Informazione


Bracciano (RM), Mercoledì 30 novembre 2016
alle ore 17 presso l'Università Agraria – via Sant'Antonio 23

nell'ambito del convegno nazionale CESP – centro Studi sulla Scuola Pubblica – "Raccontami la Storia. Percorsi didattici per l'insegnamento della Storia"


DRUG   GOJKO

 

Monologo di    PIETRO BENEDETTI

Regia di   ELENA MOZZETTA

 

UNO SPETTACOLO PRODOTTO DAL CP ANPI VITERBO
TRATTO DAI RACCONTI DI NELLO MARIGNOLI, PARTIGIANO VITERBESE COMBATTENTE IN JUGOSLAVIA

 

 

 

Ideato da                                GIULIANO CALISTI E SILVIO ANTONINI
Testi teatrali                           PIETRO BENEDETTI
Consulenza letteraria                        ANTONELLO RICCI
Musiche                                 BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
Foto                                       DANIELE VITA

 

Davide Ghaleb editore

CSOA Valle Faul Viterbo

 

Drug Gojko narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di unartigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.

 

 

«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»

Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti

 

L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli daViterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato dellaRegia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara «locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.

 

La nostra pagina dedicata allo spettacolo DRUG GOJKO: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm
Profilo di Nello Marignoli, cui è ispirato lo spettacolo: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/marignoli.htm



(english / italiano)

L'ISIS che abbiamo foraggiato in Kosovo

1) 
2) Britain’s Collaboration with pro-Jihadist Forces in Kosovo


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Terrorismo, l’Isis ai jihadisti del Kosovo: “Dovete colpire subito l’Italia”
Le indicazioni per entrare nel nostro Paese

L’indicazione dal carcere di Rossano Calabro. Il Dap manda una nota all’antiterrorismo. L'ordine è passare dalla Bosnia per poi entrare da Trieste o attraverso la Svizzera. Allarme sul rientro dei foreign fighters dalle zone di guerra al nostro Paese

di Davide Milosa | 26 novembre 2016

La notizia è arrivata sul tavolo dell’antiterrorismo solo pochi giorni fa. Recita: “L’Isis ha dato mandato ai mujahed kosovari o comunque dell’area balcanica di colpire il territorio italiano”. Il “cifrato” ha subito messo in allarme gli esperti della sicurezza. L’appunto non proviene dai Paesi dell’area mediorientale, come già successo in passato, ma da casa nostra e in particolare dal circuito delle carceri. “Il dato è rilevante, da quando è scattata l’emergenza per possibili attacchi del Califfato è la prima volta che abbiamo una segnalazione così specifica”, spiega una fonte qualificata della nostra intelligence. Anche perché la casa di reclusione è quella di Rossano Calabro, uno dei due istituti, assieme a quello di Macomer in Sardegna, dove si trovano buona parte dei detenuti per terrorismo islamico. Qui la notte del 13 novembre 2015, a poche ore dal massacro del Bataclan, alcuni di loro inneggiarono “alla Francia liberata”.

Ma c’è di più: l’annotazione arriva direttamente dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Prosegue la fonte: “Ancora non sappiamo come sia filtrata. Se sia frutto di una intercettazione oppure di una confidenza fatta a qualche agente della polizia penitenziaria”. Ma non c’è solo questo. Stando all’informativa del Dap, gli ordini, arrivati dal dipartimento di Daesh per gli attacchi all’estero, spiegano chiaramente anche il tragitto che i mujahed devono seguire. L’indicazione è quella di passare dal Kosovo in territorio bosniaco, storicamente zona ad altissima densità di comunità salafite, per poi proseguire verso l’Italia, facendo tappa in Svizzera dove i controlli mirati alla minaccia jihadista lasciano ancora molto a desiderare, oppure entrando a Trieste. Nella città friulana, per molto tempo, sono stati di casa Nezirevic e Hasanagic, due imam radicali di origini bosniache. Cosa colpire resta, naturalmente, un’incognita. “Ma certo – ragiona l’antiterrorismo – il nord e parte del centro Italia rappresentano le aree dove maggiormente si concentrano le comunità originarie dei Balcani”. Vi sono, invece, indicazioni sui luoghi dove rifugiare dopo un possibile assalto. Il consiglio è quello di portarsi verso la Germania.

E che la notizia sia molto più che concreta, lo dimostra una recentissima nota riservata dei Servizi segreti nella quale si legge: “Le intensificate attività di proselitismo radicale nei Balcani presentano elevati profili di minaccia per l’Italia, in virtù della sua contiguità geografica e della presenza sul territorio nazionale di compagini originarie di quei paesi, che rimangono chiuse e autoreferenziali laddove i vincoli etnici risultano più forti della spinta all’integrazione”. In questo momento sono tre i luoghi su cui punta la lente dell’intelligence: da un lato la comunità di Monteroni d’Arbia in provincia di Siena, dall’altro alcune aree di Lecco e Cremona. In Toscana, l’enclave kosovara fa riferimento all’imam Seat Bajaraktar, il quale, secondo l’antiterrorismo, ricopre un ruolo di cerniera tra l’Italia e il Kosovo, in particolare con la cittadina di Restelica. Nel suo paese, l’imam ha incontrato importanti leader wahabiti come Bilal Bosnic, tra i più importanti reclutatori di foreign terrorist fighters (oggi in galera a Sarajevo) e come il giovanissimo Idriz Bilibani, altro profeta del jihad, kosovaro di Prizen, attualmente in libertà, dopo qualche anno di prigione. Di Bilibani ha parlato recentemente Rok Zavbi, il primo pentito dell’Isis in Italia. “E’ stato presso l’associazione El Iman di Lubiana a fare delle prediche molto dure contro l’Occidente”. Bilibani si ispira a un altro imam, Nusret Imamovic, passato da Al-Nusra allo Stato Islamico.

Situazione simile si osserva in provincia di Lecco, teatro di una delle ultime inchieste della procura di Milano che ha coinvolto personaggi di origine kosovara e marocchina. Qui nel comune di Barzago, nel 2015, una donna albanese, Berisha Valbona, è partita per la Siria portandosi via il figlio di sei anni. Sempre qui, gravitano personaggi radicali originari dei Balcani, considerati possibili reclutatori. Altro luogo centrale è Motta Baluffi (Cremona) dove vive una numerosa comunità kosovara. Qui nella cascina-moschea per molto tempo è stato di casa lo stesso Bosnic. “L’interiorizzazione dell’appello jihadista – scrive l’intelligence – è favorita da frequentazioni personali e da alcuni imam cui è riconosciuta una certa autorevolezza”. Un dato da non sottovalutare. Infine, il nuovo e concreto allarme in Italia si lega all’ultima emergenza segnalata da buona parte degli investigatori europei, compreso il direttore dell’Fbi James B. Comey Jr: il ritorno dei foreign terrorist fighters dalle zone di guerra. In Italia su 120 partiti ne sono già rientrati dodici.



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Paddy Ashdown arming the KLA terrorists in Kosovo in 1998 (Neba Bane, 31 mar 2014)
Paddy Ashdown arming the KLA terrorists in Kosovo - September 1998


Britain’s Collaboration with pro-Jihadist Forces in Kosovo

September 4, 2016

This is an edited extract from Secret Affairs: Britain’s Collusion with Radical Islam

Mark Curtis

In British mainstream commentary, the 1999 NATO bombing campaign against Slobodan Milosevic’s Yugoslavia is seen as a ‘humanitarian intervention’. Tony Blair still receives much praise for coming to the defence of the ethnic Albanians in Kosovo, whose plight was surely serious as they were subject to increasingly brutal abuses by the Yugoslav army towards the end of 1998 and early 1999. Yet the NATO bombing that began in March 1999 had the effect of deepening, not preventing, the humanitarian disaster that Milosevic’s forces inflicted on Kosovo. The bulk of the atrocities committed by Yugoslav forces took place after the NATO bombing campaign began. In fact, some NATO intelligence agencies, including Britain’s, knew in advance that any bombing might well precipitate the full-scale ‘ethnic cleansing’ which they used as the public pretext for conducting their campaign.

However, there is another critical aspect to this war that undermines its supposed ‘humanitarian’ motives, involving British collusion with the rebel Kosovo Liberation Army (KLA), which fought alongside al-Qaida militants and essentially acted as NATO’s ground forces in Kosovo. The big debate in government and mainstream media circles during the war was whether NATO should put troops on the ground or whether Yugoslav forces could be sufficiently pounded from the air to stop their atrocities in Kosovo. The British and American governments were reluctant to commit ground forces, mainly for fear of incurring high casualties and getting sucked into a more protracted conflict; instead they turned to finding local allies and used these forces as a tool in their foreign policy. It was in this context that Islamist militants, working alongside the British-supported KLA, essentially took on the role of Western proxies, carrying out some of the dirty work that NATO could not. This story is, as we have seen, by no means unfamiliar in the postwar world.

Much later, in October 2006, then Chancellor Gordon Brown said in a speech on ‘meeting the terrorist challenge’ to an audience at Chatham House: ‘The threat from al-Qaida did not begin on September 11th – indeed the attacks on the twin towers were being planned as the United States was taking action with Europe to protect Muslims in the former Yugoslavia.’ Brown was right; in fact, the British were providing military training to forces connected to the very people planning the 9/11 attacks.

The nature of the KLA

The Kosovo Liberation Army comprised ethnic Albanians committed to securing independence for Kosovo and promoting a ‘Greater Albania’ in the sub-region. Consisting of a mix of radicalised youths and students, professionals such as teachers and doctors, members of influential families and local rogues, it took to armed struggle and made its military debut in early 1996 by bombing camps housing Serbian refugees from the wars in Croatia and Bosnia and by attacking Yugoslav government officials and police stations. By mid-1998 the KLA controlled parts of Kosovo and had armed and organised around 30,000 fighters; it was thus a formidable force on the ground when, amidst a growing civil war, the Yugoslav army launched a brutal full-scale offensive in Kosovo in March 1999.

From its inception, the KLA also targeted Serbian and Albanian civilians, especially those considered collaborators with the authorities. The US and Britain clearly recognised it as a terrorist organisation. In February 1998, the Clinton administration’s special envoy to Kosovo, Robert Gelbard, described the KLA as ‘without any question a terrorist group’. British ministers were equally unequivocal. Foreign Secretary Robin Cook told parliament in March 1998: ‘We strongly condemn the use of violence for political objectives, including the terrorism of the self-styled Kosovo Liberation Army.’ Indeed, in November 1998, and again in January 1999, Cook said that ‘most of the killings’ in Kosovo recently had been carried out by the KLA, whose activities against ordinary Kosovars were only serving to ‘prolong their suffering’. Parliamentary statements by British ministers make clear that they continued to regard the KLA as a terrorist organisation right up to the beginning of the bombing campaign in March. The KLA was also widely known to be involved in heroin trafficking into Britain while MI6 was investigating its links to organised crime.

Moreover, the KLA had also developed connections to al-Qaida. Bin Laden reportedly visited Albania and established an operation there in 1994. In the years preceding the NATO bombing campaign, more al-Qaida militants moved into Kosovo to support the KLA, financed by sources in Saudi Arabia and the United Arab Emirates. By late 1998, the head of Albanian intelligence was saying that Bin Laden had sent units to fight in Kosovo while the media noted CIA and Albanian intelligence reports citing ‘mujahideen units from at least half a dozen Middle East countries streaming across the border into Kosovo from safe bases in Albania’.

US intelligence reports were also noting that al-Qaida was sending funds and militants to join the KLA, while numerous KLA fighters had trained in al-Qaida camps in Afghanistan and Albania. One of the ‘links’ between Bin Laden and the KLA identified by US intelligence was ‘a common staging area in Tropoje, Albania, a centre for Islamic terrorists.’ The KLA was helping hundreds of foreign fighters to cross from Albania into Kosovo, including ‘veterans of the militant group Islamic Jihad from Bosnia, Chechnya and Afghanistan’, carrying forged passports. One KLA unit was led by the brother of Ayman al-Zawahiri, Bin Laden’s right-hand man, according to a senior Interpol official later giving evidence to the US Congress. One Western military official was quoted as saying that the Islamist militants ‘were mercenaries who were not running the show in Kosovo, but were used by the KLA to do their dirty work.’

Asked in parliament in November 1998 about a media article stating that mujahideen fighters had been seen with KLA forces in Kosovo, Robin Cook stated: ‘I read that report with concern.’ His deputy, Foreign Office Minister Baroness Symons claimed, however, that the government had ‘no evidence’ that Bin Laden was funding the KLA. In March 1999, another Foreign Office minister, Tony Lloyd, told the House of Commons that the government was aware of media reports of contacts between Islamic terrorist groups and the KLA but ‘we have no evidence of systematic involvement’; the use of word ‘systematic’ was likely instructive, implying that the government did indeed have some knowledge.

The covert war

At some point in 1996 British intelligence, along with the US and Swiss services, made its first known contact with a senior KLA official in Albania, likely to have been Shaban Shala, a commander who would not only fight in Kosovo in 1999 but also inside Serbia in 2000. Formal contacts between the KLA and the US took place in July 1998 when Chris Hill, the US special envoy for Kosovo, met KLA officials; the following day a British diplomat also met KLA officials in their headquarters in the central Kosovan village of Klecka. The British government later claimed that ‘an initial meeting’ between an official in the British embassy in Belgrade and KLA leaders was held on 30 July 1998. If so, this came two days after Baroness Symons recognised in an answer to a parliamentary question that the KLA was a ‘terrorist’ organisation and that ‘it was clear’ that it had ‘procured significant quantities of arms in Albania’. By October, Robin Cook was making clear that Britain was opposed to the KLA’s political objective of forging a greater Albania: ‘There is no place on the international map for a greater Albania – any more than there is for a greater Serbia or a greater Croatia.’

Yet it was around this time that Britain started to train the forces it recognised as terrorists, whose political agenda it was opposed to and which had documented links to al-Qaida: a level of expediency that would have impressed British officials collaborating with the Muslim Brotherhood or Ayatollah Kashani in the 1950s, for example.

At some point in late 1998, the US Defence Intelligence Agency approached MI6 with the task of arming and training the KLA, the Scotsmannewspaper later reported. A senior British military source told the newspaper that: ‘MI6 then subcontracted the operation to two British security companies, who in turn approached a number of former members of the (22 SAS) regiment. Lists were then drawn up of weapons and equipment needed by the KLA.’ ‘While these covert operations were continuing,’ the paper noted, ‘serving members of 22 SAS regiment, mostly from the unit’s D squadron, were first deployed in Kosovo before the beginning of the bombing campaign in March.’

A few weeks into the bombing campaign, the Sunday Telegraph reported that KLA fighters were receiving SAS training at two camps near the Albanian capital Tirana, and at another near the Kosovan border, most likely near the town of Bajram Curri. This was the centre of the KLA’s military operations, where a series of training camps were dotted in the hills and from where arms were collected and distributed. Crucially, it was also where jihadist fighters had their ‘centre’ and common staging area with the KLA, as noted by the previous US intelligence reports. The British training involved instructing KLA officers in guerrilla tactics and weapons handling, demolition and ambush techniques, as well as conducting intelligence-gathering operations on Serbian positions. The whole covert operation was funded by the CIA while the German secret service, the Bundesnachrichtendienst (BND), provided weapons and training. The BND had been providing covert support and training to the KLA since the mid-1990s.

British ministers consistently denied any knowledge of the KLA’s sources of arms or training when asked in parliament. On 13 April, three weeks after the bombing campaign began, and just days before the Telegraphreported the British training, Tony Blair told parliament that ‘our position on training and arming the KLA remains as it has been – we are not in favour of doing so … We have no plans to change that.’ Sometimes ministers used revealing language. Baroness Symons stated on two occasions, in March and May 1999, that there was ‘no firm evidence’ and ‘no reliable information’ on the KLA’s sources of weapons and training – the use of the words ‘firm’ and ‘reliable’ being usual ways in which officials feign ignorance of issues they are perfectly aware of. One reason for secrecy was that such training was in violation of UN Security Council Resolution 1160, which forbade arming or training forces in all Yugoslavia.

James Bissett, a former Canadian ambassador to Yugoslavia and Albania, later noted that the US training of the KLA in 1998 involved ‘sending them back into Kosovo to assassinate Serbian mayors, ambush Serbian policemen and intimidate hesitant Kosovo Albanians.’ ‘The hope’, he wrote, ‘was that with Kosovo in flames NATO could intervene and in so doing, not only overthrow Milosevic the Serbian strongman, but, more importantly, provide the aging and increasingly irrelevant military organisation [NATO] with a reason for its continued existence.’ KLA leaders similarly explained that ‘any armed action we undertook would bring retaliation against civilians [by Serbian forces]’ and that ‘the more civilians were killed, the chances of intervention became bigger.’ It seems that the KLA’s escalation of ethnic tensions was an integral part of London and Washington’s strategy – a familiar theme of postwar covert action in relation to collusion with Islamist groups.

The KLA certainly proved useful to Anglo–American planners. Tony Blair stated a month into the bombing campaign that ‘the KLA is having greater success on the ground in Kosovo and indeed has retaken certain parts of it’. Described in media reports as NATO’s ‘eyes and ears’ on the ground in Kosovo, the KLA was using satellite telephones to provide NATO with details of Serbian targets. Some of this communications equipment had been secretly handed over to the KLA a week before the air strikes began by some US officers acting as ‘ceasefire monitors’ with the Organisation of Security and Cooperation in Europe (OSCE); they were in reality CIA agents. They also gave the KLA US military training manuals and field advice on fighting the Yugoslav army and police. It was reported that several KLA leaders had the mobile phone number of General Wesley Clark, the NATO commander. Robin Cook, meanwhile, held a joint press conference with KLA representatives at the end of March and was in direct telephone contact with its commander in Kosovo, Hashim Thaqi; the latter would in February 2008 go on to become the first prime minister of post-independence Kosovo.

By early April 1999, more than 500 Albanians living in Britain had volunteered to go to fight in Kosovo, according to KLA representatives in London, though who were likely exaggerating the numbers. Just as during the Bosnian War a few years earlier, Britain and the US allowed, and may have facilitated, British and other Muslims to travel to Kosovo volunteering for the jihad. Indian intelligence analysts B. Raman notes that Pakistani militants associated with the Harkat ul-Mujahideen (HUM) terrorist group who had fought in Bosnia were diverted to Kosovo by the CIA.

Following the 2005 London bombings, John Loftus, a former US Justice Department prosecutor and US intelligence officer, claimed that MI6 worked with the militant Islamist organisation al-Muhajiroun (The Emigrants) to send jihadists to Kosovo. Al-Muhajiroun was founded in Saudi Arabia in 1983 by Omar Bakri Mohammed, who in 1986 fled to Britain after Saudi Arabia banned the organisation, and set up its British branch in early 1986. By the mid-1990s Bakri was being described in the British media as the ‘head of the political wing of the International Islamic Front’, founded by Bin Laden in 1998, and openly supported Bin Laden’s calls for jihad; he told the media he was raising funds for the KLA and supporting their struggle in Kosovo. Loftus told a US television station that al-Muhajiroun leaders ‘all worked for British intelligence in Kosovo’ and that ‘British intelligence actually hired some al-Qaida guys to help defend Muslim rights in Albania and in Kosovo.’ He claimed the CIA was funding the operation while British intelligence ‘was doing the hiring and recruiting’. These claims were, Loftus said, based on an interview given by Bakri himself to al-Sharq al-Awsat, a London-based Arabic-language newspaper on 16 October 2001. However, despite extensive research, I have not been able to locate this interview on this or any other date; Bakri also denies (not surprisingly) ever working alongside British intelligence.

Loftus also claimed that one of the Britons recruited for Kosovo by al-Muhajiroun was Haroon Rashid Aswat, a British citizen of Indian origin who later became Abu Hamza’s assistant at the Finsbury Park Mosque, and who would later crop up in the investigations surrounding the 2005 London bombings. According to Loftus, Aswat was a ‘double agent’, working both for the British in Kosovo and after, and for al-Qaida. Soon after Loftus made the claim, a Times report on Aswat’s possible connections to the London bombings of July 2005 noted that questions were being asked about whether Aswat was a ‘useful source of information’ to British intelligence and noted that ‘senior Whitehall officials … deny “any knowledge” that he might be an agent of MI5 or MI6’ – a cautious formulation that can only add to suspicions.

One Briton who can be more definitively linked to the Kosovo camps was Omar Khan Sharif, who in 2003 would become notorious for his aborted attempt to blow himself up inside a Tel Aviv bar: he pulled out at the last minute, but his accomplice detonated a bomb, killing himself and three others. According to a BBC documentary, Sharif spent three weeks at a camp in Albania during the Kosovo jihad, but the film (predictably) failed to mention that covert British training was also taking place in Albania at the time. Sharif had attended al-Muhajiroun meetings in Britain and was an admirer of Abu Hamza, who became his mentor; he also met Mohamed Siddique Khan, the 7/7 bomber with whom he tried to recruit other jihadists in 2001.

US covert support of the KLA guerrillas did not stop when NATO’s Kosovo campaign was brought to an end in June 1999, or even with the fall of Milosevic in October 2000. After the Kosovo conflict, KLA forces launched new wars in southern Serbia and Macedonia to promote their aim of a greater Albania, both of which were initially supported by the US – but, not apparently, by Britain. The BBC reported in January 2001 that ‘Western special forces were still training’ the KLA as a result of decisions taken before the fall of Milosevic. Now the KLA was reported to have several hundred fighters in the 5-kilometre-deep military exclusion zone on the border between Kosovo and the rest of Serbia, and were fighting to promote the secession of certain municipalities from Serbia. Moreover, ‘certain NATO-led’ forces ‘were not preventing the guerrillas taking mortars and other weapons into the exclusion zone’, and guerrilla units had been able to hold military exercises there, despite the fact that NATO was patrolling the area. Other media reports noted that European officials were ‘furious that the Americans have allowed guerilla armies in its sector to train, smuggle arms and launch attacks across two international borders’, and that the CIA’s ‘bastard army’ had been allowed to ‘run riot’ in the region.

Of interest from the perspective of British foreign policy is that when, in March 2001, the guerillas began another war, this time across the other nearby border with Macedonia, it was led by several commanders previously trained by British forces for the Kosovo campaign. Now fighting under the banner of the National Liberation Army (NLA), formed in early 2001, two of the Kosovo-based commanders of this push into Macedonia had been instructed by the SAS and the Parachute Regiment at the camps near Bajram Curri in northern Albania in 1998 and 1999. One was organising the flow of arms and men into Macedonia, while the other was helping to coordinate the assault on the town of Tetevo in the north of the country. Another NLA commander, Gezim Ostremi, had been previously trained by the SAS to head the UN-sponsored Kosovo Protection Corps, which was meant to replace the KLA.

NLA forces were being called ‘terrorists’ by Foreign Secretary Robin Cook and ‘murderous thugs’ by NATO Secretary-General Lord Robertson, just as they had been before the March 1999 bombing campaign, when, as with the KLA, the British were  cooperating with them. The NLA’s ambushes and assassinations in Macedonia were little different from those perpetrated as the KLA. It also, initially at least, continued to be covertly supported by the US, which in one operation evacuated 400 NLA fighters when they became surrounded by Macedonian forces, and whose arms supplies helped the guerillas take control of nearly a third of Macedonia’s territory by August 2001; it was only after this that Washington, under pressure from its NATO allies, started to rein in its proxy force and throw its weight behind peace talks.

The following month, al-Qaida struck New York and Washington.

Full references are in the book version.


1 comment

jj

Even the so-called “ethnic cleansing”, once NATO started bombing, blamed on Serbs was mostly a big lie.
German reporter Franz Josef Hutsch, who was embedded with the KLA in 1998 and 1999, witnessed that it was the KLA ordering and organizing much of the purge of ethnic Albanians from Kosovo.
He said that the KLA had even drawn up a list of “priority towns” to be evacuated, several weeks before NATO bombing, but when they were anticipating it. And he says that indeed, those very towns were immediately evacuated once NATO started bombing.
Besides him, there was, Paul Watson, one of the only, if not the only U.S. reporters in Kosovo during the bombing. He says he was free and unrestricted to go anywhere he wanted and he never saw any violence by Serbs against Albanians. He did note people leaving from a mixed neighborhood in the greater Pristina area the day after NATO heavily bombed.
Between KLA planning, even prior to the bombing, to evacuate Albanian villages, and it carrying those out – as witnessed by the German reporter Franz Josef Hutsch, who testified at the ICTY on this, and the U.S. reporter noting people leaving areas after NATO heavily bombed, combined with the fact that it was the KLA-controlled territory/towns where the Albanians left the most, while it was the Serbian government controlled areas where they STAYED the most (and 1/2 the population of Albanians did stay) – well it points to NATO and the KLA collaborating to purge the Albanian population during the bombing for their own agenda.
Plus the 2 convoys of Albanians NATO bombed were those who were trying to go BACK to their homes, while the war was going on. NATO also bombed an Albanian encampment (sleeping out in the open at night) in Kosovo, and it was also people who were headed BACK to their homes.
NATO was sending a messaged NOT to go back while the air war was still on.
It was NATO and the western press which used the leaving/displaced Kosovo Albanians during the bombing to serve its own agenda and propaganda.
It was used to demonize the Serbs and justify NATO bombing.
Also, the KLA was known to control some of these displaced/refugees in camps and radicalize them. Probably incited them with hate and propaganda and generally encouraged them to burn Serbian homes when they returned.




La trasmissione di oggi di VOCE JUGOSLAVA è dedicata alla nostra festa – 29 Novembre, Giornata della Repubblica !


A tutti gli jugoslavi e le jugoslave e a tutte le amiche e gli amici della Jugoslavia auguriamo buona Giornata della Repubblica – 29 Novembre
Svim jugoslavenima, prijateljima i prijateljicama Jugoslavije čestitamo Dan Republike – 29 Novembar


Od utorka svake sedmice, na sajtu http://www.radiocittaperta.it(Podcast / Trasmissioni autogestite), slušajte novu emisiju 
Jugoslavenski glas
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Program 29.XI.2016. DAN REPUBLIKE Programma

* Datumi da se ne zaboravi:
– 29. Novembar – Dan Republike, praznik SFR Jugoslavije
28.-30. 11. 1943., održano u Jajcu Drugo zasjedanje AVNOJ-a, odlučeno je da se Jugoslavija izgradi na demokratskom federativnom principu ravnopravnih naroda.
Uoči 29. novembra 1990., CIA objavljuje u N.York Times-u: „Jugoslavija će se održati još 18 mjeseci. Nije rečeno da neće izbiti ratni sukobi. Za glavnog krivca bit će proglašen Slobodan Milošević“.
– U noći izmedju 30. 11. na 1.12.1971., Tito oštro reaguje na nacionalističke težnje vodjstva komunista Hrvatske.
– 1.12.1918, u Beogradu regent Aleksandar donio akt o ujedinjenju u Kraljevinu Srba, Hrvata i Slovenaca na osnovu zahtjeva delegacije iz Zagreba.
* Vijesti:
Umro je veliki revolucionar i komunist Fidel Kastro

* Le date da non dimenticare:
– 29 Novembre – Giornata della Repubblica – festa nazionale nella RFS di Jugoslavia
Dal 28 al 30 novembre 1943, a Jajce in Bosnia-Eezegovina, si svolge la II sessione del Consiglio Antifascista per la Liberazione del Popolo Jugoslavo (AVNOJ), nella quale si decide di fondare la Jugoslavia su basi federative e democratiche, quale comunità di popoli aventi pari diritti.
Alla vigilia del 29 novembre 1990, diversi quotidiani italiani riportano la notizia lanciata dal NYT, secondo cui "la CIA informa che la Jugoslavia esisterà ancora per 18 mesi. Non sono da escludersi scontri armati. Il principale responsabile sarà indicato Slobodan Milošević“. 
– Nella notte tra il 30. novembre e 1. dicembre 1971 Tito rende pubblica la sua dura critica nei confronti di alcuni esponenti del PC di Croazia per il loro nazionalismo.
– 1. dicembre 1918: a Belgrado il reggente Re Alessandro dichiara la formazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, su proposta di una delegazione di Zagabria.
* Notizie:
La morte del grande rivoluzionario e comunista Fidel Castro

In studio: Andrea


(italiano / castellano)


Hasta la victoria
In memoria di Fidel


1) Il carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milošević (1999)
2) Riflessioni di Fidel Castro sul Kosovo (2007)
3) Condannatemi, non importa, la Storia mi assolverà (Fidel Castro Ruz, 1953)


*** Chi volesse firmare il il registro delle condoglianze per il compagno Fidel Castro Ruz potrà farlo fino al quattro dicembre, presso l'Ambasciata cubana, in via Licinia 7 a Roma, a pochi metri da Viale Aventino ***


=== 1 === 

Alla nostra pagina sul CARTEGGIO CASTRO-MILOŠEVIĆ 
si vedano anche:

Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)
Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)


Dalla stessa pagina, di seguito si riportano testi 
- sulla lettera di Casto a Milosevic del 25 marzo 1999 (en castellano)
- la lettera di risposta di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999
- i messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e una nuova risposta. 

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Las guerras ilegales del imperio

Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”

Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:

“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU. [...]

“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos [...]

“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos. [...]

“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional. [...]

De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”

Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:

"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.

“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.

“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:

“Resistir, resistir y resistir".

“25 de marzo de 1999.”

Fidel Castro Ruz.

1º de octubre de 2007

 6:14 p.m.

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Lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999

Tratto da: RIFLESSIONI DEL COMANDANTE IN CAPO: LA RISPOSTA DI MILOSEVIC
di Fidel Castro Ruz - 2 ottobre 2007 - 5:32 p.m. (Fonte: Ambasciata delle Repubblica di Cuba, via email - Jugoinfo - Reflexiones del Comandante en Jefe)

Nelle sue "Riflessioni" datate lunedì 1 ottobre 2007Fidel Castro ha scritto di un messaggio di solidarietà da lui inviato a Milosevic il 25 marzo 1999, nel corso della aggressione della NATO contro il paese di cui Milosevic era il presidente.
Il 2 ottobre 2007, lo stesso Castro ha rivelato di aver ricevuto da Milosevic il seguente testo di risposta:

“Eccellentissimo Signor Presidente:

“Ho ricevuto il suo messaggio del 25 marzo 1999 con interesse e sincera gratitudine. La ringrazio per le sue decise parole d’appoggio e di stimolo alla Iugoslavia, e inoltre per la condanna all’aggressione della NATO espressa da Cuba e dai suoi rappresentanti durante le sedute delle Nazioni Unite. La Repubblica Federale dI Iugoslavia è sottoposta da parte degli  Stati Uniti e della NATO a un’aggressione, la più grande a livello mondiale dai tempi delle aggressioni di Hitler. È stato commesso un crimine non solo contro la Repubblica Federale di Iugoslavia quale Stato pacifico, sovrano e indipendente, bensì un’aggressione contro tutto ciò che nel mondo intero possiede un valore alle porte del XXI secolo: al sistema delle Nazioni Unite, al Movimento dei Paesi Non Allineati, alle fondamenta stesse della legalità, ai diritti umani e alla civiltà in generale. Mi sento orgoglioso di poterle comunicare che l’aggressione ha solamente reso più omogenea e ha rafforzato la determinazione dei popoli della Iugoslavia a resistere e a difendere la libertà, la sovranità e l’integrità territoriale. Le nostre forze armate e il popolo sono decisi e disposti ad assolvere il loro compito. Per questo per noi è benvenuta e, oltretutto, necessaria, la solidarietà e l’aiuto degli amici di tutto il mondo, nella maniera più ampia e forte possibile.
           
“Il comportamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo all’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslava rappresenta una sconfitta per le Nazioni Unite. È un segnale molto negativo e un monito importante per il mondo intero, specialmente per i paesi medi e piccoli, sebbene non lo sia solo per loro. Sono sicuro che Lei è informato di come la Repubblica Federale di Iugoslava e la Repubblica Serba si siano continuamente e sinceramente impegnate nel cercare una soluzione politica per il Kosovo e la Metohija sempre nell’interesse di tutte le comunità nazionali che vivono lì e che rispettano il nostro ordine costituzionale. La prego, signor Presidente, di far sì che l’amicizia di Cuba continui la sua azione in seno al Movimento al fine di convocare l’Ufficio di Coordinamento dei Non Allineati e che il gruppo d’amici condanni risolutamente l’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslavia. Sono altresì convinto che il Suo prestigio personale sarebbe di grande utilità per incoraggiare i paesi dell’America Centrale e del Sud e, più in generale, i paesi Non Allineati ad alzare la voce per esprimere una forte condanna di questa vandalica aggressione. Ancora una volta, nel ringraziare per la solidarietà e per l’appoggio alla Repubblica Federale di Iugoslavia, esprimo la speranza che rimarremo in stretto contatto. Voglia ricevere, signor Presidente, l’espressione del mio più profondo rispetto.
           
“Firmato Slobodan Milosevic” 

(30 marzo 1999)

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Fonte: Ambasciata di Cuba in Italia, Reflexiones del Comandante en Jefe

Testo della riflessione del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, dal titolo “IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA”, del 4 ottobre 2007.

IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA.


Il 2 aprile 1999 inviai a Milosevic, tramite la nostra Missione all’ONU, il secondo messaggio:

“Sarebbe consigliabile non processare i tre prigionieri nordamericani. L’opinione pubblica internazionale è molto sensibilizzata al riguardo e si creerebbe un forte movimento contro i serbi.”

Il 5 aprile 1999 gli trasmisi un terzo messaggio attraverso le nostre Missioni all’ONU ed in Iugoslavia: 

“Ci congratuliamo per la decisione presa, secondo quanto informano le agenzie di stampa, nei riguardi dei tre prigionieri. È molto intelligente e corretto aver promesso di trattarli bene e di liberarli quando cesseranno i bombardamenti. Ha annullato la manovra che gli Stati Uniti stavano realizzando per sensibilizzare contro la Serbia l’opinione pubblica interna, molto divisa nei riguardi dell’aggressione. Gli spietati bombardamenti contro obbiettivi civili e l’eroica resistenza del popolo serbo stanno provocando un impatto all’interno e fuori dell’Europa, anche in seno alla stessa NATO.”

Lo stesso 5 aprile 1999 riceviamo la risposta di Milosevic, per mezzo del suo ambasciatore all’ONU:

"Desidero estendere la mia gratitudine al Presidente ed al popolo della Repubblica di Cuba per la loro simpatia e per la solidarietà veso il nostro popolo ed il nostro paese, vittime dell’aggressione degli Stati Uniti e della NATO. 

“Spero che continueranno i suoi utilissimi sforzi con i capi di stato, in particolare con i leader dei paesi Non Allineati affinché comprendano l’estremo pericolo per le relazioni  internazionali nel loro insieme derivante dal precedente creato dall’aggressione degli Stati Uniti e della NATO contro la sovranità e l’indipendenza di un piccolo paese.  Desidero invitarla e chiederle di inviare un messaggio personale ai presidenti Mandela, Nujoma, Mugabe, Obasanjo, Rawlings e Vajpayee, per chiedere loro di condannare l’aggressione e, nel caso lo avessere già fatto, chiedere di riaffermare tale condanna affinché si continui a respingere l’aggressione allo scopo di mobilitare l’appoggio più ampio possibile dei Non Allineati alla Iugoslavia in questo momento tanto importante. Riceva i miei più sentiti e calorosi saluti. Per quanto riguarda i 3 militari nordamericani imprigionati, apprezzo molto  il suo amichevole suggerimento e desidero informarla che questi soldati penetrarono, abbondantemente armati, in profondità in territorio iugoslavo servendosi di alcuni  blindati. Sono in corso indagini sull’accaduto. Essi sono trattati in modo umano e serio.  Il suo suggerimento è stato capito e praticamente accettato.  Non abbiamo fretta di portare i soldati davanti alla giustizia. Non lo faremo ora.  Forse successivamente, o forse non lo faremo. Non lo faremo in fretta."

Fidel Castro Ruz
4 ottobre 2007
6:23 p.m.


=== 2 ===

Source: [JUGOINFO] 19 luglio 2007Reflexiones del Comandante en Jefe

FIDEL CASTRO SUL KOSOVO

Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.


http://www.adnki.com/index_2Level_English.php 
ADN Kronos International (Italy) - 12 giugno 2007

Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”

Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”                          

Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.” 

Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania. 
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!”  


http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D
Prensa Latina - 14 giugno 2007

Nuove riflessioni di Fidel Castro

Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush  per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo.  
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano: 

 “In cerca di affetto”

Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.   
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi. 
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri.                                                                                                                                                         In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.    
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema. 
Vivere per vedere! Vedere per credere! 
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia. 

Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento. 
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di  bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita: 

“ Mosca, 13 giugno 2007. La Russia accusa l’Occidente di tenere incontri segreti relativi all’indipendenza del Kosovo. Secondo un comunicato rilasciato dal Ministro Russo per gli Affari Esteri, la Russia ha censurato le nazioni Occidentali che mercoledì si sono adoperate in segreto e unilateralmente per preparare l’indipendenza del Kosovo. Il portavoce del Ministero, Mikhail Kamynin, con riferimento all’incontro delle potenze Occidentali tenutosi a Parigi martedì, in assenza del governo di Mosca, ha puntato l’indice contro i colloqui segreti che hanno indotto a sospettare che sia stato preparato unilateralmente uno scenario per la sovranità del Kosovo. Kamynin ha continuato: ‘Questo comportamento è intollerabile. La Russia non è stata invitata all’incontro e questo risulta incompatibile con le dichiarazioni che andavano nel senso di una soluzione, in apparenza, di accomodato.' ”


=== 3 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - cuba - 12-09-06 

Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà
 

Fidel Castro

 

 

Il seguente testo e' un estratto del testo di difesa pronunciato da Fidel Castro, avvocato di se' stesso, di fronte al Tribunale che lo processava con l'accusa di "attentato ai Poteri Costituzionali dello Stato e insurrezione"  per l'eroico assalto al Quartiere Moncada [1] dell'Esercito, effettuato il 26 luglio 1953, a seguito del quale venne arrestato insieme a molti altri compagni, la maggior parte dei quali fu poi giustiziata in carcere, dopo barbare e inenarrabili torture (tratto dall'edizione completa: La Historia me absolvera', Nuestra America Editorial [2], 2005, Buenos Aires, Argentina )... [a cura di Paolo Teobaldelli] 
 

 

Signori Giudici,

 

mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in tal difficili condizioni; mai contro un accusato sono state commesse un tal cumulo di irregolarita' schiaccianti. L'uno e l'altro sono in questo caso la stessa persona. Come avvocato, non ho potuto vedere il verbale ne' lo vedro' e, come accusato, da settantasei giorni sono chiuso in una cella solitaria, totalmente e assolutamente isolato, oltre tutte le prescrizioni umane e legali.

 

Chi sta parlando aborrisce con tutta la sua anima la vanita' puerile e non sono parte del suo animo ne' del suo temperamento qualsiasi posa da tribuno ne' sensazionalismi di nessun tipo. Se ho dovuto assumere la mia propria difesa davanti a questo tribunale e' per due motivi. Il primo perche' praticamente mi si privo' di essa completamente; il secondo perche' solo chi era stato ferito tanto profondamente e aveva visto tanto indifesa la patria e avvilita la giustizia, puo' parlare in una occasione come questa con parole che siano sangue del cuore e organi vitali della verita'. [...] 
Signori Giudici, quante pressioni si sono esercitate affinche' mi si spogliasse anche di questo diritto consacrato a Cuba da lunga tradizione. Il tribunale non pote' acconsentire a tali pretese perche' era gia' lasciare un accusato al colmo della mancanza di difesa. Questo accusato che sta esercitando ora questo diritto, per nessuna ragione al mondo omettera' di dire quello che deve dire. [...]
Vi ricordo che le vostre leggi di procedimento stabiliscono che il giudizio sara' "orale e pubblico"; senza dubbio, si e' impedito al popolo l'entrata a questa sessione. Solo hanno lasciato passare due avvocati e sei  giornalisti, nei periodici dei quali la censura non permettera' pubblicare una sola parola. Vedo che ho per unico pubblico, in sala e nei corridoi, circa cento tra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e amabile attenzione che mi state prestando! Che appaia di fronte a me tutto l'Esercito! Io so che un giorno ardera' dal desiderio di lavare la terribile macchia di vergogna e di sangue che le ambizioni di un gruppo di persone senza anima ha lanciato sopra le uniformi militari. [...]

 

Per ultimo devo dire che non si lascio' passare nella mia cella nessuno trattato di Diritto Penale. Solo posso disporre di questo minuscolo codice che mi ha prestato un avvocato, il valente difensore dei miei compagni: il Dott. Baudilio Castellanos. Allo stesso modo si proibi' che giungessero nelle mie mani i libri di Marti' [3]: sembra che la censura del carcere li considero' troppo sovversivi. O sara' forse perche' io dissi che Marti' era l'autore intellettuale del 26 luglio? [...]
Non importa in assoluto! Porto nel cuore le dottrine del Maestro [4] e nel pensiero le nobili idee di tutti gli uomini che hanno difeso la liberta' di tutti i popoli.
Solo una cosa chiedo al tribunale; spero che me la conceda, come compensazione di tanto eccesso e arbitrarieta' che ha dovuto soffrire questo accusato senza protezione alcuna delle leggi: che si rispetti il mio diritto ad esprimermi in piena liberta'. Senza di cio' non potrete soddisfare neanche la mera apparenza di giustizia e l'ultimo anello della catena sarebbe, piu' di nessun altro, di ignominia e codardia.

 

Confesso che qualcosa mi ha sorpreso. Pensavo che il Pubblico Ministero sarebbe venuto con una accusa terribile disposto a giustificare sino alla sazieta' le pretese e i motivi per i quali in nome del diritto e della giustizia - e di quale diritto e di quale giustizia? - mi si deve condannare a ventisei anni di prigione. Pero' no. Si e' limitato esclusivamente a leggere l'articolo 148 del Codice di Difesa Sociale, secondo il quale, piu' circostanze aggravanti, sollecita per me la rispettabile quantita' di ventisei anni di prigione. Due minuti mi sembrano molto poco tempo per chiedere e giustificare che un uomo passi al chiuso piu' di un quarto di secolo. E' forse per caso il Pubblico Ministero disgustato del Tribunale? [...] Comprendo che e' difficile, per un Pubblico Ministero che ha giurato fedelta' alla Costituzione della Repubblica, venire qui in nome di un governo incostituzionale, statuario, di nessuna legalita' e minor moralita', a chiedere che un giovane cubano, avvocato come lui, chissa' ... altrettanto decente come lui, sia inviato a ventisei anni di carcere. Pero' il Pubblico Ministero e' un uomo di talento e io ho visto persone, con meno talento di lui, scrivere lunghe arringhe [...]

 

Signori Giudici: perche' tanto interesse a che io taccia? [...] E' che manchi completamente la base giuridica, morale e politica per focalizzare seriamente la questione? E' che si teme tanto la verita'? E' che si desidera che anche io parli per due minuti e che non tocchi qui i punti che non lascia dormire a certa gente dal 26 luglio? [...] non accettero' mai questo bavaglio, perche' in questo giudizio si sta dibattendo qualcosa in piu' della semplice liberta' di un individuo: si discute di questioni fondamentali di principio, si dibatte delle basi stesse della nostra esistenza come nazione civilizzata e democratica. [...]
[...] il Pubblico Ministero non merita neanche un minuto di replica. [...] 
E' un principio elementare del Diritto Penale che il fatto imputato debba accordarsi esattamente al tipo di delitto prescritto dalla legge. Se non c'e' legge esattamente applicabile al punto controverso, non c'e' delitto.

 

L'articolo in questione dice testualmente: "Si imporra' una sanzione di privazione della liberta' da tre a dieci anni all'autore di un atto diretto a promuovere un sollevamento di gente armata contro i Poteri Costituzionali dello Stato. La sanzione sara' la privazione da cinque a dieci anni se si porta ad effetto l'insurrezione" In che paese sta vivendo il Pubblico Ministero? Chi le ha detto che noi abbiamo promosso un sollevamento contro i Poteri Costituzionali dello Stato? Due cose risaltano alla vista. In primo luogo, la dittatura che opprime la nazione non e' un potere costituzionale, ma semmai incostituzionale; nacque contro la Costituzione, oltre la Costituzione, violando la Costituzione legittima della Repubblica. La Costituzione legittima e' quella che emana direttamente dal popolo sovrano. [...] In secondo luogo, l'articolo parla di Poteri Costituzionali, vale a dire, al plurale, non al singolare, perche' considera il caso di una Repubblica retta da un Potere Legislativo, un Potere esecutivo e un Potere Giuridico che si equilibrano e si contrappesano uno con l'altro. Noi abbiamo promosso una ribellione contro un potere unico, illegittimo, che ha usurpato e riunito in uno solo i Poteri  Legislativo, Esecutivo e Giuridico della Nazione, distruggendo tutto il sistema che precisamente cercava di proteggere l'articolo del codice che stiamo analizzando. [...]
Vi avverto che vo a iniziare. Se nelle vostre anime resta ancora un pezzetto di amore per la patria, di amore per l'umanita', di amore per la giustizia, ascoltatemi con attenzione. So che mi si obblighera' al silenzio per molti anni; so che cercheranno di occultare la verita' con tutti i mezzi possibili; so che contro di me si alzera' la congiura dell'oblio. Pero' non per questo la mia voce si risparmiera' [...]

 

Ascoltai il dittatore il lunedi' 27 luglio [...] L'accumulo di menzogne e calunnie che pronuncio' nel suo linguaggio turpe, odioso e ripugnante, solo si puo' comparare con l'enorme quantita' di sangue giovane e limpido che dalla notte prima stava spargendo, con sua conoscenza, consenso, complicita' e plauso, la turba piu' crudele di assassini che possa mai concepirsi. [...]
E' necessario che mi occupi un po' del considerare i fatti. Si disse, da parte del governo stesso, che l'attacco fu realizzato con tanta precisione e perfezione che evidenziava la presenza di esperti militari nella elaborazione del piano. Niente di piu' assurdo. Il piano fu tracciato da un gruppo di giovani nessuno dei quali aveva esperienza militare; e rivelo i loro nomi, meno due di loro che non sono ne' morti ne' catturati: Abel Santamaria, Jose' Luis Tasende, Renato Guitart Rosell, Pedro Miret, Jesus Montane' e colui che parla. La meta' sono morti, e con giusto tributo alla loro memoria posso dire che non erano esperti militari, pero' avevano patriottismo sufficiente per dare, a parita' di condizioni, una sonora lezione a tutti quanti i generali del 10 marzo (allusione ai generali che appoggiarono il colpo di Stato di Fulgencio Batista il 10 marzo del 1952, N.d.T.) che non sono militari ne' patrioti. [...]

 

E' ugualmente certo che l'attacco si realizzo' con coordinazione magnifica. [...]
Abel Santamaria con ventuno uomini aveva occupato l'Ospedale Civile; con lui c'erano un medico e due nostre compagne per accudire i feriti. Raul Castro, con dieci uomini, occupo' il Palazzo di Giustizia; e a me tocco' attaccare l'accampamento con il resto, novantacinque uomini. Arrivai con un primo gruppo di quarantacinque, preceduto da un'avanguardia di otto  [...] Il gruppo di riserva, che era in possesso di quasi tutte le armi lunghe, dato che le corte andavano all'avanguardia, prese per una via sbagliata e si perse completamente in una citta' che non conoscevano. [...]
Si fecero sin dai primi momenti numerosi prigionieri, circa venti, e ci fu un momento in cui tre nostri uomini  [...] Ramiro Valdez, Jose Suarez e Jesus Montane', riuscirono ad entrare in una baracca e a detenere li' per un certo tempo circa cinquanta soldati. Questi prigionieri testimoniarono davanti al Tribunale, e tutti senza eccezione hanno riconosciuto che furono trattati con assoluto rispetto, senza dover soffrire neanche una parola di insulto. [...] 

 

La disciplina da parte dell'Esercito fu abbastanza scarsa. Vinsero alla fine per il numero, che dava loro una superiorita' di 15 ad uno, e per la protezione  che loro forniva la difesa della fortezza. [...]
Quando mi convinsi che tutti i nostri sforzi per prendere la fortezza erano gia' vani, cominciai a ritirare i nostri uomini a gruppi di otto e dieci. La ritirata fu protetta da sei cecchini che al comando di Pedro Miret e di Fidel Labrador, bloccarono eroicamente il passo all'Esercito. Le nostre perdite nella lotta erano state insignificanti. Il gruppo dell'Ospedale Civile non ebbe piu' di una vittima; il resto fu vinto dal situarsi delle truppe dell'esercito di fronte all'unica uscita dell'edificio, e soltanto deposero le armi quando non rimaneva loro piu' neanche un proiettile. Con loro stava Abel Santamaria, il piu' generoso, amato ed intrepido dei nostri giovani, la cui gloriosa resistenza lo rende immortale davanti alla storia di Cuba. Vedremo la sorte che loro tocco' e come desidero' sradicare Batista la ribellione e l'eroismo della nostra gioventu'.

 

I nostri piani erano di proseguire la lotta sulle montagne in caso di insuccesso dell'attacco al reggimento. Potei riunire un'altra volta, a Siboney, un terzo delle nostre forze; pero molti si erano gia' persi d'animo. Una ventina decisero di consegnarsi; gia' vedremo che cosa fu di loro. Il resto, diciotto uomini, con le armi e l'attrezzatura che rimanevano, mi seguirono sulle montagne. Il terreno era a noi perfettamente sconosciuto. Durante una settimana occupammo la parte alta della Cordigliera della Grande Pietra e l'Esercito occupo' la base. Ne' noialtri potevamo scendere ne' loro si decisero a salire. Non furono, dunque, le armi; furono la fame e la sete che vinsero l'ultima resistenza. Dovetti distribuire gli uomini in piccoli gruppi: alcuni riuscirono a filtrare attraverso le linee dell'esercito, altri  furono consegnati da monsignor Perez Serantes. Quando solo restavano con me due compagni: Jose Suarez e Oscar Alcalde, tutti e tre totalmente stremati, all'alba di sabato 1° di agosto, una forza al comando del tenente Sarria ci sorprese dormendo. Gia' la mattanza dei prigionieri era cessata in seguito alla tremenda reazione che provoco' nella cittadinanza, e questo ufficiale, uomo di onore, impedi' che alcuni assassini ci uccidessero  [...]

 

Si e' ripetuto con molta enfasi da parte del governo che il popolo non assecondo' il movimento. mai avevo udito una affermazione tanto ingenua e, al tempo stesso, tanto piena di malafede. Pretendono evidenziare con cio' la sottomissione e codardia del popolo  [...] Se il Moncada fosse caduto in mano nostra persino le donne di Santiago di Cuba avrebbero impugnato le armi!
Molti fucili furono caricati ai combattenti dalle infermiere dell'Ospedale Civile! Anch'esse combatterono. Questo non lo dimenticheremo mai. [...]
Il Pubblico Ministero era molto interessato a conoscere le nostre possibilita' di successo. Queste possibilita' si basano su ragioni di ordine tecnico-militare e di ordine sociale. 
Si e' desiderato instaurare il mito delle armi moderne come certezza della totale impossibilita' della lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia. Le sfilate militari, le grandi parate di materiale bellico, hanno per obiettivo il fomentare questo mito e creare nella cittadinanza un complesso di assoluta impotenza. Nessun arma, nessuna forza e' capace di vincere a un popolo che si decide a lottare per i propri diritti. Gli esempi storici passati e presenti sono incontestabili. E' ben recente il caso della Bolivia, dove i minatori, con cartucce di dinamite, sconfissero e distrussero a reggimenti dell'esercito regolare. 

 

Pero noi cubani non dobbiamo cercare esempi in altri paesi, perche' nessuno e' tanto eloquente come quello della nostra patria. Durante la guerra del 1895 c'erano a Cuba circa mezzo milione di soldati spagnoli in armi [...] I cubani non disponevano in generale di altra arma che il machete, perche' le sue cartucciere erano quasi sempre vuote. C'e' un passaggio indimenticabile della nostra guerra di indipendenza narrato dal generale Miro' Argenter [...] " la gente  [...] in maggior parte provvista di solo machete, fu decimata [...] Attaccarono agli spagnoli con i pugni, senza pistola [...]"
Cosi' lottano i popoli quando desiderano conquistare la propria liberta': tirano pietre agli aerei e deviano i carri armati a morsi! [...]
Dissi che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilita' di riuscita era di ordine sociale. Perche' avevamo la sicurezza di contare sul popolo? Quando parliamo di popolo non intendiamo i settori concilianti e conservatori della nazione, a quelli per cui va bene qualsiasi regime di oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, prostrandosi dinanzi al reggente di turno sino a rompersi la fronte contro il pavimento.
Intendiamo per popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta, quella a cui tutti offrono e quella che tutti ingannano e tradiscono, quella che anela una patria migliore, piu' degna, piu' giusta [...]

 

Noi chiamiamo popolo se di lotta si tratta, ai seicentomila cubani che stanno senza lavoro desiderosi di guadagnarsi il pane con onore senza dover emigrare dalla propria patria in cerca di sostentamento; ai cinquecentomila operai stagionali della campagna che abitano in baracche miserabili, che lavorano quattro mesi e soffrono la fame per il resto dell'anno dividendo con i propri figli la miseria, che non hanno un fazzoletto di terra per seminare e la cui esistenza dovrebbe muovere a piu' compassione se non ci fossero tanti cuori di pietra; ai quattrocentomila operai industriali e braccianti le cui pensioni, tutte, sono rapinate, [...] la cui vita e' il lavoro perenne e il cui riposo e' la tomba; ai centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non e' loro, contemplandola sempre tristemente come Mose' alla terra promessa, per poi morire senza mai giungere a possederla, che devono pagare per i fazzoletti di terra come servi feudali una parte dei propri prodotti, che non possono amarla, ne' migliorarla, ne' abbellirla, o piantare un cedro o un arancio perche' non sanno se un giorno verra' un funzionario a dirgli che deve andarsene; ai trentamila maestri e professori tanto pieni di abnegazione, di sacrifici e necessari al destino migliore delle future generazioni e che tanto male li si tratta e paga; ai ventimila piccoli commercianti appesantiti dai debiti, rovinati dalle crisi e ammazzati dalla piaga di funzionari filibustieri e venali; ai diecimila giovani professionisti: medici, ingegneri, avvocati, veterinari, pedagoghi, dentisti, farmaceutici, giornalisti, pittori, scultori, ecc., che escono dalle aule con i propri titoli desiderosi di lotta e pieni di speranza per trovarsi poi in un vicolo senza uscita, tutte le porte chiuse, sorde alle suppliche e al clamore. Questo e' il popolo! Quello che soffre tutte le sue disgrazie ed e' pertanto capace di combattere con tutto il coraggio! A questo popolo il cui cammino di angustia e' lastricato di inganni e false promesse, non andavamo a dire: "Ti daremo" ma semmai: "Ecco prendi, lotta ora con tutte le tue forze perche' siano tue la liberta' e la felicita'!". [...]

 

Cuba potrebbe albergare splendidamente una popolazione tre volte maggiore; non ci sono dunque ragioni perche' esista la miseria  fra i suoi attuali abitanti. [...]
A quelli che mi chiamano per questa convinzione sognatore, io rispondo con le parole di Marti': "Il vero uomo non guarda da che lato si vive meglio, ma da che lato sta il dovere; e questo e' l'unico uomo pratico il cui sogno di oggi sara' la legge del domani, perche' colui che ha posto gli occhi agli organi vitali universali e visto ribollire i popoli, tra lamenti e sangue, nella conca dei secoli, egli sa che il divenire, senza nessuna eccezione, sta dal lato del dovere".
Unicamente inspirati a tali elevati propositi e' possibile concepire l'eroismo di quelli che caddero a Santiago di Cuba. Gli scarsi mezzi materiali, sui quali dovemmo contare, impedirono il sicuro successo. [...]

 

I politici spendono nelle loro campagne milioni comprando coscienze, e un pugno di cubani che desiderarono salvare l'onore della patria dovette affrontare la morte con le mani vuote per carenza di risorse. Cio' spiega da chi e' stato governato il paese sino ad ora, non da uomini generosi e fedeli, ma dal bassofondo della politicheria [...] Con maggior orgoglio che mai dico che conseguente ai nostri principi, nessun politico di ieri ci ha visti bussare alla sua porta chiedendo un centesimo, che i nostri mezzi furono messi insieme con esempio di sacrificio che non ha paragoni, come quello del giovane Elpidio Sosa che vendette la sua attrezzatura e si presento' da me un giorno con trecento pesos "per la causa; Fernando Chenard, che vendette la apparecchiatura del studio fotografico con il quale si guadagnava da vivere; Pedro Marrero che impegno' il suo stipendio di molti mesi e al quale fu necessario impedire che vendesse persino i mobili della sua casa; Oscar Alcalde, che vendette il suo laboratorio di prodotti farmaceutici; Jesus Montane', che consegno' il denaro che aveva risparmiato per piu' di cinque anni, e cosi' nello stesso stile molti altri, spogliandosi ognuno di quel poco che aveva. 

 

Bisogna avere una fede molto grande nella propria patria per agire cosi', e questi ricordi di idealismo mi portano direttamente al capitolo piu' amaro di questa difesa: il prezzo che fu fatto loro pagare dalla tirannia per il desiderio di liberare Cuba dalla oppressione e dalla ingiustizia. [...]
I fatti sono ancora recenti, pero' quando gli anni passeranno e il cielo della patria si schiarira', quando gli animi esaltati si quieteranno e la paura non turbera' piu' gli spiriti, si iniziera' allora a vedere in tutta la sua spaventosa realta' la magnitudine del massacro, e le generazioni future rivolgeranno terrorizzate gli occhi a questo atto di barbarie senza precedenti nella nostra storia. Pero' non desidero che l'ira mi accechi, perche' ho bisogno di tutta la chiarezza della mia mente e la serenita' del cuore distrutto per esporre i fatti cosi' come occorsero, con tutta semplicita', senza drammatismi, perche' sento vergogna come cubano, che alcuni uomini senza anima, con i suoi crimini inqualificabili, abbiano disonorato la nostra patria dinanzi al mondo.
Non fu mai il tiranno Batista un uomo di scrupoli che tentenna prima di dire al popolo la piu' fantastica menzogna. [...]

 

Le cose che affermo' il dittatore dal poligono dell'accampamento di Columbia, sarebbero degne di risa se non fossero cosi' impappate di sangue. Disse che gli attaccanti erano un gruppo di mercenari tra i quali c'erano molti stranieri; [...] disse che l'attacco era stato ideato dall'ex-presidente Prio e con suo denaro, e si e' provato sino alla sazieta' l'assenza assoluta di ogni relazione tra questo movimento e il regime passato; disse che eravamo armati di mitragliatrici e granate a mano, e qui i tecnici dell'Esercito hanno dichiarato che avevamo solo una mitragliatrice e nessuna granata a mano; disse che avevamo sgozzato la postazione di guardia, e qui sono apparsi a verbale i certificati di morte e i certificati medici corrispondenti a tutti i soldati morti o feriti, dai quali, risulta che nessuno presentava lesioni di arma bianca. [...]
Quando un capo di stato o chi pretende esserlo fa dichiarazioni al paese, non parla per parlare: alberga sempre qualche obiettivo, persegue sempre un effetto, lo anima sempre una intenzione. Se eravamo gia' stati militarmente vinti, se gia' non rappresentavamo piu' un pericolo per la dittatura, perche' ci si calunniava in questo modo? Se non e' chiaro che era un discorso sanguinario, se non e' evidente che si pretendeva giustificare i crimini che si stavano commettendo dalla notte prima e che si andavano a commettere dopo, che parlino per me i numeri: il 27 luglio, nel suo discorso dal poligono militare, Batista disse che gli attaccanti avevano avuto trentadue morti; alla fine della settimana i morti salivano a piu' di ottanta. In quale battaglia, in quali luoghi, in quali combattimenti morirono questi giovani? Prima che parlasse Batista si erano assassinati piu' di venticinque prigionieri; dopo che parlo' se ne assassinarono cinquanta.

 

Che grande senso dell'onore quello di quei militari modesti, tecnici e professionisti dell'Esercito, che al comparire dinanzi al tribunale non deformarono i fatti, e relazionarono attenendosi alla stretta verita'. Questi si che sono militari che onorano l'uniforme, questi si che sono uomini! Ne' il militare ne' l'uomo vero e' capace di macchiare la sua vita con la menzogna o il crimine. Io so che sono terribilmente indignati con i barbari omicidi che si commisero, io so che sentono con ripugnanza e vergogna l'odore di sangue omicida che impregna sino all'ultima pietra il Quartiere Moncada.
Esorto il dittatore a ripetere ora, se puo', le sue vili calunnie contro le testimonianze di questi onorevoli militari, lo esorto a che giustifichi davanti al popolo di Cuba il suo discorso del 27 luglio, che non taccia, che parli! Che dica se la Croce d'Onore che pose nel petto agli eroi del massacro era per premiare i crimini ripugnanti che si commisero; che assuma sin da ora la responsabilita' davanti alla storia e non pretenda di dire poi che furono i soldati senza suoi ordini, che spieghi alla nazione i settanta omicidi; fu molto il sangue! La nazione ha bisogno di una spiegazione, la nazione lo domanda, la nazione lo esige. [...]

 

Non si ammazzo' durante un minuto, un'ora o un giorno intero, ma una intera settimana, i colpi, le torture, [...] non cessarono un istante come strumento di sterminio maneggiato da perfetti artigiani del crimine. Il Quartiere Moncada si converti' in un laboratorio di tortura e morte, e alcuni uomini indegni convertirono l'uniforme militare in pannelle da macellai. I muri si incrostarono di sangue; nella parete le pallottole restarono incrostate con frammenti di pelle e capelli umani [...]
Le mani criminali che reggono il destino di Cuba avevano scritto per i prigionieri all'entrata di quell'antro di morte, la scritta dell'inferno: "LASCIATE OGNI SPERANZA". [...]
Conosco molti dettagli di come si realizzarono questi crimini, per bocca di alcuni militari che pieni di vergogna, mi riferirono le scene di cui erano stati testimoni. [...]
Il primo prigioniero assassinato fu il nostro medico Mario Muñoz, che non portava armi ne' uniforme e vestiva il suo camice di medico, un uomo generoso e competente che aveva prestato cura con la stessa devozione tanto all'avversario quanto all'amico ferito. Nel cammino dall'Ospedale Civile al Quartiere gli spararono un colpo alla schiena e lo lasciarono li' con la bocca rivolta in basso in una pozza di sangue. Pero' la mattanza di prigionieri non comincio' sino alle tre del pomeriggio. Fino a questa ora si aspettarono ordini. Arrivo' dunque dall'Avana il generale Martin Diaz Tamayo, il quale porto' istruzioni concrete uscite da una riunione dove si trovavano Batista, il capo dell'Esercito, il capo del SIM (Servizio di Intelligence Militare, N.d.T) e altri. Disse che "era stata una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento tre volte piu' vittime degli attaccanti e che si dovevano uccidere dieci prigionieri per ogni soldato morto" Questo fu l'ordine! [...]

 

Quello di cui questi uomini avevano bisogno era precisamente questo ordine. Nelle loro mani peri' il meglio di Cuba: i piu' valorosi, i piu' onorati, i piu' idealisti. Il tiranno li chiamo' mercenari, e li' essi stavano morendo come eroi in mano di uomini che ricevono uno stipendio dalla Repubblica e i quali con le armi che essa ha dato loro perche' la difendano, servono piuttosto gli interessi di un manipolo e assassinano i migliori cittadini. 
Per mezzo della tortura offrivano loro la vita se tradendo la propria posizione ideologica si prestavano a dichiarare falsamente che Prio [6] aveva dato loro il denaro, e come essi rifiutavano indignati la proposta, continuavano torturandoli orribilmente. [...]
Le fotografie non mentono e quei cadaveri appaiono distrutti. [...]
Questo lo fecero per molti giorni e assai pochi prigionieri di quelli che erano detenuti sopravvissero. [...]

 

Signori Giudici, dove stanno i nostri compagni detenuti nei giorni 26, 27, 28 e 29 luglio che si sa erano settanta nella zona di Santiago di Cuba? Solamente tre e le due ragazze sono ricomparsi; [...]
Dove stanno i nostri compagni feriti? Solo cinque sono comparsi; i restanti furono ugualmente assassinati. Qui, al contrario, hanno sfilato venti militari che furono nostri prigionieri e che secondo le loro stesse parole non ricevettero neanche una offesa. Qui hanno sfilato trenta feriti dell'Esercito, molti di loro in combattimenti sulla strada, e nessuno di essi fu giustiziato. Se l'Esercito ebbe diciannove morti e trenta feriti, com'e' possibile che noi abbiamo avuto ottanta morti e cinque feriti? [...]

 

Come puo' spiegarsi la favolosa proporzione di sedici morti per un ferito, se non giustiziando i feriti nell'ospedale stesso e assassinando poi gli indifesi prigionieri? Questi numeri parlano senza possibile replica. "E' una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento un numero di vittime tre volte superiore agli attaccanti; bisogna ammazzare dieci prigionieri per ogni soldato morto ..." Questo e' il concetto che hanno dell'onore i caporali divenuti generali il 10 di marzo [7], e questo e' l'onore che desiderano imporre all'Esercito nazionale. Onore falso, onore di apparenza che si basa sulla menzogna, la ipocrisia e il crimine; assassini che plasmano con il sangue una maschera di onore. Chi disse loro che morire combattendo e' un disonore? Chi disse loro che l'onore di un Esercito consiste nell'assassinare feriti e prigionieri di guerra? In guerra gli eserciti che assassinano i prigionieri si sono sempre guadagnati il disprezzo e l'esecrazione del mondo. [...]
Il militare di onore non assassina il prigioniero indifeso dopo il combattimento, ma lo rispetta; non giustizia il ferito, ma lo aiuta; impedisce il crimine e se non puo' impedirlo fa come quel capitano spagnolo che sentendo gli spari con cui si fucilavano gli studenti ruppe indignato la sua spada e rinuncio' di continuare a servire quell'esercito. [...]

 

Per i miei compagni morti non chiedo vendetta. Dato che le loro vite non avevano prezzo, non potrebbero pagarla con la loro tutti i criminali messi insieme. Non e' con il sangue che si puo' pagare la vita dei giovani che morirono per il bene di un popolo; la felicita' di questo popolo e' l'unico prezzo degno che si puo' pagare per quelle vite.
In piu' i miei compagni non sono dimenticati, ne' morti; vivono oggi piu' che mai e i suoi assassini devono vedere terrorizzati come sorge dai loro cadaveri eroici lo spettro vittorioso delle loro idee. Che parli per me l'Apostolo: "C'e' un limite al pianto durante la sepoltura dei morti, ed e' l'amore infinito per la patria e la gloria che si vede sopra i loro corpi, che non teme, non si abbatte ne' mai si indebolisce; perche' i corpi dei martiri sono l'altare piu' bello della dignita' ".
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Opere d'arte italiane ostaggio dei golpisti ucraini

1) Petizione: Nessuna onorificenza per Poroshenko
*) Verona antifascista in piazza contro la cittadinanza a Poroshenko
2) Contro la cittadinanza onoraria all’ucraino Poroshenko un appello a Mattarella (Fabio Marcelli)
*) Renzi, occhio a quei quadri / Valdegamberi: «Non accetto diktat dal Consolato Ucraino e riportino a Verona i quadri rubati» / Ucraina: da Verona sola andata
3) Il mistero dei quadri mai tornati in Italia (DagoSpia)
4) Poroshenko denunciato per appropriazione indebita


Sul golpe in Ucraina ed il carattere nazista del regime instaurato si veda la nostra pagina dedicata:

Segnalazione iniziativa: SERATA PRO-DONBASS
Padova, sabato 10 dicembre 2016, dalle ore 17 – presso la mensa Occupata di Via F. Marzolo 4
proiezione di materiale video, testimonianze, cena a base di prodotti tipici ucraini e russi, lotteria di beneficenza
Adesioni entro giovedì 8 dicembre ai numeri 3200270839 - 3282669864
I fondi raccolti saranno usati per inviare aiuti umanitari nelle regioni colpite dalla guerra civile


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по-русский: Никакой почести Петру Порошенко

in english: No honour to Poroshenko


Petizione rivolta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Nessuna onorificenza per Poroshenko


Noi sottoscritti, cittadine e cittadini italiani e non, premesso che il Consiglio Comunale di Verona ha approvato la proposta del sindaco Flavio Tosi di conferire la cittadinanza onoraria a Petro Poroshenko, quale segno di riconoscenza per il recupero dei quadri di Castelvecchio, siamo ad evidenziare quanto tale provvedimento si ponga in contrasto con i principi e i diritti fondamentali della persona umana, sanciti dalla nostra Costituzione e dalle norme del diritto internazionale sia consuetudinario sia convenzionale. La decisione di conferire tale onorificenza a Petro Poroshenko, divenuto capo dello Stato ucraino a seguito di elezioni svolte in un clima di violenze di piazza e guerra civile nel Donbass, offende il senso profondo della giustizia e del rispetto dei diritti umani universali. Il Presidente Poroshenko è, infatti, a capo di un sistema politico-istituzionale che trae il proprio fondamento dal colpo di Stato del febbraio 2014 che rovesciò il precedente Presidente Yanucovich, elettoralmente legittimato. Nel succitato colpo di Stato hanno avuto un ruolo decisivo forze neo-naziste alle quali appartengono anche ministri dell’attuale governo che persegue una politica di sistematica repressione del dissenso e di violazione dei diritti umani nei confronti della consistente componente russofona e, in generale, di tutte le minoranze. La popolazione russofona del Donbass è sottoposta a una costante opera di repressione militare che il governo di Kiev attua persino mediante bombardamenti indiscriminati contro civili. Le opposizioni all’attuale governo stanno subendo una spietata repressione. Basti solamente evocare gli innumerevoli episodi di eliminazione fisica, incarcerazioni senza garanzie processuali ed emigrazioni coatte. Tali violazioni sono ulteriormente sostanziate da una serie di gravissimi fatti di cui il governo, l’esercito ucraino e una serie di bande paramilitari si sono resi responsabili negli ultimi due anni. Fra i gravissimi fatti di cui sopra, ricordiamo la strage del 2 maggio 2014 a Odessa nella quale furono bruciati vivi moltissimi civili da bande paramilitari filonaziste e filogovernative. I rapporti dell'ONU e di Amnesty International, a tal riguardo, affermano che le indagini condotte dal governo di Kiev "non soddisfano i requisiti della Convenzione europea sui diritti umani " e che, dopo due anni dalla tragedia, non sono stati trovati i colpevoli poiché godono della complicità della polizia e della protezione del governo di Kiev. Ci appelliamo, pertanto, al Suo ruolo di Garante della Costituzione e alla Sua sensibilità istituzionale affinché intervenga nei modi che riterrà più opportuni, al fine di evitare il rischio che, attraverso l’onorificenza di cui sopra, si consumi una palese offesa ai principi di democrazia e al rispetto dei diritti dell’uomo. 
Auguri di buon lavoro, signor Presidente.


Primi firmatari
1. Coordinamento Ucraina Antifascista
2. Banda Bassotti
3. Lidia Menapace, partigiana, Comitato nazionale ANPI, politica, saggista
4. Licia Pinelli, Milano
5. Vittore Bocchetta, ex-deportato, antifascista, Verona
6. Luciano Perenzoni, partigiano, divisione pasubiana
7. Umberto Lorenzoni, partigiano divisione "Nannetti", Presidente provinciale ANPI Treviso
8. Riccardo Saurini, consigliere comunale, Verona
9. Gianni Benciolini, consigliere comunale, Verona
10. Valerio Evangelisti, scrittore
11. Giorgio Cremaschi, sindacalista
12. Pierpaolo Leonardi, Esecutivo nazionale USB, Segretario Generale del
Sindacato Mondiale dei Lavoratori Pubblici
13. Domenico Losurdo, professore universitario e direttore dell'Istituto di 
Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Università di 
Urbino
14. Angelo D’Orsi, professore universitario, Università di Torino
15. Massimo Zucchetti, professore universitario, Università di Torino
16. Alexander Hobel, professore universitario, Università Federico II, Napoli
17. Andrea Genovese, professore universitario, University of Sheffield (GB)
18. Daniele Butturini, professore universitario, Università di Verona
19. Giuseppe Amata, professore universitario, Università di Catania
20. Mauro Gemma, direttore Marx21
21. Sergio Cararo, direttore di Contropiano
22. Checchino Antonini, direttore di Popoff Quotidiano
23. Fabrizio Marchi, giornalista, pubblicista direttore del periodico on line L'Interferenza
24. Marco Santopadre, giornalista
25. Antonio Mazzeo, giornalista, attivista no muos
26. Franco Fracassi, scrittore, giornalista
27. Marinella Correggia, giornalista e scrittrice
28. Giuseppe Aragno, storico, Fondazione Humaniter, Napoli
29. Sandi Volk, storico, Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale.
30. Banda POPolare dell'Emilia Rossa





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Italy: Veronese protest after Poroshenko made honorary citizen (RT, 11 giu 2016)
Activists rallied in Verona on Saturday following the City Council's decision to award Ukrainian President Petro Poroshenko an honorary citizenship
Verona antifascista in piazza contro la cittadinanza a Poroshenko (di Ross@ Verona, 12 giugno 2016)
La giunta comunale di Verona ha approvato la proposta del sindaco Flavio Tosi di conferire la cittadinanza onoraria al capo della giunta golpista ucraina Poroshenko, quale segno di riconoscenza per il recupero dei quadri di Castelvecchio, offendendo la nostra comune memoria antifascista.
Verona democratica e antifascista, medaglia d’oro della Resistenza, non può tollerare che venga concessa la cittadinanza onoraria  a chi, come il golpista e filo – nazista Poroshenko, nel metodo e nel merito, ha violato i principi della democrazia e del diritto internazionale con lo sterminio di migliaia di civili.
Ieri 11 giugno il Comitato veronese di solidarietà con l’Ucraina antifascista ha protestato di fronte a Palazzo Barbieri, sede del Comune, per chiedere l’immediata revoca della suddetta decisione, in nome dell’antifascismo, dell’antimperialismo, del sostegno alle repubbliche del Donbass e di Lugansk, dell’opposizione alla Nato e all’Unione Europea complice e acquiescente.


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Verona, contro la cittadinanza onoraria all’ucraino Poroshenko un appello a Mattarella

di Fabio Marcelli | 29 luglio 2016

Non si può certo dire che l’attuale presidente ucraino Petro Poroshenko sia un campione della pace, della libertà, della democrazia o dei diritti umani. Al contrario. Venuto al potere spodestando il precedente presidente Janukovich, Poroshenko, al pari del suo predecessore, fa parte del ceto di oligarchi arricchitiche è prosperato su tutto il territorio delle ex Repubbliche sovietiche nel corso degli ultimi 25 anni grazie allo sfruttamento di enormi risorse minerarie, agricole e naturali a beneficio di questa nuova casta. Però la sua ascesa al potere ha determinato un netto peggioramento della situazione dell’intera area. In primo luogo per le modalità, e cioè la pressione violenta esercitata da settori legati a formazioni apertamente neonaziste e che rivendicano piena continuità con un movimento come quello del leader nazionalista ucraino Stepan Bandera, che durante la guerra si prestò al pieno collaborazionismo con Hitler, e per tale motivo è stato ritenuto di stampo “genocida” perfino da un Parlamento come quello polacco non certo sospettabile di sinistrismo. Poroshenko si è detto“deluso” da tale decisione, dato che essa riguarda direttamente i suoi alleati nazifascisti all’interno del Parlamento ucraino.

Come si può evincere dall’intervento svolto dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, tutta l’azione del governo Poroshenko è stata del resto improntata alla lotta cieca contro ogni forma di progressismo e dal tentativo di riesumare i peggiori fantasmi anticomunisti: “Il giro di vite senza precedenti su partiti politici, media indipendenti e altre voci di dissenso, nonché l’allarmante diffusione di ultra-nazionalismo, xenofobia e discorsi d’odiosono gravemente sottovalutati, se non ignorati. Il supporto e l’impunità  garantiti dal governo all’estrema destra e a gruppi neonazisti non possono essere trascurati. Questi elementi, che sono peraltro tra le cause profonde del conflitto, hanno colpito brutalmente gli avversari politici e le minoranze, provocando profonde divisioni da ricucire.  Nel suo slancio repressivo contro il dissenso, il governo, adducendo presunte minacce alla sicurezza nazionale, ha bandito media, giornalisti, libri, film e ha messo sulla lista nera artisti come Emir Kusturica, Oliver Stone, Goran Bregovic e molti altri. Il Partito comunista d’Ucraina, il principale partito d’opposizione nel Paese prima del “cambio di regime”, si è trovato sotto una crescente pressione: i suoi uffici sono stati assaliti, le sue manifestazioni proibite, i suoi membri picchiati e intimiditi. Nel luglio 2014 il ministro di Giustizia è  ricorso in sede amministrativa per bandirlo definitivamente. Il processo, caratterizzato da significativi attacchi all’indipendenza della magistratura, è tuttora in corso. E’ in corso di preparazione unelenco di monumenti e memoriali da distruggere da parte dell’Istituto della Memoria nazionale, guidato da Volodymyr Vyatrovych, ben noto nella comunità  scientifica per i suoi libri che negano i crimini di OUN-UPA, gruppi nazionalisti paramilitari ucraini che durante la seconda guerra mondiale hanno combattuto in unità  naziste come la divisione SS “Galizia”, massacrando decine di migliaia di polacchi ed ebrei. Il progetto di “cancellazione della memoria”, oltre che prominenti politici russi e ucraini, include altresì rappresentanti europei della socialdemocrazia e del movimento antifascista come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Wilhelm Pieck, Ernst Thalmann, Georgi Dimitrov e Mate Zalka”.

Il governo Poroshenko ha svolto un ruolo estremamente negativo anche dal punto di vista della pace. Con i suoi continui appelli guerrafondai alla Nato rappresenta un elemento di destabilizzazione e di crisi continua nei rapporti con la Russia. La sua ispirazione apertamente reazionaria e la presenza fra le sue file di formazioni apertamente fasciste hanno portato alla secessione della Crimea e alla crisi nel Donbass, dove la maggioranza della popolazione non intende certamente sottomettersi ai fascisti. Durante la presidenza di Poroshenko sono avvenuti, con l’evidente complicità degli apparati statali, veri e propri crimini contro l’umanità, tuttora impuniti, come l’orrenda strage di Odessa.

Per tutti questi motivi appare a dir poco bislacca l’iniziativa del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi di conferire a Poroshenko addirittura la cittadinanza onoraria. Enti locali e regionali hanno certamente una propria sfera d’autonomia nel campo dei rapporti internazionali (si veda al riguardo lo studio che ebbi modo di pubblicare qualche anno fa nell’ambito del Rapporto annuale sullo stato del regionalismo), ma la relativa azione, inclusa l’attribuzione di titoli onorifici, deve certamente svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano tra i quali quello antifascista svolge tuttora un ruolo fondamentale, per non parlare del rispetto dei principi dell’ordinamento internazionale (art. 10 Costituzione) tra i quali quello della tutela dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. Va pertanto appoggiato l’appello, che ho firmato insieme a molti altri, indirizzato al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché intervenga per porre nel nulla questa improvvida iniziativa. Speriamo che Mattarella si ricordi di essere il Presidente di una Repubblica nata dalla Resistenza antifascista e faccia il suo dovere.


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Renzi, occhio a quei quadri (di Salvatore Merlo – 7 Settembre 2016)
Una storia tragicomica, un’epopea di potere, un mistero diplomatico. Ecco come 17 capolavori della pittura italiana sono stati rapiti in Ucraina (e c’è un riscatto)...

Valdegamberi: «Non accetto diktat dal Consolato Ucraino e riportino a Verona i quadri rubati» (ottobre 11, 2016)
Il Consolato generale dell’Ucraina a Milano ha scritto nei giorni scorsi ai consiglieri di alcune Regioni, compresa l’Emilia Romagna, una lettera di diffida a seguire l’iniziativa del consigliere veneto Stefano Valdegamberi di visitare la Crimea...

Ucraina: da Verona sola andata (14/11/2016 -  Danilo Elia)
È passato ormai un anno dal furto dei capolavori di Mantegna, Rubens, Tintoretto e altri maestri dal museo di Castelvecchio a Verona, e sei mesi dal loro ritrovamento in Ucraina. Ma le tele sono ancora a Kiev...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-da-Verona-sola-andata-175540/


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21 NOV 2016 12:49

IL MISTERO DEI QUADRI MAI TORNATI IN ITALIA - I CAPOLAVORI DI RUBENS, MANTEGNA E TINTORETTO RUBATI A CASTELVECCHIO E RITROVATI SONO A KIEV DA SEI MESI - RENZI AVEVA PROMESSO CHE SAREBBERO ARRIVATI A NOVEMBRE IN ITALIA - IL NODO DELLE RELAZIONI CON L’UCRAINA: SUI QUADRI SI STA GIOCANDO UNA PARTITA DI POLITICA INTERNAZIONALE


Andrea Pasqualetto per il Corriere della Sera

Sei mesi fa il ritrovamento nella boscaglia dell' isola di Turunciuk, sulle sponde del Dnestr, in Ucraina. Le diciassette tele, fra cui i capolavori di Tintoretto Mantegna e Rubens, erano state infilate in sacchi di plastica, pronte a prendere la via della vicina e poco penetrabile Trasnistria, terra di bande criminali ed ex agenti del Kgb nella repubblica di Moldova.

 

Era il 6 maggio scorso e la prima promessa la fece il presidente ucraino Petro Poroshenko, felice di dimostrare all' Europa l' efficienza della sua polizia di confine: «Avvieremo subito le formalità per la loro restituzione».

Il 13 giugno è stata la volta del sindaco di Verona Flavio Tosi che da Kiev, dove era volato per inaugurare al museo Khanenko la mostra temporanea delle opere d' arte trafugate la sera del 19 novembre 2015 a Castelvecchio, aveva voluto tranquillizzare la città: «Il rientro dovrebbe concludersi nell' arco di qualche settimana». Ma dopo tre mesi, ancora nulla. E visto che i quadri non tornavano a casa è sceso in campo direttamente Matteo Renzi: «Gestirò personalmente il problema: a novembre saranno in Italia».

 

Ora che è novembre ed è passato un anno dal «colpo del secolo» commissionato da un collezionista russo e messo a segno da una banda italo-moldava grazie alla complicità della guardia giurata del museo scaligero, i muri di Castelvecchio sono ancora spogli e lo stesso Tosi si vede costretto ad allargare le braccia: «I tempi si sono allungati».

 

Perché, dunque, questi dipinti del valore stimato di 17 milioni non rientrano? «Il fatto è che Poroshenko vuole portare le opere in Italia per restituirle nelle mani di Renzi. I due devono trovare una data d' incontro compatibile: speriamo sia subito dopo il referendum» aggiunge Tosi.
Il motivo per il quale il Presidente ucraino desideri essere presente alla consegna è presto detto. «Dietro c' è un fatto di politica internazionale, Poroshenko vuole creare l' evento che lo avvicini all' Europa, considerate le pressioni a cui è sottoposto. C' è di mezzo la Crimea occupata dalla Russia, i rapporti con Mosca, la guerra».

 

Sui quadri di Castelvecchio si sta dunque giocando una partita che va ben oltre la rapina. A rendere meno agevoli le cose è stata anche la missione di una delegazione della Lega Nord che in ottobre era partita con alcuni imprenditori del Nord Est alla volta proprio della Crimea. Scopo della spedizione: gettare un ponte diplomatico e d' affari con una terra colpita dal boicottaggio dell' Europa contro Mosca.

Risultato? «La delegazione ha preferito schierarsi apertamente con i responsabili della morte di decine di migliaia di ucraini...», è andato giù durissimo l' ambasciatore ucraino in Italia, Yevghen Perelygin. Per Tosi, che in giugno aveva conferito a Poroshenko la cittadinanza onoraria, le due cose corrono su binari distinti: «La missione è stata una provocazione insensata che risponde alla posizione filo russa di Salvini. Penso tuttavia che non abbia un grande peso sulla vicenda».

Getta acqua sul fuoco anche l' ambasciatore d' Italia in Ucraina, Davide La Cecilia: «Mi sentirei di escludere un collegamento. Quanto alla restituzione si sta lavorando a una data che consenta a Poroshenko di accompagnare le opere in Italia perché questa è la sua volontà». La Cecilia ha sotto controllo la situazione: «Le opere si trovano ancora al Khanenko anche se non sono più in mostra. Di tanto in tanto vado a vederle per verificare che godano di buona salute. Rassicuro tutti». L' ambasciatore cerca di stemperare la tensione ma a Verona c' è chi non ci fida: «E l' hanno fatto anche nostro concittadino...».


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Castelvecchio, i quadri non tornano. E Guarienti denuncia Poroshenko

L’avvocato veronese e le tele mai restituite: «Vista la paralisi della democrazia ho deciso di passare alle vie legali»

VERONA Quadri di Castelvecchio: dal 19 novembre 2015, giorno del furto, è passato un anno e i quadri non tornano. «Vista la paralisi della democrazia, ho deciso di passare alle vie legali», ha annunciato lunedì il noto avvocato veronese Guariente Guarienti, che nelle ultime ore ha presentato una doppia denuncia penale contro il presidente ucraino Petro Poroshenko sia alla procura di Kiev che a quella di Verona: «Anche la nostra magistratura può indagare - sostiene il legale - in quanto si tratta di reato commesso da pubblico ufficiale estero ma su corpo di reato italiano». I reati ipotizzati sono appropriazione indebita e/o ricettazione». 

21 novembre 2016

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«Poroshenko? È appropriazione indebita»

22 novembre 2016

Denunciato per ricettazione o appropriazione indebita il capo di Stato ucraino Petro Oleksijovyc Poroshenko.
La denuncia è stata depositata ieri mattina dall’avvocato Guariente Guarienti.
«I quadri sono stati ritrovati sei mesi fa in quel Paese», dice Guarienti, «da allora nonostante visite del sindaco Flavio Tosi in Ucraina, consegne di cittadinanza onoraria, svariate promesse, i nostri capolavori non ci sono stati restituiti. Se in un primo momento appare comprensibile e legittimo che il presidente Poroshenko volesse valorizzare il ritrovamento con un’esposizione nella sua capitale, dopo un anno è legittimo ritenere che il trattenimento dei quadri costituisca reato», dice l’avvocato che si è studiato anche il codice penale ucraino.
«Ho inviato la denuncia anche al procuratore della repubblica di Kiev. Riesaminata la questione credo che i procedimenti possano essere aperti sia a Verona che a Kiev. Il codice penale ucraino non prevede, per quanto abbiamo potuto capire da una traduzione del testo in inglese il delitto di ricettazione, ma indica, all’articolo 191 un’ipotesi di appropriazione indebita. Non abbiamo rinvenuto particolari esenzioni per la personalità del Capo dello Stato. L’articolo 6 recita testualmente: «Qualsiasi persona che ha commesso un reato sul territorio dell’Ucraina è penalmente responsabile, quindi io ho denunciato Poroshenko per i reati che la procura di Kiev ravviserà».

L’articolo di legge del codice penale italiano cui si appella Guarienti è invece il 7, comma uno, numero 4.
«È punito secondo la legge il cittadino italiano o straniero che commette in territorio estero (tra gli altri) i delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni».
Non resta dunque che aspettare il rinvio a giudizio. E semmai fosse celebrato un processo, Poroshenko sarebbe contumace, visto che ci sono problemi diplomatici insormontabili per una sua venuta in Italia.
Esattamente un anno fa, il 19 novembre 2015, banditi armati con la complicità dell’unico addetto alla vigilanza presente alla chiusura del museo, si impadronirono di 17 tele, fra cui alcune di Pisanello, Caroto, Rubens, Mantegna e Tintoretto, poi rintracciate in Ucraina il 6 maggio scorso, cioè sei mesi dopo.
Un ritrovamento molto «scenografico», le tele nascoste sotto frasche fresche che li ricoprivano a malapena. La sensazione che non fosse quello il luogo in cui i quadri erano rimasti fino a quel momento.
Da allora i capolavori non sono stati restituiti all’Italia nonostante i solleciti del ministro degli Esteri Gentiloni e dello stesso presidente del Consiglio Renzi nei confronti di Poroshenko Lui aveva detto che li avrebbe fatti ritornare entro novembre.
Ma il termine ultimo è scaduto. Improbabile che i quadri arrivino nei prossimi giorni. C’è chi sostiene che il premier Renzi sia in tutt’altre faccende affacendato, impegnato com’è a promuovere il «sì» al referendum, paiono essere poca cosa le tele da riportare in patria.
Per sensibilizzare il governo s’era mosso anche il giornalista Alfredo Meocci che ha inviato mille firme al ministro Dario Franceschini per sollecitare il rientro delle opere.
Ma anche questa sollevazione popolare che aveva suscitato dibattito in città è rimasta lettera, pardon tela, morta.

Alessandra Vaccari





Sulla riabilitazione delle formazioni collaborazioniste del nazifascismo nella Bosnia musulmana si veda anche ad esempio:
Sulla continuità dell'islamismo politico bosgnacco dalla divisione SS "Handzar" a Izetbegović si veda ad esempio:



Sarajevo, a scuola di revisionismo


Un istituto scolastico a Sarajevo viene intitolato a Mustafa Busuladžić, figura controversa di intellettuale islamista, accusato di antisemitismo e giustiziato dalle autorità comuniste nel 1945

23/11/2016 -  Alfredo Sasso


Il cambio di regime in un paese porta con sé la riscrittura dello spazio pubblico. Strade, piazze, scuole, istituzioni culturali cambiano nomi, riscrivono memorie e identità, impartiscono nuovi riferimenti politici e morali ai cittadini. Nei paesi post-jugoslavi, e in Bosnia Erzegovina in particolare, questo processo è lungi dal completarsi.

A settembre, il Parlamento del Cantone di Sarajevo esaminava la proposta di intitolare la scuola primaria di Dobroševi a Mustafa Busuladžić, una figura su cui si sono formate narrative del tutto contrapposte. Brillante studioso e martire dell’identità musulmana secondo alcuni; portavoce di idee palesemente nazifasciste, antisemite e patriarcali, secondo altri. Dopo settimane di duro confronto tra i partiti politici, e aspre prese di posizione di intellettuali e accademici, la proposta è stata infine approvata il 26 ottobre, gettando nuove ombre sulla memoria collettiva in Bosnia Erzegovina e sulla sua proiezione nel presente.

Mustafa Busuladžić: chi era, chi (lo) rappresenta oggi

Nato a Trebinje nel 1914, diplomatosi alla medresa "Gazi Huzrev-Begova" di Sarajevo nel 1936, Busuladžić si occupa di letteratura, storia e pensiero islamico con posizioni apertamente tradizionaliste. Nel 1941-42, mentre la Bosnia Erzegovina è occupata dai nazifascisti ustaša dello Stato indipendente di Croazia, Busuladžić ottiene una borsa di studio in orientalistica a Roma, da dove è corrispondente per la radio croata. Tornato a Sarajevo, è militante di El-Hidaje (“La giusta via”), un movimento clericale che rivendica il ritorno ai valori islamici, collaborazionista con il regime ustaša. Poco dopo la liberazione della Jugoslavia a opera dei partigiani, nel giugno 1945, Busuladžić viene giustiziato dalle autorità comuniste dopo un processo sommario, apparentemente per la sua connivenza con le strutture ustaša, nonché per i suoi articoli che accusavano le politiche anti-musulmane dell’Unione Sovietica. Il suo corpo non fu mai ritrovato.

I sostenitori della riabilitazione di Busuladžić risaltano il suo valore intellettuale e il suo aspetto di martire. Secondo lo scrittore ultraconservatore Džemaludin Latić, si tratterebbe addirittura del “più brillante pensatore bosgnacco del XX secolo”, che avrebbe offerto una sintesi fra tradizione, spiritualità islamica e giustizia sociale, contrastando sia il comunismo, sia il fascismo. Con argomenti simili si sono espresse influenti voci dell’accademia sarajevese, come quella di Šaćir Filandra, preside della Facoltà di Scienze Politiche, che ha esaltato il suo “sguardo filosofico sui fondamenti del mondo contemporaneo”.

Infine è arrivato il consenso politico. L'SDA, il partito nazionalista al potere nella Federazione di BiH e nel Cantone di Sarajevo, ha subito appoggiato la proposta di intitolare la scuola a Busuladžić. Una scelta che non sorprende: il caso è stato utilizzato a scopi elettorali (si era nel pieno della campagna per il voto amministrativo). Inoltre, il padre fondatore del partito, Alija Izetbegović, negli anni ‘40 militava nel movimento dei Giovani Musulmani, contiguo a El-Hidaje. Va però precisato che l’iniziativa è partita dal basso, ovvero da una petizione di cittadini di Dobroševi (sobborgo nel nord-ovest di Sarajevo, dove si trova la scuola) poi seguita dal parere favorevole di consiglio di quartiere, dell’amministrazione e persino dal consiglio dei genitori dell’istituto scolastico.

Più che diretta dai vertici, la vicenda sembra svilupparsi in un contesto politico-culturale conservatore in cui è comune ritenere che l’identità bosgnacca soffra di un deficit di memoria. In questi ambienti, si adducono cause profonde risalenti al periodo jugoslavo e rimaste irrisolte dopo la guerra degli anni Novanta: debolezza delle istituzioni, complesso di inferiorità rispetto alle “altre” narrative nazionali presenti in Bosnia Erzegovina (quella serba e quella croata), immutata subalternità al discorso antifascista classico. Secondo questa visione, le riabilitazioni degli intellettuali bosgnacchi anticomunisti del passato compenserebbero questi presunti torti della memoria.

Gli scomparsi della čaršija

Alla riabilitazione di Busuladžić si sono opposti diversi intellettuali progressisti e tutti i partiti civici non-nazionalisti, che lo ricordano come un “propagatore del fascismo”, indicando l’odio etnico e di genere presente nei suoi scritti. “Qui la gente ha lottato contro gli ebrei e le loro speculazioni, frodi, prevaricazioni. Essi sono scomparsi dalla čaršija [il centro storico di Sarajevo, ndA] ma lì è rimasto il loro spirito giudeo di macchinazione, speculazione, occultamento e accumulazione delle merci, contrabbando e usura”, scriveva Busuladžić nel 1944. Nell’articolo “Il culto della nudità” (Kult golotinje) del 1943, l’autore si scagliava invece contro l’emancipazione femminile, associandola alla depravazione e alla decadenza economica. Il declino delle antiche Atene e Roma sarebbe iniziato quando la donna “ha iniziato a lasciare la casa” e abbandonato la maternità, “essenza dell’esistenza femminile”.

Il compiacimento per gli “scomparsi dalla čaršija” e la sottomissione della donna, per giunta riletti nel contesto di una città e un paese che hanno recentemente conosciuto altre pulizie etniche, ha gelato il sangue a molti. Come hanno osservato diversi commentatori, la confusa sovrapposizione tra il Busuladžić intellettuale islamista e il Busuladžić vittima individuale di un processo sommario, rende invisibili le migliaia di vittime innocenti della Seconda guerra mondiale in Bosnia Erzegovina, nonché le iniziative di solidarietà e coraggio civile che vi ebbero luogo.

Inoltre, è mancato non solo un dibattito pubblico, ma anche un confronto scientifico più esteso riguardo una figura che rimane semisconosciuta ai più, con le conseguenti manipolazioni politiche. “La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: quali opere fanno di Mustafa Busuladžić ‘uno dei più grandi intellettuali bosgnacchi tra le due guerre mondiali?’ Per quanto mi riguarda, la risposta non è molto chiara. Penso che al centro della questione ci sia una determinata ideologia, quella dei Giovani Musulmani, e della sua rivitalizzazione nella società bosniaca, che de jure è avvenuta dal 1990, e de facto si ripropone dopo ogni tornata elettorale”, spiega a OBC Transeuropa Edin Omerčić, ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Università di Sarajevo.

La revisione della memoria appare uno strumento della politica per riempire i propri vuoti. Tarik Haverić, politologo impegnato da tempo nella critica ai revisionismi, e che si è dedicato proprio a un’analisi critica degli scritti di Busuladžić, ha commentato: “La destra clero-nazionalista che è al potere nei diversi livelli del paese (naturalmente non solo musulmana!) non ha nient’altro da offrire”, e dunque “legittima il proprio potere sulle sofferenze passate”. Si tratta di un processo consolidato. Nella parte croata di Mostar, vi sono diverse vie intitolate a ministri e alti ufficiali ustaša, mentre nella Republika Srpska lo “screening nazionalista” della toponomastica può dirsi completato. La scuola è un passaggio ulteriore nell’occupazione dello spazio pubblico. “Tutte le élite nazionaliste dell’ex-Jugoslavia trattano la scuola come fabbrica del loro modello di identità. L’ideologizzazione del sistema scolastico si presenta non solo a livello simbolico, con la ridenominazione, ma anche a livello sostanziale, con la politicizzazione della conoscenza attraverso le cosiddette ‘materie nazionali’”, spiega il filosofo Enver Kazaz.

A Mustafa Busuladžić, dopo la guerra degli anni '90, è già stata intitolata una via a Sarajevo. Nell'era jugoslava, quella stessa via (all'epoca un tratto più lungo) era intitolata a Fuad Midžić, partigiano musulmano e comunista. Midžić, fuggito dal lager ustaša di Jasenovac, fu ucciso a Sarajevo il 6 aprile 1945, il giorno in cui la città si liberò dal nazifascismo. Negli anni '80, Ulica Fuada Midžića diventò uno dei “simboli della Sarajevo jugoslava” perché citata in una canzone dei leggendari Zabranjeno Pušenje, emblemi dello ju-rock e della scena culturale alternativa. I componenti del gruppo vivevano proprio in quella via. Chissà se un giorno qualcuno dei ragazzi diplomati alla scuola Mustafa Busuladžić ascolterà quella canzone e si chiederà chi era Fuad Midžić, e dove era la sua via.




(italiano / english / deutsch)

NATO ohne Existenzberechtigung

1) NATO`S “Saint Trinity” (Z. Jovanović' Interview to Chinese daily newspaper “People`s Daily” / Zhenminzhibao))
2) Die NATO ist passé und Von der Leyen völlig inkompetent (L.M. De Stéfano Z. de Lenkait)


Altri testi segnalati:

Mezzi e armamenti micidiali. Servono davvero alla Difesa nazionale? (Vito Francesco Polcaro, 18.11.2016)
Portaerei, velivoli da attacco, armamenti nucleari. Le “cannoniere volanti”. Il caso dei controversi F35. Le atomiche ad Aviano. Ma l’Italia non dovrebbe ripudiare la guerra?...


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Zivadin Jovanovic, the Belgrade Forum for a World of Equals                                                                                                                                                                                           August 19th, 2016
 
 
NATO`S “Saint Trinity” – liberal capitalism, privileges of the West and uni-polar world  
 
Interview to Chinese daily newspaper “People`s Daily” (Zhenminzhibao)
 
1.  Recently NATO held its summit in Warsaw. Warsaw used to be the place to sign the Warsaw Treaty. Is there something special for NATO to choose such place to hold its summit?
 
Reply:
Choosing Warsaw for the last NATO summit reflects acceleration of NATO expansionist strategy toward East.  Poland being, after Germany, the second largest and strongest country in the Baltic region plays very important role in the implementation of this strategy. In NATO plans Poland has particular role in overseeing Baltic Sea Basin and Baltic – Anatolia (Turkey) continental belt. Poland was first country to accept USA anti- rocket shield base on its territory, dislocation of so called rotating NATO commands, troops and weaponry. Generally, in the strategy of encircling and confronting Russia, USA relies more on fidelity and anti-Russian orientation of leaderships of former Warsaw Pact member countries than on some traditional West European allies. Probably, for the same reason, some earlier important NATO summits had also been held in East European countries:  Check Republic (2002), Latvia (2006), and Rumania (2008). 
 
2.  As a counterpart of the Warsaw Treaty Organization, is there any necessity for NATO to exist? How should it transform itself in the changed situation?
 
Reply:
NATO was founded in 1949 as defensive alliance and Warsaw Pact six years later. 
Fifty years after NATO became offensive Alliance. A turning point was 1999 NATO aggression on Serbia (Yugoslavia). It was engaged in an offensive action outside territory defined by own Founding Act, against the country which did not posed any danger to any NATO member state, violating UN Charter and undermining the role of UN Security Council. Although pretending to be democratic Alliance, Parliaments of member countries never approved such transformation.  
NATO aims at achieving ultimate control of all world resources on behalf of multinational corporative capital, particularly on behalf of military-industrial, energy and financial sectors. 
Analyzing NATO evolution from defense to aggressive force since the fall of Berlin Wall and dissolution of Warsaw Pact, it may be concluded that NATO has become armed feast spreading and serving the interests of : a) neo-liberal corporate capitalism; b) world-wide privileges of the West headed by USA; and c) uni-polar world order. That`s NATO`s “Saint Trinity”. This strategy has led, among other, to: arbitrary proclaiming of national interest of major NATO member countries beyond any territorial, political or moral standards; undermining of the World order established after the Second World War, especially, the UN System; rise of global mistrust and arms race; eroding of democratic parliamentary system; and militarization of political decision making to suit the interests of military industrial sector. 
On the other side, unprecedented trends in the world towards multi-polarity, sovereignty and independence lead to conclusion that NATO aims are not achievable. Serious question – whether this is understood and accepted by NATO decision makers – remains, up to now, without convincing answer. History teaches us that imperial pattern of thinking has no firm sense of reality. And, exactly here lays the reason for great worry about our future.
Otherwise, frankly speaking, I do not believe that NATO could evolve into peace and justice-loving association. It has gone too far in reasoning that the might is right and that wherever the law blocks NATO objectives it`s got be removed. 
NATO is a relic of Cold War era. It does not serve objectives of peace, justice and sovereign equality of nations. Therefore, in my opinion, it should be dissolved as Warsaw Pact was dissolved. Being large as it is, NATO can hardly escape gradual weakening by internal divisions and conflict of interests until its final destination – history of aggressors, with all accompanying records. Current NATO problems provoked by unsuccessful coup d’état in Turkey might appear only as a peak of approaching iceberg.
                                
3.     Did the enlargement of the NATO intensify the regional security? What effect has NATO made in the security of Balkans?
 
Reply:
USA/NATO policy of expansion to the East (new “Drang nach Osten” doctrine) is just a segment of their strategy of domination and hegemony in the world. The process which has been going on for some time now in the Far East and Pacific appears as blueprint of those in Central and Eastern Europe. Don’t we also hear of arms and forces deployments there, of NATO hybrid expansion, muscles showing military exercises, lining up of USA/NATO allies, old and new ones?
To justify its existence and growing military expenditure after the end of Cold War NATO has been engaged in producing tensions, mistrust, fear and false justifications for introducing global interventionism and militarism. Wherever NATO intervened, from Afghanistan and Iraq, to Libya and Mali it was leaving behind destroyed societies, fragmented states, hundreds of thousands of killed civilians, tens of millions of refugees and displaced persons, growing terrorism, tribal and religious wars, lasting misery and despair. Europe has been and still is collective victim of USA/NATO strategy of domination. Europe pays for USA/NATO hegemonic strategy, wars, sanctions, “colored revolutions”, “export of democracy”, regime changes etc. in terms of losses of sovereignty, development opportunities, own identity and dignity.
NATO was established as a regional Alliance. In the meantime it has been expanding in all parts of the world, including Far East and Pacific, trying to dominate globally. In addition to 28 formal members from Europe and North America, it has developed other forms of association, such as “Partnership for Peace”, special partnership and other arrangements which expand NATO associates to several dozens more.  Thus, NATO today is present in almost all corners of the world including Pacific, Indian and Atlantic, including even, Sothern Atlantic (Couracao).  
Concerning Balkan, it should be noted that NATO played crucial role in fragmenting two Yugoslavia (SFRY and FRY) and even Serbia, undermining basic principles of OSCE and UN Charter. In 90-es its member countries had been helping transfer of Bin Laden`s mujahidin from Afghanistan, Chechnya, Middle East and Maghreb countries to Bosnia`s civil war. They also financed, armed and trained UCK terrorists in Serbia`s Province of Kosovo and Metohija. During 1999 military aggression on Serbia (FRY) NATO allied with UCK. Then, in 2008 NATO member countries were the first ones to recognize unilaterally proclaimed independence of the Province.  
Could all that be constructive, in the interest of stability and development? Today, USA/NATO tries to reinforce their domination in the Balkans, particularly to contain normal relations and cooperation of regional countries with traditional partners and friends like Russia and China.  
4.    
Moscow says the West is the aggressor, citing the eastward expansion of NATO. It has voiced its displeasure at the idea of any further enlargement. What do you think about it?
 
Reply: 
USA/NATO openly treats Russia as their enemy. At the same time USA/NATO military bases have been mushrooming closer to western Russian boarders (Baltic Republics, Poland). Several USA so called missile shield defense bases have been installed at the doorstep of Russia, particularly in Poland, Rumania, and Bulgaria. 
In recent years USA/NATO have established many new military bases in Europe. Today Europe hosts more foreign military bases and hardware then at the time of the peak of Cold War! The first of the large network of new bases was “Bondstil”, USA base in Serbian Province Kosovo and Metohija (under occupation) established immediately after the end of NATO 1999 aggression on Serbia (FRY). Following three USA bases were established in Bulgaria, then four in Rumania and so on, closer to the Russian boarders. Why, what for? Warsaw summit reaffirmed obligation of each member country to devise 2% of GDP for military spending thus further fueling arms race. What for? Decision was taken to dislocate new 5.000 NATO soldiers in Poland, Baltic republics, Rumania and Bulgaria. These are just liaison officers tasked to prepare conditions for dislocation of tens of thousands of forces, if and when USA/NATO decides so. What for? At the same time, NATO anti Russian propaganda is reminiscent of that of the Cold War time.
So, what else to expect from Russia than relevant answers to adequately protect own legitimate interests, first of all, security!
It is high time for western leadership, first of all USA, to recognize that military buildup,
threats to encircle Russia and China and Cold War rhetoric - lead to nowhere. Major international problems - economic and financial crisis, growing international terrorism, migration crisis, nuclear arms proliferation and all others - cannot be resolved by the logic of domination and uni-polar reasoning. The world has already changed bringing back full meaning of sovereign equality and real partnership in solving international problems. 
There must be something seriously wrong with policy makers who proclaim for enemies those whom they badly need to solve own problems.


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Luz María De Stéfano Zuloaga de Lenkait, Juristin und Diplomatin a.D.

   

12.11.16

 

ZDF-Sendung „Maybrit Illner“ am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“,

ARD-Tagesschau vom 11.11.16

 

Die NATO ist passé und Von der Leyen völlig inkompetent.

 

Verlogenheit und Untauglichkeit der CDU und der regierenden Clique bloßgestellt

Die Verlogenheit und politische Untauglichkeit der CDU und der regierenden CDU/CSU/SPD-Clique Deutschlands sind seit langem vor der Öffentlichkeit bloßgestellt. Aber der Auftritt der Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner im ZDF am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“ übertraf alles bisher dagewesene an Inkompetenz und Verlogenheit.

 

CDU-Verantwortung für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden nicht zu verheimlichen

Es erschreckt, wie es die Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen fertigbringt, völlig unverfroren vor dem deutschen Publikum zu lügen, um ihre Verantwortung und die ihrer Partei für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden weiter zu verheimlichen. Ihr muss bekannt und bewusst sein, dass die deutsche Regierung mit ihren Waffenverkäufen nach Saudi-Arabien und Katar indirekt die Terroristen in Syrien und im Irak unterstützt, abgesehen von den Finanzströmen, die ohne Eingreifen der Regierung ungehindert von Deutschland und anderen EU-Staaten aus die Terroristen-Hauptquartiere erreichen. Auch die Unterstützung der deutschen Regierung bei der Formation illegaler Truppen in der Türkei zum Sturz der amtlichen syrischen Regierung ist inzwischen Allgemeingut. Ja, es gab sogar schon Verfassungsentwürfe, formuliert in Berlin und bezahlt vom deutschen Steuerzahler, für eine neue syrische Verfassung! Was für eine unverschämte Einmischung in die inneren Angelegenheiten Syriens, was für ein anmaßender, frecher Bruch der UN-Charta! Eine solche abstoßend verfehlte, rechtswidrige Außenpolitik gegenüber Syrien will die CDU-Ministerin in teutonischer Überlegenheitsattitüde weiter in Komplizenschaft mit Terror-Banden betreiben und dies als völlig in Ordnung und vereinbar mit dem internationalen Recht darstellen. Ausgerechnet diese unzumutbare Ministerin für Verteidigung hat auch noch die Arroganz, den neu gewählten US-Präsidenten Donald Trump in Sachen Völkerrecht und Menschenrechten belehren zu wollen, gerade die internationalen Regeln, die sie und ihre CDU-Regierung längst am brutalsten in Syrien gebrochen haben. Wann hat sie Bedenken geäußert, mit der saudischen Monarchie oder mit Katar zuammenzuarbeiten? Hat sie einmal gegen den ständigen Bruch des Völkerrechts und Brutalitäten dieser Regierungen Position bezogen?

 

Destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ bezeichnet: Von der Leyen muss weg.

Eine solche Frau darf kein Regierungsamt repräsentieren. Sie muss weg. Für menschliche Werte hat von der Leyen nicht den Funken von Verständnis. Menschliches Mitgefühl ist Fehlanzeige bei ihr. Sie ist die Funktionärin einer Partei, die beide, sie und ihre Partei, bald von der Bildfläche zu verschwinden haben, denn sie agieren menschenfeindlich. Ein destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ zu bezeichnen, wie es Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner tut (10.11.), ist die superlative absurde Vorstellung einer ignoranten oder einfach dummen CDU-Politikerin. Ist es für sie ein gemeinsamer Wert, Menschen anderer Länder, die kein anderes Land angegriffen haben, zu töten, Massenmord zu betreiben, um das vermeintliche gemeinsame Interessen Willen oder aus sonst irgendeinem fabulierten Grund, wie es mit Hilfe der „Wertegemeinschaft“ NATO geschieht?

 

Friedenspolitik und europäische Sicherheitsordnung von Lissabon bis Wladiwostok

Die Zeit ist schon lange reif, die Außenpolitik Europas als Friedenspolitik zu definieren. Dazu sind aber eine Ursula von der Leyen und ihre CDU nicht in der Lage. Sie, ihre Mitarbeiter und ihre CDU-Führung sind dafür völlig inkompetent. Das hat der Auftritt von Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner noch einmal für jeden Beobachter sehr deutlich gezeigt. Die NATO ist passé. Zu recht sagt man im Kreis des neuen gewählten Präsidenten Donald Trump, die NATO sei „überflüssig

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Chi come e perché sponsorizza i nazisti del btg. Azov

1) Gli scheletri nell'armadio di OBC (CUA 21.11.2016)
OBC è d'altronde quello stesso OBC che non ha *mai* dedicato alcun approfondimento specifico al pogrom più grave e conclamato (...) quello di Odessa del 2 maggio 2014

2) Azov: come farvi gradire un nazi-battaglione ucraino (F. Altamura 23.11.2016)
In decine di università europee la proiezione di un documentario sul battaglione Azov, un'operazione simpatia per presentare i nazisti ucraini come patrioti europei

FLASHBACKS:
3) L’Europa si preoccupi dei mercenari in azione in Ucraina (M. Cortese / L. Barton, 2.2.2015) 
4) I battaglioni «sono gli eserciti degli oligarchi, non dello Stato» (F. Poggi, 4.4.2015)
5) Vergogna! I neonazisti ucraini arrivano al Parlamento Europeo (M5S, 26.06.15)
6) Heil mein Nato! L’Ucraina «vivaio» del rinascente nazismo in Europa (M. Dinucci, 5.1.2016 – testo e video)


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Altri link e brevi:

NOSTRA RASSEGNA SUL BATTAGLIONE EUROPEISTA-NAZISTA "AZOV":
Ustascia croati nel battaglione Azov:
Bambini ucraini educati alla guerra antirussa dai nazisti dell'Azov:
Vauro interviene ad AnnoUno e scrive a RAI AZOV 24:
Rune naziste sulle divise, ma per La Repubblica importano solo i bacetti alle fidanzate

LA PAGINA DEDICATA SUL NOSTRO SITO:
La foto del battaglione Azov in posa con le bandiere della NATO e delle SS:

« Bataillon Azov » : une milice néo-nazie, des brigades internationales fascistes financés par l'oligarque israélo-ukrainien I.Kolomoisky
http://www.solidarite-internationale-pcf.fr/article-bataillon-azov-une-milice-neo-nazie-des-brigades-internationales-fascistes-finances-par-l-oli-124559517.html
TRAD.: Battaglione Azov: una milizia neo-nazista, delle brigate internazionali fasciste finanziate dall'oligarca israelo-ucraino I. Kolomoisky (PM | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net - 17/09/2014)
http://www.resistenze.org/sito/te/po/uc/poucei21-015017.htm

fonte: pagina FB de "La Scintilla"
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=311174112409182&set=a.266399576886636.1073741835.100005497879241&type=1
VADIM TROYAN. CAPO DELLA POLIZIA DI KIEV
Questo distinto e rassicurante signore si chiama Vadim Troyan, ha una lunga storia di militanza in varie organizzazioni neonaziste ed è noto alle cronache giudiziarie del suo paese per essere stato più volte in carcere imputato di omicidio, aggressione finalizzata all'odio razziale, furto e stupro.
Liberato durante i tumulti scoppiati in seguito alla cosiddetta "rivolta di EuroMajdan" è subito entrato a far parte del famigerato NaziBattaglione Azov, responsabile di ogni genere di atrocità e ferocia sulla popolazione civile. 
Grazie a questo meraviglioso curriculum il governo golpista e nazifascista ucraino, sostenuto dagli USA, dall'Unione Europea dal PD e da SEL, lo ha recentemente nominato CAPO DELLA POLIZIA della Regione di Kiev. 
source: pagina FB "Solidarity with Antifascist Resistance in Ukraine", 1/11/2014
https://www.facebook.com/SolidaritywithAntifascistResistanceinUkraine
Vadim Troyan, deputy commander of the neo-nazi Azov Regiment and active member of the neo-nazi paramilitary organisation Patriot of Ukraine (the paramilitary wing of the SNA) has been appointed by Ukraine Minister of Interior Avakov as the head of the Kiev police. Avakov's adviser Anton Gerashchenko described the appointment as "truly revolutionary" and added that the "Idea is to appoint to senior positions of the police volunteers who came to it by their heart and soul in action!" (read neo-nazis). He added that he would be working closely with Andrey Biletsky, Azov Regiment commander and now elected member of parliament. (PICS of Vadim Troyan and two recent Patriots of Ukraine marches).

Fonte: pagina FB "Коммунистическая партия Украины",  30/11/2014
Nella foto: dipendenti dell'ufficio principale del Ministero degli Affari Interni dell'Ucraina. Oblast ' di Kiev, nell'atto di salutare romanamente esibendo svastiche ed altri simboli nazisti
Аваков - министр фашистов! На фото сотрудники Главного управления МВД Украины в Киевской области?

Tra i neonazisti della Rada ucraina: l’astro nascente Andrej Biletskij (di Marat Grassini, 15 Dicembre 2014)
http://contropiano.org/internazionale/item/28111-tra-i-neonazisti-della-rada-ucraina-l-astro-nascente-andrej-biletskij

Ukrainian Nazis Pay Private Military Company Academi (formerly Blackwater) for Training (by Eric Zuesse, 3.1.2015)

Are There Nazis in Ukraine? A Visit to Lviv (By Joshua Tartakovsky, SpeakOut - Tuesday, 06 January 2015)
http://truth-out.org/speakout/item/28392-are-there-nazis-in-ukraine-a-visit-to-lviv

Ukraine - Les européistes veulent financer l'Ordre Nouveau à Kiev, mais les Français refusent de financer les nazis ! (vidéos)
http://mai68.org/spip/spip.php?article6895
 
Les symboles SS revisités en Ukraine par les mercenaires de l'impérialisme occidental nazi (vidéo 42'') :
http://mai68.org/spip/spip.php?article7887
 
Ukraine - Comme Daech, les nazis de Kiev égorgent leurs victimes ! normal ils sont formés eux aussi par la CIA (vidéo 1'46) :
http://mai68.org/spip/spip.php?article8036

Ucraina: 300 paracadutisti Usa addestreranno i neonazisti di Kiev (di Marco Santopadre, 21 Marzo 2015)
http://contropiano.org/internazionale/item/29790-ucraina-300-paracadutisti-usa-addestreranno-i-neonazisti-di-kiev

«Io, italiano che combatto come “foreign fighter” per l’Ucraina» (di Ilaria Morani, 12/2/2015)
Francesco F. [Fontana, notoriamente vicino a Casapound] è tornato da poco in Piemonte dalla famiglia. Ma nell’ultimo anno è stato a combattere contro i separatisti nell’Est: «Non amo la guerra, lo faccio per ideologia»...
http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_12/io-italiano-che-combatto-come-foreign-fighter-per-ucraina-93bcdefa-b2b0-11e4-9344-3454b8ac44ea.shtml

Crimini della giunta ucraina: il bombardamento di Sakhanka (Fort Rus, 18 Maggio 2015)
Il battaglione punitivo ucraino Azov bombarda con l'artiglieria la cittadina di Sakhanka (Repubblica di Donetsk), situata tra Novoazovsk e Mariupol, a 5 Km dal fronte...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=j7ztOdC4slQ

APPARSA NEL WEB UNA LISTA CON DATI PERSONALI DI 644 COMBATTENTI DEL BATTAGLIONE "AZOV"
(fonte: LNR Today, 25.5.2015 - https://www.facebook.com/lnr.today/photos/a.1590764317856008.1073741826.1590747407857699/1594863534112753/?type=1&fref=nf )
Venerdi 22 maggio, è stato violato il database del battaglione punitivo "Azov", ai comandi di Kiev, da parte di volontari dell`InterBrigata del Sud Est.
Il documento contiene 47 pagine, intitolato: "Lista del personale del reggimento di pattuglia della polizia speciale "Azov" nella regione di Kiev, che desidera continuare il servizio sotto contratto con la Guardia Nazionale dell'Ucraina presso l`unità militare 3057 nella città di Mariupol."
Il file fornisce informazioni su 644 membri del battaglione.
Gli autori del documento riportano generalità, posizione, rango, data di nascita, numero di passaporto, e numero identificativo.
L`elenco risulta consultabile cliccando sul seguente link: http://lnr.today/AzovFull.pdf 

Congresso vieta agli USA di aiutare “Azov” (12.06.2015)
Il Congresso Usa ha accettato emendamenti che proibiscono agli USA di addestrare combattenti del battaglione ucraino “Azov”... "E' occorso più di un anno perché il Congresso veda che questa divisione è fitta di veri nazisti che vanno in giro con emblemi delle SS e si comportano da boia sul territorio occupato"...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150612/547939.html 
African American congressman exposes U.S. support for neo-Nazis in Ukraine (By Greg Butterfield, June 15, 2015)
Rep. John Conyers of Michigan, a veteran of the civil rights movement and longtime member of the Congressional Black Caucus, has introduced amendments to the 2015 Defense Appropriations Act to block the training of Ukraine’s fascist Azov Battalion and prevent the transfer of shoulder-fired anti-aircraft missiles, known by the acronym MANPADS, to Ukraine and Iraq. The amendments passed the House of Representatives on June 11...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/african-american-congressman-exposes-us.html

Ucraina. La 'rivolta' dei battaglioni neonazisti (di Marco Santopadre, 25 giugno 2015)
Il regime ucraino, nato dalla spallata di piazza - Maidan - trasformatosi in golpe violento, fatica sempre di più a controllare i suoi cani...
http://contropiano.org/internazionale/item/31554-ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti
oppure http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=121198&typeb=0&ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti

[Fonte: pagina FB di Noi Saremo Tutto, 7/8/2015
Il noto fascista italiano Francesco Saverio Fontana, che ha affiancato i macellai di Pravy Sektor ed è tornato in Italia nell'impunità più completa, a Londra, insieme ad altri fascisti, cerca di impedire un presidio di solidarietà con le Repubbliche Popolari del Donbass. ‪#‎donbass‬ ‪#‎donetsk‬ ‪#‎lugansk‬‪#‎pravysektor‬ ‪#‎naf‬ ‪#‎ukraine‬ ‪#‎russia‬ ‪#‎novorossija‬]
UK: *EXCLUSIVE* Far-right group disrupt Novorossiya protest outside Ukrainian embassy (Ruptly TV, 2 ago 2015)
Half a dozen people associated with the far-right Ukrainian grouping, the 'Misanthropic Division' disrupted a pro-Novorossiya protest outside the Ukrainian embassy in London, Sunday. A Misanthropic Division member, who called himself Francesca, said "the purpose of our counter-demonstration was to disrupt the pro-Novorossiya scum demonstration."
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vQJpyK5zRxA

Meet the European Fighters Who Have Gone to War in Ukraine (August 25, 2015 - by Christopher Allen)
... While the [Azov] regiment was originally founded as a far-right paramilitary group by Andriy Biletsky, a current member of the Ukrainian parliament and founder of the Social National Assembly and Patriot of Ukraine groups (both also far-right), it has changed over time as this rag-tag paramilitary organization became a fully mechanized regiment closely affiliated with the Ukrainian government...
vice.com/read/european-british-fighters-in-ukraine-920

Come la UE e la NATO prendono parte alle operazioni di guerra nel Donbass (Sputnik, 23.08.2015)
... La cosa più importante che emerge è la constatazione effettiva della presenza di soldati e di uomini dei servizi segreti dei Paesi europei nelle unità paramilitari di volontari ucraini...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150823/1015703.html

Fonte: pagina FB del Comitato per il Donbass Antinazista, 22.12.2015
I volontari del "Battaglione Azov" si sono radunati in Mariupol, una delle più grandi città strappate ai ribelli agli inizi della guerra, per la "Marcia dei coraggiosi" da loro indetta. La marcia è terminata nella piazza della città, dove è stata eretta una statua a Svyatoslav I di Kiev nonostante le autorità locali la abbiano considerata illegale. 
"Se hanno intenzione di demolire il monumento, che ci provino" ha annunciato il comandante del battaglione e membro del Parlamento Ucraino Andrey Beletsky, dopo aver schierato i propri uomini a sorvegliare giorno e notte la statua.
Durante l'occupazione di Mariupol sono state documentate innumerevoli violazioni dei diritti umani, torture ed esecuzioni che si sono riversate maggiormente sugli attivisti di sinistra, molti dei quali costretti alla fuga e che ora ingrossano le fila dei volontari novorussi.
VIDEO: www.youtube.com/watch?v=vhqiemmEjYY

L’allarme di Amnesty International:«In Ucraina è pericoloso essere filorussi» (di Eugenio Cipolla, 26.2.2016)
... Ieri un rapporto dell’organizzazione internazionale per i diritti umani Amnesty International ha denunciato come nell’ultimo anno sia diventato piuttosto pericoloso esprimere posizioni filorusse in Ucraina. Nel rapporto sullo stato dei diritti umani nel mondo 2015, Amnesty ha scritto che la prova di questo è la morte del giornalista Oles Buzina, avvenuta in circostanze cruente nell’aprile 2015, così come l’arresto del giornalista Ruslan Kotsaby con l’accusa di tradimento, dopo che aveva chiesto la cessazione delle ostilità in Donbass, esortando gli uomini ucraini ad abbandonare la mobilitazione militare. Nel rapporto viene anche osservato che i mezzi di comunicazione palesemente filorussi o con simpatie per le milizie separatiste del Donbass hanno subito minacce e vessazione. Ad essere “avvertiti” sono state per esempio i canali tv “112 Ukraina” e “Inter”. Quest’ultima proprio giovedì è finita nel mirino dei soldati del battaglione Azov, che hanno bloccato gli ingressi alla sede della tv a Kiev. Cosa chiedevano? La chiusura dell'emittente televisiva...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=14546

Kiev: anziani antifascisti mettono in fuga i neonazisti della Azov (di Fabrizio Poggi, 19.3.2016)
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/19/kiev-anziani-antifascisti-mettono-fuga-neonazisti-della-azov-076809

Kiev: la Nato punta sui neonazisti del Battaglione Azov (di FP, 18.4.2016)
... Nel Centro di istruzione e addestramento del battaglione neonazista “Azov” – inquadrato dal 2014 nella Guardia nazionale ucraina, prima come battaglione, poi come reggimento e infine quale reparto speciale di linea – è stata inaugurata ieri la prima scuola sottufficiali ucraina basata sugli standard NATO...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/18/kiev-la-nato-punta-sui-neonazisti-del-battaglione-azov-078023


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Sul "giornalismo" di Danilo Elia si veda anche:

LA MACCHINA DEL FANGO. NOTE SU GUERRA E PROPAGANDA IN UCRAINA (di Maurizio Vezzosi, 26/10/2016)
Alcuni giorni fa mi è stato segnalato un articolo pubblicato da East, a firma di un certo Danilo Elia. Sul calco di un articolo-inchiesta pubblicato in ucraino da Radio Free Europe il 4 Agosto scorso, Danilo Elia propone al lettore un viaggio ne “Gli intrecci con l’Italia della propaganda separatista del Donbass”. Le informazioni che l'articolo riporta e che Danilo Elia mette insieme sono quelle presenti nell'archivio di posta elettronica sottratto l'Agosto scorso ad una responsabile del Ministero dell'Informazione della DNR (acronimo di Repubblica Popolare di Donetsk) da alcuni hacker ucraini... Oltre a tentare maldestramente di screditare il mio lavoro, Danilo Elia non si fa il minimo a problema a celebrare come rivoluzionario quel Maidan che ha trascinato l'Ucraina in una guerra civile costata al suo popolo oltre diecimila morti ed una catastrofe sociale che sta dilaniando il paese: un paese in cui i neonazisti occupano ruoli di rilievo nelle rappresentanze istituzionali, negli apparati di sicurezza e nell'esercito e dove ogni opposizione politica viene schiacciata con pestaggi, torture, arresti illegali e omicidi politici.
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_macchina_del_fango_note_su_guerra_e_propaganda_in_ucraina/82_17622/

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GLI SCHELETRI NELL'ARMADIO DI OBC

Coordinamento Ucraina Antifascista, 21.11.2016

Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa (OBC) dall'inizio segue la crisi ucraina in modo parziale e reticente. Facciamo di seguito alcuni esempi.
Su quel portale Danilo Elia ha spesso e volentieri riferito le cronache del battaglione "Azov" e del partito "Pravy Sektor" da una prospettiva quantomeno riduzionista se non addirittura simpatizzante (1). D'altronde, Elia non è nemmeno sicuro se Stepan Bandera vada considerato un collaborazionista dei nazisti o un simpatico gadget (2).
Il consigliere della Commissione Europea Paolo Bergamaschi appare invece su OBC per rilanciare nient'altro che il punto di vista dei suoi datori di lavoro. Bontà sua, nel suo più recente articolo riconosce che l' "Accordo di Associazione con l’Unione europea (...) aveva scatenato la rivoluzione del Majdan" (3), ma non ne trae alcuna conseguenza in senso autocritico bensì sembra caldeggiare una piena annessione dell'Ucraina alla UE subito, nonostante le tragedie che questa posizione fanatica ha già provocato.
In generale, anziché criticare severamente le politiche russofobiche e guerrafondaie della UE, su OBC al massimo si ammicca al lettore con deboli allusioni cerchiobottiste. Eppure la Unione Europea ha responsabilità-chiave nell'infiammarsi di scenari come quello ucraino, in continuità con secoli di politiche russofobiche e antislave, tra le quali 2 (due, finora) Guerre Mondiali. In piazza Majdan ad aizzare la folla dei teppisti nazisti antirussi c'erano Gianni Pittella e Margaret Ashton; lì, in effetti, era in corso EURO-Majdan, e a sventolare erano essenzialmente bandiere della UE, oltre a quelle ucraine e ai vessilli banderisti.
Da ultimo, su OBC Matteo Zola insinua (4) che Putin il 18 marzo 2014 si sarebbe inventato che “dopo il colpo di stato di Kiev, i neonazisti e russofobi al potere” avevano “cominciato a fare dei pogrom contro i russi”. In realtà, il primo grande pogrom antirusso in Ucraina si era verificato il 20-21 febbraio 2014 a Korsun: attivisti dell'EURO-Maidan avevano fermato autobus presso la città di Korsun-Schewtschenkowskiy, alla ricerca di sostenitori del governo legittimo di Janukovič, che rientravano in Crimea dopo avere contro-manifestato a Kiev. Circa 350 persone furono fatte scendere, dapprima maltrattate e torturate, poi uccise a decine (5). Quindi Putin aveva solo preso atto della realtà dei fatti.
OBC è d'altronde quello stesso OBC che non ha *mai* dedicato alcun approfondimento specifico al pogrom più grave e conclamato, trasmesso persino in diretta streaming sui siti internet dei principali organi di informazione mondiali: quello di Odessa del 2 maggio 2014 (6).
OBC è attivo oramai da quasi un ventennio. La sua autodefinizione è quella di "un think tank che si occupa di sud-est Europa, Turchia e Caucaso ed esplora le trasformazioni sociali, politiche e culturali di sei paesi membri dell'Unione Europea (UE), di sette paesi che partecipano al processo di Allargamento europeo e di buona parte dell'Europa post-sovietica coinvolta nella politica europea di Vicinato." Esso mira alla costruzione "della cittadinanza europea e di un'opinione pubblica transnazionale", cioè all'orientamento della opinione pubblica nel senso degli interessi dell'Europa realmente esistente: quella che ha già squartato la Jugoslavia, e che prosegue con le sue politiche di divisione e ricolonizzazione verso i paesi orientali e slavi.
OBC non potrebbe essere altrimenti, perché si tratta di una struttura stipendiata con soldi della Commissione Europea e del Ministero degli Esteri italiano (7).

(6) Il dossier dettagliato in russo sulla strage, con nomi e fotografie di 47 vittime accertate: http://novorossy.ru/articles/prinimayem-ogon-na-sebya
(7) I finanziatori di "Osservatorio Balcani e Caucaso" sono esplicitamente riportati sul sito: http://www.balcanicaucaso.org/Chi-siamo/Sostenitori-75452

#ukraine #humanrights #korsun #pravjsektor #kiev #euromaidan #obc


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http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=126881&typeb=0

Azov: come farvi gradire un nazi-battaglione ucraino

In decine di università europee la proiezione di un documentario sul battaglione Azov, un'operazione simpatia per presentare i nazisti ucraini come patrioti europei

di Fiorangela Altamura – mercoledì 23 novembre 2016

Un'aula universitaria all'Università di Salerno, a Fisciano. Proiettano "Maidan, The Aftermath", un documentario sul battaglione Azov, il reparto militare di ispirazione nazifascista che il governo ucraino scaglia contro le popolazioni del Donbass. Segue il dibattito. Quando mi sono alzata in piedi e ho preso parola non ho potuto che cominciare dal significato del progetto che sta dietro la presentazione del documentario, a Salerno e in altre 20 città d'Europa. Lo spunto di questa campagna è il terzo anniversario delle manifestazioni di piazza ucraine poi passate alla storia come EuroMaidan. Iniziarono pacifiche, confluirono in un colpo di Stato trainato da USA/NATO/UE e sfociarono in una guerra civile perché le popolazioni russofone dell'est non vollero sottomettersi.
Il documentario proposto è frutto di un programma finanziato da un'agenzia dell'UE che "sostiene i progetti meritevoli che rendono coesa l'Europa". L'Università di Salerno, tramite una società che organizza eventi e volontari, si è prestata a proiettarlo in anteprima in Italia.
Leggiamo nei dettagli dell'evento e ancor prima nella pagina che sponsorizza il documentario, dove si mostrano le magnifiche e progressive "prospettive dei giovani ucraini", per "spiegare la situazione ucraina ai cittadini europei". 

In definitiva: per affrontare il tema della guerra in Ucraina si è scelto di raccontare il punto di vista di un giovane volontario del nazi-battaglione che combatte al fianco dell'esercito ucraino contro le popolazioni resistenti del Donbass, proclamatesi Repubbliche autonome. 

Parlo al pubblico - poche persone - che ha appena assistito alla proiezione e vado dritta al nocciolo della questione. Questo documentario rappresenta una chiara scelta politica visto che l'UE ha voluto il golpe ucraino e sostiene l'attuale governo antidemocratico, in guerra contro la propria popolazione e nella cui compagine governativa vede partiti della destra estrema.

Il documentario umanizza la figura del giovane volontario del battaglione Azov e dei suoi amici, di cui mostra fidanzatine e famiglie, e passa per l'addestramento e i combattimenti di quelli che vengono presentati come patrioti liberatori contro l'aggressore russo.

Il moderatore ha tentato di sdrammatizzarne la portata politica e richiesto interventi che si attenessero al documentario in sé. Gli organizzatori hanno ammesso che si trattasse di una "prospettiva di parte" e fosse complicato segnare "la linea di demarcazione tra nazionalismo e degenerazione neo-nazista", ma naturalmente la discussione che si è sviluppata è stata tutta politica. 
In aula c'erano anche giovanissime ragazze ucraine dei progetti Erasmus favorevoli all'azione del battaglione Azov. Due di loro sostenevano di aver conosciuto personalmente, a Mariupol, quei giovani che combattono "per l'orgoglio ucraino, per la libertà". 
"Libertà da chi?", chiedevamo io e la compagna Svetlana -intervenuta a spiegare chi fossero questi volontari e di quali crimini si fossero macchiati- e loro zitte o flebilmente: "dall'invasione, ingerenza russa".
Le ragazze confondevano le aspirazioni a vivere in un paese democratico - essendo il loro modello quello degli altri paesi UE - con la negazione di ingerenze esterne e la degenerazione politica attuale che ha messo fratelli contro fratelli e fa dire loro "l'Ucraina non è mai stata unita". Quali sono i valori trasmessi adesso alla "generazione Erasmus" da questa Europa? L'Europa che vorrebbe unire i popoli, ma che incoraggia nuovi odi.
Solo una si è smarcata dalla propaganda occidentale.

Gli italiani presenti in sala, invece, non hanno preso espressamente posizione ma annuito alle nostre denunce, alle nostre ricostruzioni e infine ci hanno ringraziate per aver portato alla discussione un punto di vista imprescindibile e volutamente ignorato in partenza.

Abbiamo presentato le ragioni di chi sostiene i valori dell'antifascismo, dell'autodeterminazione dei popoli e della democrazia, abbiamo parlato delle ingerenze USA/NATO e della propaganda antirussa, abbiamo ricordato la tragedia di Odessa e i bombardamenti e le sofferenze che soffrono i civili, la resistenza dei partigiani del Donbass.

E di fronte al moderatore che continuava ad affermare "la guerra è brutta, mai più guerre", non ho potuto che concludere affermando che la pace può nascere solo dalla maturazione di una coscienza popolare che rifiuta le ingiustizie e pretende democrazia e giustizia sociale. 


"Vogliamo la pace" è affermazione vana e inefficace se non accompagnata dalla rivendicazione dei propri valori e dal rifiuto degli obiettivi dietro i conflitti che si servono anche della sporca e subdola propaganda cui abbiamo dovuto assistere, in data 21 novembre 2016, in un'università pubblica italiana.



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L’Europa si preoccupi dei mercenari in azione in Ucraina

di Mirna Cortese, 2 febbraio 2015 

5 unità paramilitari al sevizio dell’Esercito di Kiev, al loro interno almeno 250 foreign fighters provenienti dall’Europa. Se non saranno uccisi, prima o poi torneranno

Pensando a un foreign fighter viene in mente un giovane di sesso maschile, di età compresa tra i 19 e i 29 anni, probabilmente di origine mediorientale e musulmano, nonché associato ai preoccupanti avvenimenti in Siria e Iraq. Sì è questa l’immagine che viene in mente alla maggior parte della gente, e questo non è necessariamente sbagliato ma di certo non è una definizione accurata.

Affronta la questione Lewis Barton* sull’Huffingtonpost.uk ponendo però una domanda: “sono i combattenti del fondamentalismo islamico gli unici foreign fighters di cui l’Europa dovrebbe preoccuparsi?” La risposta per Barton è un netto “no”, e mette in guardia sulla minaccia che questi “combattenti” rappresentano per l’Europa una volta che rientreranno nei propri paesi, un pericolo sottovalutato e trascurato. Il conflitto in Ucraina, per fare un esempio, sta fornendo un terreno su cui l’addestramento di stranieri membri di gruppi di estrema destra avviene senza alcuna opposizione.

Uno dei gruppi più temuti è quello del Reggimento Azov, meglio noto come Battaglione Azov (in ucraino Батальйон A3OB), vero e proprio reparto paramilitare fondato da Andriy Biletsky, con compiti sia militari che di polizia, inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina e creato proprio per contrastare la guerriglia dei separatisti filo-Russia del Donbass. Oltre a contare nelle sue fila di volontari provenienti da partiti e movimenti legati all’estrema destra ucraina, questo gruppo neo-nazista vanta non meno di 250 foreign fighter provenienti da Svezia, Finlandia, paesi Baltici, Francia, Spagna e Italia, ma anche russi e canadesi, tutti volontari di chiara ispirazione nazi-fascista. Biletsky, anche membro del partito neo-nazista “Assemblea Nazional Sociale/Patrioti dell’Ucraina, ha adottato, per lo stendardo del suo esercito di mercenari, il Wolfsangel, icona nazista in uso dalle SS nella seconda guerra mondiale, mentre dallo sfondo emerge lo Schwarze Sonne, il sole nero.

“Ancora più preoccupante – secondo Barton – è la presenza di questo gruppo sui social network, con potenti materiali ideologici di estrema destra, indirizzi e numeri di telefono per contatti, tutto in lingua inglese per facilitare il processo di reclutamento e renderlo più accessibile ai potenziali foreign fighter che desiderano aderire”.

La comparsa di foreign fighters che combattono in Europa orientale non è però un fenomeno nuovo. Durante il conflitto russo-ceceno, nel 1995, ne confluirono molti nella regione. Allora perché, secondo Barton, questa volta dovremmo preoccuparci?
Il pericolo rappresentato dal ritorno in patria di un mercenario dall’Ucraina è probabilmente diverso da quello di un foreign fighters che rientra dalla Siria, ma un individuo con vedute radicali che è stato ben addestrato potrebbe commettere o contribuire ad un attentato.

Attualmente, e solo per fare un nome, Barton scrive che del Battaglione Azov fa parte un cittadino svedese, Mikael Skillt (nella foto), un cecchino preparatissimo con sette anni di esperienza nell’esercito svedese. I ribelli filo-russi hanno messo sulla sua testa una taglia di 7000 dollari per il pericolo che Skillt rappresenta, un uomo che si descrive come un “nazionalista etnico per la supremazia bianca”, con posizioni di estrema destra e un potenziale da renderlo pericolosissimo.

Un altro gruppo, delle cinque unità paramilitari ( Azova, Dnepr-1, Dnepr-1, Donbass, Aidar)
al servizio dell’Esercito ucraino, è il Battaglione Aidar, segnalato per aver commesso crimini di guerra: i media riportano abusi, rapimenti, detenzioni illegali, torture e decapitazioni.
“La brutalità del conflitto – si preoccupa Barton – potrebbe anche avere delle conseguenze sulla salute mentale del foreign fighter”. C’è la possibilità che il Ptsd (disturbo post traumatico da stress) possa colpire il mercenario di ritorno al suo paese. Una persona addestrata a commettere atroci violenze potrebbe, in particolari circostanze, tornare a commetterne”.

Ma c’è anche un’altra seria e possibile conseguenza da prendere in considerazione, quella dell’impatto e dell’influenza che il mercenario di ritorno dall’Ucraina può avere su altri simpatizzanti dell’estrema destra, oltre all’aver acquisito una preparazione logistico-militare che potrebbe condividere.

“E’ comprensibile che il problema del rientro di foreign fighters islamici abbia la precedenza, gli attacchi di Parigi hanno preso il centro della scena” scrive Barton. Il traffico dall’Europa verso Siria e Iraq è di certo superiore al flusso verso l’Ucraina. Tuttavia è sufficiente un solo “combattente” di ritorno ad organizzare un attentato devastante. In tal senso Barton ricorda gli attentati commessi in Norvegia da Anders Breivik, solitario estremista di destra xenofobo e antislamista che nel 2011, in due azioni coordinate (ad Oslo e sull’Isola di Utoya) causò la morte di 77 persone.

Barton invita quindi ad immaginare quali azioni potrebbe mettere in atto un mercenario addestratissimo al combattimento, con accesso e collegamenti per procurasi armi. Possiamo solo sperare che si presti più attenzione ai mercenari europei di estrema destra in azione in Ucraina, anche se il conflitto non sembra essere una priorità dei media mainstream, o almeno non in questo senso. “Ma – conclude Barton – finché ci sono organizzazioni disposte a sollevare la questione e a cercare di contrastare la narrativa di estrema destra, qualche speranza c’è”.


* Lewis Barton attualmente lavora per il gruppo di studio londinese per il Dialogo Strategico. Impegnato in FREE, libera iniziativa paneuropea di lotta all’estremismo di destra in Europa. Ha una laurea in War and Security Studies conseguita presso l’Università britannica di Hull.



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http://ilmanifesto.info/i-battaglioni-sono-gli-eserciti-degli-oligarchi-non-dello-stato/

I battaglioni «sono gli eserciti degli oligarchi, non dello Stato»

di Fabrizio Poggi, su Il Manifesto del 4.4.2015

Ucraina. Sondaggio tra la popolazione

Sem­bra si stia attuando abba­stanza ordi­na­ta­mente nelle Repub­bli­che di Done­tsk e di Lugansk il disarmo delle for­ma­zioni mili­ta­riz­zate che non rien­trano nella Mili­zia popo­lare o negli organi di sicu­rezza, il cui ordine, da attuarsi entro il 4 aprile, è stato fir­mato nei giorni scorsi dai lea­der delle due regioni, Zakhar­cenko e Plot­ni­tskij. Gio­vedì scorso, nella Repub­blica di Lugansk, hanno depo­sto volon­ta­ria­mente le armi i com­bat­tenti della bri­gata Rus.

Lo stesso giorno, Zakhar­cenko, men­tre ricor­dava come il 90% della popo­la­zione maschile della Repub­blica di Done­tsk abbia preso parte ai com­bat­ti­menti nelle file della mili­zia, si è impe­gnato per il disarmo delle for­ma­zioni armate non rico­no­sciute e il loro inqua­dra­mento nelle forze uffi­ciali. Que­sto, men­tre la poli­zia mili­tare di Done­tsk liqui­dava un gruppo cri­mi­nale dedito a rapine, estor­sioni, seque­stri di per­sona. La misura sul disarmo viene adot­tata per motivi di ordine pub­blico, ma il prov­ve­di­mento pre­lude a una strut­tu­ra­zione meno «spon­ta­nea» delle forze armate, in vista della for­ma­zione di un eser­cito unico della Novorossija.

Sul fronte oppo­sto, quello dei bat­ta­glioni volon­tari ultra­na­zio­na­li­sti e neo­na­zi­sti ucraini, l’inglese Mor­ning Star scri­veva nei giorni scorsi che, «la peg­gior rina­scita del fasci­smo in Europa avviene in Ucraina». Lo dimo­strano le cele­bra­zioni, uffi­cia­liz­zate dal governo, dell’anniversario del filo nazi Ste­pan Ban­dera. Lo testi­mo­nia soprat­tutto il fatto che oggi, «in nes­sun altro paese al mondo», come scrive il Mor­ning Star, «per­sone che si dichia­rano aper­ta­mente nazi­ste con­trol­lano i ser­vizi di sicu­rezza o occu­pano posi­zioni chiave nel Mini­stero degli interni o nel par­la­mento». È il caso del lea­der di Svo­boda Tja­gni­bok e del suo pupillo Igor Miro­sh­ni­shenko, clas­si­fi­cato dal Cen­tro Simon Wie­sen­thal al 5° posto tra i dieci peg­giori anti­se­miti del mondo. È il caso del Mini­stro degli interni ed ex capo della Guar­dia nazio­nale Arse­nij Ava­kov che, soste­nendo il bat­ta­glione Azov, ha pro­mosso il suo coman­dante Andrej Bile­tskij, capo della neo­na­zi­sta Patrioti d’Ucraina, al rango di tenente colon­nello della poli­zia. È il caso del lan­cio del lea­der di Pra­vyj sek­tor Dmi­trij Jarosh a con­si­gliere del Capo si Stato mag­giore. Ma cosa ne pen­sano gli ucraini? Secondo un son­dag­gio con­dotto dall’ucraino Kor​re​spon​dent​.net, alla domanda «Siete a favore dell’esistenza in Ucraina di bat­ta­glioni mili­tari volon­tari?», il 10,6% ha rispo­sto «Sì, sono eroi dell’Ucraina che com­bat­tono per il nostro paese»; il 22,5% «Sì, ma devono entrare uffi­cial­mente a far parte del Mini­stero della difesa o di quello degli interni». Ma ben il 45% ha detto «No, sono eser­citi degli oli­gar­chi, non con­trol­lati dallo Stato» e il 21,9% «No, ai volon­tari si sono aggre­gati ele­menti cri­mi­nali». E c’è ancora, anche in Ita­lia, chi si entu­sia­sma per l’alone leg­gen­da­rio che cir­con­de­rebbe quei «volontari».


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http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/2015/06/vergogna-i-neonazist.html

VERGOGNA! I NEONAZISTI UCRAINI ARRIVANO AL PARLAMENTO EUROPEO

pubblicato il 26.06.15

Nel 2012 l'Unione europea riceve il premio Nobel per la pace. Nel 2015 una delle sue Istituzioni, il Parlamento europeo, ospita una mostra dal chiaro sapore neonazista. 
Ecco la foto che lo dimostra.
Questo è il simbolo del Battaglione Azov, un reparto paramilitare ucraino con compiti militari e di polizia il cui motto è "morte al nemico!". Durante la guerra civile, i circa 3mila uomini del Battaglione - volontari neonazisti e neofascisti provenienti da frange estremiste ucraine e di mezza Europa - si sono macchiati di crimini contro l'umanità: sono stati uccisi anche dei bambini
Il sito di informazione sulla politica estera L'Antidiplomatico ricorda che "dall'aprile 2014 al 3 giugno scorso in Donbass sono state uccise 6.454 persone, quasi mille in più rispetto a febbraio, mentre i feriti sono 16.146. Anche i bambini hanno pagato un prezzo caro in questo contesto drammatica. Il conflitto ne ha portati via 68 e ne ha feriti 180, secondo i dati forniti dall'Unicef".
Il simbolo in bella mostra al Parlamento europeo era stato fatto proprio da numerose unità militari della Germania di Hitler. Sullo sfondo il sole nero, anch'esso di chiara ispirazione neonazista. Il portavoce al Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo, che ha notato e denunciato l'episodio, scriverà immediatamente una lettera al Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz per chiedere la rimozione delle foto e l'individuazione dei responsabili che hanno autorizzato questo oltraggio alla casa dei cittadini europei. 
Il Parlamento europeo è nato come luogo di antitesi a ogni forma di totalitarismo e autoritarismo. Martin Schulz, che è tedesco, dovrebbe saperlo o davanti agli interessi geopolitici in Ucraina si dimentica dei valori europei?
Il Movimento 5 Stelle Europa è stato il solo a denunciare la risoluzione approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 11 giugno in cui si chiedeva alla Nato di investire risorse belliche nei paesi dell'Est Europa in preparazione di un possibile conflitto aperto con la Russia. 
Fate l'amore, non fate la guerra. 
In questo video il portavoce Fabio Massimo Castaldo spiega perché questo simbolo neonazista deve essere rimosso SUBITO dal Parlamento europeo.

VERGOGNOSO: ll PE ospita una mostra dal chiaro sapore neonazista (Castaldo M5S) (M5S Europa, 26 giu 2015)
Fabio Massimo Castaldo, Portavoce del Movimento 5 Stelle, sembra essere l'unico indignato, insieme ai suoi compagni, di alcune rappresentazioni che da qualche giorno "decorano" i corridoi del Parlamento europeo...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Ltqb50glRD8


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Imperialismo "etico" tedesco-europeo

0) LINKS su "imperialismo etico" e polo imperialista europeo dopo il referendum "Brexit"
1) Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale? (A. Avvisato) / Confronting New Wars / Vor Neuen Kriegen (GFP)
2) L’imperialismo europeo affila le unghie (Marco Santopadre / Guy Verhofstadt)
3) Superpower Europe / Die Supermacht Europa (GFP 16.11.2016)
4) После земљотреса „БРЕГЗИТ" пут ка ЕУ прекинут (Z. Jovanović, 4.7.2016.)


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LINKS su "imperialismo etico" e polo imperialista europeo dopo il referendum "Brexit"

Iperclassico:

Lenin sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa 
pubblicato per la prima volta nel Sotsial-Demokrat, n. 44, 23 agosto 1915
http://contropiano.org/documenti/2016/06/26/sulla-parola-dordine-degli-stati-uniti-deuropa-080928

Sul concetto di "Ethischer Imperialismus", elaborato da Paul Rohrbach nella fase di massima espansione del colonialismo tedesco, si vedano ad esempio:

Walter Mogk 
Paul Rohrbach und das "Größere Deutschland"
Ethischer Imperialismus im Wilhelminischen Zeitalter. Ein Beitrag zur Geschichte des Kulturprotestantismus 
Goldmann Wilhelm GmbH, 1972-1982

Paul Rohrbach

Lo "spazio vitale tedesco" (1995)

Su inquietudini e sviluppi nel polo imperialista europeo a seguito del referendum inglese sulla "Brexit":

GERMAN ARMY CREATES ‘REALITY SHOW’ TO BOOST POPULARITY, CRITICS WARN OF DISTORTIONS (RT, 31 Oct, 2016)
The German army (Bundeswehr) is set to launch a new reality show covering the daily life of fresh recruits. The project, aimed at boosting the popularity of the military, faces mounting criticism from politicians, the public and activists. The reality show, titled ‘The Recruits’, depicts the daily lives of 12 army newcomers during their basic training. The show is split into 90 episodes of about five minutes each and will be put on the Bundeswehr YouTube channel every day, starting from November 1. The project is part of a larger campaign by the government to fill the ranks of the Bundeswehr with new recruits...
VIDEO – DIE REKRUTEN | Offizieller Trailer - Bundeswehr: https://www.youtube.com/watch?v=arPvxu91F8w

SANZIONI ALLA RUSSIA, CI GUADAGNANO USA E GERMANIA (di Redazione Contropiano, 26/10/2016)
... «Nonostante le tensioni con gli Stati Uniti, abbiamo notato che gli scambi commerciali Usa-Russia sono raddoppiati». E lo stesso si può dire di Berlino, che pure figura tra i principali sponsor europei delle sanzioni: alla fine «le principali commesse vanno ai tedeschi. La riprova? «Il Nord Stream, a cui le aziende tedesche partecipano alla grande, ha avuto la meglio sul South Stream, a cui gli italiani non possono partecipare». Insomma, «Noi russi abbiamo la sensazione che tutte queste tensioni con Mosca servano a Stati Uniti e Germania per fare terra bruciata dei loro concorrenti». Il parallelo con le politiche di austerità dovrebbe venir immediatamente in testa a qualsiasi osservatore dotato di cervello....

BERLINO: SERVIZI SEGRETI LIBERI DI SPIARE CITTADINI, GIORNALISTI E PAESI DELL’UE (di Marco Santopadre, 25/10/2016)
La Germania, che nel 2013 arrivò a scatenare una crisi diplomatica con gli Stati Uniti dopo la scoperta che le agenzie di spionaggio di Washington intercettavano le conversazioni dei membri del governo di Berlino e della stessa Angela Merkel, si è dotata ora di una legge che permetterà ai suoi servizi segreti di fare altrettanto con praticamente tutti i cittadini europei...

RESOCONTO DELL’INIZIATIVA “L’EUROPA DELLE BANCHE E DELL’EURO DOPO LA BREXIT“, Parma 30 settembre 2016 (Ross@ Parma)
... la maggior parte del commercio comunitario è basato sul modello mercantilistico tedesco, cioè sul primato commerciale della Germania che deprime le economie degli altri paesi membri. Nonostante questa evidenza empirica, viene veicolata e sostenuta l’opinio communis che la maggiore competitività della Germania derivi dalla presunta virtuosità ed operosità teutonica e che il “ritardo” degli altri paesi dipenda dalla mancata attuazione delle riforme. La mezzogiornificazione dell’Europa è dovuta, invece, proprio al vantaggio competitivo dato dal combinato disposto di deflazione salariale e moneta forte. In altre parole, dalla fissazione del tasso di cambio, che impedisce un riallineamento delle economie, specie durante periodi di crisi come questo. In conclusione l’euro rappresenta un attacco alle classi lavoratrici. “L’euro è uno strumento del capitale”, ha affermato Pavarani, che avvantaggia la concentrazione della ricchezza in alcuni paesi e va a favorire alcune classi sociali, a discapito di altri paesi, delle fasce deboli della popolazione e di un ceto medio sempre più impoverito. È, insomma, uno strumento della lotta di classe condotta dall’alto, un mezzo pensato per essere impugnato dal capitale, mai dal popolo"...

GENTILONI: L’UNIONE EUROPEA VA RISTRETTA AL “NUCLEO DURO” (Alessandro Avvisato, 5 settembre 2016)
... Saltato il tappo rappresentato dalla Gran Bretagna, i sostenitori di una maggiore centralizzazione dei paesi aderenti all'Unione Europea in materia monetaria e militare, sembrano aver trovato maggiore determinazione... L'agenda della discussione nei due vertici europeo sono il documento franco-tedesco (“A strong Europe in a world of uncertainties”) reso noto all'inizio dell'Estate. Il documento propone sostanzialmente un rafforzamento dell’integrazione “con chi e per chi ci sta” su materie come la sicurezza, l'unione bancaria ecc... Che il vertice di Ventotene del 22 agosto tra Renzi, Merkel, Hollande si sia tenuto sulla portaerei Garibaldi non è stato affatto un caso nè una semplice scelta organizzativa. Era un segnale.

BREXIT: A DIFFERENT DEMOCRACY, A DIFFERENT FUTURE (Christopher Black, 2 July 2016)
The historic Brexit vote marks a victory of the working people over the capitalist elites who have used the European Union as a means of extending their exploitation of them to the limits, and which now, along with its imperial rival and overlord, the United States, is arming and preparing for a world war with Russia...

THE EUROPEAN WAR UNION (GFP 2016/06/28)
Together with his French counterpart, the German foreign minister has announced the EU's transformation to become a "political union" and its resolute militarization for global military operations. In a joint position paper, Frank-Walter Steinmeier (SPD) and Jean-Marc Ayrault (PS) are calling for the EU's comprehensive military buildup, based on a division of labor, to enable future global military operations. Following the Brexit, the EU should, step-by-step, become an "independent" and "global" actor. All forces must be mobilized and all "of the EU's political instruments" must be consolidated into an "integrated" EU foreign and military policy. Steinmeier and Ayrault are therefore pushing for a "European Security Compact," which calls for maintaining "employable high-readiness forces" and establishing "standing maritime forces." The European Council should meet once a year as "European Security Council." Before this paper was made public, Germany's foreign minister and chancellor had made comments also promoting a German global policy and massive rearmament, possibly also with EU-support...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58954
ORIG.: DIE EUROPÄISCHE KRIEGSUNION (GFP 2016/06/28)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59398

UN'ALTRA EUROPA È POSSIBILE. UN'ALTRA UE NO. Dichiarazione del Partito Comunista di Irlanda, 28 Giugno 2016
Il Partito Comunista di Irlanda esprime la sua solidarietà e accoglie con favore la decisione dell'elettorato britannico, con i lavoratori che hanno giocato un ruolo decisivo nel voto per lasciare l'Unione Europea... I lavoratori della Gran Bretagna hanno inviato il sonoro messaggio a Londra e Bruxelles che ne hanno abbastanza del bullismo, abbastanza dell'austerità permanente, abbastanza del fatto che gli interessi delle grandi imprese siano posti al di sopra di quelli del popolo. E' anche un significativo rifiuto delle economie da camicia di forza dell'UE. La strategia politica ed economica dell'UE è un affronto alla democrazia e alla capacità dei popoli di decidere democraticamente in merito alle priorità economiche e sociali dei loro paesi e della possibile direzione alternativa...
ENLARGEMENT OF EU QUESTIONABLE (Belgrade Forum, Monday, 27 June 2016)
... BREXIT will doubtless deepen the concept of EU system based on the deprivation of authorities of national states and concentration of the authorities within the bureaucratic Brussels center which is without meaningful control. EU region has entered a long period of political instability and uncertainty. Fleeing of corporate capital from EU appears as inevitable process with all consequences for development, socio-economic aggravation and political turmoil. After illegal secession of Kosovo and Metohija in which, paradoxical, Great Britain together with USA played major role, separatism in Great Britain and the whole of Europe has got new encouragement...
ORIG.: ПРОШИРЕЊЕ ЕУ ДОВЕДЕНО У ПИТАЊЕ (Beogradski Forum, понедељак, 27 јун 2016)
... БРЕГЗИТ даље продубљује кризу концепта ЕУ који је заснован на одузимању надлежности националних држава и концентрацији власти у бирократизованом центру  без контроле. Подручје ЕУ ушло је у дуги период политичке нестабилности и неизвесности. Сеоба корпоративног капитала из ЕУ је неизбежан процес са свим последицама на развојном, социјално економском и политичком плану. Како ће се, кад и по коју цену наћи излаз, остаје нејасно. После илегалног отцепљења Косова и Метохије, сепаратизам у Европи овим је добио нови подстицај...

FLEXIBLE UNION WITH A EUROPEAN FBI (German plans for reorganizing the EU – GFP 2016/06/27)
Berlin is applying intense pressure in the aftermath of the Brexit, to reorganize the EU. Under the slogan, "flexible Union," initial steps are being taken to establish a "core Europe." This would mean an EU, led by a small, tight-knit core of countries, with the rest of the EU member countries being subordinated to second-class status. At the same time, the President of the European Parliament and Germany's Minister of the Economy (both SPD) are calling for the communitarization of the EU's foreign policy, reinforcement of its external borders, the enhancement of domestic repression and the creation of a "European FBI." The German chancellor has invited France's president and Italy's prime minister to Berlin on Monday to stipulate in advance, measures to be taken at the EU-summit on Tuesday. German media commentators are speaking in terms of the EU's "new directorate" under Berlin's leadership. At the same time, Berlin is intensifying pressure on London. The chair of the Bundestag's EU Commission predicts a new Scottish referendum on secession and calls for Scotland's rapid integration into the EU. German politicians in the European Parliament are exerting pressure for rapidly implementing the Brexit and reorganizing the EU. Chancellor Merkel has reiterated her veiled threat that "reconciliation and peace" in Europe are "anything but self-evident," should European countries choose to no longer be integrated in the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58953)
ORIG.: FLEXIBLE UNION MIT EUROPÄISCHEM FBI (GFP 27.06.2016)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59397

LA LOTTA DEL NOSTRO TEMPO (di Alessandro Mustillo | senzatregua.it, 24/06/2016)
...  Dall'eurocomunismo in poi l'accettazione dell'orizzonte comune europeo ha modificato una visione internazionalista nell'accettazione dell'Europa unita e delle sue istituzioni, dei suoi meccanismi, come terreno di azione nella ricerca della modifica riformista della politica europea. Un errore storico enorme...
http://www.senzatregua.it/la-lotta-del-nostro-tempo/
oppure http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepgf24-018110.htm

THE FIRST EXIT (UK votes against EU membership – GFP 2016/06/24) 
The British people's vote yesterday to take their country out of the EU is shaking up the EU, and Berlin's plans to use the EU for its own hegemonic policies. With a 72 percent turnout, 52 percent of the British voters opted to wave good-bye to the EU. This vote has a major impact on Berlin, not only because Europe's second largest economy - after Germany's - and a prominent military power will be leaving the EU and therefore no longer be available for German hegemonic policies imposed via the EU. It also can lead to a domino effect. Calls for referendums are being raised in other EU member countries. In several member countries, the EU's growing unpopularity is reinforcing centrifugal forces. The Swedish foreign minister has explicitly warned of a "spill-over effect" that could lead to a Swedish EU exit. In the German media, demands are being raised to simply ignore the referendum and let the British parliament vote in favor of remaining in the EU. Berlin has already begun reinforcing its national positions - independent of the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58952
ORIG.: DER ERSTE AUSTRITT (GFP 2016/06/24) 
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59396


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Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale?


di Alessandro Avvisato

La leadership del capitalismo del dopo Trump potrebbe parlare tedesco. Sono in molti oggi a scrutare dietro e intorno la visita di congedo di Barak Obama in Germania. La visita avviene, tra l'altro, nei giorni in cui la cancelliera Merkel ha fatto sapere di volersi ricandidare al governo. Osservatori acuti come Danilo Taino sul Corriere della Sera non nascondono affatto l'impressione che con la visita di Obama "il mantello di difensore della libertà e dei valori occidentali passerà alla leader tedesca". Insomma un cambiamento epocale non indifferente, per l'Europa sicuramente ma anche per le relazioni internazionali nel loro complesso. 

"Trump costringe l'Unione Europea a guardarsi nello specchio", commenta Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. Un'assunzione di responsabilità nella leadership dell'occidente che pone la Germania al centro, ma trascina con sè l'intera Unione Europea.

A conferma di questo possibile passaggio di testimone dagli Usa "trumpizzati" alla Germania dominus sull'Unione Europea, c'è la notizia di una sorta di supervertice a Berlino in occasione della visita di Obama. Sono infatti stati invitati Hollande, Renzi, Rajoi, e anche Theresa May, per la Gran Bretagna del dopo Brexit. Insomma le principali potenze europee converranno nella capitale tedesca e non certo per una commovente cena di commiato con Obama.

E' ormai evidente da anni come la competizione globale prima, e il picco di crisi del 2007 poi, abbiano accentuato le contraddizioni dentro le borghesie imperiali. Uniti come mai contro i lavoratori, i vari segmenti delle classi dominanti sono stati squassati e ridefiniti piuttosto bruscamente. Alcuni sono andati giù, perdendo posizioni e peso, perchè troppo legati a mercati interni depressi; altri invece hanno aumentato il loro peso proprio perchè più internazionalizzati, dunque perfettamente inseriti nella dimensione globale della competizione e degli apparati creati per gestirla. 

Questo scontro è stato ben visibile nelle accelerazioni impresse dentro l'Unione Europea (di cui l'adozione l'euro è stato un fattore decisivo), che ha lasciato morti e feriti non solo tra i lavoratori e le classi popolari. E' evidente che una parte dei sentimenti antieuropeisti – come emerso con la Brexit – rappresentino anche questo tipo di contraddizioni. 

Ma con l'elezione di Trump, lo scontro tra i segmenti del capitalismo più multinazionalizzati e quelli legati alla crescita o depressione dei mercati interni, si è fatta più detonante, soprattutto perchè ha avuto l'epicentro negli Stati Uniti, conferendogli così un riflesso internazionale di enormi proprozioni. 

Lo stallo negli Usa indebolisce la leadership globale esercitata fino ad oggi e richiede che qualcun altro provi a prendere in mano questa fase di incertezza, di evidente transizione di fase storica.

Le ripercussioni erano già visibili neanche troppo sottotraccia nei mesi scorsi. All'indomani della Brexit britannica, l'Unione Europea aveva tolto il freno a mano e proceduto rapidamente nella definizione di un progetto comune in materia politico/militare.  Su questo terreno occorre sottolineare che entro dicembre 2016 verrà definito il piano di attuazione dell'Eugs, ovvero la Strategia Globale dell'Unione Europea presentato a giugno da Lady Pesc, Federica Mogherini, in coordinamento con i quartieri generali di Bruxelles. Contestualmente si riunirà il coordinamento tra la Nato e il Seae ossia il Servizio Europea per l'Azione Esterna.

Inutile dire che su questa accelerazione nella definizione delle ambizioni e delle responsabilità globali dell'Unione Europea, un ruolo centrale lo avrà la Germania. Anche sul piano militare e strategico. Lo scorso 13 luglio è stato pubblicato il nuovo "Libro Bianco" della Bundeswehr (la Difesa tedesca). Questa edizione ha aggiunto alla politica mondiale tedesca ulteriori e più ambiziosi obiettivi rispetto a qualsiasi altro documento scritto in precedenza. 

"L'orizzonte della politica di sicurezza tedesca è globale", è scritto esplicitamente nel documento, che annuncia al mondo: "Berlino, in considerazione della sua forza economica, politica e militare" intende contribuire a "plasmare attivamente il nuovo ordine mondiale". La Repubblica Federale è pronta non solo "a presentarsi nel dibattito internazionale come una forza decisiva e pragmatica", ma anche ad "assumere la leadership nella politica internazionale". Le ambizioni della politica di Berlino non si riferiscono solamente alle rotte commerciali globali su acqua, terra o in aria, ma anche "alla cibernetica, all'informazione e a allo spazio".

Un articolo scritto a quattro mani da due responsabili della Difesa tedesca, [commentato] su German Foreign Policy, ritiene che le ambizioni politiche espresse nel “Libro Bianco” sono ormai di carattere globale e in futuro dovranno essere messe in pratica e riempite di dettagli.  Secondo i due dirigenti tedeschi anche l’UE si trova davanti ad una nuova fase di militarizzazione: sotto la guida tedesca, ormai apertamente proclamata, diversi capi di stato e lo stesso commissario europeo Juncker si sono pronunciati a favore della creazione di un esercito europeo.

Ormai dobbiamo dircelo con franchezza: non c'è ambizione di leadership globale senza gli strumenti per attuarla. L'aria che si respira in Europa e che spira da Berlino è questa. Prima se ne diventa consapevoli e meglio è. Ragione in più per cercare di mettersi di traverso al consolidamento del polo imperialista europeo e dei suoi apparati. 

Rompere e uscire dall'Unione Europea non è un atto di egoismo nazionalista (come nei vaneggiamenti fascioleghisti), ma è un tentativo concreto di inceppare una macchina pericolosa per le popolazioni europee e per l'umanità.

16 novembre 2016


Link all'articolo cui si riferisce Alessandro Avvisato:

CONFRONTING NEW WARS (GFP 2016/08/31)
The German Bundeswehr's new "White Paper" is conceived as just a milestone in the ongoing development of German global policy and its instruments, according to an article published by Germany's leading foreign policy periodical. According to the article's two authors, who had been in charge of elaborating the "White Paper" for the German Defense Ministry, the White Paper's explicit claim to shape global policy and policy for outer space must be implemented and "brought to life" in the near future. While the German government is initiating new projects for upgrading military and "civil defense" measures, the EU is boosting its militarization: A growing number of government leaders of EU member states are supporting the creation of an EU army under openly proclaimed German leadership. According to a leading German daily, the balance sheet of recent German military involvements is "not exactly positive," but this should not discourage future military interventions. One should, however, not expect too much and harbor "illusions about rapid successes."...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58966
AUF DEUTSCH: Vor neuen Kriegen (GFP 31.08.2016)
Das neue "Weißbuch" der Bundeswehr ist lediglich als "Meilenstein" auf dem Weg einer stetigen Weiterentwicklung der Berliner Weltpolitik und ihres Instrumentariums konzipiert. Dies geht aus einem Beitrag hervor, den zwei Weißbuch-Verantwortliche aus dem Bundesverteidigungsministerium für die führende deutsche Außenpolitik-Zeitschrift verfasst haben. Demnach muss der "Gestaltungsanspruch" des Weißbuchs, der sich ausdrücklich auf die gesamte Erdkugel sowie den Weltraum erstreckt, in der nächsten Zeit umgesetzt und "mit Leben" gefüllt werden. Während die Bundesregierung neue Hochrüstungspläne und neue Maßnahmen der zivilen Kriegsvorbereitung in die Wege leitet, steht auch der EU ein neuer Militarisierungsschub bevor: Unter offen proklamierter deutscher Führung sprechen sich immer mehr Regierungschefs von EU-Mitgliedstaaten für den Aufbau einer EU-Armee aus. In einer führenden deutschen Tageszeitung heißt es, zwar sei die Bilanz der bisherigen deutschen Kriege "nicht gerade positiv". Das solle aber nicht von künftigen Militärinterventionen abhalten; man müsse lediglich die Erwartungen an sie klar herunterschrauben: Es gelte, sich keinerlei "Illusionen über rasche Erfolge zu machen"...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59430


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http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/11/18/difesa-comune-imperialismo-europeo-086061

Verso la ‘difesa comune’. L’imperialismo europeo affila le unghie


di Marco Santopadre

Viviamo tempi di notevole accelerazione sul fronte degli equilibri internazionali, di cambiamenti repentini sull’onda di processi che hanno incubato per decenni, di decisioni più o meno irrevocabili. E’ il caso dell’integrazione dell’Unione Europea anche a livello militare, un progetto vecchio quanto la stessa Comunità Economica Europea e lungamente rimasto nei cassetti di qualche burocrate.
Sembra però che, dopo numerosi tentennamenti e rinvii ma anche qualche passo in avanti – perché negli ultimi anni, in realtà, molto è stato fatto in vista della creazione di una soggettività coordinata continentale anche sul fronte militare – l’acuirsi della competizione internazionale tra blocchi geopolitici e il declino della superpotenza statunitense stiano trasformando il fumoso progetto in una realtà concreta.

Difficile dire quali saranno i tempi di concretizzazione di quella che eufemisticamente i tecnocrati e gli euro burocrati chiamano ‘difesa comune’; ma a leggere quanto affermano e decidono i capofila dell’establishment dell’Unione Europea pare proprio che stavolta si stia facendo sul serio.
In effetti i passi concreti decisi dalle riunioni dei ministri degli Esteri e della Difesa tenutesi a Bratislava nel settembre scorso e direttamente a Bruxelles pochi giorni fa appaiono più che significativi. L’Unione Europea viaggia speditamente verso la costituzione di un suo esercito, di un suo meccanismo di gestione separato rispetto a quello dell’Alleanza Atlantica, di un comune quadro di intervento nelle crisi internazionali in difesa dei propri obiettivi egemonici e dei propri interessi.

Nel Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 14 novembre scorso il consenso nei confronti delle proposte di Federica Mogherini e dei governi che recentemente hanno deciso di accelerare il passo sulla necessità di una indipendenza militare dagli Stati Uniti è stato ampio, anche più del previsto.
Fino ad ora alcuni governi dell’Europa Orientale avevano puntato i piedi contro lo sviluppo di una capacità militare europea, considerata perniciosa per la sovranità dei singoli governi sugli eserciti nazionali e in contrasto con il quasi totale controllo esercitato finora dagli Stati Uniti direttamente o attraverso la Nato. Ma la vittoria della Brexit nel referendum britannico di inizio estate ha sottratto a Londra – da sempre capofila del ‘no’ all’esercito europeo in nome della solidarietà transatlantica – il notevole potere di interdizione esercitato finora. La recente sconfitta di Hillary Clinton indebolisce inoltre la posizione e gli argomenti di quei paesi che vorrebbero continuare ad affidare il capitolo difesa ad una amministrazione statunitense in pectore che però lancia bordate contro la stessa Nato e minaccia di abbandonare a sé stessa l’ingrata e tirchia Unione Europea.

E quindi nonostante la contrarietà dei rappresentanti britannici – con un piede dentro ed un piede fuori in attesa di capire se e quando il voto popolare sulla Brexit verrà concretizzato – e i mugugni di quelli di alcuni paesi dell’Europa Orientale, i 56 ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi membri dell’Ue hanno dato il proprio via libera alla “Global Strategy on Foreign and Security Policy”, il progetto presentato a giugno dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini.

Si tratta, dicevamo, di passi importanti, anche se i promotori dell’accelerazione sul fronte della creazione dell’esercito e di un complesso militare-industriale europei si sono sforzati di evitare l’uso di categorie ed etichette che possano eccessivamente allarmare i governi e i settori critici.
Al di là delle denominazioni soft e degli eufemismi abilmente impiegati, il piano prevede l’implementazione di una politica militare europea unica e integrata, mirante a fronteggiare crisi esterne, ad assistere eventuali partner nello sviluppo delle loro capacità di difesa, a “proteggere” l’Unione Europea. Come si vede la proiezione esterna e le ambizioni egemoniche dell’operazione sono più che evidenti, a smentire l’utilizzo dell’assai più rassicurante termine “difesa europea”.
Il documento licenziato a Bruxelles infatti elenca una lunga serie di tipologie di interventi militari all’esterno dei confini dell’Unione: dalle operazioni in situazioni definite ad alto rischio in territori circostanti l’Unione Europea, a quelle di ‘stabilizzazione’ a quelle di ‘reazione rapida’, a quelle di sorveglianza e pattugliamento dei confini e dei mari, alle missioni di addestramento di forze militari di altri paesi ecc. Inoltre nel novero delle operazioni che l’Ue si incarica di intraprendere all’esterno dei propri confini vengono incluse quelle svolte da un certo numero di “corpi civili”, ovviamente sempre sotto il controllo dei meccanismi di gestione unitaria del comparto militare (del resto già ampiamente rodati nella gestione dell’interventismo militare europeo nei Balcani negli ultimi decenni).

Il documento evita accuratamente di parlare di ‘esercito europeo’, ma pone comunque l’accento sulla necessità di implementare e utilizzare i cosiddetti “battlegroups”, delle unità di intervento rapido formati da contingenti militari provenienti da vari paesi del continente che rispondano ad un’unica catena di comando svincolata dai singoli paesi. Infatti il piano prevede la formazione di una struttura di coordinamento europeo, un vero e proprio Quartier Generale basato a Bruxelles, incaricato di gestire un numero di missioni, operazioni ed incombenze che si annuncia in rapida crescita. L’organismo, composto di due catene di comando che agiranno di comune intesa – una pienamente militare e l’altra civile – dovrà rispondere direttamente al Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione Europea; non si tratta ancora dello Stato Maggiore Unificato Europeo che Francia, Germania, Italia, Spagna ed altri paesi invocano da tempo, ma poco ci manca.

Il piano europeo afferma che la Nato resta l’organismo incaricato di assicurare la difesa collettiva di tutto gli stati membri, ma che sul fronte della difesa dei cittadini da eventuali minacce esterne – terrorismo, attacchi informatici ed altro – e su quello della protezione dei confini contro l’immigrazione irregolare, la palla passa a organismi comunitari ad hoc. Di qui la conferma della creazione di un’agenzia comune per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori e di una Guardia di Frontiera e Costiera continentali.

Per bypassare le resistenze di alcuni paesi e accelerare l’integrazione militare continentale, il piano approvato il 14 novembre, anche in questo caso su iniziativa dei paesi più importanti, prevede l’utilizzo della “Cooperazione strutturata permanente” (Pesco) prevista dal Trattato di Lisbona. Per evitare di attendere che tutti i paesi aderenti all’Ue siano e pronti ad intraprendere lo storico passo, ci si affida ad una cooperazione maggiore tra i paesi immediatamente disponibili nel campo della ricerca militare e tecnologica, dello sviluppo, della produzione e dell’ammodernamento di piattaforme e sistemi militari necessari a consentire all’esercito europeo di svolgere i compiti fissati dal documento approvato. Si sancisce di fatto anche in campo militare – così come già avvenuto in passato sul fronte della moneta unica – la strutturazione di un’Europa a due velocità, con la creazione di due diversi livelli di integrazione. Ovviamente prevedendo che i paesi ‘più lenti’ e ‘meno convinti’ prima o poi dovranno necessariamente adeguarsi al grado di integrazione maggiore i cui tempi e modi verranno dettati dai paesi del “nucleo duro” dell’Unione, cioè Francia e Germania. Un capitolo, questo, che ovviamente riguarda anche gli investimenti nell’industria militare e nel complesso militare-industriale europeo, senza il quale è difficile pensare che il progetto di un esercito continentale indipendente nei confronti di Washington e della Nato possa avere una qualche chance. A coordinare il tutto dovrebbero essere organismi come l’Agenzia di Difesa Europea e il Comitato Militare Europeo, con l’attribuzione anche alla Commissione Europea nella sua interezza e ai singoli commissari di un maggiore potere di indirizzo ed intervento in campo militare oltre che nell’orientamento della spesa e degli investimenti nel settore ‘difesa’. Inoltre il piano licenziato a Bruxelles dal Consiglio Europeo sancisce anche l’inserimento di un capitolo, nel bilancio settennale dell’Ue, dedicato alla spesa militare e alla ricerca tecnologica, oltre che la possibilità per la Banca Europea degli Investimenti di finanziare il complesso militare-industriale europeo.

Come si vede si è ampiamente superato il piano della speculazione politica e dei buoni propositi. Le ambizioni imperialiste ed egemoniche che la borghesia transnazionale europea da tempo coltiva richiedono la rapida realizzazione di strumenti e di meccanismi in grado di difenderle ed imporle nei confronti degli avversari ma anche degli alleati di un tempo, ormai di fatto dei competitori su uno scacchiere globale in cui gli attori dello scontro sono sempre più numerosi e determinati.

Qualche giorno fa, proprio a commento e a sostegno dell’importante passaggio realizzato a Bruxelles, la Ministra della Difesa italiana, Roberta Pinotti, aveva affermato che è ormai “giunto il tempo che l’Europa assuma maggiori responsabilità comuni e una propria capacità nel settore della Difesa”, indipendentemente da quello che farà il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L'Ue dovrebbe "spendere di più e soprattutto spendere meglio. Negli ultimi 10 anni sono stati fatti dei tagli notevoli, senza precedenti, al bilancio della difesa: si sono tagliati a volte anche gli stessi assetti" ha aggiunto la Ministra Pinotti, aggiungendo che "i paesi che hanno ridimensionato (la loro spesa per la difesa, ndr), lo hanno fatto in una prospettiva esclusivamente nazionale". "In Italia, comunque – si è vantata la Ministra della Guerra del governo Renzi -, non si sta più tagliando: c'è una stabilizzazione e anche una ripresa della consapevolezza dell'importanza di investire nella difesa. Ciò detto, riuscire a integrare le nostre risorse nelle eccellenze necessarie per il futuro, che sono molto costose, credo che ci permetterebbe di spendere molto meglio e in modo molto più efficace", ha concluso il ministro.

Alle esplicite dichiarazioni dell’esponente del governo italiano fanno seguite quelle, ancora più nette e di valore strategico, contenute in un intervento del dirigente liberale belga ed europeo Guy Verhofstadt, pubblicato questa mattina sul quotidiano di Confindustria. Senza peli sulla lingua e nonostante alcuni giustificazionismi di ordine ideologico, il rappresentante dell’establishment europeo dichiara apertamente quali devono essere gli obiettivi di una politica militare comune europea che invita a rilanciare con urgenza, rivendicando esplicitamente le pretese egemoniche di Bruxelles su quello che viene considerato il proprio ‘cortile di casa’ – dal Medio Oriente all’Ucraina – in contrapposizione tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti. Quella del liberale belga è una dichiarazione programmatica delle ambizioni e delle mire imperialiste dell’Unione Europea che ha ben poco da invidiare a quelle declamate dai neocon statunitensi nei decenni scorsi.

Ovviamente Verhofstadt addebita a Trump la responsabilità di abbandonare l'Ue a sè stessa dal punto di vista militare obbligandola a compiere un passo – l'indipendenza militare – troppe volte rimandato. Ma ovviamente la verità è che Trump potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti costretto a palesare una inimicizia tra due ex alleati, Usa e Ue, che nel tempo si sono allontanati in virtù proprio della tendenziale inconciliabilità dei rispettivi interessi e della competizione sulle stesse aree di influenza (i riferimenti al Ttip da una parte e alle offese di Victoria Nuland sono nell'intervento di Verhofstadt assai indicative).

Continuare a denunciare e a contrastare il solo imperialismo di Washington, come si ostinano a fare ancora alcune aree della sinistra radicale e non, a questo punto rischia di configurarsi come un oggettivo e irresponsabile sostegno nei confronti delle ambizioni sempre più concrete dell'imperialismo europeo.
 

Marco Santopadre

 

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Perché non è più rinviabile una Difesa comune

di Guy Verhofstadt (Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2016)

Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, un evento che celebra il trionfo del nativismo sull’internazionalismo. Nel confronto tra società aperte e chiuse, le seconde escono palesemente vincitrici, mentre la democrazia liberale si appresta a diventare un movimento di resistenza.

Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa diventeranno l’ossessione di se stessi. Ormai si può affermare con certezza che il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea è destinato al fallimento. Ma la presidenza Trump avrà un impatto negativo sull’Europa per molti altri aspetti. In gioco adesso c’è l’integrità territoriale dell'Ue stessa.

Trump ha detto senza mezzi termini che le sue priorità in politica estera non includono la sicurezza europea. Egli, inoltre, non riconosce la necessità strategica della Nato e ha dimostrato qualche interesse per le relazioni transatlantiche solo alludendo a dei conti in sospeso. Una presidenza Trump determinerà un cambiamento geopolitico di portata epica: per la prima volta dal 1941, l’Europa non potrà contare sull’ombrello difensivo americano e si ritroverà da sola.

L’Europa si è fin troppo crogiolata in un’esistenza facile. Durante il secolo scorso, le relazioni transatlantiche hanno tacitamente obbedito a una dinamica perversa, in base alla quale quanto più gli Usa erano attivi, tanto più l’Europa sonnecchiava. Quando gli Americani sono intervenuti all’estero, come nel caso dell’Iraq, l’Europa ha risposto con pompose prediche sull’ingerenza imperialista. E quando gli americani non sono riusciti a intervenire, o l’hanno fatto in ritardo o in modo inefficace, come in Siria e Libia, gli europei hanno invocato più leadership americana.

Quell’epoca è ormai finita. Trump sa che l’Ue ha i fondi, la tecnologia e le competenze necessarie per essere una potenza globale al pari degli Usa, e non è un suo problema che le manchi la volontà politica di sfruttare appieno il proprio potenziale.

Per troppo tempo noi europei abbiamo dato per scontato che è più economico e sicuro lasciare che gli Stati Uniti ci tolgano le castagne dal fuoco, anche quando i problemi sono in casa nostra. Con l’elezione di Trump (e considerato il discutibile retaggio dell’America in politica estera), dobbiamo abbandonare questa convinzione.

L’Ue dovrebbe interpretare l’elezione di Trump come una chiamata a riprendere in mano le redini del proprio destino. Conflitti quali la sanguinosa guerra civile in Siria e l’annessione della Crimea o l’intervento nell’Ucraina orientale da parte della Russia hanno un impatto diretto sulla sicurezza, le economie e le società degli stati membri dell’Ue. Eppure, finora sono stati i russi e gli americani, anziché gli europei, a determinare il destino dell’Ucraina, così come quello di altre zone di confine europee. L’Ue, pertanto, ha abdicato al controllo ultimo della propria sicurezza, rapporti commerciali e flussi migratori.

Nel 2014 è stata intercettata e postata sul web un’eloquente conversazione tra il vicesegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland e l’ex ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. Parlando della risposta Usa in Ucraina – dopo che l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych era fuggito in Russia – Nuland dice, «L’Ue? Si fotta». Questo è un atteggiamento che l’Europa ha consentito, e se è già grave che un funzionario dell’amministrazione Obama abbia espresso un pensiero simile, si può solo immaginare cosa succederà con Trump, che potrebbe non prendersi neppure la briga di nominare un funzionario per gli affari europei ed eurasiatici.

Ecco perché l’Ue non può più rimandare la creazione di una propria Comunità europea di difesa e lo sviluppo di una propria strategia di sicurezza. Il primo intervento dovrebbe puntare a snellire ed espandere i rapporti bilaterali e regionali, non da ultimo con e tra i paesi baltici e scandinavi, nonché tra Belgio e Paesi Bassi, e Germania e Francia. Tutte queste relazioni eterogenee vanno riunite sotto un unico comando europeo, finanziato da fondi comuni e con un sistema di approvvigionamento condiviso d

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Pagati per scendere in piazza. Gli annunci sul web, "vi diamo 15 dollari all'ora per protestare contro Trump"


di Augusto Rubei, 15/11/2016

Seattle, 9 novembre 2016, 24 ore dopo l'elezione di Donald Trump. Leggiamo: "Combatti l'Agenda Trump! Assumiamo attivisti a tempo pieno. Washington Can! È la più radicata associazione politica no-profit del nostro stato. Da oltre 35 anni ci battiamo a livello locale e nazionale su tematiche quali le questioni razziali, il sociale, la sanità, i diritti degli immigrati, l'equità fiscale. Siamo alla ricerca di persone motivate, che sia per un part-time o a tempo pieno. Offriamo dei posti fissi e abbiamo diverse posizioni di lavoro. Offriamo assistenza medica, ferie pagate, giorni di malattia retribuiti, aspettativa. Viaggi. La paga media varia tra i 15 e i 20 dollari l'ora". 

Come facilmente si intende, trattasi di un annuncio di lavoro, anche se non è chiaro di che tipo. Piuttosto chiara è l'associazione promotrice: Washington CAN! è l'acronimo di Washington Community Action Network, una piattaforma molto vicina alla sinistra borghese statunitense. Il messaggio conclude con i recapiti del caso: "Se sei disponibile full time chiama Sol, 206-805-668. Per il part time chiama Nathan, 206-805-6678".

Philadelphia, annuncio più breve ma dello stesso tenore. Data: 5 novembre 2016. Tre giorni prima dell'elezione di Donald Trump. Leggiamo di nuovo: "Stop Trump. Assumiamo subito! Chiama oggi e inizierai domani. Paghiamo dai 15 ai 18 dollari all'ora + bonus + straordinari e garantiamo fino a 77 ore alla settimana. Rimborso benzina, turni serali e di mattina. Non è richiesta alcuna esperienza pregressa, tempo pieno o part time, posizioni per lavorare il weeekend. No raccolta fondi! Nessuna commissione! Chiama 267-606-5147". 

Pittsburgh, sempre 5 novembre 2016. Medesimo annuncio, perfettamente identico a quello di Philadelphia. Cambia il numero di telefono da contattare: "Chiama il 412-417-7632". Il titolo è accattivante, si promettono 1.500 dollari a settimana (che corrispondono a oltre 5.500 euro al mese). Siamo al terzo, nel giro di una decina di giorni a cavallo con l'elezione del tycoon alla Casa Bianca. Cosa hanno in comune queste tre offerte? Primo: fermare Trump; secondo: la paga oraria (molto buona); terzo: il sito web dove sono pubblicate, vale a dire Craigslist, un database molto popolare negli Stati Uniti che ospita annunci dedicati al lavoro, eventi, acquisti, incontri.

Per mesi sono circolate voci in rete sulle manifestazioni di protesta pilotate contro Trump. Nei giorni scorsi è emerso il ruolo di MoveOn dietro la gran parte delle contestazioni sollevate a poche ore dal verdetto elettorale. Parliamo di un'altra piattaforma, che si definisce progressista e che ospita numerose petizioni sul modello di Change.org, fondata come risposta all'impeachment del presidente Bill Clinton, di area "democratica" e finanziata con decine di milioni di dollari da George Soros. 

Non a caso proprio il miliardario filantropo e diversi paperoni liberal che hanno inondato con altri milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton si riuniranno da qui a breve in una tre giorni a porte chiuse per valutare le strade con cui combattere Donald Trump. L'incontro è sponsorizzato dal club dei finanziatori Democracy Alliance e include la partecipazione di alcuni politici di spicco, da Nancy Pelosi alla senatrice Elizabeth Warren.

È impossibile affermare con certezza - come accusato anche dallo staff di Trump in queste ore - che da Portland all'Oregon, passando per Los Angeles, Denver, Minneapolis, Baltimora, Dallas e Oakland, in California, ogni singolo raduno sia stato messo in piedi come se fosse una grande fiction hollywoodiana. Ma il sospetto c'è, così com'è assai probabile che i tre annunci di cui sopra siano orientati a reclutare manifestanti per sovvertire l'ordine, democratico, degli eventi.

A tal proposito, di testimonianze ce ne sono state eccome. La più scioccante è stata quella di un uomo di nome Paul Horner, che ha confessato all'Associated Press di essere stato pagato ben 3.500 dollari per prendere parte a una contestazione anti-Trump in marzo, a Fountain Hills, Arizona. 

Paul, 37 anni, ha spiegato di essere stato ingaggiato dopo aver risposto ad un annuncio su Craigslist. "Al momento del colloquio mi dissero che avevano bisogno di attori per un evento politico. Mi hanno fatto una breve intervista e ho ottenuto la parte. Non so chi fossero queste persone, la mia ipotesi è che facessero parte della campagna Clinton. Il gruppo si faceva chiamare "Le donne sono il futuro". Quando mi hanno assunto mi hanno detto che se qualcuno mi avesse fatto domande avrei dovuto iniziare a parlare di quanto sia bello e bravo Bernie Sanders".

Ma non è finita: "Quando sono arrivato alla manifestazione mi sono accorto di essere circondato da persone che avevo incontrato al colloquio. Ho parlato con alcuni di loro e ho capito che i latini li avevano pagati 500 dollari, 600 i musulmani, 750 gli afro-americani. Donne e bambini sono stati pagati la metà rispetto agli uomini, mentre i clandestini hanno preso 300 dollari. Penso di essere stato pagato più degli altri manifestanti perché ero bianco e avevo preso lezioni di lotta e boxe qualche anno prima".




(english / italiano)

Che dire di Trump?

1) L’alternanza del Potere imperiale (Manlio Dinucci)
2) Welcome to the Trump show! An interview with John Catalinotto


More links:

US ELECTIONS – THE END OF AMERICAN EXCEPTIONALISM? (Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum for a World of Equals, 5.11.2016)
...  neither of the two candidates is ready to leave behind the global imperial USA role and strategy designed to suit the interest of  military industrial complex and global financial capital (Wall Street)...  Whoever is elected - Clinton or Trump – will inherit the deepest division in American society as extremely heavy reward to deal with, most likely, during the whole mandate...

JULIAN ASSANGE: “E’ STATA HILLARY A VOLERE LA GUERRA IN LIBIA” (di Stefania Maurizi – L'Espresso / Redazione Contropiano, 5.11.2016)
Un documento di estremo interesse, per chi vuol capire davvero come funziona il potere dell'imperialismo Usa oggi. E soprattutto perché l'informazione mainstream è – ovunque – pura propaganda...

SECRET WORLD OF US ELECTION: JULIAN ASSANGE TALKS TO JOHN PILGER (FULL INTERVIEW – RT, 5 nov 2016)
Whistleblower Julian Assange has given one of his most incendiary interviews ever in a John Pilger Special, courtesy of Dartmouth Films, in which he summarizes what can be gleaned from the tens of thousands of Clinton emails released by WikiLeaks this year.
READ TRANSCRIPT: http://on.rt.com/7ty5
TRAD.: John Pilger intervista Julian Assange (sakeritalia, 6 nov 2016)
Un passo dell'intervista che Julian Assange ha concesso al giornalista australiano John Pilger: l'ISIS è stato pagato dai governi dell'Arabia Saudita e del Qatar, gli stessi che hanno sempre finanziato la Fondazione Clinton. L'intervista completa è qui: https://www.youtube.com/watch?v=_sbT3_9dJY4

INSIDE THE INVISIBLE GOVERNMENT: WAR, PROPAGANDA, CLINTON & TRUMP (John Pilger, 27 October 2016)
... The same fate awaited Slobodan Milosevic once he had refused to sign an "agreement" that demanded the occupation of Serbia and its conversion to a market economy. His people were bombed, and he was prosecuted in The Hague. Independence of this kind is intolerable... If the winner is Clinton, a chorus of commentators will celebrate it as a great step forward for women. None will mention Clinton’s victims: the women of Syria, Iraq and Libya...


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L’alternanza del Potere imperiale 

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 15 novembre 2016
rubrica "L'arte della guerra"

La sconfitta della Clinton è anzitutto la sconfitta di Obama che, sceso in campo a suo fianco, vede bocciata la propria presidenza. Conquistata, nella campagna elettorale del 2008, con la promessa che avrebbe sostenuto non solo Wall Street ma anche «Main Street», ossia il cittadino medio. Da allora la middle class ha visto peggiorare la propria condizione, il tasso di povertà è aumentato, mentre i ricchi sono divenuti sempre più ricchi. Ora, presentandosi come paladino della middle class, conquista la presidenza Donald Trump, l’outsider miliardario. 

Che cosa cambia nella politica estera degli Stati uniti con il cambio di guardia alla Casa Bianca? Certamente non il fondamentale obiettivo strategico di rimanere la potenza globale dominante. Posizione che vacilla sempre più. Gli
 Usa stanno perdendo terreno sul piano economico e anche politico rispetto alla Cina, alla Russia e ad altri «paesi emergenti». Per questo gettano la spada sul piatto della bilancia. Da qui la serie di guerre in cui Hillary Clinton ha svolto un ruolo da protagonista. 

Come risulta dalla sua biografia autorizzata, fu lei che in veste di first lady convinse il consorte presidente a demolire la Jugoslavia con la guerra, iniziando la serie degli «interventi umanitari» contro «dittatori» accusati di «genocidio». Come risulta dalle sue mail, fu lei che in veste di segretaria di stato convinse il presidente Obama a demolire la Libia con la guerra e a iniziare la stessa operazione contro la Siria. Fu lei a promuovere la destabilizzazione interna del Venezuela e del Brasile e il «Pivot to Asia» statunitense in funzione anticinese. Ed è sempre stata lei, tramite anche la Fondazione Clinton, a preparare in Ucraina il terreno per il putsch di Piazza Maidan che ha dato il via alla escalation Usa/Nato contro la Russia. 

Dato che tutto questo non ha impedito il relativo declino della potenza statunitense, spetta all’amministrazione Trump correggere il tiro mirando allo stesso obiettivo. Irrealistica è l’ipotesi che intenda abbandonare il sistema di alleanze incentrato sulla Nato sotto comando Usa: sicuramente però batterà i pugni sul tavolo per ottenere dagli alleati un maggiore impegno soprattutto in termini di spesa militare. 

Trump potrebbe ricercare un accordo con la Russia, anche con l’intento di dividerla dalla Cina verso la quale annuncia misure economiche, accompagnate da un ulteriore rafforzamento della presenza militare Usa nella regione Asia-Pacifico. 

Tali decisioni, che porteranno sicuramente ad altre guerre, non dipendono dal temperamento bellicoso di Donald Trump, ma dai centri di potere dove si trova il quadro di comando da cui dipende la stessa Casa Bianca. Sono i colossali gruppi finanziari che dominano l’economia (solo 
il valore azionario delle società quotate a Wall Street supera quello dell’intero reddito nazionale degli Stati uniti). Sono le multinazionali, le cui dimensioni economiche superano quelle di interi stati, che delocalizzano le produzioni nei paesi che offrono forza lavoro a basso costo, provocando all’interno chiusura di fabbriche e disoccupazione (da qui il peggioramento delle condizioni della middle class statunitense). Sono i giganti dell’industria bellica che guadagnano con le guerre. 

È il capitalismo del 21° secolo, di cui gli Usa sono la massima espressione, che crea una crescente polarizzazione tra ricchezza e povertà. L’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%. 

Alla classe dei superricchi appartiene il neopresidente Trump, al quale il premier Renzi, in veste di Arlecchino servitore di due padroni, ha già giurato fedeltà dopo averla giurata al presidente Obama.
 

=== 2 ===


USA : Welcome to the Trump show


The rise to power of the “real Donald Trump” has been met with fear and horror by most observers. Beyond his firebrand discourse against the elites and a campaign centered around awakening a national feeling with the slogan “Make America Great Again”, what will his policies mean for the 99% ? In order to separate truth from fiction in his programme, we have interviewed John Catalinotto, editor of the journal Workers World and keen observer of American politics.

 

Donald Trump will be the next president of the United States. How would you define him ?

Europeans could think of Donald Trump as a combination of the worst characteristics of Silvio Berlusconi and Marine Le Pen. He is personally rich, egotistic and arrogant. He’s taking an executive office to manage the biggest state budget and the most destructive military machine in the world. Plenty of other capitalist politicians, Republicans and Democrats, including Hillary Clinton, also support reactionary and pro-war politics, which are dangerous for the world. What’s different is that Donald Trump openly gives voice and a platform for anti-Muslim, anti-immigrant, racist and anti-women rhetoric and thus his victory promotes a mobilization of the most bigoted segments of U.S. society.

 

Comparing to the policies of the Obama administration, what could change for working class, afro american, latin american as well as for immigrant people?

In the United States, the working class consists of many people of Indigenous, African-American, Latin-American, east and west Asian and Pacific Island heritage, including many immigrants. The workers are men and women; they are LGBTQ. They are employed and unemployed. A large minority of workers are men of European heritage.

I would expect that Trump in the White House and the Republicans controlling both houses of Congress will mean an open attack on all workers, on their unions, on their social benefits. Something like what happened in Argentina when Macri replaced Cristina Kirchner. Something like what happened in the states of Wisconsin and also North Carolina when “Tea Party” Republicans became governors. It’s not that Clinton or even Obama promote workers’ rights, but they did not open a direct attack on these rights.

Obama deported 1-2 million undocumented workers. Trump says he will even more actively deport undocumented immigrants and his election has spread fear in the immigrant community. Trump has spoken out in support of aggressive police tactics, so we can expect Trump’s election to make the cops even more arrogant and aggressive in the Black communities. Trump vilifies Muslims and the worst racists are assaulting Muslims.

But his election has another side. Sophisticated politicians like Obama and even Clinton hide the utter decay of U.S. imperialism. Trump’s election exposes the rot. He is already recruiting his governing “team” from the cesspool of U.S. politics and media. It has aroused not only fear but rage. Tens of thousands of people have come into the streets, many who never demonstrated before in their lives. They now know they cannot remain neutral. They have been propelled to take a stand. Some feel personally under attack by a Trump presidency. Some feel solidarity with groups that are the direct targets and will join organizations that defend them. Whatever the initial spark, once they are in motion their lives can change. It is our job, as revolutionaries, to give direction to that change.

 

How was the mainstream media coverage of Trump’s campaign ? Is Trump the tree that hides the forest?

There are different wings of what I would call the corporate media. There is an establishment media: Wall Street Journal, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, the broadcast TV news and CNN and MSNBC. There is a large ultra-right wing media: Fox News, Murdoch’s newspapers, radio talk shows.

In the beginning of Trump’s campaign he got enormous free publicity from both wings of the corporate media. This was partly driven by Trump’s position as a bizarre billionaire celebrity. Covering him made profits for the media. Plus it injected a good dose of reactionary ideology into the campaign. It created a reactionary “populist” alternative to Bernie Sanders’ campaign.

This media coverage catapulted Trump into becoming the Republican candidate. At that moment, the establishment media tried to undo their creation. The New York Times and Washington Post attacked him in a dozen articles every day. It was too late. The right-wing media supported Trump throughout the campaign.

Regarding what comes next, one thing for sure is that Trump is incapable of “bringing jobs back to the U.S.” by renegotiating or breaking trade pacts. The industrial jobs are gone less because of globalization than because of the inexorable technological advance of capitalist industry. The economic crisis will deepen. Capitalism is at a dead end. The left must find a way to defend the most oppressed sectors of the working class – more than that, it is these sectors that will provide leadership – and unite the whole class first against the reactionary Trump policies and then against the whole rotten capitalist system.

 

What can we expect from his foreign policy?

Actually the decline of U.S. imperialism pushes the government toward adventurous wars no matter who the president is. Obama campaigned to end wars, but has intervened in at least seven countries with military forces and many more through subversion. Hillary Clinton is a pro-Pentagon warmonger. Trump is more erratic, a loose cannon, even though he claims to be ready to negotiate with Russia. He also says he wants to break the deal with Iran and with Cuba. And impose tariffs on China. We must be ready to oppose all new wars.

 

So you believe he will just follow the same course?

Both Trump and Clinton, both the establishment Republicans and the establishment Democrats and even the Bernie Sanders wing serve the interests of U.S. imperialism. Imperialism is not a policy of a group of politicians. It is an economic system that means the domination of finance capital. The current failure of this system to generate profits by relatively peaceful measure means that whoever is at the helm of U.S. imperialism has enormous pressures driving them toward war.

Everyone who is aware of the events of the last decade knows that Hillary Clinton supported all the wars: against Afghanistan, Iraq, Libya, Syria, the subversion against Venezuela and other progressive nationalist governments in Latin America. If they follow closely, they know that even though Obama came into office with plans to end the U.S. interventions in Afghanistan and Iraq, the Pentagon pushed him to first increase troops in Afghanistan and that the U.S. has now begun to reintroduce troops into Iraq. In Syria a temporary agreement between the U.S. and Russia was almost immediately sabotaged by a military attack that had the support of elements of the U.S. state apparatus, certainly of the Pentagon.

Trump has never been involved in U.S. foreign policy decisions so he has no track record. What he said during the election campaign was aimed at what he believed would help his chances for elections. It may have little to no relation to what he actually does in office. Sometimes what he says in the beginning of one sentence is contradicted by what he says at the end of the sentence. He said the U.S. will recognize Jerusalem as capital of Israel, that he will break the deal with Iran and with Cuba. He also said he would follow a more open policy of negotiations with Russia. I doubt any serious government has confidence in his words of peace. We in the small pro-communist movement here certainly have no confidence he will wage a less aggressive policy. We need to build a movement here that can fight both U.S. imperialism abroad and his reactionary policies at home.

 

And how should this movement emerge?

There is a certain amount of confusion in the anti-imperialist movement in Europe about Trump’s role. One can understand the Schadenfreude about Clinton’s defeat. They all know how aggressive Clinton is. They may have given up on the U.S. working class. But we in the United States need to develop a movement against U.S. wars. We can only do it if the most oppressed sectors of the U.S. working class not only join in but lead this struggle. Those abroad who gloat over Trump’s victory alienate the immigrants, the Black population, the activist women, the LGBTQ people, the Muslims, all who fear a Trump presidency or better, are moved to rage against a president who is “not their president.”

The only positive thing that came out of this disgusting 18-month-long bourgeois election is that thousands of people have been demonstrating day after day since the election against the new president. Some may be for Hillary Clinton for some misguided reasons, but mainly those in the streets are against Trump and all he stands for. They are not in the streets because he says he’ll negotiate with Russia. Those here who want to fight imperialist war have to be in the streets with all these people. They are frightened, they are angry, they are going through a change, they are reexamining all their ideas. We have to be with them to try to win them to fight not only Trump’s racism, sexism and xenophobia but all imperialist war.

 

John Catalinotto has been active in anti-imperialist politics since the October Missile Crisis in 1962. Since 1982, he has been managing editor of Workers World, the last pro-communist newspaper still published weekly in print in the USA. He was a co-organizer of the Yugoslavia War Crimes Tribunal in New York in June 2000 and the Iraq War Crimes Tribunal in New York in 2004, both with the International Action Center, a U.S.-based organization founded by Human Rights activist Ramsey Clark. He has edited and contributed to two books, Metal of Dishonor about depleted uranium and Hidden Agenda: the U.S.-NATO Takeover of Yugoslavia. He has an upcoming book, Turn the Guns Around: Mutinies, Soldier Revolts and Revolutions.

Alex Anfruns is a lecturer, journalist and editor-in-chief of independent media outlet Investig’Action in Brussels. In 2007 he helped direct the documentary “Palestina, la verdad asediada. Voces por la paz” (available with catalan, spanish, english and arabic subtitles). Between 2009 and 2014 he made several trips to Egypt and the occupied Palestinian territories. He has edited the monthly Journal de Notre Amérique since 2015.

 

Source: Investig’Action

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(français / srpskohrvatski / english / italiano)

Dittatura Mogherini in Montenegro

Tra brogli ai seggi, blocco delle comunicazioni whatsapp e addirittura una clamorosa messa in scena con l'invenzione di un colpo di Stato inesistente, il camorrista 
Milo Đukanović alle ultime elezioni ha mantenuto il suo potere dispotico. Pochi giorni dopo ha però annunciato che non ricoprirà la carica di primo ministro: al suo posto un fedelissimo. Una mossa che – pur garantendogli continuità di potere – è volta ad accontentare le cancellerie occidentali per le quali la figura di Đukanović è molto ingombrante, ma è indispensabile per garantire la adesione della repubblichetta alla UE ed alla NATO contro la volontà della maggioranza della popolazione.


1) ONG raccoglie 117 denunce penali e 490 segnalazioni per brogli elettorali, Mogherini-Hahn (UE): "Elezioni 'ordinate', ora accelerare con riforme" / MANS PODNIO 117 KRIVIČNIH PRIJAVA, PRIMILI POZIVE OD 490 GRAĐANA
2) Montenegro: nuovo premier, solito governo (Nela Lazarević, 28/10/2016)
3) FLASHBACK: NATO in Montenegro: Securing the rear before Barbarossa II? (Nebojsa Malic for RT – 26 May, 2016)


Altri link segnalati:

LA NATO SI ESERCITA IN MONTENEGRO, LA RUSSIA RISPONDE IN SERBIA (PTV News 4 Novembre 2016)

MONTÉNÉGRO : LE CHEF PRÉSUMÉ DES « TERRORISTES » DU 16 OCTOBRE AVAIT COMBATTU EN UKRAINE (Vijesti, 5 novembre 2016)
Il serait l’un des principaux organisateurs de la tentative de « coup d’État » ratée du 16 octobre dernier. Le ressortissant serbe Aleksandar Sinđelić est détenu depuis le 1er novembre à la prison de Spuž, au Monténégro. L’homme est également recherché par la justice ukrainienne, car il aurait combattu aux côtés des forces pro-russes dans ce pays...

MONTENEGRO: DJUKANOVIC IMBARAZZA L’OCCIDENTE (PandoraTV, 31.10.2016)

DIKIĆ TVRDI DA SU MU DOKAZI PODMETNUTI (Bojana Jovanović, oktobar 24, 2016)
Bratislav Dikić, bivši komandant Žandarmerije, koji je pre devet dana uhapšen u Crnoj Gori zbog sumnje da je planirao napad na državne institucije tokom izborne noći, rekao je da su mu dokazi podmetnuti, piše u izveštaju Saveta za građansku kontrolu rada policije... [<< Među stranim institucijama i fondacijama koje su pomogle naš rad do sada su: OCCRP, National Endowment for Democracy (NED), Open Society Foundations (OSF), Rockefeller Brothers Fund (RBF) i Civil Right Defenders (CRD)... >>]
TRAD.: VRAI FAUX PUTSCH RATÉ AU MONTÉNÉGRO : L’ANCIEN CHEF DE LA GENDARMERIE SERBE DÉNONCE UN COUP MONTÉ (Krik | Traduit par Chloé Billon | jeudi 27 octobre 2016)
Un putsch raté le soir des législatives ? L’ancien chef de la gendarmerie serbe, Bratislav Dikić, arrêté au Monténégro le 16 octobre avec dix-neuf individus, dénonce un coup monté. Les preuves contre lui ont été fabriquées de toutes pièces, affirme-t-il. Belgrade assure ne rien savoir. Mais d’autres personnes, soupçonnées de fomenter un coup d’État au Monténégro, ont depuis été interpelées en Serbie, a déclaré le Premier ministre serbe Vučić...

MONTÉNÉGRO : MILO ĐUKANOVIĆ NE SERA PAS PREMIER MINISTRE (Courrier des Balkans | Par la rédaction | mercredi 26 octobre 2016)
Après plus d’un quart de siècle au pouvoir, l’homme fort du Monténégro, Milo Đukanović, ne se représentera pas à sa propre succession au poste de Premier ministre, a annoncé son parti, le DPS. Il sera remplacé par un de ses proches alliés, Duško Marković...

HAOS U CRNOJ GORI: GLOBALNO SA BORISOM MALAGURSKIM (BN) (Boris Malagurski, 21 ott 2016)
Sezona 2 | Epizoda 1. Gosti: Adam Šukalo, Čedomir Antić, Darko Trifunović, Srđan Perišić
Tema: Šta se, zapravo, desilo na izborima u Crnoj Gori i šta se dešava u regionu?
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=oP0EdjFoMdQ
Emisija „Globalno sa Borisom Malagurskim“ bavi se svetskim temama iz domaće perspektive i domaćim temama iz svetske perspektive, kroz diskusiju sa relevantnim stručnjacima iz našeg regiona, kao i intervjue sa stranim ekspertima širom sveta.
Facebook: http://www.facebook.com/malagurski
Podržite novi film Borisa Malagurskog: http://www.WeightOfChains.ca/3/

LÉGISLATIVES AU MONTÉNÉGRO : LA « MANIP’ » DE TROP POUR MILO ĐUKANOVIĆ ? (par Andreas Ernst, Neue Zürcher Zeitung / Vijesti | Traduit par Jasna Tatar Anđelić | jeudi 20 octobre 2016)
Dimanche, le DPS de l’indéboulonnable Milo Đukanović a remporté un succès étriqué lors des législatives, nouvelle preuve de son essouflement après un quart de siècle de pouvoir ininterrompu. L’opposition dénonce de nombreuses irrégularités et une obscure « tentative de coup d’État » serbe orchestrée par le pouvoir pour mieux remobiliser ses troupes. Si le gospodar reste encore maître de la situation, le Monténégro est-il à la veille d’un chamboulement politique ?...

ELEZIONI IN MONTENEGRO: PAESE SPACCATO IN DUE. LA MOGHERINI DICE CHE TUTTO È ANDATO BENE (PandoraTV, 19.10.2016)
VIDEO: https://youtu.be/synEBPGUKI4?t=5m18s

MONTÉNÉGRO : L’OPPOSITION REFUSE DE RECONNAÎTRE LES RÉSULTATS DES LÉGISLATIVES (Courrier des Balkans | mardi 18 octobre 2016)
Les partis d’opposition s’allient pour dénoncer les fraudes et les irrégularités lors des élections législatives du 16 octobreIls dénoncent surtout l’instrumentalisation par le DPS de l’arrestation de 20 serbes soupçonnés d’avoir fomenté un coup d’État. Explications.

MONTENEGRO: ANCORA ĐUKANOVIĆ (17/10/2016 -  Nela Lazarević)
... Come durante tutte le elezioni precedenti, nemmeno questa volta sono mancate le accuse di abusi di potere, ma in assenza di una divisione tra i poteri dello stato più netta rimangono poco più che grida nel vuoto.
Nei giorni scorsi i media locali hanno riferito di numerosi casi di compravendita di voti, pubblicando liste con nomi di persone che hanno ottenuto soldi in cambio del proprio voto; di acquisti di carte d'identità da parte di attivisti del Dps e di centinaia di emigrati montenegrini rimpatriati con biglietti andata/ritorno pagati dal partito di Đukanović. Infine, durante la giornata elettorale, l'organizzazione non-governativa anti-corruzione Mans ha presentato 117 denunce di abusi, riferendo che elementi d'abuso sono stati registrati in quasi tutti i seggi, per lo più relativamente alla violazione del diritto ad un voto libero e segreto.
Anche questa volta si è parlato di come il potere di Đukanović fosse più debole che mai. Ma si fatica ancora a vedere, anche in futuro, un Montenegro senza di lui.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-ancora-Dukanovic-174936

DJUKANOVIC VINCE TRUCCANDO LE ELEZIONI (PandoraTV, news 17 Ottobre 2016)

IL MONTENEGRO TRA "MONDO LIBERO" E CREMLINO (JUGOINFO 16.10.2016)
... Il premier serbo Vučić opportunamente commenta: "A me che tutto questo succeda proprio il giorno delle elezioni pare molto strano, ma è meglio che sto zitto"...

FLASHBACK – INTERVISTA A ANDRJIA MANDIC: “In Europa sì, ma al primo posto l’interesse nazionale” (PandoraTV, 14/10/2016)
Domenica 16 ottobre 2016 si terranno in Montenegro le elezioni parlamentari. Il Partito democratico dei socialisti, capeggiato da Milo Đukanović, eletto da OCCRP “uomo dell’anno del crimine organizzato” nel 2015, spera di strappare un settimo mandato come primo ministro. A poche ore dalle elezioni, Giulietto Chiesa intervista in esclusiva per Pandora TV Andrjia Mandic, leader di Nuova Serbia Democratica, maggiore partito d’opposizione. Non si tratta di una sfida locale riguardante una popolazione di 600mila abitanti. La posta in palio è ben più alta perché, nemmeno troppo dietro alle quinte, ci sono anche gli interessi di Washington e Mosca. Se a vincere fosse ancora Đukanović, il Montenegro, a un passo dal divenire il 29esimo membro della NATO e impegnato nell’avvicinamento all’Unione europea, potrebbe rinfocolare tutte le perplessità sulla solidità delle sua democrazia.

Sul regime atlantista instaurato in Montenegro da un quarto di secolo si veda la documentazione raccolta al nostro sito:


=== 1 ===

La ONG MANS ha raccolto 117 denunce penali e 490 segnalazioni per brogli elettorali:


KONAČNI PODACI ZA IZBORNI DAN: MANS PODNIO 117 KRIVIČNIH PRIJAVA, PRIMILI POZIVE OD 490 GRAĐANA (MANS 16.10.2016)

U toku izbornog dana MANS je kontaktiralo 490 građana, a na osnovu obezbijeđenih dokaza i svjedoka Specijalnom tužilaštvu smo podnijeli ukupno 117 krivičnih prijava zbog sumnji da su počinjena krivična djela protiv izbornih prava.
Većina krivičnih prijava se odnosi na kupovinu ličnih karata, pritiske i predizborna potkupljivanja birača.
Pozivamo Specijalnog tužioca da obavijesti javnost o rezultatima postupanja tužilaštva i policije po krivičnim prijavama podnešenim u toku izbornog dana.
MANS se zahvaljuje na ukazanom povjerenju svim građanima koji su nas tokom izbornog dana kontaktirali tražeći pomoć u ostvarivanju biračkog prava, ali i ukazivali i prijavljivali izborne zloupotrebe i krivična djela.

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Montenegro: Ue, elezioni 'ordinate' [sic], ora accelerare con riforme

Mogherini-Hahn, Paese continui integrazione euro-atlantica [sic]

ANSA – 18 ottobre – BRUXELLES - Le elezioni in Montenegro si sono svolte in maniera "calma e ordinata" [sic], ora "aspettiamo la costituzione di un nuovo parlamento, la rapida formazione di un nuovo governo e la continuazione del cammino stabile del Montenegro verso l'integrazione euro-atlantica" [sic]. Questo il commento dell'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, e del commissario all'Allargamento Johannes Hahn sull'esito delle elezioni in Montenegro, vinte [sic] dal Partito democratico dei socialisti (Dps) del premier uscente Milo Djukanovic. Le opposizioni hanno detto di non riconoscere il risultato delle elezioni a causa di presunte [sic] irregolarità.
"Gli osservatori dell'Odihr (l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Ocse, ndr) nel loro resoconto preliminare hanno affermato che le elezioni parlamentari si sono svolte in un ambiente competitivo [sic] e sono state caratterizzate da un generale rispetto delle libertà fondamentali" [sic]  fanno notare Mogherini e Hahn in una nota congiunta. "Qualsiasi caso di irregolarità procedurali osservato deve essere debitamente seguito [sic] alle autorità competenti" puntualizzano, indicando però che "i mesi a venire devono essere usati per rafforzare e accelerare le riforme economiche e politiche" nel Paese, "in particolare nello stato di diritto [sic], dove vogliamo vedere un'implementazione anche più forte" [sic].


=== 2 ===


Montenegro: nuovo premier, solito governo


Đukanović non sarà più premier. Al suo posto il fedelissimo - ex capo dei servizi segreti - Duško Marković. I retroscena della recente tornata elettorale

28/10/2016 -  Nela Lazarević

Dopo aver ottenuto il 41% dei voti alle politiche dello scorso 16 ottobre, il Partito democratico socialista (DPS), che governa il Montenegro ininterrottamente dal 1991, ha nominato a guida del nuovo governo Duško Marković, ex capo dei servizi segreti, da decenni noto come uno dei principali uomini di fiducia del premier uscente, Milo Đukanović.

Per la terza volta da quando è al potere, Đukanović ha annunciato quindi il suo ritiro, sempre però con il vantaggio di essere lui stesso - dalla posizione di capo del partito - a nominare il proprio successore, mantenendo una forte influenza pur non governando direttamente. Non sorprende quindi che anche questa volta a rimpiazzarlo sia stato scelto un suo fedelissimo.

All’Ue e alla Nato quest’ultima mossa da scacchi di Đukanović fa comodo, in quanto toglie di mezzo, almeno in apparenza, uno scomodo e controverso leader che governa da quasi tre decenni un paese prossimo all’adesione. Per Đukanović, significa il lusso di poter mantenere le redini del potere, pur ritirandosi (o come sospettano alcuni, prendendosi una pausa) dall’incarico del quale si diceva stanco già dieci anni fa.

Elezioni "calme e ordinate"

Bruxelles è sembrato avere fretta nel definire le elezioni del 16 ottobre come ‘calme e ordinate’, svolte in un ambiente “competitivo”. Una valutazione in dissonanza con il (presunto?) tentato colpo di stato e la decisione del governo di bloccare Whatsapp e Viber il giorno delle elezioni.

Per Daliborka Uljarević, direttrice del Centro per la transizione democratica, CDT, le elezioni si sono svolte, “a dir poco, in un clima di tensione”, mentre le numerose irregolarità hanno “messo in seria discussione la legalità e la legittimità della giornata elettorale”.

Due settimane prima delle elezioni il ministro degli Interni Goran Danilović - rappresentante dell’opposizione nel governo Đukanović, rimpastato con lo scopo di garantire un maggiore controllo del processo elettorale - ha rifiutato di firmare il registro elettorale per via di decine di migliaia di nominativi ritenuti irregolari, senza però riuscire a bloccare le elezioni in attesa della soluzione delle irregolarità. Alcune ong, tra cui MANS, hanno parlato persino di 120 mila nomi irregolari sui 590 mila aventi diritto al voto in Montenegro: quasi un quinto. Mentre il Fronte democratico (DF), la maggior forza di opposizione, ha parlato di almeno 80 mila nomi falsi (morti, espatriati, ecc). Inoltre, numerose sono state le accuse di irregolarità durante la giornata elettorale (più di cento denunce presentate solo da MANS) e numerosi gli episodi di compravendita dei voti con tanto di prove riportate dai media locali.

Ma due episodi hanno particolarmente dato alla giornata elettorale un’aria da regime tutt'altro che libero e sicuro: il tentato colpo di stato e la decisione del governo di sospendere Whatsapp e Viber fino alla chiusura dei seggi.

Mentre i cittadini si recavano alle urne, le autorità annunciavano di aver arrestato 20 uomini di nazionalità serba con l’accusa di aver programmato di aggredire la polizia davanti al Parlamento e annunciare la vittoria di un partito, non meglio precisando quale, di loro scelta. Tra gli arrestati, l’ex capo della gendarmeria serba in pensione, Bratislav Dikić.

Molti, compresa la Uljarević di CDT, hanno descritto questo evento come “cinematografico” per via della tempistica e delle modalità con cui l’evento si è sviluppato, in contemporanea con la tornata elettorale. Mentre Đukanović insinuava il coinvolgimento delle forze vicine alla Russia, per l’opposizione si trattava di una messa in scena da parte di Đukanović stesso, che avrebbe potuto usarlo nel caso di sconfitta elettorale per annullare le elezioni e inasprire il suo controllo sul paese.

Intanto, anche il premier serbo Aleksandar Vučić ha annunciato lo scorso lunedì che le autorità di Belgrado hanno arrestato diverse persone con l’accusa di aver pedinato Đukanović programmando attività illegali in Montenegro, sottolineando l’assenza di collegamenti degli arrestati con il governo serbo.

Per Uljarević si è trattato di “un evento che ha disturbato i cittadini, mentre le istituzioni, fornendo informazioni selettive e agendo con modalità insolite, hanno innalzato la tensione durante la giornata elettorale aprendo la questione della legittimità o meno delle elezioni”.

Il blocco di Whatsapp e Viber

Il giorno delle elezioni, dalle 17 alle 19.30 Whatsapp e Viber non erano disponibili in Montenegro. L’ente competente, l’Agenzia per le comunicazioni elettroniche, si è giustificata annunciando che è stata una decisione mirata “a proteggere i cittadini” da un’inondazione di messaggi di contenuto politico. Una decisione del tutto legale e in linea con gli standard internazionali, hanno precisato.

Per Uljarević con questa decisione l’Agenzia si è messa “al servizio del partito di Đukanović”.

“L’agenzia è giunta a questa decisione per proteggere il DPS, contro il quale erano partiti numerosi messaggi. Questo tipo di limitazione dei mezzi di comunicazione contrario alla volontà degli utenti rappresenta una chiara violazione degli standard democratici”, ha osservato l’analista.

In effetti, come precisato dalla stessa Agenzia, si è trattato di messaggi anti-Đukanović, e in particolare di un messaggio in cui si invitavano i cittadini a votare, e si facevano riferimenti a episodi di compravendita di voti. Così recita il messaggio:

“Il Partito democratico socialista (DPS) sta organizzando i bosgnacchi e gli albanesi e l’intera diaspora e paga 250 a voto. Zijad Škrijelj, residente in Francia, ha detto al quotidiano Vijesti che è stato invitato da Izet Škrijelj, membro del consiglio comunale a guida DPS a Petnjica, promettendogli 250 euro per le spese di viaggio. Questo sta accadendo in tutto il Montenegro tra i bosgnacchi e gli albanesi. Non permettete al DPS di rubare altre elezioni - andate a votare!!!”

“In questo contesto, è difficile aspettarsi che il Montenegro possa ottenere un governo stabile e credibile solo col DPS e i suoi partner tradizionali, ed anche che un governo del genere sia capace di portare a termine le riforme e le sfide richieste dal processo di adesione all’Ue e alla Nato, con un consenso adeguato da parte dei cittadini”, ha concluso la Uljarević, sottolineando che “è riduttivo dire che che la scelta tra DPS e l’opposizione era una semplice opzione pro-Ue o pro-Russia”, dato che oltre all’euroscettica e pro-russa coalizione DF (20% di voti) tra le forze dell'opposizione vi era tutta una serie di piccoli partiti pro-europei che non hanno ottenuto risultati soddisfacenti pur essendo entrati in Parlamento.


=== 3 ===


NATO in Montenegro: Securing the rear before Barbarossa II?

Nebojsa Malic for RT. Published time: 26 May, 2016

The strategic importance of Montenegro is inversely proportional to its size. With it, NATO will have full control of the Adriatic Sea, finish the encirclement of Serbia, and be emboldened to pursue a more aggressive stance towards Russia.
Last week, the government of Montenegro signed a protocol on joining the North Atlantic Treaty Organization. If ratified by the Alliance’s other 28 members – and it will be – the membership may become a formality by the end of this year. While the country has a population fewer than 700,000 and no more than 1,500 members of the military, the reason NATO wants Montenegro is not its military might, but in equal measures strategic location and symbolism.
Geographically speaking, the country is a natural fortress, and could be held against an invading force by a much smaller number of defenders, Thermopylae-style. That is precisely what the Montenegrin Army did at Mojkovac in 1916, protecting the flank of the retreating Serbian Army against a numerically superior Austro-Hungarian force.
Then there is the symbolism part. Back in the 15th century, even after they successfully overran the Serbian principalities of the central Balkans and advanced on Vienna, the Ottoman Turks found that they could never fully subjugate the mountain clans of Montenegro. After trying many times and failing, they settled for exacting tribute instead. This enabled the small Orthodox Serb community to preserve their faith, culture and memories – until their statehood could be resurrected in the 1800s. The Prince-Bishops of Montenegro were a loyal ally of Imperial Russia, to the point of declaring war on Japan in 1904 in solidarity with the Tsar.
Montenegro united with Serbia in 1918, and soon thereafter became part of the Kingdom of South Slavs, later known as Yugoslavia. It stayed in the union with Serbia even after Yugoslavia was dismembered by the EU and NATO in the early 1990s. It, too, was bombed by NATO airplanes in 1999, when the Alliance attacked Yugoslavia in support of the ethnic Albanian separatists in Kosovo. When NATO sought to drive a wedge between Serbia and Montenegro by sparing the latter, the following graffiti appeared in the city of Niksic: “Bomb us too, we’re not lepers.”
Yet the leader of Montenegro, Milo Djukanovic, decided to switch allegiances after that war. Having come to power in 1989 as a fierce supporter of union with Serbia, he reinvented himself a decade later into the biggest anti-Serb in the former Yugoslavia, a fairly daunting task.
Djukanovic aided the US-backed activists in their October 2000 coup that seized power in Belgrade, arguing that Montenegro’s suddenly-discovered problems with Serbia were due to a deficit of democracy. Within months, however, he was campaigning for independence. NATO and the EU were happy to oblige. They first negotiated an agreement between Montenegro and Serbia, abolishing the very name of Yugoslavia and proclaiming a “State Union.” Within three years, right on script, Djukanovic called a referendum on independence.
video surfaced of Djukanovic agents openly buying votes, persuading people to “break their minds” and vote yes. Tens of thousands of Montenegrins living in Serbia were disenfranchised, while buses and charter jets of ‘Bosnians’ and ‘Kosovars’ were brought in. On May 21, 2006, the separatists won by fewer than 2,000 votes, or 0.5 percent. The US-controlled government of Serbia shrugged and accepted the outcome.
Djukanovic proceeded to turn Montenegro into a virulently anti-Serb society, establishing a new “Orthodox Church,” proclaiming a new language, and essentially redacting all mention of the country’s Serb identity from history books and literature. The crowning achievement of this ‘identity change’ would be membership in NATO and the EU.
The regime in Belgrade, which oscillates madly between practical submission to NATO and gestures of eternal friendship towards Russia, doesn’t appear too concerned about Montenegro’s membership in the aggressive military bloc. Neither, for that matter, does Moscow.
“This is their personal matter, it’s their personal choice. It’s up to them to decide on this. If they think that this will benefit their national security, then this is so,” is how Yevgeny Lukyanov, Deputy Secretary of Russian Security Council, commented on Montenegro’s NATO membership to reporters on Monday, according to TASS.
Is it? So, one supposes, was the choice faced by Regent-Prince Pavle Karadjordjevic of Yugoslavia in March 1941, when Hitler and Mussolini pressured him to join the Tripartite Pact, promising safety in the Axis rear. Traumatized by the bloodbath of WW1, his government signed the pact, only to be overthrown in a coup two days later. The enraged Hitler – who needed the Balkans pacified before he could launch his invasion of the Soviet Union – ordered Yugoslavia “wiped off the map,” postponing Operation Barbarossa from mid-May to late June. The end of that particular story was commemorated on May 9 – though hardly by any NATO members, one should note.
Yugoslavia was literally decimated, and the USSR lost almost 27 million people fighting the Nazis, only for the modern map of Europe to look eerily like it did in 1942. Many of Hitler’s allies then are NATO members now, and German troops are once again in artillery range of Leningrad (now called St. Petersburg). Having secured Montenegro and expecting no resistance from “softly”occupied Serbia, NATO may be emboldened to act even more aggressively towards Russia. This is madness, of course, but there is an alarming lack of sanity in Brussels and Washington these days.
That is why Montenegro matters.