La Jugoslavia alle Olimpiadi

1. IL MEDAGLIERE

2. ATENE 2004: BASKET; PER SERBIA-MONTENEGRO TRISTE RITORNO A CASA
(ANSA) / PALLACANESTRO: EX-JUGOSLAVIA, IL GRIDO DI DOLORE (M. Matteuzzi)

3. Un commento di Ivan all'articolo di Matteuzzi


=== 1 ===

MEDAGLIERE : ORO ARG BRO TOT

Il numero riportato tra parentesi indica la posizione del paese
nella graduatoria dei corrispondenti giochi olimpici.
Sono riportati solo i giochi olimpici in cui e' stata vinta qualche
medaglia, e non tutte le partecipazioni.


Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia

( 14 ) Parigi 1924 2 0 0 2
( 21 ) Amsterdam 1928 1 1 3 5
( 25 ) Berlino 1936 0 1 0 1
( 24 ) Londra 1948 0 2 0 2
( 21 ) Helsinki 1952 1 2 0 3
( 26 ) Melbourne 1956 0 3 0 3
( 18 ) Roma 1960 1 1 0 2
( 19 ) Tokyo 1964 2 1 2 5
( 16 ) Città del Messico 1968 3 3 2 8
( 20 ) Monaco 1972 2 1 2 5
( 16 ) Montreal 1976 2 3 3 8
( 14 ) Mosca 1980 2 3 4 9
( 9 ) Los Angeles 1984 7 4 7 18
( 16 ) Seul 1988 3 4 5 12


Slovenia

( 52 ) Barcellona 1992 0 0 2 2
( 55 ) Atlanta 1996 0 2 0 2
( 35 ) Sydney 2000 2 0 0 2
( 64 ) Atene 2004 0 1 3 4


Croazia

( 44 ) Barcellona 1992 0 1 2 3
( 45 ) Atlanta 1996 1 1 0 2
( 48 ) Sydney 2000 1 0 1 2
( 44 ) Atene 2004 1 2 2 5


Bosnia-Erzegovina

PARTECIPAZIONI ALLE OLIMPIADI ESTIVE:
1992, 1996, 2000, 2004
TOTALE MEDAGLIE CONQUISTATE 0


Repubblica ex-jugoslava di Macedonia - FYROM

( 70 ) Sydney 2000 0 0 1 1


Repubblica Federale di Jugoslavia,
dal 2004: Unione di Serbia-Montenegro

( 41 ) Atlanta 1996 1 1 2 4
( 42 ) Sydney 2000 1 1 1 3
( 62 ) Atene 2004 0 2 0 2


DUNQUE LE 5 ENTITA' CHE COMPONGONO LA JUGOSLAVIA HANNO CONQUISTATO IN
TUTTO:

3 ori
4 argenti
5 bronzi
= 12 medaglie

alle ultime Olimpiadi cui parteciparono assieme (Seul 1988), e

1 oro
5 argenti
5 bronzi
= 11 medaglie

alle ultime Olimpiadi di Atene del 2004.

(FONTI:
http://www.athens2004.com/en/OlympicMedals/medals
http://www.olympic.it/italian/country )


=== 2 ===

ATENE 2004: BASKET; PER SERBIA-MONTENEGRO TRISTE RITORNO A CASA

(ANSA) - BELGRADO, 25 AGO - Eroi fino a ieri, oggi rinnegati: sono
rientrati nel silenzio, senza che nessuno si fosse preoccupato di
accoglierli, i giocatori della nazionale di basket serbo-montenegrina
che ieri sono stati eliminati dal torneo olimpico per opera del team
cinese.
Solo il direttore dell'aeroporto di Belgrado si e' preoccupato di
attendere l'aereo charter che riportava in patria i campioni, che hanno
pur sempre all'attivo un titolo mondiale conquistato contro il 'dream
team' statunitense.
La stampa e' stata unanime nella ferocia dei commenti, attribuendo
quella che ha definito una ''catastrofe'' alla ''immaturita' dei
giocatori'' e all' ''insipienza'' dell'allenatore. Il coach Zeljko
Obradovic non ha neanche tentato di difendersi: ''e' il peggior momento
della mia carriera - ha ammesso sconsolato in una intervista al
quotidiano 'Express' - non so cosa sia successo. Dovremo analizzare
attentamente i filmati per farci una ragione del perche' di un tale
disastro''.
I giornali si sono sbizzarriti nei giochi di parole fra il nome del
gigantesco atleta cinese Jao Ming e il termine serbo 'jao', che esprime
appunto dolore: 'Jao, Jao. Ciao', titola ad esempio 'Express' (i serbi
hanno adottato da tempo il ciao italiano come forma di saluto), mentre
'Vecernje Novosti' replica con un 'Jao Ming, jao noi'. Sceglie il tono
favolistico 'Glas', che comincia con 'C'era una volta una squadra di
basket'.
Per quanti errori possano aver commesso, i campioni di ieri - oggi
idoli abbattuti - non meritavano forse tanto disprezzo. E' vero che la
loro posizione e' la peggiore mai registrata alle Olimpiadi da una
squadra di Belgrado, ma e' anche vero che non e' facile rappresentare
un paese che non si ritiene ancora tale, come e' il caso della
controversa unione Serbia e Montenegro. (ANSA).
OT 25/08/2004 17:26

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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Agosto-2004/art88.html

Il Manifesto, 25 agosto 2004

PALLACANESTRO

Ex-Jugoslavia, il grido di dolore

MAURIZIO MATTEUZZI

Se ci fosse bisogno di trovare una ragione in più per maledire il papa
e la Germania - che furono i primi a soffiare sulle pulsioni
secessioniste di Croazia e Slovenia sfociate poi nelle feroci guerre
balcaniche degli anni '90 e nell'inevitabile dissoluzione della
Jugoslavia - e per maledire gli americani - che alla fine del decennio
completarono l'opera di disfacimento con la «guerra umanitaria» nel
Kosovo -, quella ragione la si è vista con assoluta chiarezza ad Atene.
La «Serbia-Montenegro», paese inesistente in attesa anch'esso di
dissoluzione, eliminata nel basket dall'inconsistente Cina - che aveva
fatto apparire dei supermen anche la generosa Italietta di Recalcati -
e costretta all'umiliazione di una partita con la simpatica Angola con
l'undicesimo posto in palio. Non era più successo dagli Europei di
Helsinki del `67, che la (ex)Jugoslavia del basket non riuscisse a
entrare neppure nei quarti di finale.

Fra le tante atrocità delle guerre balcaniche, noi amanti del basket,
osiamo mettere anche la fine della Grande Jugoslavia. Quella cinque
volte campione del mondo - l'ultima nel 2002 a Indianapolis, in casa
dei maestri Usa, contro la fortissima Argentina di Manuel Ginobili -,
quella campione olimpico - nell'80 a Mosca, contro l'allora formidabile
Urss - e quattro volte seconda nei giochi, quella non so quante volte
campione d'Europa - l'ultima nel 2001 a Istanbul contro una validissima
squadra turca. Quella che ha fatto godere la gente che loves this game,
come dice lo slogan della Nba, su tutti i campi d'Europa e del mondo.

Sparita la Jugoslavia, sorti sulle sue ceneri - letteralmente
-un'infinità di paesini furiosamente nazionalisti, era impossibile che
i meravigliosi «plavi» potessero reggere a lungo. Per un attimo era
sembrato che quel team meraviglioso - fatto di una mescola unica e
superba di serbi, croati, dalmati, sloveni, macedoni, bosniaci -
potesse resistere agli eventi politici più distruttivi. Ma fu un
attimo, appunto. Poi la storia fece inevitabilmente il suo corso. E una
straordinaria squadra implose - come, su scala maggiore, tutto il
blocco del socialismo reale - in una pletora di squadrette rissose e
nemiche. Anche l'unica eccezione - la «Serbia-Montenegro» - non poteva
durare.

Colpa non tanto della diaspora jugoslava in Europa, che c'è sempre
stata negli ultimi 30-40 anni, a cui li ha portati la loro vocazione
«zingara» (loro detestano questa parola, ma qui vuole avere
un'accezione positiva). Colpa delle macerie a cui è stato ridotto il
loro paese e colpa (anche qui leggasi in positivo) della loro classe
che li ha fatti approdare per primi nella mitica e ricchissima Nba. In
tempi non sospetti, quando si contavano sulle dita di una mano i
non-americani invitati alla festa.

Questa non vuole essere un'analisi tecnica della tragedia (cestistica,
in questo caso) jugoslava. E' solo un grido di dolore di chi ha visto
la Grande Jugoslavia in cui dalla panchina l'imperturbabile professor
Asa Nikolic giostrava in campo i Cosic - un pivot di 2 e 10 che
all'occorrenza sapeva giocare divinamente da play -, i Petrovic, i
Dalipagic, i Kucoc, fino allo zar Sasha Danilovic che fece grande anche
la Virtus di Bologna. Ora gli ultimi eredi di quei grandi - gli
Stojakovic, gli Jaric, i Divac, i Milicic - sono troppo stanchi e
impegnati a curare i loro interessi negli Usa per trovare ancora la
voglia di mettere in campo lo straordinario talento e l'atavica rabbia
in difesa non della Grande Jugoslavia ma di un paese sempre più
secondario e rachitico (chissà che agli Europei del 2005 a Belgrado, il
Montenegro non sia già riuscito a staccarsi dalla mal amata Serbia).

Grandi, indimenticabili «plavi». Riusciranno a farci sognare ancora?


=== 3 ===

Grazie a Maurizio Matteuzzi per questo articolo. Commovente, per uno
che ha visto da vicino quando iniziò l'attacco a quel magnifico
cerchio di fratellanza e unità della nostra squadra jugoslava,
dei nostri "zlatni plavi". Era nel giugno 1991, Campionati europei di
pallacanestro a Roma. Nel mezzo del campionato arrivò un dispaccio da
Lubiana col quale intimarono a Jure Zdovc, giocatore sloveno,di non
giocare più per la Jugoslavia, se no sarà dichiarato nemico del suo
popolo!". Sorvolo sulla campagna denigratoria politica, fatta dai media
in quel periodo, ma voglio ricordare quei giornalisti sportivi,
sciacalli, che assalirono il tecnico e i giocatori con delle domande
che nulla avevano a che fare con il gioco tecnico e speculavano sulle
disgrazie personali; A Los Angeles, dove si trovava la moglie di Divac
in attesa del bambino, c'è stato in quel giorno il terremoto!
Dicessero il contrario, questi sciacalli, a me, che rispondevo al
telefono! Ivan