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Subject: Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il "merito"
della guerra!
Date: Sun, 10 Jun 2001 18:01:12 +0200
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COMUNICATO STAMPA - ASSOCIAZIONE PEACELINK - TELEMATICA PER LA PACE

Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il "merito" della guerra!

In un articolo apparso sul Corriere della Sera del 7 giugno 2001 l'ex
Ministro della Difesa Carlo Scognamiglio ha sostenuto che la nascita del
governo D'Alema e' stata in buona sostanza un "parto pilotato" per
creare
un governo politico in grado di affrontare l'imminente emergenza
militare
dei Balcani. Scognamiglio ha affermato testualmente che, dopo la caduta
del
governo Prodi, "n� il Presidente Scalfaro, n� l'on. D'Alema, avevano
altra
scelta se non tentare di formare un governo politico, (...) un governo
che
garantisse alle Forze Armate italiane la possibilit� di assolvere con
dignit� i propri compiti nell'Alleanza di fronte alla imminenza di un
conflitto che di necessit� avrebbe visto l'Italia nel ruolo di
protagonista".

Il 9 giugno L'Onorevole Romano Prodi si e' affrettato a replicare alle
affermazioni di Scognamiglio, e sempre dalle pagine del Corriere della
Sera
ha sostenuto che "ancorch� dimissionario, fu il mio governo ad assumersi
la
responsabilit� di decidere a favore dell?Activation Order. E fui io
stesso,
come Presidente del Consiglio, a firmare il relativo provvedimento".

Per dovere di correttezza e di completezza dell'informazione invitiamo
gli
organi di stampa a riportare l'esatto contenuto delle disposizioni
impartite dal Governo presieduto da Romano Prodi nei giorni precedenti
al
suo scioglimento.

I dati che stiamo per citare sono liberamente consultabili all'indirizzo
http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm

Dalla consultazione di questi dati emerge quanto segue:

1) Il governo Prodi, pur avendo aderito all' "Activation Order" della
Nato,
avevano esplicitamente limitato l'azione delle Forze Armate al
territorio
nazionale, ne' avevano autorizzato i bombardamenti che sono stati
successivamente effettuati ANCHE DA AEREI DELL'AVIAZIONE ITALIANA, come
risulta da numerose fonti dirette.

2) Il governo Prodi ha unicamente autorizzato attivita' di "DIFESA
INTEGRATA" del territorio nazionale, e non azioni militari al di fuori
dei
confini della repubblica, affermando esplicitamente che "Nell'attuale
situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate italiane sar�
LIMITATO ALLE ATTIVITA' DI DIFESA INTEGRATA di difesa integrata del
territorio nazionale." Con il termine "difesa integrata" si indicano
tutte
quelle azioni di supporto e di facilitazione delle operazioni militari
condotte dalle forze Nato nel territorio nazionale, e non certo i
bombardamenti autorizzati in seguito dal governo D'Alema. In questa
circostanza il governo Prodi, parlando dell'"attuale situazione
costituzionale", ha dimostrato di essere ben consapevole dei vincoli
imposti dall'articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra
come strumento di offesa alla libert� degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali".

3) Il governo Prodi ha riconosciuto al Parlamento la facolta' di
deliberare
l'azione militare, affermando in un comunicato che, per tutte le
attivita'
che esulano dalla Difesa Integrata, "Ogni eventuale ulteriore impiego
delle
Forze Armate dovr� essere autorizzato dal Parlamento". Il governo
D'Alema,
d'altro canto, non ha riconosciuto al Parlamento la prerogativa di
essere
l'unica autorita' in grado di deliberare lo stato di guerra, e ha deciso
unilateralmente di dare il via all'azione militare. Il dibattito
parlamentare sull'opportunita' e le modalita' di questa azione militare
e'
avvenuto quando i bombardamenti e i conseguenti "effetti collaterali"
erano
gia' in atto da diverso tempo.

Riteniamo pertanto che l'azione del governo Prodi, ancorche' discutibile
dal punto di vista politico, sia comunque rimasta all'interno dei limiti
imposti dal dettato costituzionale, limiti abbondantemente superati
dalle
successive disposizioni impartite dal governo D'Alema.

Invitiamo i mezzi di informazione a documentare nel modo piu' completo
possibile gli avvenimenti politici che hanno preceduto l'azione militare
della primavera del 1999, consultando anche e soprattutto gli atti
parlamentari e non solamente le "lettere al direttore" con cui ognuno
espone la sua parziale versione dei fatti.

Contemporaneamente esortiamo tutti i rappresentanti politici che hanno
preso parte a vario titolo al governo D'Alema ad assumersi le loro
responsabilita' di fronte alla storia, di fronte alla loro coscienza, e
di
fronte alle vittime civili dell'azione militare contro la Repubblica
Federale di Yugoslavia.

Carlo Gubitosa
Segretario Associazione Peacelink
Volontariato dell'informazione
www.peacelink.it
info@...

ALLEGATO:

I comunicati relativi alla questione del Kossovo emanati dal Governo
Prodi
nei giorni immediatamente precedenti al suo scioglimento.

Fonte: http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm

Comunicato n. 157 del 12 ottobre 1998 (Governo Prodi)

In apertura di seduta il Consiglio ha auspicato che la trattativa in
corso
a Belgrado e a Pristina abbia esito positivo in modo da garantire
completa
attuazione della delibera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
a
protezione dei cittadini del Kosovo. Udite poi le relazioni del Ministro
degli Affari Esteri, Lamberto Dini e del Ministro della Difesa Beniamino
Andreatta ha unanimemente ritenuto di autorizzare il Rappresentante
permanente d'Italia presso la Nato ad aderire al cosiddetto Ordine di
Attivazione (Act Ord). Questa decisione si colloca nel quadro delle
delibere adottate in ambito Onu. Di conseguenza l'Italia metter� a
disposizione le proprie basi qualora dovesse risultare necessario
l'intervento militare da parte dell'Alleanza Atlantica per fronteggiare
la
crisi nel Kosovo. Il Governo ribadisce che l'obiettivo della Nato e
dell'Italia � quello di contribuire ad una soluzione durevole per
consentire di fronteggiare l'imminenza di una catastrofe umanitaria che
minaccia la sopravvivenza di circa 300.000 rifugiati in un'area cos�
vicina
al nostro Paese. Nell'attuale situazione costituzionale il contributo
delle
Forze Armate italiane sar� limitato alle attivit� di difesa integrata
del
territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze
Armate
dovr� essere autorizzato dal Parlamento.

Comunicato n. 158 del 16 ottobre 1998 (Governo Prodi)

Il Ministro degli Affari Esteri, Dini, ha svolto una relazione sulle
tematiche di politica internazionale, illustrando in particolare gli
svilupppi della crisi in Kosovo, anche alla luce della riunione
ministeriale di ieri a Parigi del Gruppo di Contatto. Il Ministro Dini
ha
espresso soddisfazione per gli accordi raggiunti a Belgrado nel quadro
del
processo negoziale condotto dall'Ambasciatore Holbrooke, con l'appoggio
del
Gruppo di Contatto, in particolare per l'intesa sulla missione di
verifica
dell'Osce che verr� firmata oggi e per quella sulla sorveglianza aerea
da
parte della nato gi� firmata ieri a Belgrado. Tali accordi sono il
frutto
del coordinamento fra la pressione diplomatica e quella militare e della
coesione dimostrata dai Paesi membri del Gruppo di Contatto e
dell'Alleanza
Atlantica. Essi devono tradursi al piu' presto in una nuova Risoluzione
del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che conferisca loro
definitiva
autorit�. In merito alla missione di verifica dell'Osce in Kosovo, cui
l'Italia contribuir� in maniera significativa al pari degli altri Paesi
europei del Gruppo di Contatto, Dini ha indicato che essa dovr� essere
dispiegata sul terrenol nei tempi piu' rapidi possibili, per monitorare
il
ritiro delle forze speciali dalla regione, consentire alle
organizzazioni
umanitarie di tornare nella regione e facilitare gli interventi a favore
dei profughi. In tale contesto, ha ricordato che la Cooperazione
italiana
ha gi� inviato una missione a Belgrado e a Pristina per valutare la
possibilit� di creare in tempi brevi un sistema di centri di accoglienza
per gli sfollati. Il Ministro ha infine ribadito che occorre portare
avanti
l'azione di pressione sulle parti in causa per l'avvio di negoziati seri
e
costruttivi sul futuro Statuto di autonomia che consenta l'autogoverno
della regione, sulla base della piattaforma presentata dall'Ambasciatore
Hill, col sostegno del Gruppo di Contatto.

------------

Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema (Ds)
Vice Presidente: Sergio Mattarella (Ppi)
Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds)
Bilancio e Tesoro: Carlo Azeglio Ciampi
Finanze: Vincenzo Visco (Ds)
Industria: Pier Luigi Bersani (Ds)
Esteri: Lamberto Dini (Ri)
Giustizia: Oliviero Diliberto (Pdci)
Interno: Rosa Russo Jervolino (Ppi)
Commercio estero: Piero Fassino (Ds)
Riforme costituzionali: Giuliano Amato
Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds)
Sanit�: Rosy Bindi (Ppi)
Ambiente: Edo Ronchi (Verdi)
Funzione Pubblica: Angelo Piazza (Sdi)
Comunicazioni: Salvatore Cardinale (Udr)
Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer (Ds)
Ricerca Scientifica e Universit�: Ortensio Zecchino (Ppi)
Trasporti: Tiziano Treu (Ri)
Difesa: Carlo Scognamiglio (Udr)
Lavori Pubblici: Enrico Micheli (Ppi)
Lavoro e Mezzogiorno: Antonio Bassolino (Ds)
Pari opportunit�: Laura Balbo
Solidariet� sociale: Livia Turco (Ds)
Politiche agricole: Paolo De Castro (Ulivo)
Rapporti parlamento: Guido Folloni (Udr)
Politiche comunitarie: Enrico Letta (Ppi)
Affari regionali: Katia Belillo (Pdci)
(21 ottobre 1998)

-------------

P R O C E S S I A M O L I !!

Il 31 luglio 1999 hanno avuto inizio a New York le attivita' del
"TRIBUNALE INTERNAZIONALE INDIPENDENTE CONTRO I
CRIMINI DELLA NATO IN JUGOSLAVIA", promosso da Ramsey
Clark, con la stesura di 19 punti di accusa contro la NATO ed i
governi occidentali.

Le attivita' del "Tribunale" hanno trovato seguito in molti altri paesi
del mondo. In Italia il primo novembre 1999 alla presenza di
Ramsey Clark ha preso il via la sezione italiana del Tribunale. Nel
corso di questi mesi, confortati dal crescente interesse suscitato e
dalle numerose iniziative di presentazione del "Tribunale Italiano" in
molte citta', abbiamo potuto verificare con dati oggettivi la
veridicita' delle nostre accuse.

A completamento del lavoro svolto in questi mesi, noi sottoscritti
firmatari di questo appello accusiamo le massime autorit� della
Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente
del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo
per la partecipazione alla guerra illegale e il Presidente della
Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per non aver difeso la Costituzione
- nonch� i loro successori per quanto attiene ai crimini in
continuit� con l'aggressione armata, ciascuno secondo la personale
responsabilit� scaturente dalle diverse competenze, azioni e
omissioni:

- per avere collaborato attivamente all'aggressione contro la
Repubblica Federale Jugoslava, paese sovrano da cui non era
venuta nessuna minaccia n� all'Italia n� ai suoi alleati;

- per aver liquidato e vanificato con l'aggressione militare le
iniziative internazionali tendenti a favorire la soluzione con mezzi
pacifici dei problemi esistenti nel Kosovo;

- per avere violato tutti i principi del diritto internazionale e in
particolare la Carta delle Nazioni Unite, i principi del Tribunale di
Norimberga, le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi sulla
tutela delle popolazioni civili, nonch� lo stesso trattato istitutivo
della NATO;

- per aver consentito che dal proprio territorio partissero attacchi
contro istallazioni e popolazioni civili, condotti su obiettivi e con
armi appositamente studiate per infliggere il massimo danno,
anche protratto nel tempo, alle persone e alle loro condizioni di vita
(attacchi deliberati contro strutture civili, bombe a grappolo);

- per aver consentito l'utilizzo massiccio di proiettili e missili
all'uranio impoverito, causando danni incalcolabili e per un tempo
indeterminato alle popolazioni della Federazione Jugoslava, con
enormi rischi attuali anche per i volontari civili e per i militari
italiani impegnati nel Kosovo.

- per aver partecipato al bombardamento di impianti chimici e
farmaceutici, causando deliberatamente danni ambientali di
enorme rilevanza, tali da configurare una vera e propria guerra
batteriologica, chimica e nucleare;

- per aver danneggiato l'economia della Costa Adriatica con la
chiusura degli aeroporti civili e per aver consentito e cercato di
occultare lo smaltimento di ordigni bellici nelle acque territoriali
italiane e in quelle immediatamente adiacenti, causando danni alle
persone, all'ambiente, all'economia;

- per aver violato la Costituzione italiana e ignorato le procedure
che essa impone in caso di stato di guerra, guerra che non pu� mai
essere intrapresa dall'Italia ma solo combattuta per difendere
dall'aggressione altrui il nostro paese e i paesi di cui l'Italia sia
impegnata a condividere la difesa;

- per avere attivamente collaborato ad affamare e sacrificare la
popolazione della Jugoslavia, sia nel corso della guerra sia con
l'imposizione di misure di embargo internazionalmente illegittime;

- per avere attivamente collaborato a esercitare pressioni e ingerenze
contro un paese sovrano e le sue legittime istituzioni;

- per avere inviato truppe e personale civile a governare territori
ridotti di fatto a nuovi protettorati e colonie, senza peraltro impedire
nel Kosovo la persecuzione sistematica e l'espulsione della popolazione
di etnia serba e di altre etnie non albanesi, nonch� degli stessi
abitanti di etnia albanese considerati non affidabili o dissidenti dal
nuovo potere di fatto ivi insediato in violazione della risoluzione
1244 dell'ONU;

- per aver usato la Missione Arcobaleno come operazione di promozione e
legittimazione della guerra, e per avere allo stesso fine attivato o
favorito una disinformazione e propaganda di guerra;

- per avere rinunciato all'esercizio della sovranit� del nostro paese e
al diritto-dovere di controllo delle attivit� che vi svolgono comandi,
strutture e mezzi militari stranieri;

- per avere acconsentito a modificare, senza nessuna decisione del
Parlamento, lo "status" politico e giuridico della NATO.

(sezione italiana del Tribunale Indipendente contro i crimini della
NATO, giugno 2000)

-----------------

Dal "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999

sopratitolo: A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre
i numeri dell'operazione "Alled Force"

titolo: Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo

sottotitolo: Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12
velivoli, per 418 ore di volo

"...L'altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri della
cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la resa di
Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI Stormo e alle
loro
famiglie (cui e' andato il sincero ringraziamento del comandante...) ma
anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al vicequestore e al
comandante provinciale dei Carabinieri.
Il colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione
centrale
in una zona perennemente in crisi (....), "l'Italia e' considerata una
sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel corso dell'Allied
Force, l'85% delle missioni h decollato dalle nostre basi". (...)
naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo hanno fatto la loro
parte.
Anzi hanno fatto molto.
"L'impegno operativo del VI Stormo - ha detto Latorre - s'e'
concretizzato
in missioni di ricognizione )2 sortite per due giorni la settimana) e in
missioni d'attacco effettuate in un primo periodo da Ghedi, poi da una
cellula schierata a Gioia del Colle ( 6/8 sortite giornaliere per 6
giorni la settimana". (...) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85 uomini,
12
velivoli e 12 laser pod. Il rischieramento ha consentito di effettuare
418
ore di volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di ricognizione e 166 di
attacchi veri e propri, sferrati contro obiettivi selezionati di tipo
prettamente militare: depositi di munizioni, caseme, aeroporti. V'e'
inoltre da specificare che, per gli attacchi, sono state utilizzate
bombe a puntamento laser e a caduta libera.
Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente avvenivano le
missioni. Dopo la preparazione alla base, "i nostri aerei decollavano da
Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in volo sull'Adriatico, si
mettevano in "zona d'attesa" su cieli non ostili, tipo la Macedonia e
l'Albania: l'attesa dipendeva dal fatto che si viaggiava in pacchetti di
aerei e che ogni pacchetto aveva tempi precisi per entrare in azione.
Poi, quand'era il nostro turno, si andava sull'obiettivo, quindi,
seguendo
rotte prestabilite, si tornava. Anche grazie alla preparazione dei
nostri
equipaggi, tutto ha funzionato a meraviglia, tant'e' vero che, nel 100%
delle operazioni, uomini e mezzi sono rientrati alla base" (....)

---

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(6/6/1 - continua)

> http://www.citinv.it/iniziative/info/ratlines.html


Gli ustascia

Ante Pavelic

Detto "il poglavnik" (il duce). Durante la guerra fu leader
dello "Stato Croato Indipendente" ustascia, nel quale mezzo
milione di serbi, ebrei e zingari furono trucidati per suo
ordine personale (80). Dopo la guerra si impegn� nella
costituzione del movimento dei krizari, prima di fuggire in
Sudamerica.

Su Ante Pavelic si confronti anche La politica dei papi nel
XX secolo:
``Nato nel 1889 in Erzegovina, laureatosi in legge nel
1915'', avvocato a Zagabria successivamente. ``Il 7
gennaio 1929, un giorno dopo la proclamazione della
dittatura regia di Alessandro I, Pavelic [...] ed altri
ustascia fondarono la lega per la lotta
nazionalrivoluzionaria. [...] Ogni membro doveva giurare
ubbidienza attraverso un pronunciamento al cospetto di
Dio onnipotente e di tutto ci� che � sacro.''
(Si veda anche la descrizione del giuramento fatta da
padre Cecelja.)
``Il loro precursore spirituale, il politico e pubblicista
Ante Starcevic, moto nel 1896, capo del Partito della
Destra Croata, sosteneva la tesi che [...] "i Serbi sono
lavoro per il macello", [idea che gli valse il titolo di] Padre
della Patria e maggiore ideologo politico croato.'' ``Ci�
che si preparava [era] una guerra santa, una guerra di
religione, che ammetteva qualunque Terrore ed includeva
"la Bibbia e la Bomba l'una di fianco all'altra come
distintivo e mezzo di lotta".

Neanche ebbe fondato il suo partito di ribelli, che Pavelic
[...] con i suoi compari pi� prossimi si rifugi� a Vienna,
poi in Bulgaria, ed infine il regime fascista italiano gli
assicur� ricovero ed alimenti. Mentre un tribunale serbo
lo condannava gi� a morte in contumacia, Mussolini
metteva a disposizione della famiglia Pavelic una casa a
Bologna, la quale serv� poi per anni come quartier
generale degli ustascia. Con l'aiuto del capo della polizia
segreta Ercole Conti e del Ministro di Polizia Bocchini, il
boss dei congiurati fece poi addestrare in Toscana e sulle
isole Lipari gli emigranti croati ed i seguaci ustascia
transfughi, per gli assassinii a venire. Egli disponeva di
alcune trasmissioni di Radio Bari, pubblicava il giornale
"Ustasa" in lingua croata, teneva contatti con centrali di
propaganda nazional-croata a Vienna, Berlino, negli USA
ed in Argentina, e rendeva noti i suoi piani gloriosi al
mondo di volta in volta, attraverso l'esplosione di bombe
sui treni Vienna-Belgrado, con un pi� rilevante tentativo
-subito sedato- di rivolta nelle montagne del Velebit
(1932), e con una serie di attentati particolari.

Tra le prime azioni degne di nota ci furono l'eliminazione
del direttore del foglio filojugoslavo zagrebino "Jedinstvo"
(l'Unit�), Ristovic, freddato nell'agosto 1928 in pieno
giorno in un caff� di Zagabria, e l'assassinio del redattore
capo del giornale di Zagabria "Novosti", Slegl, il 22 marzo
1929. Pavelic lasci� che la polizia rinchiudesse il suo pi�
stretto collaboratore, Gustav Percec, in una prigione di
Arezzo, e l� gli spar� di propria mano, dopo un
interrogatorio con sevizie.

Ma la sua vittima certo pi� eminente fu il Re di
Jugoslavia Alessandro. Un primo attentato al regnante,
uomo gradito in effetti a tanti croati, fu sventato
nell'autunno 1933 a Zagabria dal servizio segreto
jugoslavo. Tuttavia, quando un anno pi� tardi il monarca
giunse a Marsiglia dagli alleati francesi, il 9 ottobre 1934,
fu assassinato mentre era ancora nella zona del porto,
assieme al Ministro degli Esteri francese Louis Barthou,
da un emissario di Pavelic -subito sottoposto a linciaggio
dalla folla. Di nuovo Pavelic fu condannato a morte in
contumacia da Francia e Jugoslavia -ed era la seconda
volta. Ebbene, i fascisti italiani, dopo una custodia
preventiva, gli assegnarono una nuova residenza a Siena
ed una pensione di stato di 5.000 lire al mese.''

In Ratlines troviamo che oltre agli italiani, ``prima della
guerra [anche] i servizi segreti britannici mantennero
stretti rapporti con la sua rete terroristica clandestina,
anche dopo l'assassinio [...] del Re jugoslavo'' (80-81).


Continuiamo a leggere su La Politica dei papi nel XX
secolo:
``Uno scritto autografo, redatto da Pavelic nel 1936 e
riguardante la causa croata, giunse al Ministero degli
Esteri [tedesco] solo nell'aprile 1941, mentre erano in
atto i preparativi della campagna di Jugoslavia. Il
documento di 30 pagine [...] celebra Hitler come
"maggiore e miglior figlio della Germania", loda la
Germania hitleriana quale "potentissima combattente per
il diritto vitale, la vera cultura e la pi� alta civilt�". [...] Il
6 aprile 1941, mentre Belgrado sottoposta al terrore
incessante delle bombe tedesche cominciava a bruciare e
la Dodicesima Armata del Feldmaresciallo Generale List
attaccava il sud della Serbia dalla Bulgaria, Pavelic
incitava le truppe croate per mezzo di un'emittente
clandestina, acch� puntassero le armi contro i serbi.
"D'ora in poi combatteremo fianco a fianco con i nostri
nuovi alleati, i Tedeschi e gli Italiani". [...] La Wehrmacht
di Hitler era salutata in Slovenia e in Croazia
amichevolmente ed anche con entusiasmo.

Il 10 aprile, [...] mentre i tedeschi occupavano Zagabria,
capitale del vecchio Banato, avveniva la proclamazione
della "Croazia Indipendente", sempre in assenza di
Pavelic: [...] "Dio � con i Croati! Pronti per la Patria!".
[La proclamazione era stata] firmata dall'ex-[...]
colonnello Slavko Kvaternik, rappresentante del poglavnik
e Comandante Supremo delle Forze Armate [...].

Il poglavnik fece tenere ancora una parata alla sua truppa
di circa 300 uomini, lo stesso 10 aprile a Pistoia; la sera
fu convocato a Roma da Mussolini; l'11 aprile assicur� a
Hitler gratitudine e sottomissione con un telegramma;
durante la notte del 13 oltrepass� il confine jugoslavo
presso Fiume, giunse a Zagabria nella notte del 15, ed il
17 nomin� il suo primo Gabinetto. Era adesso Capo dello
Stato, del Governo e del Partito, nonch� Comandante in
Capo delle truppe, e governava da dittatore -certo con
sudditanza rispetto ai suoi grandi alleati, dai cui regimi
copi� ampiamente- alla testa di 3 milioni di Croati
cattolici, 2 milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione di
Musulmani bosniaci e parecchi altri gruppi etnici minori,
tra i quali 40.000 Ebrei.

Il 18 aprile l'esercito jugoslavo capitolava senza
condizioni. La Serbia fu sottoposta all'occupazione
militare tedesca, e quasi due quinti del Regno di
Jugoslavia andarono a formare lo Stato Indipendente di
Croazia, che si componeva del nucleo di Croazia e
Slavonia insieme alla Sirmia, a tutta la Bosnia (fino alla
Drina) e all'Erzegovina, con una parte del litorale
dalmatino; in tutto quasi 102.000 km quadrati.

Per� nel maggio seguente Pavelic regal� in tutti i modi
quasi la met� della Jugoslavia ai paesi limitrofi: nel Nord
ai Tedeschi, per cui i confini del Reich arrivavano a soli
20 km da Zagabria, nel Nordest all'Ungheria, nel sud alla
Bulgaria e all'Albania, ed infine il Sudovest, l'Ovest (dove
la popolazione croata era la stragrande maggioranza) ed il
Nordovest all'Italia. Qui giunse Pavelic il 7 maggio con
ministri e membri del clero, tra i quali il vicario generale
dell'arcivescovo Stepin�c, vescovo di Salis-Sewis, ed
offr� al Re Vittorio Emanuele III la cosiddetta corona di
Zvonimiro (ultimo re indipendente della Croazia nell'XI
secolo), destinata al meno significativo Conte Aimone di
Spoleto, il quale in effetti non venne mai incoronato, non
apparve mai nel suo regno, e tuttavia parl� in Vaticano
gi� il 17 maggio quale re designato della Croazia (con
l'appellativo di Tomislao II).

E l�, in Vaticano, il giorno seguente si present� il
poglavnik, colui il quale era stato ripetutamente
condannato a morte a causa di svariati omicidi,
accompagnato da una delegazione numerosa -Pavelic
"circondato dai suoi banditi", annotava lo stesso Ministro
degli Esteri Ciano nel suo diario solo poche settimane
prima. Le concessioni territoriali del poglavnik all'Italia,
che laggi� conduceva con brutalit� la sua politica del
"mare nostro", causarono sconforto in tutta la Croazia,
come rifer� il 21 maggio il generale Glaise von Horstenau.
"Dovunque si vada si ascoltano minacce contro gli
Italiani". Eppure la stampa cattolica del paese era molto
commossa per l'attenzione e la cordialit� di papa Pio XII,
che salut� Pavelic ed i suoi gangsters durante un'udienza
privata particolarmente festosa -un grande ricevimento-
e si accomiat� da loro in modo amichevole, con i migliori
auguri di buon proseguimento.''


Anche Ratlines si sofferma sui rapporti fra il poglavnik e
la Chiesa:
``Le atrocit� erano gi� in corso nel momento stesso in cui
Pio XII ricevette il poglavnik in un'udienza privata alla
fine di aprile 1941'' (80). ``Pio XII e i suoi consiglieri
pi� anziani nutrivano opinioni estremamente benevole
nei confronti del suo cattolicesimo militante. Durante la
guerra Pavelic aveva convertito con la forza decine di
migliaia di ortodossi serbi sotto la minaccia della pena
capitale'' (80). In virt� di ci� ``agli occhi del Vaticano
Pavelic rappresentava un militante cattolico, un uomo che
ha peccato, ma che l'ha fatto per lottare a favore del
cattolicesimo'' (92).

Il papa riceveva regolarmente gli emissari di Pavelic, ai
quali forniva ogni volta ``delle assicurazioni relative al
fatto che il Santo Padre avrebbe aiutato la Croazia
cattolica'' (82-83). A Branko Bokun, giovane jugoslavo
che tent� di segnalare alle autorit� vaticane i misfatti del
regime croato, non fu invece accordata l'udienza
richiesta. ``Bokun era stato mandato a Roma da uno dei
capi dei servizi segreti jugoslavi a chiedere l'intervento
del Vaticano per fermare il massacro in Croazia. [Egli era]
armato di un voluminoso fascio di documenti, di resoconti
e di testimoni oculari, e persino di fotografie dei
massacri. [...] Voleva consegnare il suo incartamento a
monsignor Giovanni Montini, sottosegretario di Stato per
gli Affari Correnti, ma non riusc� a ottenere udienza''
(81-82). ``A Bokun venne semplicemente detto che le
atrocit� descritte nell'incartamento erano opera dei
comunisti, ma che erano state attribuite in mala fede ai
cattolici'' (82).

``Allo stato di Pavelic fu negato il riconoscimento
ufficiale da parte del Vaticano'' (82), ma ``quando
Pavelic chiese un'altra udienza con il Santo Padre nel
maggio del 1943, il Segretario di Stato Maglione gli
assicur� che non c'erano difficolt� connesse con la visita
del poglavnik al Santo Padre, se non per il fatto che non lo
si sarebbe potuto ricevere come un Capo di Stato. Lo
stesso Pio XII promise di dare nuovamente a Pavelic la
sua benedizione personale, [malgrado il fatto che] in quel
periodo la Santa Sede possedesse gi� abbondanti prove
delle atrocit� commesse dal suo regime'' (82).

Pavelic amava vantarsi dei suoi crimini, e si dice che
esibiva sul suo tavolo una grossa coppa contenente
``circa venti chili di occhi di serbi inviatigli dai suoi
fedeli ustascia'' (83).


Al termine della guerra Pavelic scomparve (83). ``Mentre
i suoi uomini combattevano ancora, il poglavnik era
scappato con il suo seguito di comprimari, tra cui circa
500 padri cattolici, a capo dei quali erano il vescovo di
Banja Luka, Jozo Gavic, e l'arcivescovo di Sarajevo, Ivan
Saric (morto poi a Madrid nel 1960). Fu accolto nel
convento di San Gilgen, presso Salisburgo, insieme a
quintali d'oro rubato'' (da La politica dei papi). Nel
maggio 1945, Pavelic fu arrestato dagli agenti del SIS
(133). Pi� che di un arresto, bisogna parlare per� di una
protezione. Infatti fu proprio il SIS ad aiutarlo a fuggire
(129), nascondendolo ``a Klagenfurt, dove possedeva un
appartamento e una villa'' (86). Il vescovo di Klagenfurt
era un membro dell'Intermarium (136). Klagenfurt si
trovava nella zona occupata dagli inglesi.

``Nel luglio del 1945 l'ambasciatore jugoslavo a Londra
disse agli inglesi che Pavelic [...] era stato fatto
prigioniero a Celovac (Klagenfurt) da truppe inglesi. Il
Foreign Office si mostr� inflessibile nel sostenere che
Pavelic non era mai stato in mano loro'' (83). Anche i
``serbi cetnici sostenevano che Pavelic era travestito da
monaco in un monastero a Klagenfurt'' (84).

Londra negava, ma secondo rapporti statunitensi del 1947
gli ``alleati inglesi avevano sempre mentito. [...] Il
servizio segreto jugoslavo aveva sempre avuto ragione.
Secondo fonti attendibili, Pavelic era davvero riuscito a
superare la frontiera austriaca e a raggiungere i confini
inglesi, dove venne protetto dagli inglesi, nei settori
sorvegliati e requisiti dagli inglesi, per un periodo di due
settimane, [...] rest� nella zona di occupazione inglese per
almeno due o tre mesi, rimanendo in contatto con il SIS''
(86).

``Nell'aprile del 1946, Pavelic lasci� l'Austria e giunse a
Roma, accompagnato soltanto da un tenente di nome
Dochsen. Entrambi gli uomini erano vestiti da preti della
Chiesa cattolica romana. Trovarono rifugio in un collegio
situato in via Gioacchino Belli 3. Il compagno di viaggio
di Pavelic era, in realt�, Dragutin Dosen, un ex-alto
ufficiale della guardia del corpo del poglavnik'' (86).
``Subito dopo essere arrivato [...] a Roma, il poglavnik [...]
aveva trovato rifugio presso Castelgandolfo, residenza
estiva del papa'', dove aveva spesso l'occasione di
incontrarsi in segreto con monsignor Montini'' (87).
``Sembra che molti nazisti gravitassero intorno a
Castelgandolfo, [e] che Pavelic alloggiasse con un
ex-ministro del governo nazista rumeno'' (87).

``Pavelic aveva ottenuto un passaporto spagnolo sotto il
nome di Don Pedro Gonner, in previsione della sua fuga
definitiva, probabilmente alla volta della Spagna o del
Sudamerica'' (87). ``I gesuiti furono tra gli ecclesiastici
che maggiormente l'aiutarono e appoggiarono i suoi piani
per lasciare l'Italia organizzando il suo viaggio verso la
Spagna sotto il falso nome di padre Gomez'' (89).
``Tuttavia, verso la met� del 1946 Pavelic temette di
trovarsi troppo strettamente sotto controllo e [...] ritorn�
in Austria'' (87), e ritorn� nuovamente a Roma alla fine
dell'anno.

Sin dal momento in cui era fuggito, il poglavnik era
rimasto in stretto contatto con padre Draganovic,
segretario della Confraternita di San Girolamo dei Croati
a Roma (88,94), il quale ``sin dal mese di agosto del 1943
[...] si era trovato a Roma a negoziare per Pavelic in
Vaticano'' (98). L'agente segreto del CIC Robert Mudd,
nel febbraio 1947, scrisse il seguente rapporto
sull'istituto di San Girolamo:

``Per poter entrare in questo monastero,
bisogna sottoporsi ad una perquisizione
personale per verificare se si � in
possesso di armi o di documenti, si deve
rispondere a domande sulla propria
provenienza, sulla propria identit�, su chi
si conosce, su quale sia lo scopo della
propria visita e come si sia venuti a
sapere della presenza di croati all'interno
del monastero. Tutte le porte che mettono
in comunicazione stanze diverse sono
chiuse e quelle che non lo sono hanno di
fronte una guardia armata e c'� bisogno di
una parola d'ordine per andare da una
stanza all'altra. Tutta la zona �
sorvegliata da giovani ustascia armati in
abiti civili e ci si scambia continuamente
il saluto ustascia'' (110).

``In un'intervista registrata, Simcic ammise l'esistenza,
all'epoca, di una strettissima sorveglianza all'interno
dell'istituto [...] necessaria a causa della minaccia,
sempre presente, di attacco da parte dei comunisti''
(110).

Il motivo di tante precauzioni era molto semplice. Fra
l'Istituto di San Girolamo e ``quella che si riteneva fosse
una delle biblioteche vaticane, in via Giacomo Venezian
17-C'' si trovavano nel 1947 numerosi ustascia ricercati.
Si trattava del poglavnik Ante Pavelic e di membri del suo
governo (111):

1.Ivan Devcic, tenente colonnello
2.Vjekoslav Vrancic, vice ministro
3.Dragutin Toth, ministro
4.Lovro Susic, ministro
5.Mile Starcevic, ministro
6.Dragutin Rupcic, generale
7.Vilko Pecnikar, generale
8.Josip Markovic, ministro
9.Vladimir Kren, generale

Alcuni di questi assassini risiedevano in Vaticano:
``Gli ustascia che risiedevano in Vaticano facevano la
spola tra i loro alloggi e la Confraternita [andando] avanti
e indietro dal Vaticano varie volte la settimana, a bordo
di un'automobile con autista la cui targa recava le iniziali
CD, Corpo Diplomatico. [...] A causa dell'immunit�
diplomatica, era impossibile fermare l'automobile''
(113).


La realt� � che ``il Vaticano stava nascondendo il
poglavnik, con la connivenza del SIS'' (132). Ovviamente,
``il SIS non aveva aiutato il Vaticano a salvare Ante
Pavelic per malintesi concetti di benevolenza e carit�.
Voleva molto in cambio. Voleva degli agenti per infiltrarsi
nella Jugoslavia comunista, per ottenere informazioni
segrete e per colpire con azioni terroristiche bersagli
strategici e uomini al servizio dei comunisti, soprattutto
gli agenti della temuta polizia segreta'' (129). Fu solo 18
mesi dopo la scomparsa di Pavelic che gli inglesi
ufficialmente "scoprirono" che costui si trovava in
Vaticano. A quel punto scaricarono la responsabilit�
dichiarando che era fuori dalla loro giurisdizione (85).

All'inizio del 1947 Pavelic si trovava ``in un complesso
extraterritoriale cinto da mura [che] si trova in cima al
colle Aventino [e] che secondo l'opinione generale �
crivellato di tunnel sotterranei che uniscono tra loro i
singoli edifici.'' Tale complesso ospita varie
organizzazioni della Chiesa, fra cui il Monastero di Santa
Sabina, nel quale l'agente americano Gowen riteneva a
quei tempi che avesse trovato ospitalit� il poglavnik, e
l'Ordine Militare Sovrano dei Cavalieri di Malta (87-88).
Secondo l'autore de Il Secolo Corto, l'Ordine di Malta
aveva anch'esso una sua rete per la fuga dei criminali di
guerra. Ne faceva parte William J. Casey, che divenne
capo della CIA negli anni ottanta.

Gli ustascia godevano di ottimi contatti con la polizia
italiana (89). Un'altra delle loro basi si trovava in Via
Cavour 210 (88).

In agosto Pavelic ``si nascondeva come ex-generale
ungherese sotto il nome di Giuseppe [...] e viveva in una
propriet� della Chiesa sotto la protezione del Vaticano, a
Via Giacomo Venezian, [...] insieme al famoso terrorista
bulgaro Vancia Mikoiloff (sic) e ad altre due persone.
Nell'edificio vivevano circa altri dodici uomini. Erano
tutti ustascia e costituivano la guardia del corpo di
Pavelic. Quando Pavelic usciva, si serviva di
un'automobile con la targa del Vaticano (SCV)'' (90-91).
``Andava regolarmente in giro a bordo delle auto ufficiali
vaticane che, recando le speciali targhe dei corpi
diplomatici, non potevano essere fermate dalle autorit�
occidentali, neppure quando Pavelic lasciava il territorio
vaticano'' (91).

I servizi segreti inglesi e americani conoscevano i
movimenti di Pavelic ed avevano ricevuto l'ordine di
arrestarlo. Tuttavia, dopo un continuo scarica-barile fra i
due servizi segreti, l'operazione fu ``lasciata morire''
(89-91). ``La posizione degli inglesi era cinica e
disonesta; mentre il SIS proteggeva Pavelic, il Foreign
Office protestava perch� gli Stati Uniti si sforzavano di
sabotare il piano per arrestare il poglavnik'' (89). ``Il
motivo [...] era davvero molto semplice. Gli alti ufficiali
statunitensi stavano formando, all'epoca, la loro rete di
ex-nazisti, e cominciavano a coordinare le proprie
attivit� con quelle del Vaticano e di Londra'' (92).


Alla fine Pavelic ripar� in Argentina: ``salp� dall'Italia il
13 settembre del 1947, viaggiando a bordo del piroscafo
italiano Sestriere sotto il nome di Pablo Aranyos, un
presunto profugo ungherese, e giunse a Buenos Aires il 16
novembre'' (95). ``Pavelic si serv� dei suoi contatti molto
influenti all'interno dei servizi segreti italiani per attuare
il suo piano di fuga'' (96). ``Padre Draganovic [...] forn� il
passaporto della Croce Rossa di cui si serv� Pavelic e
organizz� i dettagli del viaggio in nave'' (95). Sembra
addirittura che Draganovic ``accompagn� personalmente il
criminale di guerra a Buenos Aires, dove rimase con lui
per dodici mesi'' (95). Secondo un'altra versione dei
fatti, tuttavia, la persona che accompagn� l'ex-poglavnik
era ``un altro sacerdote croato, un certo padre Jole, che
era in realt� padre Josip Bujanovic'' (95).

Quando ``riapparve in Argentina, [...] il dittatore Juan
Per�n lo assunse come consulente per la sicurezza'' (95).
``Un certo Daniel Crljen [mandato in Argentina da
Draganovic per trovare una sistemazione a Pavelic] era
giunto in aereo a Buenos Aires, grazie all'assistenza del
Vaticano, per conferire con il generale Per�n a proposito
dell'organizzazione in Argentina di un movimento
ustascia chiamato "�lite". Crljen era uno dei principali
ideologi e propagandisti del movimento, dato che durante
la guerra aveva incitato al massacro dei Serbi. La
missione di Crljen ebbe certamente successo; l'arrivo di
Pavelic serv� solamente a completare il trasferimento in
Argentina di quasi tutto il suo governo. Tra i veterani che
l'attendevano per dargli il benvenuto c'erano quasi tutti i
ministri del gabinetto sopravvissuti, come pure molti
funzionari municipali, capi militari e della polizia. Erano
per la maggior parte criminali di guerra ricercati'' (96).

Per il seguito della storia di Pavelic, leggiamo La Storia
dei Papi del XX secolo:
``Dopo la caduta di Per�n, Pavelic sfugg� nel 1957 ad un
attentato cos� come riusc� a sottrarsi alla polizia
argentina; di nuovo fin� in un convento, stavolta presso i
Francescani di Madrid, e mor� settantenne (alla fine del
1959) nell'ospedale tedesco (sic!) della capitale
spagnola.''

(6/6/1 - continua)

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