[ Angelo d'Orsi, noto storico, e' stato aderente del CNJ ]

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 06-12-04

già pubblicato da "Avvenimenti" a. XVII, n. 43, 5-11/11/2004, con
titolo:"Si è bombardato il Kosovo. E poi si parla di scontro di civiltà"

TRA STORIA E POLITICA

KOSOVO. Per non dimenticare

Angelo d’Orsi

Si è votato in Kosovo: un voto senza storia, ma sul cui svolgimento non
mancano i dubbi, anche se il mite, un po’ ridicolo Ibrahim Rugova,
canta vittoria. Intanto, la minoranza serba ha boicottato le urne
contro la nessuna sicurezza per sé, chiedendo come preliminare
all’esercizio dei diritti civili e politici, il fondamentale diritto
alla vita. Nessuna novità si profila all’orizzonte, dopo queste seconde
elezioni, dopo la guerra della Nato; e Rugova e i suoi alleati si
dirigono verso una risibile indipendenza, assai pericolosa sul piano
geopolitico.

Queste elezioni sono giunte a coronamento di un pseudo processo di
“costruzione della democrazia” in un Paese distrutto prima dai nostri
bombardamenti (ah, D’Alema!), poi sottoposto a una “pulizia etnica”
assai più grave di quella attribuita a Milosevic, e soprattutto
diventato terra franca delle bande militari delinquenziali (ovviamente
armate e finanziate dagli USA) dell’UCK, e approdo per mafiosi di ogni
provenienza: oggi il Kosovo è il maggior santuario europeo della grande
criminalità organizzata, come ben sanno le autorità giudiziarie e di
polizia del Continente. Ma non se ne parla, e mentre si insiste a
parlare del “dopo Milosevic”, attribuendo ogni responsabilità a costui,
compresi i sogni (assai improbabili, a dire il vero) di una pretesa
“Grande Serbia” che avrebbe dovuto far tremare il mondo (!?), si tace
della sistematica espulsione dei serbi, le cui case sono occupate dagli
albanesi. In un Occidente che vede dappertutto Al Quaida – anche se
nessuno osa più nominare Osama Bin Laden e il suo braccio destro, il
mitico Mullah Omar, fuggito in motocicletta fra le steppe afghane…; in
un Occidente ove ogni giorno viene montato un nuovo episodio della
paura dell’ “integralismo” islamico; in un Occidente che parla e
straparla delle proprie “origini giudaico-cristiane”…; ebbene in questo
Occidente si nasconde la sistematica opera di distruzione dei monasteri
ortodossi in Kosovo, culla della civiltà serbo-ortodossa. Una
distruzione condotta dalle bande dell’UCK e da altre simili bande
paramilitari, tutte di etnia albanese e di religione islamica: mentre
assai fondati sono i sospetti che proprio in Kosovo si trovino basi
logistiche e di sostegno di Al Quaida.

Insomma, la grande menzona sul Kosovo, mentre un processo farsesco, da
tempi imprevedibili, viene stancamente portato avanti all’Aja, dopo che
Milosevic fu sottoposto a un sequestro e a una vera e propria
compravendita agli americani, da un capo del governo dell’ex
Jugoslavia, all’insaputa dello stesso presidente della Federazione. Il
primo fu elettoralmente punito, mentre il partito di Milosevic, anche
dopo aver cambiato nome, gode di una discreta salute.

La menzogna, lo sappiamo, è attributo irrinunciabile di qualunque
propaganda bellica. Per giustificare l’ingiustificabile guerra della
Nato alla Jugoslavia si ricorse addirittura a tirare in ballo la
“soluzione finale”, con Milosevic trasformato (indimenticabile una
copertina dell’”Espresso”) in Hitlerosevic. E l’eterno paradigma
antifascista riaffiorava come strumento di legittimazione della nuova
guerra delle democrazie e il corollario inevitabile della
riproposizione della cinica politica di Monaco, con la Polonia data in
pasto al “grande dittatore”, come ora il “piccolo Hitler dei Balcani”
si stava mangiando il Kosovo; e, infine, il peana agli Stati Uniti
“salvatori d’Europa”.

La resistenza alla guerra e ai suoi effetti (l’esempio del Kosovo si
ripete in Afghanistan, dove altre eleazioni farsesche hanno lasciato il
potere in mano a un presidente che è in grado di controllare una
percentuale minima del territorio nazionale; e stanno per riprodursi in
Iraq, nel quale un personaggio ancora più screditato, tale Allawi, un
mestatore usato disinvoltamente dagli statunitensi), consiste nello
smascheramento delle mistificazioni, in guerra ieri, nel dopoguerra
oggi; che in Kosovo, in Afghanistan, in Iraq, tutto è tranne che pace.
Ma accanto alla menzogna, dobbiamo mettere nel conto anche l’oblio:
occorre invece ricordare la follia di quella guerra, la più inutile, la
più asimmetrica, la più sciagurata delle guerre del “dopo Muro”. Con il
pretesto di esportare la democrazia, di eliminare un tiranno (sempre
eletto in libere elezioni), e di por fine alle sofferenze dei kosovari
(dimenticando quelle dei serbi espulsi dalla Krajna), si è bombardato
un Paese europeo, a due passi dall’Italia, provocando migliaia di morti
civili, infrastrutture distrutte, e dando un ulteriore colpo alla
difficile convivenza tra etnie e religioni. E poi temiamo lo “scontro
di civiltà”...

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 05-12-04

già pubblicato da "Avvenimenti"

TRA STORIA E POLITICA

Kosovo, cinque anni dopo

Angelo d’Orsi

A due anni dall“impresa” irakena, cade il quinto anniversario di
un’altra infame guerra, quella del Kosovo. E la ricorrenza viene
“festeggiata” con attacchi armati da parte di bande kosovare, incendi
di monasteri ortodossi, uccisioni di serbi e fuga di questi ultimi,
ormai ridotti a una presenza poco più che simbolica nella regione; e
poi, rappresaglie, ulteriori attacchi, nella sostanziale incapacità
delle forze internazionali presenti sul territorio di proteggere i
serbi. Insomma, ancora dolore, distruzione, morte, mentre ormai il
Kosovo chiede apertamente l’indipendenza, non bastando più ai suoi
dirigenti (che sembrano soffiare apertamente sul fuoco) la pur larga
autonomia di cui la regione gode. Se essa venisse concessa, si
tratterebbe del penultimo passo verso la scomparsa della Jugoslavia di
Tito, un capolavoro di equilibrio fra religioni ed etnie, fondata su un
compromesso costituzionale efficace.

Confrontando quel paese alle macerie odierne, non smetteremo di
sottolineare le responsabilità dell’Occidente, a cominciare dal papa
Giovanni Paolo II e dal cancelliere tedesco Helmuth Kohl, i quali si
affrettarono a un improvvido riconoscimento unilaterale della Slovenia
e della Croazia, contando di lucrare sulla mossa, l’uno sul piano
economico-politico, l’altro su quello politico-religioso. Da quel
gesto, di cui non si fu in grado di calcolare le conseguenze (gesto
dunque impolitico per eccellenza, se si accetta la definizione di
politica come dell’arte di guardare lontano), scaturì un decennio di
conflitti, che distrussero la creatura titina, ma soprattutto diedero
vita a un inestinto focolare di odii, le cui conseguenze vediamo,
appunto, di nuovo in questi giorni, nel Kosovo.

Allora, cinque anni fa, come in precedenza, su di un piano più
generale, era possibile arrivare a soluzioni ragionevoli, a non
scontentare troppo né gli uni, né gli altri, ma troppi interessi
premevano, e il famoso accordo di Raombouillet, “respinto” da
Milosevic, fu un mero gesto di provocazione il fui esito era scontato,
già nella mente dei suoi promotori estensori. Quello che si voleva era
eliminare l’“anomalia” jugoslavia nel cuore d’Europa, mettere in atto
forme di tutela politica e militare pesantissime, cercare mercati nuovi
per gli investimenti a basso costo e ad alto profitto, e via di seguito.

Certo, c’erano state le “provocazioni” di Milosevic, c’erano stati
massacri, distruzioni (come dimenticare la stupenda, straordinaria
Biblioteca di Sarajevo?), ma l’impressione di fondo era che l’Occidente
aspettava proprio che accadesse quello che accadeva e che
indubitabilmente avrebbe portato alla fine della Repubblica Federale
(socialista!) Jugoslava.

Il Kosovo fu un pretesto, usato sulla base di una gigantesca campagna
propagandistica. Come non ricordare l’on. Fassino, allora ministro
della Difesa del Governo D’Alema, e la sua frase immortale: “Chi non
vuole il nostro intervento non ha mai guardato negli occhi un bambino
kosovaro…”? Come non ricordare le vergnose leggerezzze della Missione
Arcobaleno, “garantita” da Bobbio, Montanelli e Scalfari? (Poi venne
addirittura alla luce un penoso scandalo a quegli “aiuti umanitari”
legato). Come non ricordare le incredibili punte toccate dalla campagna
volta a giustificare preventivamente la guerra, e a farla accettare
all’opinione pubblica? Non potremo dimenticare quel tremendo aggettivo
(“etica”) che proprio Bobbio usò per giustificare una ingiustificabile
aggressione di una coalizione di 19 Stati contro una nazione piccola,
malridotta e isolata quale la Jugoslavia di Milosevic. E tanti
commentatori disinvolti fecero ricorso alla più “giusta” delle guerre,
quella del ’39-45, per dare nobiltà all’ignobile, per travestire la
guerra da operazione di polizia internazionale, per nascondere
l’impiego di armi all’uranio impoverito, le cui conseguenze rimarranno
tragicamente presenti sul territorio per un tempo quasi infinito.

La Serbia fu distrutta economicamente, dal punto di vista delle
infrastrutture, dei rapporti sociali, e del peso politico
internazionale, da quella guerra, la più asimmetrica di tutti i
conflitti del Dopo-Muro: Clinton batte Milosevic 10.000 a zero, titolò
un quotidiano statunitense alla fine delle ostilità. E in effetti le
truppe Nato non ebbero né un morto, né un prigioniero, né un mezzo
perduto, a dimostrazione che quella non era stata nemmeno una guerra,
ma una sorta di experimentum in corpore vili, per dimostrare quanto
potente fossero gli Stati Uniti e i loro alleati, ammonendo il mondo ad
accettare il potere dell’Impero.