora avevano incominciato a porsi tutta una
serie di questioni: ed a livello internazionale
incominciarono ad uscire anche notizie dall'Unione
Sovietica, notizie che i compagni comunisti italiani
ben conoscevano, Togliatti in testa, degli errori che
si commettevano in Unione Sovietica, degli eccessi
di potere, eccetera.

FF: Comunque voglio dire una cosa: il coraggio che
ebbe allora Tito di ribellarsi per primo - come paese
comunista, come partito comunista - a quello che era il
diktat di Stalin, fu immenso, perche' ai confini della
Jugoslavia di allora c'erano venti Divisioni della
Unione Sovietica, armatissime, dunque non era stato
tanto semplice. E ricordo che quando io andai in
Jugoslavia, alla fine del 1950, li' tutte le notti e
tutte le sere erano attacchi su attacchi alla frontiera,
camuffati da scontri fra pattuglie, ma erano tentativi
veri e propri di entrare in Jugoslavia - da Romania,
Ungheria, Bulgaria... Tutte le notti era un continuo
sparare, da una parte e dall'altra: la Jugoslavia si
difese, e si difese bene.

VJ: Un altro confine molto "caldo" era quello fra Italia
e Jugoslavia...

FF: ...il cosiddetto "Territorio Libero di Trieste"
(TLT)...

VJ: ...che era sotto amministrazione alleata, diviso
in zona A e zona B. Per 40 giorni, immediatamente alla
fine della guerra, Trieste era stata sotto amministrazione
jugoslava, poi era diventata protettorato internazionale,
con tutto l'entroterra, con il nome di TLT.

FF: In quella occasione si rischio' la terza guerra
mondiale!

VJ: Quale fu la vicenda dei comunisti a Trieste?

FF: I comunisti a Trieste si divisero in ala stalinista,
con a capo Vittorio Vidali, ed ala non-stalinista, che
includeva tutti quelli che non erano d'accordo con Vidali.
C'era una senatrice, alcuni deputati, c'era la minoranza
slovena e tutto un gruppo che combatteva al 100 per 100...

VJ: Localmente si formo' la cosiddetta "Unione Antifascista
Italo-Slovena" (UAIS), la quale presumibilmente aveva
rapporti con il movimento di Cucchi e Magnani.

FF: Certamente: erano tutti movimenti, posizioni anti-
cominformiste. Fu una lotta durissima, che causo'
scissioni anche all'interno della Jugoslavia, poiche'
all'interno della Jugoslavia ci fu un movimento - che
era minoranza ma era comunque evidente - di comunisti
jugoslavi che si schierarono contro Tito, contro Kardelj,
contro Rankovic e contro Djilas. Li' ci fu una lotta
molto aspra, tra la maggioranza dei comunisti jugoslavi
appoggiati dalla stragrande maggioranza della popolazione
jugoslava, sia serba che croata o di altre zone, e questo
piccolo gruppo di cominformisti che poi avevano la loro
rappresentanza in due uomini dell'ufficio politico del
Partito Comunista Jugoslavo, l'uno croato, l'altro non
ricordo, comunque due personalita' importanti. C'erano
poi alcuni membri dell'Armata Jugoslava, ad esempio
Jovanovic, che erano pro-Cominform, cioe' pro-Stalin e
pro Unione Sovietica, e li' ci fu una lotta asprissima
all'interno del Partito Comunista Jugoslavo.

[Tra gli episodi piu' noti di questa lotta ricordiamo
la creazione del campo di prigionia dell'Isola Calva
(Goli Otok), nel quale furono rinchiusi migliaia di
comunisti, anche italiani, e sospette spie]

VJ: Ma la risoluzione del Cominform a parer vostro
che motivazioni poteva avere? C'era una diversa
impostazione rispetto alle questioni strategiche, in
particolare quelle relative all'area balcanica, che
determino' la rottura fra Tito e Stalin?
Kardelj, in un suo libro, spiego' in seguito che il
contrasto esisteva gia' in qualche maniera dai
tempi della II Guerra Mondiale, perche' Stalin
chiedeva a Tito ed alla Resistenza jugoslava di
cedere rispetto ad alcune questioni, per
tranquillizzare gli alleati angloamericani. Questi
ultimi, soprattutto Churchill, insistevano perche'
i monarchici e Mihajlovic, con il suo movimento dei
"cetnici", fossero poi parte integrante nel processo
di ricostruzione dello Stato jugoslavo; viceversa
i partigiani e Tito in testa, coscienti della loro
propria forza e della possibilita' reale di costruire
una Jugoslavia assolutamente indipendente e socialista,
rifiutarono la collaborazione.

FF: Diciamo che c'era ancora di piu': Mosca, cioe' il
governo russo, era stato il primo governo a riconoscere
la vecchia Jugoslavia, la Jugoslavia del Re, tant'e'
vero che l'Ambasciata a Mosca [durante la guerra] era
l'Ambasciata del Regno di Jugoslavia, non era una
rappresentanza del movimento partigiano - e questo fu
il primo punto. Poi venne costituito un governo
Tito-Subasic: Subasic era il rappresentante del governo
in esilio a Londra, monarchico. Questo governo venne
costituito, ma poi non resse, perche' venne fuori tutta
una serie di collaborazioni, addirittura di tradimenti,
da parte di Mihajlovic in particolare, che [nella fase
finale del conflitto] non solo non aveva combattuto
contro i tedeschi, ma aveva combattuto contro i
partigiani jugoslavi.

VJ: Eppure questi problemi nel 1948 dovevano essere
stati superati. Quale fu allora la dinamica della
rottura violenta?

AA: Probabilmente le origini sono da collocare a
Yalta, nella spartizione che fu fatta a Yalta fra i
quattro "grandi". In pratica, all'Unione Sovietica
in quella occasione fu attribuita una sua area di
predominio, e in questa era compresa anche la
Jugoslavia, quindi l'URSS dettava le condizioni ai
paesi che facevano parte di questa alleanza, facendo
soprattutto attenzione di attenersi a quanto deciso
a Yalta, per non pestare i piedi...
La Grecia, per esempio, dove c'era un forte movimento
partigiano, che era capeggiato da Marcos - ricordo
le due formazioni greche, le Am e le Ras (?), molto
potenti, che avevano contribuito in maniera decisiva
alla Liberazione della Grecia dai tedeschi e dai
fascisti - furono sconfessate da Mosca, e trovarono
invece l'appoggio della Jugoslavia, e solo dalla
Jugoslavia! Marcos fu addirittura prelevato, portato
a Mosca - poi non se ne e' piu' parlato. Al suo posto
arrivo' Zachariades (?), che praticamente liquido' il
movimento di resistenza... Loro, queste due grosse
formazioni, si ritirarono sul monte Gramos (?), decise
a continuare la Resistenza, ma furono liquidate poi da
questo intervento dell'Unione Sovietica, in un territorio
fuori dalla sua sovranita', nel quale un movimento
comunista poteva creare qualche problema e mettere in
discussione quello che era stato gia' "spartito" a Yalta.
La Jugoslavia rientrava in questa spartizione. La
Jugoslavia non ha accettato, in pratica, di diventare
un paese satellite, soprattutto come lo erano la Bulgaria,
la Romania, l'Ungheria... ma perche'? Perche' la
Jugoslavia aveva avuto un movimento di resistenza talmente
forte, talmente grande, talmente sentito - tanto da
arrivare fino a Trieste! - che non accettava passivamente
questa posizione subordinata, subalterna all'Unione
Sovietica.

VJ: E la questione della "Federazione Balcanica"? E'
vero che c'era un progetto di Tito di includere in una
grande federazione anche l'Albania, e la Bulgaria?

FF: A dire il vero in un primo momento Stalin incito'
Tito ad occupare l'Albania, per farne la settima
repubblica della federazione jugoslava. Questo all'inizio;
in un secondo tempo, quando i russi si accorsero che
questo progetto stava andando avanti - specialmente
grazie alla partecipazione di Dimitroff [il leader
comunista bulgaro], che era d'accordo a creare questa
federazione balcanica, allora Stalin intervenne brutalmente
dicendo: voi non potete dire ne' fare niente, chi puo'
decidere e fare sono soltanto io. E quindi azzero'
qualsiasi progetto di federazione balcanica. Ma i motivi
furono certamente tanti: ad esempio quello della
colonizzazione della Jugoslavia... L'Unione Sovietica
aveva predisposto una serie di interventi di militari,
di ufficiali, e di tecnici o di specialisti, e
praticamente questi funzionari e questi militari presenti
all'interno della Jugoslavia ne erano a tutti gli effetti
i padroni. Ad un certo momento, Tito ed il partito
comunista jugoslavo dissero: basta, fuori, andatevene
via. Ebbe questo coraggio, e Stalin li minaccio': se
io muovo un dito, dopo un momento la Jugoslavia non
esiste piu'. Malgrado la minaccia, Tito ebbe coraggio e,
come a poker, disse: vediamo, vediamo queste carte... E
Stalin non si mosse.

AA: ...Stavolta invece la minaccia di distruzione e'
arrivata da Clinton, e finche' ha potuto la Jugoslavia
ha resistito.

FF: Clinton e' stato peggio di Stalin... Ma Clinton e'
una figura nemmeno paragonabile a Stalin, come statura
politica...
In fondo, minacce contro la Jugoslavia sono arrivate
da tre parti: due sono riuscite solo parzialmente e
una non e' riuscita per niente. Prima la minaccia di
Hitler, con l'attacco aereo su Belgrado [6 aprile 1941],
con circa 7000 morti in un solo bombardamento con gli
Stukas, e poi con l'occupazione; poi Stalin con queste
minacce; e poi Clinton con il suo gruppo, che va dalla
Albright fino a D'Alema. D'Alema ha grande responsabilita',
perche' ha dato le basi, ha dato l'appoggio dell'Italia,
ha fornito tutta la sponda logistica dell'attacco
terroristico contro la Jugoslavia. Senza l'Italia non
si sarebbe potuto fare questo attacco, ne' da Londra,
ne' da Parigi, basta guardare la carta geografica.
Questa e' la realta', e questo e' quello che ci brucia
dentro...


[Intervista, trascrizione e note a cura della redazione
di "Voce Jugoslava" su Radio Citta' Aperta -
http://www.radiocittaperta.it]