Iniziative sulla condizione Rom nelle metropoli

1) ROMA 19 LUGLIO: MANIFESTAZIONE AL CAMPO DI CASTEL ROMANO
- ''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il degrado del campo rom di Castel Romano
- Background I :  ''Non siamo cani'': i rom si ribellano
- Background II : Caro Veltroni, perché vuoi mandar via i Rom da Roma? 

2) MILANO 23 LUGLIO: MANIFESTAZIONE A PIAZZA SCALA

3) VERSI DAL SILENZIO - antologia di poesie romanì


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(I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte...
La locandina della manifestazione si può scaricare anche dal nostro sito:


''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il  
degrado del campo rom di Castel Romano

E’ quella del pozzo del campo dove vivono circa 1000 persone, l’unica  
disponibile per il migliaio di persone, molti i bambini. “Alcuni dei  
nostri bambini si sono già ammalati di epatite”
  
ROMA - "Acqua non potabile”. In confezioni da due litri,  
imbottigliata e distribuita a Castel Romano, al chilometro 20 della  
via Pontina, a Roma. L'acqua è delle più torbide e sul fondo della  
bottiglia precipita il terriccio in sospensione. L"etichetta  
raccomanda: "solo uso esterno e fanghi”. E più sotto specifica:  
“Acqua non potabile distribuita un'ora al giorno a 1.500 persone”. E"  
l’acqua del pozzo del campo rom di Castel Romano. L’unica disponibile  
per il migliaio di persone, molti i bambini, ospitati nella struttura  
aperta nel settembre 2005. I rappresentanti della comunità Korahanè  
del campo, l’hanno imbottigliata e ne faranno omaggio alle autorità  
responsabili per denunciare la situazione di degrado del campo.  
“Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite, per aver  
bevuto quell’acqua”, dice Luigi, un trentenne residente nel campo,  
che aggiunge: “Come è possibile che, in Italia, mille persone siano  
tenute senza acqua potabile? Ho sempre lavorato, sono in Italia da  
vent’anni, come tanti altri. Eppure lo stato ci costringe ad essere  
nomadi”. I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte per “richiedere un  
intervento urgente da parte delle autorità teso al ripristino delle  
condizioni di vivibilità e sicurezza per le 1.000 persone che vi  
abitano”.
  
© Copyright Redattore Sociale

(la locandina della manifestazione del 19 luglio 2007 a Castel Romano si può scaricare anche dal nostro sito:

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''Non siamo cani'': i rom si ribellano ai patti di sicurezza di Amato e Veltroni

Prevedono il trasferimento di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dal raccordo anulare. Najo  
Adzovic: ''E' tempo di reagire'' . Dure critiche alle associazioni  
che gestiscono i campi

ROMA - Non siamo nomadi. Basta con i campi, vogliamo una casa. Le  
comunità rom di Roma si schierano contro i patti di sicurezza  
sottoscritti da Amato e Veltroni lo scorso maggio, e che prevedono il  
trasferimento in massa di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dall'autostrada del raccordo  
anulare. "E" tempo di reagire - dichiara Najo Adzovic (Campo Casilino  
900) - non possono deportarci e recintarci come cani”. Dure le  
critiche alle associazioni e cooperative che gestiscono i campi  
"Basta lucrare sulle nostre spalle ­ dice Graziano Alilovic (Campo La  
Barbuta) ­. Vogliamo case, non campi. Le associazioni ci dicano da  
che parte stanno”.

Quella del diritto alla casa è la prima delle richieste del  
coordinamento dei rom, riunitosi questa mattina all"università La  
Sapienza in un incontro con la stampa. “Chiediamo al sindaco case  
popolari”, dice Meo Hamidovic (Campo Castel Romano). Hamidovic vive  
al campo di Castel Romano dal 14 settembre 2005. Allora venne  
sgomberato il campo di vicolo Savini, a Ponte Marconi. Mille persone  
trasferite a Castel Romano, in quello che si annuncia come prototipo  
dei villaggi della solidarietà proposti dai patti di sicurezza  
firmati a maggio, a Roma, dal sindaco Walter Veltroni, da Enrico  
Gasbarra, Piero Marrazzo e dal Prefetto Serra - oltre al ministro  
Amato. Undici milioni di euro in tre anni dalla Regione Lazio,  
quattro milioni dal Comune di Roma e un ulteriore contributo da parte  
della Provincia di Roma, per rivedere l'assetto dei campi rom.  
Seimila persone ­ dichiara il professor Marco Brazzoduro (La  
Sapienza) - rischiano la “deportazione” in località periferiche e  
isolate, che saranno definite entro il 23 luglio.

Nel campo rom di Castel Romano vivono mille persone, confinate in 220  
container al confine tra Roma e Pomezia, nel mezzo della riserva  
naturale di Decima-Malafede. Il luogo è talmente isolato che per  
spegnere un incendio divampato nel campo due giorni fa, a nulla è  
servito la chiamata ai vigili del fuoco, che non sono riusciti a  
raggiungere la zona con le autobotti. Il campo è gestito dall’Arci,  
per una convenzione che ammonta a 750.000 euro annui. “Il villaggio  
non è attrezzato, siamo senza acqua potabile, non c’è un solo posto  
all’ombra per i nostri bambini”, si lamenta Hamidovic. L’unica  
distribuzione idrica, per due ore al giorno, è realizzata con acqua  
di pozzo non potabile e inquinata. “Alcuni dei nostri bambini si sono  
già ammalati di epatite, per aver bevuto quell’acqua”, dice un  
trentenne residente al campo. Il primo centro abitato dista 8 km dai  
container, e le scuole dove i bambini erano iscritti prima dello  
sgombero da vicolo Savini, distano 20 km. Molti hanno abbandonato gli  
studi. Anche perché, denuncia Hamidovic, le scuole del XII municipio  
rifiutano di accogliere i nostri figli.

I rom criticano anche l’atteggiamento securitario con cui si sentono  
giudicati. “La società dei gage (i non rom, ndr) porta  
all’annullamento dell’identità ­ dice Bruno Morelli -. I problemi di  
microcriminalità esistono, ma sono legati alle condizioni di miseria  
dei campi e non alla cultura”. Morelli si è quindi appellato ai  
media, perché diano voce alle istanze di “una minoranza etnica e  
linguistica mai riconosciuta in Italia” e sostengano la lotta dei rom  
contro i campi, “rimasti soltanto in Italia”. Intanto  
l’amministrazione capitolina va in direzione opposta. Lo scorso 8  
luglio, sono infatti arrivati a Roma i cinque funzionari prestati  
dalle forze dell’ordine romene. Rimarranno per tre mesi, per favorire  
l’identificazione dei rom. (gdg)
  
© Copyright Redattore Sociale h 16.48 17/07/2007

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Da Liberazione del 5/05/2007, pag. 1 (segue a pag. 15) 
 
Caro Veltroni, perché vuoi  mandar via i Rom da Roma? 
 
Gennaro Loffredo* 
 
Caro signor Sindaco Veltroni, 
leggendo su Repubblica di ieri venerdì 4 maggio 2007, l'articolo di G. Vitale sul "Patto di legalità", 
forte mi è venuto il desiderio di scriverLe. Mai avrei pensato che un uomo così attento alle 
tematiche dell'accoglienza, dell'integrazione e dell'inclusione sociale, contro il razzismo, dagli alti 
proclami culturali, potesse un giorno arrivare a realizzare uno dei punti più "qualificanti" del 
programma elettorale di Gianfranco Fini di qualche anno fa, quando si propose come candidato 
Sindaco per il Comune di Roma: i rom fuori dal raccordo anulare. Sono molto deluso, signor 
Sindaco. La sento sempre più distante in questo secondo mandato. Distante da me, dalla mia 
famiglia, dalle mie idee di società, da quello che più volte Le ho sentito dire con convinzione. 
Almeno così mi pareva. Io, maestro elementare, ho cominciato la mia esperienza lavorativa 
occupandomi dell'alfabetizzazione dei bambini/e rom del campo di Tor dei Cenci che frequentavano 
le scuole di Spinaceto. Ho continuato ad occuparmi di rom, appassionandomi sempre di più, anche 
quando sono approdato alla mia attuale scuola, la "Ex-Tor Carbone", nel quartiere Roma 70. Ho 
seguito i bambini/e del campo di Vicolo Savini e diverse loro famiglie. Vicolo Savini aveva, è vero, 
una parvenza molto simile ad un lager - unica via d'accesso e perimetro in cemento armato e filo 
spinato -, era, nonostante gli sforzi anche economici ma mai risolutivi, degradato e sovraffollato; 
ma era dentro la città. Invisibile - poiché via della Vasca Navale è nascosta agli sguardi di chi 
passa su Ponte Marconi - ma dentro la città. I bambini/e, frequentando ormai da anni le nostre 
scuole, si andavano sempre più integrando nel tessuto sociale del nostro Municipio, tirandosi dietro 
anche le famiglie. Feste di quartiere, compleanni di amici/che "gagé", continue visite al campo da 
parte di alunni/e con i papà, le mamme, gli/le insegnanti, genitori rom che partecipavano sempre 
più alle riunioni tra genitori a scuola... Insomma, anni di lavoro che raccoglievano gradualmente i 
primi frutti. Il risultato del nostro lavoro a scuola, come Lei saprà, si vede a distanza di tempo. 
Intorno ai rom di Vicolo Savini si era sviluppato, grazie anche alle politiche messe in atto da attenti 
amministratori del Municipio Roma XI, un tessuto sociale accogliente e solidale.  
Certo non si può dire che era tutto oro quello che luccicava; ma, d'altra parte, anche nei grandi 
eventi di "Veltronia" l'oro è solo in superficie! Bene... Ho preso parte al processo che avrebbe 
dovuto portare al superamento di Vicolo Savini. Va ricordato che furono i rom stessi a lanciare la 
campagna "Ultimo inverno a Vicolo Savini" ed intorno ad essa si sviluppò, a partire dalle scuole, 
una rete territoriale molto ampia che arrivò all'interlocuzione con i livelli istituzionali competenti. 
Come ben ricorderà, signor Sindaco, i bambini/e della mia scuola e non solo, Le inviarono un 
migliaio di lettere chiedendoLe di aiutare i loro compagni/e di classe a trovare una sistemazione 
più consona alla dignità di un essere umano. Si avviò un vero processo di partecipazione all'interno 
del quale i rom furono realmente protagonisti, se protagonista si può definire chi nulla possiede e 
che col cappello in mano chiede. Incontri dopo incontri presso l'assessorato della Milano, coordinati 
dal Dottor Alvaro, abile tecnico ed ottimo stratega della pubblica amministrazione capitolina, alcuni 
ufficiali altri per pochi. Promesse, impegni, fotografie di moduli abitativi...Ecco la " terra promessa 
"...I rom abboccano, accettano di spostarsi sulla Pontina, fuori dal raccordo, ritenendo di aver 
avuto sufficienti garanzie. Espressi pubblicamente la mia contrarietà esplicitando le mie perplessità 
ma rispettando tuttavia la decisione presa dai rappresentanti della comunità rom. Quello che si era 
perso di vista, a mio parere, erano i desiderata degli uomini e delle donne rom. I sogni dei loro 
bambini e dei ragazzi. Desiderata che erano venuti fuori da un'indagine fatta "in profondità" su un 
campione volontario di abitanti del campo, attraverso colloqui individuali, con lo strumento di 
questionari preparati e somministrati da esperti dell'Arci e dell'Università Roma Tre. Dati pubblicati 
e presentati in una iniziativa pubblica presso il Campidoglio dove, guarda un po' Signor Sindaco, 
non partecipò nessuno della Sua amministrazione. Sono passati tre anni dallo spostamento del 
campo sulla Pontina. Il risultato? Sempre meno bambini/e vanno a scuola, non c'è ancora l'acqua 
potabile, nessun tipo di vita sociale fuori dal campo, il negozio alimentare cui rifornirsi più vicino è 
a dieci chilometri, etnie che avrebbero voluto vivere separate convivono, non è stato " preparato " 
un tessuto sociale atto ad accogliere e disponibile ad integrarsi con portatori di cultura e tradizioni 
diverse dalle nostre. Bel risultato signor Sindaco. I rom fuori dal raccordo anulare. Ci credo che 
Alemanno applaude a questa decisione presa con il Prefetto Serra. E' nel loro dna - della destra 
intendo - non nel Suo. Ma le mutazioni genetiche, si sa, sono cosa dei nostri tempi. E' difficile 
gestire tutte le contraddizioni che attraversano una metropoli quale è Roma. E capisco che è 
difficile amministrarla. Pur tuttavia ritengo che, per Sua storia e formazione, Lei non può farlo 
come chiunque altro/a. Usi pure i teatri per spettacolarizzare la politica, ma scenda anche più 
spesso tra la gente, ne assuma i bisogni e metta al centro della sua attività gli ultimi: Lei sa chi 
sono. E' vero che c'è bisogno di maggiore legalità ma non serve un patto; serve più educazione 
alla legalità e forse la scuola, se ci si investisse maggiormente, potrebbe assumere un ruolo 
centrale.  
 
*maestro elementare 

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LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA

INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

ROM E SICUREZZA: E’ QUESTO IL VERO PROBLEMA DI MILANO?

 

Un’emergenza si è abbattuta sulla città e la provincia di Milano: l’invasione dei rom. Per rispondere a questa calamità presunta le amministrazioni comunali provvedono a sgomberi senza né capo né coda perché non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna in condizioni sempre più precarie.  
La scoperta che la sicurezza è un diritto dei cittadini e che la legge e la polizia devono intervenire per impedire sfruttamento e infrazioni del codice penale è la scoperta dell’acqua calda visto che la legge dovrebbe valere per tutti, rom e non rom. Ma soprattutto nasconde la cattiva coscienza di chi in questi anni ha lasciato crescere l’impunità in tutti i campi – dalle grandi speculazioni immobiliari all’evasione fiscale, alla mancata politica contro traffico e inquinamento -, costruendo le condizioni di una sensazione generale di insicurezza e frustrazione.
Una politica responsabile e degna di un Paese civile non insegue il malcontento e il pregiudizio ma costruisce le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica, sicura e rispettosa delle diverse culture, sconfiggendo gli imprenditori della paura, le forze politiche più reazionarie e razziste, che su questo terreno costruiscono le loro fortune elettorali.
Il problema va affrontato su diversi piani, assumendo l’obiettivo della convivenza tra cittadini che fanno parte della stessa comunità con una visione più generale del complesso problema dell’immigrazione. Ma c’è un piano che va affrontato immediatamente ed è quello che riguarda, in questo momento, le condizioni di vita di queste persone, uomini donne e bambini che cercano, come tutti, un angolo di pace, di serenità e di sicurezza sociale e per i quali si prospetta una vera e propria emergenza umanitaria. 
Per il superamento della politica dei campi nomadi, che diventano ghetti e come tutti i ghetti possibile fonte di degrado umano e sociale
Per una moratoria sugli sgomberi nella città di Milano e in Provincia,
Per la costituzione di tavoli di concertazione reale del Comune, della Provincia, della Regione,
Per un investimento sistematico sulle comunità per sviluppare professionalità in ambiti "imprenditoriali" e formare figure come i mediatori culturali,
Per contrastare il "razzismo istituzionale" e il trattamento discriminatorio nella pubblica amministrazione e nei servizi, vere e proprie violazioni dei diritti umani

 

LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA
INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

Con testimonianze di Renato Sarti, Bebo Storti,
messaggi di Dario Fo e Moni Ovadia letti da Dijana Pavlovic,
più musica rom  e altro

Al prefetto di Milano

Al consiglio comunale di Milano

Alla società civile di Milano

 


Il consiglio comunale di Milano ha deciso a larga maggioranza con la sola opposizione di cinque consiglieri della minoranza, di sgomberare i campi nomadi abusivi. Immediatamente la giunta comunale ha proceduto a sgomberi a tappeto senza predisporre nessun tipo di soluzione per centinaia di rom rumeni che si trovano ora in condizioni disperate determinando gravi situazioni di tensione come è avvenuto al campo di via Triboniano o, come dopo l’incendio del campo di via S. Dionigi, lasciando senza più nulla oltre duecento persone.

Le conseguenze di questa scelta destano grandissime preoccupazioni. Questi sgomberi non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna o, peggio ancora, a bivaccare nei parchi milanesi. Costretta a un nomadismo da tempo abbandonato perde le tracce di integrazione che si erano create - occasioni di lavoro, inserimento scolastico - una popolazione che ha lasciato il disastro della loro terra per cercare condizioni di vita e di lavoro dignitose nell’opulenta Lombardia e per questo sono disposti ad accettare condizioni che una società normalmente civile non dovrebbe consentire a nessuno.

Chi voleva, a parole, la sicurezza ora soffia sul fuoco 

genera una situazione di degrado umano e di conflitto;

legittima le azioni squadristiche contro i rom di leghisti e razzisti vari;

giustifica chi pensa che cittadini stranieri, persone e popoli abbiano meno diritti e più leggi speciali, secondo precedenti storici che hanno tragicamente segnato la storia umana;

infine abbandona a se stesse le molte associazioni e i volontari che  agiscono sul sociale e seguono i rom.

Noi crediamo che una politica responsabile e degna di un Paese civile non debba inseguire il malcontento, il disagio e anche il pregiudizio ma costruire le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica e rispettosa delle diverse culture.

Per questo chiediamo alle autorità prima di tutto di sospendere questa scelta dissennata che porta solo tensione, che si trovino nell’immediato soluzioni che rispettino la dignità e la condizione umana dei rom, infine che le aree vengano svuotate solo dopo aver trovato soluzioni abitative adeguate per tutti, avviando una politica concordata anche con i rom di processi di inserimento reale nel mondo lavorativo e sociale. 


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