Croazia: apartheid in fabbrica

[ "Rivelazioni" su episodi di alcuni anni fa: all'epoca, nessuno in
Italia osava spiegare che la discriminazione su base nazionale in
Croazia era la regola, e non l'eccezione, sin dalla promulgazione della
"Costituzione di Natale" (1990), e sin dalla dichiarazione di
"indipendenza" (1991). Allora i serbi venivano sistematicamente
cacciati dal posto di lavoro e privati dei diritti civili. E dopo tante
vessazioni, arrivarono la guerra civile e la menzogna mediatica della
"aggressione serba".
Oggi, la separazione etnica si e' cronicizzata - come mostra l'articolo
- oppure, laddove i serbi sono stati semplicemente eliminati, non si
vede piu'... E dunque: ritorniamo in vacanza in Croazia ?!? IS ]

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Come il governo Tudjman divideva i lavoratori

Diritti diversi ai lavoratori di una stessa fabbrica a seconda della
loro nazionalità. Il caso della ditta “Borovo”, di Vukovar

(06/05/2004) Da Osijek, scrive Drago HEDL


Malgrado il governo del Primo Ministro Ivo Sanader cerchi di riparare
alle ingiustizie commesse dalla Croazia di Franjo Tudjman contro i
cittadini di nazionalità serba, nuovi casi emergono in continuazione da
dietro le quinte.

Circa 4.000 ex lavoratori della fabbrica di gomma e scarpe “Borovo”,
una delle più grandi imprese della ex Jugoslavia, situata a Vukovar,
hanno minacciato la scorsa settimana di organizzare manifestazioni di
piazza se il governo non risponderà alle loro richieste.

I lavoratori cercano senza successo di risolvere una questione che è
già stata risolta molto tempo fa per 1.746 impiegati della stessa
ditta. Poiché la fabbrica è stata distrutta durante la guerra e i
lavoratori hanno perso il proprio lavoro, lo Stato gli ha corrisposto
una indennità in misura di 1.500 kune (circa 200 euri) per ogni anno di
impiego. Questa indennità, tuttavia, è stata assegnata a soli 1.746
operai, mentre più di 4.000 altri lavoratori della “Borovo” non hanno
mai ricevuto un centesimo.

Ci si potrebbe logicamente chiedere quali fossero le differenze tra gli
ex lavoratori della “Borovo”. Per di più, sapendo che i 65 milioni di
kune (poco meno di dieci milioni di euri) spesi per il pagamento delle
indennità sono stati raccolti con la vendita degli immobili e di altre
proprietà della “Borovo”, che erano state prodotte in modo uguale da
tutti i lavoratori. La risposta è semplice: la differenza tra i
lavoratori sta nella loro nazionalità.

La nazionalità dei 1.746 lavoratori che hanno ricevuto l’indennità è
croata, mentre gli altri 4.000 lavoratori impiegati dalla stessa ditta,
che non hanno mai ricevuto alcuna compensazione, sono Serbi. Tuttavia,
per nascondere il fatto che la Croazia discriminava i propri cittadini
in base alla loro nazionalità, il sistema di Tudjman aveva trovato una
soluzione per decidere chi avrebbe ricevuto l’indennità. Quando Vukovar
fu presa e le formazioni paramilitari serbe sono entrate in città
insieme all’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA), la direzione della
“Borovo” ha chiesto ai lavoratori, il 3 dicembre 1991, di prendere
contatto con la nuova direzione della fabbrica a Zagabria. La nuova
direzione ha inserito gli impiegati nell’organico, pagato i loro
salari, garantito la assicurazione sanitaria e sociale. In altre
parole, si sono più o meno presi cura di loro.

Questo, tuttavia, è stato il caso per i soli 1.746 lavoratori di
nazionalità croata che hanno lasciato Vukovar prima o dopo la caduta
della città.

Al tempo, era assolutamente impossibile che i lavoratori della “Borovo”
di nazionalità serba andassero a Zagabria a contattare la nuova,
temporanea, direzione della compagnia. Non avrebbero potuto in nessun
modo andare a Zagabria dalla ex “Krajna” – il nome che i ribelli serbi
avevano dato alla propria formazione statale creata dopo la cattura di
Vukovar e della Slavonia orientale. I Serbi rimasero a Vukovar o
trovarono rifugio presso i propri parenti in Jugoslavia o Bosnia
Erzegovina. Dal momento che non presero contatti con Zagabria, tutti e
4.000 furono collettivamente licenziati.

La maggior parte dei lavoratori della “Borovo” di nazionalità serba che
rimasero a Vukovar o nei villaggi vicini, governati dai ribelli serbi,
continuarono a lavorare in quello che rimaneva della “Borovo”. Questo
accadde fino all’inizio della reintegrazione pacifica del 1996,
allorché la lettera di intenti del governo croato promise ai lavoratori
che avrebbero ricevuto un riconoscimento per gli anni di impiego una
volta che la reintegrazione fosse terminata, e che sarebbero stati
messi nella condizione di continuare il proprio lavoro. Quello che
accadde fu invece l’esatto contrario. Il 15 gennaio del 1998, alla fine
del periodo di reintegrazione pacifica, i lavoratori non ricevettero
nulla.

“Malgrado ovviamente non ci siano spiegazioni che dichiarino che il
motivo per il quale l’indennità e altri diritti – attribuiti ai
lavoratori di nazionalità croata – non siano riconosciuti agli altri
perché sono Serbi, tutti capiscono molto bene quello che sta
accadendo”, afferma Petar Miletic, avvocato di Vukovar che rappresenta
i 4.000 lavoratori della “Borovo”. Miletic ha fatto appello alla Corte
Distrettuale di Vukovar, ma la questione non è ancora stata portata in
giudizio per motivi procedurali.

Milan Grahorac, che rappresenta i 4.000 lavoratori che chiedono il
riconoscimento dei propri diritti, ha inviato una lettera al Primo
Ministro Ivo Sanader alla fine di gennaio 2004, nella quale sottolinea
la discriminazione operata nei confronti dei lavoratori della ex
fabbrica di Borovo. In quanto rappresentante dei lavoratori di Borovo,
Grahorac chiede aiuto al Primo Ministro. Se questo non arriva, scrive
Grahorac, i lavoratori dovranno rivolgersi alla Corte Europea per i
Diritti dell’Uomo a Strasburgo.

Sanader ha risposto che in quanto Primo Ministro del Governo ha
l’obbligo di proteggere i diritti di tutti i cittadini della Repubblica
di Croazia, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o
nazionale, e ha inoltrato la lettera al Ministro della Giustizia,
chiedendo a lei di risolvere la questione. Sanader ha inoltre aggiunto
di auspicare che la questione venisse risolta in un Tribunale croato, e
che l’intervento di Strasburgo non fosse necessario.

“Malgrado la risposta di Sanader possa rallegrarci - dichiara Petar
Miletic, il legale che rappresenta i lavoratori della “Borovo” -
purtroppo non fa che confermare la discriminazione attuale. Sanader ci
fa andare in Tribunale, e non vuole risolvere il problema nel modo in
cui è stato risolto senza Tribunali, e con l’aiuto del Governo, per
1.746 lavoratori di nazionalità croata.”

Mirko Grahorac afferma che la loro pazienza ha un limite e che
aspetterà ancora poco per vedere se c’è buona volontà per risolvere il
problema. “Se non riceviamo una risposta positiva entro l’inizio di
questa estate organizzeremo manifestazioni e blocchi stradali, come
hanno fatto i 1.746 lavoratori di nazionalità croata prima di ricevere
la loro indennità. Se questo è l’unico modo per ottenere quello che gli
impiegati croati, che hanno lavorato con noi fino al 1991, hanno già
ottenuto – sceglieremo questa possibilità. In questo modo la opinione
pubblica croata, e sfortunatamente anche quella internazionale,
scopriranno che, indipendentemente da quanto lo si voglia negare,
esiste in Croazia una enorme discriminazione su base nazionale”,
conclude Grahorac.


» Fonte: da Osijek, Drago Hedl © Osservatorio sui Balcani