Informazione

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3522/1/51/

Spalato all’Italia, Trieste alla Croazia

18.10.2004 Da Osijek, scrive Drago Hedl

Reazioni in Croazia alle dichiarazioni del vice premier italiano Fini
su Istria, Fiume e la Dalmazia. Un incidente a Spalato. Ma la risposta
ufficiale di Zagabria è cauta, e i rapporti tra Italia e Croazia
restano buoni. Per ora, si è trattato solo di una tempesta in un
bicchier d’acqua


La dichiarazione del vice premier italiano Gianfranco Fini che
“l’Istria, Fiume e la Dalmazia sono sempre state regioni italiane” ha
causato subbuglio nella Zagabria ufficiale. Fini ha reso questa
dichiarazione in una intervista al quotidiano di Spalato “Slobodna
Dalmacija”, aggiungendo che “naturalmente nessuno oggi in Italia
penserebbe seriamente che i territori sulla costa orientale
dell’Adriatico saranno restituiti.” Tuttavia, ha detto Fini, è un
dovere dell’Italia “sotto gli auspici di una Europa senza frontiere,
formata da 25 Paesi, che a breve comprenderà anche la Croazia,
assicurare il rispetto della diversità, dell’identità e delle minoranze
che potranno avere libertà di pensiero, parola, ed essere educate nella
lingua dei propri padri e nonni.”

L’opposizione croata ha richiesto che venisse urgentemente inserita
nell’agenda della sessione parlamentare una discussione su quali
iniziative il governo intendesse prendere a proposito della
dichiarazione di Fini. E’ stata inoltre avanzata la richiesta che
l’Ambasciatore croato a Roma ritornasse urgentemente a Zagabria per
consultazioni, e che venisse inviata una nota di protesta a Bruxelles
per la “ripresa della politica aggressiva italiana nei confronti della
Croazia”, e infine che il Primo Ministro Ivo Sanader riferisse
urgentemente in Parlamento. Il giorno seguente a Spalato, la seconda
città della Croazia, si è subito verificato un primo incidente.
Qualcuno ha affisso sulla targa del Consolato della Repubblica
Italiana, che si trova in un palazzo nel centro di Spalato, un
manifesto con insulti ed espressioni volgari che richiedeva tra l’altro
la “restituzione di Trieste e il pagamento dei danni per la seconda
guerra mondiale”. La targa del Consolato è stata imbiancata e
immediatamente dopo l’incidente è intervenuta la polizia per prevenire
la ripetizione di incidenti simili.

“Questa dichiarazione arriva in un pessimo momento per la Croazia,
contemporaneamente ai frequenti incidenti di confine provocati dalla
Slovenia nel golfo di Pirano” – ha dichiarato un funzionario del
Ministero degli Esteri croato, che ha chiesto di rimanere anonimo.
“Faremo tutto quanto in nostro potere per calmare la situazione, la
Croazia non ha bisogno di problemi diplomatici ora che Zagabria si sta
concentrando sull’ottenere una data per l’apertura dei negoziati di
ingresso nella Unione Europea.”

La Zagabria ufficiale, in effetti, ha avuto una reazione piuttosto
riservata. “Possiamo restare assolutamente tranquilli, questa
sicuramente non è la posizione ufficiale della politica italiana”, ha
affermato il Primo Ministro croato Ivo Sanader. “Posizioni simili che
provengono da alcuni circoli della politica italiana sono a noi note.
Respingiamo tuttavia completamente tali posizioni”, ha aggiunto il
Premier.

Estremisti e radicali di questa specie sono presenti in ogni Paese, ha
continuato Sanader, sottolineando il fatto che la Croazia respinge ogni
radicalismo ed estremismo. Sanader ha infine ribadito che non
dovrebbero esserci motivi di agitazione.

In Parlamento, tuttavia, l’opposizione croata ha raccolto più di 50
firme chiedendo che la agenda del giorno contenesse una discussione
sulla dichiarazione di Fini. La iniziativa della raccolta delle firme è
stata avviata dal Partito Croato dei Diritti (HSP), la estrema destra
del Parlamento Croato, ed è stata sostenuta dai Socialdemocratici
dell’ex Primo Ministro Ivica Račan e dal Partito Croato dei Contadini,
di orientamento centrista. “La Croazia deve agire in risposta,
altrimenti come reagiremo un domani se, diciamo, Vuk Drašković
[Ministro degli Esteri di Serbia e Montenegro] dichiara che la
Slavonia, la Baranja e Vukovar sono territorio serbo?”, ha affermato
Tonči Tadić (HSP) in Parlamento, spiegando la propria iniziativa.

Il Presidente del Parlamento croato, Vladimir Šeks, non ha però
autorizzato la discussione parlamentare sull’argomento. Dal momento che
il suo partito ha 66 parlamentari su 153, ed è ulteriormente sostenuto
da 14 altri, ogni ulteriore discussione sulla dichiarazione di Fini è
stata respinta.

Per calmare i parlamentari, tuttavia, Šeks ha convocato una riunione
speciale della Commissione Esteri del Parlamento croato, e ha fatto una
dichiarazione nella quale condannava la parte controversa della
intervista di Fini, descrivendola come contenente “pretese
inaccettabili e inconcepibili”. “Stiamo parlando di costruzioni e
premesse false. Il Parlamento Croato giudica inaccettabile ogni pretesa
rivolta alla Croazia”, ha dichiarato Šeks.

Nel frattempo, il sottosegretario agli Esteri incaricato degli affari
politici, Hido Biščević, ha richiesto un incontro con l’Ambasciatore
italiano a Zagabria, Alessandro Grafini, per “rivolgere la sua
attenzione verso alcune parti delle dichiarazioni rese dal vice premier
Fini, che sono discrepanti rispetto al generale spirito e contenuto
degli attuali rapporti tra Italia e Croazia”. E questi rapporti,
secondo Biščević, sono più che buoni. La nota comune rilasciata al
termine dell’incontro concludeva che le relazioni tra Croazia e Italia
“stanno progredendo” e i prossimi incontri, come quello del comitato
congiunto italo-croato, che si terrà a Roma il 22 novembre prossimo, le
migliorerà in maniera ancora più significativa.

Per molti anni l’Italia è stato il partner più importante negli scambi
con l’estero. L’anno scorso, l’Italia ha esportato beni verso la
Croazia per un valore di 2,27 miliardi di €, mentre la Croazia ha
esportato verso l’Italia per 1,44 miliardi di €. Ogni anno, centinaia
di migliaia di turisti italiani trascorrono le proprie vacanze in
Croazia, e l’Italia ha aiutato in maniera importante la Croazia nel suo
più importante obiettivo politico – acquisire lo status di Paese
candidato alla UE e entrare nell’Unione entro il 2007. Gli analisti
politici concordano sul fatto che per tutti questi motivi Zagabria
preferisce una iniziativa diplomatica tranquilla, che potrebbe portare
a calmare la situazione, piuttosto di entrare in un conflitto aperto
con Roma. E’ probabilmente per questo motivo che non ci sono stati
particolari commenti alla dichiarazione resa da Carlo Giovanardi,
Ministro del Governo italiano, che ha sostenuto Fini il giorno dopo
l’intervista, affermando a “Il Piccolo” che tutto quanto era stato
detto da Fini rappresentava una “verità storica”.

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3534/1/51/

Scienziati albanesi contro gli OGM

20.10.2004 scrive Indrit Maraku

Si riaccende in Albania la polemica sull’uso di organismi geneticamente
modificati. In una petizione sottoscritta da 51 scienziati albanesi si
chiede una moratoria di cinque anni all’introduzione di OGM nel Paese.
Ma i media locali sono distratti rispetto a questa presa di posizione
dei docenti albanesi


Gli scienziati albanesi protestano contro l’ingresso nel Paese degli
organismi geneticamente modificati (OGM). In una petizione indirizzata
al Parlamento - siglata da 51 professori dell’Università Agricola,
della Facoltà di scienze naturali e da altri studiosi - si chiede il
divieto d’importazione degli OGM per un periodo di almeno cinque anni,
poiché la mancanza di laboratori adeguati non permetterebbe di
mantenere sotto controllo le probabili conseguenze sulla salute della
gente. Intanto, un’inchiesta dell’Associazione esperti
dell’Agrobusiness (Kea) rivela l’inquietante inconsapevolezza degli
agricoltori albanesi sui possibili rischi che potrebbero correre
utilizzando gli OGM nelle loro attività. Comunque, l’85% degli
intervistati si dicono scettici sulla capacità della legislazione
albanese di proteggerli dai rischi collegati ai cibi geneticamente
modificati.

L’Albania non è preparata a controllare gli organismi geneticamente
modificati e le loro conseguenze sulla salute delle persone e sulla
biodiversità. Causa, la totale mancanza di infrastrutture, di capitale
finanziario e di esperti nel Paese per il monitoraggio. È questa la
motivazione che ha spinto i 51 scienziati a firmare la petizione con la
quale si chiede ai deputati albanesi di bloccare per un periodo
quinquennale l’uso degli OGM nel Paese, avvertendoli sul pericolo che
incomberebbe sul turismo e sull’esportazione dei prodotti locali.

Poi l’allarme. “Per quel che riguarda la salute – si legge nella
petizione – si sono riscontrate allergie causate dagli alimenti
geneticamente modificati. Esiste un rischio evidente e potenziale anche
sul sistema immunitario dell’organismo umano”. Gli studiosi hanno
voluto mettere in guardia anche sulle limitate possibilità della
scienza sull’argomento che, secondo loro, non è ancora in grado di
certificare l’incolumità della natura, della salute delle persone e
quella del bestiame a seguito dell’introduzione degli OGM.

La loro apprensione, infatti, è del tutto giustificata visto che i
precedenti non mancano. Sono due i casi più noti di OGM in Albania: uno
nell’ottobre del 2003, quando nel porto di Durazzo attraccò una nave
Usa con 6.000 tonnellate di mais e farina di soia geneticamente
modificato, l’altro nel febbraio del 2004, quando si ripropose lo
stesso scenario di prima, ma questa volta il carico fu di 4.000
tonnellate. Si trattava di materiale importato nel Paese dall’agenzia
americana Ifdc (International Fertilizer Development Center) che da
anni opera in Albania con programmi di sostenimento per l’agricoltura
locale; la stessa che, di fronte alle proteste degli ambientalisti,
garantì la certificazione sulla qualità del materiale. L’unica reazione
da parte delle autorità fu quella di Resmi Osmani, consigliere del
Ministero dell’agricoltura, che disse: “L’importazione di OGM in
Albania è del tutto legale e le polemiche che si stanno svolgendo si
basano su fatti del tutto ipotetici”.

Oggi come allora, i più sensibili sull’argomento sono proprio gli
ambientalisti. Scarsa, invece, l’attenzione dei media: basta notare il
numero dei quotidiani che hanno scritto sulla petizione dei 51
scienziati, solo uno. A tacere sono anche le autorità. Un silenzio, il
loro, ininterrotto neanche davanti alle accuse di Lavdosh Feruni, a
capo dell’Associazione dell’agricoltura organica. Dopo le due navi
americane – ha detto ai giornalisti – altro materiale OGM è entrato dai
Paesi dell’ex-Jugoslavia. Secondo Feruni, l’importazione dei prodotti
geneticamente modificati in Albania viola la legislazione attuale e
questo sarà uno dei problemi principali nelle relazioni con i Paesi
dell’Unione europea che ormai hanno vietato l’uso degli OGM per un
periodo di 5 anni.

Feruni ha lanciato l’allarme anche sull’ignoranza in questione degli
agricoltori. Sono convinti – spiega – che i loro prodotti avranno un
costo minore se usano gli OGM, ma non è così. Gli agricoltori albanesi
non sono capaci di dare un giudizio sugli effetti collaterali degli OGM
sulla salute e sulla biodiversità, ha affermato.

E a dargli pienamente ragione è stata un’inchiesta dell’”Associazione
esperti dell’Agrobusiness” (Kea) sui prodotti geneticamente modificati,
durante la quale sono state intervistate 239 persone, la maggior parte
delle quali agricoltori. Secondo i risultati resi noti pochi giorni fa,
più del 50% degli intervistati pensa che l’uso degli OGM migliorerebbe
lo standard della loro vita, poiché farebbe diminuire i costi di
produzione. Il 64.4% degli intervistati per l’inchiesta della Kea è
dell’opinione che i prodotti geneticamente modificati non sono dannosi
per l’organismo umano e che li userebbero tranquillamente anche in
famiglia. Comunque, la stragrande maggioranza si dice scettica nei
confronti della legislazione albanese in materia. L’85% degli
intervistati ha detto che le leggi attualmente in vigore in Albania non
sono per niente sufficienti per difendere i cittadini dai rischi che
potrebbero correre usando cibi geneticamente modificati.

vedi anche:
Albania: aiuti geneticamente modificati
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2571
Ancora OGM in Albania
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2811

Croazia: Organismi Geneticamente Modificati? No grazie
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/463
Scandalo OGM in Croazia
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2828
Alimenti in Montenegro: il profitto è più importante della salute
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2990
OGM in Bosnia Erzegovina
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3007
Serbia: OGM e politica
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3011

Nazionalisti croati contro nazionalisti sloveni

1. Golfo di Pirano: acque agitate (Oss. Balcani)

2. I regionalisti istriani sui rapporti con Lubiana (La Voce del
Popolo, Fiume/Rijeka)

3. Il contenzioso sloveno-croato: una pericolosa scintilla nei Balcani
occidentali (Franco Juri / Oss. Balcani)

VEDI ANCHE:

CROATIA AND SLOVENIA IN NEW BORDER DISPUTE
Tension remains between Zagreb and Ljubljana following allegedly staged
incident on disputed border territory.
By Drago Hedl in Osijek - IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 518, October
01, 2004
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200410_518_1_eng.txt

Regain de tension frontalière entre la Slovénie et la Croatie
http://www.balkans.eu.org/article4626.html

Slovenia/Croazia: quali sono i confini della UE?
JUGOINFO Mer  1/9/2004
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3763

Slovenia/Croazia: quali sono i confini della UE? (2)
JUGOINFO Lun 27/9/2004
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3840



=== 1 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3441/1/51/

Golfo di Pirano: acque agitate

30.09.2004

La Slovenia vuole un proprio accesso alle acque internazionali, la
Croazia glielo nega. La questione del Golfo di Pirano, assieme ad altri
nodi irrisolti ereditati dalla dissoluzione della Jugoslavia, rendono
tesi i rapporti tra i due Paesi. Soprattutto durante le rispettive
campagne elettorali. Un contributo di

Leonardo Barattin

L’annoso braccio di ferro tra Slovenia e Croazia sulla definizione del
confine di Stato presso il Golfo di Pirano si è riproposto con forza in
quest’ultimo mese di campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento
di Ljubljana.

Lunedì 13 settembre il premier sloveno Anton Rop è andato a pesca nelle
acque del Golfo irritando gli ambienti politici e i media croati che
sono giunti a parlare di “slovenska provokacija” (Večernji List del
14.09.04). Alcuni giorni più tardi, mercoledì 22 settembre, uno dei
membri più in vista del Partito Popolare Sloveno (SLS), Janez Podobnik,
insieme ad altri undici politici nazionalisti sloveni sono stati
protagonisti di un incidente di frontiera al valico di Plovanija
(avrebbero sconfinato in modo illegale per recarsi nella casa del
“patriota” sloveno Joško Joras che risiedendo nel villaggio di Mlini,
formalmente in territorio croato, continua ad affermare di vivere in
Slovenia) che sta causando pesanti strascichi nei rapporti tra
Ljubljana e Zagabria, nonostante il Primo Ministro croato Ivo Sanader
abbia cercato di stemperare il clima definendo l’incidente come
predizborna kampanja (ossia un fatto di campagna elettorale).


Nell’impossibilità di giungere sino ad oggi ad una soluzione della
contesa con la ratifica di un trattato da parte dei due parlamenti e in
attesa di un arbitrato internazionale risolutivo la questione del
confine marittimo del Golfo di Pirano continua ad avvelenare i rapporti
tra Slovenia e Croazia assieme ad altri nodi problematici ereditati con
la dissoluzione dello Stato jugoslavo. Quali sono i termini della
questione?

Il desiderato spostamento a sud della linea di confine marittimo
risulta essere di fondamentale importanza per la Slovenia in quanto,
senza la rettifica dello stesso a suo favore, essa risulta priva di un
accesso indipendente alle acque internazionali e di conseguenza le sue
imbarcazioni devono necessariamente attraversare il mare territoriale
italiano o quello croato per giungere in mare aperto. Con quali
implicazioni si può facilmente intendere sul piano economico, militare
e politico.

Il tracciato del confine marittimo dipende però dalla linea di confine
terrestre: qualora la Slovenia ottenesse l’assegnazione di alcuni
minuscoli villaggi istriani oggi sotto la sovranità croata (ma
rivendicati con forza da parte slovena), la direzione della linea di
confine in uscita dalla foce del fiume Dragogna (che funge da confine
tra i due Stati sin dai tempi della Federativa) verrebbe
automaticamente modificata disegnando proprio la soluzione favorevole a
Ljubljana all’interno delle acque del Golfo di Pirano.

La controparte croata si oppone con forza alla cessione di sovranità su
terra e mare e anzi rilancia osservando che il corso originario del
Dragogna (anteriormente cioè alla rettifica della sua parte terminale
operata negli anni della Jugoslavia comunista) sfociava un chilometro e
mezzo più a nord, in territorio oggi sloveno e che questo, a rigore di
termini, dovrebbe essere considerato come il confine reale.

Per parte propria gli sloveni sostengono con Joras che i villaggi
contesi siano di propria pertinenza dal momento che rientrano nei libri
catastali del Comune (sloveno) di Pirano, mentre dal versante croato si
ribatte affermando che “Joras sapeva che la sua casa si trova dalla
parte croata” dal momento che “ha richiesto al Comune di Buje [n.d.a.:
in Croazia] il permesso di costruzione per la sua abitazione” (Glas
Istre, 24.09.04). A ciò Joras replica che questo non prova che egli
viva in Croazia …

Pur apparendo a qualcuno una banale lite di corte si tratta viceversa
di una questione che nel corso degli anni ha dimostrato di essere
altamente complessa e spinosa, spesso intrecciata (e condizionata nella
sua soluzione) ad altri nodi problematici che agitano i rapporti tra i
due Paesi (si pensi ad esempio ai noti casi della Ljubljanska Banka e
della centrale termonucleare di Krško) e che sinora hanno dato luogo
sia a forti frizioni che a strumentalizzazioni di questa o quella parte
politica.

Al di là delle sue varie ricadute sul piano pratico sia in caso di
soluzione che di mancata soluzione, il vivace contrasto sul Golfo di
Pirano è la spia - piccola, se si vuole, ma luminosa … - dei numerosi
contrasti e contraddizioni che continuano ad agitare l’intero panorama
ex-jugoslavo e che con il progressivo allargamento all’Europa
sudorientale fioccheranno sui tavoli delle istituzioni comunitarie e
delle sedi d’incontro dei governi europei, richiedendo loro soluzioni
articolate e ponderate che sanino situazioni di incertezza, squilibrio
e tensione e procedano in direzione di una composizione permanente dei
conflitti.

Vedi anche:
Istria, tra Croazia ed Europa
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/140
L’Adriatico, frontiera di ogni pericolo
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3316


=== 2 ===

La Voce del popolo (quotidiano degli italiani in Istria)
http://www.edit.hr/lavoce/index.html

Da "La Voce del Popolo" Rijeka - Fiume, 1. ottobre 2004
 
I regionalisti autonomi sui rapporti con Lubiana

«La questione dei confini va risolta quanto prima»

I vertici del Partito Regionale Autonomo (ARS) hanno discusso ieri i
problemi tra Croazia e Slovenia. Il presidente della formazione
politica, Milivoj Brozina e la vicepresidente, Jagoda Špalj, si sono
soffermati in particolare sui problemi che la nostra Regione ha con la
vicina repubblica. L'ARS ha condannato il Partito popolare sloveno per
il modo in cui sta tentando di conquistarsi le preferenze dei cittadini
sloveni in vista delle elezioni del 3 ottobre. Brozina ha condannato
pure il Governo sloveno – che ha dichiarato di non voler più appoggiare
la Croazia nel suo cammino verso l'Unione europea – ma anche quello
croato, reo di non saper risolvere in modo efficace il contenzioso con
i nostri vicini. Basti pensare al Golfo di Pirano, a Sveta Gera o ai
paesi nei pressi del valico di confine di Plovania.
Jagoda Špalj ha sottolineato il fatto che il problema del confine di
Rupa-Lipa è stato presentato al Ministero degli affari esteri già a
luglio. Il Ministero, da allora, non ha fatto niente per regolare
l'entrata dei cacciatori sloveni nella zona croata.
I confini politici non dovrebbero dividere i Paesi, bensì stabilire
soltanto i limiti fisici di uno stato. I confini dovrebbero basarsi
sulla tolleranza e su compromessi. L'ARS spera che la commissione per i
confini tra Croazia e Slovenia diventi più attiva e che la situazione
tra i due Stati si sblocchi prima di provocare gravi incidenti.

Martina Blečić


=== 3 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3526/1/51/

Il contenzioso sloveno-croato: una pericolosa scintilla nei Balcani
occidentali

19.10.2004 scrive Franco Juri

Al momento della dichiarazione d'indipendenza Croazia e Slovenia si
accordarono sul confine di terra, ma non su quello di mare. Oggetto del
contenzioso, che sta riaccendendo pulsioni nazionaliste, il Golfo di
Pirano.


La Slovenia e la Croazia dichiararono l' indipendenza con reciproco
riconoscimento diplomatico simultaneamente il 25 giugno del 1991. Nel
farlo dichiararono di non avere contenziosi di frontiera e di
riconoscere il proprio confine – fino allora interrepubblicano - quale
nuova frontiera interstatale, fatto che suggellarono in entrambi i
parlamenti con la rispettiva »Carta costituzionale di fondazione e
indipendenza della repubblica«. Il mutuo riconoscimento del confine
venne giudicato dalla commissione internazionale di arbitrato per l' ex
Jugoslavia, presieduta dal giudice francese Robert Badinter, elemento
fondamentale per il riconoscimento internazionale di Slovenia e
Croazia, sia da parte dell' UE che dell' ONU.
Ma se il confine di terra tra i due nuovi stati era grosso modo
definito (Lubiana e Zagabria si accordarono di tracciarlo con esattezza
in base al lavoro di una commissione mista di esperti), lo stesso non
si puo' dire per quello di mare, non essendoci mai stata una
delimitazione di acque tra le diverse repubbliche Jugoslave, bensì solo
tra zone e settori di controllo delle diverse polizie.

A 13 anni dall' indipendenza Slovenia e Croazia si trovano ad
affrontare con reciproche accuse, che vanno assumendo già una
dimensione europea ed internazionale, uno dei contenziosi territoriali
più insidiosi nell' area ex Jugoslavia. La speranza di trovare
finalmente un accordo bilaterale di compromesso sia sul confine di mare
che sugli ultimi 7 kilometri di confine terrestre, i quali concorrono a
determinare il primo, sembrano svaniti dopo che nel 2001 la Croazia ,
ovvero il suo parlamento e di conseguenza anche il governo, abiurarono
una proposta formulata direttamente dai due capi di governo di allora,
Janez Drnovšek e Ivica Račan, e che prevedeva una divisione del golfo
di Pirano (in verità una baia) vantaggiosa per la Slovenia e un
corridoio di acque internazionali che permettesse a Lubiana l'accesso
diretto al mare aperto. In compenso la Slovenia abbandonava le sue
pretese sui 130 ettari a sud del fiume Dragogna, sotto giurisdizione
croata al momento dell'indipendenza ed anche ora, ma che Lubiana
considera propri o almeno oggetto di negoziato in quanto evidenziati
sui libri catastali sloveni come appartenenti al comune catastale di
Sicciole. E' proprio a cavallo del valico di confine istriano di
Sicciole-Plovanija che dal 1994 avvengono sistematici incidenti, spesso
inscenati accuratamente e con la puntuale presenza della TV slovena e
che hanno quale protagonista un cittadino sloveno, Joško Joras, membro
del Partito popolare sloveno (destra populista). Joras non riconosce il
confine e dichiara - con il sostegno ambiguo delle autorita' di Lubiana
- che la sua casa e' in territorio sloveno. Nel 1984 questo sloveno
originario di Maribor costruì la sua casa sulla sponda sinistra del
Dragogna,ottenendo tutti i permessi dal comune croato di Buie. Nel 1993
alcuni politici sloveni »scoprirono« che i paesini di Mulino, Busini e
Scodelini, a sud del fiume che fungeva da confine, erano evidenziati
nei libri catastali di Sicciole, per cui richiesero ed ottennero dal
governo che diventassero oggetto di negoziato per la commissione
diplomatica mista per il confine. In verita' quei 130 ettari in
discussione servivano a modificare lievemente il confine di terra,
condizionando così quello di mare ancora da definire. Quella che
sembrava una questione solo »catastale«, »tecnica« si e' trasformata in
un cavallo di battaglia politico e nazionalista sia in Slovenia che in
Croazia; un detonatore di rancori e reciproche accuse che si attiva ad
ogni campagna elettorale con la perversa partecipazione di una parte
dei massmedia.

Oggi, a tre anni di distanza dal tentativo Drnovšek-Račan, paraffato
con il consenso dei governi dai negoziatori dplomatici ma in verita'
mai ratificato ne dai governi, ne dai parlamenti , il negoziato sul
confine è nuovamente al punto di partenza, mentre un pesante tributo di
incidenti di frontiera, soprattutto in mare, sta appesantendo il clima
in Istria , dove oltre a Croati e Sloveni vivono un'importante comunità
italiana e altre minoranze, e a deteriorare i rapporti tra i due vicini
ex jugoslavi.

La Croazia, facendo appello al diritto internazionale e nello specifico
all'articolo 15 della Convenzione sul diritto marittimo, considera che
il golfo di Pirano ,vera mela della discordia, debba essere diviso a
metà finché le due parti non trovino un accordo definitivo. La Slovenia
rivendica la sua piena sovranità sulla baia e fa leva sulla
disposizione della stessa convenzione che prevede soluzioni diverse per
i golfi ove ci siano particolari condizioni storiche. Lubiana adduce la
tradizionale gestione del comune di Pirano sul golfo intero ed il
controllo della polizia slovena fino al largo di punta Salvore nel
momento dell'indipendenza. La mancanza di un'interpretazione condivisa
del diritto internazionale sta provocando una vera e propria escalation
di incidenti in mare; i pescatori sloveni e croati si affrontano già
quasi fisicamente e quotidianamente, scortati dalle rispettive
polizie.A complicare ulteriormente il contenzioso è stata la
discutibile decisione croata di dichiarare quale propria zona
ittico-ecologica metà delle acque internazionali dell'Adriatico e di
avviare un controllo militare su di essa. Fondati sono i timori della
Slovenia per quanto riguarda l'impatto negativo che tale mossa potrà
avere per il porto di Capodistria, nonostante l'esenzione dai controlli
croati per le navi battenti bandiera UE. Ma la tensione è ulteriormente
aumentata soprattutto nel corso della recente campagna elettorale in
Slovenia, (come pure alla luce di quella delle presidenziali in
Croazia) dopo che un gruppo di candidati del partito di Joško Joras,
con a capo lo stesso presidente del partito Janez Podobnik, ha
attraversato il confine e raggiunto la casa di Joras rifiutando di
esibire alcun documento alla polizia croata. La reazione di questa è
stata decisa; il gruppo è stato portato con la forza al commissariato
di Buie e rilasciato solo in tarda serata. L'incidente ha scatenato una
serie di reciproche accuse tra le diplomazie e il premier sloveno Anton
Rop, a pochi giorni dalle elezioni, che lo hanno visto sconfitto, ha
minacciato di bloccare i negoziati per l'adesione della Croazia all'
UE. La minaccia è stata reiterata anche dal ministro degli esteri
uscente Ivo Vajgl in una riunione dei capi diplomazia UE in Lussemburgo.

L' UE, con Solana e Patten, ha reagito imbarazzata , offrendo, nel caso
le due parti lo richiedessero, una mediazione. Il governo croato
propone l' arbitrato internazionale presso i competenti tribunali dell'
Aia o di Amburgo. La Slovenia si oppone all' arbitrato e spera di poter
condizionare il negoziato premendo sulla Croazia dal suo seggio
privilegiato nell' UE e nella Nato.

Intanto l' atmosfera, soprattutto nella penisola istriana,
caratterizzata in passato da una cooperazione regionale esemplare tra
comuni contermini e basata sulla sua specificità multietnica e
multiculturale, si fa pesante. L'incertezza dei pescatori aumenta, la
voce dei nazionalismi si fa sempre più grossa.

La recente vittoria elettorale della destra guidata da Janez Janša in
Slovenia aumenta i punti interrogativi sulla vicenda sloveno-croata. Il
partito di Janša ha un rapporto preferenziale con quello di Ivo
Sanader, l' HDZ, ed entrambi appartengono al conservatore Partito
Popolare Europeo. Ciò in teoria potrebbe favorite una soluzione del
contenzioso, anche se è difficile dimenticare che nel 2000 fu proprio
il breve governo guidato da Andrej Bajuk e Janez Janša a ordinare che
la polizia slovena assumesse, con un'azione di forza, il controllo dei
tre paesini contesi a sud del Dragogna. L'ordine per fortuna non venne
eseguito in quanto la polizia ed alcuni ministri lo considerarono
anticostituzionale oltre che pericolosissimo. Poi il governo delle
destre fu spazzato via dalle elezioni. Oggi rientra alla grande e - c'
e' da sperarlo - con più saggezza e più attenzione alle prassi europee
di quanta ne avesse allora. Tra Slovenia e Croazia basta una scintilla,
un incidente grave e tragico, per riaprire il peggior dossier »Balcani«
anche in seno all' UE.

A Tarcento (UD)

Domenica 31 ottobre 2004

alle ore 10:30
presso l'Auditorium delle Scuole medie, in Via Pascoli


Concerto del Coro Partigiano "Pinko Tomazic" di Trieste


(nell'ambito della iniziativa “O partigiano”, vedi:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3510/1/58/ )

(english / srpskohrvatski)

Il Kosmet dai pogrom alle nuove elezioni-farsa (5)

1. BORBA ZA LOKALNU VLAST U UN/NATO NARKO-PROTEKTORATU (S. Nikolic /
ARTEL)

2. Tragedy and Farce. Elections in Occupied Kosovo
(by Nebojsa Malic / ANTIWAR.COM)


=== 1 ===

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2004-10-20.html

BORBA ZA LOKALNU VLAST U UN/NATO NARKO-PROTEKTORATU

S. Nikolic
Beograd, 19. oktobar 2004. godine

Lokalni izbori na KiM se odrzavaju za par dana i kako stvari stoje
pravi pobednik na njima ce biti siptarski organizovani kriminal, koji
ce posle njih ucvrstiti svoju vlast u Pokrajini. Pred tom cinjenicom,
ali razlicito motivisani, oci zatvaraju i UN pod cijim se formalno
protektoratom nalazi KiM, i NATO koji je stvarni protektor i svetske
vlade zainteresovane za resavanje pitanja KiM i nazalost vlade Srbije i
SCG.
Da je vlast na KiM u rukama siptarskog organizovanog kriminala, a ne u
rukama politickih partija kao elementa politike u jednom politickom
sistemu, pokazuje sama praksa.
Siptarski organizovani kriminal kontrolise i upravlja siptarskim
politickim partijama na dva nacina:
" sami lideri politickih partija suvereni su deo siptarskog
organizovanog kriminala strukturuisanog po sistemu porodicnih
kriminalnih fisova koji deluju u okviru mafijaskih loza. Predvodnik,
boss ili popularno kum mafijaske loze je uglavnom i politicki lider;
" raznim uslugama politickim partijama od strane organizovanog
kriminala i obezbedjivanjem finansijskih sredstava od strane
narkomafije za potrebe i aktivnosti politickih partija.

PREDVODNICI MAFIJASKIH LOZA KAO LIDERI POLITICKIH PARTIJA
Tipicni primeri - predvodnik mafijaske loze = politicki lider, jesu
primeri terorista i kriminalaca Hasima Tacija lidera Demokratske
partije Kosova (DPK) i Ramusa Haradinaja lidera Alijanse za buducnost
Kosova (ABK).
Naime, teritorija Kosova i Metohije je sto se tice organizovanog
kriminala podeljena na tri glavne interesne zone:
- oblast Drenice koju kontorlise klan Taci;
- oblast Metohije koju kontrolise klan Haradinaj;
- oblast Laba koju kontrolise klan Rustema Mustafe Remija;
Na celu klana Taci, poznatog i kao "Drenicka grupa" nalazi se Hasim
Taci. Pomenuta grupa drzi pod kontrolom oko 10 do 15% ukupnog broja
kriminalnih poslova na KiM, koji se odnose na sverc oruzja, kradenih
automobila, goriva a delimicno i cigareta, kao i na prostituciju,
ostvarujuci finansijsku vezu sa clanovima, albanske, ceske, makedonske
i srpske mafije. Inace, Tacijeva sestra udata je za Sejdiju Bajrusa
jednog od vodja albanske mafije.
Taci kontrolise veci deo organizovanog kriminala u regionu
Istok-Klina-Srbica-Pristina. Najblizi saradnik u svercu ukradenih
automobila mu je Fadilj Taci, a na tom poslu saradjuje i sa kriminalnim
klanom Kitaj. Na podrucju opstine Klina, organizovanjem prostitucije se
bavi Hamid Taci, dok se poslovima sverca droge i trgovine prostitutkama
Hasim Taci bavi zajedno sa Menduhom Tacijem, te Betusom Zihugolijem i
Engelom Sabanajem, zvanim "Andjeo". Preko Menduha Tacija, Hasim Taci je
ukljucen i u ilegalnu trgovinu oruzjem i gorivom. Uz Ekrema Luku,
Fljorija Maljokua i Ismeta Osmanija, Taci je jedan od vodja u ilegalnoj
trgovini cigaretama na KiM.
Tacijev blizak saradnik u poslovima organizovanja prostitucije, sverca
narkotika i oruzja je Dzavit Haljitaj, koji se, izmedju ostalog, bavi i
poslovima zastrasivanja, ucenjivanja i eliminacije Tacijevih politickih
protivnika.
Na celu klana Haradinaj, nalazi se Ramus Haradinaj najuticajnija
krminalna licnost u oblasti Metohije, na podrucjima Peci, Decana i
Djakovice. Organizovana kriminalna grupacija (kriminalni fis) na cijem
je celu Haradinaj poznata je pod imenom "Metohijska grupa" ili
"Dukadjin". Kriminalni fis Haradinaj, ciji su istaknuti clanovi i Ekrem
Luka, Naser Keljmendi, Isa Baljaj, Arton Toljaj, Avdulj Muskolji i Alji
Haskaj, usmeren je na ilegalnu trgovinu oruzjem, narkoticima, akciznom
robom, kradenim vozilima, kao i reketiranjem siptarskog stanovnistva na
KiM. Krijumcarena roba se distribuira u Makedoniju, jug centralne
Srbije, Rasku oblast, te u Crnu Goru, koriscenjem putnog pravca
Pec-Kula-Rozaj. S obzirom na bliske veze Ramusa Haradinaja sa borcima
bivse OVK koji su nakon navodne demilitarizacije presli u KPS i KZK kao
i na politicki uticaj koji ima kao jedan od lidera najjacih siptarskih
politickih partija, u mogucnosti je da indirektno ostvaruje kontrolu
granica prema navedenim podrucjima, kao i da se bavi kriminalnim i
teroristickim aktivnostima na ovom podrucju.

MAFIJASKE LOZE
Na prostoru KiM deluju i drugi kriminalni klanovi - fisovi ali svoju
kriminalnu delatnost sprovode u saradnji i pod okriljem neka od ova tri
navedena kriminalna klana - fisa. Skup kriminalnih fisova cini
mafijasku lozu ciji je predvodnik i politicki lider.
Tako recimo, pod okriljem kriminlnog klana - fisa Haradinaj i u
saradnji s njim, deluju kriminalni klanovi - fisovi: Esljani, Ljata,
Voksi, Babaljija, Musaj, Keljmendi i Luka. Predvodnik ove mafijaske
loze je Ramus Haradinaj, koji je istovremeno i politicki lider nalazi
se celu ABK.
Pod okriljem i u saradnji sa kriminalnim klanom - fisom Taci deluju
kriminalni klanovi - fisovi: Seljimi, Geci, Ljustaku, Jasari, Ladrovci,
Sulja, Agusi… Predvodnik ove mafijaske loze je Hasim Taci koji je
istovremeno i politicki lider - nalazi se celu DPK.
Mafijaska loza koju predvodi Rustem Mustafa Remi nema svog politickog
lidera ali podrzava Hasima Tacija.
Deo ovako kriminalnim aktivnostima stecenih finansijskih sredstava ove
mafijaske loze usmeravaju u politicke kampanje svojih predvodnika
Haradinaja i Tacija!

SIPTARSKA MAFIJA I DSK IBRAHIMA RUGOVE
Ni DSK Ibrahima Rugove nije imuna na novac i usluge krminalnih klanova
siptarske mafije kojima za usluge uzvraca politckim u drugim ustupcima.
Naime, sve do promovisanja Hasima Tacija u vodju teoristicke OVK od
strane americkog faktora, najveci deo novca koji je siptarska
narkomafija investirala u projekt "Nezavisno Kosovo" isao je upravo DSK
i Ibrahimu Rugovi. Tako je jedan i finansijera DSK bio Pinc Dobrosi
poznati siptarski narkobos u Ceskoj, a ceska sluzba bezbednosti
poseduje foto i fono zapise susreta Rugove i Dobrosija kao i dokaze o
Dobrosijevim finasijskim transakcijama na racune DSK.
Iako je danas, najveci broj siptarskih kriminalnih fisova skoncetrisan
oko dva najjaca, Tacijevog i Haradinajevog, postoje i kriminalni fisovi
koji na sve nacine pomazu DSK Ibrahima Rugove. Jedan od takvih klanova
je i klan Musaj, a tesko ranjavanje Ramusa Haradinaja, 07.07.2002.
godine, u selu Strelci, u zapadnom delu KiM, rezultat je
medjumafijaskog i medjupolitickog sukoba izmedju fisa Haradinaj i fisa
Musaj.

PRAVI POBEDNIK LOKALNIH IZBORA NA KiM BICE SIPTARSKA MAFIJA
Kad se svi ovi podaci sumiraju, a oni su poznati i zapadnim sluzbama
bezbednosti, moze se sasvim decidirano tvrditi da lokalni izbori na KiM
ustvari predstavljati borbu za oficijelnu politicku vlast izmedju
mafijaskih loza Taci, Haradinaj i kriminalnih fisova koji za svog
politickog lidera priznaju Ibrahima Rugovu, i da ce pravi pobednik
lokalnih izbora na KiM biti siptraski organizovani kriminal u medijima
nazvan siptarska mafija.
Ona mafijaska loza koja osvoji oficijelnu politicka vlast imace
stratesku prednost nad drugim mafijaski lozama i kontrolu nad sferom
ekonomije, trgovine, snabdevanja, gradjevinarstva, saobracaja,
poljoprivrede kao i upravljanja investicijama. Takodje, mafijaska loza
koja pobedi na lokalnim izborima steci ce status monopliste koji ce
odredjivati koja siptarska struktura iz inostranstva moze da ulaze na
KiM, i postace "alfa i omega" procesa pranja prljavog novca kroz proces
privatizacije.
Iz lokalnih izbora siptarska mafija ce izaci jaca i homogenija jer ce
razlicite mafijaske loze i kriminalni fisovi biti prinudjeni na
saradnju u okviru procesa pranja novca i njegove legalizacije u
poslovima privatizacije, investiranja, nekretnina i sl. Takodje, posle
lokalnih izbora i konsituisanja lokalne vlasti, siptarska mafija ce
pokusati da prosiri svoju uticaj na srpsku i balkansku ekonomiju, kao i
uticaj u delovima srpskog politickog i ekonomskog establismenta i
srpskom organizovanom kriminalu, kako bi se na duzi rok osigurali
"narko, cigarete, belo roblje i sl. - cevovodi", odrzale "meke granice"
i uspesno realizovao projekt "Nezavisnog Kosova" kao deo projekta
"Velika Albanija" kojim bi se ostvarila opcija narko drzave, odnosno
jedinstevne albanske drzava sa narko mafijaskim lozama kao centrima
finansijske i politicke moci.
Najvecu cenu sadasnje i buduce vlast siptarske mafije na KiM platice
srpsko stanovnistvo jer su siptarski organizovani kriminal, terorizam i
politika separatizma i secesije u tesnoj vezi po sistemu olimpijskih
krugova. Novac stecen organizovanim kriminalom se delom pored placanja
lobi usluga i korumpiranjem svetskih polticara "investira" i u
terorizam, kao orudje politike separatizma i secesije koju sprovode
lider siptarskih politickih partija. Srbi ce i dalje biti ubijani i
proterivani od strane razularenih siptarskih terorista i narkodliera
koji imaju svoje ciljeve - profit, moc i jedinstvena Albanska drzava u
kojoj Srbi treba da budu svedeni na nivo statisticke greske.
Cenu takodje placa, i placace jos vise siptarsko stanovnistvo, jer ce
potpunu kontrolu nad svim sfera drustvenog zivota na KiM preuzeti
organizovani kriminal. Osim toga siptarska mafija je i pripadnike
sopstvene populacije "navukla" na narkotike, pa tako u ovom prema
istrazivanjima doktora K. B. (ime je namerno izostavljeno zbog
mogucnosti osvate siptarske mafije) oko 60% mladih siptara konzumira
narkotike.
U buducnosti, tu cenu ce placati jos vise Evropa i SAD, koji iako su im
svi ovi podaci iz teksta i mnogo drugi nedostupni siroj javnosti
poznati, ne cine nista da organizovanom kriminalu na KiM stanu za vrat.
Osim toga po dolasku KFOR-a i UNMIK-a na KiM upotreba narkosredstava i
broj zavisnika su znatno povecani. Doduse, UNMIK policija je otvorila u
Gnjilanu specijalno odeljenje policije za borbu protiv narkotika ali
njeni rezultati su simbolicni. Pred njihovim ocima, u samom Gnjilanu
postoji i radi laboratorija za preradu sirove droge koja na KiM dodje
iz Avganistana a osim nje na tritoriji KiM postoje jos tri takve
laboratorije po jedna u Pristini, Urosevcu i okolini Djakovice.
Danas, iz Nemacke siptarski kriminalci iznesu vise od pola miliona evra
godisnje a u buducnosti ce to biti jos vise. Danas, siptarska mafija
zaradi godisnje preko 90 miliona dolara na narkoticima, a u buducnosti
ce to biti jos vise. Dovoljno je pogledati podatke Interpola za ovu
tvrdnju: 1999. godine siptarska mafija zaradjivala je narkoticima 38
miliona dolara, 2001. godine 50 miliona dolara, 2002. godine 70 miliona
dolara…Danas 65% ukupne kolicine narkotika u Evropu stigne posredstvom
siptarske mafije a sutra ce taj procenat biti veci…
Osim toga, siptarska mafija koja ima oko 5.000 do 7.000 "vojnika"
obucenih za upotrebu vatrenog oruzja, a mnogi od njih su i sa
teroristickim iskustvom, predstavlja permanentnu pretnju za pripadnike
KFOR-a i UNMIK-a . "Vojnici" suptarske mafije u buducnosti mogu biti
upotrebljeni protiv medjunarodnih snaga, kao sto su u najvecem, uz
pripadnike teroristickih grupa a uz logisticku podrsku KZK i KPS,
upotrebljeni 17. i 18. marta ove godine u progomu Srba i sukobima sa
medjunarodnim snagama. Naravno, ako njihovi sefovi procene da za to
postoji potreba, to jest ako njihovi lobisti ne uspu u svojim namerama.
Ono pred cim centri globalnog plitickog odlucivanja zatvaraju oci,
jeste i cinjenica da albanska mafija (posmatrana sveukupno ona sa KiM i
ona iz Albanije) predstavlja opasnost za svetsku bezbednost. Naime, ona
deluje po kanonima etnickih pravila sa primesama islamske doktrine, ima
transnacionalni karakter sa vise od 50.000 "vojnika", narkotici na KiM
dolaze iz Avganistana preko Turske kroz mrezu islamskih organizovanih
kriminalnih i teoristickih grupa, i na taj nacin albanska mafija
distribuirajuci ga dalje, ostvari profit veci od 10 milijardi dolara.
Deo tog novca se koristi za finansiranje globalnog islamskog terorizma,
albanska mafija "bombarduje" nemuslimanski svet narkoticima, onih
50.000 "vojnika" u jednom trenutku mogu se preobraziti u teroriste, a
onda ce 11. septembar biti decija igra u poredjenju sa onim sto ce se
desiti. Neki politicari iz globalnih centara odlucivanja kao da to ne
vide ili ne zele da vide. Verovatno je za sve kriv "krvavi mister
dolar" albanske mafije kojima se pune njihovi dzepovi…

I za kraj.

Zalosno je sto Vlada Republike Srbije, njen Premijer, Predsednik Srbije
i ministar inostranih poslova SCG nisu na osnovu ovih i drugih podataka
pravili stratetgiju ("radni kroki": "KIM ne moze putem demokratije ako
njime vladaju mafijasi, teroristi i ubice, formalno izabrani
demokratski na izborima ali na politicko trziste dosli uz pomoc
kriminalnog novca i sile. Kao takvi, a sastavni deo ili cak vodjstvo
najjacih siptarskih politickih paritija, oni predstavljaju opasnost za
gradjane koji zive na KiM, evropsku i svetsku bezbednost i buduce
politicke procese vezane za KiM. Samo njihovom eliminacijom i
smestanjem tamo gde im je mesto, a ono je u zatvorima mogu se stvoriti
uslovi za fer, demokratske i slobodne izbore. Zadatak da se pripadnici
organizovanog kriminala smeste u zatvor imaju UN posto se KiM nalazi
pod njihovim protektoratom. Srbija je spremna da u tom zadatku zastite
osnovnih civalizacijskih vrednosti ucestvuje svim svojim snagama "
kontinuiranog nastupa prema globalnim centrima politickog odlucivanja
svetskom javnom mnjenju i medjunarodnom nevladinom sektoru.
Umesto toga, bez odsustva ikakve strategije imamo na jednoj strani
poziv Predsednika da Srbi ucestvuju na lokalnim izborima a na drugoj
Premijera da na iste ne izadju. Izlazak ili neizlazak Srba na lokalne
izbore na KiM, kao akt politickog delanja nece imati nikakvog znacaja,
ako ne postoje jasne strategije sta u jednom ili drugom slucaju, i
odnosu u tim slucajevima prema globalnim centrima politickog
odlucivanja, a takodje i "sta posle". Sva je prilika da tih strategija
nema i da su gradjani juzne Srpske Pokrajine i Srbi i Siptari, i od
strane Srbije i od strane tzv. Medjunarodne zajednice ostavljeni na
milost i nemilost siptarskoj mafiji koja ce sva je prilika zbog
nesposobnosti aktuelnih vladajucih srpskih politicara, u krajnjem a
posredstvom korumpiranih politicara iz globalnih centara odlucivanja
projektovati buducnost KiM.


=== 2 ===

[ A NOTE by Italo Slavo:
Although affected by an unjustified, US-styled anti-communism,
commentaries by Nebojsa Malic clearly depict the contradictory and
imperialistic policies of the West with respect to the Balkans.
Please go to the original URL:
http://www.antiwar.com/malic/?articleid=3829
to get the many useful hyperlinks. ]

October 21, 2004

Tragedy and Farce
Elections in Occupied Kosovo

by Nebojsa Malic

Seven months after the horrific pogrom that raged across the
occupied Serbian province of Kosovo, the occupiers are poised to
lead its perpetrators a step close to their coveted ultimate prize.
Elections scheduled for Oct. 23 were designed to establish the
Albanian authorities as a legitimate "government" of the province,
bolstering their separatist claims just in time for the conference
on "final status," projected to take place next year. Serbs in
Kosovo, rightly embittered by the complicity of the UN and NATO in
their gradual extermination, have by and large refused to give any
further legitimacy to the occupation. Washington, Brussels and the
UN have tried to pressure Serbs into abandoning their resistance; it is
unclear to what extent they have succeeded so far.

The elections in Kosovo will be illegitimate whether one or one hundred
thousand Serbs vote this Saturday. It is impossible to conduct a
fair election (if ever there was such a thing) in an occupied,
ethnically cleansed and terrorized territory. But the Empire seems
determined to continue its policy of creeping amputation,
effectively rewarding the perpetrators of the March pogrom and
further confirming its commitment to the rule of force, rather than the
rule of law.

"Birth of a Nation"

That is how Time magazine recently described one possible outcome of
the upcoming elections. According to Time, "with conflicts brewing
around the world, the UN and NATO are now looking to get out, and
fast." Another reason for their haste is the March pogrom, which
demonstrated the Albanians' willingness to use force to get their
way. It seems that UNMIK and NATO have wholeheartedly accepted the
reasoning of Albanians and their partisans in the West that
followed the March terror.

Indeed, this reasoning was recently reiterated by none other than Veton
Surroi, the "highly regarded" editor and publisher who recently
established a political party. "In March you saw the enormous capacity
for destruction in this society," Surroi told Reuters. "Little has
changed since March."

Surroi may appear a "moderate" in the Kosovo Albanian political
spectrum, but his veiled threats of violence in case independence isn't
forthcoming echo those of the terrorist KLA. Its representatives
recently raised funds in the United States for both new weapons and
John Kerry's presidential campaign, not only unmolested by American
authorities, but joined by former Clinton administration officials
Gen. Wesley Clark (ret.) and Richard Holbrooke.

In addition to Surroi's party, Ibrahim Rugova's "Democratic League of
Kosovo" and the two major KLA-affiliated parties, several new
political entities have sprung upon among the Kosovo Albanians
recently. Their programs are identical: first independent Kosovo,
then the creation of an "Ethnic Albania." One of the parties is
called "Balli Kombetar Demokratik" – Democratic National Front.
Except for the addition of "democratic," it is the name of a WW2
movement that supported the Nazis.

UNMIK Lashes Out

Kosovo's UN and NATO occupiers seem perfectly content to ignore
Albanian bellicosity. Some reinforcements have dropped in to boost
NATO's presence during the elections, but there's been no signal
whatsoever that new violence would not be tolerated. Instead, the
occupiers have focused their rage on the Serbs, as their withdrawal
of consent jeopardizes the Empire's Potemkin Kosovo. As Financial
Times put it, a Serb boycott "could undermine the credibility of
multiethnic democracy in Kosovo."

As well it should! There is absolutely no such thing, not with
Albanians steamrolling over every other community. Even though UNMIK
claims that "the best way Serbs can be heard is by electing their
leaders to the new Assembly," (Time) they have had representatives
in the previous one, with exactly zero benefit from it. Serbs,
Turks, Roma, Ashkali, "Bosniaks" and others serve solely as
window-dressing that creates an illusion of "multi-ethnicity" where
in reality there is brutal racism and terror. If this is what "becoming
an active part of the institutional life" – as Viceroy
Jessen-Petersen puts it – really means, no wonder the Serbs want out.

Jessen-Petersen and his underlings have also demonstrated their utter
contempt for Serbs by fiercely attacking the Serbian Orthodox
Church, the only remaining Serbian institution in Kosovo. There is
little doubt that Viceroy Jessen-Petersen referred to the Church
when he said Monday, "Those urging Kosovo Serbs not to vote simply
do not have in mind the interest of their own people."

After nothing had been done to rebuild or restore any of the churches
destroyed in the March pogrom – not to mention over 120 destroyed
since 1999 – Kosovo's Bishop Artemije decided to end the charade
and stop pretending the UN is helping. This provoked a fierce attack
by UNMIK, which claimed, "The Bishop's decision . . . runs counter
to the overall goal to build a multi-ethnic Kosovo with full respect
and security for all communities and religious sites." Thanks to
UNMIK's absolute access to Western media, and the Church's lack
thereof, the condemnation appeared before the Bishop's announcement.
When even UNMIK won't allow the Serbs of Kosovo a voice – in this
instance, through preempting a protest by blaming the victim – how
does anyone imagine the Albanian-dominated Assembly will?

Betrayed by Belgrade

The UN/NATO abuses in Kosovo have met with appallingly little
resistance in Belgrade, where a fractious and confused post-DOS regime
lacks any semblance of a coherent plan, whether for Kosovo or Serbia
in general. President Tadic may have been right to say that Prime
Minister Kostunica's government is "doing nothing," but his own
obsequious prostrations before the Empire are just as harmful. In an
interview to Financial Times last week, president of the
Serbia-Montenegro Union Svetozar Marovic favored a Dayton-like
conference to resolve the Kosovo issue, while supporting (!) the
continued NATO occupation.

It appears that official Belgrade has abandoned Kosovo, and loyal
citizens residing there, to the mercies of Albanian separatists and
UNMIK. Though Albanian partisans see this as indirect acquiescence
to their demands for independence, it is more symptomatic of the
overall paucity of character in the Serbian political class. A
century of suffering – half of which was under Communist rule –
followed by Slobodan Milosevic's confused post-Communism and siege
by the Empire, seems to have destroyed the Serbians' taste for
liberty and capacity for principled thought.

Before his violent ouster in 2000, Milosevic's opponents argued that
"the West" would rethink its position on Kosovo if Serbia became
"democratic." What they discovered afterwards is that the definition
of "democratic" kept changing with ever-increasing demands from
Washington, Brussels and The Hague, while the Kosovo policy changed
not one bit. This has surely contributed to the overall feeling of
frustration and apathy in Serbia as much as the broken economic
promises of the DOS regime and its heirs.

Rewarding Genocide

Kosovo Albanians' separatist drive rests on two "facts," both
created by the NATO occupation. Both are mentioned in every wire and
agency report from the province: Albanians make up a "90-percent
majority" and Kosovo is "still formally a part of Serbia" (emphasis
added). The natural assumption from such "facts" would be that
Albanians are actual inhabitants of the province, while Serbs and
others are interlopers; as well as that a 90% majority is more than
good enough for a "democratic" declaration of independence. The
trouble with this is that Albanians became a majority through massive
illegal immigration, explosive birth rates, and systematic
violence against other communities – whether during the reign of
Ottoman Turks (1389-1912), Austrian and German occupations (1915-18,
1941-44), Communist dictatorship (1945-1989), or NATO/UNMIK
occupation (1999-present). Creation of an "independent," Albanian
Kosovo would not be recognition of democratic self-determination, or
any such nonsense: it would be the ultimate reward for ethnic
cleansing, and what amounts to genocide.

Force and Justice

Kosovo is not some "mandate" of the UN; it is the territory of a
sovereign state, occupied in an illegal and illegitimate war of
aggression. By its very existence, UNSCR 1244 violates the UN Charter
and makes the world body an accomplice in a crime against peace
and the ongoing crimes against humanity. The only "final status"
possible under international law would be the reintegration of the
province into Serbia.

Those who preach to millions about "freedom" and "rule of law" were
willing to trample both in the case of Kosovo in 1999. Judging by their
conduct ever since, they still are. Their sermons are nothing but
lies, and their only argument, when stripped of nonsense and
falsehoods, is brute force.

"We do it because we can," the Empire seems to say, sneering at the
rest of the world as if daring someone to object. "What are you going
to do about it?"

Well, what indeed?

Ohahovac, Kosmet: LIFE IN THE GHETTO

Danas (Beograd), September 6-7-8-9, 2004
by Jelena Tasic

Part 1: A life of high risk

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/83756

Part 2: Only when we go to visit central Serbia do we realize how we
are living here

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/83761

Part 3: Serbs see no future for their children in Orahovac

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/83791

Part 4: A costume party for the cameras and an opportunity for photos

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/83874

--- srpskohrvatski ---

Jelena Tasic, DANAS (Beograd), 6.-7.-8.-9. septembar 2004.

1. Život visokog rizika

http://www.danas.co.yu/20040906/terazije1.html#0

2. Tek kad odemo u "Srbiju", setimo se kako živimo

http://www.danas.co.yu/20040907/terazije1.html#1

3. Srbi ne upisuju decu u "Budućnost"

http://www.danas.co.yu/20040908/terazije1.html#0

4. "Maskenbal" za kamere i slikanje

http://www.danas.co.yu/20040909/terazije1.html#0

(english)

Il Kosmet dai pogrom alle nuove elezioni-farsa (4)

1. Kosovo Five Years Later. Is intervention better than cure?
(By Aidan Hehir / Zmag, May 2004)

2. Kosovo protectorate “on point of near collapse” after March riots
(by Paul Mitchell / WSWS, 15/9/2004)


=== 1 ===

Z Magazine Online

May 2004 Volume 17 Number 6

Europe

Kosovo Five Years Later
Is intervention better than cure?

By Aidan Hehir


No military campaign in history was so heralded as “the right thing to
do” by Western political leaders before, during, and after its
initiation, as NATO’s intervention in Kosovo in 1999. The unprecedented
moralistic rhetoric that accompanied Operation Allied Force suggested
that NATO was forging a peaceful era for the inhabitants of Kosovo and
the wider world. It was, according to Tony Blair, “A war fought for the
values of civilization.” However, the recent riots in Mitrovica (and
the occupation of Afghanistan and Iraq) illustrate that not only has
the immediate aim of the intervention failed utterly, but also that the
template established in Kosovo facilitated the escalation of aggressive
Western hegemony in the post-Cold War world.  

In March 2004, amid the scenes of renewed violence, smouldering
churches, and huddled refugees, bewildered UN officials witnessed the
re-emergence of the Western theory that “ancient ethnic hatreds”
ultimately determine events in the Balkans. In assessing the periodic
violence in the Balkans, George Kennan stated, “Deeper traits of
character inherited, presumably, from a distant tribal past” continue
to plague the region and “seem to be decisive as a determinant of the
troublesome, baffling and dangerous situation that marks that part of
the world.” This ultimately racist outlook is echoed by chief UN
officials currently “administering” Kosovo. While touring the province
in the aftermath of the recent carnage that left 31 people dead and
over 850 injured, the head of the UN mission in Kosovo, Harri Holkeri,
solemnly declared, “The concept of multiethnic Kosovo that the
international community has been persistently attempting to implement
in recent years is no longer tenable.” In other words, the incompatible
ethnic identities endemic in Kosovo have triumphed over the West’s
“earnest” efforts to instill a culture of multi-ethnicity. This is
simply untrue. The international community, in the guise of NATO,
accentuated the ethnic fissure in Kosovo through its intervention in
1999 and the record of the UN since the cessation of Operation Allied
Force has been marked by a tolerance of low level ethnic oppression
more so than by any genuine attempts to reconcile the communities. 

Western diplomatic efforts in the Balkans throughout the 1990s were
consistently predicated on the flawed logic of ethnic hatreds. Violence
in the region was portrayed as the consequence of embedded ethnic
prejudices, rather than Western interference. Whenever Western
diplomatic initiatives failed, as they invariably did, it was because
the locals couldn’t extricate themselves from their primitive ethnic
identities and genetic predilection for violence. If the region were to
ever become civilized, the argument went, order would have to be
forcibly imposed by the West. 

This contemporary variant of the “white man’s burden” has engendered
among Western actors in the Balkans a psychological detachment from the
consequences of their actions and imbued the myriad “internationals”
who wield enormous power throughout the region with a sense of cultural
and political superiority. It is, therefore, not surprising that
Holkeri could survey the wreckage of the March riots without seeing any
correlation between the violence and Western actions. In reality, the
violence did not occur despite Western involvement in Kosovo, but
because of it. 

Where, then, did it all go wrong? Throughout the 1990s the EU and the
U.S., at the behest of then-ally Miloševic, declared Kosovo an
“internal matter” and the issue was consciously ignored. The lack of
any provision relating to Kosovo in the Dayton Accords enflamed the
Kosovar Albanians and support gradually shifted from the pacifist LDK
party to the Kosova Liberation Army. By 1998, the conflict had
escalated dramatically and Western politicians became concerned that
the conflict might spread to Macedonia where it could potentially
engulf key NATO allies Greece and Turkey. After a number of initiatives
failed, the Kosovar Albanians and the Yugoslavs were ordered to peace
talks at Rambouillet, France in February 1999. 

Despite the lofty rhetoric proffered at the time, it is now clear that
Rambouillet was not a genuine attempt to achieve a settlement. In April
2000, Madeline Albright’s personal secretary James Rubin admitted, “Our
internal goal was not to get a peace agreement at Rambouillet.” The
real internal U.S. goal was “to get a war started with the Europeans
locked in,” by orchestrating a situation whereby the Yugoslav
delegation would be made to appear intransigent and beyond diplomatic
reason. This was achieved through the dismissal of repeated compromises
suggested by the Yugoslavs and the determined courting, by U.S.
officials, of the Kosovar Albanian delegation and, in particular, KLA
leader, Hashim Thaçi. 

According to Pleurat Sejdiu, a Kosovar press spokesperson at
Rambouillet, “It was an open secret that while sequestered with Hashim
Thaçi, Albright was telling him that his delegation had to sign because
otherwise NATO could not carry out its threat.” In a press statement on
April 21, Rubin admitted, “All of the officials who have worked on this
have made very clear that in order to move towards military action, it
has to be clear that the Serbs were responsible.” On April 23, Albright
declared, “It’s now up to the Kosovar Albanians to create this black or
white situation.”  

During the two-week break in negotiations, increased U.S. pressure was
exerted on the Kosovar Albanians and the KLA in particular. Nightly
broadcasts of “Agreement for Peace,” comprising interviews with senior
U.S. officials urging the Kosovars to sign, produced by the United
States Information Agency, were aired on Albanian television. No
similar effort was made in Serbia. When the talks resumed Albright
assured the Kosovar Albanians, “You’ll get NATO to protect your people.
Don’t mind the small print because you will be running the show and
many of the problems in the text will be irrelevant.” The U.S.-led
propaganda campaign worked and as LeBor writes, “The Albanians signed
in much the same spirit that the Bosnian government had agreed to
various peace plans—knowing that as the Serbs would reject them, they
might as well take the diplomatic credit.” The Yugoslavs refused,
largely on the basis of the provisions of Annex B, which sanctioned the
deployment of an implementation force comprised exclusively of NATO
troops. In addition to immunity from prosecution, the annex stipulated,
“NATO personnel shall enjoy, together with their vehicles, vessels,
aircraft, and equipment, free and unrestricted passage and unimpeded
access throughout the Federal Republic of Yugoslavia, including
associated airspace and territorial waters.” This was tantamount to
asking Yugoslavia to surrender its sovereignty as there was no logical
reason why any implementation force deployed to oversee political
transitions in Kosovo should have had the right to travel throughout
Vojvodina and Montenegro. 

In 2000, Lord Gilbert, minister of state in the British Ministry of
Defense from 1997-1999, outlined the West’s motives at the negotiations
when he stated to the Defense Select Committee of the House of Commons,
“I think certain people were spoiling for a fight in NATO at that
time.... If you ask my personal view, I think the terms put to
Miloševic at Rambouillet were absolutely intolerable; how could he
possibly accept them; it was quite deliberate. That does not excuse an
awful lot of other things, but we were at a point when some people felt
that something had to be done, so you just provoked a fight.” The
Yugoslav delegation had consistently stated they were willing to
“discuss the scope and character of the international presence in
Kosovo,” but would not agree to an exclusively NATO force. The proposed
security provisions afforded to NATO were more expansive than even the
Kosovar Albanians had sought. The Independent International Commission
on Kosovo concluded that compromising on this aspect of the deal was
“an obvious negotiating opening that might have broken the impasse.”
NATO, however, insisted the provisions were non-negotiable, thereby
deliberately choosing war over diplomacy. Significantly, the deal
brokered by the EU and Russia that ended the air strikes omitted the
contentious provisions rejected at Rambouillet. 

Humanitarian Bombing 

The immediate consequence of NATO’s bombardment was to escalate the
suffering endured by the Kosovar Albanians. NATO’s Supreme Allied
Commander in Europe, General Wesley Clark, warned his political
superiors that without a ground contingent reprisals against the
Kosovars were “inevitable.” However, fearing a backlash against U.S.
casualties, President Clinton insisted that the intervention be limited
to air strikes. NATO pilots were instructed to fly at 15,000 feet to
avoid anti-aircraft fire, while a refugee crisis of unprecedented
proportions erupted on the ground. NATO’s priorities were obvious. The
wholly inadequate provisions made for the “inevitable” exodus further
exacerbated the plight of the Kosovars. Neither the UN High Commission
for Refugees nor the governments of Albania or Macedonia were readied
for the crisis, prompting Macedonian Prime Minister Ljupco Geogijevski
to lament, “The people in Brussels started this war then left for the
Easter holidays.”  

The manner in which the military campaign was prosecuted belied its
humanitarian motives. As detailed by Amnesty International and even the
normally pro-U.S. Human Rights Watch, NATO dropped cluster bombs and
depleted uranium, bombed television stations, hospitals, and water
treatment facilities, purposely targeting civilians. Yet the bombing
impacted negligibly on the Yugoslav security forces responsible for the
expulsions. Robert Hayden, Director of the Center for Russian and East
European Studies at  the University of Pittsburgh, noted, “The
casualties among Serb civilians in the first three weeks of the war
were higher than all the casualties on both sides in the three months
that led up to the war, and yet those three months were supposed to be
a humanitarian catastrophe.” When asked if he was worried about an
investigation into NATO war crimes by the International Criminal
Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY), NATO spokesperson Jamie Shea
stated candidly that he was “certain” no investigation would take place
because “NATO is a friend of the Tribunal…. NATO countries are those
that have provided the finances to set up the Tribunal, we are among
the major financiers.” In June 2000, the ICTY issued its report on
NATO’s conduct of the war. The report notes that answers given by NATO
to specific questions “were couched in general terms and failed to
address the specific incidents.” However, in what was a damning
indictment of its supposed impartiality, the Tribunal decided not to
pursue the matter further having based its investigation on “statements
made by NATO and NATO countries,” which the Tribunal “tended to assume
were generally reliable…and honestly given.”  

Peacekeeping 

According to a November 2003 report by the Serbian Ministry of Internal
Affairs, based on data from the Red Cross, the UN, and the ICTY, 1,192
Serbs and 593 other nationals had been murdered in Kosovo since the
deployment of 21,000 NATO peacekeepers in June 1999. Up to 200,000
Serbs and 67,000 Slavic Muslims were estimated to have fled the region,
while a further 790 people remained unaccounted for. The number of
non-Albanian refugees who have returned to Kosovo is, according to the
UN Security Council, “a small fraction of the number of Kosovo Serbs
internally displaced in Serbia and Montenegro.” A 2003 Amnesty
International report outlined the appalling conditions endured by
non-Albanians, noting, “Serbs and other ethnic minorities in Kosovo
remain at serious risk of death or injury…beatings, stabbings,
abductions, drive-by shootings and the use of hand grenades to
intimidate and kill members of these minorities are common in the
province.” The fortunes of the Albanian community have improved, yet,
under the aegis of the UN and NATO, one form of ethnic oppression has
replaced another. NATO and the UN’s inability and unwillingness to stop
the violence against the minority population has stifled the
development of a civil society essential to the functioning of any
democracy. Institutional paralysis in Kosovo has been accompanied by an
accentuation of the original societal fissure. 

NATO’s bombing campaign further soured relations between Kosovars and
Serbs and the wider Slavic community. In Vojvodina, where previously
there was significant support for the Kosovars plight, the NATO
bombardment provoked an upsurge in resentment towards the Kosovar
Albanians among both the Serb and Hungarian population. Within Serbia
and throughout the Balkans, the NATO intervention induced a degree of
pan-Slavic solidarity that has negatively impacted on any support the
Kosovar Albanians may have previously had.  

Kosovo’s ombudsperson, Marek Antoni Nowicki, reported to the Council of
Europe in February 2004 that human rights in Kosovo were “far from the
minimum of international standards,” warning that it is the intent of
certain sections of the Albanian community to “cleanse this land from
the presence of all Serbs.” His words proved prophetic in mid-March
when Kosovar Albanians went on the rampage in Northern Kosovo. The
spark for the violence was the allegation that Serbs had chased three
Albanian children to their deaths with wild dogs. This later proved
untrue, with NATO Secretary General Jaap de Hoop Scheffer, among
others, stating that the violence was orchestrated well in advance by
elements within the Albanian community. 

The frustration felt by ethnic Albanians is understandable. Having
initially welcomed NATO and the UN as emancipators, Kosovar Albanians
soon realized that their faith in the West was misplaced. UN Security
Council resolution 1244, drafted to consolidate the post-war situation,
reaffirmed “The commitment of all member states to the sovereign and
territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia.” This
explicit recognition of Belgrade’s authority over Kosovo is an anathema
to the Albanian community. As Michael Mandelbaum, director of American
Foreign Policy at John Hopkins University, notes, “NATO intervened in a
civil war and defeated one side, but embraced the position of the party
it had defeated on the issue over which the war was fought.” The UN
Mission In Kosovo (UNMIK) has been unable to overcome this inherent
paradox in Kosovo’s status. With UNMIK now administering the province,
the Kosovar Albanian’s lack of influence over political power in the
region persists and, according to Aldo Blumi, executive director of the
Albanian Institute for International Studies, “What has changed in
Kosovo since June 1999 is the nature of rule not the discursive
relationship between power and subjects.” 

 As new concerns have come to dominate the international agenda, the
final status of Kosovo has stagnated without any diminution of the
Serbs’ or Albanians’ mutually exclusive claims on the province. In
December 2003, UNMIK stipulated that no examination of Kosovo’s final
status would take place until certain political and humanitarian
standards were reached, suggesting 2006 as the earliest date. UNMIK
thus looks likely to emulate the UN administration in Bosnia that has
now run eight years over its original remit with few signs of a
resolution of the underlying problems. As David Chandler has noted,
“The ethnic Albanians are discovering that removing Belgrade appointees
from positions of power is not necessarily a step towards greater
autonomy or self rule.” UNMIK’s lack of a clear exit strategy and the
central paradox of refusing to endorse Kosovar independence while
negating Serbia’s influence, has meant that since Operation Allied
Force, UNMIK has become isolated from both communities. The ethnic
Albanians’ calls for self-determination have become increasingly
militant in the face of UN prevarication on Kosovo’s final status. The
attacks in March against the UN and NATO, as well as the Serbs,
illustrate the depth of Albanian frustrations. 

As in Bosnia and Northern Ireland, the political solution imposed by
external actors in Kosovo have been based on those imagined nationalist
fissures that created the initial tension. UNMIK has institutionalized
the ethnic divisions that emerged in the province and, while in the
short term this is conducive to the reduction of tension, the
underlying fissure between ethnic groups will eventually impact on the
functioning of the political system. In Northern Ireland the division
between Unionists and Nationalists persists and no cross-cultural
political movement has achieved electoral success since the Belfast
Agreement came into effect in 1998. 

The imposition of ethnic homogenization in Bosnia, as defined by the
terms of Dayton, has all but destroyed the inter-cultural climate that
existed in the country prior to the conflagration that erupted in the
1990s. The international community has mistakenly perceived ethnic
disharmony in these regions as a product of local prejudices and
accepted them as a permanent fixture. This perspective fails to
appreciate the divisive influence of external actors in provoking the
disintegration of inter-community relations. The imposition, therefore,
of political provisions based on these false fissures and contrived
differences is inherently flawed. As Blumi states, “The world should be
appalled at the UN’s adoption of ethnic categories to parcel out a
number of operational domains for Kosovo’s population. Unless reversed,
any future interaction between Kosovars will be permanently based on
criteria beyond their control; giving self asserted nationalists veto
over any policy inside Kosovo. 

In tandem with the political reforms imposed on Kosovo, Western
officials have undertaken an aggressive privatization policy. Despite
the influx of EU and U.S. loans, unemployment stands at 57 percent.
This has added to the disillusionment and discontent. According to
UNMIK economist Iain King, what growth there has been in Kosovo since
OAF has been almost wholly the result of external support, based
largely on loans and aid packages. Imports outnumber exports by ten to
one and, as King notes, “Much of the new wealth earned in Kosovo is
being used to create jobs elsewhere. The combination of external
management and monetary support has meant that Kosovo’s economy is
arguably less independent today than when under Tito’s economic system
of workers management.  

The intervention in Kosovo illustrates that military victory is less
important to future stability than a coherent post-conflict
Administration, yet the crises in both Afghanistan and Iraq show that
this lesson has not been learned. By siding with the Albanian community
and intervening on their behalf, to the extent of cooperating with the
KLA whose expressed aim is an ethnically pure Kosovo, the international
community accentuated the divisions in Kosovo, hardening Serbian hearts
to the Albanian’s cause, and imbuing the Albanians with a sense of
righteous infallibility. The current efforts to institutionalize the
existing impermanence will continue to prove futile unless the
oppression of the minority population is stopped and a coherent plan
for the final status of Kosovo is implemented. 

Rather than heralding the intervention, the international community
should decry the moral duplicity, violence, and political inertia that
has characterized the record of the UN and NATO during the past five
years in Kosovo. The combination of empty rhetoric, administrative
impotence, and a UN-aided entrenchment of aggressive ethnic
identification bodes ill for the future stability of “the powder keg of
Europe” and illustrate the limits of the West’s “nation building”
capabilities. The adverse consequences of the U.S. interventions in
Afghanistan and Iraq have been more immediately obvious, but the
effects of the U.S.-led campaign in Kosovo, and the subsequent
mishandling of the post war situation, are becoming apparent. The
violence in Mitrovica may be just the beginning. Of course, when
further violent unrest does return to the region don’t expect any
admissions of Western culpability—those endemic ancient ethnic hatreds
will be to blame.


Aidan Hehir is currently lecturing on Comparative European Politics
with the Department of Politics and Public Administration at the
University of Limerick and has spent the last four years researching
NATO’s 1999 military intervention in Kosovo.


=== 2 ===

http://www.wsws.org/articles/2004/sep2004/koso-s15_prn.shtml

World Socialist Web Site www.wsws.org
WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans

Kosovo protectorate “on point of near collapse” after March riots

By Paul Mitchell
15 September 2004

A leaked internal United Nations report says the administration in the
UN protectorate of Kosovo was on “the point of near collapse” after
riots engulfed the province in March.

The wave of communal violence resulted in a level of ethnic cleansing
that matched anything seen in the Balkans during the break-up of the
former Yugoslavia. The clashes began in the ethnically divided town of
Mitrovica and quickly spread across the province—suggesting they were
part of a coordinated operation. As a result, 19 people were killed and
hundreds injured. More than 4,000 people—mainly Serbs—were forced to
flee. Nearly 1,000 houses, mostly Serb-owned, and 36 Orthodox churches,
monasteries and monuments were destroyed or damaged.

Most of Kosovo’s 2 million people are ethnic Albanians, but there are
also about 100,000 Serbs remaining. Nearly all the 850,000 Albanians
who left when NATO bombing started in 1999 have returned, but only
5,800 of the approximately 200,000 non-Albanians who fled have done so.
These refugees are mostly Serbs, but also include several thousand
Roma, Ashkaeli, Bosniaks, Gorani and Egyptians.

The numbers who fled the riots in March are about the same as those who
returned to Kosovo during the whole of 2003.

The administration blamed Kosovar nationalist politicians and the media
for sparking off the riots by sensationalising the drowning of three
Albanian boys. A fourth boy who survived said Serbs with dogs had
chased them into a river in revenge for the shooting of a Serb teenager
earlier. The daily newspaper Dan reported recently that the Hague war
crimes tribunal will soon indict three Kosovo Albanian leaders, one of
whom is believed to be Kosovo Protection (KPC) Commander, General Imri
Ilazi.

Ilazi lead a group of several thousand Kosovar Albanians from the
Gnjilana area during the riots, setting fire to Serb homes.

The western powers have failed to solve the political and economic
crisis in Kosovo, but have instead produced a humanitarian disaster
whilst cultivating inter-ethnic conflict between pro-Albanian
separatists and ethnic Serbs backed by Belgrade. This conflict now
threatens to once again destabilise the entire region.

Officially, Kosovo is part of Serbia and Montenegro, but the region is
administered by the United Nations Interim Administration Mission in
Kosovo (UNMIK) and patrolled by Kosovo Force (K-FOR) troops “pending a
final settlement” of its status.

This “final status” is framed as an attempt to appease the
pro-imperialist ethnic Albanian forces that supported the United States
and European powers in their efforts to dismantle the old Federal
Republic of Yugoslavia, and the pro-western regime that was
subsequently installed in Belgrade. According to Security Council
Resolution 1244 the settlement involves “substantive autonomy,” but
also a commitment to “the sovereign and territorial integrity of the
Federal Republic of Yugoslavia [now renamed Serbia and Montenegro].”

UNMIK oversees the Provisional Institutions of
Self-Government—including the president, the assembly, and the
government of Kosovo—elected with limited powers in 2001. New elections
are scheduled for October 23 of this year and have become the focus of
intense conflict between ethnic Albanian forces pressing for full
independence and Serbian nationalists seeking to maintain a variant on
Kosovo’s existing status—of which the latest round of ethnic cleansing
against Serbs is only the bloodiest manifestation.

The Democratic Party of Kosova, a successor organisation to the pro-US
stooge Kosova Liberation Army (KLA), runs Kosovo, under Prime Minister
Bajram Rexhepi. Its Assembly—which, like the forthcoming elections, is
boycotted by the Serbs—voted on July 8 to adopt several constitutional
changes including the right to hold a referendum on independence. The
Albanian government supports these moves, with its president Alfred
Moisiu recently declaring his country’s interest in resolving Kosovo’s
final status.

Albanian nationalists are also intent on pushing for the integration of
ethnic Albanian areas in the area of south Serbia, known as the Presevo
Valley—where 60,000 Albanians outnumber around 30,000 Serbs. The region
was the scene of armed conflict in 2000 involving the Liberation Army
of Presevo, Bujanovac and Medvedja (UCPBM)—a KLA offshoot. Saip
Kamberi, a leader of the Party for Democratic Action, said, “It is only
natural that Albanians today say this region should be united with
Kosovo,” and Jonuz Musliu, leader of the Movement for Democratic
Progress, successor to the disbanded UCPBM, said, “We want to unite
with Kosovo, and we shall never give up.”

In 2001, this conflict was exported over the border into Macedonia by
KLA-UCPMB forces, where ethnic Albanians constitute one quarter to one
third of the population and separatist groups are also seeking
incorporation into Kosovo.

In the aftermath of the March riots, Serbian Prime Minister Vojislav
Kostunica put forward counter-proposals to Kosovan autonomy that were
adopted unanimously by the Serbian parliament. The proposals involve
the “cantonisation” of Kosovo by creating five ethnically separate Serb
“sub-regions” in the north, comprising 30 percent of Kosovo’s
territory. Each canton would have control over elections, security,
education, and health, and also have their own assemblies and courts.

He described his proposals as “the only solution that is in accordance
with resolution 1244, and does not lead towards the changing of
borders, be it secession or division of Kosovo, and leads to stability
in the region”.

Kosovo President Ibrahim Rugova said Kostunica’s proposals were
unacceptable, as Serbs make up less than 10 percent of the province’s 2
million population, and repeated his call for complete independence.

There are conflicting positions amongst and between the representatives
of the imperialist powers on how to politically stabilise this
worsening situation, with some favouring seizing the nettle of greater
autonomy for Kosovo and others considering Kostunica’s option. But
there is a general feeling that presently things are out of control.

Following the riots, the head of UNMIK, the former Finnish Prime
Minister Harri Holkeri, resigned to be replaced by Danish
lawyer-journalist Søren Jessen Petersen. Holkeri was closely associated
with UNMIK’s “Standards Before Status” policy, which states that
discussions on the future status of Kosovo planned for the end of 2005
will only happen if certain benchmarks are met including a free market
with private property rights, functioning democratic institutions and
free movement of people.

The UN envoy to the Balkans, Norwegian Kai Eide, recently called for
policy reversal in Kosovo and the start of talks on the final status of
Kosovo, saying, “Standards Before Status” is “untenable in its present
form.”

“In the current situation in Kosovo, we can no longer avoid the bigger
picture and defer the most difficult issues to an indefinite future,”
Eide added. “Marginal adjustments will only add to frustration,
increase the danger of more violence, damage the reputation of Kosovo
further, and weaken the international community.”

Whatever happens in the months ahead, what is certain is that increased
repressive force will be employed by the western powers. An additional
2,000 troops from France, Germany and Italy are to be sent to Kosovo
next month, raising NATO strength to 20,000 troops or about one soldier
for every 100 people in the territory. They will remain until after the
October 23 elections. Additionally, several NATO countries including
Germany, Italy and Belgium have removed so-called “national caveats” on
direct policing actions—because “restrictive” rules of engagement
imposed on them were blamed for two thirds of troops being unable to
respond effectively to the violence in March.

French General Yves de Kermabon has taken over as commander of K-FOR
from General Holger Kammerhoff, whose German K-FOR troops in Prizren
ignored calls by German police in the town and let all Serb houses and
Orthodox monasteries burn to the ground.

The situation in Kosovo is a bitter indictment of the western powers’
so-called programme of “nation-building” in “failed states.” Rather,
poverty, corruption and ethnic separation have become endemic in the
Balkan region as a result of the western powers’ attempt to dismantle
the former Yugoslavia.

The UN report leaked to the Scotsman, September 2, paints a devastating
picture of the situation on the ground in Kosovo. It states, “UNMIK is
in a funk.... After five years on the ground, progress towards UNMIK’s
objectives remains elusive and the mission seems to be nearing the
point of overstaying its welcome. There are obstacles on all fronts,
and the outlook for the medium term is worse.”

UNMIK is described as being seen as “aloof,” viewed as “strangers in
the society they govern” and appearing “to have developed a habit of
closing its eyes to the facts on the ground...the leadership was not
interested in what goes on in the province.”

The then-18,000-strong K-FOR force is described as being unable to
maintain safety and security in Kosovo for minorities, for foreign
diplomats and for UNMIK itself. Many of those interviewed for the
report “believe that UNMIK and K-FOR would have collapsed had the riots
gone on for another day or two.... Both UNMIK and K-FOR were
overwhelmed by the events. K-FOR currently has neither the strength nor
the posture required to maintain a ‘safe and secure environment’ within
a civilian population.”

An investigation by the United Nations High Commission for Refugees on
the situation of Kosovo’s minorities between January 2003 and April
2004 shows there were at least 145 separate incidents during that
period in addition to those linked to the riots in March. Separate
reports by Amnesty International and Human Rights Watch have accused
UNMIK of a “catastrophic” inability to defend minorities.

Misha Glenny, author of The Balkans: Nationalism, War and the Great
Powers 1804-1999, has also attacked UNMIK, saying that its failure to
“restore some vitality to Kosovo’s economic life and offer a positive
perspective for a future political settlement acceptable to both sides”
has led to a situation where “both communities have provided thousands
of young recruits to an army of the dispossessed and unemployed. With
no money and the prospect only of further misery, frustration and anger
have now reached a breaking point.”

A recent World Bank report (World Bank Report 29023-KOS, Kosovo
Economic Memorandum 17 May 2004) states that during the 1990s, economic
output declined by 50 percent and by a further 20 percent after the
NATO bombing in 1999. Since 1999, growth in the economy has been driven
exclusively by $2.2 billion in foreign aid and about $0.5 billion in
remittances from expatriate Kosovars. It warns that growth has been
“driven by a post-conflict boom financed by official aid flows and is
unlikely to be sustainable” because foreign governments and
institutions have already reduced aid by 70 percent and will stop it
completely by the end of the decade.

The World Bank report says that Kosovo’s trade balance is severely
one-sided, with imports worth about $1 billion but exports valued at
only $40 million. The economy is “highly reliant” on taxes on these
imports. There has only been $30 million of foreign direct investment
in the region since 1999, mainly in the banking sector.

Agricultural production has just about reached pre-conflict levels, but
the large collective farms (agrokombinats) that dominated the
agricultural sector and produced most of the fertilisers and pesticides
have collapsed.

One of the economy’s greatest problems is electricity. Because the
power stations were bombed and maintenance has been abandoned, there
were 90 days of power cuts in 2002; and on the other days, power was
only available for six hours.

The World Bank points out that workers’ wages—at $220 a month—remain
the lowest in Europe. They have not risen, although Kosovo has had low
taxes and a labour market since 1999 that has “functioned in a
virtually unregulated way with few formal arrangements regulating
employment relationships and wage determinations.” It warns that
because foreign aid has dropped—reducing economic growth—”it will be a
challenge to maintain current incomes over the next few years.”

The only answer to this deteriorating situation offered by the
imperialist powers and institutions is greater repression and policies
that will only exacerbate both inter-ethnic violence and social
hardship.

With “pervasive” unemployment standing at 50 percent, the World Bank
recommends privatising and “downsizing” what remains of the industrial
sector, with the 500 socially owned enterprises being reduced to a
maximum of 100 and the rest liquidated.

Kosovo’s lignite mines are “potentially one of the most economic in
Europe” comprising 10 billion tons of good-quality, easily mined
lignite the World Bank declares, but it recommends reducing the current
number of 4,000 miners by half.

The Trepça lead and zinc mines employed 17,000 miners in 1991 when they
showed “strong economic activity” and exported much of their minerals.
The mines were shut down by K-FOR in 2000, which cited widespread metal
pollution as the reason. The World Bank recommends they be reopened,
but that the 10,000 miners still on their books be reduced to just
2,000.

(english / italiano)

Jugoslavia / Iraq: FOSSE... COMUNI

1. Iraq, la fiera delle menzogne.
<< Ora ci provano con le fosse comuni... Lo statunitense che coordina
il lavoro degli ispettori indigeni è l’avvocato della Florida Greg
Kehoe... che si è formato, guardacaso, anche al Tribunale
internazionale dell’Aja, facendo il procuratore nei processi contro i
dirigenti e i militari della ex Jugoslavia... >>

2. Talabani: «L'Iraq è ormai libero e democratico»
Come Rugova ed Hasim Thaci. I deliri del leader kurdo, al festival
dell'Unità di Genova. «L'occupazione è finita ... Prima i kurdi avevano
rapporti con gli Usa a livello di Cia. Rapporti segreti. Ma oggi tutto
è alla luce del sole...»

3. Israel spying on Iran, Syria from Iraqi Kurdistan /
ISRAELE USA IL KURDISTAN IRACHENO COME BASE CONTRO SIRIA ED IRAN


=== 1 ===

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=6427&s2=19

Iraq, la fiera delle menzogne

E l'americano che le "scopre" adesso è lo stesso che le aveva
"scoperte" in Kosovo!

Alessia Lai , Aljazira.it

lunedì, 18 ottobre 2004 - Non sono riusciti a trovare le armi di
distruzione di massa e ora ci provano con le fosse comuni. Ieri, gli
inquirenti iracheni, capeggiati da un funzionario americano, avrebbero
cominciato a estrarre dei corpi da una fossa trovata vicino ad Hatra,
nel Kurdistan iracheno.

Lo statunitense che coordina il lavoro degli ispettori indigeni è
l’avvocato della Florida Greg Kehoe, incaricato nel maggio scorso
dirigere la squadra di 50 membri, tra americani e altri consiglieri
stranieri, che ha formato i giudici e gli avvocati iracheni assegnati
al tribunale speciale che dovrà giudicare Saddam Hussein, quello
inizialmente capeggiato da Salem Chalabi. Un giurista che si è formato,
guardacaso, anche al Tribunale internazionale dell’Aja, facendo il
procuratore nei processi contro i dirigenti e i militari della ex
Jugoslavia.

Kehoe, incaricato di preparare il processo al presidente dell’Iraq,
già nel maggio scorso aveva annunciato che gli sforzi degli
investigatori del tribunale speciale iracheno si sarebbero concentrati
nel recupero di corpi da fosse comuni, ovviamente vittime della
“pulizia etnica” voluta dall’imputato Saddam.

Così ora spuntano 120 cadaveri, trovati dagli inquirenti che cercano
prove da utilizzare nel processo al presidente iracheno. Per il segugio
“da fossa” Kehoe le vittime sono probabilmente curdi assassinati
durante il governo di Saddam Hussein tra il 1987 e il 1988.

Certezze che ricordano la propaganda mistificatoria con cui il
presidente serbo Slobodan Milosevic fu accusato di aver pianificato la
pulizia etnica degli albanesi del Kosovo, accusa che scatenò
l’aggressione atlantica contro Belgrado. Come è ormai noto, nonostante
l’informazione assuefatta alle menzogne democratiche continui a parlare
di “etnocidio albanese” perpetrato dai serbi, nessuna fossa comune
contenente kosovari albanesi è mai stata trovata in quel Paese
massacrato dalle bombe Nato. L’esercito di esperti legali sguinzagliati
nel Kosovo dagli atlantici ha scavato ovunque e nonostante le frequenti
conferenze stampa nelle quali vari rappresentanti Nato e del Tribunale
dei Crimini di Guerra promettevano di trovare fosse comuni con decine
di migliaia di vittime della brutalità serba, i “cercatori” non sono
mai riusciti a produrre prove, né di fosse comuni, né delle sbandierate
atrocità serbe. Le uniche esumazioni, quelle vere, sono a tutt’oggi
quelle di cadaveri serbi - infilati in sacche con stampigliato sopra
K-For, i “liberatori”... - da fosse comuni, di vittime della reale
pulizia etnica, quella del Corpo di Protezione del Kosovo, la struttura
militare in cui si sono riciclati i banditi dell’UCK albanese, i quali
non hanno risparmiato nemmeno gli albanesi “non-allineati”, i rom e i
turchi che vivevano in quelle terre. Non a caso il termine che tutta la
stampa internazionale fece passare come una terribile e crudele
invenzione semantica del cattivissimo Milosevic, “pulizia etnica”,
venne usato per la prima volta proprio in Kosovo nel lontano 1980,
quando i secessionisti albanesi innescarono una campagna terroristica
volta a cacciare da quella zona decine di migliaia di serbi.

Ora la stessa prassi della mistificazione viene usata per la nuova
campagna neocoloniale atlantica in Iraq. Dissoltasi la scusa delle armi
non convenzionali collezionate da Saddam Hussein, gli atlantici tentano
la carta delle persecuzioni contro la minoranza curda. E lo fanno
criticando chi, in Europa, non vuole partecipare a questa odiosa
ricerca pronta alla strumentalizzazione politica. La paura di essere
ancora una volta smentiti fa la sua parte, così gli europei preparati
negli scavi nelle fosse comuni non intendono collaborare alla “caccia
al tesoro” diretta da Greg Kehoe e si beccano la strigliata
dell’avvocato statunitense.

L’accusa del legale Usa agli esperti europei, che hanno già svolto
questo tipo di lavoro in Serbia, è che questi non starebbero
collaborando perché temono che a Saddam possa essere inflitta la pena
di morte. Più probabilmente gli esperti europei sanno perfettamente
quale manovra si cela dietro a questo provvidenziale ritrovamento del
signor Kehoe. I megafoni della impresa liberatrice americana si
guarderanno bene dall’analizzare la notizia del ritrovamento delle
fosse comuni nel quadro dei contrasti che hanno sempre agitato il
Kurdistan. E’ solo dal 2002, infatti, che i due principale leader
curdi, Barzani e Talabani, si sono uniti nel sostenere l’ingerenza
americana in Iraq allo scopo di ottenere la guida di un futuro stato
federale curdo (dopo l’intervento dei loro amici Usa hanno anche
ridimensionato le pretese indipendentiste). Ma per diversi anni i due
partiti da loro capeggiati, rispettivamente il Pdk e il Upk, si sono
combattuti in una sanguinosa guerra civile per il controllo della
Regione Autonoma del Kurdistan, entità politica comprendente i
territori interessati dalla “no fly zone” - compresa tra il 36°
parallelo e il confine turco - sancita con la risoluzione Onu 688,
all’indomani della prima guerra del Golfo.

Il Pdk di Balzani e l’Upk di Talabani si scontrarono per il controllo
totale del territorio, tra di loro e contro i militanti del Pkk turco,
che spesso sconfinavano in Iraq per fuggire all’esercito di Ankara. In
una logica che mirava al dominio assoluto sul Kurdistan anche i curdi
turchi potevano essere un intralcio al progetto dei due leaders. Così
quel territorio vide anni di massacri fratricidi, di torture, di “gravi
e documentate violazioni dei diritti umani” come affermano i rapporti
di Amnesty International.

La famosa strage nel villaggio curdo di Halabia del 1991, inoltre,
quella attribuita all’uso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein è
stata inequivocabilmente attribuita all’Iran (allora in guerra contro
l’Iraq), l’unico Paese tra i due che aveva in dotazione quel tipo di
armamento. Ma la propaganda filo atlantica non ha mai smesso di
utilizzare contro Saddam la terribile morte di almeno 5000 persone che
hanno pagato per il solo fatto di trovarsi “nel posto sbagliato al
momento sbagliato” e non perché curdi.

Nulla di tutto questo verrà portato all’attenzione di quei consumatori
di menzogne che costituiscono l’opinione pubblica planetaria,
annebbiata dalle storielle strappalacrime in cui i buoni soccombono
alle crudeltà dei cattivi in attesa dei “liberatori” a bordo dei B-52.

http://www.aljazira.it/index.php?option=content&ta ...


=== 2 ===

Dal Manifesto del 13 settembre 2004

INTERVISTA

Talabani: «L'Iraq è ormai libero e democratico»

I deliri del leader kurdo, al festival dell'Unità di Genova.
«L'occupazione è finita»
ORSOLA CASAGRANDE

GENOVA - Un racconto di due paesi lontanissimi fra loro. Questo sembra
la descrizione dell'Iraq insanguinato a seconda che a parlarne siano
gli iracheni, i pacifisti, o Jalal Talabani, il leader del partito
kurdo iracheno Puk (Unione Patriottica del Kurdistan). Perché per
Talabani, ospite della festa dell'Unità di Genova, «bisogna raccontare
la realtà e non solo l'occupazione americana». E la realtà per lui è
«un Iraq finalmente democratico, libero. Dove i partiti possono
formarsi e sciogliersi, parlare e riunirsi. Dove la gente può
liberamente associarsi. E' l'Iraq di un Kurdistan pacificato dove i
salari, dalla caduta di Saddam, sono aumentati di trenta volte». Sì,
certo, ci sono ancora gli americani, ma «cari amici italiani non dovete
limitarvi a parlare di quello. Anche perché, quando sarà il momento, i
marines se ne andranno. L'occupazione - aggiunge - è finita. Adesso le
cose, il controllo è in mano agli iracheni». Questo stonato ottimismo
deve per forza inserirsi nel contesto del Kurdistan, delle aspirazioni
dei kurdi, dei loro sogni di libertà che forse oggi hanno più
possibilità di concretizzarsi. Ma sarà così davvero?

Partiamo dalla situazione attuale. Dal rapimento delle due Simone, e
dei loro due compagni iracheni...

Tutti noi iracheni democratici, progressisti e di sinistra condanniamo
questi crimini. Sono crimini che rivelano la vera faccia del
terrorismo. Queste erano due donne che lavoravano in Iraq anche ai
tempi di Saddam, per i bambini e i poveri iracheni, perfino contro le
politiche degli Stati uniti - perché erano contro le sanzioni e anche
la guerra -, ebbene questi criminali hanno rapito proprio loro. Questa
è una realtà che i nostri compagni e amici italiani devono capire:
questi criminali non hanno nulla a che fare con la resistenza. La
resistenza è qualcosa di onorevole, di sacro quasi. Questi gruppi sono
estremisti islamici che appartengono ai gruppi più reazionari, e
vorrebbero riportare indietro di secoli l'Iraq. Questi sono i veri
criminali. Dobbiamo lottare per cercare di salvare le due ragazze. Ma
questo fatto deve anche servire da lezione agli amici e compagni
italiani che devono comprendere la vera realtà irachena...

Tuttavia, le immagini e i racconti delle bombe, delle stragi, degli
assedi, dei civili iracheni ammazzati dalle truppe di occupazione sono
una realtà...

L'occupazione è ufficialmente finita. Abbiamo oggi un governo composto
da una miriade di forze, di sinistra, kurdi, progressisti, islamici.
Tutti concordiamo sul fatto che bisogna lavorare per un Iraq
democratico, federale, unito e indipendente. Abbiamo un congresso
rappresentativo e stiamo lavorando per le elezioni che daranno vita
anche alla Costituzione.
C'era il problema di Moqtada Al Sadr. Ma anche questo è stato risolto.
Possiamo dire che il sud sarà presto pacificato. Il Kurdistan lo è già.
Direi che su 18 province, 14 sono praticamente pacificate. Le altre
quattro, compresa quella di Baghdad, richiederanno più tempo per
sradicare il terrorismo, ma stiamo lavorando per questo. Ora, è vero
che ci sono forze militari straniere in Iraq ma lavorano d'accordo con
quanto stabilito dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Che significa che
non sono libere di fare ciò che vogliono. Quando saremo in grado di
difenderci da soli, diremo bye bye alle truppe straniere.

La sua è una lettura molto ottimistica della situazione. Il livello di
scontro, di guerra è ancora molto alto. Gli stessi Usa riconoscono di
aver perso il controllo di molte aree...

No, non molte. Alcune. La realtà è che per la prima volta in anni il
popolo iracheno è libero e sta respirando democrazia. Nessun iracheno
accetterebbe un'occupazione militare all'infinito, ma per il momento
dobbiamo concentrarci sulla costruzione delle nuove istituzioni. E non
dimenticare che grazie agli Usa, la Turchia, la Siria o l'Iran non sono
entrati in Iraq.

I kurdi sanno bene cosa vuol dire vedersi voltare le spalle. Lei crede
davvero che gli Usa oggi si schiererebbero con i kurdi, lasciando a
terra la Turchia?

Prima i kurdi avevano rapporti con gli Usa a livello di Cia. [SIC]
Rapporti segreti. Ma oggi tutto è alla luce del sole. Ci sono lettere
della presidenza Bush. Carte ufficiali. Quando la Turchia voleva
entrare nel nord Iraq, gli Usa si sono schierati al nostro fianco e
l'hanno impedito.

Lei parla di Kurdistan pacificato. Eppure gli scontri con gli arabi
continuano...

No, no. La situazione in Kurdistan è tranquilla e sicura. La regione è
ricostruita. La gente sta godendo la libertà. Gli americani ci hanno
ridato la nostra quota dell'Oil for Food Program, tre miliardi di
dollari. Ci sono dei problemi, e Kirkuk è il maggiore. La situazione va
normalizzata. Sotto Saddam c'è stata una pulizia etnica nei confronti
dei kurdi. Agli arabi diciamo di tornare da dove sono venuti.
Pacificamente.


=== 3 ===

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=6058&s2=04

Israel spying on Iran, Syria from Iraqi Kurdistan: leading Egypt MP

CAIRO (AFP), October 2, 2004 - Israel has taken advantage of last
year's US-led invasion of Iraq to deploy large numbers of agents in the
Kurdish north to spy on neighbouring Iran and Syria, a leading Egyptian
MP charged Saturday.

"Israel is present in force in northern Iraq and is spying on Iran and
Syria," the chairman of the parliamentary foreign affairs committee,
Mustafa Feki, told state television.

Challenged about a recent denial by Iraq's US-backed premier, Iyad
Allawi, of any Israeli presence in Kurdish areas, Feki retorted: "They
can deny it all they like but it's the reality."

During a Kurdish rebellion that was brutally suppressed by Baghdad in
1975, Israel maintained a significant presence in rebel-held areas.

Feki, who is a leading member of the ruling National Democratic Party
of President Hosni Mubarak, added that the situation in Iraq is getting
worse, with the country now "a centre for everyone who wants to fight
American troops".

"The situation in the region does not augur well, after Palestine came
Iraq and now there's Darfur ... the future is bleak."


http://www.arabmediawatch.com/modules.php?name=New
s&file=article&sid=1982


(srpskohrvatski / english)

Kosovo and the Balkans as a US Presidential Election Issue (2)

1. LINKS: Albanian-American Lobby support(ed) (by) Democrats; Bigot,
islamophobic "diaspora" Serbs in the US support Bush

2 : Dalji pravci delovanja prošiptarskog lobija u SAD
(S. Nikolic / ARTEL)


=== 1 : LINKS ===

"FARA" Registrations

http://www.siri-us.com/backgrounders/Archives_Kosovo/Alb-
Am_Lobbying.html

Albanian American PAC Contributions to Candidates, 1980-2000

http://www.siri-us.com/backgrounders/Archives_Kosovo/
AlbanianAmericanPac-1980-98.htm
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3779

Bob Dole and Yugoslavia; "Concurrent Resolution 150" and Other Puzzle
Pieces

http://www.siri-us.com/backgrounders/Archives_Kosovo/Dole-Kosovo-
KLA.html

Secret diner in Washington: Holbrooke and Thaqui planned terror

http://www.orthodoxchristiansforbush.com/srbija/dinner.shtml

Clinton proud of Kosovo

http://www.antiwar.com/blog/more.php?id=1056_0_1_0_M

Democrats pushing Albanian cause?

http://news.suc.org/bydate/2004/May_26/2.html?w=p

Getting Kosovo Wrong (by Nebojsa Malic, May 27, 2004)

http://www.artel.co.yu/en/glas_dijaspore/2004-05-28.html
http://www.antiwar.com/malic/

KosovaLive: Thaci Says US Democrats Support Self-Determination of
People of Kosovo

http://www.slobodan-milosevic.org/news/kl080404.htm

Albanian money attracts Kerry's interest (by Stella Jatras)

http://news.serbianunity.net/bydate/2004/August_04/8.html?w=p

Kerry invites Thaci to Convention (by Stella L. Jatras)

http://news.serbianunity.net/bydate/2004/August_10/22.html?w=p

Serbian Unity Congress: SUC Writes to Presidential Candidates: Serbian
Issues in Election 2004 

http://news.serbianunity.net/press/suc298.html?w=p

Imperial Balkans: A Legacy of Lies and Disasters (N. Malic)

http://www.artel.co.yu/en/glas_dijaspore/2004-09-23.html

Bishop Artemije urges US Congressmen not to support Kosovo's
independence

http://news.serbianunity.net/bydate/2004/October_09/4.html?w=p

Kosovalive: Bob Dole: 2005 - Big Year For Kosovo

http://www.freerepublic.com/focus/f-news/1240338/posts

US-Based Kosovo Petition Plot Rallying Point For Balkans Pan-Albanianism

http://www.realitymacedonia.org.mk/web/news_page.asp?nid=3744

SERBIAN-AMERICAN VOTERS’ UNION

http://www.serbsforbush.com/
http://www.orthodoxchristiansforbush.com

Message from S. Trifkovic

http://www.pogledi.co.yu/index.php

Kerry's Balkan policy may defeat him (by Srdja Trifkovic)

http://www.chroniclesmagazine.org/News/Trifkovic04/NewsST101404.html

American-Serbs: Vote Bush! (by M. Bozinovich)

http://www.serbianna.com/columns/mb/030.shtml

KERRY CAMPAIGN FINANCED BY TERRORISTS
October 18, 2004 - by Andy Wilcoxson

http://www.slobodan-milosevic.org/news/kerry101804.htm

Double Standards: Bill Clinton and the “Anybody But Bush” Movement

http://www.infoshop.org/inews/stories.php?story=04/10/16/0340110

US ALBANIANS PUT FAITH IN KERRY
American-Albanians appear to hope Kerry victory will put Kosovo back on
the foreign policy agenda. By Stacy Sullivan in New York. IWPR'S BALKAN
CRISIS REPORT, No. 522, October 20, 2004
http://www.iwpr.net


=== 2 ===

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2004-09-08.html

Dalji pravci delovanja prošiptarskog lobija u SAD

Pise: S. Nikolic
Beograd, 08, septembar 2004. godine

Sasvim je sigurno da ce odmah nakon loklanih izbora na Kosovu i
Metohiji notorni lobisti za šiptarske interese u Vašingtonu pokušati da
svoje dosadašnje napore pretoce u stvaranje utiska o akutnom pitanju
kosovske nezavisnosti. Njihov je cilj da se pitanje trajnog rašavanja
statusa Kosova i Metohije putem njegovog odvajanja od Srbije do kraja
godine nadje na dnevnom redu americkog spoljnopolitickog establišmenta,
i bice predstavljeno kao akutni problem koji nedopušta nikakvo
odlaganje.
Jedan od argumenta koji ce pri tom koristit jeste, da je radi
poboljšanja americkog kredibiliteta u islamskom svetu posle napada na
Irak potrebno da Bušova administracija nacini krupan gest dobre volje
prema muslimanima. U prilog im idu cinjenice da SAD ne žele ili ne mogu
da ucine gest dobr volje prema islamskom svetu na Bliskom istoku, a
cerecenje Srbije se do sada pokazalo kao jeftin i isplativ politicki
posao. Uz to, šiptarski lobisti ce americki spoljnopoliticki
establišment pokušati da uvere da nerešeno pitanje nezavisnosti
predstavlja prepreku za pomirenje izmdu razlicitih etnicih grupa koje
žive na KiM, i da ce tek sa nezavisnošcu jedna "slobodno izabrana
vlada" biti u prilici da smanji potencijal za etnicke konflikte
izgradjuci "vladavinu prava i pluralizam", što ce dati šansu dugorocnoj
stabilnosti KiM i citavog Balkana. S toga je akciju odvajnja KiM od
Srbije potrebno bez odlaganja i što hitnije realizovati.
Za takve svoje aktivnosti i delovanje, u americkoj administraciji, oni
ce imati podršku u liku Pola Volfovica zamenika americkog sekretara
odbrane koga je vec odavno za siptarsku stvar izlobirao Morton
Abramovic iz Medunarodne krizne grupe.
Ono što zabrinjava i olakšava delovanje ove raznorodne koalicije
prošiptarskih aktivista u Vašingtonu (Janoš Bugajski iz Centra za
strateške i medunarodne studije, Danijel Server iz Americkog instituta
za mir, Džejms Dobins direktor Centra za medunarodnu bezbednosnu i
odbrambenu politiku Rand korporacije, Carls Kupcan direktor evropskih
studija u Savetu za inostrane poslove, republikanac Henri Hajd,
demokrata Tomas Lantoš, Diogardi, Holbruk...) koji delujuci prema
zvanicnoj administraciji korak po korak ukidaju državu Srbiju na KiM,
jeste to,da sa srpske strane nema nikakvih osmišljenih kontra-akcija
koje bi predupredile i obesmislile njihovo delovanje Osim toga, naša
spoljna politika propušta šansu da americkoj vladi i javnosti stalno
ukazuje na cinjenice koje su sa stanovišta americke relapolitike
izuzetno znacajne a koje u velikoj meri mogu uticati na njen uspeh ili
neuspeh u buducnosti - Americka strateška angažovanost na Bliskom
istoku, kapsijskom basenu, Centralnoj Aziji, Koreji i drugde, ne
dopušta luksuz olakog stvaranja latentne nestabilnosti na Balkanu i
mogucnosti da americki interesi u ovom delu sveta budu ugroženi po bilo
kom osnovu, a pre svega delovanjem islamskih terorista. Samo takvi
argumenti, koji treba da predstavljaju spoj interesa Srbije i SAD imaju
šansu na uspeh u Vašingtonu i uvere americki spoljno politicki
establišment da latentna nestabilnost na Balkanu može da bude izbegnuta
samo konacnim prihvatanjem stava da je sa drobljenjem Srbije završeno.
Neki od tih argumenata su:
- Rezolucija br. 1244 SBUN garantuje teritorijalnu celovitost i
integritet SGC i Srbije i rešavanje statusa KiM u okviru i
insitiucijama države Srbije.
- Rezolucija br. 1244 SBUN je mrtvo slovo na papiru i sve dok ona ne
bude u poptunosti sprovedena Srbija nema nikakvu obavezu da pristupa
bilo kakvim pregovorima u vezi sa statusom KiM. Zalaganjem za doslednim
sprovodjenjem Rezolucije 1244. SBUN Srbija ne brani samo sopstvene
interese vec i volju medunarodne zajednice olicenu tom rezolucijom.
- Neko, koristeci se silom ili trenutnom konstalacijom odnosa u svetu
možda i može u okviru UN-a ili van njih izdejstvovati rešenje zvano
"Nezavisno Kosovo", ali država Srbija na tako nešto nikad nece pristati
i koristice sva sredstva koja su na raspolaganju jednoj državi da
zaštiti svoju celovitost i teritorijalni integritet.
- Nezavisnost KiM bi nagradila genocid i etnicko cišcenje.
- Nezavisnost KIM bi dala legitimnost stavu da lokalizovana vecina neke
etnicke manjine na datom prostoru ili u okviru jedne regije, ili
administrativne jedinice daje njenim pripadnicima pravo na otcepljenje
od državne celine. To može imati ozbiljne posledice po mir, stabilnost
i medjuetnicke odnose na samo na Balkanu-Makedonija i ne samo u Evropi
(Baskija, Rusi na Krimu, severnom Kazahstan, severnoj Letoniji, Madjari
u rumunskoj Transilvaniji...) vec u buducnosti, i na tlu SAD, tj.
njenim jugozapadnim državama jer nije daleko dan kad ce meksicki
imigranti u njima imati vecinu.
- Nezavisnost KIM bi dovela do opšteg stava da se terorizam ipak
isplati što bi dalo krila svim teroristickim organizacijama u svetu.
Osim toga, nije nemoguce da neke od etnickih zajednica koje su pod
šiptarskim terorizmom prognane i etnicki ocišcene sa prostora KIM na
odluku o nezavisnosti Kosova reaguju spostvenim terorizmom, odnosno
terorizmom na siptarski terorizam ali i terorizmom na americke snage na
KiM.
- Nezavisnost bi KiM, s obzirom da njime vladaju kriminalni fisovi koji
imaju svoje eksponente u politici pretovorila u sigurno (državno)
utocište za trgovce drogom, oružjem, cigaretama i belim robljem i bazu
odakle bi se Evropa i SAD još više "bombardovale" narkoticima,
švercovanim cigaretama, belim robljem, oružjem...Šverc narkotika koji
zauzima primat u kriminalnim radnjama šiptarskog organizovanog
kriminala nije samo sredstvo brze zarade vec i sredstvo borbe
ekstremnog islama protiv Zapadne civilizacije koji koristeci šiptarske
kriminalce "bombarduje" Zapad drogom.
- Nezavisnost bi od KiM nacinila i sigurno (državno) utocište za
islamske teroriste i ekstremiste raznih boja, kao i bazu za njihove
teroristicke napade na ciljeve u Evropi i SAD po modelu BiH
(teroristicka mreža Al Qaide iz BiH je izmedu ostalog korišcena kao
podrška teroristickim napadima na SAD), s obzirom na njihove veze sa
šiptarskim teroristicko-separatistickim vrhom i trenutnu prisutnost i
aktivnosti u ovoj južnoj srpskoj pokrajini, a pred ocima KFOR-a i
UNMIK-a. Nije teško onda zamisliti onda kakvu bi tek aktivnost islamski
teroristi razvili na KiM i sa ovog prostora prema Evropi i SAD u
slucaju da KiM dobije nezavisnost.
Nažalost, izgleda da je sasvim izlišno davati bilo kakve informacije,
analize, i preporuke, jer njih nema ko ni da cita ni da sprovodi u
delo. I ova vlada, kao i one pre nje, spava snom trnoružice, a njeni se
diplomatski, obaveštajni i informativni servisi bave potpuno benignim
stvarima. Kad se budu probudili i najzad poceli nešto da rade možda ce
za sve biti kasno...

Evviva il Vaticano!!


Lo sapevate che la Caritas e' stata usata in alcuni casi come copertura
per il rifornimento di armi all'UCK in Kosovo?
Sullo stesso argomento vedi anche, ad esempio:
Sant'Antonio ed il Demonio
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2295

(Elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


---


[ THIS TEXT IN ENGLISH:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3886 ]

L’Istituzione benefica “Caritas” del Vaticano ha trafficato armi della
Nato con l’Esercito di Liberazione del Kosovo KLA-UCK

by Andy Wilcoxson

(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
http://www.slobodan-milosevic.org/ 8 ottobre 2004


Introduzione

La “Caritas” è una vecchia e ben conosciuta istituzione benefica
Cattolica Romana, con sede in Vaticano, che ha ramificazioni in tutto
il mondo e per qualche periodo è stata attiva nei Balcani.
Questo documento risponderà alla domanda seguente: la Caritas è
veramente un’organizzazione umanitaria, o è coinvolta in attività tanto
scellerate come il traffico di armi?
Questo articolo analizzerà le eventuali connessioni fra la Caritas e le
armi Iraniane trafficate di nascosto, di contrabbando, in Bosnia.
Quindi verrà indagato un incidente avvenuto nel 1999, quando un
convoglio della Caritas venne bloccato da funzionari di dogana
Italiani, mentre venivano contrabbandate 30 tonnellate di armamenti
vari destinati all’Esercito di Liberazione del Kosovo.


Una breve premessa storica sulla presenza della Caritas nei Balcani

Nel 1934 l’Arcivescovo Cattolico di Croazia Aloisio Stepinac insediava
la ramificazione Croata della Caritas.[1]
Stepinac è stato soprannominato “il Santo Patrono dei Genocidi”, visto
il ruolo da lui giocato nei genocidi commessi dal regime fascista
Croato durante la Seconda Guerra Mondiale. [2]
Durante questo conflitto, la Caritas era attiva nei campi di
concentramento Croati. L’organizzazione era incaricata di ribattezzare
forzatamente e di convertire i Cristiani Ortodossi al Cattolicesimo
Romano. [3]


I traffici di armi dall’Iran verso la Bosnia, con possibili
coinvolgimenti della Caritas

Nel marzo del 1993, il Comandante dell’Esercito Serbo-Bosniaco,
Generale Ratko
Mladic, per primo accusava la Caritas di fornire armi ai combattenti
Croati e Musulmani in Bosnia sotto forma di assistenza umanitaria. [4]
[5]
Il Gen. Mladic non è stato il solo a denunciare che spedizioni di armi
erano camuffate da aiuti umanitari. Secondo un rapporto stilato dalla
Sottocommissione del Congresso degli USA designata ad investigare sui
trasferimenti di armi dall’Iran alla Croazia e alla Bosnia, “ gli aiuti
umanitari che arrivavano in Bosnia consistevano soprattutto di convogli
predisposti da organizzazioni umanitarie Musulmane, che in seguito
avrebbero giocato un ruolo significativo nel rifornimento di armi
dall’Iran alla Bosnia.” [6]
Secondo il documento del Congresso, il leader della comunità Islamica
in Croazia, l’Imam Sevko Omerbasic, era “la figura su cui si imperniava
l’organizzazione e le operazioni dei flussi di armi Iraniane”.[7]
Secondo una testimonianza al Tribunale dell’Aja, la Caritas, sebbene
non fosse un’organizzazione umanitaria Islamica, era direttamente
collegata ad Omerbasic.
Sefkija Djidic, un testimone al processo Blaskic, ha deposto che,
durante la guerra, Omerbasic aveva guidato un convoglio della Caritas
alla roccaforte Croata di Vitez. [8]
L’efficacia della Caritas come organizzazione umanitaria veniva
chiamata in questione dalla deposizione di un altro testimone al
processo Blaskic. Un testimone protetto dichiarava che nessuno si
sognava di andare dalla Caritas a cercare assistenza. Il testimone, un
Musulmano di Kiseljak, asseriva che se qualcuno tentava di ottenere
qualche aiuto dalla Caritas avrebbe potuto subire vessazioni per mano
delle milizie Croate, e che “la gente preferiva patire la fame
piuttosto che andare da quelli della Caritas per domandare qualche
aiuto.” [9]
Anche fuori dei Balcani le attività della Caritas hanno destato
perplessità. Nel 1993 soldati Onu delle forze di peacekeeping hanno
trovato un deposito nascosto di armi in un ospedale per bambini
collegato alla Caritas, a Mogadiscio in Somalia. [10]
Finora gli argomenti contro la Caritas rispetto al traffico di armi
sono stati solamente indiziari. Nessuno ha riferito di aver visto
quelli della Caritas depositare le armi all’interno dell’ospedale in
Somalia. Il Gen. Mladic non ha fornito nelle sue interviste alcun
esempio specifico di dove la Caritas avesse potuto trafficare in armi,
e non si sa se il convoglio della Caritas diretto a Vitez contenesse o
no armi, anche se il convoglio era guidato da Sevko Omerbasic, l’uomo
identificato dal Congresso degli USA come il “cardine” nel flusso di
armi dall’Iran.


La Caritas era invischiata nel contrabbando di armi per conto della
Nato a favore dell’Esercito di Liberazione del Kosovo – KLA-UCK

Il 12 aprile 1999, nel porto Italiano di Ancona veniva effettuata
un’enorme retata di armi e munizioni, destinate alla KLA, nascoste in
containers dati in affitto alla Caritas. [11] Ufficialmente il carico
era stato dichiarato come spedizione di aiuti umanitari della Caritas
Tedesca destinati ai profughi del Kosovo. [12] I containers erano stati
stivati al centro della Caritas a Sarajevo. [13] I funzionari della
dogana, che ispezionavano i containers, trovavano 30 tonnellate di
materiali bellici, compresi missili anti-aereo e anti-carro,
lanciarazzi e mitragliatrici. [14]
Il più delle armi erano di origine Russa o dall’Europa dell’Est, ma
molte erano marcate NATO. Più di 1.000 mortai, che appariva essere
stati “prelevati” da un arsenale NATO in Germania, venivano trovati a
bordo dei containers. [15]
Nell’interno dei containers vi erano anche aiuti umanitari del tutto
legali, ma si trattava di materiale di scarsa qualità, come alimenti
che erano scaduti da molto tempo. [16]
I finanzieri Italiani arrestavano tre conducenti, Robert Buellesbach,
Sead Klakar, e Drasco Kovacevic. [17]
Le autorità Italiane denunciavano Buellesbach come collegato ai servizi
segreti Tedeschi. [18] Dato questo rapporto, se ne poteva dedurre che
costui era stato quello che aveva “sottratto” i mortai dalla base NATO
in Germania.
I containers di lunghezza 15 metri erano stati ristrutturati per il
trasporto di un carico illegale. [19] Un container era stato dotato con
un doppio fondo, mentre un altro aveva un ripostiglio segreto, dietro
la cabina del guidatore, in grado di nascondere sei persone. [20]
Le autorità Italiane dichiaravano anche che le armi erano destinate per
un campo di addestramento dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA)
a Scutari nel nord dell’Albania. [21]
Il nome del destinatario sui documenti di export era quello di Padre
Luciano Augustino, un parroco di Scutari. [22]
Il Generale Alberto D'Amico, il Comandante in carica della Guardia di
Finanza per la regione comprendente Ancona, confermava le rimostranze
da parte di fonti dei servizi di sicurezza Italiani che era impossibile
che le intelligence Americana ed Inglese fossero all’oscuro di questi
traffici sotto banco. [23]
Un portavoce della NATO affermava che l’Alleanza non aveva alcun
contatto con la KLA: "Qualche nazione membro della NATO può avere
individualmente contatti, naturalmente non abbiamo alcuna garanzia che
queste cose, contrabbando ed altro, non siano avvenute…” [24]
Caritas negava di avere un qualsiasi ruolo nel contrabbando di armi, e
rendeva pubblica la seguente dichiarazione: “Questi containers non sono
della Caritas, anche se il logo (sui containers) è lo stesso.” [25]


Conclusione

I containers erano stati presi in affitto dalla Caritas, erano stati
caricati al centro della Caritas a Sarajevo, e noi dovremmo presumere
di credere alla Caritas quando afferma che non c’entrava assolutamente
con tutto questo? Come pure dovremmo presumere di credere che un
qualcuno abbia manovrato per introdursi in una installazione Tedesca
della NATO e vi abbia sottratto 1.000 mortai?
La conclusione è ovvia. Il Vaticano stava usando la sua “organizzazione
umanitaria” Caritas per fornire una copertura alla NATO, o al più alla
Germania, nel traffico di armi verso la KLA. Lo stesso può aver fatto
l’Iran, stato guida degli stati “canaglia” del mondo, usando la stessa
copertura quando in Bosnia Omerbasic aveva guidato il convoglio della
Caritas a Vitez.
Gli obiettivi del Vaticano sono gli stessi ora di quando Stepinac aveva
creato la ramificazione Croata della Caritas per convertire a forza al
Cattolicesimo Romano i Serbi rinchiusi nei campi di concentramento
Croati.
La migliore prova di questo resta il fatto che il Papa Giovanni Paolo
II, invece di fare in modo che la Chiesa Cattolica prendesse le
distanze da Stepinac, ha fatto l’opposto. Il 3 ottobre 1998, il Papa ha
beatificato Stepinac. [26]


Note

[1] Ufficio Stampa della Conferenza dei Vescovi della Croazia – Agenzia
della Stampa Cattolica IKA-Zagreb;
http://www.pope.hr/katolicka_crkva_u_hrvatskoj_caritas.html
[2] "Il Santo Patrono dei Genocidi: l’Arcivescovo Stepinac e lo Stato
Indipendente di Croazia” di Bill Stouffer;
http://www.pavelicpapers.com/features/essays/psg.html
[3] "L’Olocausto del Vaticano” di Avro Manhattan, Ozark Books,
Springfield, MO.1986 (Capitolo 8)
[4] Serbian Radio, Belgrado 1545 gmt; 26 febbraio 1993 / BBC Monitoring
“il Gen. Mladic giudica il piano di aiuti USA, afferma che i Serbi
stanno facendo ogni cosa per assistere i convogli”
[5] Servizio Telegrafico Yugoslavo in Serbo-Croato 2026 gmt; 26 marzo
1993 / BBC
Monitoring “ Il Comandante Serbo Bosniaco Mladic sul cessate il fuoco,
sugli aiuti umanitari, sui Serbi di Tuzla”
[6] Relazione Finale della Sottocommissione incaricata di investigare
sul ruolo USA nel trasferimento di armi dall’Iran alla Bosnia e in
Croazia (“The Iranian
Green Light Subcommittee) – Commissione per le Relazioni Internazionali
della Casa Bianca; 10 ottobre 1996 - 104th Congress; 2nd Session;
Pagina 85
[7] Ibid.; Pagina 81
[8] Trascrizione dal Processo Blaskic al Tribunale Internazionale per i
Crimini nella ex Yugoslavia (ICTY) – 31 luglio 1997 – Testimone,
Sefkija Djidic – Pagine 1468-1469
[9] Trascrizione dal Processo Blaskic al ICTY - 19 marzo 1998 –
Testimone Protetto “JJ” – Pagine 7403-7407
[10] Agenzia France Presse - “Soldati Malesi danneggiano un reparto di
ospedale pediatrico nella ricerca di armi” - 17 agosto 1993
[11] Agenzia France Presse - “Armi e munizioni sequestrate ad un carico
imbarcato della Caritas: rapporto” – 3 maggio 1999
[12] Deutsche Presse-Agentur – “La polizia Italiana sequestra un carico
di armi destinato ai separatisti del Kosovo” – 3 maggio 1999
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] Ibid.
[16] Scotland on Sunday - “La NATO collegata al contrabbando di armi
destinate alla KLA " – 9 maggio 1999
[17] Ibid.
[18] Ibid.
[19] Deutsche Presse-Agentur – “La polizia Italiana sequestra un carico
di armi destinato ai separatisti del Kosovo” – 3 maggio 1999
[20] Ibid.
[21] Ibid.
[22] Scotland on Sunday - “La NATO collegata al contrabbando di armi
destinate alla KLA " – 9 maggio 1999
[23] Ibid.
[24] Ibid.
[25] Agenzia France Presse - “Armi e munizioni sequestrate ad un carico
imbarcato della Caritas: rapporto” – 3 maggio 1999
[26] Discorso del Papa a Marija Bistrica, Croazia – 3 ottobre 1998
(Ufficio Stampa della Conferenza dei Vescovi della Croazia – Agenzia
della Stampa Cattolica IKA-Zagreb);
http://www.papa.hr/pope/english/news/govor/bistrica/emb.html


---


Evviva sempre il Vaticano!!


Il Vaticano sotterra l’ascia di guerra rispetto alla questione Irachena

di Julian Coman - Sunday Telegraph / Washington Time
(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
http://washingtontimes.com/world/20041010-102418-6871r.htm

ROMA. 10 ottobre 2004. Il Vaticano ha deciso di mettere da parte le sue
divergenze con la Coalizione guidata dagli Americani, invocando un
rafforzamento delle truppe multinazionali in Iraq per rendere sicura la
nascente democrazia di quel paese.

Nel febbraio dell’anno scorso, il Papa Giovanni Paolo II e il Cardinale
Angelo Sodano, Segretario di Stato del Vaticano, avevano espresso una
delle più violente denunce contro il Presidente Bush e contro Tony
Blair, per la decisione di costoro di voler invadere l’Iraq per
rovesciare il regime di Saddam Hussein.

In modo decisamente imbarazzato, voci in privato critiche erano state
rese pubbliche da funzionari del Vaticano, che avevano rivelato nel
corso di una conferenza stampa che il Papa aveva riservatamente fatto
pressioni su Mr. Blair “che si utilizzassero tutte le risorse messe a
disposizione dal diritto internazionale per evitare la tragedia della
guerra.”

Attualmente, alla luce del caos che è succeduto alla guerra, il
Cardinale Sodano ha annunciato una nuova presa di posizione di Roma
rispetto all’Iraq.
"Il bambino è nato" ha di recente dichiarato a nome del Vaticano. "Può
essere che sia illegittimo, ma esiste, è là, e quindi deve essere
cresciuto ed educato".

Nonostante la tonante opposizione del Vaticano alla guerra, gli
attacchi terroristici e i continui movimenti insurrezionali in Iraq
hanno portato il Papa a convincersi che solo una accresciuta presenza
militare, ivi compresa quella delle truppe della NATO, potrebbe
assicurare la pace.
" Esiste la sensazione che non si possa assolutamente più ritornare
indietro", è stata la considerazione di un consigliere del Vaticano.

In un’incisiva intervista a “La Stampa”, il Cardinale Sodano confermava
che, dal momento in cui la crisi in Iraq si era approfondita, era
giunto il tempo di dimenticare le divergenze del passato rispetto alla
decisione di invadere.
Le sue conclusioni sembrano far parte di una campagna orchestrata per
galvanizzare l’appoggio militare e finanziario dei critici, contrari
alla guerra come la Francia e la Germania, in favore di un Iraq
democratico. Quei due Paesi hanno rifiutato di contribuire con loro
truppe, finché nel paese sono presenti le forze di occupazione
Britanniche e Statunitensi.

Un editoriale, in prima pagina di “Avvenire”,- un influente quotidiano
cattolico italiano che vede nel suo consiglio di amministrazione la
presenza del Cardinale Camillo Ruini, il consigliere spirituale del
Papa, - ha richiesto con enfasi che « decine di migliaia di uomini
della NATO » siano inviati in Iraq per aiutare il governo provvisorio e
per garantire libere elezioni.
Il famoso teologo Vittorio Parsi ha criticato la “pigrizia” dei paesi
che hanno rifiutato di impegnare le loro forze armate in Iraq prima del
ritiro delle truppe di occupazione.
Quasi sicuramente, secondo quello che è venuto a sapere il “Sunday
Telegraph”, è stato il Cardinale Ruini a commissionare questo
editoriale.

Scrive Parsi : « Gli stessi paesi europei che si sono opposti alla
decisione americana di rovesciare Saddam Hussein sanno benissimo che un
Iraq nelle mani dei peggiori terroristi e criminali è contrario agli
interessi di tutti.»


---


I Demopretoni

(Soccorso Popolare di Padova)

I Demopretoni: termine felicemente coniato dal grande artista Padovano
Tono Zancanaro, i preti apportatori di… Democrazia Cristiana nel mondo,
nel nostro caso i cappellani militari in tuta mimetica, già nel 1965
avevano ricevuto da don Lorenzo Milani una lettera aperta che li
invitava all’obiezione di coscienza, al rifiuto ad indossare divise
militari. Questa azione valse a Don Milani una incriminazione per
apologia di reato e una condanna. La lettera aperta e la lettera ai
giudici del processo furono pubblicate nel 1967 sotto il titolo
“L’obbedienza non è più una virtù”.
Sono passati tanti anni, ma ancora sacerdoti in tuta mimetica
benedicono armi e sostengono spiritualmente i nuovi Crociati
combattenti in Iraq, nel nome del Vero Dio!Il mondo cattolico parla
continuamente di Pace, ma il discorso rischia spesso di rimanere
un’astrazione. Tanti rappresentanti politici cattolici sostengono le
guerre, nascondendo la loro ipocrisia dietro la facciata sporca delle
“guerre umanitarie”. Alcuni di loro partecipano attivamente al
Conflitto fra Civiltà, dimostrando un comune loro sentire denso di
razzismo e xenofobia, mentre non esistono ragioni che giustifichino la
permanenza dei militari italiani in Iraq, coinvolti nella Coalizione
Cristiana in una guerra illegittima, sanguinosa, scatenata su
presupposti falsi e basata sulle menzogne dei “civilizzatori
democratici”. Le prese di posizione concrete e precise non sono
molte, e bene ha fatto Filippo Gentiloni, su “il manifesto” di domenica
17 ottobre 2004, a segnalare due prese di posizione molto
significative, che rischiano comunque di rimanere nell’ombra, visto il
silenzio in merito dei nostri mezzi di comunicazione, tutti sul carro
delle guerre che si possono fare, quando legittimate dall’ONU o con la
partecipazione massiccia e generale della NATO. I due interventi contro
la guerra sono stati riportati dalla rivista bimestrale di riflessione
e informazione nonviolenta “Qualevita”, nel numero 108 dell’ottobre
2004.
Il primo è la lettera ai cappellani militari, scritta da don Dino
D’Aloia (forse verrà condannato anche questo sacerdote per apologia di
reato?). “Cari cappellani dell’esercito italiano in Iraq, sono un
vostro ‘collega’, un prete cappellano come voi, ma per mia fortuna del
carcere di San Severo di Foggia, e non dell’esercito, come voi. Io non
so come fate a vivere serenamente il sacerdozio nel vostro ruolo; io
non ci riuscirei mai.(…) Gli americani ci hanno travolto in una guerra
senza fine, hanno acceso un focolaio immenso, che non si spegnerà più.
Come in Palestina ci ritroveremo fra cinquant’anni a piangere i morti,
a deplorare gli attentati, ad invocare la pace. (…) Non vi sentite
lacerati dentro, tra il vangelo che ripudia la spada e la vostra
obbedienza agli interessi dei militari?…Come fate per far capire che
non siete servi dei signori della guerra…? …voi siete così tranquilli a
dare la comunione a chi è complice di questa grande manovra omicida
americana per accaparrarsi potere e petrolio?”
L’altra notevole presa di posizione è quella di Tonio Dell’Olio, di
“Pax Christi”, resa pubblica lo scorso 20 luglio 2004, al momento del
varo, a Genova, della nuova portaerei “Cavour”, la più grande nave
della flotta militare Italiana. Il Cardinale di Genova Bertone la
“benedice” e Dell’Olio scrive: “Non si benedice una portaerei perché è
destinata a portare distruzione e morte… Il comandamento “tu non
ucciderai” non ammette deroghe o cedimenti… In questo caso quella
benedizione suona come una bestemmia”.
Parole forti, ma ben coerenti se messe al confronto con le istanze del
Cardinale Camillo Ruini, il consigliere spirituale del Papa, che
enfaticamente giudica necessario l’invio di « decine di migliaia di
uomini della NATO » in Iraq per aiutare il governo provvisorio a
stroncare la resistenza di un popolo occupato, per conto di tutta la
“Cristianità supremamente civile”. Gott mit NATO! Evviva il Vaticano!

Il Kosmet dai pogrom alle nuove elezioni-farsa

3: Seguito rassegna dispacci ANSA, marzo-aprile 2004 - dal sito:
http://www.ansa.it/balcani/kosovo/kosovo.shtml


KOSOVO: RAPPRESENTANTE OSCE LIBERTA' MEDIA CRITICA TV LOCALI

(ANSA) - VIENNA, 22 APR - Senza la parzialita' ed il sensazionalismo
dei media locali si sarebbero potuti evitare i recenti disordini in
Kosovo, nel corso dei quali sono rimaste uccise almeno 19 persone: lo
ha detto oggi a Vienna il nuovo rappresentante per la liberta' dei
media nell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(Osce), l'ungherese Miklos Haraszti, intervenendo al Consiglio
permanente dell' organizzazione. Nel rapporto Haraszti critica
soprattutto la copertura da parte dei media locali del tragico
annegamento di un gruppo di bambini albanesi il 16 marzo scorso.
L'evento fatale e' stato descritto come un atto criminale con
motivazioni etniche. Quando invece sono cominciati i veri scontri
interetnici la copertura soprattutto da parte delle televisioni e'
diventata ''giustificante, quasi un appoggio''. ''Senza questa
copertura, gli incidenti potrebbero non aver raggiunto l'intensita' e
il livello di brutalita' registrato, o addirittura avrebbero potuto non
essere accaduti del tutto'', ha detto Haraszti, secondo un comunicato
dell'Osce diffuso oggi a Vienna.''Quello a cui abbiamo assistito nel
Kosovo non era solo giornalismo unilaterale, trascurato e non
professionale in una societa' post-bellica instabile, ma c'e' stata
anche una tragica mancanza di voci equilibranti, per lo meno per quanto
riguarda le emittenti'', ha detto Haraszti. (ANSA). RED-STE
22/04/2004 20:30

KOSOVO: ARRESTATO EX COMANDANTE UCK PER RIVOLTA DI MARZO

(ANSA) - PRISTINA, 28 APR - Un ex comandante della guerriglia albanese
in Kosovo (Uck) e' stato arrestato nelle prime ore di questa mattina
dai soldati della forza di pace a guida Nato (Kfor) con l'accusa di
aver partecipato all'organizzazione della sanguinosa rivolta esplosa
nella provincia lo scorso mese di marzo. L'uomo, Sami Lehstaku, e'
stato catturato nel suo villaggio di Skenderaj, nel Kosovo centrale:
attualmente e' arruolato nel Tmk, la forza di protezione civile
costituita dalle ceneri del movimento di guerriglia. Durante una seduta
del parlamento di Pristina, questa mattina i deputati del Partito
democratico (Pdk) hanno protestato per l'arresto di Lehstaku
chiedendone l'immediata liberazione. La rivolta esplosa in Kosovo fra
il 17 e il 18 marzo ha provocato 18 morti e oltre 800 feriti e la
devastazione di decine fra chiese e monasteri ortodossi. (ANSA) (ANSA).
BLL
28/04/2004 12:33

KOSOVO: ARRESTATI PER CORRUZIONE TRE FUNZIONARI

(ANSA) - PRISTINA, 28 APR - Tre funzionari della compagnia telefonica
del Kosovo (Ptk) sono stati arrestati oggi su ordine della procura di
Pristina con l'accusa di corruzione. Fra di loro c'e' anche un
dirigente presso la Missione delle Nazioni Unite (Unmik), Uno Nillson,
che e' stato in passato consigliere della Ptk. Gli altri due arrestati
sono albanesi, Leme Xhema e Bedri Rama, rispettivamente ex direttore
generale ed ex direttore dell'ente. La polizia delle Nazioni Unite, che
ha confermato l'avvenuto arresto, non ha finora fornito ulteriori
elementi sul capo d'accusa. (ANSA). BLL
28/04/2004 21:02

KOSOVO: PARLAMENTO SERBO APPROVA PIANO CANTONIZZAZIONE

(ANSA) - BELGRADO, 29 APR - Il parlamento serbo ha approvato oggi, con
208 voti a favore, 7 astenuti e nessun contrario, il piano di
cantonizzazione messo a punto dal governo serbo per risolvere la
questione del Kosovo. Il piano, che prevede la creazione di cinque
cantoni serbi a larghissima autonomia nel Kosovo, e' stato
stigmatizzato a suo tempo dalla leadership albanese della provincia e
non e' gradito alla comunita' internazionale, che spinge per una
soluzione multietnica nella provincia, se pure con un certo grado di
decentramento dei poteri. (ANSA). OT
29/04/2004 15:29

KOSOVO: SERBIA, SI' DEL PARLAMENTO ALLA CANTONIZZAZIONE/ANSA

(Di Beatrice Ottaviano) (ANSA) - BELGRADO, 28 APR - Uno stato
multietnico in Kosovo non e' ipotizzabile: su questa premessa il
parlamento serbo ha varato oggi il piano presentato dal governo per la
creazione di cinque cantoni pienamente autonomi nella provincia, in
quelle zone dove la popolazione e' in maggioranza serba. Il voto del
parlamento serbo oggi e' stato praticamente unanime: dei 215 deputati
presenti in aula, 208 hanno approvato il piano di cantonizzazione del
governo serbo e sette si sono astenuti. Non c'e' stato nessun voto
contrario, nonostante alcune riserve da parte degli ultranazionalisti
del Partito radicale (Srs) secondo i quali l'idea di spartire la
provincia con gli albanesi rappresenta di per se' una concessione. In
pratica, l'ipotesi serba porterebbe alla creazione di cinque comunita'
totalmente separate dall'amministrazione albanese: i cinque cantoni,
uno centrale a ridosso di Pristina, uno nel nord, nella regione di
Kosovska Mitrovica, uno a est vicino Gnjiliane, uno a sud vicino Strpce
e uno nel sudovest della provincia, dovrebbero godere di autonomia
territoriale, istituzionale, elettorale, nell'organizzazione della
pubblica sicurezza e della protezione civile, nei pubblici registri,
nella lingua e nella pubblica istruzione, nel settore giudiziario,
nell'autogoverno, nella sfera economica e nella gestione del patrimonio
pubblico. Si verrebbero cosi' a creare nel cuore dei Balcani cinque
nuovi 'muri' per separare la minoranza serba dalla comunita' kosovara
albanese. Il piano, anticipato nelle settimane scorse, aveva gia'
suscitato le aspre critiche della leadership albanese, e non piace alla
comunita' internazionale che non ha messo da parte la speranza di un
Kosovo multietnico. Stando pero' ad alcuni giornali serbi, la
cantonizzazione non sarebbe una ipotesi del tutto inaccettabile per
certe frange albanesi, e l'Occidente starebbe rivedendo molte delle sue
posizioni sul problema Kosovo. Il primo ministro serbo Vojislav
Kostunica ha ribadito oggi che il piano di cantonizzazione ''non e' un
progetto di status finale per la provincia, ma solo un modo per evitare
ulteriori violenze''. Il neo ministro degli esteri Vuk Draskovic ha
invitato a non drammatizzare il quasi certo rifiuto del piano di
Belgrado: ''E' sufficiente che a Washington e a Bruxelles si stia gia'
parlando di decentralizzazione'', ha affermato. Sono piaciute in Serbia
anche le dichiarazioni del segretario del Consiglio d'Europa Walter
Schwimmer, che ha attribuito ai politici kosovari parte della
responsabilita' delle violenze di marzo, ed e' piaciuta la
dichiarazione fatta alla Bbc dal sottosegretario agli esteri britannico
Denis MacShane, che ha detto di ''non voler sentir parlare di status
finale e indipendenza: l'unico status finale in Kosovo e' la morte''.
Crescono intanto i dubbi sulle cause scatenanti delle violenze che il
17 marzo scorso sono sfociate in una caccia ai serbi da parte dei
kosovari albanesi, con un bilancio di 28 morti e una trentina di
edifici ortodossi distrutti o danneggiati. Gli incidenti erano nati
quando si era diffusa la voce, amplificata dai mezzi di informazione
albanesi, che era da attribuirsi ad alcuni ragazzini serbi la morte di
tre bambini albanesi annegati nel fiume Ibar, che divide la citta' di
Kosovska Mitrovica. Il procuratore internazionale per il Kosovo Peter
Tinsley, incaricato di indagare sulla morte dei tre bambini, ha
concluso che ''nessuno puo' essere concretamente sospettato'' per la
vicenda e che non esistono prove a suffragio della versione albanese. I
disordini del 17 marzo hanno peraltro portato a un arresto, quello
dell'ex comandante dell'Uck (l'armata di liberazione albanese attiva
durante il conflitto del 1998-99) Sami Lushtaku, accusato di
incitamento alla violenza. Lushtaku era stato condannato in contumacia
a vent'anni di reclusione dai tribunali serbi per atti di terrorismo.
(ANSA). OT
29/04/2004 17:52

SERBIA: SEQUESTRATI NEL SUD INGENTI ARSENALI

(ANSA) - BELGRADO, 10 MAG - Le forze di polizia e l'esercito
serbomontenegrino hanno sequestrato nel sud della Serbia grossi
quantitativi di armi da combattimento. Lo ha detto il generale Mladen
Cirkovic, comandante del locale corpo d'armata, sottolineando che
''un'eventuale sorpresa tipo quella avvenuta in Kosovo il 17 e 18
marzo scorsi - quando violenze albanesi contro la comunita' serba
provocarono 28 morti, ndr - non ci coglierebbe impreparati''.
Fra le armi sequestrate, riferisce l'agenzia Fonet, risultano 14
mitragliatrici pesanti, 83 fucili, tre lanciamissili, due cannoni, 15
lanciarazzi, 33.000 munizioni di vario calibro, 22 bombe a mano e 52
chili di esplosivo. La Serbia del sud, abitata nella fascia a
ridosso del Kosovo e della Macedonia occidentale da una consistente
maggioranza albanese, era stata teatro negli anni scorsi di violenti
scontri fra estremisti albanesi e forze serbe. Attivi nella zona
erano stati un 'Esercito di liberazione di Presevo, Bujanovac e
Medvedja' (Ucpmb, dal nome dei principali centri locali) che
rivendicava l'unificazione con il 'Kosovo liberato', e, in tempi piu'
recenti, una sedicente 'Armata di liberazione albanese' (Ana) che si
era attribuita la paternita' di alcuni attentati terroristici.
(ANSA). OT
10/05/2004 19:18

KOSOVO: ARRESTATI EX GUERRIGLIERI UCK PER OMICIDIO ALBANESI

(ANSA) - PRISTINA, 24 MAG - Due ex appartenenti alla guerriglia
albanese (Uck) sono stati oggi arrestati nel Kosovo meridionale con
l'accusa di aver partecipato all'uccisione di altri civili albanesi
ritenuti ''collaboratori'' dei servizi di sicurezza serbi. I
fatti risalgono al periodo 1988-1999 quando in Kosovo l'Uck
combatteva contro con la presenza delle forze di Belgrado nella
provincia serba a maggioranza albanese. I due arrestati sono padre
e figlio uno dei quali oggi appartiene al corpo di protezione civile
(Tmk) costituito dalla missione delle Nazioni Unite sulle ceneri del
movimento armato. Secondo la polizia del Kosovo i due arresti di oggi,
avvenuti nel distretto di Prizren, seguono a quello di altri quattro
ex combattenti albanesi compiuto lo scorso mese di febbraio.
(ANSA). BLL 24/05/2004 16:25

---

KOSOVO: GERMANIA; BILD, FOTO TORTURE CON SOLDATI TEDESCHI

(ANSA) - BERLINO, 26 MAG - Fra i militari della KFOR, la Forza
multinazionale di pace in Kosovo, circolerebbero foto con presunte
immagini di torture ad opera di soldati tedeschi. A riferirlo nella
sua edizione di domani e' il quotidiano Bild, secondo cui il ministro
della difesa Peter Struck avrebbe ordinato immediatamente un'inchiesta
interna al contingente tedesco.
''Stiamo indagando seriamente su questo sospetto mostruoso'', ha detto
al giornale il portavoce del ministero Norbert Bicher, che ha
aggiunto: ''Stiamo cercando in tutti i modi di ottenere queste
presunte foto''. La Bild ha fornito una breve anticipazione alla
notizia di domani.
Lo stesso portavoce Bicher, in altre dichiarazioni all'agenzia Dpa, si
e' mostrato piu' scettico, affermando che finora non vi e' alcuna
prova dell'esistenza di tali foto. Nei giorni scorsi il ministro
Struck ha a piu' riprese sottolineato come sia impossibile immaginare
che i soldati tedeschi - per la formazione e l'addestramento che hanno
- possano abbandonarsi a torture e maltrattamenti al pari dei
militari americani in Iraq.
L'esperto difesa della Csu Christian Schmidt, anch'egli alla Bild di
domani, ha chiesto di fare luce al piu' presto su tali voci e sospetti.
All'inizio della missione militare in Kosovo nel 1999, i soldati
tedeschi, seppur per un breve periodo, ebbero l'incarico di
sorvegliare una prigione, prima che nella provincia separatista serba
arrivasse la missione dell'Onu (UNMIK). (ANSA). QN
26/05/2004 16:34

KOSOVO: GERMANIA, BILD NON POSSIEDE FOTO PRESUNTE TORTURE

(ANSA) - BERLINO, 26 MAG - La Bild, il quotidiano popolare tedesco che
nel suo numero di domani riferisce di presunte foto con scene di
tortura ad opera di soldati tedeschi in Kosovo, ha precisato di non
essere in possesso di tali foto. Interpellata al riguardo, la
redazione del giornale ha detto di aver semplicemente appreso di
un'inchiesta avviata dal ministero della difesa sulle voci riguardo
l'esistenza di foto con torture ad opera di soldati tedeschi in
Kosovo. E la notizia di domani si riferisce solo a questo - e' stato
sottolineato. Da parte sua il capo di stato maggiore dell'esercito
Hans- Otto Budde ha detto di non credere alla notizia delle foto con
torturatori tedeschi in Kosovo. ''Ritengo tutto cio' semplicemente
inventato'', ha detto, e ha aggiunto: ''Io credo nei miei soldati''.
(ANSA). QN 26/05/2004 17:50

( vedi anche:
Daily Says Torture Photos Involve German Soldiers in Kosovo
http://www.dw-world.de/english/0,,1432_A_1217612_1_A,00.html )

---

KOSOVO: UCCISO RAGAZZO SERBO, DUE ALBANESI ARRESTATI

(ANSA-REUTERS) - PRISTINA, 5 GIU - Un ragazzo serbo di 16 anni e' stato
ucciso oggi in Kosovo da colpi d'arma da fuoco sparati da un'auto in
corsa, e la polizia ha arrestato due albanesi. Lo ha annunciato un
portavoce dell'Onu. L'uccisione, avvenuta nella 'enclave' serba di
Gracanica, e' il primo incidente di rilievo dal marzo scorso, quando la
provincia aveva conosciuto le violenze piu' gravi in cinque anni di
amministrazione delle Nazioni Unite. Dopo l'attentato di stamani, si e'
radunata una folla di serbi, che ha bloccato la strada che collega il
capoluogo Pristina con la parte orientale del Kosovo. La stessa cosa
era avvenuta in marzo nella 'enclave' serba di Caglavica in seguito
all'uccisione di un serbo. (ANSA-REUTERS). DIG 05/06/2004 10:50

KOSOVO: UCCISO RAGAZZO SERBO, DUE ALBANESI ARRESTATI (2)

(ANSA-REUTERS-AFP) - PRISTINA, 5 GIU - ''Un ragazzo serbo di 16 anni e'
stato ucciso'', ha dichiarato il portavoce della polizia dell'Onu
Malcolm Ashby. ''Ci sono due albanesi del Kosovo in detenzione in
relazione a quest'incidente'', ha aggiunto. Il portavoce ha precisato
che da un veicolo sono stati sparati colpi d'arma da fuoco contro un
gruppo di serbi davanti a un 'Fast food'. Piu' tardi la polizia ha
fermato un veicolo sospetto, arrestando i due albanesi e sequestrando
armi. La strada che attraversa Gracanica - ha annunciato la polizia
dell'Onu - restera' chiusa fino a lunedi'. Alcuni testimoni hanno detto
alla polizia che i colpi sono stati sparati da un veicolo di colore
bianco, con targa contraffatta. Secondo l'agenzia serba Tanjug, la
vittima, Dmitrije Popovic, era in un ristorante con alcuni amici quando
e' stato colpito dal fuoco di armi automatiche proveniente dal veicolo,
che si e' poi allontanato a grande velocita'. Tre mesi fa, l'uccisione
di un serbo - e il successivo annegamento in un fiume di tre ragazzi
albanesi, di cui gli albanesi diedero la colpa ai serbi - innesco' una
serie di attentati, omicidi e violenze che causo' la morte di almeno 19
persone. Dal 17 al 19 marzo, 29 chiese e monasteri ortodossi serbi,
come pure 800 case circa, furono incendiate e distrutte. (ANSA-
REUTERS-AFP). DIG 05/06/2004 12:16

ALBANIA: ESTRADATO ESPONENTE POLITICO GUERRIGLIA

(ANSA) - TIRANA, 16 GIU - Il rappresentante politico di un movimento di
guerriglia albanese che spesso minaccia di scatenare nuove tensioni in
Macedonia, e' stato estradato ieri dalla Germania, dove era stato
arrestato lo scorso dicembre su segnalazione dell'Interpol di Tirana:
la notizia e' stata data oggi dal ministero degli Interni albanese.
L'uomo, Idajet Beqiri, capo del partito dell'Unita' nazionale
(formazione di estrema sinistra albanese), e' accusato dalla procura
generale di Tirana di ''incitamento all'odio etnico''.
Beqiri e' considerato segretario politico del Fronte per l' unione
nazionale albanese (Fbksh), movimento che teorizza la creazione della
''grande Albania'' e che e' il braccio politico della cosiddetta Armata
nazionale albanese (Aksh).
Al suo arrivo all'aeroporto di Tirana, Beqiri si e' inginocchiato a
baciare la terra.
L'Aksh ha rivendicato numerosi attentati avvenuti negli ultimi mesi in
Macedonia, ma finora sono mancate prove sulla sua esatta consistenza
''militare''. La missione delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik) ha
classificato l'Aksh come gruppo terrorista. Nei mesi scorsi un
tribunale di Tirana aveva liberato due altri esponenti dell'Aksh,
costretti poi a lasciare l'Albania perche' considerate persone non
grate. (ANSA).
BLL-COR 16/06/2004 17:09

---

KOSOVO: KFOR, QUATTRO SOLDATI FINLANDESI FERITI IN ATTACCO

(ANSA-AFP) - PRISTINA (SERBIA-MONTENEGRO), 11 LUG - Quattro soldati
finlandesi della Kfor, la forza di pace della Nato in Kosovo, sono
stati feriti in serata da un colpo d'arma da fuoco sparato da uno
sconosciuto nel centro della provincia della Serbia meridionale a
maggioranza albanese. Lo ha reso noto il portavoce della Kfor, Gerry
Cooney. Il portavoce ha precisato che i militari sono stati feriti
da un solo colpo sparato da un fucile da caccia durante una
pattuglia nei pressi di un villaggio vicino alla Lipljan, 30
chilometri ad est di Pristina, il capoluogo del Kosovo. ''Sei
persone sono state arrestate e ora stiamo cercando l'arma'', ha
aggiunto. E' il primo attacco di cui si ha notizia contro la Kfor,
che ha assunto il controllo della travagliata provincia nel giugno
1999 ed e' forte di 17.000 militari. (ANSA-AFP-REUTERS). PZ
11/07/2004 00:33

( vedi anche:
NATO peacekeepers shot at in Kosovo
http://english.aljazeera.net/NR/exeres/2826AFAD-E24B-48DF-9C67-
B815DA76249B.htm )

---

ALBANIA: SCONTRI FRA POLIZIA E ABITANTI VILLAGGIO, 6 FERITI

(ANSA) - TIRANA, 14 LUG - Nuovi scontri sono avvenuti oggi a Kukes
nell'Albania settentrionale al confine con il Kosovo, fra la polizia e
gli abitanti di un villaggio nei pressi del quale si sta costruendo un
aeroporto. Almeno sei persone sono state ferite. I contadini hanno
bloccato il cantiere da ormai 22 giorni rivendicando la proprieta' sul
terreno e chiedendo di essere ricompensati tutti dal governo. Oggi gli
abitanti della zona hanno impedito alla ditta che esegue i lavori di
fare entrare i macchinari sdraiandosi per terra. Per sbloccare la
situazione e' intervenuta la polizia locale e le unita' delle forze
speciali giunte a Kukes da altre citta'. Gli agenti hanno usato i
manganelli per disperdere la folla che ha risposto con lanci di sassi.
Negli scontri sei manifestanti sono stati feriti leggermente. La scorsa
settimana gli abitanti avevano sparato per almeno due ore in aria al
momento dell'intervento della polizia. Lo stato albanese da due anni ha
stanziato i fondi per ricompensare gli abitanti della zona. Ma delle
1.100 famiglie del villaggio, 40 di esse sono riuscite ad avere il
diritto di proprieta' su tutta la superficie e per questo vengono
accusati dal resto del villaggio di avere manipolato la documentazione.
(ANSA). COR 14/07/2004 15:10

KOSOVO: ELEZIONI, REGISTRATI 34 PARTITI PER LEGISLATIVE

(ANSA-AFP) - PRISTINA, 6 AGO - Trentaquattro formazioni politiche
sono state registrate per le elezioni legislative del 23 ottobre
prossimo in Kosovo, che la comunita' serba minaccia di boicottare
adducendo la mancanza delle condizioni di sicurezza. Lo si e' appreso
dalla commissione elettorale centrale. Alla data della chiusura
delle iscrizioni, martedi' scorso, per la comunita' serba,
minoritaria nella provincia rispetto all'etnia albanese, si erano
candidati solo due partiti minori. La principale coalizione serba,
Povratak, che ha 22 seggi su 120 nell'assemblea uscente del Kosovo,
non ha presentato la propria candidatura. A fine luglio, in
seguito a consultazioni con il neo- presidente serbo Boris Tadic e
con le formazioni politiche serbe della provincia, il primo ministro
serbo Vojislav Kostunica aveva ''sconsigliato ai serbi di partecipare
alle legislative''. Belgrado si oppone alla partecipazione dei
serbi alla consultazione a causa del rifiuto della Missione Onu in
Kosovo (Unmik) e del governo di Pristina di prendere in
considerazione un piano per la protezione della comunita' serba.
Per la prima volta, nella provincia della Serbia meridionale
amministrata dal 1999 dall'Onu l'organizzazione del voto e' sotto la
responsabilita' delle autorita' locali. Alle elezioni del 2002 vi era
stata la supervisione dell'Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa (Osce). (ANSA-AFP).
DIG 06/08/2004 01:56

KOSOVO: NUOVO GOVERNATORE ONU ASSUME INCARICO

(ANSA) - PRISTINA, 16 AGO - Ha assunto oggi ufficilamente l'incarico
a Pristina il nuovo governatore Onu del Kosovo, il diplomatico danese
Soren Jessen Petersen, subentrato al dimissionario Harri Kolkeri.
Petersen, che e' il quinto governatore della provincia da quando, nel
giugno del 1999, il Kosovo e' passato sotto l'amministrazione delle
Nazioni Unite, ha gia' incontrato il presidente Ibrahim Rugova e il
primo ministro Bajram Rexhepi, entrambi albanesi. ''Bisogna
risolvere il problema dello status della provincia, perche' da questo
dipende la stabilita' dell'intera regione balcanica'' ha dichiarato
il nuovo governatore. Il Kosovo e' formalmente parte della Serbia
ma gli albanesi rivendicano la sua indipendenza. Le Nazioni Unite
hanno indicato una lista di standard che la provincia deve
raggiungere, soprattutto nel campo della democrazia e dei diritti
umani, cosi' da avviare entro il 2005 il processo per definire il suo
status. La minoranza serba si oppone fermamente all'ipotesi
dell'indipendenza. Cosi' come Belgrado, che ha proposto nei mesi
scorsi una cantonizzazione della provincia, ipotesi finora contestata
dalla comunita' internazionale. Accanto ai difficili rapporti fra
serbi e albanesi, il nuovo governatore Onu dovra' da subito iniziare
ad occuparsi dell'organizzazione delle prossime elezioni politiche
previste per il 23 ottobre e che gran parte degli 800.000 serbi che
vivono in Kosovo minacciano di boicottare, cosi' come richiesto da
Belgrado. (ANSA). BLL 16/08/2004 16:45

KOSOVO: ESTREMISTI ALBANESI SI ARMANO, DICONO SERVIZI SERBI

(ANSA) - BELGRADO, 24 AGO - Gli estremisti albanesi del Kosovo
continuano a fare incetta di armi sul mercato nero e si preparano a
fomentare rivolte in settembre, secondo Dragomir Asanin, capo della
sezione antiterrorismo dei servizi segreti serbi. In una relazione alla
commissione parlamentare serba per il Kosovo, Asanin ha sottolineato
che gli estremisti organizzano anche campi mobili di addestramento:
''Abbiamo seri indizi sulla organizzazione di sommosse in settembre -
ha detto - che temiamo possano trasformarsi in qualcosa di piu'
radicale e distruttivo. Il verificarsi di un nuovo 17 marzo (data di un
pogrom antiserbo che ha provocato 28 morti e la distruzione di una
trentina di edifici religiosi ortodossi) dipende solo dalle intenzioni
degli estremisti''. Il capo dell'antiterrorismo serbo ha aggiunto che
nella provincia cresce il potere della criminalita' organizzata, che
usa i vecchi canali del traffico di droga e armi anche per raccogliere
il denaro necessario all'acquisto delle aziende in via di
privatizzazione. L'allarme di Asanin viene in vista delle elezioni
generali in Kosovo, fissate per ottobre, che Belgrado vorrebbe
boicottate dalla comunita' serba kosovara. Ieri sera il parlamento
serbo ha ribadito che non esistono condizioni di sicurezza per la
partecipazione al voto delle etnie non albanesi, e ha riproposto il
piano governativo per una divisione della provincia in cantoni
etnicamente omogenei. In controtendenza, il ministro della difesa serbo
Prvoslav Davinic ha affermato, dopo un colloquio con il comandante
della Kfor (la forza di pace internazionale) Holger Kammerhof, che il
numero di incidenti etnici e' fortemente diminuito in Kosovo, e che
''al momento la sicurezza delle popolazioni non albanesi e'
soddisfacente, molto migliorata grazie alle operazioni lanciate dalla
Kfor dopo marzo''. (ANSA). OT 24/08/2004 12:18

KOSOVO: A BELGRADO NOVO CAPO UNMIK

(ANSA) - BELGRADO, 30 AGO - Il nuovo capo dell'Amministrazione
dell'Onu per il Kosovo (Unmik) Soren Jessen Petersen e' arrivato a
Belgrado per prendere i primi contatti con la dirigenza serba e per
convincerla a incoraggiare la partecipazione della comunita' serba
kosovara alle elezioni politiche del 23 ottobre. Il governo del
premier Vojislav Kostunica aveva invitato nei giorni scorsi al
boicottaggio, sottolineando che le pessime condizioni di sicurezza
delle minoranze nel Kosovo non consentivano la partecipazione al voto
dei serbi. Jessen Peterson, che ha incontrato all'arrivo il
ministro degli esteri serbomontenegrino Vuk Draskovic, aveva
sottolienato nei giorni scorsi che la scelta del boicottaggio sarebbe
stata ''controproducente per gli stessi serbi'', e che era invece nel
loro interesse ''rimanere parte del futuro del Kosovo''. Secondo
la stampa serba, terreno di una possibile trattativa per la
partecipazione alle elezioni sara' l'accoglienza della comunita'
internazionale al piano del governo serbo per la
'decentralizzazione' della provincia, in pratica la sua divisione in
cantoni autonomi etnicamente omogenei. Lasciando Pristina, Jessen
Petersen ha detto che alcune parti di quel piano sono recepibili
dalla riforma dei governi locali disegnata dall'Unmik.
Incoraggiamenti erano venuti anche dal Gruppo di contatto per la ex
Jugoslavia (del quale fa parte anche l'Italia), una cui delegazione
e' attesa a Belgrado il 3 settembre. (ANSA). OT
30/08/2004 11:22

KOSOVO: PETERSEN A TIRANA, SERBI PARTECIPINO AL VOTO

(ANSA) - TIRANA, 7 SET - ''E' fondamentale che i serbi del Kosovo
partecipino alle elezioni politiche generali di ottobre, altrimenti
non saranno rappresentati nel dialogo sulla futura definizione dello
status della provincia'': lo ha detto oggi a Tirana il nuovo
governatore Onu del Kosovo, Soren Jessen Petersen, giunto per la
prima volta in visita in Albania dal suo insediamento. Petersen
ha incontrato il presidente albanese Alfredo Moisiu, il primo
ministro Fatos Nano e il ministro degli Esteri Kastriot Islami. Le
autorita' di Belgrado hanno fatto appello alla comunita' serba del
Kosovo di boicottare le elezioni generali fissate per il 23 ottobre,
in segno di protesta contro il rifiuto da parte della missione Onu
(Unmik) di accettare il piano di decentralizzazione amministrativa:
''Io non posso immaginare che loro prenderanno una decisione di
questo tipo - ha detto Petersen - numerosi Stati hanno iniziato a
fare pressioni sulla Serbia affinche' cambi posizione, e tali
pressioni hanno il nostro stesso obiettivo, che e' quello di
costruire un Kosovo multietnico''. Secondo Petersen ''boicottare
le elezioni produrrebbe solo danni ai serbi della provincia''. Il
governatore Onu si e' impegnato ad accelerare le procedure per il
raggiungimento degli standard democratici fissati dalle Nazioni
Unite, che costituiscono la condizione per avviare a partire dal 2005
i negoziati sullo status definitivo del Kosovo. Il presidente Alfred
Moisiu ha commentato che ''definire lo status della provincia e'
vitale perche' pacifica la regione e isola gli estremisti delle due
parti''. Domani e' intanto atteso a Tirana il presidente del
Kosovo, l'albanese Ibrahim Rugova, che si appresta a compiere la sua
prima visita in Albania dopo sette anni. Il leader moderato, per
ragioni mai chiarite, aveva finora respinto gli inviti di Tirana
rifiutandosi di mettere piede nel Paese anche dopo la fine della
guerra, conclusa nel giugno del 1999. Durante i negoziati di
Rambouillet che precedettero i bombardamenti della Nato, quando il
velivolo sul quale viaggiava la delegazione kosovara fece uno scalo
tecnico a Tirana, Rugova si rifiuto' persino di scendere
dall'aereo.(ANSA) BLL-COR 07/09/2004 18:05

KOSOVO: RUGOVA A TIRANA, USA E UE RICONOSCANO INDIPENDENZA

(ANSA) - TIRANA, 8 SET - ''Gli Stati Uniti e l'Unione europea
dovrebbero riconoscere direttamente l'indipendenza del Kosovo, che
per noi e' una questione esistenziale e non teorica'': lo ha detto a
Tirana Ibrahim Rugova, giunto in Albania per la sua prima visita dopo
sette anni. Il presidente del Kosovo ha incontrato il capo dello
Stato Alfred Moisiu e avra' colloqui con il primo ministro Fatos
Nano, con il leader dell'opposizione Sali Berisha e con il
pretendente al trono Leka Zogu. ''Noi chiediamo la riconoscenza
dell'indipendenza perche' solo questa calmera' la regione'' ha
aggiunto Rugova. In alternativa al riconoscimento diretto da parte di
Stati Uniti e Unione europea, il leader albanese ha suggerito ''un
forum internazionale allargato ai Paesi confinanti''. Rugova ha
poi esortato la minoranza serba a partecipare alle elezioni politiche
previste in Kosovo per ottobre: ''Se i serbi partecipassero al voto,
aumenterebbero il loro peso e la loro influenza'' nella provincia, ha
affermato Rugova, ricordando che attualmente i serbi controllano due
ministeri nel governo di Pristina e 20 seggi in parlamento.(ANSA)
BLL-COR 08/09/2004 20:26

KOSOVO: FERMATI DA MILITARI ITALIANI 12 CONTRABBANDIERI

(ANSA) - ROMA, 13 SET - Dodici contrabbandieri di legname sono stati
fermati in Kosovo dai militari italiani della task force 'Aquila', che
nei giorni scorsi hanno condotto insieme alle forze speciali del Kosovo
Police Service (KPS), una serie di operazioni nell'area a sud di
Djakovica e lungo il confine con l'Albania, nelle localita' di Babay
Boks e Kusari, proprio allo scopo di contrastare il contrabbando di
armi e di legna attraverso il confine.
L'attivita' congiunta - sottolinea una nota della Brigata
multinazionale sud-ovest, diffusa a Roma - e' risultata ''molto
proficua soprattutto per le forze speciali della polizia kosovara che,
soprattutto in ambiente notturno, hanno avuto modo di apprendere la
metodologia d'impiego e le tecniche dei militari italiani''.
Da oltre 5 anni il contingente italiano in Kosovo - composto oggi da
circa 2.800 uomini inquadrati nella Brigata Multinazionale Sud-Ovest,
agli ordini del generale Danilo Errico - svolge non solo attivita'
operative come pattuglie, check point, scorte e controllo dei confini,
ma anche interventi a carattere umanitario per favorire il dialogo
interetnico, la pacificazione e la ricostruzione della regione.
Anche in questo contesto, nei giorni scorsi, i militari dell'Italian
Cimic Team (il gruppo che si occupa della cooperazione
civile-militare), in collaborazione con il Sovrano Militare Ordine di
Malta, hanno consegnato ad una famiglia bisognosa della citta' di
Dakovica il materiale necessario alla realizzazione del tetto
dell'abitazione. E' solo il piu' recente di una serie di interventi
umanitari svolti dai militari italiani, che negli ultimi quattro mesi
hanno distribuito circa 200 colli contenenti generi alimentari,
indumenti, computer, arredi scolastici e giocattoli alla popolazione
locale. (ANSA).
SV 13-SET-04 15:03 NNNN 13/09/2004 15:47

KOSOVO: CARABINIERI SEQUESTRANO ARMI E MUNIZIONI

(ANSA) - ROMA, 13 SET - I carabinieri del contingente italiano in
Kosovo hanno sequestrato armi e munizioni in un deposito clandestino
nei pressi di Pec.
I militari dell'Arma - inquadrati nella Brigata Multinazionale
Sud-Ovest, agli ordini del generale Danilo Errico - hanno in
particolare recuperato 3 fucili mitragliatori kalashnikov, 89 cartucce
calibro 7.62 e 5 bombe a mano a deframmentazione modello 'F1'. Lo rende
noto un comunicato della Brigata multinazionale, diffuso a Roma.
I mitra sono stati consegnati al Comando Unimk (la missione delle
nazioni Unite in Kosovo) di Pec, mentre il munizionamento e' stato
preso in custodia da parte degli sminatori italiani che nei prossimi
giorni lo distruggeranno. (ANSA). SV 13-SET-04 15:13 NNNN 13/09/2004
16:04

SERBIA: CHIESA ORTODOSSA INVITA A BOICOTTARE VOTO IN KOSOVO

(ANSA) - BELGRADO, 1 OTT - La Chiesa ortodossa serba ha esortato oggi i
partiti politici in Serbia a non incoraggiare i serbi del Kosovo a
partecipare alle elezioni legislative del 23 ottobre fino a che non
avranno ottenuto delle garanzie per la loro sicurezza. Lo ha riferito
oggi l'agenzia Beta. Il Santo Sinodo ritiene che le autorita'
internazionali presenti nella provincia (Minuk, Kfor) non abbiano fatto
nulla per migliorare la situazione dei serbi e dei non-albanesi del
Kosovo. ''Niente di cio' che nel mondo civilizzato viene chiamato
diritto dell'uomo, diritti democratici e dei cittadini esiste per i
serbi del Kosovo'', ha dichiarato il Santo Sinodo, che e' il governo
della Chiesa ortodossa. Il 95% della popolazione della
Serbia-Montenegro appartiene alla fede ortodossa. Anche Belgrado, in
precedenza, aveva lanciato ai serbi kosovari lo stesso appello ad
astenersi. (ANSA). COR-SPD 01/10/2004 22:29

SERBIA: TADIC, INDIPENDENZA KOSOVO DISTRUGGEREBBE DEMOCRAZIA

(ANSA) - BRUXELLES, 6 OTT - Il Kosovo e' parte della Serbia e una
soluzione diversa da questa ''e' totalmente inaccettabile'',
''l'indipendenza del Kosovo distruggera' la democrazia in Serbia e
aumentera' il peso dei movimenti radicali''. E' quanto detto dal
presidente serbo Boris Tadic durante una conferenza stampa a
Bruxelles sulla situazione di Serbia e Montenegro in vista di una
possibile integrazione europea nel 2012. ''Il Kosovo e' un elemento
chiave di stabilizzazione della Serbia e di tutta l'Europa'', ha
continuato Tadic, ''la situazione della regione e' tragica'' a causa
di gruppi estremisti e radicali e per colpa di ''politici deboli''.
Nonostante cio', ha continuato Tadic, sottolineando l'importanza
della correttezza delle informazioni, ''in Vojvodina di recente non
sono state commesse atrocita' come e' stato detto, ma si e' trattato
solo di scontri''. I rapporti tra albanesi e serbi pero' sono
ancora molto tesi e per questo l'Europa deve accettare una
''decentralizzazione'': una divisione e una duplicazione delle
amministrazioni kosovare, visto che i serbi si rifiutano di avere a
che fare con gli albanesi. ''I serbi - ha sostenuto Tadic - non
vogliono entrare negli ospedali albanesi, come hanno fatto prima gli
albanesi con gli ospedali serbi'', il problema si estende ai comuni,
alle scuole e alle istituzioni in generale. Per questo bisogna
dividere gli istituti della regione: solo cosi', ha commentato il
presidente serbo, sara' possibile vivere in ''una societa'
multietnica'', ''cercando soluzioni valide per entrambe le parti''.
Tadic infine ha rinnovato l'appello di ieri per tutti i serbi che
vivono in Kosovo, invitandoli a votare alle elezioni locali,
sottolineando ''l'importanza della cooperazione'' tra i partiti
democratici contro i movimenti estremisti e radicali. (ANSA).
RED-VS 06/10/2004 18:17

KOSOVO: ELEZIONI, DIVERGENZE FRA PRESIDENTE E PREMIER SERBI

(ANSA) - BELGRADO, 7 OTT - Inciampa sul problema della partecipazione
serba alle elezioni legislative in Kosovo la coabitazione fra il
presidente serbo Boris Tadic e il premier Vojislav Kostunica.
Oggi Kostunica ha ribadito la sua posizione per il boicottaggio serbo
del voto in programma il 23 ottobre nella provincia, pur
sottolineando che ''a nessuno sara' impedito di votare, anche fuori
dai confini amministrativi kosovari se necessario'', mentre il
presidente Tadic ha rinnovato l'appello lanciato due giorni fa in
televisione per una partecipazione massiccia. Il premier ha
affermato che ''solo l'applicazione del piano del governo serbo per
il Kosovo (che prevedeva una sorta di cantonizzazione della provincia
in zone etnicamente omogenee, ndr) e il ritorno dei profughi avrebbero
dato le necessarie garanzie per il voto serbo''. Il presidente ha
invece sottolineato che ''il governo americano sta per esaminare una
iniziativa a favore del futuro riconoscimento di un Kosovo
indipendente, non possiamo combattere questa idea con la passivita',
dobbiamo opporci attivamente. Ecco perche' il voto e' un segnale
necessario''. Tadic ha poi definito la posizione del premier
''forse legittima, ma comunque pericolosa per gli interessi del
paese''. Kostunica ha detto di ritenere l'opposto, che votare non
vada incontro alle istanze serbe. Il premier, conservatore che
avalla l'etichetta di nazionalista, purche' accompagnata dal termine
'moderato', e' leader del Partito democratico serbo (Dss), fiero
avversario di quello, quasi omonimo, del riformista e
filo-occidentale Tadic (Partito democratico, Ds). Pur di tenere i
rivali fuori dall'esecutivo, Kostunica ha creato un governo di
minoranza con l'appoggio esterno del Partito socialista (Sps) che fu
di Slobodan Milosevic. Dall'elezione di Tadic a presidente, nel
giugno scorso, i due politici avevano comunque evitato scontri e
polemiche. La tregua e' stata rotta lunedi' dall'appello alla
nazione di Tadic (strumento peraltro inconsueto sulla scena politica
del paese), che oltre a invitare al voto i serbi del Kosovo, aveva
anche criticato l'ambiguita' dell'esecutivo sulla cooperazione con il
Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex
Jugoslavia. In Kosovo, la comunita' serba e' divisa: la
maggioranza, su posizioni piuttosto integraliste, opta per il
suggerimento di Kostunica. Ma fuori dalle enclavi etnicamente
omogenee, c'e' una attiva minoranza che vede necessaria la
coabitazione e ritiene il voto uno strumento atto a favorirla.
(ANSA). OT 07/10/2004 17:46

KOSOVO: ELEZIONI, MANIFESTAZIONE A BELGRADO PER BOICOTTAGGIO

(ANSA) - BELGRADO, 13 OTT - Alcune centinaia di dimostranti si sono
radunati oggi nel centro di Belgrado per protestare contro l'appello
al voto serbo nelle elezioni kosovare del 23 ottobre, rivolto nei
giorni scorsi alla nazione dal presidente Boris Tadic. I
manifestanti, che accusavano Tadic di ''tradimento'', hanno definito
l'eventuale voto ''una legittimazione alla creazione di un secondo
stato albanese nei Balcani e un avallo alla classe politica kosovara
albanese che ha per obiettivo la pulizia etnica della provincia''.
L'appello di Tadic ha suscitato malumore nel governo del premier
Vojislav Kostunica, conservatore e nazionalista seppur moderato. Il
premier, pur con toni piu' cauti, aveva ripreso l'appello della Chiesa
ortodossa serba al boicottaggio della consultazione, sostenendo che
poco era stato fatto per creare condizioni di sicurezza per la
minoranza serba della provincia. Nel marzo scorso, un pogrom anti
serbo scatenato da false notizie sull'uccisione di bambini albanesi
aveva provocato la morte di 19 persone, la distruzione di molte case
serbe e gravi danni a una trentina di edifici ortodossi, fra cui
alcuni di grande valore storico. Tadic, che oggi ha incontrato il
patriarca Pavle sulla questione, ha precisato nell'appello al voto che
i deputati serbi eletti avrebbero dovuto dimettersi se entro tre mesi
non si fossero create nelle enclavi serbe istituzioni autonome.
(ANSA). OT 13/10/2004 18:27