Jugoinfo

Vi mando per conoscenza il testo di un articolo di prossima
pubblicazione
che completa la parte sugli aspetti economici della distruzione della
Jugoslavia dell'intervento di Barone, Martocchia e mio su "Nuove
guerre".
Testo che non era stato possibile includere nel libro per motivi di
spazio.

Seguono anche notizie sulla rivista "L'Ernesto" dove l'articolo sara'
pubblicato.

Invio questo stesso testo alla redazione del nostro sito internet per
il suo eventuale inserimento in quella sede.

Cordialmente,
Franco Marenco

(dalla mailing list del Comitato scienziate/i contro la guerra)


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I falchi e gli usurai

Il ruolo dell'imperialismo di FMI, Banca Mondiale
e NATO nella distruzione della Jugoslavia

Franco Marenco


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Per me la Jugoslavia era l'Europa. Io ci andavo, anche a piedi, non
solo in
autobus o in macchina o in aeroplano. La Jugoslavia, per quanto
frammentata
sia potuta essere, era il modello per l'Europa del futuro. Non l'Europa
come
e' adesso, la nostra Europa in un certo senso artificiale, con le sue
zone di
libero scambio, ma un posto in cui nazionalita' diverse vivono
mischiate
l'una con l'altra, specialmente come facevano i giovani in Jugoslavia,
anche
dopo la morte di Tito. Ecco, penso che quella sia l'Europa, per come
io la
vorrei. Percio', in me l'immagine dell'Europa e' stata distrutta
con la
distruzione della
Jugoslavia.

(Peter Handke, intervista
televisiva)


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Il Fondo Monetario Internazionale e' il braccio finanziario della NATO?
La
domanda sembra pertinente se vengono esaminati con l'attenzione dovuta i
dati relativi all'azione congiunta di queste due organizzazioni nei
Balcani.
Quello che si puo' dire con certezza e' che i mezzi di informazione di
massa
hanno tralasciato di approfondire il ruolo rivestito dalle istituzioni
finanziarie internazionali nella distruzione della Federazione Jugoslava
nata dopo la seconda guerra mondiale. Strettamente parlando, questa
distruzione e' collegata alle avventure politiche e militari dell'ultimo
decennio: dalla secessione della Slovenia e della Croazia nel 1991 al
massiccio bombardamento nel 1999 dell'odierna Jugoslavia (ridotta alle
repubbliche di Serbia e Montenegro). Tuttavia, se il susseguirsi degli
avvenimenti viene studiato attentamente si riscontra un forte ruolo
attivo
avuto dai paesi occidentali, capeggiati dagli Stati Uniti sotto l'egida
del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.

La disintegrazione della Federazione e' servita per una completa
riorganizzazione dei Balcani: la Slovenia e la Croazia sono potute
entrare
appieno nell'area d'influenza tedesca e la Germania ha ottenuto un
accesso
piu' diretto al Mare Adriatico. Gli Stati Uniti hanno potuto rafforzare
la
propria influenza militare sul Vecchio Continente ed impiantare nuovi
contingenti di truppe. D'altra parte, la Macedonia e' diventata il
centro di
una sfera di interessi americana: questa piccola repubblica e'
strategica,
difatti, in quanto controlla importanti valichi fra l'Est e l'Ovest e
fra il
Nord e il Sud nelle montagne dei Balcani. Tutta la regione e' importante
per
la sua posizione geografica e per la sua funzione di collegamento fra la
Mitteleuropa ed la Turchia cosi' come fra il Mar Nero e l'Adriatico.

Alcuni mezzi di informazione piu' attenti degli altri hanno dato le
notizie
relative ai singoli eventi che qui saranno raccontati; tuttavia, e' solo
considerando l'insieme di questi fatti che si puo' avvertire appieno la
drammatica coerenza che e' ad essi sottesa. Alla fine dell'articolo
viene
fornita una breve bibliografia per coloro che sono interessati ad un
approfondimento; bisogna dire pero' che buona parte delle notizie
proviene da
"fonti orali:" esse non trovano spazio sulla grande stampa per cui
rimangono
circoscritte all'interno di una cerchia di persone particolarmente
attente e
di alcune liste di discussione in internet.

Prima fase: l'indebitamento

Durante gli anni Settanta la crisi energetica spinse il Maresciallo Tito
a
condurre una politica di investimenti per la costruzione di impianti e
il
riammodernamento delle infrastrutture: questa politica passo' attraverso
un
grosso indebitamento. Il debito ebbe modo di crescere anche perche' dopo
avere ottenuto nel 1974 un'autonomia piu' ampia, le repubbliche
costitutive
si sentirono autorizzate a contrarre debiti per proprio conto, al di
fuori
della programmazione federale. Il risultato fu che, gia' al momento
della
morte di Tito, la Jugoslavia era dominata in buona parte dalla finanza
mondiale.

Gli anni Ottanta furono caratterizzati da una grave crisi economica, nel
corso della quale crebbe ulteriormente il divario Nord-Sud. Le
importazioni
diminuivano fortemente; invece, le esportazioni furono favorite per
mezzo di
un'inflazione galoppante: 40% nel 1981, 170% nel 1987, e piu' del 1000%
negli
anni successivi. L'indebitamento diventava intollerabile e gia' nel 1987
il
tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 17%. Questa situazione deve
essere confrontata, per esempio, con la situazione vigente nel periodo
degli
anni Sessanta e Settanta: crescita media annua del PIL intorno al 6%;
cure
sanitarie gratuite (con un medico ogni 550 abitanti); tasso di
alfabetizzazione pari al 90%; aspettativa di vita pari a 72 anni. Ma nel
1980 la disparita' economica e sociale fra le repubbliche era diventata
enorme, e questa frattura era destinata ad approfondirsi.

La Slovenia, repubblica in assoluto piu' ricca e sviluppata della
Federazione, aveva un prodotto nazionale pro capite comparabile a quello
spagnolo o a quello irlandese. Il prodotto nazionale lordo della
repubblica
rappresentava il 22% del prodotto federale, con soltanto l'8% della
popolazione. Essa aveva allacciato forti relazioni economiche con la
Germania e con numerose amministrazioni locali italiane ed austriache, e
il
tasso di disoccupazione si attestava intorno ad appena l'1-2%. Al
gradino
piu' basso della scala economica vi era invece la provincia autonoma del
Kosovo, con un prodotto nazionale pro capite pari ad un sesto di quello
sloveno, e comparabile a quello del Marocco o della Nigeria. Qui, nel
1988
un terzo della popolazione risultava senza occupazione, e il tasso di
analfabetismo era del 18%; il tasso di natalita', invece, era il piu'
alto
d'Europa (2,5% all'anno). Buona parte della popolazione abbandonava la
provincia, a causa delle sue tragiche condizioni economiche.

Tra gli estremi della Slovenia e del Kosovo si trovavano la repubblica
di
Croazia e la provincia di Vojvodina: entrambe sopra la media jugoslava
ma
con un prodotto pro capite pari a circa la meta' di quello sloveno.
Sotto la
media, invece, si trovavano la Serbia, il Montenegro, la Macedonia e la
Bosnia-Erzegovina. Non si puo' dire che la Federazione non tentasse di
compensare queste differenze economiche: ingenti risorse venivano
destinate
ad un apposito "fondo per lo sviluppo delle regioni arretrate" analogo
alla
nostra Cassa per il Mezzogiorno. Questa politica diede in parte
risultati
positivi, come il miglioramento del sistema sanitario e
dell'insegnamento
superiore. In Kosovo l'aspettativa di vita crebbe da 48 anni a 66 in
vent'anni, mentre i tre quarti degli investimenti provenivano dalle
casse
federali. E tuttavia cio' non era sufficiente: relativamente al Nord
ricco
della Jugoslavia il ritardo economico della provincia continuava ad
accentuarsi. Parzialmente responsabile lo era stata la riforma economica
del
1965, che aveva consentito l'aumento secondo criteri di "mercato" dei
prezzi
dei prodotti finiti (fabbricati nel Nord della Federazione) pur
mantenendo
molto basso quelli delle materie prime, di cui erano ricche le province
meridionali.

Nel frattempo era calata la collaborazione con gli altri paesi dell'Est,
ed
in particolare erano venute a mancare le forniture di petrolio sovietico
a
condizioni agevolate. Il livello astronomico dell'inflazione aveva
distrutto
il sistema monetario della Federazione e i meccanismi decentrati
dell'economia "autogestita" avevano privato il governo centrale degli
strumenti di coordinamento della politica economica. La Slovenia e la
Croazia, le repubbliche piu' avanzate e produttive nelle quali affluiva
una
gran quantita' di valuta estera, si battevano per mantenere una
posizione
privilegiata. Le repubbliche economicamente arretrate, guidate dalla
Serbia,
tentavano invece di introdurre misure di controllo fiscale e monetario.
A
livello locale, una serie di progetti insensati e spreconi dissipavano
le
risorse che la Federazione otteneva tramite il prestito internazionale.
In
Kosovo, per esempio, dopo la concessione dell'autonomia nel 1974 la
classe
dirigente locale scialacquo' gli aiuti provenienti dalle regioni piu'
ricche,
anziche' investire nella costruzione di infrastrutture. La qualita'
della vita
si riduceva a vista d'occhio in tutta la Federazione, dando luogo a
forti
tensioni sociali; gli scioperi e le agitazioni si moltiplicavano a
macchia
d'olio. Forti dell'autonomia e del decentramento, le varie entita'
(repubbliche, aziende, ecc.) reagirono alla crisi cercando di
salvaguardare
la propria esistenza in competizione con gli altri. Nasceva il
nazionalismo
economico.

Le misure Markovic-Bush

Nell'autunno del 1989, poco prima della caduta del Muro di Berlino, il
capo
del governo federale jugoslavo Ante Markovic (nominato l'anno
precedente) si
reco' a Washington per negoziare con il presidente Bush la concessione
di un
nuovo "pacchetto di aiuti." In sostanza, pressata dai debiti la
Jugoslavia
accetto' di compiere riforme economiche radicali. La ricetta prevedeva
una
"terapia di attacco" comprendente: (a) il congelamento dei salari (senza
curarsi del rapido aumento del costo della vita); (b) la svalutazione
del
dinaro; (c) ingenti tagli alla spesa pubblica; e (d) l'eliminazione
delle
compagnie di proprieta' statale e di quelle "autogestite."

Principale obiettivo era la privatizzazione accelerata delle aziende. Al
suo
ritorno a Belgrado Markovic dispose una legge che prevedeva la rapida
messa
in liquidazione fallimentare forzata di tutte le aziende considerate
"insolventi" e la loro consegna nelle mani delle banche straniere
creditrici. Il preavviso dato fu brevissimo (30 giorni): chi non avesse
pagato tutti i debiti entro tale termine sarebbe stato liquidato.
Inoltre,
le banche a proprieta' sociale avrebbero dovuto essere rimpiazzate con
"istituzioni indipendenti a scopo di lucro." Si trattava di un pacchetto
spaventoso di misure: neanche nei paesi piu' convinti sostenitori
dell'economia di mercato si sarebbe mai osato fare tanto e cosi'
precipitosamente. Le conseguenze furono drammatiche: i prezzi presero a
salire e il potere di acquisto dei cittadini jugoslavi a collassare
(meno
40% nella prima meta' del 1990); in un anno, piu' di mille aziende fece
bancarotta, e meta' delle banche del paese dovette chiudere nel giro di
due
anni. Il Prodotto Interno Lordo calo' del 7,5% nel 1990; nell'anno
successivo
esso scese ulteriormente del 15%, mentre la produzione industriale calo'
del
21%. Alcune aziende "autogestite" poterono sopravvivere soltanto
interrompendo l'erogazione dei salari: un anno dopo il viaggio di Ante
Markovic a Washington, 600.000 lavoratori avevano perso il lavoro e un
ulteriore mezzo milione, pur lavorando, non percepiva piu' lo stipendio!

Oltre un milione di famiglie aveva perso il reddito, ma, secondo la
Banca
Mondiale altre 2400 industrie avrebbero dovuto essere chiuse (con
ulteriori
"esuberi" nella cifra di 1,3 milioni). I tagli alla spesa governativa
interruppero il flusso finanziario dal governo centrale alle
repubbliche:
questo e' stato il colpo decisivo all'unita' della Federazione, che ha
assicurato il successo delle formazioni politiche secessioniste e
nazionaliste.

La "1991 Foreign Operations Law"

Probabilmente, per i creditori le drastiche misure messe in atto dal
governo
di Ante Markovic non bastavano: in effetti il 5 novembre 1990 il
Congresso
statunitense approvo' la legge 101-513, che prevedeva il taglio entro
sei
mesi di tutti gli aiuti e prestiti alla Jugoslavia. La legge prevedeva
l'obbligo di tenere elezioni separate in ciascuna delle sei repubbliche
costitutive, e sia le procedure di voto che i risultati delle elezioni
avrebbero dovuto ottenere l'approvazione del Dipartimento di Stato: solo
dopo questi adempimenti il sostegno economico avrebbe potuto essere
reintrodotto, ma non piu' nei confronti del governo centrale, bensi'
solo
delle singole repubbliche, e solo se governate da forze approvate come
"democratiche." Alla faccia dell'autodeterminazione dei popoli, tanto
conclamata in seguito dai seguaci dello smantellamento della Jugoslavia!

Secondo una specifica disposizione della legge, tutto il personale
statunitense insediato nelle istituzioni internazionali (Banca Mondiale
e
Fondo Monetario Internazionale) avrebbe dovuto applicarla e farla
osservare.
In questo modo anche le organizzazioni internazionali venivano
sottomesse
alla legge statunitense e ne veniva seriamente minata ogni parvenza di
indipendenza. Facciamo notare che quando la legge fu promulgata le
elezioni
erano gia' avvenute nelle diverse repubbliche della Jugoslavia; tuttavia
molti analisti la ritengono rappresentativa del punto di vista e degli
obiettivi perseguiti dai creditori. Le misure non avevano una
giustificazione apparente, tanto piu' che all'epoca non vi era nessuna
guerra
civile o guerriglia in corso, ne' gli Stati Uniti erano coinvolti in
liti con
la Jugoslavia. Questa non aveva neanche un posto di rilievo nelle
"news"!

Grazie alla legge 101-513, il governo jugoslavo non pote' piu' pagare
gli
interessi sul debito estero ne' acquistare le materie prime occorrenti
per
l'industria. Il potere di acquisto era in caduta libera, i programmi
sociali
collassavano, la disoccupazione esplodeva e il settore industriale
subiva
una brutale distruzione. Ne' tutto cio' serviva a ripagare il debito:
nel 1991
esso ammontava a 31 miliardi di dollari, dieci in piu' del 1988. Un
quarto
delle esportazioni veniva incamerato direttamente dai creditori.

Un embargo pluriennale

Il 25 giugno 1991 la secessione unilaterale di due repubbliche,
insofferenti
per il fatto che il governo federale potesse continuare a stampare
moneta,
sanci' lo sfascio della Jugoslavia. Ma lo scontro si era aperto gia' sei
mesi
prima con la decisione slovena di non versare piu' allo stato centrale
le
proprie entrate fiscali. Dopo la Slovenia e la Croazia, tocco' alla
Macedonia, che proclamo' la propria secessione il 15 settembre. Il turno
dell'indipendenza della Bosnia-Erzegovina arrivo' invece il primo marzo
dell'anno successivo. Alle secessioni seguirono le guerre per la
spartizione
del territorio: dopo pochi giorni gli scontri dalla Slovenia si
spostarono
in Croazia, e successivamente in Bosnia-Erzegovina. Il debito estero fu
accuratamente suddiviso fra le repubbliche, ora strangolate direttamente
dai
creditori senza l'intermediario della Federazione. Due delle repubbliche
staccatesi dalla Jugoslavia, la Croazia e la Macedonia, seguirono
attentamente le direttive del Fondo Monetario internazionale, ed
ottennero
in cambio "pacchetti" di prestiti in cambio del consolidamento dei
programmi
di bancarotta forzata iniziati da Ante Markovic.

Il periodo della guerra in Bosnia-Erzegovina, iniziata nell'aprile del
1992,
fu caratterizzato da un crescendo di sanzioni imposte nei confronti di
quella parte della Federazione che aveva scelto di conservare
l'appellativo
di Jugoslavia. Essa e' costituita dalle repubbliche di Serbia e
Montenegro, e
comprende anche le due province autonome di Kosovo e Vojvodina. La
guerra in
corso forniva il pretesto per determinate decisioni davanti alle
opinioni
pubbliche dei paesi ricchi: esse potevano essere giustificate nel nome
della
presunta "cattiveria" dei Serbi, mentre fino al 1991 l'unico argomento
era
stato quello delle pretese dei creditori, poco spendibile presso le
opinioni
pubbliche. E' significativo notare che rispetto al territorio della
ex-Jugoslavia e' stata solo la nuova federazione fra Serbia e Montenegro
ad
essere sottomessa a drastiche misure punitive, insieme per un breve
periodo
anche alla parte serba della Bosnia-Erzegovina.

Le prime sanzioni furono stabilite dai ministri della CEE, riuniti a
Roma
l'8 novembre del 1991, a soli quattro mesi e mezzo dallo sfascio della
Federazione. Per avere una misura delle sanzioni, si pensi che il
commercio
con la Comunita' aveva rappresentato fino ad allora i due terzi degli
scambi
della Jugoslavia. Appena un mese dopo averle promulgate, l'Unione
Europea
ritenne di dover precisare che le sanzioni, proclamate genericamente
"contro
la Jugoslavia," dovevano intendersi applicabili nei confronti soltanto
delle
"repubbliche cattive", cioe' la Serbia e il Montenegro. Una simile
posizione
e' incredibile se si pensa che l'indipendenza di Slovenia, Croazia e
Macedonia non era stata ancora riconosciuta (ma lo sarebbe stata dopo
poche
settimane), mentre quella della Bosnia-Erzegovina non era neppure stata
proclamata. Il tentativo di dividere le popolazioni prosegui' quando il
10
gennaio successivo le sanzioni contro il Montenegro vennero levate, per
cui
esse rimasero soltanto nei confronti della Serbia.

Sulla scia dell'emozione suscitata dalla "strage del pane" avvenuta tre
giorni prima ed attribuita erroneamente ai Serbi dalla grande stampa, il
30
maggio 1992 arrivo' dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la
risoluzione numero 757. Essa prevedeva un embargo commerciale (in
particolare delle importazioni di petrolio), il congelamento dei beni
jugoslavi all'estero, l'interdizione dei voli civili, e la sospensione
degli
scambi scientifici e culturali e della partecipazione ad eventi sportivi
internazionali. I risultati dell'embargo non si fecero attendere:
l'approvvigionamento in prodotti farmaceutici calo' spaventosamente fin
da
subito; l'industria metallurgica, fortemente dipendente dalla Slovenia e
dalla Croazia, raggiunse una crisi profonda; mentre la mancanza di
carburante fermo' il paese. L'approvazione di queste sanzioni avvenne
grazie
all'inversione di rotta della politica statunitense: un anno prima, in
effetti, il segretario di stato Baker in visita a Belgrado aveva
dichiarato
che gli USA non avrebbero riconosciuto nessuna secessione: Milosevic,
apparentemente in buona luce al Dipartimento di Stato fino a poche
settimane
prima, era diventato un "nuovo Hitler."

Il 22 settembre dello stesso anno la Jugoslavia fu addirittura espulsa
dall'Assemblea Generale dell'ONU. Un provvedimento che non e' mai stato
riservato a nessun altro stato, e che e' stato poi coronato con
l'espulsione
il 15 dicembre dal Fondo Monetario Internazionale e all'inizio dell'anno
successivo dall'Organizzazione Mondiale della Sanita'. Queste misure
assumono
il sapore di un'incondizionata presa di campo da parte delle istituzioni
internazionali dopo l'ammissione avvenuta in maggio della Croazia, della
Slovenia e della Bosnia-Erzegovina. Simultaneamente all'espulsione
dall'ONU,
e' stato messo in atto un embargo navale totale sul Danubio e
sull'Adriatico,
e gli aerei statunitensi si sono incaricati di far rispettare la "no-fly
zone." Il 6 maggio dell'anno successivo le sanzioni furono rafforzate, e
il
Consiglio di Sicurezza (grazie all'astensione di Russia e Cina) decreto'
l'embargo totale contro la Serbia. Questa nuova sanzione avveniva per
punire
la Repubblica dei Serbi di Bosnia per non aver firmato il piano di pace
Vance-Owen, e cio' malgrado il fatto che la stessa Belgrado avesse rotto
con
Pale ed avesse decretato nei suoi confronti un blocco degli aiuti:
paradossalmente, fu solo a settembre del 1994 che le sanzioni furono
estese
ai serbo-bosniaci.

Come si vede, si tratta di un insieme impressionante di misure tese ad
isolare e colpevolizzare un intero popolo ed a farne collassare le
risorse
economiche. Da questo punto di vista, esse si sono dimostrate del tutto
efficaci. Il New York Times del 26 giugno 1992 scriveva che il dinaro si
era
svalutato di un fattore 200 rispetto al dollaro, che vi era stata una
grossa
carenza di beni ed un'impennata dei prezzi, e che l'inflazione galoppava
intorno al 5-10% al giorno. Dopo solo 3 mesi dall'inizio dell'embargo la
maggior parte delle fabbriche aveva chiuso per mancanza di materie prime
e
carburante, e centinaia di migliaia di lavoratori erano stati rimandati
a
casa. A settembre 1993, per i due milioni di abitanti di Belgrado furono
introdotte le tessere per il razionamento alimentare, e poco dopo le
tariffe
elettriche furono decuplicate. Il 12 aprile 1994 l'Economist scriveva
che il
60% dei lavoratori era disoccupato, che l'industria funzionava al 20-30%
delle sue capacita', e che oramai il 40% dell'economia jugoslava era
gestita
dal settore "sommerso." Per fare un esempio concreto, dal 1990 al 1995
la
produzione annua delle automobili Yugo e' calata da 200.000 a 3.500.
Inoltre
il sistema sanitario, un tempo considerato uno dei migliori, si
ritrovava
decimato, con tutto cio' che questo comportava per la popolazione
civile.

L'embargo duro' fino a dicembre 1995, e fu levato con la conclusione
degli
accordi di Dayton, ma le sue conseguenze si protrassero nel tempo:
l'economia del paese era oramai distrutta. Un anno dopo, alla fine del
1996,
la Croce Rossa dichiarava che il 30% della popolazione era caduta nello
stato di poverta'. Dal canto loro, nel 1998 gli USA e l'UE hanno imposto
alla
Jugoslavia una moratoria sui crediti e gli investimenti, tutt'ora in
vigore.

Malgrado la sospensione dell'embargo, la Jugoslavia non venne riammessa
all'Assemblea Generale, mentre il Fondo Monetario Internazionale
stabili'
che, per essere reintegrata, la Jugoslavia avrebbe dovuto ripagare
interamente il suo debito precedente alle sanzioni, ed adottare un piano
di
riforme economiche, previa l'approvazione del Fondo stesso. Inoltre, i
beni
jugoslavi all'estero restarono congelati per ordine di un decreto
presidenziale statunitense, e la Jugoslavia resto' sotto il ricatto di
una
pesante minaccia: "le sanzioni potranno riprendere presto." Queste
minacce
furono reiterate piu' volte: a febbraio 1996, e poi a giugno e a
dicembre
dello stesso anno; esse vennero finalmente attuate con il precipitare
della
crisi del Kosovo nel 1999.

(1. continua)

---

Bollettino di controinformazione del
Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'"

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(2. segue)

La Bosnia di Dayton

Il 21 novembre 1995 vennero firmati gli accordi che fermarono
l'evoluzione
militare della guerra in Bosnia-Erzegovina. Questi testi sono
significativi,
in quanto promulgarono una vera e propria Costituzione per la Repubblica
di
Bosnia-Erzegovina, e ne sancirono un'amministrazione di tipo
"coloniale,"
presieduta da un Alto Rappresentante (straniero) con pieni poteri
esecutivi
negli affari civili e facolta' di destituire gli eletti. Nel nome della
"democrazia" i creditori occidentali hanno imposto una costituzione
fedele
ai propri interessi, stabilita senza un'assemblea costituente e senza
consultare la popolazione.

Le redini dell'economia bosniaca vennero affidate direttamente a
istituzioni
finanziarie straniere. Al Fondo Monetario Internazionale venne conferito
il
potere di gestire la banca centrale dello stato e di nominarne il
governatore, il quale per una disposizione esplicita "non puo' essere un
cittadino della Bosnia-Erzegovina o dei paesi limitrofi." La direzione
della
vendita e della ristrutturazione del patrimonio pubblico fu invece
affidata
alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS),
istituzione
con sede a Londra che ha per scopo la promozione del "mercato"
nell'Europa
centrale e orientale nonche' nelle repubbliche ex-sovietiche,
"finalmente"
libera di mettere mano a settori strategici quali l'energia, l'acqua, i
servizi postali, le telecomunicazioni, i trasporti, eccetera.

La presenza sul campo di truppe della NATO (60.000 soldati) sanci'
ulteriormente il clima da occupazione straniera. Esse sono infatti
intervenute nel controllo delle elezioni ed hanno minacciato di
distruggere
i mezzi di informazione che avessero criticato la loro gestione. I
comandanti militari hanno in alcuni casi rovesciato addirittura le
sentenze
dei tribunali locali e si sono messi alla ricerca e all'arresto di
personalita' e dirigenti statali, accusati dal Tribunale dell'Aia.

Per quanto riguarda la ricostruzione, il suo costo e' stato stimato in
47
miliardi di dollari, cioe' una volta e mezza il debito dell'intera
Federazione nel 1991. Gli aiuti concessi invece (dei quali appena l'1,7%
e'
stato elargito alla Repubblica dei Serbi di Bosnia) bastavano a malapena
a
coprire gli interessi sul debito.

Il 1999: anno dell'Euro e del bombardamento

Nel frattempo, cresceva la tensione nella provincia autonoma del Kosovo,
facente parte del territorio della Serbia all'interno della Jugoslavia.
La
provincia e' da considerarsi di interesse strategico, in quanto ricca di
risorse minerarie, e in quanto luogo di passaggio per le materie prime
in
provenienza dal Caucaso e dirette verso l'Adriatico (il petrolio in
primo
luogo). In Kosovo si trovavano anche numerose centrali elettriche, tanto
che
solo un terzo dell'energia ivi prodotta veniva consumata localmente,
mentre
la restante parte contribuiva ad alimentare il Montenegro ed il resto
della
Serbia. Gia' nel 1989, pressata dal FMI a causa degli sperperi di denaro
pubblico da parte della classe dirigente kosovara, la presidenza
collegiale
jugoslava aveva ridotto l'autonomia della provincia sino ad allora
garantita
dalla Costituzione di Tito e Kardelj: in effetti sin dal 1966 il Kosovo
era
stato il maggior fruitore dei finanziamenti erogati per lo sviluppo
delle
aree povere del paese. Questa decisione porto' a numerose proteste ed
alla
rivolta di operai, minatori e studenti di lingua albanese, con
l'intervento
della polizia e dell'esercito.

Il 1999, l'anno in cui le nazioni dell'Unione Europea sono passate alla
moneta unica, sara' ricordato da tutti per la sanguinosa guerra della
NATO
alla Jugoslavia. Difatti il 6 febbraio 1999, a Rambouillet il governo
jugoslavo rifiuto' il testo di un "accordo" che gli veniva sottoposto
senza
possibilita' di negoziazione. Il testo in questione prefigurava una
struttura
statuale che assomigliava per molti versi all'amministrazione coloniale
prevista per la Bosnia dagli accordi di Dayton: una costituzione fatta
su
misura per i creditori. L'autorita' suprema per gli affari civili
avrebbe
dovuto essere affidata ad un "Capo della Missione di Implementazione"
nominato dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa,
in cooperazione con l'Unione Europea. Secondo la bozza di accordo, egli
avrebbe avuto il potere di stabilire direttive vincolanti per le
autorita'
civili e di polizia, sarebbe stato l'autorita' suprema di
interpretazione del
trattato, e avrebbe potuto destituire e sostituire i capi delle
istituzioni
eletti dal popolo. Inoltre, la Jugoslavia avrebbe dovuto accettare
l'occupazione militare dell'intero suo territorio da parte della NATO, e
concedere ai soldati dell'Alleanza l'immunita' completa dalle leggi
civili e
penali.

I colpi della NATO furono diretti in particolare verso le risorse
economiche, i maggiori stabilimenti produttivi, le centrali elettriche,
i
ponti e le vie di comunicazione: un paese moderno e sviluppato e' stato
fatto
regredire ad un livello da Terzo Mondo. Dei nove ponti sul Danubio,
sette
sono stati distrutti interrompendo un'importante via di comunicazione
che
collega il vasto bacino fluviale centroeuropeo con il Mar Nero. La
Zastava,
industria automobilistica di Kragujevac che occupava 36.000 lavoratori
e'
stata ripetutamente bombardata sino a ridurla in un cumulo di macerie.
Fra
il 4 ed il 18 aprile vennero colpiti ripetutamente gli stabilimenti
petrolchimici di Pancevo determinando la fuoriuscita di pericolosi
inquinanti; altri sette depositi di sostanze nocive sono stati
bombardati
nel territorio jugoslavo. Secondo fonti jugoslave, in tutto sono stati
distrutti 372 impianti industriali, con enormi conseguenze per
l'occupazione
in un paese gia' drammaticamente piegato dall'indebitamento e
dall'embargo.
Colpendo industrie chimiche, raffinerie e depositi di carburante, sono
stati
liberati nell'ambiente grossi quantitativi di terribili veleni,
destinando
le popolazioni balcaniche ad una lenta agonia, destinata a perdurare ben
oltre l'azione militare propriamente detta. L'inquinamento delle acque,
dell'aria e del suolo ha inoltre procurato danni enormi alla produzione
agricola.

Il Kosovo occupato

I bombardamenti si protrassero fino al giorno della capitolazione del
governo jugoslavo: trionfante, entro' nel Kosovo il generale britannico
Michael Jackson alla guida delle truppe della NATO. A capo
dell'amministrazione della provincia fu posto il francese Bernard
Kouchner,
inviato speciale dell'ONU, il quale da allora si e' distinto per aver
tentato
di staccare tutti i legami residui del Kosovo con lo stato jugoslavo del
quale esso fa pur ancora formalmente parte: e' stato introdotto il marco
tedesco quale moneta nazionale in luogo del dinaro; sono stati separati
il
sistema postale e le comunicazioni; e sono stati separati anche i
tribunali
e la pubblica amministrazione.

Le truppe dei paesi dell'Alleanza (45.000 soldati, di cui seimila
italiani)
si sono divise da subito il territorio della provincia: alle truppe
francesi
e' stato affidato il settore settentrionale, specializzato nella
metallurgia
non-ferrosa; la zona centrale della provincia, nella quale sono ubicate
numerose centrali elettriche ed installazioni petrolifere, e' invece
stata
affidata agli inglesi. Si racconta che appena arrivati, i Britannici
abbiano
circondato la centrale elettrica di Obilic con i loro carri armati,
adducendo motivi di sicurezza, ed assicurando cosi' a ditte inglesi
l'appalto
per la ricostruzione della stessa. I Tedeschi, i quali hanno occupato il
distretto meridionale in compagnia di Russi e Canadesi, hanno invece
potuto
prendere possesso della Balkanbelt, industria della gomma con una
tradizione
di collaborazione con la Deutsche Kontinental e fortemente indebitata
nei
confronti dei tedeschi. Quanto agli Italiani, essi hanno prontamente
piantato la loro bandiera nel distretto occidentale di Pec, al confine
con
l'Albania, prendendo sede nei locali della Zastava-Iveco, ditta che
produce
parti di camion e che e' stata al centro di un progetto pluriennale di
cooperazione internazionale.

Il comportamento dell'amministrazione internazionale del Kosovo ha
presto
rivelato la sua vera faccia: i suoi atti, giorno dopo giorno, sono stati
sempre piu' espliciti; inoltre il resto della Serbia rimane sotto un
rigido
embargo. La mancanza cronica di medicinali e pezzi di ricambio e'
esemplare.
Le accuse che sono state fatte ai nuovi colonizzatori sono molteplici.
Si
parla per esempio della chiusura forzata di alcuni stabilimenti
industriali,
passati direttamente sotto il controllo dei militari, nell'ambito della
competizione fra Francia e Inghilterra per il controllo della societa'
mineraria Trepca (piombo, zinco, cadmio, oro e argento): uno dei
principali
volani dell'economia jugoslava, considerato dal New York Times "il piu'
prezioso bene immobiliare dei Balcani." Nel novembre 1999, in un
impianto
produttivo della Trepca di Kosovska Mitrovica il generale francese
Ponset si
e' autosostituito al direttore, cacciandone via gli operai serbi,
sostituendoli con albanesi, e sospendendone i rappresentanti di
nazionalita'
greca facenti capo a Militineos, l'azionista miliardario che era entrato
in
competizione con la francese SCMM al momento della privatizzazione della
societa'. Nell'agosto del 2000, con il pretesto di preservare
l'inquinamento
atmosferico il capo della missione dell'ONU Kouchner, francese, ha
ordinato
ai soldati dell'Alleanza di evacuare industria della Trepca di Kosovska
Mitrovica, e di chiudere simultaneamente l'emittente radiofonica "Radio
S",
che aveva espresso pareri critici dell'operato della NATO. Dopo aver
preso
il complesso minerario, la NATO lo ha affidato ad un consorzio privato
chiamato "ITT Kosovo," controllato da industrie del settore francesi,
statunitensi e svedesi.

Nel distretto di Pristina, invece, il 14 luglio 1999 le truppe inglesi
hanno
fatto irruzione nella miniera "Kisnica," sempre facente capo alla
Trepca,
sostituendone il direttore con uno di loro scelta e rimandando a casa
400
dipendenti. Persino le organizzazioni umanitarie sarebbero servite da
copertura per calcoli di interesse. Ad esempio, secondo fonti
governative
jugoslave, l'agenzia umanitaria "Viva" sarebbe intervenuta con un carico
di
cloro a Mitrovica e Pec, salvando la vita, bisogna pur dirlo, a 200.000
persone. Ma il vero scopo era molto differente da quello dichiarato:
trovarsi in una posizione di vantaggio per ottenere i contratti di
assistenza tecnica per la rete idrica.

Conclusioni

In un mondo afflitto da guerre e conflitti etnici e che produce ogni
anno
profughi e rifugiati a milioni senza che nessuno se ne scandalizzi,
perche'
mai le potenze mondiali hanno canalizzato cosi' tanta attenzione verso i
Balcani? Per chi esamina la situazione oltre il comune livello di
superficialita', diventa poco credibile l'affermazione corrente che
attribuisce alla "comunita' internazionale" l'intenzione di
salvaguardare i
diritti umani ed aiutare le popolazioni in difficolta'. L'esame dei dati
storici ed economici indica una continuita' di azione, ad opera delle
potenze
creditrici, che ha progressivamente distrutto l'economia di quello che
poteva considerarsi un paese industrializzato e con un buon tenore di
vita,
facendolo piombare nell'abisso. La legge 101-513 del Congresso
statunitense,
il lungo embargo degli anni 1992-95, i bombardamenti del 1999, e le
modalita'
con le quali sono stati gestiti gli affari nelle due amministrazioni
neocoloniali (Bosnia-Erzegovina e Kosovo) tradiscono l'esistenza di
motivazioni e di interessi piu' profondi, le cui radici probabilmente
non
sono da ricercarsi esclusivamente nella regione balcanica.

La caduta della Cortina di Ferro e la riunificazione della Germania
hanno
aperto la corsa di imprese e capitali verso l'Oriente, considerato la
nuova
terra di conquista. E' significativo ricordare il discorso di Clinton,
tenuto
nel 1994 dinanzi alla Porta di Brandeburgo: la Germania sarebbe oramai
diventata il partner privilegiato dell'America, per realizzare la
penetrazione militare, politica ed economica verso Est. Alle lentezze
dell'Unione Europea nell'assorbire gli stati orientali, si e'
contrapposta la
celerita' della NATO, la quale ha gia' fatto tre nuovi membri fra i
paesi
dell'ex-Patto di Varsavia, con l'ingresso della Polonia, della
Repubblica
Ceca e dell'Ungheria avvenuto proprio in concomitanza con i primi
bombardamenti su Belgrado. Il 18 novembre 1999, al vertice dell'OSCE
tenutosi a Istanbul e' stato varato un "piano di stabilita'" per i
Balcani,
caratterizzato dalla designazione di "corridoi economici" destinati al
trasporto di merci e materie prime. L'interesse della NATO per i Balcani
e'
condizionato infine dalla vicinanza delle maggiori riserve petrolifere
mondiali: da quelle "tradizionali" della penisola arabica a quelle del
Mar
Caspio, "liberatesi" con l'indipendenza di numerose Repubbliche
ex-Sovietiche.

La Federazione Jugoslava fondata da Tito si iscriveva in un modello di
convivenza multietnica che simboleggiava la stessa Europa, fatta di
miriadi
di popolazioni e minoranze sparse qua e la', e di stati di dimensioni
ridotte, al di fuori di ogni razionale suddivisione del territorio
all'interno di uno schema "risorgimentale" di stato-nazione. La sua
posizione geografica, inoltre, ne faceva la porta verso l'Oriente:
importante zona di passaggio e di incontro; centro di smistamento per
merci
e culture. La sua distruzione ha avuto come effetto politico maggiore
quello
di destabilizzare il Vecchio Continente e costringerlo ad accettare la
"protezione" degli Stati Uniti. L'arroganza dell'imperialismo USA, non
solo
nei confronti di un piccolo stato di 10 milioni di abitanti gia' in
preda a
gravi difficolta' economiche e dotato di una forza militare nettamente
inferiore, ma anche nei confronti dei propri Alleati, deve essere vista
come
una minaccia per la pace e per i popoli. La nascita di un nuovo Impero
in
Europa potra' essere soltanto una tragedia per noi, per cui e'
sorprendente la
facilita' con cui questa prospettiva e' stata accettata dai nostri
tirapiedi
governativi e dalle opinioni pubbliche.

Franco
Marenco

(settembre
2000)

Bibliografia

International Action Center, "NATO in the Balkans -- Voices of
opposition,"
New York 1998.

Michel Chossudovsky, "La globalizzazione della poverta'," Edizioni
Gruppo
Abele, 1998.

Michel Collon, "Poker Menteur," Editions EPO, Bruxelles 1998.


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Questo articolo e' di prossima pubblicazione sul numero di novembre 2000
della rivista comunista l'Ernesto, direttore Fosco Giannini.

L'impegno editoriale de l'ernesto si fa via via sempre piu' vasto e
articolato;

* si ampliano i campi di ricerca: sul piano dell'analisi di classe
(capitale, lavoro, composizione e scomposizione delle forze
sociali),
sulla questione sindacale, sul partito comunista e sulla sua forma
organizzata, sulle questioni teoriche, sul dibattito che si
sviluppa
tra i comunisti e le forze di sinistra nel mondo, sulle nuove
dinamiche
internazionali;
* si allargano e si rafforzano i rapporti di collaborazione e
interscambio con altre riviste, in Italia e all'estero, si fa piu'
vasta
l'area dei nostri collaboratori (intellettuali, dirigenti comunisti
e
di sinistra, esponenti sindacali, italiani e stranieri;
* il ruolo crescente della rivista ha suscitato attese che percepiamo
e
constatiamo, alle quali vogliamo rispondere, sin dai prossimi
numeri,
con un innalzamento del livello di ricerca politica e teorica e con
una
migliore e piu' razionale veste grafica;
* tutto cio' ci spinge a chiedre ai nostri lettori, ai nostri
abbonati uno
sforzo ulteriore: al piu' presto abbonatevi, rinnovate
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Kosovo : Derri�re le paravent �lectoral
Georges Berghezan 07/11/2000
fonte: Le Matin

LAI Balkans Analyses et dossiers Sous l'occupation de
l'OTAN


KOSOVO : DIETRO IL PARAVENTO ELETTORALE

La giornata pi� pacifica dalla fine della guerra: �
cos� che Bernard Kouchner, amministratore del Kosovo
in nome dell�ONU, ha descritto le elezioni locali
tenute il 28 ottobre in questa provincia della Serbia
occupata da pi� di 40.000 soldati sotto il comando
della NATO: Lo scrutinio � stato qualificato come
�libero e onesto� dall�Organizzazione per la Sicurezza
e la Cooperazione in Europa, un complimento
indirizzato a se stessa, poich� ne � stata
l�organizzatrice.

Anche se non hanno probabilmente influenzato il
risultato finale, caratterizzato da una netta vittoria
della Lega Democratica del Kosovo (LDK), guidata dal
non-violento Ibrahim Rugova, molte irregolarit� sono
state accertate durante le prime elezioni organizzate
dopo il ritiro delle forze e dell�amministrazione
serbe e jugoslave: tentativi di furto di urne e di
intimidazioni degli elettori, urne spesso non
sigillate, non rispetto degli orari di chiusura dei
seggi elettorali all�ingresso dei quali sventolava la
bandiera di un paese vicino (Albania), etc. Diverse
violenze sono state rilevate: un ufficio elettorale ha
ricevuto colpi di arma da fuoco, poliziotti dell�ONU
sono stati aggrediti e due attentati hanno colpito la
comunit� serba. In totale, il giorno delle elezioni
sono stati effettuati 26 arresti, un bilancio del
tutto ordinario per il Kosovo.

Pi� significativo ancora, la maggior parte dei membri
delle minoranze ancora presenti nella provincia hanno
boicottato le elezioni, a cominciare dai Serbi che
intendevano protestare contro l�insicurezza e la
�pulizia etnica� che subiscono dall�arrivo delle
truppe della NATO. Ma la maggior parte delle altre
piccole comunit� si sono ugualmente astenute dal
partecipare al voto, come i Turchi che esigono il
ripristino dei loro diritti culturali aboliti
dall�amministrazione di Kouchner. Come ha dichiarato
il nuovo presidente jugoslavo Kostunica, c�� il forte
timore che le elezioni portino alla �legalizzazione di
una societ� mono-etnica�, che non avrebbe nulla da
invidiare all�era del suo predecessore Milosevic,
durante la quale i diversi scrutini furono boicottati
dalla comunit� albanese kosovara.

Quest�ultima � dunque stata la sola a recarsi
massicciamente alle urne il 28 ottobre e ha dato, per
circa il 60%, i suoi voti al LDK, partito che ha
mantenuto delle strutture quasi clandestine durante il
decennio anteriore all�intervento della NATO e durante
il quale Rugova � stato eletto due volte, con pi� del
99% dei suffragi, �presidente� di un Kosovo di cui
egli aveva proclamato l�indipendenza. Questa vittoria
rappresenta soprattutto una sferzante sconfessione per
i partiti generati dall�Armata di liberazione del
Kosovo (UCK) la cui strategia della tensione con le
forze serbe e jugoslave aveva portato ai
bombardamenti della NATO. Il Partito democratico del
Kosovo, guidato da Hashim Thaci, gi� capo dell�UCK,
non ha raccolto che un quarto dei voti e dovr�
abbandonare la maggior parte delle amministrazioni
municipali di cui i suoi uomini si erano impadroniti
l�anno passato.

Milizia mafiosa e razzista, l�UCK ha costruito,
particolarmente grazie alla conquista delle
amministrazioni locali tollerata da compiacenti
autorit� internazionali, un impero criminale dalle
molte facce: traffico di carburante, di sigarette, di
droga e di automobili rubate, prostituzione in Kosovo
e destinata all�Europa occidentale, racket,
costruzione senza permessi di migliaia di immobili che
permettono di riciclare i profitti delle sue
attivit�, etc.
La sconfitta elettorale rischia di indebolire il suo
potere e il problema principale � quello di sapere se
si piegher� al verdetto delle urne passando le chiavi
dei municipi al LDK. Messo sotto pressione da
Kouchner, Thaci ha riconosciuto a denti stretti la sua
sconfitta, mentre uno dei suoi principali
collaboratori gridava al �furto dei voti�.

La vittoria del LDK illustra ugualmente il cinismo
della politica degli Stati Uniti nei Balcani. Dopo
aver classificato, fino all�inizio del 1998, l�UCK fra
le �organizzazioni terroriste�, la diplomazia
americana ne ha all�improvviso fatto dei �combattenti
per la libert��, arrivando perfino a mettere da parte
il pacifico Rugova.
A Rambouillet, qualche settimana prima dei
bombardamenti, era proprio Thaci che guidava la
delegazione kosovara albanese e che era l�oggetto
delle adulazioni della Segretaria di Stato e dei suoi
collaboratori. E� vero che le provocazioni dell�UCK
prima della guerra, e il suo ruolo di agente
informatore della NATO durante la guerra, hanno
enormemente favorito la penetrazione degli Stati Uniti
nella regione. Un anno e mezzo dopo, � nel settore
americano del Kosovo che i malavitosi dell�UCK operano
nella maggiore impunit�.

Infine, resta la questione spinosa dello status finale
del Kosovo. Da parte serba, si chiede l�applicazione
della risoluzione 1244 dell�ONU, che ha messo fine ai
bombardamenti e che ha previsto il ritorno di tutti i
rifugiati e di un numero limitato di personale di
sicurezza jugoslavo, cos� come l�autonomia del Kosovo
nel rispetto della sovranit� e dell�integrit� della
Jugoslavia. Questa ultima clausola esclude chiaramente
l�indipendenza del Kosovo reclamata all�unanimit�
dalla classe politica albanese, mentre le autorit�
internazionali hanno preferito �dimenticare� la
risoluzione, a carattere obbligatorio, con il pretesto
che la Jugoslavia era governata da un criminale di
guerra ricercato dal Tribunale dell�Aja. Allontanato
Milosevic, non si vede come l�ONU riuscir� a schivare
i suoi obblighi.
Ma la messa in opera delle clausole pi� delicate della
risoluzione farebbero crescere di colpo le tensioni,
sprofondando l�Occidente un po� di pi� nel vespaio in
cui si � cacciato.

Georges Berghezan

(ringraziamo Alessandra per la traduzione)

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Una lettera su "Liberazione"

memoria
Come la Jugoslavia?

Signor direttore, sono un cittadino sloveno. Seguo su internet
"Liberazione" (purtroppo certi
giorni non la trovo) e mi appassiono alle vostre giuste battaglie. Se
permette vorrei fare una
critica: state sottovalutando il pericolo del disfacimento della
vostra nazione. Il dramma della
frantumazione della mia ex Jugoslavia forse non � stato capito in
Italia e in Europa. Io ricordo
quando gruppi di teppisti (mascherati da tifosi di calcio) innalzavano
striscioni anti-serbi allo
stadio di Zagabria, e poi, usciti dallo stadio, bruciavano giornali e
negozi gestiti dai serbi.
�Belgrado ladrona�: gridavano. Tutti allora pensavano e scrivevano che
si trattava solo di
ragazzacci ubriachi. Poi... Arrivarono i nazionalisti nei governi di
Serbia, Croazia e Bosnia e
inizi� una tragedia non ancora conclusa. State attenti, ieri sera in
un caff� di Lubiana ho
sentito brutti discorsi fatti da gruppi di turisti veneti tutti con il
fazzoletto verde al collo. La
prego di omettere il mio nome se pubblicher� la lettera perch� faccio
il lavoro di interprete
proprio presso comitive del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.

Lettera firmata

Lubiana

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