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I personaggi

I preti

papa Pio XII (Eugenio Pacelli)

Fu papa dal 1939 al 1958, era un fervente anticomunista, e a
causa delle sue posizioni politiche veniva detto "il papa
tedesco" (54). Durante la guerra appoggi� la Croazia di Ante
Pavelic (82-83). Era perfettamente al corrente delle ratlines
organizzate da Hudal e Draganovic, in quanto era tenuto al
corrente da Montini (122,126).

Giovanni Montini, il futuro papa Paolo VI

Assistente personale di papa Pio XII nella veste di
sottosegretario di Stato per gli affari ecclesiastici (25-26).
Durante la guerra fu coinvolto nelle trattative fra nazisti e
occidente (25) e fu organizzatore, per conto del papa, del
Servizio Informazioni del Vaticano (il servizio segreto
vaticano) (26).

Fu lui a rifiutare l'udienza a Bokun, inviato dalla monarchia
jugoslava per trasmettere al Vaticano le prove delle atrocit� di
Pavelic, malgrado che ``non ci fossero dubbi che Montini fosse
ben informato sulla reale situazione'' (82).

Aiut� e collabor� con Hudal per l'organizzazione della fuga
dei nazisti (43). Era anche l'amico di Draganovic (67,94).
Questi talvolta ``chiedeva a Montini di procurarsi pi� visti da
paesi che non ne emettevano in numero adeguato, e il
burocrate vaticano intercedeva presso i diplomatici
competenti'' (125). Altre volte, invece, era Montini a chiedere
a Draganovic di ``far espatriare clandestinamente certa
gente'' (125). Era sempre Montini che nascondeva Ante
Pavelic a Castel Gandolfo (87).

``In quel periodo Montini era il prediletto del papa e dirigeva
l'opera caritatevole della Santa Sede a beneficio dei profughi.
Dato che i due prelati s'incontravano quotidianamente per
parlare del lavoro che la Segreteria di Stato doveva svolgere, �
inconcepibile che Pio XII fosse all'oscuro di tutto'' (126).

Alois Hudal

Vescovo austriaco, amico di Pio XII (40), antisemita convinto
(55), e principale organizzatore della rete di fuga (ratline) per i
criminali di guerra tedeschi nell'immediato dopoguerra.

``Nato il 31 maggio 1885, divenne professore di studi
sull'Antico Testamento all'Universit� di Graz nel 1919.
Quattro anni pi� tardi, Hudal si trasfer� a Roma come rettore
del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima, situato su
una strada che paradossalmente si chiama Via della Pace''
(37).

In tale veste, durante la guerra il vescovo aveva ``prestato
servizio come commissario dell'episcopato per i cattolici di
lingua tedesca in Italia [e] come padre confessore della
comunit� tedesca a Roma'' (37).

Il Pontificio Collegio, uno dei tre seminari per preti tedeschi a
Roma (34), ``era stato fondato nel XVI secolo per la
formazione teologica dei preti tedeschi, ma nel dopoguerra
divenne un centro nevralgico per l'espatrio clandestino dei
nazisti'' (37).


Hudal ``era un ardente anticomunista, convinto che la vera
minaccia per l'Europa fosse rappresentata dal bolscevismo
ateo. Era perci� favorevole al raggiungimento di un accordo
con i nazionalsocialisti tedeschi, che rappresentavano l'unica
potenza abbastanza forte da sconfiggere i comunisti. [...]
Riteneva che questa fosse una lotta di importanza vitale per la
Chiesa, una lotta che avrebbe deciso chi, fra il comunismo e la
cristianit�, sarebbe alla fine sopravvissuto'' (37-38).

``All'inizio degli anni Trenta [...] appoggi� apertamente
Hitler, viaggiando in molte zone dell'Italia e della Germania
per arringare le grandi folle di cattolici di lingua tedesca''
(37).
``Pensava di essere stato chiamato da Dio per stabilire dei
rapporti fra i nazisti e la Chiesa Cattolica'' (37).

Nell'aprile 1933 negozi� con Franz von Papen, il
vicecancelliere di Hitler, il concordato tra Berlino e la Santa
Sede. ``Prima della fine di quello stesso anno divenne
senz'altro l'alleato politico di von Papen e fu da lui consultato
immediatamente dopo il fallito putsch nazista in Austria''
(38).

``Nel 1936 pubblic� un trattato filosofico intitolato I
Fondamenti del Nazionalsocialismo'', libro che ottenne
l'imprimatur (ossia il permesso ufficiale della Chiesa per la
pubblicazione) da parte del primate della Chiesa austriaca, il
cardinale filonazista Theodore Innitzer (38). ``Il cardinale lo
approv� calorosamente come prezioso tentativo di pacificare
la situazione religiosa del popolo tedesco'' (38-39).

Il libro fu bandito dal ministro tedesco della propaganda
Joseph G�bbels, il quale ``non permetteva che i fondamenti del
movimento venissero analizzati e criticati da un vescovo
romano'' (39). Ciononostante, Hudal rimaneva ben visto alla
gerarchia nazista, e ``portava un distintivo d'oro di
appartenenza al partito di Hitler'' (39). Inoltre se ne andava
``orgogliosamente in giro per Roma con il vessillo di una
Germania pi� grande sulla sua automobile; ma quando, nel
giugno del 1944, gli alleati giunsero nella capitale italiana,
Hudal fu il primo a cambiarla: improvvisamente la sua
bandiera divenne austriaca'' (42).

``Nel 1945, dall'oggi al domani, Hudal, da ideologo fascista
qual era, cominci� a manifestare le sue nuove aspirazioni
democratiche. Abbandonando la sua posizione favorevole alla
Germania, s'affrett� a unirsi al libero comitato austriaco di
Roma, e collabor� persino all'organizzazione di una
liberazione simbolica della legazione austriaca.''
Quest'atteggiamento ipocrita era molto diffuso fra gli
Austriaci, popolo ``la cui percentuale di iscritti al partito
nazista era pi� elevata di quella della Germania'' e che
malgrado ci� ha ``immediatamente richiesto un trattamento
speciale in quanto prima vittima di Hitler'' (42).


Dopo la guerra Hudal fece scappare numerosi criminali di
guerra attraverso la rete di fuga che aveva provveduto a
predisporre sin dal 1943. Nel 1947 il suo operato fu scoperto e
lo scandalo lo costrinse a farsi da parte. Tuttavia ``ci vollero
quasi quattro anni per sostituire il vescovo austriaco come
rettore del Collegio di Santa Maria dell'Anima. Infine, nel
Natale del 1951 Hudal si arrese di fronte all'ineluttabile,
annunciando che avrebbe lasciato il Collegio nel luglio
seguente.'' (55).

``Convinto che la sua unica colpa fosse quella di avere una
cattiva immagine presso la stampa, Hudal rimase a Roma fino
alla sua morte, [che avvenne nel 1963 a Grottaferrata], senza
pentirsi mai della sua opera a beneficio dei criminali di guerra
nazisti:

Aiutare la gente, salvare qualcuno, senza pensare
alle conseguenze, lavorando altruisticamente e con
determinazione, era naturalmente ci� che ci si
sarebbe dovuti aspettare da un vero cristiano. Noi
non crediamo all'"occhio per occhio" degli ebrei''
(55).

Siri

Il vescovo di Genova Siri era il terminale genovese della rete
del vescovo Hudal. ``Era uno dei principali coordinatori di
un'organizzazione internazionale il cui scopo era quello di
provvedere all'emigrazione di europei anticomunisti in
Sudamerica. Questa classificazione generale di anticomunisti
comprende, ovviamente, tutte le persone compromesse
politicamente agli occhi dei comunisti, vale a dire fascisti,
ustascia e altri gruppi del genere. [...] Siri rappresentava il
contatto di Walter Rauff nella messa a punto del sistema usato
da Hudal per far fuggire clandestinamente dall'Europa i
latitanti tedeschi'' (117).

``Anche se pensava soprattutto a mantenere la propria
organizzazione, Siri sapeva tutto sulla rete croata'' e aiutava
talvolta Petranovic ``dandogli una mano ogni volta che
poteva'' (117).

Krunoslav Draganovic

Prete croato, stretto collaboratore di Ante Pavelic, sia durante
che dopo la guerra. In quanto ``rappresentante croato
all'Intermarium in veste quasi ufficiale'' (65) si impegn� a far
fuggire molti criminali ustascia ed a organizzare il movimento
dei krizari. Era noto come "l'eminenza grigia dei Balcani"
(123) ed anche ``come "il prete d'oro" poich� controllava gran
parte del tesoro rubato'' alle vittime degli ustascia durante la
guerra (133).

Nacque nel 1903 a Brcko, in Bosnia, e prese i voti nel 1928.
Dal '32 al '35 studi� al Pio Pontificio Istituto Orientale e
all'Universit� Gregoriana Pontificia, lavorando negli archivi
vaticani (66). ``Divenne in seguito segretario del vescovo di
Sarajevo Ivan Saric, che raggiunse una certa notoriet� durante
la guerra come boia dei Serbi'' (66,136).

``Quando i nazisti occuparono Zagabria nell'aprile del 1941,
era professore di teologia all'universit� locale. In seguito
raccont�:

Quando venne proclamato lo stato croato
indipendente ero in attesa a Zagabria con le
lacrime agli occhi. Pensavo che la nazione croata,
dopo otto secoli, avesse finalmente realizzato il
suo pi� profondo desiderio d'indipendenza e
d'autonomia'' (106).

(In realt� lo stato croato non era per nulla indipendente: era
uno stato fantoccio impiantato dai Tedeschi senza che i Croati
avessero neanche dovuto combattere)

``Era vicepresidente dell'Ufficio per la Colonizzazione
ustascia. Questo ufficio costituiva parte integrante della
macchina usata dai nazisti per il genocidio, poich� disponeva
dei serbi o degli ebrei destinati allo sterminio, oppure, se
erano molto fortunati, alla deportazione'' (106).

``Draganovic era un criminale di guerra latitante: la
Commissione Jugoslava per i Crimini di Guerra mise a
verbale che il sacerdote era stato un alto funzionario del
comitato addetto alla conversione forzata al cattolicesimo dei
serbi ortodossi. Inoltre aveva scoperto il suo ruolo di primo
piano nella requisizione forzata di cibo durante la sanguinosa
offensiva anti-partigiana compiuta dai nazisti sul Monte
Kozara, nella Bosnia occidentale, durante l'estate del 1942.
Fu la stessa offensiva in cui l'ex-presidente austriaco Kurt
Waldheim svolse un ruolo di primo piano come ufficiale
nazista. Pavelic confer� a Waldheim un'importante
decorazione per i suoi servigi e poi, alla fine della guerra, lo
segu� in Austria'' (105-106).

``Nell'agosto del 1943, Pavelic e l'arcivescovo Stepin�c
inviarono Draganovic a Roma [con la carica di] rappresentante
ustascia in Vaticano [per] costruire la rete clandestina per
l'espatrio dei nazisti'' (107). In tale veste, ed in quella di
rappresentante della Croce Rossa croata, inizi� a preparare i
percorsi di fuga per i criminali di guerra (66).

``Riceveva l'appoggio dell'arcivescovo di Croazia, Aloysius
Stepin�c, che gli aveva procurato influenti contatti in
Vaticano'': si incontrava regolarmente con il segretario di
Stato Maglione, con il vicesegretario di Stato Montini (il
futuro papa Paolo VI), e persino con papa Pio XII (66-67,94).

Divenne segretario della Confraternita croata di San
Girolamo, situata a Roma, in Via Tomacelli 132 (65).
``Fondata nel 1453 con il patrocinio di papa Nicola V, la
Confraternita di San Girolamo aveva sfornato alcuni dei pi�
eminenti studiosi, scienziati, scrittori e preti della Croazia''
(66).


Nel dopoguerra sar� lui a coordinare e dirigere il movimento
ustascia in Italia (108), facendo fuggire i criminali di guerra
attraverso la sua rete clandestina e reclutandoli per entrare a
far parte dei krizari (131).

``Draganovic era non soltanto un capo del Partito Clericale
Croato, ma anche uno dei maggiori leader dei krizari.
Manteneva eccellenti contatti con le sue forze all'interno della
Croazia e riceveva il sostegno della Chiesa Cattolica'' (137).

``Nell'estate del 1945, Draganovic fece personalmente un giro
dei campi in cui erano stati sistemati ex-componenti delle
forze armate e delle organizzazioni politiche ustascia. Avvi�
ben presto un'intensa attivit� politica e prese contatto con i
principali rappresentanti ustascia. In questo era assistito da
altri sacerdoti croati, con l'aiuto dei quali si mantennero
stretti rapporti fra la Confraternita di San Girolamo e i gruppi
ustascia in tutta Italia e anche in Austria. Ci� condusse alla
formazione di un servizio di spionaggio politico che permise
alla Confraternita di raccogliere resoconti e dati sulle
tendenze politiche tra gli emigrati. � altres� probabile che le
informazioni apprese da questi rapporti venissero poi
trasmesse al Vaticano'' (107).

Si sospetta che Draganovic agisse nell'ambito del servizio
segreto vaticano, agli ordini di monsignor Angelo Dell'Acqua;
sono inoltre confermati ``stretti legami tra Draganovic e i
servizi segreti italiani'' (123).


Draganovic ``dichiarava inequivocabilmente che coloro i
quali hanno commesso crimini di guerra, soprattutto crimini
contro l'umanit�, devono essere puniti. Tuttavia sosteneva che
proprio i pi� colpevoli non avrebbero dovuto essere classificati
come criminali di guerra'' (119). ``Le uniche persone
condannate da Draganovic come criminali di guerra furono i
soldati che s'insanguinarono effettivamente le mani [...]. Egli
escludeva [...] i politici che avevano effettivamente decretato le
leggi razziali che avevano reso legale la strage'' (120).

Vilim Cecelja

``Schedato dal governo di Tito come criminale di guerra
numero 7103'' (101), questo prete ustascia collabor�
attivamente con il regime di Ante Pavelic durante la guerra, e
dopo divenne il collegamento austriaco della rete di
Draganovic (100).

``Dieci giorni dopo che Pavelic fu messo al potere dai nazisti,
il quotidiano ufficiale ustascia "Hrvatsky Narod" (Nazione
Croata) pubblic� una lunga intervista con Cecelja. L'articolo
s'intitolava "Il prete ustascia Cecelja" e rivelava quelle che
erano, all'epoca, le sue vere attitudini. Nel corso di esso,
Cecelja si vantava dell'importante ruolo svolto, prima della
guerra, nelle attivit� illegali del movimento a Zagabria, dove
molti capi ustascia che operavano clandestinamente s'erano
incontrati in segreto nella sua parrocchia.

Ammise [di fronte agli autori di Ratlines, che lo intervistarono
nel 1989] di aver fatto parte segretamente del movimento
ustascia, descrivendo con orgoglio il giuramento rituale che
aveva compiuto davanti a due candele, a un crocifisso e a una
spada e una pistola incrociate. Ci� gli valse il titolo di
"Ustascia Giurato", concesso soltanto a coloro che militavano
nel partito da prima della guerra. Successivamente il prete
fascista offr� a Pavelic il suo crocifisso e le sue candele in
segno di devozione. Cecelja parl� con orgoglio anche del suo
ruolo di primo piano nel coordinamento di 800 contadini che
combatterono a fianco dei nazisti invasori.

Quando ci fu bisogno di un sacerdote per officiare alla
cerimonia del giuramento di Pavelic, Cecelja fu ben lieto di
farlo, impartendo cos� la benedizione della Chiesa al regime
fantoccio dei nazisti. Poco tempo dopo, in pubblico, Cecelja
"salut� con gioia il momento di libert�", proclamando
apertamente i suoi stretti collegamenti con i maggiori ministri
del gabinetto ustascia, come Mile Budak. Qualche settimana
pi� tardi Budak annunci� pubblicamente il destino di due
milioni di serbi in Croazia: un terzo doveva essere ucciso, un
altro terzo deportato e il resto convertito con la forza al
cattolicesimo. Cecelja, tuttavia, non modific� il suo
atteggiamento benevolo nei confronti di Budak'' (101).

Fece parte ``della delegazione ufficiale di Pavelic a Roma,
benedetta in Vaticano da Pio XII il 17 maggio del 1941. A
quell'epoca il dittatore croato aveva gi� promulgato le sue
leggi contro i serbi e gli ebrei e il genocidio era in corso. La
principale conquista della delegazione fu la cessione della
costa dalmata all'Italia, cosa che non rappresent� certo un
atto di patriottismo croato'' (101).

``Cecelja ha tranquillamente ammesso di essere stato
cappellano militare nelle forze ustascia durante la guerra, [...]
nominato da Pavelic in persona nell'ottobre del 1941 e pi�
tardi confermato dal suo caro amico, l'arcivescovo (in seguito
cardinale) Aloysius Stepin�c'' (101).

``Nel maggio del 1944 abbandon� finalmente la sua carica [di
cappellano militare] per recarsi a Vienna, ufficialmente per
prendersi cura dei soldati croati feriti in battaglia. In realt�, il
suo compito era quello di preparare il capo austriaco della
rete per l'espatrio clandestino dei criminali nazisti, per cui
fond� anche la sezione locale della Croce Rossa Croata, che
forniva una copertura ideale alla sua attivit� illecita'' (102).
A proposito della Croce Rossa Croata, bisogna far notare che
la stessa Croce Rossa Internazionale si rifiut� di riconoscerla,
``pur offrendole ufficiosamente notevole assistenza'' (102).

``Un diplomatico americano sollev� Cecelja da qualsiasi
accusa di collaborazionismo con i nazisti. Il console
americano a Zagabria afferm� che il sacerdote era stato
esiliato a Vienna da Pavelic per il suo ruolo in un complotto
anti-ustascia.'' Queste affermazioni erano tuttavia smentite
dal fatto che ``Cecelja continu� a viaggiare su aerei ufficiali
degli ustascia tra Vienna, Zagabria, Praga e Berlino.'' Egli
inoltre ``ricevette da Zagabria l'ordine di condurre un'intensa
campagna propagandistica tra gli ustascia presenti in
Austria'' (102).

Nel 1945, Cecelja si trasfer� da Vienna a Salisburgo: ``il
sacerdote ustascia era provvisto di documenti americani e
della Croce Rossa che gli permisero di viaggiare liberamente
attraverso la zona di occupazione statunitense'' (102-103).
``Il 19 ottobre del 1945 venne arrestato dal quattrocentesimo
distaccamento CIC dell'esercito degli Stati Uniti. Rimase in
carcere per i 18 mesi successivi.'' In agosto 1946 ``il governo
jugoslavo richiese la sua estradizione come traditore,
descrivendone accuratamente le attivit� in favore degli
ustascia durante la guerra'' (103).

Tuttavia nel marzo 1947 Cecelja venne rilasciato e ci�
malgrado la ``decisione da parte dell'Extradition Board
americano in Austria di approvare la richiesta jugoslava''
(104). Avevano parlato a suo favore: l'arcivescovo Stepin�c; il
vescovo americano Joseph Patrick Hurley, che si trovava in
Jugoslavia come rappresentante del papa; il Foreign Office
inglese, secondo il quale ``la maggior parte delle sue azioni
[era] stata di carattere umanitario e non politico''; il console
americano a Zagabria, per il quale Cecelja era un ``sacerdote
di sani principi''; ed il Segretario di Stato americano George
Marshall (103-104).


Cecelja partecip� anche alla costituzione del movimento dei
krizari: ``era noto come uno dei principali organizzatori
ustascia in Austria, dove partecipava regolarmente a raduni
militari e faceva infuocati discorsi ai fedeli riuniti'' (104).

``In seguito, fu direttamente implicato dalle autorit� del
controspionaggio australiano in una serie di azioni
terroristiche intraprese da cellule ustascia operanti a Sidney e
Melbourne'' (104). Nel 1957 ottenne un visto per visitare gli
Stati Uniti (104).

``Cecelja mor� qualche mese dopo aver concesso
un'intervista'' agli autori di Ratlines (100). Ha ``trascorso i
suoi ultimi anni di vita in un pittoresco villaggio appena fuori
Salisburgo, dove le suore del convento Maria Pline si
prendevano cura di lui'' (100). All'epoca dell'intervista aveva
80 anni ed ``era ancora molto fiero dell'importante ruolo che
aveva svolto in favore della sua amata Croazia. Pur criticando
gli ustascia per aver procurato una brutta reputazione ai
Croati, non mostrava n� senso di colpa n� rimorso'' (100).

Nell'intervista rilasciata nel 1989, Cecelja ammise:

``Fui fiero di aiutare questi fuggiaschi,
registrandoli e offrendo loro cibo, alloggio e
documenti di immigrazione, nonch� l'opportunit�
di spostarsi in giro per il mondo fino in Argentina.
Ricevevo i documenti dalla Croce Rossa''
(104-105).

Karlo Petranovic

Nel 1934 divenne parroco di Ogulin, ``un distretto composto
sia da serbi sia da croati'' (114). ``Quando i nazisti invasero
la Jugoslavia nell'aprile del 1941, Petranovic era cappellano
nell'esercito'' (114). ``Si era unito al movimento [ustascia]
subito dopo l'invasione'' (114).

``Fu chiamato a ricoprire cariche ufficiali molto alte e
influenti. [...] Gli era stato conferito il grado di capitano
nell'esercito ustascia e aveva accettato la carica di vice del
capo ustascia di Ogulin. [...] Egli divenne un fattore molto
importante nella politica locale del regime ustascia, che
decideva della vita e della morte dei serbi di Ogulin e del
distretto circostante. [...] Tale politica consisteva nel seminare
il terrore tra la popolazione serba completamente innocente e
si risolse nello sterminio di circa duemila serbi locali'' (114).

``Una volta aveva diretto l'arresto e l'esecuzione di eminenti
personalit� serbe. Un'altra volta il prete, a quanto si diceva,
fu responsabile del prelevamento dall'ospedale di Ogulin di
cinque o sei pazienti serbi che furono uccisi nelle circostanze
pi� brutali. Un altro episodio fu l'assassinio del dottor Branko
Zivanovic, avvenuto il 31 luglio del 1941. [...] Petranovic
aveva collaborato all'organizzazione degli arresti di massa dei
serbi di Ogulin e del distretto, che furono derubati e uccisi,
alcuni a Brezno, gli altri vicino al villaggio di St. Petar. [Ebbe
un ruolo] nella morte di circa un centinaio di serbi alla fine di
luglio, un massacro compiuto in seguito a una decisione presa
dal comitato ustascia di Ogulin, di cui Petranovic era un alto
e influente membro. [...] Il comitato ustascia di Ogulin, di cui
Petranovic era funzionario, fu responsabile dell'invio di
centinaia di serbi e di croati del posto ai campi di
concentramento degli ustascia, cosa che si concluse con lo
sterminio della maggior parte di queste persone'' (115).

Nel 1947 gli jugoslavi ne chiesero l'estradizione agli inglesi
(114), ma questa non fu concessa. Fino ad oggi, Petranovic ha
continuato a negare i suoi crimini di guerra, affermando che
non era stato messo al corrente di quanto accadeva (114).


Nel 1989 Petranovic fu intervistato dagli autori di Ratlines.
``A domande relative alle sue attivit� postbelliche, Monsignor
Petranovic rispose ammettendo senza problemi di aver aiutato
un paio di migliaia di persone a lasciare l'Italia via Genova''
(115).

Al termine della guerra ``fu inviato al confine
austro-jugoslavo, dove poteva muoversi liberamente tra gli
ustascia in fuga. Si stabil� per un certo tempo a Graz, dove si
nascondevano molti famigerati criminali di guerra. L� fu
aiutato nel suo lavoro dal vescovo Ferdinand Pawlikowski, che
ottenne dal capo della polizia locale il permesso di far
rimanete Petranovic a Graz. Da l� il sacerdote croato riusc� a
scendere fino a Trieste, dove il vescovo locale provvide al suo
alloggiamento; poi prosegu� verso Milano, dove venne aiutato
dal cardinale Schuster, per arrivare finalmente a Genova verso
la fine del 1945. Voleva recarsi presso la Confraternita di San
Girolamo a Roma, ma era gi� piena; perci� rimase a Genova e
divenne l'agente locale di Draganovic'', dopo essere stato
assoldato da questi in persona durante una visita a Genova
(115-116).

Petranovic manteneva ``ottimi collegamenti nella gerarchia
ecclesiastica, soprattutto con il vescovo di Genova Siri'', il
quale era il terminale genovese dell'altra rete di fuga, quella
del vescovo Hudal (117).

Monsignor Petranovic ``ha oggi quasi 80 anni e, negli ultimi
tre decenni � vissuto a Niagara Falls, in Canada'' (113).

Gregory Rozman

``Durante la guerra, in assenza di Krek, [il vescovo di
Lubiana] Rozman si era assunto la responsabilit� del Partito
Clericale Sloveno, stabilendo stretti contatti sia con i fascisti
italiani sia con i nazisti'' (138). ``Verso la met� del 1942 and�
in Vaticano per una missione segreta, consistente nel chiedere
a Pio XII armi, cibo uniformi e altro equipaggiamento
essenziale per il suo esercito anticomunista cattolico. Di
conseguenza, gli italiani rifornirono le forze armate di
Rozman. Dietro suo suggerimento, un certo numero di preti
assunse anche ruoli chiave a livello militare e spionistico per
conto delle potenze dell'Asse.

Quando, nel settembre del 1943, gli italiani capitolarono,
Rozman fece in modo che il passaggio al dominio nazista fosse
il pi� facile possibile, suggerendo al gauleiter di Hitler la
formazione della Guardia Nazionale Slovena. Questa Guardia
Nazionale era completamente sotto il controllo tedesco, poich�
obbediva direttamente agli ordini del capo delle SS locali e
della Polizia Superiore. Fu tristemente nota per i suoi
massacri di civili, soprattutto sostenitori dei partigiani guidati
dai comunisti, mentre la polizia segreta conduceva una
campagna terroristica sotto la direzione della Gestapo.

Mentre avevano luogo queste atrocit�, Rozman sosteneva
entusiasticamente la causa nazista, emettendo numerosi
appelli affinch� gli Sloveni combattessero dalla parte della
Germania. La sua Lettera Pastorale del 30 novembre 1943
rappresent� un'espressione tipica del tono filonazista che
caratterizzava l'opera spirituale del vescovo. Dopo aver
sollecitato i suoi fedeli a combattere per la Germania,
sottoline� che soltanto "per mezzo di questa coraggiosa lotta e
di questo industrioso lavoro per Dio, per il popolo e per la
terra dei padri [gli Sloveni si assicureranno], sotto la guida
della Germania, la [loro] esistenza e un futuro migliore, nella
lotta contro la congiura ebraica"'' (138-139).

Nel 1943 fu ``fotografato sul palco con il comandante delle SS
locali, [il generale Rosener,] durante una cerimonia ufficiale.
La Guardia Nazionale aveva appena giurato di presentare
servizio sotto la guida di Hitler, e stava marciando di fronte al
suo ufficiale di comando. Il generale delle SS se ne stava
rigido sull'attenti, facendo il saluto nazista, mentre il vescovo
dava la pia approvazione al suo esercito collaborazionista''
(139).
(La stretta di mano fra Rozman e Rosener � raffigurata nella
fotografia nei risguardi della copertina del libro.)

``Sei mesi prima della fine della guerra, Krek e monsignor
Preseren perorarono la causa di Rozman presso il papa. Nel
corso di un incontro con Pio XII tenutosi il 26 novembre del
1944, consegnarono al pontefice la lettera personale del
vescovo. Rozman esponeva per sommi capi il suo piano per uno
sforzo, appoggiato dall'Occidente, destinato a sconfiggere i
partigiani di Tito e a instaurare un governo filooccidentale.
Non appena cessarono le ostilit�, il Vaticano intraprese una
campagna per ottenere la libert� del suo vescovo, chiedendo
ripetutamente che gli venisse concesso un salvacondotto
dall'Austria per potersi rifugiare presso la Santa Sede. Si
offrirono persino di inviare un sacerdote appositamente scelto
fino a Klagenfurt, [nella zona di occupazione inglese,] per
prendere Rozman. L'uomo scelto per questo compito fu
nientemeno che padre Draganovic.'' La missione ebbe luogo
nel maggio 1945 (139).

``Gli inglesi [con la complicit� statunitense] gli permisero di
fuggire e di svolgere un ruolo di primo piano nell'ambito del
movimento dei krizari'' (139-140). La decisione degli inglesi
di lasciar fuggire Rozman consegu� dalle pressioni di Krek
``sul Foreign Office, tramite i buoni uffici di un membro
laburista del Parlamento'' (140). ``L'11 novembre del 1947
Rozman spar� dal palazzo del vescovo di Klagenfurt e [...] si
rec� a Salisburgo per mettersi sotto la protezione
dell'arcivescovo Rohracher. [...] Aveva lasciato Klagenfurt in
un'automobile del personale dell'esercito americano, guidata
da un autista americano'' (142).

``Rozman, non appena fuggito da Klagenfurt, aveva ripreso
con entusiasmo il suo lavoro per il movimento clandestino
nazista. Il vescovo collaborazionista s'era unito ai krizari''
per finanziare i quali si dedic� al recupero del tesoro di guerra
(142). ``Alla fine di maggio 1948, Rozman [...] viaggi� fino
agli Stati Uniti e si stabil� a Cleveland, nell'Ohio'' (143).

Dragutin Kamber

Era ``legato alla Confraternita di San Girolamo, all'interno
della quale aveva studiato dalla fine degli anni Venti ai primi
anni Trenta'' (108). ``Dal 1936 era stato membro del partito
ustascia'' (108). ``Il sacerdote era stato anche ufficiale della
famigerata guardia del corpo personale di Pavelic'' (108).

``Padre Dragutin Kamber era un sanguinario responsabile di
omicidi di massa'' (108). ``Dopo l'invasione da parte
dell'Asse, fu messo a capo dell'amministrazione ustascia nella
citt� di Doboj, [in Bosnia,] e uno dei primi provvedimenti che
prese fu quello di istituire un campo di concentramento, di cui
era comandante lui stesso. Introdusse nel distretto le regole
razziali naziste e, di conseguenza, ordin� agli ebrei e ai serbi
di portare intorno al braccio rispettivamente una fascia gialla
e una fascia bianca. In seguito proclam� che i serbi e gli ebrei
dovevano essere sterminati in quanto dannosi per lo stato
ustascia'' (108).

``A Doboj, comp� arresti in massa e fece internare i serbi.
Molte delle vittime venivano spesso portate in casa di Kamber
per essere interrogate e, dietro suo ordine, uccise nelle cantine.
I primi ad essere assassinati in questo modo furono i sacerdoti
e gli insegnanti serbi'' (108).

Milan Simcic

``Uno dei colleghi pi� vicini a Draganovic nella rete per
l'espatrio clandestino dei criminali di guerra'' (100).
``Lavorava all'interno della Confraternita di san Girolamo e
aiutava Draganovic nelle sue operazioni'' (110). ``Lavor�
diversi anni per la ratline a Roma'' (122).

``Oggi Simcic � un alto funzionario vaticano e ammette
apertamente che la Confraternita di San Girolamo protesse
eminenti fuggiaschi ustascia. [...] Ha detto con assoluta
chiarezza che il dottor Draganovic si prendeva cura a parte
delle persone pi� importanti, tra cui ex-ministri del governo
ed ex-capi di polizia'' (124). Sempre secondo la
testimonianza di Monsignor Simcic, ``il dottor Draganovic e
Montini s'incontrarono molte volte per parlare dell'operato
della Confraternita di San Girolamo'' (125).

Dominik Mandic

Era ``rappresentante ufficiale del Vaticano presso la
Confraternita di San Girolamo: [...] era, inoltre, un alto
funzionario dell'ordine francescano, poich� ricopriva la carica
di economo generale (tesoriere)'' (109). ``Mandic era l'alto
funzionario francescano che mise la stampatrice dell'ordine a
disposizione della Confraternita di San Girolamo in modo da
poter fornire le carte d'identit� false ai fuggiaschi'' (128).
``Padre Dominik Mandic controllava le finanze dell'istituto di
san Girolamo con notevole destrezza [nella veste di] tesoriere
della

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From: "tribunale clark" <tribunaleclark@...>
Subject: Iniziative Tribunale Clark
Date sent: Fri, 8 Jun 2001 18:22:20 +0200


Con la riunuione del 26 maggio a Roma la Sez. Italiana del
Tribunale contro i crimini della Nato ha stabilito di riprendere
prima della fine della stagione, alcuni temi centrali su cui chiamare
all' iniziativa in modo ampio e diversificato i vari soggetti che nel
periodo passato non hanno accettato le criminali iniziative della Nato
e del nostro Governo D'Alema.

Tra queste abbiamo rimesso al centro dell'iniziativa :

1) L'illegalita' della guerra e dell'aggressione alla Jugoslavia.
2) I danni provocati dall'Uranio Impoverito e dai bombardamenti chimici.
3) Le falsita' delle conclusioni della "Commissione Mandelli"
4) L'illegalita' del Tribunale Internazionale dell'Aja.
5) L'arresto di Milosevic dettato dal ricatto occidentale, ennesima
violazione del diritto internazionale.

---

Gli appuntamenti pubblici che conferemero con maggiori dettagli
nei prossimi giorni sono i seguenti:

DOMENICA 24 GIUGNO - MILANO ORE 21.00

ALL'INTERNO DELLA FESTA PROVINCIALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
INIZIATIVA A CURA DELLA SEZIONE ITALIANA DEL TRIBUNALE CLARK:

DAI BOMBARDAMENTI IN JUGOSLAVIA E L'USO DELL'URANIO IMPOVERITO,
AL TRIBUNALE DELL'AJA E L'ARRESTO DI MILOSEVIC:
IL DIRITTO INTERNAZIONALE VISTO DALL'IMPERIALISMO.

INTERVENGONO:

FALCO ACCAME
FULVIO GRIMALDI
CARLO PONA
PAOLO PONA
ALDO BERNARDINI

introduce STEFANO DE ANGELIS

inoltre PROIEZIONE DEL FILMATO :
PATRIA PALESTINA
Di Fulvio Grimaldi


SABATO 30 GIUGNO - ROMA ORE 10.00
LUOGO DA DEFINIRE.

RIUNIONE NAZIONALE DELLE STRUTTURE INTERESSATE
AL MANTENIMENTO DELL'INIZIATIVA CONTRO LA NATO,
CONTRO LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE,
PER L'ABOLIZIONE DELL'URANIO IMPOVERITO .


-------------

Con questo messaggio intendiamo invitarvi direttamente alle iniziative
in programma con particolare rilievo alla riunione di Roma del 30 giugno,
la quale sarà una riunione di lavoro che dovra' chiarire in che modalita'
proseguire le attivita' sulle tematiche esposte.

Vi chiediamo quindi di farci avere per tempo suggerimenti e adesioni
sulle iniziative in programma.


la Sez. Italiana del Tribunale Clark


------- End of forwarded message -------
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Subject: Herman vs Hitchens on Kosovo: Letter to The Nation
Date: Tue, 12 Jun 2001 18:10:12 -0700 (PDT)
From: Rick Rozoff



LETTER TO THE EDITORS AT THE NATION
Edward S. Herman
David Peterson
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----------------------------------------------
June 11, 2001

Letter To the Editors of The Nation on Christopher
Hitchens' Minority Report "Body Count in Kosovo"

>>From Edward S. Herman and David Peterson

In "Body Count in Kosovo" (The Nation, June
11, 2001), Christopher Hitchens outdoes even his
previous efforts at rewriting the history of the
break-up of Yugoslavia, carrying out his vendetta
against the Serbs, and apologizing for NATO's war in
Kosovo.
Hitchens' characterization of the opposition
to NATO's bombing campaign as based on the belief that
"casualties among Kosovo Albanians were not
sufficiently high to warrant the NATO intervention" is
nothing more than a straw man of his own invention.
Although there are legitimate questions to be raised
as to how high the Kosovo Albanian casualties were,
and how important those casualties were in impelling
NATO to war, contrary to Hitchens, the Left's main
objections to the war were that it was a case of Great
Power aggression carried out in violation of the U.N.
Charter and international law, and that it would "not
solve any human problem, but [would] only multiply the
existing problems," as Jiri Dienstbier, the Czech U.N.
rapporteur for human rights in Kosovo, characterized
the war's actual result.
Of course, Dienstbier was weighing the
impact of the war not only on the Kosovo Albanians,
but also on the Serbs as well as other peoples in the
region. But a notable feature of Hitchens' writings on
Kosovo has been his racist attitude toward the Serbs,
an attitude that now extends to the other ethnic
minorities in the province as well. Thus, for example,
in his "Genocide and the Body-Baggers" (The Nation,
Nov. 29, 1999), Hitchens led The Nation's readers in a
rousing cheer for NATO's good deeds in Kosovo: "The
NATO intervention repatriated all or most of the
refugees and killed at least some of the cleansers. I
find I have absolutely no problem with that." Here
Hitchens ignores the fact that Kosovo's massive
refugee crisis of 1999 followed the onset of NATO's
bombing campaign rather than preceded it. Note also
that in Hitchens' revealing word usage, "refugees" is
an ethnically pure concept and serves to denote only
Kosovo Albanians. For Hitchens, the only Kosovars who
count are ethnic Albanians; the demon Milosevic's
populace, along with the rest of the province's
shrinking ethnic minorities, are "unpeople" (John
Pilger's term)--and any negative consequences that
NATO's actions have had for them are of no interest or
relevance to Hitchens' evaluation of policy.
Hitchens contends that the bombing campaign
was both necessary and justified because "It was plain
enough that Milosevic wanted the territory of Kosovo
without the native population, and that a plan of mass
expulsion, preceded by some exemplary killings, was in
train. The level of casualties would depend on the
extent of the resistance that the execution of the
plan would encounter." Although as a supporter of the
war the burden of proof for such a claim should rest
on Hitchens' shoulders, neither he nor anyone else has
ever provided evidence for the existence of any "plan
of mass expulsion." Hitchens regularly implies that
because the Serbs reacted as they did in Kosovo when
NATO began its bombing war, and were clearly ready to
take such an action, this proves they would have done
exactly the same thing under any circumstances. But as
every military power has a spectrum of contingency
plans most of which will never be implemented, this is
a blatant non-sequitur. NATO's propaganda claim that
Belgrade used the bombing campaign to execute
"Operation Horseshoe"--an alleged plan to cleanse
Kosovo of its ethnic Albanian population, but whose
existence NATO had never mentioned until after the
bombs started to fall--has been utterly discredited.
(See the book by Germany's retired Brigadier General
Heinz Loquai, Der Kosovo-Konflikt. Wege in einen
vermeidbaren Krieg ("The Kosovo Conflict: A War That
Could Be Avoided," Durchschnittliche Kundenwertung,
2000).)
In his discussion of this "plain enough"
Serb plan, Hitchens consistently avoids dealing with
the fact that under an October 1998 agreement,
Belgrade had allowed a substantial OSCE observer
mission in Kosovo, and was prepared to permit the
extension of such a mission at Rambouillet. (See the
Agreement For Self-Government In Kosomet, signed among
others by the Government of the Federal Republic of
Yugoslavia and the Government of Serbia but rejected
by the Contact Group and the KLA in Paris on March 18,
1999, reproduced at
http://www.ius.bg.ac.yu/apel/agreemen.htm.)
Although the actual mission was highly compromised
from the start by U.S. intelligence agents working
under the cover of the OSCE for non-mandated
objectives (as a Swiss member of the OSCE's observer
mission in Kosovo told the Italian journal La Libert�,
"We understood from the start that information
gathered by OSCE patrols during our missions was
destined to complete the information that NATO had
gathered by satellite. We had the very sharp
impression of doing espionage work for the Atlantic
Alliance."),
nonetheless, a Yugoslav parliamentary Resolution
adopted the day before the start of the war vigorously
condemned the withdrawal of the monitors. (See
"Parliament says country will defend itself from any
attack," BBC Summary of World Broadcasts, March 25,
1999, which reproduces in full the text of the
Resolution adopted by The National Assembly of the
Republic of Serbia on March 23, 1999.) Hitchens'
failure to mention the OSCE observers can only be
explained by the fact that such evidence is not
compatible with the "plain enough.plan of mass
expulsion."
Nor is there the slightest evidence that
there were "exemplary killings" designed to induce
general flight, as opposed to killings in an ugly and
brutal civil conflict. In an internal report prior to
the bombing, the German Foreign Office had even denied
that the refugee flows in and out of Kosovo
constituted a case of "ethnic cleansing," contending
instead that this was the familiar pattern in a nasty
civil conflict. "[The] actions of the security forces
[were] not directed against the Kosovo-Albanians as an
ethnically defined group, but against the military
opponent and its actual or alleged supporters," the
German Foreign Office determined. (See "Important
Internal Documents from Germany's Foreign Office
Regarding Pre-Bombardment Genocide in Kosovo," trans.
Eric Canepa, reproduced at
http://www.suc.org/kosovo_crisis/documents/ger_gov.html.)
What is more, the evidence produced by NATO, the OSCE,
the State Department and the Pentagon, the British
House of Commons' Defense Review, the U.N., the Red
Cross, forensic teams from at least 16 different
countries, and all of the NGOs that have set up camp
in Kosovo, uniformly fails to support the claims of
the West's political leadership and the New
Humanitarians that, whether prior to or during the
war, a Rwanda-style crisis was in the offing. (On the
question of whether there was any evidence of imminent
atrocities prior to the withdrawal of the observers
and the onset of NATO's bombing, see Noam Chomsky's
analysis in his book, A New Generation Draws the Line:
Kosovo, East Timor, and the Standards of the West
(Verso, 2000), Ch. 3, "Kosovo in Retrospect," pp.
94-147.)
Furthermore, evidence has now surfaced
showing that the CIA, working largely through
corporate-sector firms such as Military Professional
Resources Inc. and DynCorp, had been aiding and
training the KLA prior to the bombing, and KLA
representatives have openly acknowledged that they
were trying to provoke the Serbs to actions that would
provide NATO with the jus belli that it was looking
for to launch the war. (See Tom Walker and Aidan
Laverty, "CIA aided Kosovo guerrilla army," Sunday
Times (London), March 12, 2000; Peter Beaumont, Ed
Vulliamy and Paul Beaver, "CIA's bastard army ran riot
in Balkans," The Observer (London), March 11, 2001;
and Rory Carroll, "Crisis in the Balkans: West
struggles to contain monster of its own making," The
Guardian (London), March 12, 2001).) Thus, Hitchens'
statement that "the level of casualties would depend
on the extent of resistance" is misleading not only as
regards the mythical "plan of mass expulsion," it also
ignores the fact that casualties would depend heavily
on the success of the planned provocations.
"As to Racak," Hitchens writes, "it might be
argued that Western policy-makers seized too fast on
the evidence of a Bosnian-style bloodbath, but...it
would be tough to argue that a 'wait and see' policy
would have been morally or politically superior. Wait
for what? Wait to see what?" Apart from the problems
of the non-existent evidence of a bloodbath and NATO's
underwriting of provocations, with the Racak case
there is strong evidence that those "Western
policy-makers" didn't just "seize too fast" on claims
of a massacre at Racak, they even helped create those
claims in order to justify a decision taken perhaps as
early as the summer of 1998 to bomb Serbia and teach
it as well as other potential "rogue states" a lesson
in who's the boss, and to teach the peoples of Europe
that they cannot live without NATO's protection. (For
material that raises doubts about NATO's contention
that the incident at Racak was a "massacre" of 40
unarmed Kosovo Albanian civilians, see "Finnish
experts find no evidence of Serb massacre of
Albanians," Deutsche Presse Agentur, January 17, 2001;
J. Rainio, K. Lalu, A. Penttil�, "Independent forensic
autopsies in an armed conflict: investigation of the
victims from Racak, Kosovo," Forensic Science
International, Vol. 116, Issue 2-3, 2001, pp. 171-185;
and the critical comments by Dusan Dunjic of
Belgrade's Institute for Forensic Medicine, "The
(Ab)Use of Forensic Medicine," reproduced at
http://www.suc.org/politics/kosovo/documents/Dunjic0499.html.)

As to "wait to see what," this is a phony
and misleading question, as the Great Powers didn't
have to "wait" for anything; they were always in a
very strong position to negotiate even with the hated
Milosevic for greater Kosovo autonomy and a stronger
international observer presence. Belgrade had agreed
to a number of compromises during the previous decade.
Among others, Milosevic supported the Vance Plan of
1991, the Jose Cutillero Plan of 1992 (a plan vetoed
by the Muslim side in Bosnia-Herzegovina), the
Vance-Owen Plan of 1993 (a plan eventually sabotaged
by U.S. authorities, as Owen describes in his
memoirs), and the Owen-Stoltenberg Plan of 1993 (also
vetoed by the United States). But in this case neither
the KLA nor NATO--nor for that matter Christopher
Hitchens-were interested in compromise or
negotiations.
In dealing with the events in Kosovo that
followed the March 24, 1999 beginning of NATO's
bombing campaign, Hitchens takes the refugee flows
that resulted from the fighting as proof that Belgrade
had planned to expel the Albanian population all
along, thereby reversing cause and effect, exactly as
NATO officials have done. While he drags in Rwanda,
saying that "we'll never know if another Rwanda was
prevented or not, since another Rwanda did not in fact
take place," he fails to explain why the Serbs didn't
engage in mass killings of Kosovo Albanians even under
the stress of wartime conditions, even in areas of
great KLA influence and fighting with the KLA. During
the war, NATO propagandists were proclaiming mass
extermination and even genocide, but these were lies.
So, contrary to Hitchens once again, one thing we do
know is that crimes on the scale of Rwanda did not
take place even under brutal, wartime conditions.
Hitchens ignores the evidence now openly
acknowledged by NATO officials that the KLA was
working in close military coordination with NATO
during the bombing period, and that the intensity of
Serb attacks was closely related to strategic military
factors, including the operational presence of the KLA
in the various theaters of combat. (See Daniel Pearl
and Robert Block, "War in Kosovo Was Cruel, Bitter,
Savage; Genocide It Wasn't," Wall Street Journal, Dec.
31, 1999.) Across Kosovo's 29 municipalities, ethnic
Albanians did not flee the territory uniformly. Nor
were they alone-members of all ethnic groups fled
areas where fighting took place. Municipalities in
different parts of Kosovo where the KLA's presence was
thin saw relatively little fighting and therefore
little refugee flow. This was particularly true prior
to the withdrawal of the observers and the start of
the bombing campaign. (On this, see the report
published by the OSCE, Kosovo/Kosova: As Seen, As
Told. The human rights findings of the OSCE Kosovo
Verification Mission October 1998 to June 1999,
reproduced at
http://www.osce.org/kosovo/reports/hr/part1/p0cont.htm,
esp. Part V: "The Municipalities.")
Hitchens spends considerable space on what
he calls the "forensic evidence" that has come into
public view "as a result of the implosion of the
Milosevic regime." But in fact the most important
"evidence" that Hitchens cites, the alleged "mass
burnings of bodies in the blast furnace of the Trepca
steel plant" that was claimed by NATO at the time of
its occupation of Kosovo in June 1999, was subjected
to a genuine "forensic" examination by a team of
French experts under OSCE auspices shortly thereafter,
and was found to be non-existent. (See Fisnik Abrashi,
"OSCE Says No Sign of Mass Burnings Found in Kosovo,"
Associated Press, Jan. 26,
2001.) Although this story has been rehabilitated
over the past two years by journalists with the
American Radio Works and National Public Radio, based
on highly dubious interviews with Serbs boasting of
their role in the cremations, these Serbs have
remained anonymous sources and have never been
available for questioning by independent analysts.
Among the other "forensic evidence" cited by Hitchens
are the recent reports that a refrigerated truck
carrying anywhere from 50 to 86 Kosovo Albanian bodies
(accounts have varied) was dredged up during the war
from the bottom of the Danube river near the Serb town
of Kladovo, the bodies then being reburied in an
unknown place somewhere. Although these stories may
very well turn out to be true, given the brutal nature
of the war, they do not constitute forensic evidence
as such, but are mere hearsay. It is also important to
note that these alleged events would have occurred
after the start of the war, and therefore cannot be
used to support Hitchens' contention that they are
evidence of a Serb "plan of mass expulsion" based on
"exemplary killings" that existed before the war.
Instead, they would suggest that the war itself, which
Hitchens defends, led to many deaths and deplorable
atrocities. But as an elementary point of logic, the
war's negative consequences cannot be used to justify
actions that produced those consequences.
Hitchens says that in the "new atmosphere"
of post-Milosevic Serbia it might be possible to prove
that "there was a state design" to the murders and
secret interments, and that if this were true "it
would owe very little to those who described the
belated Western intervention as an exercise in
imperialism based upon false reporting." But he fails
to note that in the "new atmosphere" that exists in
Serbia, and in the United States itself, there might
be strong political, financial, and even survival
incentives--and very little risk--in fabricating
claims of murders and secret interments, a point
perhaps illustrated by the recently recycled claims
about mass cremations at Trepca. He also fails to note
the possibility that the reason this evidence might
not surface is because it simply does not exist, in
which case those who supported the war will no longer
have even this crutch to stand on.
It is also of interest that Hitchens never
discusses the "new atmosphere" that prevails today in
NATO-occupied Kosovo, a conflict-ridden atmosphere
that has led to the creation of a monoethnic state,
with more than 250,000 members of ethnic minorities
having fled the province in what Jan Oberg,
the director of the Swedish-based Transnational
Foundation for Peace and Future Research, calls "the
largest ethnic cleansing in the Balkans [in percentage
terms]." But while Hitchens is extremely captivated by
lurid stories of mass cremations and ethnic Albanian
corpses spilling out of refrigerated trucks, the
estimated 1,300 non-ethnic Albanians killed and
perhaps as many abducted (and very possibly killed) in
Kosovo under NATO's occupation appear to be of no
interest to him at all. Nor does he ever link NATO's
intervention with
the spread of armed ethnic Albanian fighting to
geographically contiguous areas in southern Serbia and
northwestern Macedonia, or with the possibility of yet
another incarnation of the KLA carrying its war to
Greece as well. For Hitchens, NATO's "humanitarian"
war was justified for reasons that terminate with the
driving of the Serb army from Kosovo, NATO's
occupation of Kosovo, the repatriation of Kosovo
Albanian refugees-driven out during NATO's war and
returning to a ravaged, burned-out land effectively
controlled by the KLA and foreign powers--and,
ultimately, the ouster of the Milosevic regime, and no
doubt his trial at The Hague as well. All of the other
consequences that one could weigh in the scales of
justice, Hitchens passes over in silence.
Hitchens' claim that the potential
"emancipation of Serbia" by full disclosure of Serb
misbehavior "would owe very little to those who
described the belated Western intervention as an
exercise in imperialism based upon false reporting" is
equally ludicrous. No serious critic of the war has
ever argued that NATO's intervention was "based on
false reporting;" their view has been that a
combination of false reporting and heavily ideological
commentary such as that offered by Christopher
Hitchens helped sell the war-as has been the case in
virtually all wars.
But beyond this confusion, Hitchens seems to
imply that Operation Allied Force was not an
imperialistic undertaking, and in fact in his "Port
Huron Piffle" (The Nation, June 14, 1999), he clearly
stated that NATO finally chose the war-option "when
the sheer exorbitance of the crimes in Kosovo became
impossible to ignore." Jamie Shea or James Rubin could
not have stated NATO's case for war any better than
that. Indeed, it has been amusing to watch Hitchens,
currently vigorously assailing Kissinger for the
crimes of the imperial state a generation back, but at
the same time lining up with the likes of Bill and
Tony and Gerhard, Madeleine and Robin and Joschka in
the pretence that their war was driven by humanitarian
objectives-in this one case only-and with this being
the only factor he mentions to explain their
adventures in Kosovo.

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Da "Il manifesto" dell' 8-06-01

PRIMA PAGINA

GIORNALISMO
La fossa dei media

SANDRO PROVVISIONATO *

La foto � di quelle raccapriccianti. Si vedono due miliziani dell'Uck
chini su una fossa comune che indicano un teschio. Uno dei due lo
solleva
con cavetti di alimentazione per
batteria d'auto. Il messaggio � crudo e deciso. La foto � apparsa ieri
sui quotidiani Liberazione e l'Unit�. Uno spiacevole infortunio, perch�
quella � una fossa comune falsa. In
Kosovo, dopo la fine della guerra, vennero scoperte diverse fosse
comuni
(la cifra fornita dal tribunale penale dell'Aja � di 529 fosse
contenenti
3.685 cadaveri interi e resti parziali di
258 corpi, per un totale di 3.943, una cifra ben lontana dai 100.000
morti forniti dalla Nato e dal Dipartimento di stato durante la guerra),
ma quella fossa venne allestita a consumo
dei media internazionali il 15 giugno 1999, 5 giorni dopo la fine dei
raid "umanitari" della Nato.
Lo affermo senza timore di smentite perch� a quel ritrovamento ero
presente. Avvenne nel villaggio di Ruckhat, a una quindicina di km. da
Pec, dove il contingente italiano Kfor si
era acquartierato. Come ho raccontato nel mio libro Uck: l'armata
dell'Ombra (Gamberetti, 2000) con me, inviato del Tg5, c'erano almeno 15
giornalisti italiani, diversi fotoreporter e i
cameraman di sei televisioni.
Sul sito di quella presunta fossa comune fummo condotti da alcuni
guerriglieri dell'Uck. Quello che sembrava il capo in un francese
perfetto
ci raccont� la storia di quella famiglia
sterminata dai paramilitari serbi, con le generalit� dei cadaveri e la
data esatta dell'eccidio (il 20 maggio 1999, meno di un mese prima), ci
port� dall'unica figlia superstite e quindi ci
condusse, prima su un'aia annerita dal fuoco dove si notavano ossa
carbonizzate e poi sul luogo della fossa che sembrava scavata di fresco.
Dalla terra spuntavano diversi resti
umani - che, ci dissero, appartenevano a 4 persone - oltre ad uno
scheletro integro e quasi completamente scarnificato il cui teschio �
proprio quello ritratto nella foto con attorno al
collo i cavetti che sembravano essere stati usati per torturarlo e
strangolarlo.
Trattandosi di una delle prime fosse comuni trovate in Kosovo, tutti i
tg
italiani della sera e tutti i giornali riportarono con grande evidenza
la
scoperta. Personalmente detti la notizia e
mostrai le immagini della fossa nell'edizione delle 20 del Tg5 con
molti
condizionali. Assieme ad altri colleghi e all'operatore che mi
accompagnava, Alessandro Tomassini,
eravamo, infatti, rimasti colpiti da una contraddizione: se quel
teschio
era di un uomo ucciso neppure un mese prima, come mai appariva cos�
scarnificato?
Il giorno dopo decisi di tornare sull'argomento. E mostrai le immagini
cos� crude girate da Tomassini al medico responsabile del contingente
italiano a Pec, oltretutto un
anatomopatologo. Da lui ebbi la conferma: quei resti eranao di un uomo
morto almeno diversi mesi prima, forse pi� di un anno. Quindi
sicuramente
sulla data della sua morte sia i
soldati dell'Uck, sia la presunta unica superstite dell'eccidio avevano
mentito.
Per approfondire meglio la cosa decisi di tornare sul luogo
dell'enigmatica fossa comune. Mentre percorrevo in auto una lunga strada
sterrata, notai in aperta campagna uno di quei
piccoli cimiteri agresti di cui abbonda il Kosovo. In quel cimitero
c'erano diverse fosse aperte, scavate di fresco, con ancora le bare
scoperchiate, ma senza i resti dei defunti. Capii
subito dove stava l'imbroglio. Quelle ossa, quello scheletro, quel
teschio erano stati esumati da un normalissimo cimitero e spostati di
qualche chilometro. Per rendere pi� realistica
e drammatica la scena del ritrovamento della fossa comune, qualcuno
aveva
aggiunto il cavetto di alimentazione. Nel Tg5 delle 13 del 16 giugno
1999
raccontai la macabra
messinscena. Nessun altro tg o quotidiano lo fece. Quelle foto e
immagini
tv ancora circolano, usate a corredo di articoli e servizi sulle fosse
comuni. Non � il caso di Liberazione e
l'Unit�, ma la loro funzione � evidente: disinformare. Proprio
l'obiettivo dell'Uck. Il dubbio fondato � che - a quasi due anni dalla
fine di quell'inutile guerra - in fatto di fosse comuni la
disinformazione continui.

* giornalista del Tg5

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Subject: Fossa comune
Date: Thu, 7 Jun 2001 03:05:49 +0200
From: "Fulvio"


Lettera al Direttore di Liberazione, Sandro Curzi

Caro Direttore,

la notizia, data con grande enfasi dai telegiornali, del ritrovamento
nei
pressi di Belgrado, di una fossa comune con
ben 800 corpi di "albanesi", merita, nella mia esperienza giornalistica,
di essere accolta con grandi diffidenza e
sospetto, senza cedere al previsto coro di esecrazioni. In Italia ci
ricordiamo tutti le stragi, gli assassinii, gli episodi
di terrorismo che hanno preceduto e accompagnato momenti in cui i poteri
forti puntavano a spostare a destra
l'asse del paese, specie in vicinanza di elezioni. Valga per tutti la
strage di Piazza Fontana, o l'assassinio di
Massimo D'Antona, utlizzato per criminalizzare il movimento contro la
guerra alla Jugoslavia. E ci ricordiamo
come quasi inevitabilmente sia emerso, da quei fatti, lo zampino di
servizi italiani o stranieri, perlopi� CIA. Chi ha
seguito con un po' d'attenzione la tragedia balcanica, si ricorder�
anche
delle stragi di Sarajevo, di Racak, di
Sebrenica, tutte provate, seppure a deprecabile e strumentale distanza
di
tempo, falsamente attribuite ai serbi dagli
stessi investigatori ONU, da medici neutrali e da giornalisti della
maggiori testate occidentali. Tutte finalizzate a
giustificare questo o quell'intervento "umanitario" a suon di bombe e
sanzioni contro il nemico. Nessuno pu�
sottovalutare la coincidenza di questo "ritrovamento" con la discussione
nel Parlamento serbo della legge che
dovrebbe permettere l'estradizione di Milosevic al Tribunale dell'Aja e
la
subordinazione della magistratura e della
politica serbe ai ricatti e ai dettami degli USA e del FMI, legge alla
quale anche Kostunica ha dato il suo consenso
e che rappresenta un ulteriore vulnus inflitto alla sovranit� di uno
stato. Sconcerta e rende increduli anche la
circostanza che, senza alcuna dichiarazione o verifica in merito, il
trasferimento delle 800 salme sia stato, secondo
i corrispondenti dei tg, "ordinato direttamente da Milosevic". Pare un
po'
folle che 800 corpi vengano congelati,
come � stato detto, � trasportati per centinaia di chilometri da un
Kosovo, pieno di possibilit� di nasconderli, in una
Belgrado allora traboccante di giornalisti, agenti, spie, gente, solo
allo
scopo di seppellirli in periferia. La consegna
di Milosevic e un'operazione che sottragga attenzione da una guerra in
Macedonia, che gli USA gestiscono e
sollecitano da entrambi i lati (attraverso addestramento e armamenti
forniti - come denunciato in USA e mai
smentito - equamente a entrambi i contendenti, l'esercito macedone e
l'UCK, dal MPRI, Military Professional
Resources Inc. di Alexandria, Virginia, valgono bene una montatura di
proporzioni storiche. Come si diceva: a
pensare male si fa peccato, ma ci si coglie.
Cordiali saluti.

Fulvio Grimaldi.

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