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Da: partigiani7maggio @ tiscali.it
Data: 12 dicembre 2015 17:58:14 CET
Oggetto: Tre comunicazioni importanti e un augurio


Tre comunicazioni importanti e un augurio

 

 

*** 1) Dragutin–Drago Velišin Ivanović (Doljani 21.3.1923, Ljubljana 12.12.2014)

*** 2) La presenza degli internati slavi nell’Appennino aquilano 1942-44

*** 3) I fatti di Monte Cavallo: 20–21 maggio 1944, strage al confine tra Umbria e Marche

 
 

L'occasione ci è gradita per rivolgere a chi ci segue i migliori auguri di Buone Feste e felice Anno Nuovo / Srečna Nova Godina!

 

I partecipanti al progetto Partigiani jugoslavi in Appennino

Gli Autori de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana

 
 

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Dragutin–Drago Velišin Ivanović 

(Doljani 21.3.1923, Ljubljana 12.12.2014)

 

Per rendere omaggio al compianto partigiano ed amico nel primo anniversario della sua scomparsa, che cade oggi 12 dicembre, ne abbiamo tracciato una biografia ed abbiamo messo a disposizione alcuni documenti importanti alla pagina:

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/drago.htm

 

• Nota biografica

• FONDO ARCHIVISTICO / ARHIVSKI FOND

• AUDIO: Intervento al Convegno di Udine, 29 gennaio 2014

• Bibliografia

• Collegamenti

 

Alcuni mesi dopo la sua morte, a seguito di una scelta ponderata basata sul rispetto delle volontà del defunto e sulla verifica delle alternative possibili, i figli di Drago Ivanović hanno deciso di affidarne il corpus degli appunti e delle corrispondenze a noi responsabili del progetto Partigiani jugoslavi in Appennino, vale a dire alle persone degli Autori del libro I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana ed alla associazione Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ-onlus) cui lo stesso Drago aveva aderito all'inizio del 2014.

Il fondo archivistico così raccolto sarà ulteriormente catalogato e ordinato nel medio termine. Al più presto verranno specificate le modalità per la richiesta di copie di documenti agli studiosi che presentino richiesta motivata; sul più lungo termine si renderà possibile la consultazione diretta. Nel frattempo si riporta il catalogo provvisorio, compilato dalla stessa famiglia Ivanović.

 
 

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La presenza degli internati slavi nell’Appennino aquilano 1942-44

 

E' disponibile la versione aggiornata, e definitiva nelle intenzioni dell'Autore, del saggio di Riccardo Lolli

LA PRESENZA DEGLI INTERNATI SLAVI NELL’APPENNINO AQUILANO 1942-44

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/testi_lolliAquilano.pdf

 

La ricerca, effettuata per l’Istituto Abruzzese per lo studio della Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, si è arricchita negli ultimi mesi con ulteriori contributi provenienti da archivi privati e pubblici. Il materiale riportato è in prevalenza inedito e getta luce su di una realtà storica ed umana che era rimasta fino ad oggi pressoché inesplorata.

 
 

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I fatti di Monte Cavallo

20–21 maggio 1944, strage al confine tra Umbria e Marche

 

Il 6 settembre 2015 una nostra delegazione si è recata presso la Romita di Monte Cavallo, nel Comune omonimo situato in provincia di Macerata, per verificare lo stato del luogo e le voci secondo cui una lapide in memoria delle vittime – quattro partigiani morti e almeno 18 feriti –, apposta nel dopoguerra, sarebbe andata in frantumi e lasciata in abbandono.

La salita al Monte dalla località di Collattoni è una facile escursione della durata di circa due ore, tuttavia la breve deviazione per la Romita può sfuggire facilmente poiché in loco non è apposta alcuna segnaletica. L'antico Eremo è effettivamente in avanzato stato di distruzione; in una delle sale dove devono aver dormito i partigiani prima di essere assaltati dai nazifascisti, nei pressi di un camino, giace a terra la lapide effettivamente distrutta. Dopo averle restituito sommariamente la leggibilità, abbiamo effettuato alcune riprese audiovisive.

Gli Autori de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana e l'attore-autore Pietro Benedetti, con il sostegno del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS e dell'A.N.P.I. Sezione di Foligno (PG), sulla scorta della documentazione reperita, in parte inedita, e dei risultati della escursione effettuata in loco, in questi giorni stanno inoltrando una formale proposta di intervento al Comune di Monte Cavallo (MC) finalizzata (a) al ripristino della lapide e sua ricollocazione in posizione evidente al centro dell'abitato di Monte Cavallo (b) alla apposizione di segnaletica sul sentiero e presso la Romita, che consenta la visita consapevole da parte degli amanti del territorio e della sua storia e di tutti gli antifascisti interessati a sconfiggere l'oblio.

 

In merito si veda la documentazione alla pagina dedicata:

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/montecavallo.htm

 

• La lapide

• I fatti

• Iniziative

• Foto e video

• Fonti

 
 

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I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA

Storie e memorie di una vicenda ignorata

 

Roma, Odradek, 2011

pp.348 - euro 23,00

 

Per informazioni sul libro si vedano:

Il sito internet: http://www.partigianijugoslavi.it

La scheda del libro sul sito di Odradekhttp://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html

La pagina Facebookhttp://www.facebook.com/partigianijugoslavi.it

 

Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html

 

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Il SUBNOR (Associazione Partigiani) della Serbia si ritrova da quindici anni in una condizione di marginalità, innanzitutto in quanto è sottoposto a un "embargo" che ne impedisce la penetrazione sui media e nelle principali sedi pubbliche di discussione e decisione.
Questi quindici anni sono quelli della cosiddetta "nuova Serbia democratica": si tratta cioè della fase storica che ha avuto inizio con il colpo di Stato delle forze nazionaliste, europeiste e atlantiste dell'ottobre 2000, che colsero l'occasione della vittoria di misura di Koštunica contro Milošević non solo per scalzare con la violenza ogni residuo della gestione socialista e progressista ex-jugoslava, ma anche per stravolgere i cardini della società in termini valoriali e culturali, a partire dalla cancellazione dello stesso nome della Jugoslavia dalle carte geografiche. 
Al giro del boa del Settantesimo della Liberazione, il SUBNOR si ritrova dunque oggi pressoché da solo a condurre battaglie fondamentali, come quella antirevisionista, in un contesto altamente sfavorevole nel quale le più note figure di collaborazionisti del nazifascismo e criminali di guerra (Mihajlović, Nedić...) vengono o rischiano di essere "riabilitate" anche formalmente–giuridicamente, dopo la trionfale riammissione nel chiacchiericcio mediatico "democratico europeo".
Non diversamente che in altri paesi, come l'Italia, dove l'attacco ai valori resistenziali e costituzionali è stato sferrato fino in fondo, anche in Serbia il passaggio di testimone generazionale del Settantesimo assume dunque una quantità di implicazioni ed una rilevanza che la generazione dei partigiani qualche decennio fa non avrebbe mai potuto né voluto immaginare... (a cura di Italo Slavo)



Медији – Објављено под Актуелно |  10. децембра 2015.

КАКО ”ПОБЕДИТИ” БЛОКАДУ

Већ пуних 15 година масовна и у свету призната и позната организација СУБНОР Србије не може да продре, по правилу моћних уредника, у већину јавних гласила, оних такозваних централних, у Београду.
И Председништво и Републички одбор, уз честе протесте многобројних чланова организације, нису успели да одобровоље медије да објаве бар детаљ из свеобухватне и готово свакодневних активности које у основи имају велики значај и за бољитак нашег друштва и, према томе, свих генерација у држави.
Јасна блокада је кренула после петооктобарских промена, па је на недемократски начин одбијана и свака помисао да се простор у новинама, неки минут на радију или најкраћа секвенца на телевизији издвоји за учеснике антифашистичке борбе у Другом светском рату и преко 130 хиљада њихових потомака, поштовалаца слободара, следбеника историјске истине и поштења.
Београдске редакције се не либе да игноришу СУБНОР и кад је, са Владом Србије, коорганизатор масовних манифестација значајних за потомство које се на прошлости мора учити како ће ступати у будућност.
О начину како пребродити изразиту идеолошку заслепљеност и реваншистичке побуде одговорних појединаца који сматрају да све из ранијег периода треба урнисати, расправљано је на седници Комисије за информисање и издавачку делатност СУБНОР-а Србије.
Учесници су изразили непоколебљиву одлуку да упорним радом и у свом делокругу обезбеде нормалан и примеран цивилизованој средини проток вести јер је у питању широк општи интерес за бољитак наше државе. С тим у вези је истакнуто да у низу такозваних локалних средина медији показују изражену заинтересованост за акције борачке организације и професионално се одазивају сваком позиву схватајући да тиме одужују дуг и према својим суграђанима.
У дебати су Мара Кнежевић Керн, Слободан Лазаревић, Јовица Дојчиновић, Жељко Зиројевић, Мирољуб Васић, Душан Чукић нагласили значај потпунијег информисања у оквиру општинских, градских и окружних одбора и то не само путем месечника ”Борац” и сваким даном све ангажованијег и атрактивнијег портала на интернетској мрежи, који је у кратком року окупио близу 700 хиљада посетилаца са један милион и преко 600 хиљада прегледа текстова. То посебно радује јер је познато да су корисници интернета углавном млађи људи.
СУБНОР Србије јесте захваљујући наметнутим законским одлукама од пре неколико година сврстан у такозвани невладин сектор, али је јасно да је у питању масовна организација специфичног значаја и од користи, по циљевима и делатности, за државу која је управо ових дана одлучила и да уведе посебан празник, 4.децембар, као датум који симболизује ослободилачку борбу народа Србије од 1912, преко Првог и Другог светског рата и одбране од НАТО агресије 1999.
У том склопу СУБНОР очекује да се законским путем врати и репрезентативност која је, с разлогом и по потреби, остала синдикатима и нема, сигурни смо, сметње да се у прописима о удружењима дода и борачка ветеранска организација и на тај начин онемогући постојање садашњих око 850 углавном непотребних групација са истим циљем и без реалних услова.




(Svi Bilteni Udruženja "Naša Jugoslavija":


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Nasa Jugoslavija <zajedno  @nasa-jugoslavija.org>
Data: 6 dicembre 2015 19:53:26 CET
Oggetto: Novi broj biltena

Postovani,
 
obavjestavamo vas da je objavljen novembarski broj naseg casopisa "bilten" - 12 po redu. Mozete ga pronaci na nasoj stranici www.nasa-jugoslavija.org
 
Srdacan pozdrav,
 
Dalibor Tomic
Udruzenje "Nasa Jugoslavija"
Savez Jugoslavena


Kuda ide EU???

Sadržaj

Antun Barac
i jugoslavonestvo
Ante Švalba

Što je socijalizam (1. dio)
Prof. Dr. Sci. Pavle Vukčević

Crveni makovi
Mihovil Pavlek Miškina

Vladimir Majakovski
Dušan Opačić

Ja pišem svim jezičkim varijantama
Meša Selimović

Doživotni sam pacijent genocida
Svetozar Livada

Pobratimstvo lica u svemiru
Tin Ujević

Razmišljanje jednog običnog srpskog vola
Radoje Domanović

Vjenčanje u
radničkim uniformama
Svjedočanstvo

– bilten –
Časopis Udruženja „Naša Jugoslavija“
godina VI broj 12 novembar 2015

www.nasa-jugoslavija.org zajedno@...
bilten objavljujemo isključivo u online izdanju
Jezik srpskohrvatski / хрватскосрпски
Izlazi dva puta godišnje
bilten uređuju:
Zlatko Stojković Frederik Goda Dalibor Tomić




Medjugorje, Prebilovci, Šurmanci


Dalla pagina dedicata sul nostro sito: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/prebilovci.htm

1) Michael E. Jones: IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE
2) Giancarlo Bocchi: MEDJUGORJE, LA FABBRICA DELLE APPARIZIONI


Vedi anche:

• Link e documenti utili
• James Martinez: LA REGINA DEI PROFITTI (2000) 
• INTERVISTA a E. Michael Jones, autore di due libri sulle apparizioni della Madonna a Međugorje (marzo 2008)
• News. Medjugorje, il Papa sui veggenti: «Questa non è identità cristiana» ...


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IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE

di Michael E. Jones (estratti – Testo completo, in lingua inglese: The Ghost of Šurmanci: Queen of Peace, Ethnic Cleansing, Ruined Lives)


Durante la primavera e l'estate del 1941, gli ustascia crearono un fugace ma feroce stato croato indipendente (NDH). Gli ustascia del Međugorje esplorarono la zona geologica, traendo nota della maggiore foiba, la più utile per il loro futuro scopo. Poi, nel giugno 1941, circa due mesi dopo la creazione della NDH, ustascia armati si presentarono nel villaggio a prevalenza serba di Prebilovci, sulla sponda est della Neretva, ed in altre enclavi serbe, annunciando ai paesani che verranno tutti deportati a Belgrado. Ai serbi venne detto che verranno riunificati alla loro patria serba. La corsa del treno fu molto più breve del previsto, almeno di quanto pensassero i passeggeri serbi, ai cui venne ordinato di scendere al paese Šurmanci, sulla sponda ovest della Neretva, marciando oltre ai colli per non essere mai più rivisti.

Circa tre mesi più tardi, il predecessore del Vescovo Zanić, Alojsije Mišić, ordinario di Mostar, scrisse al cardinale Stepinac, riferendogli di inquietanti resoconti di atrocità commesse contro i serbi nella sua diocesi. Uomini catturati come animali - scrisse Mišić - massacrati, uccisi; uomini lanciati dai precipizi ... da Mostar e Čapljina un treno con sei carrozze piene di madri, giovani ragazze e bambini ... fino a Šurmanci ... condotti su per la montagna e ... gettati vivi dai precipizi ... A ... Mostar stesso vennero trovati a centinaia, portati in vagoni fuori città e abbattuti come animali.

Circa 600 serbi, incluso preti, donne e bambini, furono gettati nella foiba sopra Šurmanci e poi, dopo avervi gettato granate, le canaglie ustascia li seppellirono, molto probabilmente vivi. Paris riportò la lista dei responsabili, una lista che include nomi come Ostojić e Ivanković, nomi comuni nell'area - nomi, infatti, di persone che ancora oggi vivono a Međugorje. Brian Hall si chiede nel suo libro sullo smembramento della Jugoslavia se l'Ostojić con cui stava a Međugorje era l'Ostojić accusato dell'atrocità di Šurmanci.

Paris sostenne che due preti presero parte al massacro di Šurmanci. Marko Zovko era un prete, ma non un francescano come il più conosciuto Jozo Zovko, l'uomo che, per molti versi, creò le apparizioni di Međugorje. Marko Zovko era il segretario del vescovo Ćule, il successore di Mišić. Imparai ciò dall'attuale vescovo di Mostar, Ratko Perić, che fa risalire la citazione di Paris al libro di Viktor Novak, Magnum Crimen.

La situazione religiosa è complicata ulteriormente dal fatto che la Chiesa Cattolica dell'Erzegovina è divisa in due fazioni, una fedele al vescovo di Mostar, e l'altra ai francescani, in aperta ribellione sia contro l'ordinario locale sia contro l'ordine francescano generale di Roma dal 1976, quando si rifiutarono di consegnare un numero di parrocchie da loro amministrate, alla giurisdizione del vescovo di Mostar. 

Come i suoi predecessori Mišić e Zanić, il vescovo Perić ha dovuto fare i conti con i rabbiosi nazionalisti francescani erzegovesi, la forza motrice dietro alle apparizioni di Međugorje e la collaborazione con le atrocità degli ustascia durante la II Guerra Mondiale. Nel gennaio del 1997, Perić ha dato un'intervista a Yves Chiron nella rivista francese Present, dove ammette che Međugorje è afflitta da disordini ecclesiastici, come francescani esercitanti funzioni ministeriali senza missione canonica; comunità religiose fondate senza permesso, edifici eretti senza l'assenso ecclesiale, e la continua organizzazione di pellegrinaggi laddove è stato determinato non ci fossero apparizioni. "Međugorje - concluse Perić - non promuove la pace e l'unità ma crea confusione e divisione, e non semplicemente nella sua diocesi" (Present, 25 gennaio 1997).

Perić ha sperimentato di prima mano quanto può essere bellicosa la "Regina della Pace" e i suoi sostenitori. Nell'aprile del 1995 il vescovo fu attaccato da una banda nella sua cancelleria, e la sua croce al petto strappata. E' stato poi picchiato, forzato in un'automobile appostata e portato in una cappella non autorizzata gestita dai francescani di Međugorje, e lì tenuto in ostaggio per 10 ore. E' stato solo quando il sindaco di Mostar si presentò con le truppe dell'ONU che il vescovo è stato rilasciato.

Ciò che colpisce ancor più della vicinanza spaziale tra le atrocità e le apparizioni, è l'inquietante coincidenza delle date. Sembra che tutti i maggior eventi della storia balcanica avvengano di giugno. La battaglia di Kosovo Polje si svolse il 28 giugno 1389. L'assassinio dell'Arciduca Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914, una specie di strana commemorazione simbolica della battaglia di Kosovo Polje. I croati proclamarono l'indipendenza il 25 giugno 1991, che corrispose al decimo anniversario delle apparizioni di Međugorje, le quali occorsero al quarantesimo anniversario del massacro di Šurmanci.



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Medjugorie, la fabbrica delle apparizioni

di Giancarlo Bocchi – 26 giu 2015
fonte: pagina fb di Giancarlo Bocchi; una versione ridotta del testo è stata pubblicata sabato 27 giugno 2015 sul Manifesto

Altro che miracoli. Estremismo cattolico guerresco e un giro d’affari da 3 miliardi di euro. Il ruolo dei «francescani con il Rolex» e lo spettro delle pulizie etnico-religiose dietro il business delle apparizioni in Erzegovina. Che ora papa Bergoglio si prepara a smontare

Alla fine della guerra, nel dicembre del 1995, la Bosnia era distrutta, senza più attività produttive, con strade e infrastrutture in rovina e gran parte della popolazione senza lavoro.
Una sola attività aveva ripreso utili a ritmi vertiginosi: la “fabbrica di miracoli e apparizioni” della Madonna di Medjugorje, che divenne in breve tempo una specie di miniera d’oro.
Lunghe file di pullman provenienti da tutta Europa intasavano le strade malandate della Croazia e della Bosnia. Frotte di fedeli accorrevano nel paesetto dell’Erzegovina davanti a una chiesa color tortora, stretta tra due aguzzi campanili che se nelle intenzioni avevano voluto sfidare la levità dei minareti, riuscivano solo a ricordare il disegno di un bambino.
Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita planetaria e non più rimarginabile tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e invocare l’apparizione della Gospa (la Madonna) che proprio in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico era incredibilmente chiamata “la Regina della pace” e si manifestava, secondo i veggenti, a orari fissi.

Nel 1995 alcuni dei sei veggenti originari, di prima della guerra, avevano defezionato, si erano trasferiti altrove, allontanandosi dai discussi francescani croato-bosniaci che fin dal 1981 amministravano la fabbrica delle apparizioni.
Con la guerra fratricida etnico-religiosa, erano resuscitati anche i fantasmi di un angoscioso passato, che aveva visto per protagonisti proprio i francescani di Bosnia e Croazia, l’Ordine che gestiva il tempio di Medjugorje.
Temprati e induriti da una guerra che durava da centinaia di anni, prima contro l’avanzare della chiesa ortodossa e poi contro l’impero ottomano e il diffondersi della religione musulmana, quei francescani avevano visto nella seconda guerra mondiale l’occasione per sterminare i nemici religiosi.
Si erano subito schierati con il dittatore ustascia Ante Pavelić, alleato di fascisti e nazisti, e avevano partecipato alla “pulizia etnico-religiosa”, alle conversioni forzate, alle deportazioni, alle stragi ordinate dagli ustascia e perfino al genocidio nel campo di sterminio di Jasenovac dove furono eliminati almeno 600 mila jugoslavi, serbi, ebrei, rom e dissidenti di altre etnie.
A Jasenovac il comandante delle squadre della morte era un frate francescano, Miroslav Filipović, detto “il satana nero”, che, condannato a morte alla fine della guerra per i crimini commessi, chiese di vestire per l’ultima volta il saio prima di essere fucilato.
Neanche altri esponenti del clero cattolico croato e bosniaco si opposero alle violenze degli ustascia, nell’inanità complice del Vaticano che riceveva a Roma addirittura delegazioni di ustascia e criminali di guerra. Lo storico Marco Aurelio Rivelli scrisse: “Quello attuato dalla dittatura di Pavelić, di forte impronta cattolica e sostenuta apertamente da tutte le strutture del cattolicesimo croato (episcopato, clero, ordini religiosi, francescani in particolare), fu un genocidio dalle esclusive connotazioni religiose, e i più colpiti furono gli “scismatici” serbo-ortodossi”.
Proprio il Vaticano, con la collaborazione dei francescani e del clero croato, alla fine della seconda guerra mondiale organizzò la “ratline”, chiamata come la corda, la “grisella”, che collegata alle sartie, permette ai topi la salita fino alla cima degli alberi dei velieri, l’ultimo rifugio durante un naufragio prima di essere inghiottiti dalle acque. Attraverso la “ratline” sfuggirono alla giustizia criminali nazisti e fascisti, con in testa Ante Pavelić. Riuscirono, passando per l’Italia, a sfuggire ai tribunali di guerra nascondendosi in Sud America, Stati Uniti e Medio Oriente. Il centro operativo della via di fuga, della “grisella”, era un monastero croato, San Girolamo degli Illiri, a poca distanza dai palazzi Vaticani, sulla sponda opposta del Tevere.
Anche il massimo esponente del clero cattolico croato, Alojzije Stepinac, restò in silenzio davanti all’orrore e anzi assicurò ad Ante Pavelić “sincera e leale collaborazione” tanto da meritare l’appellativo di “arcivescovo del genocidio”.
Malgrado i legami con Pavelić, il silenzio complice sui crimini commessi dal suo clero e tutte le ombre sul suo operato, Papa Wojtyła beatificò Alojzije Stepinac, considerandolo una vittima del governo comunista jugoslavo anziché un sostenitore dei fascisti ustascia e campione dell’estremismo religioso.

Ma lo sguardo obliquo del papa aveva forse anche un’altra spiegazione. La beatificazione di Alojzije Stepinac aveva permesso al Vaticano di rientrare in possesso, grazie a un accordo ratificato con l’allora presidente croato Franjo Tuđman, in occasione della visita del papa, delle proprietà immobiliari che il regime comunista aveva sequestrato alla chiesa nel dopoguerra, a causa della complicità criminale con gli ustascia.
Il monastero francescano di Siroki Brijeg, roccaforte ideologico-religioso del movimento ustascia e fulcro spirituale dei cattolici d’Erzegovina durante la seconda guerra mondiale, fu chiuso dal governo jugoslavo, ma intorno rimase per anni il focolaio dell’estremismo nazionalista cattolico.
Per questo, senza conoscere la storia dei francescani di Croazia, di Bosnia e l’intreccio di fanatismo religioso e interessi economici e politici che ne è originato, è difficile discernere anche solo nei contorni la costruzione di un fenomeno come la fabbrica delle apparizioni di Medjugorje.
In Erzegovina la comunità cattolica, circa 400 mila persone, era la più compatta e numerosa dell’intera nazione e diversamente dagli altri cattolici di Bosnia, che seguivano il clero Vaticano, era devotissima ai nazionalisti, secessionisti ed estremisti francescani.
Questi frati già alla metà degli anni ’70 entrarono in conflitto con i vertici della Chiesa per una questione di proprietà immobiliari legate a diverse parrocchie nella loro giurisdizione. Prevalsero e si tennero le parrocchie, ma il contrasto con la diocesi di Mostar (che ha la giurisdizione su Medjugorje) divenne insanabile.
A quel momento risalgono i primi segni del progetto delle apparizioni, come il ritrovamento di rosari di fabbricazione sconosciuta in vari luoghi intorno a Medjugorje. Benché più banali che misteriosi, i francescani li definirono segni premonitori o miracolosi.

Si arrivò così al 24 giugno 1981. Sei ragazzi dissero aver visto “una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo”. Durante altre apparizioni i sei giovani veggenti, Ivanka Ivanković, Mirjana Dragićević, Vicka Ivanković, Ivan Dragićević, Jakov Čolo e Marija Pavlović, descrissero meglio la figura della presunta “Madonna”: “Tra i 18 e i 20 anni, snella, alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. Gli occhi sono azzurri con ciglia delicate, il naso è piccolo e grazioso e le guance sono rosee. Ha belle labbra rosse e sottili e il suo sorriso è di una gentilezza indescrivibile. Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco e copre la testa e le spalle e scende anch’esso fino alla piccola nuvola. Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa”. Non serve certo un semiologo per capire che quella descrizione risente dell’iconografia classica e popolare tramandata da quadri e santini, ma date l’eco mondiale del fenomeno e la netta presa di distanza del Vaticano occorreva il suffragio scientifico.
Già alla metà degli anni ’80 alcuni medici e studiosi cattolici si impegnarono in sommarie quanto modeste indagini, nel tentativo di avvalorare l’intensa attività mariana di Medjugorje, difforme da quella che si era manifestata in luoghi di culto accreditati dal Vaticano come Fatima, Lourdes, Tepeyac.
Pressato da alcuni colleghi cattolici, iniziò gli studi e le ricerche sulle apparizioni di Medjugorje anche il professor Marco Margnelli, neurofisiologo, già braccio destro di Giulio Maccacaro alla rivista “Sapere”, ricercatore del CNR di Milano, del Karl Ludwig Institut fur Physiologie dell’Università di Lipsia e dell’Università del North Carolina.
Marco Margnelli era uno dei massimo esperti mondiali di stati della coscienza e di estasi e aveva studiato in profondità le relazione tra fenomeni mistico-religiosi e droghe naturali e sintetiche. Dopo la sua prima visita a Medjugorje, tornò in Italia con molti dubbi sui “francescani con il rolex” che gestivano l’attività proficua dei veggenti.
Il francescano Jozo Zovko, parroco di Medjugorje, era già stato arrestato più di una volta per “attentato alla sicurezza e all’unità dello Stato jugoslavo”. Mentre il frate più vicino ai veggenti, il loro “direttore spirituale”, padre Tomislav Vlašić, l’estensore materiale, per loro conto di quella che venne definita una lettera scritta dalla Madonna al Papa (poi smentita dai veggenti) era stato accusato dal vescovo di Mostar Zanic di essere l’ideatore delle apparizioni, ma aveva combinato ben di peggio. Era stato accusato di aver “divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum” (ossia contro il sesto comandamento, che riguarda i peccati di natura sessuale, ovvero per aver messo incita una suora) ed era stato ridotto dal papa allo stato laicale con l’interdizione perpetua ad essere anche solo ospitato in un convento francescano.
Malgrado questo contorno ambiguo e opaco, Marco Margnelli era incuriosito da alcuni aspetti scientifici ancora da indagare, nati dallo studio dei veggenti. Disse in una intervista: ”Mi irritava l’atteggiamento degli “esperti” dai quali i teologi orecchiavano le loro trattazioni, degli psichiatri o degli psicoanalisti che pontificavano paragoni e confronti tra deliri patologici ed esperienze estatiche, tra menti sane e menti malate senza mai avere visto un estatico da vicino o aver studiato una vera estasi.” Margnelli invece aveva studiato in India degli yogi che sapevano cambiare il loro stato fisiologico, far aumentare i battiti del cuore, aumentare la temperatura del corpo e controllare il dolore. Uno di loro gli aveva detto: “Si può arrivare a controllare tutto, corpo e mente ma che i veri prodigi si hanno quando si acquista il controllo del cervello.” Da neurofisiologo Margnelli voleva spiegare scientificamente “i prodigi” e non certo avventurarsi nella spiegazione di miracoli veri o presunti. Secondo lo scienziato “l’estasi era uno stato di coscienza”. Nulla che avesse una relazione con il soprannaturale. Era questo che cercava di dimostrare scientificamente .
Nella seconda metà degli anni ‘80, Marco Margnelli ritornò a Medjugorje insieme ad una numerosa equipe. Vennero svolte diverse indagini scientifiche e apparve chiaro agli studiosi che i veggenti erano in uno stato alterato di coscienza. Scrisse Margnelli: ”Una condizione che si può ottenere anche attraverso tecniche di meditazione, come l’auto-training, ma non in modo così profondo…” Margnelli lasciava aperta un porta per future indagini, ma le sue dichiarazioni vennero usate e distorte per consolidare la presunta veridicità delle apparizioni. Venne anche diffusa la falsa notizia “che il noto scienziato ateo Marco Margnelli si era convertito al cattolicesimo dopo aver conosciuto i veggenti”. In privato Margnelli ci rise sopra: “Questi sono matti”. Disse senza perdere altro tempo a smentire quegli oscuri manipolatori della verità. In quel periodo fu anche avvicinato da un misterioso personaggio, che sembrava più un agente segreto, anche se era un monsignore, responsabile di una delle strutture più misteriose del Vaticano specializzata nell’indagare e catalogare i fenomeni paranormali.
La questione di “Medjugorje” si era trasformata ormai in una guerra a sfondo politico oltre che religioso tra istituzioni cattoliche. Più aumentava il numero di pellegrini cattolici a Medjugorje (nove milioni registrati solo nel 1987), più si acuivano i contrasti tra la Chiesa e l’Ordine francescano. Per non consegnare alla Chiesa le parrocchie contese fin dagli anni ‘70, i francescani arrivarono perfino a murare l’ingresso delle chiese e addirittura sequestrarono per 15 giorni il loro più strenuo oppositore, il vescovo di Mostar.
Poco prima del definito disfacimento della Repubblica jugoslava, il 10 aprile 1991, i vescovi del paese, riuniti a Zara, emisero una dichiarazione congiunta su Medjugorje: “Sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali”.
Anche frate Jozo Zovko, l’altra anima nera dei veggenti, venne sospeso dalle funzioni pastorali.

Nel 1992, con lo scoppio della guerra di Bosnia si esaurirono i pellegrinaggi, ma gli echi di notizie di fatti miracolosi, sapientemente amministrate dai francescani di Medjugorje vennero propagate sui mezzi di comunicazione.
Diffusero perfino una foto di un missile piantato davanti al santuario con la notizia che la Madonna ne aveva mutato la traiettoria salvando chiesa e i fedeli. Il fotoreporter Claudio Olivato che in quel periodo passò da Medjugorje, si reso conto che si trattava di una bufala, anche perché il missile non aveva minimamente scalfito il selciato davanti alla chiesa.
I francescani di Croazia e Bosnia, come già era accaduto durante la seconda guerra mondiale, durante la guerra di Bosnia, smentendo la loro “Regina della pace”, furono la punta di diamante dell’estremismo cattolico guerresco. Con la copertura di alcune associazioni umanitarie, come “Il Pane di Sant’Antonio” e la “Caritas di Ghedi”, (da non confondere con la Caritas italiana) si misero ad aiutare la loro fazione secessionista.
Il responsabile di queste attività era un frate croato, Bozo Blazevic, che smistava gli aiuti umanitari, ma anche altro, dal centro logistico della Caritas francescana di Spalato, diretta da padre Leonar Orec. Riguardo le attività misteriose del frate il giornalista Luca Rastello scrisse: “Il 29 maggio del 1993 un piccolo convoglio di un gruppo di volontari bresciani viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i religiosi li pregano di consegnare quattro pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono di documenti con il marchio del pane di sant’Antonio, un po’ come se firmassero l’ignara spedizione dei bresciani… Poche ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i cinque bresciani vengono intercettati da una banda di irregolari bosniaci che sequestra il carico e i documenti e uccide a freddo Fabio Moreni insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.” Non si seppe mai cosa contenessero i 4 pacchi del frate Bozo Blazevic, ma il 22 dicembre 1993, a bloccare un altro convoglio umanitario fu il comandante Goran Cisic. Sotto i generi alimentari chiamati “aiuto umanitario” saltarono fuori lanciarazzi, mortai e altro. Due giornalisti italiani, Ettore Mo ed Eros Bicic, involontariamente testimoni dei traffici in corso vennero arrestati per qualche ora mentre il frate Blazevic, amico personale del presidente Tudjman, ripartì senza problemi.

Alla fine della guerra, le numerose e segrete attività dei francescani di supporto alle fazioni estremiste e secessioniste cattoliche, vennero ignorate dai tribunali locali, ma anche da quelli internazionali, e caddero nell’oblio.
Il grande business delle apparizione e dei miracoli di Medjugorje riprese a pieno ritmo senza più ostacoli.
Nel 1996 Tarcisio Bertone, allora segretario della Congregazione per la dottrina della Fede, in una lettera concluse che «i pellegrinaggi ufficiali a Medjugorje, intesa come luogo di autentiche apparizioni della Vergine, non possono essere organizzati né a livello parrocchiale, né diocesano». Ma lasciò aperte le porte al proficuo turismo religioso: “Ai pellegrinaggi a Medjugorje che si svolgono in maniera privata
Qualcuno ha stimato stimato che dal 1981 al 2013, “l’ammontare totale delle spese turistiche prodotte a Medjugorje si sia aggirato intorno ai 2,85 miliardi di euro. Inoltre, valutando in circa 23 milioni i pellegrini arrivati nel paesino dell’Erzegovina negli anni presi in considerazione, le spese di viaggio ammonterebbero a quasi 8,5 miliardi di euro, per un giro d’affari mondiale di circa 11 miliardi di euro”. Non sappiamo se queste cifre sia esatte al centesimo, ma sono molto verosimili.
Alla fine degli anni ‘90, chi scrive incontrò il Prof. Marco Margnelli con l’idea di fare un documentario su Medjugorje. Lo conoscevo fin dagli anni ‘70 e ne apprezzavo le sue capacità e la sua rettitudine. L’incontrò durò parecchie ore. Margnelli nel corso degli anni aveva approfondito alcuni studi sull’ipnosi e sugli stati coscienza e aveva un’idea precisa sui veggenti. Ma il progetto documentaristico venne rimandato a causa dello scoppiò del conflitto in Kosovo e qualche tempo dopo il prof. Margnelli si ammalò gravemente. L’idea documentaristica venne abbandonata definitivamente ma ho ancora il nastro con quello che mi disse e ricordo la risposta che lo scienziato diede alla mia domanda se quello che i veggenti vedevano fosse un fatto sovrannaturale.
Nessun miracolo… Si tratta di autosuggestione”. Rispose Margnelli in modo netto.

A distanza di quindici anni dalle ultime ricerche del prof. Marco Margnelli, tra poco la parola su Medjugorje passerà a Papa Bergoglio. Anche se in questi giorni è stata diffusa ad arte la notizia che “si rischia lo scisma (tra i croati) se sconfesserà le apparizioni della Madonna”, dopo aver fatto pulizia dei preti pedofili, dei monsignori affaristi, dello Ior e della finanza vaticana, quale sarà l’orientamento del Papa, che ha preso il nome di Francesco, con i francescani di Bosnia e la loro fabbrica delle apparizioni?
La Madonna è madre! E ama tutti noi. Ma non è un capo ufficio della posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. Ha detto qualche settimana fa riguardo le visioni quotidiane dei veggenti di Medjugorje.





Il fascismo della Chiesa uniate

1) Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev (8 dicembre 2014)
2) Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari (15 gennaio 2015)
3) In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia (4 marzo 2015)
4) Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato (19 ottobre 2015)
5) Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo" (2 dicembre 2015)


Si vedano anche:

Agosto 2014: a Bologna il sacerdote promuove la raccolta fondi per l'equipaggiamento dell'esercito di Kiev
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina/bologna190814.jpg

Settembre 2014: al funerale di un caduto dell'organizzazione filo nazista "Pravy Sektor" il prete della Chiesa greco-cattolica Nikolaj Zaliznjak ha urlato: «Per ognuno dei nostri decine di loro cadranno!» 
Gennaio 2015: Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Vatican clergy and Ukrainian nationalism (I) (By Andrew KORYBKO (USA), Wed, Apr 22, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/22/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-i/
Vatican clergy and Ukrainian nationalism (II) (By Andrew KORYBKO (USA), Thu, Apr 23, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/23/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-ii/
Papa Francesco è l’agente del nazionalismo ucraino più influente al mondo (di Andrew Korybko, 22-23 aprile 2015)
http://sakeritalia.it/europa/ucraina/papa-francesco-e-lagente-del-nazionalismo-ucraino-piu-influente-al-mondo/

Quelle convergenze tra il Papa e Putin (di Gianni Valente - 9/6/2015)
La seconda visita del presidente al Pontefice: la Chiesa cattolica non si allinea al «cordone sanitario» anti-russo dei circoli occidentali. Lo zar pronto a chiarire a Francesco la posizione russa...
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-francisco-francis-putin-41650/ 


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Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev

Scritto da Ukraina.ru - 8 dicembre 2014

Nella notte del 2 dicembre, persone non identificate hanno incendiato la Chiesa ortodossa ucraina nel complesso memoriale Babi Yar "Una bottiglia Molotov è stata gettata all’interno attraverso la grata della finestra. Il fuoco ha attaccato le pareti, la finestra e alcune parti infiammabili della Chiesa". Ha dichiarato Padre Serhiy Temnik. Egli ha detto che il guardiano della chiesa ha visto le fiamme e si è messo subito a spegnere il fuoco, salvando le reliquie che erano sull’altare. Padre Serhiy ha aggiunto che la chiesa era stata minacciata molte volte negli ultimi tempi e anche recentemente, ma questa è stata la prima volta che la chiesa è stata attaccata.
Questo non è il primo attacco ad una chiesa ortodossa in Ucraina. Nel mese di ottobre, un gruppo di 50 persone accompagnati dalla polizia ha sequestrato la Chiesa ortodossa di Intercessione della Vergine Santa in Turka, una città nella regione di Lviv. Nel mese di agosto, facinorosi ucraini avevano interrotto un servizio nella Chiesa dell'Intercessione, nel villaggio di Chervona Motovylivka e hanno intimato a Padre Volodymyr Navozenko di "lasciare l'Ucraina in una settimana", o lo avrebbero ucciso.

Da Ukraina.ru  - Traduzione di Enrico V. per CISNU/CIVG


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Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Raccolta tra i fedeli per donare una termocamera. Il sacerdote dei Santi Simone e Giuda: permettono di identificare i nemici di notte vogliamo salvare delle vite. Ma è polemica sul web: sono delle armi e vengono usate per uccidere, state finanziando una guerra. L'Arcidiocesi si dissocia: "Non siamo stati informati"

di GERARDO ADINOLFI
15 gennaio 2015

Sul volantino giallo, sopra la scritta: "Il popolo deve essere unito per non far morire l’Ucraina" c’è un’immagine ripresa da un videogioco di guerra, Battlefield. Un soldato, sguardo fiero e arrabbiato con metà corpo avvolto dalle fiamme. E dietro un carro armato che avanza verso il nemico. Un’immagine che contrasta con il luogo dove viene e sarà diffuso: la chiesa dei Santi Simone e Giuda a Firenze e la chiesa di San Francesco, a Prato, luoghi di ritrovo della comunità ucraina delle due città toscane. Il volantino è pubblicato anche sulla pagina Facebook della “Chiesa Greco- Cattolica Ucraina in Firenze”. 
Sul foglio c’è un annuncio che invita la comunità a lasciare un’offerta libera per «comprare - si legge - una buona imager Pulsar Quantum HD50S per un gruppo di soldati ucraini che adesso combattono in prima linea del fronte sul territorio di Donetsk e Lugansk in Ucraina». La Pulsar è una termocamera, uno strumento capace di individuare persone in condizioni di buio, fumo o nebbia attraverso il rilevamento del calore. Costa sui 3.100 euro ed è acquistabile anche su Internet. Una tecnologia comune che, però, in contesti di guerra può diventare un‘arma capace di scovare il “nemico” di notte. A confermarlo anche un video, pubblicato sul sito uahelp.center, (Centro di aiuto per l’Ucraina), in cui si spiegano le caratteristiche della termocamera. "Nel buio assoluto imager può aiutare a fare questo - si legge sopra il link del video che mostra l’uccisione di quattro soldati scovati tramite immagini termiche - scusate la crudeltà, siamo in guerra". 
Sul volantino si spiega che la termocamera «può salvare la vita dei ragazzi ucraini". "Noi vogliamo che loro tornino vivi - si legge - lì dove ce l’hanno, i soldati possono dormire tranquilli sapendo che la pattuglia notturna segnalerà i cambiamenti delle temperature nella zona circostante, sia l’uomo che le macchine in movimento. E quindi permette di agire con successo sia nell’attacco, sia per la difesa".

Per partecipare alla colletta il volantino indica alcuni numeri telefonici, oppure un codice Iban dove inviare i fondi intestato alla Chiesa rettoria dei Santi Simone e Giuda. Un annuncio che, lanciato dalla pagina della chiesa, ha creato polemiche in rete. «Ritirate subito questa colletta - scrive un italiano - come Chiesa state finanziando la guerra», si legge in un post poi non più visibile sulla pagina. Altri commenti, pro e contro, sono scritti in ucraino o in russo. La Chiesa dei Santi Simone e Giuda fa parte dell’Arcidiocesi di Firenze e ha come sacerdote padre Volodymir Voloshyn: "Non ho messo un annuncio per comprare le armi - spiega il sacerdote che spiega di non aver avvertito la Curia dell’iniziativa - la termocamera viene usata anche per altri scopi. In Italia forse tutto è visto come un’arma ma in Ucraina bisogna salvare la gente, bisogna aiutarla". La comunità, negli scorsi mesi, ha organizzato marce e raccolto medicine, abiti caldi, cibo da inviare in Ucraina. "Non è un’arma - ribadisce padre Voloshyn - serve per difendere i nostri soldati dagli attacchi notturni. Il nostro è un esercito che è stato completamente distrutto. Ci mancano apparecchi costosi". Una volta raccolti i fondi la termocamera andrà a un gruppo di volontari in Ucraina che la donerà ad un battaglione del fronte. "Non è un’iniziativa della Chiesa - spiega Yulia, uno dei numeri da chiamare sul volantino - ma di tutta la comunità. Anche se siamo all’estero non possiamo veder morire i nostri connazionali, se possiamo aiutarli li aiutiamo in tutti i modi che possiamo". Sul sito uahelp si legge: "Questione di vita o di morte, questa robetta vale come minimo 3 vite umane".

Dopo l'articolo pubblicato su Repubblica l'Arcidiocesi di Firenze si dissocia "L’Arcivescovo e i suoi collaboratori nel governo pastorale - si legge - segnalano di non essere stati messi al corrente e si dissociano dall’iniziativa che viene giudicata impropria per una realtà ecclesiale".


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In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia

4 marzo 2015

In Ucraina è in corso una vera e propria guerra religiosa. E’ in corso preordinato attivamente dal cattolicesimo. Bruciano le chiese ortodosse. I preti ortodossi cercano di i modi per trasferire la loro famiglia fuori dall’Ucraina occidentale verso altre regioni del paese.
Di questo ha riferito a Kiev l'attivista per i diritti umani, coordinatore del movimento «Madri dell'Ucraina» Galina Zaporozhzeva, commentando gli ultimi avvenimenti a Sumy.
Come saputo precedentemente, il 1° marzo, nella Settimana del trionfo dell'Ortodossia, all'ingresso della Cattedrale Spaso-Preobrazhenskij di Sumy, 20 persone in maschera e tuta militare con il logo del «Settore di Destra» hanno organizzato una nuova provocazione.
Fra loro c'era il «libertario» (del Partito fascista Svoboda “Libertà” ndt)Vladimir Ganzin, che è proprio durante la messa ha picchiato il custode della cattedrale. Quindi i «Destri» hanno bloccato l'ingresso e minacciato di violenza il Vescovo, clero e fedeli. È stato segnalato che una parte di aggressori erano sotto l'effetto di droghe. Tuttavia i fedeli hanno respinto i radicali lontano dal Vescovo e gli aggressori hanno dovuto ritirarsi.
Due settimane fa, il 12 febbraio, i nazionalisti hanno profanato le chiese delle regioni di Volynsk e Rivno: sfondato le porte della Cattedrale Voskresen’kaja della città di Kovel’ e della chiesa di San Giovanni Battista-Teologico è stata danneggiata la recinzione e rotti i vetri di una finestra. In precedenza, nella regione di Rivne vandali avevano profanato otto chiese e altre due sono state date alle fiamme a Kiev.
Ricordiamo che, nella notte del 27 gennaio 2015, aggressori hanno dato fuoco ad una delle chiese del Patriarcato di Mosca a Kiev, alla vigilia hanno tentato di bruciare l’edificio nazionale storico-commemorativo, la chiesa nella riserva naturale «Babi Jar». A Natale è stata ridotta in cenere la centennale chiesa di Leopoli.
Un enorme numero di chiese distrutte nella zona ATO. In particolare colpite con i «Grad». Dieci chiese nella Diocesi di Donezk durante i bombardamenti dell’artiglieria trasformate in rovine e più di 70 distrutte in parte. Galina Zaporozhzeva ha fatto notare come tutti i fatti di sangue e gli atti di vandalismo si svolgano in Ucraina in occasione delle feste ortodosse.
Lo confermano gli eventi dello scorso anno. A Natale e all’Epifania sono avvenuti scontri sul Kreschatkik a Kiev. La Domenica delle Palme ci sono stati disordini a Zaporozhe quando i manifestanti hanno circondato cinquemila radicali arrivati da Dnepropetrovsk. Alla vigilia di Pasqua hanno inondato le persone di farina e colpite con uova.
L’attivista dei diritti umani ha anche ricordato la tragedia della Casa dei Sindacati verificatasi il 2 maggio 2014, quando molti ortodossi si stavano recando al cimitero per commemorare i defunti. In quell’occasione tutta la polizia era presente ed i radicali, approfittando di questo, hanno organizzato nella Casa dei Sindacati la «Chatyn odessita».
«Tutto quello che accade in Ucraina è una crociata contro l’ortodossia. Si sono già rivolti a me preti dell’Ucraina occidentale che hanno chiesto di aiutarli a trasferire le loro famiglie in altre regioni. Ci sono attacchi non solo contro noi sacerdoti, ma contro le nostre mogli ed i nostri figli. Loro non possono andarsene perché è necessario il permesso del Patriarcato.
I media non fanno luce su questo, ma in Ucraina davvero è in corso una guerra religiosa in piena regola che mira a dividere il paese», riassume la Zaporozhzeva. Nel Patriarcato di Mosca credono anche che distruggendo le chiese ortodosse in Ucraina determinati circoli politici attuali di Kiev perseguano molteplici obiettivi politici e cerchino di dare all'opposizione della parte occidentale ed orientale del paese un carattere religioso.
«È molto triste che qualcuno stia cercando di attaccare le chiese forse perseguendo molteplici obiettivi politici. Anche durante le più terribili guerre le zone sacre, di solito sono rimaste indenni, le parti in guerra non le hanno toccate. Anche nei momenti più acuti delle lotte a Kiev la gente ha trovato rifugio nelle chiese. E gli appelli al sequestro di questo o quell’edificio di culto, grazie a Dio, non sono mai arrivati. Nessuno ha cercato di organizzare atti di vandalismo contro le chiese», così ha commentato gli atti di vandalismo il Presidente del Dipartimento Sinodale per la cooperazione fra chiesa e società del Patriarcato di Mosca, padre Vsevolod.
Ecco cosa disse in precedenza il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ Kirill.
I «Pravoseki» non solo si fanno beffa delle icone e degli oggetti sacri, ma anche deridono crudelmente i servitori della Chiesa.
Così i nazionalisti hanno ucciso tre preti ortodossi e arrestato più di una dozzina di monaci. I ministri ortodossi sono costantemente sottoposti a torture, umiliazioni e vengono cacciati dai «sostenitori di Bandera». Pochi giorni fa armati del «Settore Destro» hanno occupato la chiesa del villaggio Butin della regione di Ternopil nell'ovest dell'Ucraina.
I radicali hanno rifiutato di far entrare i fedeli in chiesa, a causa di ciò i credenti non sono stati in grado di seguire la  liturgia mattutina. E quando il sacerdote russo è entrato in chiesa questa era già stata occupata da rappresentanti del patriarcato di Kyiv. E quando i nazionalisti ucraini hanno celebrato l'anniversario della fondazione dell'esercito ribelle ucraino, in Ucraina sono stati distribuiti volantini contenenti appelli alla distruzione del clero della chiesa Ucraina del Patriarcato di Mosca.
I fascisti fanno di tutto per sradicare la chiesa ortodossa in Ucraina e a riguardo della cosiddetta «pulizia» non viene intrapresa nessuna azione per fermare queste terribili azioni né da parte del governo, né da parte di semplici ucraini residenti. Ricordiamo che i «banderovci» negli anni 1941-1945 hanno organizzato un vero terrore contro l'Ortodossia in Ucraina. Avendo costruire la loro tanto ambita indipendente Ucraina con la loro chiesa indipendente, in cinque anni l’UPA ha ammazzato più di 900 preti ortodossi.


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Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato

Scritto da RIA Novosti Ucraina – 19 ottobre 2015


In Ucraina, la comunità è talmente affascinata dalla politica da non prestare attenzione quando invadono le cose sacre, quando si verificano attacchi e razzie nelle chiese e nei templi. La Chiesa Ortodossa Ucraina ha avuto 30 templi sequestrati in tutto il paese ha e le razzie spesso si spiegano con "sentimenti patriottici". Sul ruolo dei politici, di "Settore Destro" e dello Stato in questi processi, RIA Novosti Ucraina ha intervistato il responsabile amministrativo della Chiesa Ortodossa Ucraina, il metropolita Antonij di Borispol e Brovary.

Cosa pensa che motivi la gente a invadere i templi come aggressori, entrando così in conflitto aperto?

Gli uomini sono spesso manipolati. Ora, lo stato d'animo di molti è stato influenzato negativamente dalla televisione. Non tutti possono sopravvivere quando su base quasi quotidiana si riversano sulla Chiesa fiumi di menzogne ​​e falsità, che battono sempre sullo stesso punto. Che la Chiesa Ortodossa Ucraina (COU) è una "quinta colonna" di "traditori" che lavorano per l'FSB. È interessante notare che non è mai stata mostrata alcuna prova. Ne esce un'immagine ben fatta e un testo costruito in modo gesuitico. Nelle persone patriottiche, ripetere questa disinformazione comincia a provocare un'ondata di rifiuto, ma non verso gli autori di provocazioni contro la COU, bensì contro la nostra Chiesa. Di questi sentimenti pubblici si servono alcuni politici, soprattutto a livello di autorità locali, e i rappresentanti del patriarcato di Kiev. Abbiamo registrato un sacco di casi in cui i residenti di alcune località hanno deliberatamente contrastato la COU. A tal fine, in particolare, hanno usato metodi di campagna personale attiva e distribuzione di volantini con falsi "fatti" della nostra Chiesa. Come risultato, la gente è sospinta verso uno "pseudo-patriottismo." Bandendo la comunità della COU dal loro tempio, pensano di partecipare a una causa santa e di aiutare il loro stato. In realtà ne esce un quadro diverso – di ucraini che opprimono altri ucraini, creando gravi focolari aggiuntivi di destabilizzazione della situazione sociale nel paese. Alla luce di questo vorrei sottolineare l'enorme responsabilità delle forze che provocano tali confronti. Per aumentare il numero dei loro beni ecclesiastici, così come per ottenere preferenze politiche o altri vantaggi, stanno spingendo la società verso un abisso di odio e inimicizia. Questa posizione non può essere chiamata patriottica. Mina chiaramente i fondamenti della vita e dello sviluppo del nostro paese.

Pensa che la società ucraina sia ora divisa anche dall'intolleranza per motivi religiosi?

Questo è un problema. Le linee di frattura ora dividono anche le famiglie. Le faccio un esempio concreto. Recentemente, nel villaggio di Katerinovka nella regione di Ternopil, il "Settore Destro" e la polizia hanno picchiato fedeli disarmati della COU. Una delle donne ferite è stata intervistata dai media, e ha parlato di quest'incidente. Secondo le sue parole, ora non sa come vivere, ha paura, ha timore di tornare a casa. L'intervista ha provocato una forte reazione della figlia di questa donna, che ha contestato in modo aggressivo il fatto che sua madre aveva difeso la loro fede e la loro comunità dall'illegalità. Il risultato – una famiglia divisa, un legame tra madre e figlia strappato da un sequestro di una nostra chiesa. E ci sono molti di questi esempi. A causa delle avventure dei politici, dell'irresponsabilità di alcuni media, del desiderio di trarre profitto dalle proprietà altrui, ci sono gravi drammi familiari, e i fratelli, gli amici, i parenti diventano di ieri acerrimi nemici. Tutto questo è una bomba a orologeria per la stabilità della nostra società e del nostro stato.

Ha delle statistiche sulle chiese catturate fino a oggi? Continua un processo di sequestri? Quali sono le previsioni?

Fino ad oggi, alla COU sono state sequestrate più di 30 chiese. Le zone più problematiche sono Ternopil e Rivne. I sequestri avvengono direttamente o con la forza, con sostegno di radicali di "Settore Destro" e organizzazioni simili, o con svolgimento di "referendum" illegali. La loro essenza è semplice – votare per il passaggio del tempio dalla COU al patriarcato di Kiev, ma non tra i membri della comunità, bensì tra tutti gli abitanti del villaggio in cui si trova il tempio. Di conseguenza, votano atei, credenti di altre religioni o persone che si fanno vedere in una chiesa ortodossa, nella migliore delle ipotesi, una o due volte l'anno. Ci sono state occasioni in cui hanno fermato la gente per strada e hanno chiesto loro di mettere una firma nei posti giusti. O in cui hanno formato neonati che vivono nelle rispettive località. Vi è una flagrante violazione della legge. Siamo in attesa delle elezioni, ed è possibile che alcune forze politiche cercheranno di aumentare il loro rating con la partecipazione ai processi di sequestro dei nostri templi. Non possono mostrare al loro elettorato la prova dei propri successi in altri settori, quali l'economia. E per nascondere il loro tasso di fallimento si gettano nello pseudo-patriottismo e nella "lotta contro la quinta colonna". Alla luce di questo sembra molto rivelatore il recente sequestro della chiesa della COU nella città di Konstantinovka nella regione di Donetsk. Nella chiesa a noi sequestrata il patriarcato di Kiev ha celebrato un "servizio", a cui hanno partecipato solo i militari a guardia del posto. Nessun credente residente a Konstantinovka era nella chiesa. Tuttavia, anche questo non è importante. Il patriarcato di Kiev ha abbandonato le proprie chiese sul territorio non controllato dell'Ucraina. E invece di pensare a come prendersi cura del loro gregge abbandonato al proprio destino, preferiscono occuparsi di scorrerie e cercare parrocchiani stranieri per la strada.

 

Intervista del Centro per l'Informazione della Chiesa Ortodossa Ucraina

RIA Novosti Ucraina - Traduzione di Padre Ambrogio per CISNU- civg.it



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Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo"

di FP, 2 Dicembre 2015

L'agenzia UINP (Portale Indipendente Ucraino di Notizie) riportava il 27 novembre scorso un fatto quantomeno curioso, ma perfettamente inquadrato nell'odierna “democrazia” Poro-Jatsenukiana. Il Metropolita della diocesi Lutskaja e Volynskaja (quella Volynija che, negli anni della guerra, fu teatro dei più feroci massacri perpetrati dai filonazisti ucraini ai danni di polacchi e ebrei) della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, Mikhail Zinkevič, rivolto ai fedeli ha detto: ”Voi oggi vi trovate nella vostra cattedrale e dovete pregare nella vostra lingua ucraina e non nella lingua dell'occupante. Chi prega in un'altra lingua … che non si inganni. Perché dio ascolta noi e mai loro”. Zinkevič avrebbe anche accusato coloro che frequentano le parrocchie della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca, di finanziare con ciò stesso la guerra civile nel Donbass: “Chi sostiene quelle chiese, chi fa delle offerte, chi compra le candele, porta soldi agli uccisori dei vostri figli. Ogni candela acquistata nelle chiese del patriarcato di Mosca, è una pallottola per uccidere i vostri figli”. 
Terminando l'omelia, scrive UINP, il metropolita avrebbe minacciato di morte coloro che simpatizzano per la Russia.
La sortita del metropolita Zinkevič fa il paio con la supplica rivolta da Petro Porošenko a papa Bergoglio per la beatificazione del capo della chiesa greco-cattolica ucraina, Andrej Šeptitskij, schierato coi nazisti tedeschi e i filonazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale. Non a caso, pare che proprio dal 1941, con l'occupazione nazista dell'Ucraina, dati la separazione del patriarcato di Kiev da quello di Mosca e la nascita della cosiddetta chiesa ortodossa autocefala ucraina, con le conseguenti persecuzioni, uccisioni e terrorismo contro i seguaci moscoviti da parte dei nazionalisti e filonazisti ucraini e la susseguente fuga, nel 1943 e 1944 dei vescovi autocefali a fianco dei nazisti in ritirata.



(deutsch / english / italiano)

Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini

1) Nato, sfida alla Russia: Montenegro sarà il 29° membro. Mosca: “Reagiremo” (Il Fatto Quotidiano)
2) L'annunciato ingresso del Montenegro nella NATO: tensione alle stelle con la Russia (RT / Marx21)
3) The Article 5 World (NATO: new strategy, further expansion) / Die Artikel-5-Welt (NATO: Neue "Südstrategie", neue Erweiterung)


Nostro commento:
La NATO ha annunciato lo scorso 2 dicembre che il Montenegro dovrà entrare a far parte dell'Alleanza. 
L'annuncio viene presentato come un "invito" dai nostri media, che alla NATO sono asserviti, nonostante l'opposizione della popolazione montenegrina sia stata fragorosamente evidenziata da recenti proteste conclusesi anche con pesanti scontri di piazza. (1) D'altronde, quegli stessi media hanno preferito dipingere le proteste come genericamente "antigovernative" sottacendo la questione cruciale della ventilata annessione del Montenegro alla NATO.
La possibilità di tale adesione è il frutto delle manovre del governo di destra e del "leader eterno", il contrabbandiere di sigarette e fiancheggiatore della camorra (2) Milo Djukanovic, ininterrottamente in sella nel paese da un quarto di secolo nonostante tutto, il quale non a caso menziona il "referendum del 2006 per l’indipendenza" come il suo altro grande successo: un referendum-truffa vinto grazie ai brogli elettorali avallati dalla UE. (3)
Giustamente il Segretario Generale Stoltenberg ritiene che li "attende un grande lavoro (...) per assicurare l'appoggio dell'opinione pubblica all'adesione del Montenegro alla NATO", vale a dire un grande lavoro di repressione delle proteste di piazza, disinformazione strategica sui media e, all'occorrenza, strategia della tensione e stragismo, così come avvenuto ad esempio nella vicina Italia, dove durante la Guerra Fredda solo dosi massicce di propaganda e bombe nelle piazze hanno potuto ridurre al silenzio l'opposizione in quello che era il paese con il più forte partito comunista d'Occidente.
(a cura di Italo Slavo) 

(1) Si vedano JUGOINFO del 16 e 28 ottobre 2015
(2) Si vedano: 
Le pesanti accuse rivolte dalla magistratura italiana contro Milo Djukanovic
Montenegro: Mafia as Guarantor of Euro-Atlantic Integration – By Boris Aleksic (2014)
(3) Referendum truccato, secessione e complicità UE (2003)


=== 1 ===


Nato, sfida alla Russia: Montenegro sarà il 29° membro. Mosca: “Reagiremo”


L'invito all'ex paese comunista è stato formalizzato dai ministri degli Esteri dell'Alleanza Atlantica riuniti a Bruxelles. IL segretario generale Jens Stoltenberg: "Decisione storica di avviare colloqui di adesione presa all’unanimità. 

di F. Q. | 2 dicembre 2015

La Nato apre le porte al Montenegro e la Russia minaccia reazioni. L’invito all’ex paese comunista è stato formalizzato dai ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica riuniti per il secondo giorno a Bruxelles. Dopo la Croazia e l’Albania, entrati nel 2009, il Montenegro sarà dunque il terzo stato dei Balcani Occidentali a diventare membro, il 29esimo dell’Alleanza. Ad annunciarlo è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sottolineando come “la decisione storica di avviare colloqui di adesione con il Montenegro” sia stata presa all’unanimità. Il premier montenegrino Milo Djukanovic ha parlato di “giornata storica”. “E’ il giorno più importante per il Montenegro dopo il referendum del 2006 per l’indipendenza”, ha aggiunto il premier.

La Nato conferma dunque l”’impegno alla ‘politica delle porte aperte'”. Anche se restano ancora fuori Georgia, la Bosnia e Macedonia: i tre paesi candidati verso i quali – nella dichiarazione della ministeriale esteri che ha dato il via libera al Montenegro – viene comunque “ribadito” l’impegno e la “riconferma” della dichiarazione di Bucarest che nel 2008 inaugurò allargamento della Nato nell’est europeo. La nuova mossa dell’Alleanza occidentale sullo scacchiere politico militare non ha provocato l’immediata reazione della Russia. “La continua espansione della Nato verso est, di certo, non può che portare ad azioni di risposta da parte russa” per motivi di sicurezza, ha dichiarato il portavoce di Putin, Dmitri Peskov. Più esplicito il presidente della Commissione Difesa del Senato russo, Viktor Ozerov: “Il Montenegro oggi diventa per la Russia un paese che è un membro potenziale della minaccia alla sua sicurezza”. Per questo vengono resi “impossibili molti programmi che prima erano realizzati con la Russia, anche di cooperazione tecnico-militare”.

Dopo il negoziato di accesso e la successiva ratifica dei parlamenti dei 28 stati membri dell’Alleanza, il Montenegro diventerà il 29 paese membro. Sui tempi del processo di adesione, il segretario generale ha indicato di attendersi che si possano concludere “all’inizio” del 2017, poi – ha detto – “ci sarà la procedura di ratificazione nei 28 parlamenti” che l’ultima volta ha “richiesto circa un anno”. Da subito, compreso il summit dei leader dell’Alleanza in programma l’8-9 luglio prossimo a Varsavia, il Montenegro però “potrà partecipare, senza diritto di voto” a tutti gli incontri istituzionali della Nato.



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ORIG.: "Rusia tendrá que responder": La OTAN invita a Montenegro a engrosar sus filas (RT, 2 dic 2015)



L'annunciato ingresso del Montenegro nella NATO: tensione alle stelle con la Russia

2 Dicembre 2015

da rt.com

Traduzione di Marx21.it

Il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l'espansione verso est dell'infrastruttura militare della NATO non potrà che provocare un'azione di rappresaglia da parte della Russia.

La NATO è tornata a manifestare la sua volontà di espansione invitando oggi il Montenegro a far parte dell'alleanza. La “decisione storica” è stata presa nella riunione di fine anno del Consiglio dei ministri della NATO svoltasi a Bruxelles.

“I ministri degli Esteri dei paesi membri della NATO hanno assunto la decisione storica di invitare il Montenegro a diventare il 29° membro dell'alleanza”, recita un comunicato Twitter della rappresentante ufficiale della NATO, Oana Lungescu.

“Ci felicitiamo con il Montenegro. E' l'inizio di un'alleanza molto buona”, ha commentato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. A suo parere, si tratta di una “decisione storica” ed è solo l'inizio di un cammino che comprende il processo negoziale.

“Ci attende un grande lavoro, tanto in relazione alle riforme garantite dal dettato della legge in questo paese quanto per assicurare l'appoggio dell'opinione pubblica all'adesione del Montenegro alla NATO, ha sottolineato. Stoltenberg ha assicurato che il processo di incorporazione comporterà del tempo e terminerà entro 18 mesi.

Allo stesso tempo, il segretario generale della NATO ha rimarcato il fatto che la Bosnia ed Erzegovina, la Georgia e la Macedonia stanno procedendo verso l'adesione all'alleanza. Stoltenberg ha aggiunto che l'organizzazione ha deciso di tornare a convocare il consiglio Russia-NATO”, per riannodare la cooperazione con la Russia.

Come ha reagito la Russia?

La Russia, da parte sua, ha reagito alla notizia affermando che cesserà i suoi programmi in corso con il Montenegro, se esso entrerà nella NATO.

“Dal punto di vista della sicurezza collettiva in Europa, dal punto di vista dell'unità di fronte alle nuove sfide e minacce, qualsiasi espansione della NATO rappresenta un passo indietro e non un passo avanti”, ha dichiarato il responsabile del Comitato degli Affari Internazionali del Consiglio della Federazione, Konstantin Kosachov.

Nello stesso tempo,la Russia ha avvertito che prenderà misure per rafforzare la sua capacità difensiva e la preparazione per il confronto qualora il Montenegro entri nella NATO.

Da parte sua, il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l'espansione verso est dell'infrastruttura militare della NATO non potrà che provocare un'azione di rappresaglia da parte della Russia. 


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Der Originaltext:
Die Artikel-5-Welt (NATO: Neue "Südstrategie", neue Erweiterung – GFP 01.12.2015)
Eine neue NATO-"Südstrategie" und eine erneute Erweiterung des Kriegsbündnisses stehen auf der Tagesordnung des heute beginnenden NATO-Außenministertreffens in Brüssel. Die südeuropäischen Mitgliedstaaten drängten schon eine Weile darauf, die Bündnisaktivitäten nicht ausschließlich auf Osteuropa zu fokussieren und einen neuen Schwerpunkt in der arabischen Welt zu bilden, berichtet der Präsident der Bundesakademie für Sicherheitspolitik (BAKS), Karl-Heinz Kamp. Dies stehe nun zur Debatte. Dabei gehe es auch darum, Länder wie Jordanien oder Tunesien als "Partner" enger als bisher anzubinden - und sie für die Kriegführung in der arabischen Welt exklusiv aufzurüsten und zu trainieren. Dass die NATO darüber hinaus Montenegro jetzt den Beitritt vorschlagen will, richtet sich Kamp zufolge gegen Russland: Man wolle Moskau demonstrieren, dass man bei der Aufnahme neuer Mitglieder nicht zur Rücksichtnahme auf die Interessen anderer Mächte bereit sei. Wie der BAKS-Präsident äußert, werde man sich stärker als bisher nicht mit der etwaigen Aufnahme der Ukraine als vielmehr mit einer Aufnahme Finnlands und Schwedens in das Kriegsbündnis befassen müssen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59263



The Article 5 World
 
2015/12/01

BERLIN/BRUSSELS
 
(Own report) - NATO's new "Southern Strategy" and further expansion of this war alliance are on the agenda of the NATO Foreign Ministers Conference, which begins today in Brussels. Since some time, Southern European member nations have been pushing for broadening the focus of the alliance's activities beyond the limits of Eastern Europe, to concentrate more on the Arab World, reported Karl-Heinz Kamp, President of the Federal College for Security Studies (BAKS). This is now up for debate. The idea is to reinforce the ties to countries, such as Jordan or Tunisia, as "partners" - and exclusively equip and provide them with training for waging war in the Arab World. The fact that NATO also will propose membership to Montenegro, Kamp explains, is primarily directed at Russia. NATO wants to show Moscow that, in its acceptance of new members, NATO is not willing to take other powers' interests into consideration. As the President of BAKS points out, the accent will now be oriented much stronger toward accepting Finland and Sweden's membership into the war alliance, rather than an eventual Ukrainian membership.

An Ambiguous Picture

Just before the foreign ministers of NATO countries convene, today, Tuesday, the President of the Federal College for Security Studies (BAKS), Karl-Heinz Kamp, has published an assessment of the alliance's current situation. Kamp takes the next NATO Summit, scheduled for July 8 - 9 in Warsaw, as his point of reference. The current foreign ministers' meeting is in preparation of that summit. According to Kamp, NATO currently projects "an ambiguous picture."[1] On the one hand, the new conflict with Russia "has unified the alliance and reactivated its primary function as a defense alliance," ... "being again exposed to the reality of an 'Article 5 world,' in which alliance solidarity, along the lines of Article 5 of the Washington Treaty, has the highest priority." On the other, there is disagreement on NATO's geographical focus. Particularly Southern European NATO members have been dissatisfied with the alliance's current focus on the power struggle with Russia, causing a concentration on Eastern Europe. They are calling for expanding activities into the Arab World.

Arab World Nations of Anchor

Because larger NATO countries are also sympathizing with this recommendation, the western war alliance is, in fact, preparing a new "Southern Strategy." A preliminary report on the question is expected to be presented at the NATO Foreign Ministers meeting, which begins today in Brussels. The western war alliance's Secretary General, Jens Stoltenberg, expects the strategy to be passed at the July 8 - 9, 2016 NATO Summit in Warsaw. According to current plans, this will not involve developing mission scenarios and providing the necessary means. Above all, it will involve strengthening ties to regional partners - as examples, naming Iraq, Jordan, and Tunisia - and preparing them to wage war. (german-foreign-policy.com reported.[2]) "Partnerships" will be introduced as a new type of instrument. As BAKS President, Karl-Heinz Kamp explains, in the future, NATO "in accordance with its needs," will choose "states - to the extent they are willing - to carry out NATO activities in partnership." "This involves the partners' support, for example in crisis management, in exchange for receiving training or arms assistance, to render them capable of efficiently engaging." These new "partners" would quasi become NATO "nations of anchor," initially mainly, or even exclusively, in the Arab World.

Aggressive to the East

In his summary, Kamp also analyses the most recent aggressive NATO activities in Eastern and Southeastern Europe directed at Russia. "To the surprise of some of the NATO partners, Germany, of all countries, has played a particularly prominent role in building up the defense capabilities in Eastern Europe," wrote the president of BAKS. In fact, the Bundeswehr has assumed a leading role in the creation of NATO's "Spearhead" (Very High Readiness Joint Task Force, VJTF). (german-foreign-policy.com reported.[3]) In the case of an intervention, the VJTF would be led by the Multinational Corps Northeast, in Szczecin, Poland, in which the Bundeswehr provides 100 (of the 400) soldiers, as well as the commander, Lt. Gen. Manfred Hofmann. In the context of the VJTF's creation, NATO has set up so-called NATO Force Integration Units (NFIU) in six Eastern and Southeastern European member countries. NFIUs are small bases, with a permanent presence of around 40 soldiers, which, when necessary, can be used, within the shortest delay, by NATO's "Spearhead" forces. NFIUs are in Estonia, Latvia, Lithuania; Poland; Rumania, and Bulgaria, others are planned for Hungary and Slovakia.

Russia in the Crosshairs

The particular significance of the power struggle with Russia is exemplarily mirrored in Kamp's analysis. With their "Snap Exercises," the Russian Armed Forces demonstrated that "within two to three days, they can mobilize and concentrate tens-of-thousands of military personnel," explains BAKS president. "In a serious crisis, the less than 5,000 strong VJTF rapid reaction force, would be no match for them," especially since their true time of reaction "would be, at best, five to seven days." That must be worked on. Aware, however, of its inferiority to NATO, particularly in the field of conventional weapons - Moscow is developing concepts "aimed, in times of conflict, at blocking NATO's reinforcements with 'area denial' measures in regions of Eastern Europe, or aimed at fomenting splits in the alliance with nuclear threats," writes Kamp, and recommends the development of "appropriate counter-concepts."

No Consideration

NATO's current policy of expansion is also directed against Russia. At the meeting, according to reports, NATO's foreign ministers will offer Montenegro membership in the Alliance. In December 2006, only six months after its secession from Serbia, Montenegro joined NATO's "Partnership for Peace" and soon began efforts to join that war alliance. Its participation with 14 soldiers in the Afghanistan mission is only of symbolic significance. The plan to join NATO is very contested inside the country and is currently provoking protests. The western Alliance, however, is expressing interest. "Montenegro's contribution to NATO is extremely small," BAKS President Kamp concedes. But, its accession to NATO would be "a political signal also to Russia" that the Alliance "holds on to its open door policy and does not accept a Russian veto of the principle of a free choice of an alliance." This is also aimed at the debate around Ukraine's eventual NATO membership - although Kamp writes that Berlin is still opposed because "the integration ... of Ukraine, a state paralyzed by political bickering, corruption and poor governance" would be "extremely difficult" - an accurate argument, promoted to a strategic pretext.

NATO's Northern Expansion

Plans to integrate Sweden and Finland - still officially neutral - into NATO, could, in the long run, have more serious consequences. In both countries, membership in the war alliance "has only been considered a very distant option ... in the past," notes Kamp. But this has "radically changed" with the conflict over Ukraine. "The Warsaw Summit will have to deal with the growing debate on NATO membership," BAKS President Kamp recommends, "whenever Helsinki and Stockholm express their wish to join." If both countries should actually join, the last remnants of military neutrality in northern Europe would dissipate and the northern encirclement of Russia would be complete.[4]

[1] Zitate hier und im Folgenden aus: Karl-Heinz Kamp: Die Agenda des NATO-Gipfels von Warschau. Arbeitspapier Sicherheitspolitik Nr. 9/2015.
[2] See NATO's Southern Strategy.
[3] See 21st Century Warfare (I)21st Century Warfare (II) and Message to the World.
[4] See Die NATO-Norderweiterung.







Kosovo. Quello “Stato Islamico” voluto dalla Nato a due passi dall'Europa

di Sergio Cararo
Mercoledì, 2 Dicembre 2015

Do you remember le bombe su Belgrado e la “guerra umanitaria?” A cavallo tra il 1998 e il 1999, il progetto di disintegrazione della Jugoslavia – ostacolato dalla sola Repubblica Serba – portò la guerra in Europa e l'Europa in guerra per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le potenze della Nato, Usa e governi europei, decisero che la Serbia andava punita definitivamente per essersi opposta alla dissoluzione della federazione jugoslava avviata unilateralmente dalla Germania (e dal Vaticano) ed imposta al resto dei paesi nel 1991.
In questo progetto un ruolo decisivo le ebbero le milizie croate nella prima fase e le milizie islamiche nella seconda. Prima in Bosnia e poi in Kosovo, i militari e i servizi segreti statunitensi, tedeschi, francesi, inglesi e italiani, addestrarono e supportarono militarmente i jihadisti locali e i foreign fighters che l'Arabia Saudita aveva arruolato prima in Afghanistan e poi in Cecenia. Dal 1993 in Bosnia e dal 1998 in Kosovo, gli uomini della Jihad globale hanno combattuto contro la Serbia per conto della Nato. L'Uck, l'armata delle ombre, erano esattamente questo. Quando poi è diventato indispensabile, hanno potuto usufruire direttamente dei bombardamenti della Nato contro le città della Repubblica Serba di Bosnia nel 1995 e contro Belgrado e le principali città serbe nel 1999.
Alla fine di un lungo e sanguinoso conflitto, una volta diradata la polvere, sul terreno rimaneva una Jugoslavia fatta a pezzi, una grande base militare statunitense in Kosovo (Campo Bondsteel), un nuovo stato indipendente e islamizzato (il Kosovo), gruppi armati jihadisti attivi in Bosnia, in Macedonia, in Albania e, ovviamente al governo, in Kosovo dove sono diventate le forze armate ufficiali di un narcostato.
In pratica con diversi anni di anticipo, le potenze della Nato hanno creato un precedente statuale di quello che oggi è lo Stato Islamico in Medio Oriente, il terribile regno dell'Isis. Lo hanno fatto coscientemente in funzione antiserba prima e antirussa subito dopo. Il risultato è che adesso a ridosso delle frontiere dell'Unione Europea (e nel prossimo futuro addirittura dentro), c'è un Isis giù fatto stato e riconosciuto internazionalmente, dove i gruppi jihadisti godono di basi di addestramento, appoggi logistici e possibilità di movimento. La cellula jihadista a cavallo tra l'Italia e il Kosovo, non è la prima che viene scoperta, e si scavasse appena un po' più in profondità se ne scoprirebbero molte di più. A confermare questo scenario è l'articolo di Enrico Piovesana, comparso ieri su Il Fatto Quotidiano e l'articolo di oggi del gen. Fabio Mini, che conosce assai bene la materia essendo stato il comandante del contingente Nato in Kosovo (la Kfor) per alcuni anni, anni in cui si è scontrato direttamente con la rete di complicità di cui gli jihadisti in Kosovo godevano da parte dei governi in Europa e negli Stati Uniti. In Siria si è ripetuto esattamente questo scenario e adesso, come allora, arrivano i bombardamenti della Coalizione Internazionale.

 

Il Kosovo “dimenticato dalla Nato” diventa il primo centro di reclutamento dell’Isis

di Enrico Piovesana (da Il Fatto Quotidiano del 1 dicembre)
L’operazione dell’Antiterrorismo e della Digos di Brescia, che ha portato all’arresto di quattro sospetti terroristi kosovari legati all’Isis, è un campanello d’allarme che riaccende l’attenzione su fenomeno pericolosamente sottovalutato e per certi versi incomprensibile. Il protettorato euro-atlantico del Kosovo è diventato il principale vivaio dell’Isis in Europa, nonostante sul suo piccolo territorio siano presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500 agenti della missione di polizia europea Eulex.
Secondo i dati del Ministero degli Interni di Pristina, sono almeno trecento i kosovari che sono andati in Siria a combattere con il Califfato e che fanno regolarmente avanti e indietro via Turchia e Macedonia, trasformando il Kosovo in una una pericolosa rampa di lancio per azioni terroristiche in Europa. Questo dato fa del Kosovo, che ha solo un milione e 800 mila abitanti, il principale serbatoio europeo pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico.
Referente dei quattro kosovari arrestati dalla polizia italiana è il comandante della ‘brigata balcanica’ dell’Isis formata da kosovari, bosniaci, albanesi, macedoni e montenegrini: il sanguinario jihadista kosovaro Lavdrim Muhaxheri (nome di battaglia, Abu Abdullah al Kosova), originario di Kačanik, ex roccaforte dell’Uck divenuta oggi principale centro di reclutamento dell’Isis in Kosovo – come racconta un recente servizio delle Iene.
Non solo Kačanik si trova a pochi chilometri dalla mega-base militare americana di Camp Bondsteel, ma Muhaxheri in quella base ci aveva anche lavorato fino al 2010 – come altri futuri jihadisti kosovari, tra cui il giovane kamikaze Blerim Heta – per poi continuare a lavorare per la Nato in Afghanistan fino al 2012, subito prima di partire per la Siria. Com’è possibile che tutto questo accada sotto gli occhi dell’apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in Kosovo? “Kačanik e la storia di Muhaxheri sono solo la punta dell’iceberg – spiega a ilfattoquotidiano.it il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo – perché tutto il territorio kosovaro, penso alla vale di Dreniča, pullula da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe. Questa situazione è potuta maturare nonostante le missioni internazionali presenti sul territorio, perché da tempo l’Europa e la Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante questa evoluzione fosse chiara da anni”.
L’allarme, in effetti, lo aveva già lanciato in modo molto chiaro nel 2009 Antonio Evangelista, ex comandante de missione Unmik in Kosovo e tra i massimi esperti europei di antiterrorismo. Nel suo libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa spiegava come gli orfani delle guerre balcaniche fossero preda, in Kosvo come in Bosnia, di una rete di caritatevoli predicatori wahabiti finanziata da organizzazioni pseudo-umanitarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait Qatar e Turchia, che li sottoponevano a un lavaggio del cervello trasformandoli in futuri martiri della jihad. Oggi quei ragazzi sono diventati grandi, pronti a combattere per l’Isis in Siria ma anche a casa loro, in Europa.




(english / srpskohrvatski.
Materiali dalla Conferenza internazionale tenuta a Belgrado gli scorsi 24-25 novembre, riguardante la necessità di un diverso ordine mondiale)


“Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade: Searching for a Secure World Order”
The International Conference  held in Belgrade on 24 & 25 November 2015


0) VIDEO (links)
1) Предлози Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“ (Сава Центар 23-25 новембар 2015)
2) Novo nije zaborav starog (SUBNOR)
3) Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade. How can we build a more secure world order?
4) Živadin Jovanović: INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST


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(Tutti gli interventi in video) 

Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком
Међународна научна конференција „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у трагању за безбедним светским поретком“, посвећена актуелним питањима безбедности и сарадње у Европи, одржана у Сава Центру, 23-25. новембра 2015-те у Београду.

Финални документ конференције, амандмани и предлози - В. И. Јакуњин
Међународна научна конференција „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у трагању за безбедним светским поретком“, посвећена актуелним питањима безбедности и сарадње у Европи.
Београдски форум за свет равноправних
25.11.2015, Београд, Сава Центар

Уводна реч Залине Медојеве на Омладинском округлом столу
Омладински округли сто: "Улога младих у јачању мира, безбадности и сарадње"
Залина Медојева је потпредседница Центра националне славе и Фонда Андреја Првозваног (РУСИЈА)
Београдски форум за свет равноправних
23.11.2015, Београд, Сава Центар

Поздравна реч на конференцији - М. И. П. Ивица Дачић
Међународна научна конференција „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у трагању за безбедним светским поретком“, посвећена актуелним питањима безбедности и сарадње у Европи.
Београдски форум за свет равноправних
25.11.2015, Београд, Сава Центар

Свечано отварање српско-руске изложбе докумената у Сава Центру
Београдски форум за свет равноправних
23.11.2015, Београд, Сава Центар


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Предлози Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“ О питањима безбедности и сарадње у Европи и свету у XXI веку 24.-25. новембар 2015. године, Београд, Србија

Сава Центар 23-25 новембар 2015
 
Учесници Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“која јепосвећена историјским договорима и актуелним питањима безбедности и сарадње у Европи и која је ујединила представнике многих држава Европе, Азије и Америке, на основу резултата широког друштвеног дијалога и размене мишљења, одржаних у години када се обележава 70. годишњица Јалтске и Потсдамске конференције и 40. годишњица од потписивања Завршног акта Конференције о безбедности и сарадњи у Европи, сматрају да је потребно да изјаве:

Питања о безбедности и сарадњи у Европи и свету у целини традиционално представљају предмет међудржавних споразума и узајамног деловања земаља. Истовремено, уверени смо да у савременом добу у тој сфери није могућ квалитетан напредак и прогресивно кретање напред без ослањања на мишљење јавности и без ангажовања друштвених иницијатива у развоју новог система безбедности и сарадње, заснованог на узајамном поштовању и поверењу.

Уверени смо да су терористички акти у Турској, експлозија руског авиона на небу над Синајским полуострвом и масовна убиства у Паризу, који су однели стотине живота, постали прави изазов за светску заједницу и показали да је неопходно тражити нове приступе, ојачати и ујединити напоре у координираној борби против међународног тероризма и екстремизма као глобалне опасности за човечанство.

С тим у вези, сматрамо да је потребно обратити се Организацији за европску безбедност и сарадњу, другим међународним организацијама и светској заједници као целини, са позивом да размотре конкретне предлоге за оптимизацију рада у сфери безбедности и сарадње, јачања узајамног разумевања, и потрази компромиса за актуелне проблеме. Сматрамо да Међународна научно-друштвена конференција „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“, која се одржава у Србији, у земљи која не припада ниједном блоку и има изражену традицију европског политичког центра Покрета несврстаних, може да постане почетак конструктивног међународног друштвеног дијалога о путевима изградње ефикасног система безбедности и сарадње у Европи. С тим у вези, сматрамо да завршни документ Међународне конференције може да буде изложен на Савету Министара иностраних послова ОЕБС, који ће се одржати 3-4. децембра 2015. године у Београду.

БЕЗБЕДНОСТ И САРАДЊА У ЕВРОПИ У САВРЕМЕНО ДОБА

Јалтск и Потсдамска конференција, као и потписивање Завршног акта Конференције о безбедности и сарадњи у Европи, чије јубилеје читав свет обележава ове године, постали су најважнији догађаји савремене историје, који су
у много чему поставили темеље савременог система безбедности у Европи и свету у целини. Овај систем у овој или оној мери успешно је функционисао у послератном периоду, постао је важно наслеђе резултата Другог светског рата и коштао је човечанство огромних жртава, које су претрпели народи током последњег светског сукоба.

Ипак, савремену етапу међународних односа у Европи и свету у целини карактеришу растуће опасности од оштрих сукоба, одсуство ефикасне праксе у обезбеђивању глобалне и регионалне безбедности и механизама за спречавање озбиљних потреса.

У данашње време свет се сукобљава са нарастајућим ризицима и претњама безбедности и стабилности. Посебну забринутост изазива чињеница да савремени систем међународних односа у Европи карактерише криза узајамног поверења.

Кршење основних принципа међународног права, укључујући и Повељу УН, Завршни акт из Хелсинкија, нажалост, постали су норма. У Београду, престоници Србије, где се одржава данашња конференција, не можемо да се не сетимо да је Југославија постала прва жртва директног кршења Хелсиншког договора. С тим у вези, позивамо све учеснике међународних односа да подрже поштовање међународног права и основних принципа међународних односа, да у доброј вери извршавају прихваћене обавезе и јачају ауторитет универзалних међународних организација.

С обзиром на место одржавања наше Конференције, истичемо снажну потребу да подржимо мир и безбедност на Балкану као интегралном делу Европе и европског система безбедности, у том оквиру - посебно је актуелно питање поштовања Дејтонског споразума, резолуције Савета безбедности 1244 (из 1999. године) и других међународно-правних докумената трајног карактера.

У Европи и у свету у целини приметан је нагли пораст екстремизма и тероризма. Уосталом, безбедност и стабилност у Европи неодвојива је од безбедности и стабилности у другим регионима света. Из тог разлога будућност европске стабилности може да се разматра и пројектује на прави начин само у контексту стабилности на Блиском Истоку, Азији и Африци.

Оно што посебно забрињава јесте чињеница да пораст конфликтног потенцијала у Европи води ка још једној крајње опасној тенденцији – тенденцији уситњавања света, повлачења линија нових подела, између осталог, и на европском континенту. С тим у вези, морамо да констатујемо да ћемо актуелне проблеме безбедности и сарадње, полагањем темеља система узајамних односа на европском простору у XXI веку, морати да решавамо у контексту изражених социјално-економских проблема, миграционих процеса без преседана, пораста војне ескалације, поновног оживљавања блоковског начина размишљања. Безбедност није привилегија, већ једнако право свих народа и држава. Зато наши напори треба да буду усмерени ка изградњи и унапређивању таквог система који ће гарантовати једнаку безбедност свима.

Уверени смо да у данашње време Европа мора да се усмери на изградњу истински слободног простора, заснованог на поштовању међународног права и равноправности међу свим народима и државама, независно од величине њихове територије, броја становника, економске или војне снаге. Сматрамо да је најважнији услов за то поштовање и спровођење Повеље УН, принципа Завршног акта из Хелсинкија, Париске повеље, улоге УН, и посебне улоге Савета безбедности УН, без икаквих изузетака, самовоље или двоструких стандарда.

По нашем мишљењу, у XXI веку сви народи и државе Европе треба да уживају равноправне могућности безбедности, независно од њиховог чланства у војним, економским и регионалним организацијама. То истиче потребу да се изгради заједнички безбедносни простор и достигне нови ниво интеракције и поверења међу земљама Европе.

Европу XXI века видимо као простор истинског партнерства, поштовања суверенитета и територијалног интегритета, на коме владају слобода избора унутрашњег развоја и спољне политике, без мешања у унутрашње послове, посебно у области безбедности, изборног процеса, уставног поретка, приватизације и људских права. Спречавање и решавање свих сукоба могуће је једино путем дијалога и мирним политичким средствима, која гарантују поштовање законских интереса свих земаља.

УЛОГА ОРГАНИЗАЦИЈЕ ЗА ЕВРОПСКУ БЕЗБЕДНОСТ И САРАДЊУ

Уверени смо да 40. годишњица Завршног акта из Хелсинкија представља добар повод за подношење отвореног јавног захтева да се ОЕБС-у врати улога главне опште европске организације у сфери безбедности и срадње.

Сматрамо да у условима кризе европске безбедности ОЕБС има за циљ да обезбеди „нови дах“ за конструктивно остваривање принципа на којима се много година градио систем безбедности и сарадње у Европи и који су изграђивани на резултатима Јалтске и Потсдамске конференције из 1945. године, као и на основу Хелсиншке Конференције о безбедности и сарадњи у Европи 1975. године. По нашем мишљењу, ОЕБС има потенцијала да пружи значајан допринос у решавању миграционе кризе у Европи, превазилажењу рецидива блоковског размишљања, јачању поверења и пружање подршке изласку из кризе европске безбедности у целини.

С тим у вези, сматрамо да је потребно:

1. Пружити подршку усвајању Повеље Организације за европску безбедност и сарадњу у циљу јачања независности и објективности у раду ОЕБС, претварања ОЕБС у пуноправну међународну организацију, као и у циљу тога да рад организације што више одговори циљевима њеног стварања.

Потребно је изнова потврдити и разрадити принципе, на којима се много година темељио систем безбедности у Европи и који су били израђени према резултатима Јалтске Потсдамске конференције из 1945. године, као и Хелсиншке Конференције о безбедности и сарадњи у Европи 1975. године. Важно је постићи да их се све државе-учеснице ОЕБС, без изузетка, придржавају усвојених принципа.

2. Иницирати процес јавног пружања помоћи у раду који спроводи ОЕБС

Учесници конференције, такође, се обраћају ОЕБС и друштвеним организацијама земаља-чланица са предлогом да се овој конференцији да статус сталног годишњег јавног скупа, посвећеног актуелној проблематици безбедности и сарадње у Европи.

По нашем мишљењу, одржавање овакве конференције једном годишње у земљи која председава ОЕБС, са позивањем да у њој узму учешће афирмисани стручњаци и јавни делатници земаља Европе допринеће стварању система јавне контроле рада ОЕБС, мониторингу и транспарентној стручној оцени актуелне проблематике везане за безбедност и сарадњу у Европи. По нашем мишљењу, овај предлог ће добити најширу подршку у европском друштву као правовремена идеја, чији је циљ да се обезбеди развој међудржавне интеракције на принципима транспарентности и дијалога.

3. Као први одговорни корак у решавању актуелних проблема безбедности и сарадње у Европи видимо потребу да се створи сталнинаучно-друштвени Међународни стручни центар (под покровитељством годишње друштвено-научне конференције), који има за циљ:

а) остваривање мониторинга над радом ОЕБС како би се доставиле информације о њеном раду годишњој Друштвено-научној конференцији, посвећеној питањима безбедности и сарадње у Европи,

б) редовно окупљање у земљи која председава у затвореном формату како би се створила платформа за размену мишљења између независних стручњака о актуелним питањима безбедности и сарадње.

Стварање Међународног центра, као сталне експертске платформе за размену мишљења и широких експертских консултација по питањима безбедности и сарадње, по нашем мишљењу, посебно је актуелно у условима дефицита мера поверења и ефикасних и постојаних канала за размену информација.

Ми, учесници Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“, посвећене актуелним питањима безбедности и сарадње у Европи, уверени смо у то да у XXI веку Европи предстоји сложен процес превазилажења противречности, (и) деесклације конфликтних потенцијала, решавања многих економских и социјалних проблема и последица отвореног кршења међународног права. Али, уверени смо да, уједињеним напорима можемо да створимо истински слободан простор, заснован на принципима безбедности и сарадње, без линија раздвајања и „гвоздених завеса“, што може постати пример за читав савремени свет.

Учесници конференције обраћају се Министарству спољних послова Србије (као земљи која председава ОЕБС у 2015. години) које заступа Министар спољних послова господин Ивица Дачић, са молбом да се о одржаној Међународној конференцији и њених закључцима обавесте учесници састанка Министара иностраних послова ОЕБС, који ће бити одржан 3-4. децембра 2015. године у Београду.


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Београд – Објављено под Актуелно |  24. новембар 2015.

НОВО НИЈЕ  ЗАБОРАВ  СТАРОГ

Веома смо забринути стањем у свету, одзвањају ратне трубе, погроми се шире, терористи држе на нишану све који другачије мисле, а колоне бескућника хрле на европски континент надајући се сигурнијем животу у догледно време.
Главни град наше земље, домаћин још једног импозантног међународног скупа, пуним гласом поручује да се сваки сукоб мора ућуткати дијалогом, мирним путем, без надгорњавања и давно виђеног манира да наводно старији и јачи мора свима да командује и одређује правила и у туђој кући.
У Сава центру у Београду се одржава научна конференција под покровитељством Председника Републике Србије Томислава Николића и уз учешће више десетина угледних државника, универзитетских професора, дипломата и других еминентних личности у трагању за безбедним опстанком у немирна времена.
Скуп су организовали Београдски форум за свет равноправних (иначе колективни члан СУБНОР-а Србије) и два гласовита друштвена удружења из Русије – Фонд светог Андреја првозваног и Центар националне славе.
Наслов конференције већ сам по себи одређује значај, повезује светски пресудна места по мир, Јалту и Потсдам и Хелсинки као договоре да се разумом уз сагласност и чврсто поштовање међународних правила граде мостови сарадње и споразумевања. Човечанство се мора вратити тим принципима, који су, иначе, насилним путем укинути у име нечег новог без идеје и искључиво у жељи да се старо и дотад постојеће поруши у корист мањине.
У поздравној поруци негдашњи председник Француске Валери Жискар д Естен изражава забринутост за нове генерације које, захваљујући фрапантној незапослености, не могу без радног искуства да преузму кормило и одговорност за даља кретања у свом и ширем окружењу. У Шпанији је преко 50 процената младих буквално на улици, стање у Грчкој  је још горе, таква слика, на жалост, овладава и у низу европских и у државама на другим континентима.
Учесници у Београду, у коме ће се ускоро одржати и веома значајно окупљање земаља Организације за европску безбедност и сарадњу ОЕБС, потврдили су да је победа савезника у Другом светском рату огромна тековина човечанства. Антифашизам је константа од које нико не сме да одступи уколико мисли на сигурну будућност.
Професор Универзитета ”Ломоносов” из Москве Владимир Јакуњин је тим поводом нагласио да се борци за слободу, који су не жалећи сопствени живот ушли чиста срца у битку са фашистима нацистичке Немачке у отсудним данима 1941. и одржали се победама на крају 1944. и 1945, не могу ни у примисли и силом на срамоту накнадно, фалификатима пристрасних и идејно острашћених реваншиста, сврставати са доказаним колаборантима, сарадницима окупаторске солдатеске у низу хитлеровских сателита у Другом светском рату.
У Сава центру је одржана и конференција младих , а приказана је и документарна изложба са детаљима договора у Јалти, Потсдаму и Хелсинкију, где су ударени темељи за исправан пут народа у демократском и слободном развоју.


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Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade. How can we build a more secure world order?

Tuesday, 1 December 2015

The ongoing war in Syria. The rise of Islamic State. Terror attacks in Sinai, Paris, Lebanon, Iraq and Tunisia. The shooting down of a Russian jet by NATO member Turkey.
This was the backdrop of events to last week’s major international conference on peace, security and co-operation in Belgrade, Serbia.

Speakers from over 20 countries - myself included- addressed the key question: how can we build a more secure world order, where countries - large and small- respect national sovereignty and international law and where dialogue and diplomacy replaces war and the threat of war?

The International Public and Scientific Conference, held in the same Sava Centre building in Belgrade where the Non-Aligned movement was founded in 1961, commemorated three significant anniversaries. The 70th anniversaries of the Yalta and Potsdam conferences, (between the leaders of the USSR, US and Britain), and the 40th anniversary of the Helsinki Accords, which established the Organization for Security and Cooperation in Europe. The conference preceded the OSCE Ministerial Council meeting that will be held in Belgrade in December.

Valery Giscard d’Estaing is the last surviving leader of those who signed the Helsinki Accords in 1975, and so it was fitting that proceedings began with a video address from the former French President. D’Estaing shared his recollections of Helsinki, which marked the high point of post-war détente between East and West. He reminded the audience that the countries agreed to non-interference in the affairs of sovereign states - which included ideological pressure. The former French president said that while the UN had undoubtedly served the cause of peace it had not done as much as it could have done. He concluded by calling for a lifting of European sanctions on Russia and said that relations between Europe and Russia must be “warm and friendly”.

James Bissett, the former Canadian Ambassador to Yugoslavia, said that the message from Yalta and Helsinki was “simple and clear” – “sovereignty cannot be violated without UN Security Council approval.”

He went on “Now, seventy years after Yalta it is alarmingly clear that world peace and security are under serious threat and that the principles and obligations of the UN Charter and the spirit and intentions of the Helsinki final Act are being either ignored or criminally violated. The responsibility with this rests primarily with the United States.”

Ambassador Bissett read out a list of countries around the globe where there has been US military intervention. “The use of military force for so-called ’humanitarian’ reasons to interfere in the affairs of other sovereign states has proven disastrous; causing untold death and destruction in the countries concerned.” Bissett warned that there was “an urgent need” for a reaffirmation of Yalta and Helsinki “because time may be running out”.

The current OSCE chairman, Ivica Dacic, the first Deputy Prime Minister of Serbia and the Minister of Foreign Affairs of Serbia, said that the Helsinki accords were an example of collaboration replacing confrontation.

He said that unfortunately now there were “no principles, only political interests.” He gave as an example, US double standards on Kosovo and Palestine. When Palestine applied to join UNESCO, the US opposed the move, but they supported Kosovo joining. We must return to a situation where principles are applied consistently, Dacic said.

Andrey Kelin, from the Russian Ministry of Foreign Affairs, said that while NATO was meant to protect peace, it had in fact become the biggest threat to world peace and was a major destabilizing force in the world today. He pointed out that NATO’s illegal bombing of Yugoslavia in 1999 - which took place without UNSC approval, was not only a breach of international law, but a clear violation of the Helsinki accords.

Vladimir I. Yakunin, the founding President of the World Public Forum, gave a powerful speech listing the failings of the current neoliberal world order- where endless war and increasing inequality have become the norms.

Youth unemployment figures in Europe - sometimes as high as 60 percent - were an absolute scandal. The social state which existed at the time of Helsinki had been replaced by a “corporatocracy”. We needed to move back to the more equitable and stable model we had in the post-war world, a call which was reiterated by other speakers.

From Germany, Willy Wimmer, veteran CDU politician and former Vice-Chair of the OSCE Parliamentary Assembly, talked of how US strategy was to separate Europe from Russia. He said it was important that Russia’s attempts to bring peace to Syria succeeded.

Belgian author and activist Michel Collon warned that we should not fall for the “clash of civilizations” narrative being pushed by Western neocons. What we have been witnessing in the last twenty-five years, Collon said, has nothing to do with religion but is the “re-colonization of the world” by Western elites following the fall of the Soviet Union. These “gangsters” have been following the maxim - what you cannot control, you destroy. But before the destruction come the lies. Collon identified five principles of Western war propaganda. 1 - you hide the economic motives for the ’intervention’. 2 - you hide the history surrounding the target country. 3 - you demonize the enemy and, in particular, the target country’s leader. 4 - you say you are intervening to help the ‘victims’. 5 - you monopolize the debate. This pattern Collon pointed out has been used repeatedly in Western interventions since 1990.

Zivadin Jovanovic, President of the Belgrade Forum for the World of Equals and Foreign Minister of the Federal Republic of Yugoslavia at the time of the illegal NATO bombing of the country in 1999, highlighted Western double standards in the so-called war on terror, shown by the hidden support for Islamic State by Western allies. ”We must have equal standards - we cannot have a situation of our ‘good’ terrorists.” As Mr. Jovanovic said this I thought of the terrible terrorist atrocities committed by so-called ‘moderate rebels’ in Syria and how Western leaders had failed to condemn them.

In my speech - entitled ‘Back to the Future- towards a new global consensus’ - I described the progressive achievements in Europe- and indeed in many other parts of the world, during the period from Potsdam to Helsinki, i.e. from 1945 to 1975. Economies were restructured to suit the majority. In many countries there was full employment and major extensions of public/social ownership. It was a time of narrowing inequalities: at the time of the Helsinki Accords, the gap between rich and poor in Britain was the lowest in its history. Foreign policy was, not coincidentally, more peaceful at this time: forty years ago, the only foreign ’war’ Britain was involved with was the so-called ‘Cod War’ over fishing limits with Iceland.

Sadly, most of the achievements of the ‘Les Trente Glorieuses’ have been destroyed.

Starting from 1979 in Britain, a new, more aggressive neo-liberal economic order came to the fore, one which was designed to suit minority financial and corporate interests. As states in the West were gradually captured by a sociopathic neocon warmongering elite, so our foreign policies changed. In order to stop the endless warmongering we’ve seen since the fall of the Soviet Union we need to recapture our states so that once again they act in the interests of the majority as they did in the post-WWII period. That means working for fundamental economic and democratic reform. A more egalitarian, democratic world order can only be achieved if we have egalitarianism and genuine democracy at home, too.

The need for deep economic and democratic changes in warmongering Western countries was also stressed in a very thought-provoking speech by Dr. Eva-Maria Follmer-Mueller, head of the association Mut zur Ethik from Switzerland.

Cooperation and not competition was the key. Man was a social being, but in many countries there was increasing atomization and as a result fewer people were able to achieve life fulfillment. We need to increase social connectedness and focus on the personal concept of man. A shift to a more cooperative economy and society, one in which direct democracy operates, is the key to building more peaceful societies - and as a consequence a more peaceful world.

The two day conference had started with us looking at treaties, accords and international law and ended with discussions of economics, psychology, sociology and philosophy.

It was clear that if we are to get the changes in the world order that are urgently needed; the campaign must be fought on several fronts. It was exhilarating to hear so many great speeches from people from different countries and cultures, the speakers all united by their good will and their desire to build a more secure world where once again the human spirit can soar.

At the end of the event, as we bid our farewells, a speaker from the Western Europe said something which I thought was particularly profound - namely that in order to speak their minds freely nowadays, critics of Western foreign policy have to go to somewhere like Serbia - a country which is not in the EU or NATO.

Free speech in the West is threatened as never before due to the odious activities of the Russophobic neocon ‘McCarthyite Thought Police’ and their pro-war faux-left allies, but at least in the Sava Centre in Belgrade we can still speak our minds.



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ORIG.: ЗАОШТРАВАЊЕ И СУКОБИ – ПОСЛЕДИЦА СТРАТЕГИЈЕ ЗАПАДА
(Сава Центар 23-25 новембар 2015 – Живадин Јовановић)
Седамдесет година после савезничких конференција на Јалти и у Потсдаму и 40 година од усвајања Завршног документа из Хелсинкија међународни односи ушли су у период дубоких промена. Завршени су периоди биполарног и униполарног уређивања светских односа. Враћање на старе концепте више није могуће. Светски поредак постаје мултиполаран...
http://www.beoforum.rs/sve-aktivnosti-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/88-sava-centar-23-25-novembar-2015/765-zaostravanje-i-sukobi-posledica-strategoje-zapada-zivadin-jovanovic-.html

...

Živadin Jovanović, President of the Belgrade Forum for a World of Equals

 

INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST [1]


Seventy years on after the Allies’ Conferences in Yalta and in Potsdam, and 40 years following the adoption of the Helsinki Final Act, international relations have entered a period of profound changes. The eras of bipolar and unipolar world order are over. Restoring to the old ways and concepts is no longer possible. The world order is irreversibly evolving into a multi-polar one. The new development fundamentally changes the relations established after the fall of the Berlin Wall, opening possibilities for democratization of these relations, and for higher observance of the international law and the United Nations Charter that lies in its core. This also offers possibilities for a better protection of interests of small and medium countries, Serbia including. 

The process of multi-polarization does not run smoothly. Particularly worrisome are tendencies aiming to preserve domination and privileges of certain countries, to legitimize their self-imposed right to exceptionality, global interventionism and military expansion to the East, by all means, including use of military force. The outcome of such policy of force applied by the US-led West in seeking to maintain the privileges and put under its control the planet’s wealth, are destabilization, conflicts, and devastation of numerous states and societies. Proponents of such totalitarian policy bear responsibility for the destabilization and dramatic escalation of global relations threatening to inflict disaster of humanity. The first casualties of this policy in recent times were two Yugoslavia(s) – the first one torn apart by imposed civil wars at the beginning of 1990s, and the second one, ravaged during the course of illegal NATO’s aggression in 1999. Thus, the Balkans was transformed into a zone of long-term instability. The West-sponsored «in vivo» rewriting of history created several statelets that hardly have a chance of an autonomous development and independence. It seems that the forcible drawing of new borders in violation of the basic principles of the Helsinki Document is not over yet. The proof is the stealing of the Province of Kosovo and Metohija away from Serbia, and the reviving of plans of creating the so-called Greater Albania. The hardest-hit victim of the US-led destructive strategy in the Balkans is the Serbian nation, now shattered, disempowered and put under the control of puppet regimes. Paradoxically, the West proclaims that parallel unfolding of fragmentation of the Serbian nation, on the one side, and (re)integration of other nations, on the other, amount to no less than contribution to the peace and stability, and to the observance of European and democratic standards! Serbian national issue is more than simply an open one; it is further exacerbated by means of disruption and disenfranchisement. This forced-upon situation is hardly in the interest of peace and stability. Of course, it has to do with geopolitical engineering, nurturing imperialistic interests and nothing else. Economic and social problems are rapidly growing, whereas the unemployment of the youth reaches dramatic magnitude.

This assessment is supported by similar shattering of a series of other sovereign states and nations, worldwide. In all likelihood, the Western power centers will not relinquish the strategy of “territorial rearranging” of sovereign states by means of armed attacks, ‘colored revolutions’, and other illicit methods employed in South America, Africa and Asia. The liberal capitalism system produces financial and economic crises, poverty, misery, and they have led to economic emigration of an unprecedented scale. At the same time, aggressions and armed conflicts drive millions out of their homes into exile and displacement. 

The policy of domination, military expansion and global interventionism, coupled with the gross violation of international law, has resulted into a deepening distrust, discord, Cold War rhetoric and confrontation. Europe became crisscrossed by foreign military bases, quick-response task forces, ‘missile shields’, rotating command, and incessant air patrolling cruising from Baltic to Anatolia. Europe of today fosters more foreign military bases, bombers and missiles than at the height of the Cold War. One may wonder, what is the purpose?

It is high time to put an end to dangerous trends and dramatic rise of tensions that increasingly threaten security, peace, coexistence and normal relations. We call for openness, dialogue and partnership in resolving all problems, before the situation escalates beyond any control. Billions of people in the world reject the policy of confrontation and wars. They are aware that with present day armament technology it threatens extinction of human race. Therefore, current authoritarian attitudes in the international arena, military expansion and double standards must give way to mutual respect of all stakeholders, whether political, economic or security-related ones.

In today’s world, rationality, political responsibility and readiness to compromise are needed more than ever.

Belgrade is the right place to launch a strongest possible appeal for a substantial equal-footed dialogue on resolving the most important issues affecting security, peace and cooperation. Much more often than other capitals of Europe, Belgrade has been the victim of aggression, occupation and most horrendous devastation. All this gives it moral right and obliges it to initiate dialogues, mutual understanding, and restoration of trust. Belgrade is a birthplace of the Non-Aligned Movement, one of the broadest international groupings second only to the United Nations, credited with huge merits for the freedom of colonized nations, democratization of the United Nations, and codification of the international law. 

Belgrade was the leader of a group of neutral and non-aligned countries in Europe - Cyprus, Malta, the SFR Yugoslavia, Austria, Finland, Sweden, and Switzerland - which were the driving force for achieving consensus on the Helsinki Final Act. This Act, relying on the agreements of Yalta and Potsdam, building on the outcome of the WWII, and based on the United Nations Charter, is a historic achievement, a milestone for new initiatives aiming at ensuring equal security for all countries, regardless of their size, population, economic power or military might. For its contribution to the process of European security and cooperation, Belgrade was rewarded by being chosen to host the first post-Helsinki Conference of the SCE in 1977. 

In December this year (2015.), once again, Belgrade is hosting an OSCE Ministerial Conference. Once again, the goal to stop the dramatic degradation of trust, violating international law, and the roles of the OSCE and the United Nations. Once again, Belgrade appears the appropriate venue to launch initiatives aiming at easing the tensions and Cold War rhetoric, and making the most responsible stakeholders revert to the dialogue, mutual respect and compromise, in the interest of peace and the survival of human kind.

Security and stability in Europe are inseparable from security and stability in the neighboring regions, the Mediterranean Middle East and the world. Therefore, durable security and stability in Europe cannot be ensured unless linked with security and stability in the Near East, Asia, Northern Africa (Maghreb) and Africa in general. Ending the conflict in the Near East, most notably, the war in Syria, is of paramount importance not only for the nations in that region but, also, for Europe. In parallel to this, there is the need to restore the functionalities of the devastated states and societies such as those of Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Libya, and many more. Europe, just like other wealthy parts of the world, is expected to support economic and social reconstruction of those countries. Although not the only one, this is certainly a crucial requirement to stop refugees and economic migrations of peoples that puts an additional burden on Europe and, in particular, on the European Union. 

Tragic civil wars in the region of Former Yugoslavia and NATO aggression in 1990-ies of the twentieth century left worrisome consequences not only of socio-economic nature but also in regard to prolonged instability, spread of terrorism and organized international crimes. Therefore, the Balkans region is far from enjoying full normalization and stability. The root cause, in our opinion, is that the Balkans, in spite of being the cradle of European civilization and democracy, in reality has never been genuinely accepted as an equal and integral part of Europe. It is high time to get rid of the traditional discriminatory approach of the Western power centers towards the Balkans as a road-to-nowhere, a dumpsite for obsolete technologies, or a training ground for tragic geopolitical games and experiments. For so long as Western Europe does not embrace constructive partnership with the Balkan countries and with Serbia as well, and for so long as it does not observe in practice the sovereign eq

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Jihad dal Kosovo? Che bella scoperta...

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Flashbacks / News / Par Daniel Salvatore Schiffer
1) 4 arresti tra Brescia e Kosovo. La 'mente' del gruppo, un cittadino kosovaro che ha vissuto diverso tempo in Italia
2) Inside Kacanik, Kosovo's jihadist capital (The Telegraph, 23 Aug 2015)


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FLASHBACKS:

29 settembre 2001 – Il Manifesto: E' AMERICANA LA PISTA BALCANICA CHE PORTA A BIN LADEN (Tommaso Di Francesco)

Feb. 1, 2004 – Associated Press: ARMY INTELLIGENCE CHIEF SAYS AL-QAIDA IN KOSOVO

Apr. 25, 2004 – Borba: MILITANT ISLAMIST TRAINING CAMPS IN BOSNIA AND KOSMET (by Madeline Zapeezda)
http://www.slobodan-milosevic.org/news/borba042105.htm

Aug. 1, 2004 – BBC Monitoring: TERRORISM EXPERT SAYS  MILITANT ISLAMISTS "PREPARING CADRES" IN SOUTH SERBIA
http://www.slobodan-milosevic.org/news/borba080104.htm

Nov. 24, 2004 – Dan: AL-QAEDA IS BUILDING TERRORIST CAMPS IN KOSOVO (by M.B Trajkovic)
http://www.slobodan-milosevic.org/news/dan112404.htm

Apr. 18, 2006 – Associated Press: 'AL QAEDA MEN HAVE BEEN TRANSITING BALKANS FOR YEARS’
http://www.slobodan-milosevic.org/news/ap041706.htm
http://www.dailytimes.com.pk/default.asp?page=2006\04\18\story_18-4-2006_pg4_2

May 6, 2006 – Open Broadcast Network TV - Bosnia: ISLAMIC TERRORIST TELLS BOSNIAN TV THAT UNITED STATES WAS TRYING TO RECRUIT MUJAHEDEEN TO FIGHT IN KOSOVO WAR 

Jan. 12, 2012 – BIRN: KOSOVO TURNS BLIND EYE TO ILLEGAL MOSQUES (Besiana Xharra)
Kosovo’s municipal authorities continue to ignore the growing number of illegally built mosques, which now total more than a hundred...

Rassegna JUGOINFO 28/6/2015: IL KOSOVO TRA RADICALIZZAZIONE E EMIGRAZIONE


NEWS:

ERDOGAN "LAUNDERS MILLIONS BY BUILDING MOSQUES IN KOSOVO" (Aug. 17, 2015)
Millions of euros are flowing from Turkey to Kosovo "through illegal routes, bypassing banks," according to the Pristina-based Albanian language daily Zeri...
http://www.b92.net/eng/news/politics.php?yyyy=2015&mm=08&dd=17&nav_id=95116

ALBANIAN TERRORISTS AS OFFICIAL NATO PEACEKEEPING MISSION IN KOSOVO MEMBERS – PHOTO EVIDENCE (by Grey Carter, August 23, 2015)
... the Albanian nationalist guy, wrapped in greater Albanian flag, Lami, who is at the same time – a Swiss peacekeeper!... 

RESURRECTING THE OTTOMAN EMPIRE: ERDOGAN LAUNDERS MILLIONS BY BUILDING MOSQUES IN KOSOVO (by Grey Carter, August 29, 2015)
... “TIKA keeps its finances secret in most cases, since there is no official data on how much money is being invested. There is suspiction that the money is being brought in illegally and not via bank accounts"...
https://theremustbejustice.wordpress.com/2015/08/29/resurrecting-the-ottoman-empire-erdogan-launders-millions-by-building-mosques-in-kosovo/

LA TURQUIE D’ERDOĞAN À L’ASSAUT DU KOSOVO (Zeri | Traduit par Belgzim Kamberi | jeudi 10 septembre 2015)
Mosquées, écoles coraniques, patrimoine ottoman : les financements turcs affluent au Kosovo, via de puissantes institutions d’État comme la TIKA, la Diyanet ou la fondation des Vakuf. Il est pourtant impossible de connaître le montant des sommes versées — qui arriveraient même parfois en liquide. Faute de transparence, tous les soupçons sont permis. Zëri a mené l’enquête...
http://www.courrierdesbalkans.fr/articles/la-turquie-d-erdogan-au-kosovo.html

KOSOVO – CORRIDOR FOR RADICAL ISLAM INFLUX INTO EUROPE, SAYS DIPLOMAT IN MOSCOW (November 3, 2015 – by Grey Carter)
Kosovo could become a corridor for radical Islam breaking into Europe since the European Union is not yet ready to solve the migrant problem, Serbian ambassador to Russia Slavenko Terzic said on Tuesday...
https://theremustbejustice.wordpress.com/2015/11/03/kosovo-corridor-for-radical-islam-influx-into-europe-says-diplomat-in-moscow/


Par Daniel Salvatore Schiffer:

Interview à la première chaîne de la radio suisse romande (RTS francophone), autour de son livre "Le Testament du Kosovo - Journal de guerre" (Editions du Rocher).
"Cet entretien de dix minutes, où je raconte la guerre du Kosovo, dont les crimes de guerre de l'OTAN et de l'UCK (le trafic d'organes humains prélevés sur des prisonniers serbes), a été diffusée lors du JT de 12h30' de ce lundi 12 octobre 2015."
http://www.rts.ch/la-1ere/programmes/l-invite-du-12h30/7140400-daniel-salvatore-schiffer-raconte-la-guerre-du-kosovo-12-10-2015.html

Un extrait (bonnes feuilles) du "Testament du Kosovo" est également publié sur le site de l'hebdomadaire français "L'Express":
http://www.lexpress.fr/culture/le-testament-du-kosovo-journal-de-guerre-editions-du-rocher-extrait_1730075.html

Article à la "une" du journal en ligne français "Mediapart", sur les récents attentats de Paris, l'Etat Islamique et la guerre en Bosnie (ex-Yougoslavie), dont bon nombre de Serbes ont été victimes. Il y a là aussi un long extrait du livre "Le Testament du Kosovo - Journal de guerre".
http://blogs.mediapart.fr/blog/daniel-salvatore-schiffer/231115/vingtieme-anniversaire-des-accords-de-dayton-letat-islamique-de-la-guerre-en-bosnie-a

Daniel S. Schiffer:
Le Testament du Kosovo. Journal de guerre
Paris: Editions du Rocher, 2015
512 pages, 21 euro – ISBN-13: 978-2268079165
https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#schiffer2015


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http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/01/terrorismo-arrestati-4-kosovari-in-italia-armi-in-pugno-inneggiavano-allisis-sul-web/2266780/

Terrorismo, 4 arresti tra Brescia e Kosovo: “Legami accertati con jihad in Siria”. In chat: “Bergoglio sarà l’ultimo Papa”

La 'mente' del gruppo, un cittadino kosovaro che ha vissuto diverso tempo in Italia, è stato arrestato in Kosovo dalle autorità di Pristina, mentre gli altri tre sono stati fermati tra Veneto e Lombardia, dove risiedevano da anni. La polizia: "Collegamenti con terrorista daesh Muhaxheri"

di F. Q. | 1 dicembre 2015

Armi in pugno, webcam di fronte, inno alla jihad. Sono quattro icittadini kosovari coinvolti nell’operazione “Van Damme” della Polizia nei confronti di una presunta organizzazione che propagandava l’ideologia della guerra santa islamica. Non solo. Il gruppo, secondo gli investigatori, aveva “collegamenti diretti accertati con filiere jihadiste attive in Siria, riconducibili al noto terrorista kosovaro daesh Lavdrim Muhaxheri“. Il particolare è emerso dalla conferenza stampa della Procura di Brescia in merito all’operazione.

Due dei quattro quatto kosovari fermati nel corso del blitz antiterrorismo della Polizia saranno espulsi (uno con provvedimento adottato dal ministro dell’Interno per motivi di terrorismo internazionale, l’altro con decreto del Questore di Brescia), un terzo è stato sottoposto a sorveglianza speciale (con contestuale ritiro del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio) e il quarto, bloccato in Kosovo, è stato arrestato.

La richiesta di sorveglianza speciale, utilizzata per la prima volta in questo ambito, è stata avanzata direttamente dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti. Quello che è considerato la ‘mente’ del gruppo, un cittadino kosovaro che ha vissuto diverso tempo in Italia, è stato arrestato in Kosovo dalle autorità di quel paese, mentre gli altri tre sono stati arrestati in Italia, dove risiedevano da anni. Contestualmente agli arresti, gli investigatori hanno fatto scattare una serie di perquisizioni a Brescia, Vicenza e Perugia a carico di persone, la cui posizione è ancora al vaglio. Gli investigatori stanno esaminando il materiale web.

Gli uomini finiti in manette avevano pubblicato sul web una serie di foto in cui erano ritratti con le armi in pugno. Dalle indagini è emerso che i quattro si erano fortemente radicalizzati, ponendosi su posizioni estremistiche e assumendo atteggiamenti tipici dei militanti dell’Isis. Nelle loro chat c’erano anche minacce nei confronti del Papa nelle chat degli indagati, che annunciavano “visite dai parte dei terroristi dello Stato Islamico”. Gli investigatori hanno trovato frasi come “questo sarà l’ultimo Papa”. Il blitz, in collaborazione con le autorità kosovare, è scattato contemporaneamente in alcune città italiane e in Kosovo. L’indagine che ha portato agli arresti di oggi è stata condotta dagli uomini della Direzione centrale della Polizia di prevenzione, l’Antiterrorismo italiano, e da quelli della Digos di Brescia.

Il kosovaro arrestato, Samet Imishti, aveva come base logistica la cittadina di Chiari, in provincia di Brescia. L’affiliato al daesh, arrestato questa mattina in Kosovo, la utilizzava per i suoi spostamenti dall’Italia. Nella stessa abitazione è stato rintracciato il fratello del capo della cellula, Ismail Imishti: per lui il ministero dell’Interno ha firmato un provvedimento di espulsione per motivi di terrorismo. Un altro cittadino di origine kosovara, associato al gruppo di presunti terroristi, è stato invece rintracciato in provincia di Savona ed espulso dal territorio nazionale con un provvedimento a firma del questore di Brescia.

Il quarto fermato è invece un cittadino macedone residente in provincia di Vicenza a cui il procuratore nazionale Antimafia ha avanzato la proposta per l’applicazione della misura di sorveglianza speciale per motivi di terrorismo con il contestuale ritiro del passaporto.


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http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/kosovo/11818659/Inside-Kacanik-Kosovos-jihadist-capital.html

Inside Kacanik, Kosovo's jihadist capital

Tiny town boasts only 30,000 people, yet two dozen local men have gone to fight jihad in Iraq and Syria

By Colin Freeman, Chief Foreign Correspondent
23 Aug 2015

Nestling in a wooded valley that its citizens laid their lives down to defend, the town of Kacanik in southern Kosovo is fiercely proud of its war dead. 
Well-kept cemeteries include nearly 100 victims of Serb-led ethnic cleansing in 1999, while in the town centre, a statue clutching an RPG honours fallen members of Brigade 162 of the Kosovan Liberation Army. 
But a decade and a half on from the war that brought about Kosovo's independence, there is rather less pride in Kacanik's new crop of warriors. 
In the last three years, some 24 local menfolk have gone to fight for jihadist groups in Syria and Iraq, giving the town of just 30,000 people an unwanted reputation as the jihadist capital of the Balkans.
To add to the sense of shame, one of them, a 25-year-old recruiter named Lavdrim Muhaxheri, has committed atrocities as gruesome as any of those carried out in Kacanik in 1999, when British troops unearthed a mass grave containing 81 bodies.
Last summer, in an act that sent shockwaves across Kosovo, Muhaxheri posted Facebook pictures of himself apparently beheading another man suspected of spying against the Islamic State. Another shows him executing a Syrian man using an RPG. 
"Muhaxheri has given Kacanic a name as the most radical city in Kosovo, if not the whole Balkans," said Musli Verbani, a local imam, who claims that hardliners forced him from Kacanik's Islamic Association four years ago. "I warned that this kind of thing was coming, but no-one listened." 
Kosovo, of course, is not alone among European nations in acquiring its own equivalent to Britain's Jihadi John. But for a nation of just 1.8 million people, it now punches well above its weight in terms of the number of citizens joining Isil. 
The interior ministry estimates that some 300 Kosovans have followed in Muhaxheri's’ footsteps, making Kosovo Europe's biggest contributor per capita. Along with neighbouring Albania, which has fielded around 200, and nearby Bosnia, which around 160, it is now seen as a potential launch pad for Isil in its bid to establish a new front against Europe in the Balkans.
What also alarms Western security officials, though, is why any Kosovans would join Isil's fanatics at all. 
After all, back in 1999, it was the West that rescued Kosovo's mainly Muslim population, with Nato bombing raids that halted the campaign of ethnic cleansing by Serb extremists. 
Since then it has been staunchly pro-Western, with the capital, Pristina, boasting both a statue of Bill Clinton and a road named after George W Bush, who was president when Kosovo formally gained independence in 2008. There are even young Kosovans named "Tony" in honour of Tony Blair.
Most Kosovans also follow moderate Islam that allows bars on the same street as mosques, and which is enshrined in a new constitution promoting the diversity suppressed during Communism. 
Yet those same liberal values have also allowed less tolerant voices to flourish, including hardline Islamic charities that arrived during the chaotic post-civil war years. 
Such is the foothold of radicalism in towns like Kacanik that last week, its modest town hall received a personal visit from Kosovo's interior minister, Skender Hyseni.
"Kosovo is a multi-cultural state, not a terrorist one," he told assembled officials, speaking at a conference table decked out with the American and Kosovan flags. "Those going overseas are joining groups that spread violence and terror.” 
In its defence, the Kosovan government argues that other European nations actually have higher rates of radicalisation if it is counted per head of Muslim population. 
But since Muhaxheri’s shocking Facebook post last summer, Mr Hyseni has backed words with action, arresting around 100 suspected extremists, including the grand mufti of the main central mosque in Pristina. 
Prosecutions are already pending of various recruiting networks, including one that passed messages via go-betweens at a kebab shop near the Bill Clinton statue. 
It is, however, already too late, according to Mr Verbani, the Kacanik imam. 
A former KLA fighter, he personifies the moderate face of Kosovan Islam. He studied in Cairo and speaks fluent Arabic, yet looked just like another drinker in the cafe bar where he met The Telegraph, wearing neither a beard nor robes. 
It was precisely that secular outlook that he found himself having to defend as far back as 2006, when a confrontation with a young local radical named Jeton Raka turned violent. 
"At first Jeton was just another good Kacanik kid, but he became more extremist by the day,” said Mr Verbani. “He said the government of Kosovo was against faith, and that school taught children to be unbelievers. I told him he couldn't speak like that at my mosque, and eventually he came to my house, saying 'I will burn you and your family', and petrol bombed my car. Even then, though, the municipality and the police didn't help me."
Raka is now believed to be in Syria along with Muhaxheri, while the government crackdown has largely driven the rest of Kacanik’s radical fringe out of town. Even so, locals remain reluctant to talk about the town's most infamous son, although in such a small community, most know someone now fighting abroad. 
Among them is Sadek Dema whose nextdoor neighbour, Hetem Dema, 41, was killed in January after apparently going to fight with Isil's rival al-Qaeda faction Jabat al-Nusra. 
"He fought in the KLA and was always a good and religious man, although he never showed signs of being radical," said Mr Dema, as Hetem’s five year-old son, Harith, cycled past on his bicycle. 
"Nobody is my father now," Harith shouted out, before Mr Dema could usher him out of earshot. "Now my uncles look after me." 
Quite why Kacanik in particular has become such a hotbed of radicalism is unclear. Some cite its closeness to the border with Macedonia, where they say hardline preachers remain unchecked. Others blame the same lack of prospects that blight everywhere in Kosovo, where the annual GDP is only £2,500 and where youth unemployment is up to 60 per cent. 
That same poverty, they also point out, has made Kosovo fertile ground for Islamic charities from the likes of Saudi Arabia, which offer education and welfare programs but also peddle a hardline vision. 
Arbana Xharra, a Kosovan journalist who has investigated their activities, says that anyone who speaks ill of them can find themselves denounced and threatened as "Islamophobic". 
"I've had to change my kids' school after I got messages online from people saying they would cut my children’s throats - they even knew what time they went to class," she said. 
Like many moderate Kosovans, she also points the finger at Turkey, whose Islamist government has funded networks of mosques across its Ottoman-era provinces of Kosovo, Bosnia and Albania. And while the Turkish government has denied recent claims that has offered tacit support for Isil in Syria, Kosovans are not the only ones to voice concerns. 
One senior diplomat from a moderate Arab regime recently told The Telegraph that radicalism would foster in the Balkans as long as Turkey's influence remained unchecked. "The EU's best chance s to get countries Kosovo and Albania into its club," he warned.
That is a view echoed by Ramadan Ilazi, Kosovo's 30-year-old deputy minister for EU integration, who says the EU is being too slow in accepting Kosovo's membership bid. Kosovo’s constitution, he says, is everything that a liberal EU bureaucrat could want, complete with a national anthem that has only music rather than words so "as not to offend anyone". 
Yet to this day, Kosovans cannot even travel to Europe without visa, giving small town youth in places like Kacanik little chance to broaden their horizons. 
"Kosovo was built as an antidote to nationalism and the causes of the war," said Mr Ilazi, who has a picture on his office wall of him shaking President Clinton’s hand as a 14-year-old boy. "But when people don't see tangible results of their desire to become part of Europe, that allows radicals to suggest that Europe doesn't want us."
Still, with Kosovo still also suffering problems with corruption and organised crime, and with Brussels suffering enlargement fatigue, most estimates are that it may be another decade before Pristina enters the Brussels club. That, gives the radicals plenty more time to urge men in towns like Kacanik to head East rather than West.



(english / deutsch / italiano)

Towards A New War Of Crimea (Verso una nuova Guerra di Crimea)


0) Flashbacks 1853-1856 e 2014-2015
1-2) Die Belagerung der Krim (German-foreign-policy.com 26–27.11.2015.)
Konflikt zwischen Russland und Ukraine eskaliert / Berlin und die Krimtataren


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Flashback 1853-1856:

La Guerra di Crimea. Una crociata russa [sic] che può ricominciare (Matteo Sacchi - 01/08/2015)
Fu lo scontro più violento dell'800, ma trascurato dalla storiografia... Nella sola Sebastopoli gli ossari contengono alla rinfusa i resti di 127.583 uomini [sic] che caddero per difendere la città... Nessuna guerra del XIX° fu così spietata e pervasiva quanto quella di Crimea (1853-56). Nemmeno la guerra di Secessione americana. Ci furono 750mila morti uccisi in battaglia... La guerra lasciò nei russi la sensazione del tradimento nei loro confronti da parte delle potenze europee. Un tradimento religioso per giunta: cristiani che proditoriamente si schierano con i musulmani turchi [ma guarda un po'!] senza capire la «santità» della guerra contro una potenza islamica... Di nuovo i russi sentono gli europei come traditori e gli europei vedono i russi come pericolosi aggressori... Il Mar Nero è stato la polveriera dell'Ottocento e sarebbe [sarebbe stato] meglio non trasformarlo nella polveriera anche del XXI° secolo...


Flashbacks 2014-2015:

Il futuro capo della diplomazia UE: alla Russia non dovrebbe essere consentito di creare un corridoio di terra in Crimea (7/10/2014)
La UE dovrebbe compiere ogni sforzo per impedire la creazione di un corridoio di terra tra la Crimea ed il resto della Russia. Lo ha detto il futuro Alto Rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica della sicurezza e vicecapo della Commissione europea 2014-2019 Ministro degli Affari Esteri d'Italia Federica Mogherini...
http://comunicati.russia.it/il-futuro-capo-della-diplomazia-ue-alla-russia-non-dovrebbe-essere-consentito-di-creare-un-corridoio-di-terra-in-crimea.html

Il sito web del governo tedesco ha “cancellato” i russi dalla Crimea (13/12/2014)
Dopo la critica del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov la popolazione russa di Crimea è stata “riammessa” sulla pagina web del governo tedesco…
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/russi-di-crimea-cancellati-dal-sito-del-governo-tedesco-91fcf138-67bb-40bd-a8fd-ac0980e75261.html

Ukraine Gets New 'Crimea': First All-Muslim Volunteer Battalion in Pipeline (11.07.2015)
Ukraine is set to form a Crimean Tatar battalion and name it “Crimea”; it will be the first volunteer Muslim unit in its Armed Forces, and directly subordinate to the Chief of Staff...
http://sputniknews.com/europe/20150711/1024497780.html

Per impressionare la Nato, Kiev manda i nazisti a bloccare la Crimea (di Fabrizio Poggi, 22 Settembre 2015)
... da domenica scorsa alcuni “volontari” di Pravyj sektor e dei tatari di Crimea stanno inscenando il blocco alimentare della penisola, disseminando di chiodi, copertoni e blocchi di cemento la strada che congiunge la regione ucraina di Kherson alla Crimea...
http://contropiano.org/internazionale/item/32969-per-impressionare-la-nato-kiev-manda-i-nazisti-a-bloccare-la-crimea

Daesh-Mitglieder aus Syrien in die Ukraine befördert (Voltaire Netzwerk, 3.11.2015)
... In den letzten drei Monaten wurde von der Ukraine ein Stützpunkt in Cherson gegenüber der Krim aufgebaut. Die Türkei hat dorthin den Transport von mehreren Hundert Daesh-Kämpfern von Syrien in die Ukraine organisiert....
http://www.voltairenet.org/article189172.html
Members of Daesh have been moved from Syria to Ukraine (Voltaire Network, 2.11.2015)
... Over the last three months, a base has been set up by Ukraine in Kherson, facing Crimea. Turkey has organised the transfer of several hundred Daesh combatants from Syria to Ukraine...


Crimea e Kosovo (JUGOINFO 3.11.2015)
1) En direct de Crimée (Slavisa Pavlovic, Oct 2015)
2) Ukraine could learn from Kosovo’s troubles (Scott Taylor, June 28, 2015)
3) Kosovo and Ukraine: Compare and contrast / Kosovo e Ucraina: analogie e differenze (Neil Clark, August 20, 2014)


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Der Originaltext:
Die Belagerung der Krim (I) (Konflikt zwischen Russland und Ukraine eskaliert – GFP 26.11.2015)
KIEW/MOSKAU/BERLIN (Eigener Bericht) - Begleitet von Unmutsbekundungen aus Berlin eskaliert nach dem Stopp der ukrainischen Stromversorgung für die Krim der Konflikt zwischen Kiew und Moskau erneut. Ende vergangener Woche hatten mutmaßlich Krimtataren gemeinsam mit Mitgliedern des faschistischen Rechten Sektors mehrere Strommasten gesprengt und damit die Stromversorgung der Krim, die zu rund 80 Prozent von der Ukraine gewährleistet wurde, gekappt. Die von Berlin protegierte ukrainische Regierung sieht sich nicht imstande, die Stomleitungen zu reparieren, und verhängt ergänzend eine Handelsblockade gegen die Halbinsel. Sie folgt damit dem Vorbild der Embargopolitik, die EU und USA im Sommer 2014 mit ersten Wirtschaftssanktionen gegen die Krim in Gang setzten und die Kiew mit einem Wasserembargo und Verkehrsblockaden seit mehr als einem Jahr immer weiter zugespitzt hat. Beobachter warnen, damit werde die Ukraine die letzten Sympathien verspielen, die sie auf der Halbinsel noch besitze; Vergleichbares sei seit dem georgisch-russischen Krieg von 2008 in den georgischen Sezessionsgebieten Abchasien und Süd-Ossetien zu beobachten gewesen. Die Bundesregierung hat zu Wochenbeginn in Kiew darauf gedrungen, die Stromversorgung der Krim instand zu setzen, um eine erneute, aus deutscher Sicht als nachteilig eingestufte Eskalation des russisch-ukrainischen Konflikts zu verhindern. Ohne Erfolg: Am gestrigen Mittwoch ist die Eskalation eingetreten...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59260

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The Siege of Crimea (I)
 
2015/11/26

KIEV/MOSCOW/BERLIN
 
(Own report) - Berlin is watching with apprehension as the conflict between Kiev and Moscow escalates again following Ukraine's shutting down electrical power to Crimea. Last week, Crimean Tatars and members of the fascist Right Sector are suspected to have blown up several electric pylons, cutting off the supply of power to Crimea. Crimea receives nearly 80 percent of its electricity from Ukraine. The Berlin-sponsored Ukrainian government sees itself as incapable of repairing the power lines. It has imposed - in accordance with the embargo policies of the EU and the USA - its own trade embargo on the peninsula. In the summer 2014, the EU and the USA began imposing economic sanctions on Crimea, which was aggravated by Kiev's embargo of water and blockade of traffic for over a year. Ukraine will squander its remaining sympathy on the peninsula, warn observers. A similar development had been observed in the Georgian secessionist regions of Abkhazia and South Ossetia since the 2008 Georgian-Russian war. Early this week, the German government applied pressure on Kiev to restore electricity to Crimea, to avoid another escalation of the Russian-Ukrainian conflict, which Germany considers detrimental. To no avail - the escalation began yesterday.

One of the Toughest Embargos in the World

Even before the current energy blockade, sanctions imposed by the EU, the USA and Ukraine were already seriously affecting Crimea, particularly the economic sanctions, more than those targeting individuals. The import into the EU of goods produced in Crimea has been prohibited since last summer; since December 2014 - investment on the peninsula. For EU-based companies even the purchase of real estate is forbidden. Export of energy products - including oil and natural gas - as well as goods from the transportation and telecommunication sectors are not allowed. Even service for Crimean tourism is no longer permitted to be offered within the EU. The United States has imposed similar sanctions. Last summer, Thomas De Waal, an expert at the USA's Carnegie Endowment for International Peace, assessed that this is "one of the toughest embargos in the world." De Waal has characterized this as the "Siege of Crimea."[1]

Turn off the Water

Since last year, the pro-western Ukraine's embargo has been causing additional severe problems in Crimea; one example being an embargo on water for the peninsula. As a report in "Ukraine-Analysen," published by the University of Bremen has confirmed, before secession, the peninsula had received "up to 85 percent of its water supply from the Ukrainian mainland." In May 2014, Kiev turned off the water supply - with dramatic consequences. Agriculture, in particular, was severely affected, reported "Ukraine-Analysen." For example, cultivation of corn and soya had to be "drastically reduced," and rice had to be abandoned entirely. "Providing drinking water to the major industrial cities" such as Kerch and Feodosia "was a major problem," the report continues. According to official data, "consumption of water has fallen by 20 percent over the past two years."[2]

Cut Off From the Mainland

The numerous blockades of transportation and traffic also have an exceedingly damaging effect. The Ukrainian railroad has ceased service to the peninsula, with no railway access yet to Russia. "Ferry service across the Straits of Kerch" is, for the time being, "the only larger transportation link to the Russian mainland," notes the "Ukraine-Analysen." However, the ferry connection is overburdened and interrupted in bad weather. Moscow seeks to solve the problem with the construction of a railway/automobile bridge across the Straits of Kerch. Construction has begun and is scheduled to be completed by the end of 2018 [3] - three long years. Because of the difficult accessibility, the import of food from Russia is insufficient to satisfy the needs of the Crimean population.[4] "Ukraine-Analysen" reports that due to the insufficiency of overland connections, "the air traffic to Crimea has significantly increased." "It has tripled since 2013." Only Russian airliners land in Crimea - under high penalty fines - because Crimea's integration into Russia has not been recognized internationally, Crimean airspace is still attributed to Ukraine.[5]

Backfire

Experts, like Carnegie Endowment's Thomas De Waal have been warning for quite a while that the tough sanctions regime may, in the long run, backfire against the West and its allies in Kiev. For the time being, Kiev still has access to "resources of loyalty" in the Crimea, De Waal quoted the journalist Andrej Sambros, who reports from Crimea for liberal Russian journals, last July. For example, out of the two million people in Crimea, only 20,000 have renounced their Ukrainian citizenship, suggesting that most people want to keep their options open. However, because of the ongoing sanctions, locals now pin their hopes on Moscow, De Waal reports. The sanctions strategy are reminiscent of the methods applied by Georgia towards their separatist territories of Abkhazia and South Ossetia. After the August 2008 Georgian-Russian War, Mikheil Saakashvili, then the Georgian president, instituted tough laws on “occupied territories.” In South Ossetia in 2008, the Saakashvili government cut the gas supply to the Georgian-majority town of Akhalgori, in the hopes of provoking anti-Russian upheavals. The contrary was the case. Following several freezing winters, the population complained of "Georgian cruelty." Abkhazia also suffered years of economic misery but now has few connections with Georgia and has undergone a slow integration into the Russian economy. De Waal reported that one Crimean Tatar bitterly complained that "we are losing Crimea because of this policy"[6] referring to the embargo imposed by Kiev and the West.

No Electricity

The most recent escalation is spiraling the process even further. Crimean Tatars have been blocking overland access to Crimea with the help of fascist Right Sector militants, already since the end of September, to prevent deliveries from Ukraine from reaching the peninsula. Kiev has turned a blind eye. Late last week, it is suspected that Crimean Tatars blew up several electric pylons, cutting off the 80 percent of Crimea's Ukrainian electrical supply, as had been done earlier with Crimea's water supply. Ukraine's Minister of Energy declared that the electrical lines would be restored, but this requires access to the destroyed pylons.[7] Crimean Tatars and fascists of the Right Sector are blocking access to the scenes of the attacks. The Berlin-sponsored government in Kiev has no intention of forcing the repairs. Instead, it has ordered a halt also to commerce in merchandise with Crimea. Russia has declared a state of emergency and is rushing to lay a submarine cable through the Straits of Kerch, which however will not be completed before the end of the year. The majority of the population will have to brave the Crimean winter without lights and warmth until then.[8]

Criminal Acts

The German government, which had helped instigate the sanctions strategy through the imposition of EU sanctions, is now watching these developments with apprehension. Martin Schäfer, the spokesperson for the German Foreign Ministry, characterized the sabotage of the electrical pylons as a "criminal act." "We are expecting these incidents to be handled as such" and "that the supply of electricity in and to Crimea will be restored," he said at the Federal Press Conference. Berlin would like to get the Ukraine conflict finally under control. The objective is to prevent an EU-endangering resurgence of the civil war, render German business relations with Russia possible again - and, along the way, become Europe's number one regulatory force. (german-foreign-policy.com reported.[9]) However, Kiev - in the process of becoming more radicalized - refuses to heed Berlin's admonitions, balks at re-establishing the supply of electricity. Rather than react to Russia's call to pay its gas bills or have its gas supply cut off, Ukraine has declared it was closing its air space to Russian flights. Escalation spirals further.
The Crimean Tatars, implicated in blowing up the electric pylons, are playing an important role in the escalation strategy against Crimea. german-foreign-policy.com will continue with a report on the Crimean Tatars.

For more information on this topic see: Moving West and Steinmeier and the Oligarchs.
[1] Thomas De Waal: The New Siege of Crimea. nationalinterest.org 09.07.2015.
[2], [3] Julia Kusznir: Russische Wirtschaftsförderung für die Krim - eine Zwischenbilanz. In: Ukraine-Analysen Nr. 158, 28.10.2015, 2-5.
[4] Katerina Bosko: "Es geht ums Geschäft": Die Krim-Blockade und die Realität der Wirtschaftsbeziehungen mit der Krim nach eineinhalb Jahren Annexion. In: Ukraine-Analysen Nr. 158, 28.10.2015, 5-9.
[5] Julia Kusznir: Russische Wirtschaftsförderung für die Krim - eine Zwischenbilanz. In: Ukraine-Analysen Nr. 158, 28.10.2015, 2-5.
[6] Thomas De Waal: The New Siege of Crimea. nationalinterest.org 09.07.2015.
[7] Friedrich Schmidt: Halbinsel im Dunkeln, aber unter Strom. Frankfurter Allgemeine Zeitung 25.11.2015.
[8] Axel Eichholz: Krim bleibt dunkel. www.neues-deutschland.de 24.11.2015.
[9] See Kontrollmission in Kiew and Like in the Cold War.


=== 2 ===

Der Originaltext:
Die Belagerung der Krim (II) (Berlin und die Krimtataren – GFP 27.11.2015)
KIEW/MOSKAU/BERLIN (Eigener Bericht) - Die Anführer der Krimtataren, die seit Tagen die Stromversorgung der Krim blockieren, haben gute Kontakte in das deutsche Polit-Establishment. Mustafa Dschemiljew und Refat Tschubarow, die in die Blockadeaktionen involviert sind, haben bereits vor Jahren mit Beamten des Auswärtigen Amts und dem Aussiedlerbeauftragten der Bundesregierung über die engere Anbindung der Krim an den Westen diskutiert. Erst vor zweieinhalb Wochen haben sie mit der EU-Außenbeauftragten Federica Mogherini über die "De-Okkupation der Krim" und über dazu notwendige "friedliche Aktionen, besonders hinsichtlich der Energieversorgung", gesprochen. Die Krimtataren, die zur Zeit aktiv mit faschistischen Organisationen und ultrarechten Bataillonen kooperieren, sind über die Liste von Staatspräsident Petro Poroschenko in das ukrainische Parlament gewählt worden. Laut Einschätzung einer Expertin sind sie für Poroschenko ein "Instrument seiner Außenpolitik". Dschemiljew unterhält zudem gute Kontakte ins US-Establishment. Unter den Krimtataren konkurrieren er und Tschubarow, denen in Berlin eine Art Alleinvertretungsanspruch zugestanden wird, einerseits mit tatarischen Salafisten, von denen einige in Syrien kämpfen, andererseits mit an Russland orientierten tatarischen Organisationen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59261

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The Siege of Crimea (II)
 
2015/11/27

KIEV/MOSCOW/BERLIN
 
(Own report) - Leaders of the Crimean Tartars, who have been blocking the supply of electricity to Crimea for the past few days, have good contacts to the German political establishment. Years ago, Mustafa Jemilev and Refat Chubarov, who were involved in the sabotage action, had held talks on closer ties between Crimea and the West with officials of the German Ministry of Foreign Affairs and with the German government's Representative for ethnic German immigration to Germany. Just two and a half weeks ago, they discussed with the EU's High Representative for Foreign Affairs and Security, Federica Mogherini, the "de-occupation of Crimea" and the necessary "peaceful actions, in particular with respect to power supply." The Crimean Tartars, who are currently cooperating with fascist organizations and ultra-rightwing battalions, have been elected to the Ukrainian parliament on the electoral list of President Petro Poroshenko's party. According to an expert, Poroshenko is "instrumentalizing" them for "his foreign policy" objectives. Jemilev also has good contacts to the US political establishment. Among the Crimean Tartars, he and Chubarov, who in Berlin enjoy exclusive recognition, are competing with Tartar Salafists - some of whom are currently fighting on the battlefields of Syria - and with Russia-oriented Tartar organizations.

Blockade with Fascists

Crimean Tartars are primarily responsible for the current blockade imposed on Crimea. (german-foreign-policy.com reported.[1]) Already on September 20, they had begun autonomously to inspect traffic destined for the Crimea from the Ukrainian region of Kherson, to prohibit commodity transports onto the peninsula. They accepted the help of Ukrainians - euphemistically referred to as "activists" in the German media - who often are members of fascist organizations, such as the Right Sector or ultra-rightwing militias, such as the Aidar or the Donbass Battalions. October 13, fascist organizations honored the most prominent Crimean Tartar leader, Mustafa Jemilev with the "People's Hero of Ukraine" Award for his reliable cooperation. Already by the beginning of October, their joint blockade of Crimea had expanded to the first attempts to not only cut off Crimea from commodities, but from electrical power, as well.[2] At the end of last week, several electric pylons were blown up, shutting down the supply of electricity to the peninsula. Crimean Tartars then blocked access to the scenes of the crimes to prevent the damage from being repaired.

Instrument of Foreign Policy

As "Ukraine-Analysen," a publication of the University of Bremen, points out, actions such as the blockade of the Crimea, could not have been carried out without the "quiet acquiescence" of the administration in Kiev. In fact, already a year ago, President Petro Poroshenko - whose dockyard had been nationalized, when the Crimea was integrated into Russia - had "entered cooperation with the Crimean Tartar leaders." In the October 26, 2014, Ukrainian parliamentary elections, Jemilev and Chubarov, the two last chairs of the Mejlis, the executive council of the Crimean Tartars, were elected to parliament on President Poroshenko's party list. September 26 - with the blockade already in full swing - Poroshenko designated Jemilev to head the National Council for Anti-Corruption Policies, a presidential advisory commission. The Crimea blockade "clearly" demonstrates, writes the editor of the "Ukraine-Analysen," that "in the Ukraine, paramilitary organizations are unofficially engaged in penal functions, permitting President Poroshenko to instrumentalize the co-opted Crimean Tartar leaders for his foreign policy objectives."[3]

No Monolithic Entity

However, Jemilev and Chubarov are in no way representing the standpoint of the entire Crimean Tartar minority. Whereas the Mejlis is seen to be pro-western, and even favoring, to a certain extent, circles linked to the Orange Revolution, the Crimean Tartar Milli Firka ("People's Party"), founded in 2006, has been standing in clear opposition to the Mejlis from the very beginning. Whereas the Mejlis 2013 - 2014 supported the Maidan protests and the putsch, Milli Firka had always been clearly opposed - and in March 2014, had appealed for participation in the referendum on Crimea's status and to vote in favor of integration into Russia. The Mejlis called for a boycott of the referendum and declared Russian integration, illegitimate. Reliable information on the proportion of followers Mejlis and Milli Firka have among the peninsula's 250,000 Crimean Tartars is unavailable. It is clear, however, that a monolithic anti-Russian unity, usually suggested by German media of the Crimean Tartar minority, is non-existent. Whereas Moscow has recognized Crimean Tartar as the third official national language - Kiev has consistently refused - official Russian administrations are repressing anti-Russian circles affiliated with the Mejlis. Jemilev and Chubarov, for example, had been banned for several years from Crimea, which is why they live in Ukraine.

Against Russia

Jemilev's close cooperation with the West's foreign policy establishments, where he has made strong pleas against Crimea being integrated into Russia, may have been what caused Russian repression. A good example is Jemilev's trip to Washington in early April 2014, immediately following Crimea's integration into Russia. The Crimean Tartar leader also had an appearance at the Carnegie Endowment for International Peace, where he responded to the question of a threat of radicalization on the Crimean peninsula saying that he may "not be able to control younger Tartars and Islamist factions."[4] One of the "Islamist factions" being referred to is the Tartar organization Hizb ut Tahrir, which has sent militia to fight in Syria. When the US press asked if he can imagine "a road back to Ukraine for Crimea," Jemilev ambiguously responded, "everyone talks about the U.S. Sixth Fleet. Where is it?"[5] Among his interventions, also spoke at an informal session of the UN Security Council - boycotted by Russia - and April 4, 2014, held talks with Wendy Sherman, Under Secretary of State for Political Affairs in the US State Department. He recommended that relations to Crimean Tartars be intensified - for example with scholarships, but also with direct support. The exact nature of Jemilev's plea for "direct support" is unknown.

Partner for EU Rapprochement

Berlin, in particular, maintains close relations to leaders of pro-western Crimean Tartars. The Crimean Tartar's Mejlis, with Refat Chubarov as chair, is a member of the ethnicist organization Federal Union of European Nationalities (FUEN),[6] sponsored by the federal government, as well as various regional governments in Germany. Another ethnicist organization, the Society for threatened Peoples (SFTP), awarded its "Victor Gollancz Prize" to Mustafa Jemilev in 2005. Erika Steinbach (CDU) - at the time the chair of the German League of Expellees (BdV) - held the laudatory address. The SFTP was one of the organizers of the first "German - Crimean Tartar Dialogue," held in the summer of 2011 in Berlin. Mustafa Jemilev, chair, at the time, and his successor Refat Chubarov were among the Mejlis representatives, who traveled to Berlin for the occasion. Viktor Yanukovych had won the Ukrainian election eighteen months earlier. Berlin was searching for a means for keeping Kiev on its pro-western course. According to one report, the German - Crimean Tartar Dialogue had a double objective: on the one hand, to draw attention to the Crimean Tartars and their living conditions, and, on the other, to "search for partners ..., who, at an international forum ... would discuss the Crimean Tartar issue as an element ... of the rapprochement to the EU structures."[7]

High Level Contacts

In Berlin, numerous officials, including some in senior positions, participated in this debate. The Mejlis delegation held talks not only with parliamentarians of the Bundestag and the chairman of the Green Party, Cem Özdemir, it also met with "activists of half a dozen NGOs," it was reported.[8] The delegation was even received by representatives of the Turkish embassy. Ankara claims to be the "protective power" of Crimean Tartars. The Mejlis delegation also met with Christoph Bergner, at the time, Commissary for Ethnic German Immigrants and National Minorities, who was also responsible for cooperation with the FUEN. The delegation concluded with consultations with representatives of the Foreign Ministry.[9]

The De-Occupation of Crimea

Berlin's seasoned foreign policy contacts, Jemilev and Chubarov, are supportive of the past few days' blockade by the sabotage of electric pylons in Ukraine's Kherson region, and are making sure that electrical power will not be restored. Most recently, they both met with Federica Mogherini, High Representative for the EU's Foreign Affairs and Security Policy. They "discussed sincerely and frankly" with Mogherini about the issues of Crimea's "de-occupation," they subsequently reported. They spoke of the extension of sanctions against Russia, and "peaceful actions, in particular with respect to power supply."[10] At the time of these talks, the Crimean Tartars' autonomous trade blockade was already in full swing, blowing up the power pylons was soon to follow.

[1] See The Siege of Crimea (I).
[2], [3] Katerina Bosko: "Es geht ums Geschäft": Die Krim-Blockade und die Realität der Wirtschaftsbeziehungen mit der Krim nach eineinhalb Jahren Annexion. In: Ukraine-Analysen Nr. 158, 28.10.2015, 5-9.
[4] After Annexation: Assessing Crimea's Future With Mustafa Dzhemilev. carnegieendowment.org 02.04.2014.
[5] Matthew Kaminski: A Crimean Tatar Comes to America. The Wall Street Journal 02.04.2014.
[6] See Hintergrundbericht: Die Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen.
[7], [8], [9] Mieste Hotopp-Riecke: Der lange Schatten Stalins über den Stiefkindern Eurasiens. www.eurasischesmagazin.de 02.08.2011.
[10] Crimean Tatar leaders met with Federica Mogherini. qha.com.ua 09.11.2015.




(francais / italiano)


I PRINCIPALI COMPLICI DI DAESH IN FRANCIA





FABIUS, LE DRIAN DÉMISSION ! Assez c’est assez !



D’après la presse belge, en 2014 c’est près de 9,2 millions d’euros qui ont été saisies par le CTIF (l’équivalent belge de Tracfin) dans 34 dossiers liés au financement du terrorisme. De grosses sommes venaient du Qatar et d’autres pétromonarchie avec qui le gouvernement Hollande à la suite du gouvernement Sarkozy n’a eu de cesse de renforcer les alliances. Ce n’est là qu’un secret de polichinelle, pour les spécialistes de la question. Dans le même temps, l’ancien chef du renseignement français Bernard Squarcini déclare dans la presse que Hollande et le gouvernement Valls ont refusé la liste des citoyens français combattant en Syrie dans les rangs islamistes transmises par les services syriens. Faisant passer la déstabilisation impérialiste de la Syrie avant la sécurité des Français. Il est vrai que les impôts des travailleurs français ont servi à armer la « rebellion » en Syrie dont le haut état major américain à reconnu que c’était une des source d’armement de DAECH. Et ce sont bien les mêmes qui plongent la France dans l’Etat d’urgence. Restreignant les libertés des Français pour mieux masquer leur dramatique et écrasante responsabilité.

Assez c’est assez !

par la Commission internationale du PRCF

Le service public audiovisuel devrait être pluraliste. Il ne l’est pas. Que les dirigeants de Radio-France citent un, un seul chroniqueur qui chaque jour s’exprime sur France-Inter ou France-Culture, et qui soit marxiste.

Ce courant philosophique, politique, important en France, est délibérément exclu, censuré, chassé des ondes de la radio publique à l’existence de laquelle pourtant les marxistes contribuent par leurs impôts comme les autres citoyens.

Sans parler de la criminalisation même des communistes, les marxistes en actes, de leur histoire et cela de façon quasi quotidienne sur les ondes. Nous parlons ici des militants franchement communistes, pas des dirigeants du PCF qui votent l’état de siège, insultant ainsi toute l’histoire du mouvement ouvrier.


Mais il est vrai que M. Guetta, le « spécialiste » de la politique extérieure sur France Inter a battu tout de même un record de ridicule et de malhonnêteté intellectuelle ce matin dans sa chronique.

Bernard Guetta ose dire sans que cela suscite un immense éclat de rire de son collègue Patrick Cohen, animateur solférinien de la matinale, « Ce n’est pas Hollande qui a changé de position sur la Syrie, c’est Poutine », ce qui ne peut que faire rire tous les experts en géopolitique… 

Oui, imaginez-vous que Vladimir Poutine, terrorisé pas l’intelligence de Fabius et de sa « fraise des bois » Hollande, a capitulé. Hollande, véritable chef du Monde Libre, a fait reculer le nouveau Tsar….


Mais B. Guetta n’est que la voix de ses maîtres. De ses maîtres Fabius et Le Drian.

En effet ces deux personnages tiennent le même propos, relayés par quelques courageux « experts » tel Bruno Tertrais, auquel personne ne croit, sans doute pas eux-mêmes.

Fabius et Le Drian ont mené la politique étrangère et de défense la plus alignée sur les États-Unis, pire encore, sur les néoconservateurs US, la plus réactionnaire, la plus atlantique, la plus belliciste que la France ait connue sous la Ve République. Et  conséquence de ce qui précède, la plus contraire à l’intérêt national.
Posant comme préalable à toute chose le renversement du président Assad – au non de quoi? -, soutenant militairement, diplomatiquement, médiatiquement les islamistes terroristes en lutte contre le régime laïque d’Assad, vendant des armes aux régimes intégristes du Proche-Orient comme l’ Arabie Saoudite, le Qatar, les Émirats Arabes Unis, ceux qui financent, arment et inspirent idéologiquement la mouvance djihadiste, déstabilisant par la subversion le gouvernement légal d’Ukraine et soutenant les putschistes oligarques et les fascistes Ukrainiens, intervenant au Mali, en Centre-Afrique, en Côte d’Ivoire – en quel honneur? – , faisant de notre armée une légion de l’OTAN, une armée faites pour les ingérences extérieures impérialistes et non la défense nationale, une armée où l’anglais est officiellement devenue la langue de travail vu son assujettissement à l’OTAN (c’est-à-dire aux États-Unis), refusant de vendre des navires Mistral à la Russie mais vendant des Rafales aux coupeurs de têtes intégristes d’Arabie Saoudite ou du Qatar, dont la fréquentation obséquieuse est une honte pour la France.

Mais il ne faut pas oublier qu’en juin 2006 François Hollande, alors premier secrétaire du PS, est allé à l’Ambassade des États-Unis, de même que Sarkozy a pris l’avion pour Washington, afin de faire savoir à Bush que les socialistes désapprouvaient Chirac qui avait refusé de suivre les E-U dans leur guerre en Irak, dénonçant « l’obstruction gratuite de Chirac au Conseil de Sécurité ». Sarkozy, autre semeur de guerre et de chaos en Libye, a eu la même démarche et porte la responsabilité d’avoir réintégré la France dans le commandement militaire intégré de l’OTAN, acte profondément impérialiste et antinational.

Avec un tel bilan et les résultats que nous connaissons, quel ministre pourrait garder sa charge après un tel fiasco qui a semé le chaos au Proche-Orient et qui a rabattu le terrorisme aveugle sur notre territoire alors qu’à l’époque de De Villepin notre pays était épargné? Plus va-t’en-guerre qu’Obama, Fabius et Le Drian voulaient bombarder Damas. Aujourd’hui ils font un virage à 180 degré acceptant ce qu’ils refusaient hier et rampent devant la Russie pour frapper l’Organisation État Islamique (OEI).
Mais en continuant à fermer les yeux lorsque l’Arabie Saoudite et Al Quaïda en péninsule arabique massacrent les Yéménites chiites. 

Mais en continuant à fermer les yeux lorsque Erdogan massacre les Kurdes du PKK, que la France et l’UE continuent de considérer comme « terroriste » alors qu’ils luttent contre l’OEI qui est l’ennemi principal de la France: cherchez la logique.

Mais en continuant à prétendre avec l’UE que le Hezbollah libanais est « terroriste » quand ce dernier lutte côte à côte avec l’armée syrienne d’Assad contre l’OEI.

Mais en ayant tenté jusqu’au bout de saboter la normalisation des rapports avec l’Iran, s’alignant sur les positions fascisantes de Netanyahou.

En conséquence et en conscience il est urgent pour tous les républicains conséquents et les patriotes épris de paix d’exiger la démission des ces deux ministres qui font honte à la France et nuisent aux Françaises et aux Français.




Il giorno 05 set 2015, alle ore 10:51, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto su JUGOINFO:

(francais / italiano)


TRA I RESPONSABILI DELL'ESODO VERSO L'EUROPA

L'ex Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius è stato denunciato da un gruppo di 14 cittadini siriani per le sue responsabilità nell'attizzare la guerra civile in Siria e, di conseguenza, per avere causato l'esodo di massa dei loro connazionali. In prima istanza il Tribunale ha riconosciuto le ragioni di merito ma ha ritenuto non siano perseguibili penalmente; lunedì 7 settembre p.v. si tiene l'udienza di appello, dove i denuncianti sosterranno che il sostegno al terrorismo prestato da Fabius va punito per il grave danno procurato non solo ai siriani ma agli stessi francesi...


From: EditionsDémocrite 
Sent: Thursday, September 3, 2015 7:07 PM
 
 

 

 

Communiqué de Presse                         Diffusion immédiate

 

Procès en appel des civils syriens contre Fabius

Attiser la guerre civile, la politique de la France ?

 

De même que les récentes déclarations de François Hollande, les propos tenus par Laurent Fabius depuis sa prise de fonction au ministère des affaires étrangères ont eu pour effet, sur le terrain en Syrie, de relancer l’agression dont les civils de toutes religions et confessions sont les premières victimes.

 

Quatorze civils syriens demandent à l’ État français la réparation du dommage dont elles souffrent à cause des fautes graves commises par l’agent Fabius à l’occasion de l’exercice de ses fonctions.

 

Le Tribunal Administratif de Paris, le 19 décembre 2014, tout en reconnaissant que les déclarations et les prises de position du ministre ont « attisé la guerre civile en Syrie et encouragé la lutte armée contre le pouvoir en place », a pu néanmoins rejeter les requêtes au motif que ces déclarations et prises de position « se rattachent à la conduite de la politique extérieure de la France ».

 

La question qui se pose en appel est de savoir si l’on peut rejeter sur l’ État la responsabilité d’agissements qui consistent à soutenir le terrorisme, si l’on peut imputer à la France pareille politique, alors que la population française en est aussi bien la victime.

 

 

Audience publique

Lundi 7 Septembre 2015 à 10h00

Cour administrative d’appel de Paris

68 rue François Miron - Paris IVème

 

Ferney, 26 août 2015

BARDECHE – CHAMY – JUNOD - – STENNLER – VIGUIER –YON

 

RAPPEL des déclarations du ministre

29 mai 2012, la France interviendra contre le régime syrien.

17 août 2012, Bachar El Assad ne méritait pas d’être sur terre.

14 décembre 2012, le front Al-Nosra fait du bon boulot.

13 mars 2013, France et Grande Bretagne vont livrer des armes aux rebelles.

22 août 2013, appel à réaction de force, sous prétexte du coup monté de l’attaque chimique.






(italiano / english)


Ahmad Barqawi: Libya, ISIS and the Unaffordable Luxury of Hindsight / Libia, ISIS e il lusso del senno del poi


--- original ---


MARCH 9, 2015

Libya, ISIS and the Unaffordable Luxury of Hindsight

by AHMAD BARQAWI


Who are you?” the late Muammar Gaddafi once rhetorically asked in a famous speech of his towards the end of his reign; (rightly) questioning the legitimacy of those seeking to over-throw his government at the time, calling them extremists, foreign agents, rats and drug-addicts. He was laughed at, unfairly caricatured, ridiculed and incessantly demonized; a distasteful parody video poking fun at the late Libyan leader even went viral on social media; evidently the maker of the video, an Israeli, thought the Libyan colloquial Arabic word “Zenga” (which means an Alleyway) sounded funny enough that he extracted it from one of Gaddafi’s speeches, looped it on top of a hip-hop backing track and voila… he got himself a hit video which was widely (and shamefully) circulated with a “revolutionary” zeal in the Arab world. We shared, we laughed, he died.

But the bloody joke is on all of us; Gaddafi knew what he was talking about; right from the get-go, he accused the so-called Libyan rebels of being influenced by Al-Qaeda ideology and Ben Laden’s school of thought; no one had taken his word for it of course, not even a little bit. I mean why should we have? After all, wasn’t he a vile, sex-centric dictator hell-bent on massacring half of the Libyan population while subjecting the other half to manic raping sprees with the aid of his trusted army of Viagra-gobbling, sub-Saharan mercenaries? At least that’s what we got from the visual cancer that is Al Jazeera channel and its even more acrid Saudi counterpart Al-Arabiya in their heavily skewed coverage of NATO’s vicious conquest of Libya. Plus Gaddafi did dress funny; why would anyone trust a haggard, weird-looking despot dressed in colorful rags when you have well-groomed Zionists like Bernard Henry Levy, John McCain and Hillary Clinton at your side, smiling and flashing the victory sign in group photo-ops, right?

Gaddafi called them drug-addicted, Islamic fundamentalists; we know them as ISIS… it doesn’t seem much of a joke now, does it? And ISIS is what had been in store for us all along; the “revolutionary” lynching and sodomization of Muammar Gaddafi amid manic chants of “Allahu Akbar”, lauded by many at the time as some sort of a warped triumph of the good of popular will (read: NATO-sponsored mob rule) over the evil of dictatorship (sovereign state), was nothing but a gory precursor for the future of the country and the region; mass lynching of entire populations in Libya, Syria and Iraq and the breakup of key Arab states into feuding mini-statelets. The gruesome video of Colonel Gaddafi’s murder, which puts to shame the majority of ISIS videos in terms of unhinged brutality and gore, did not invoke the merest of condemnations back then, on the contrary; everyone seemed perfectly fine with the grotesque end of the Libyan “tyrant”… except that it was only the beginning of a new and unprecedented reign of terror courtesy of NATO’s foot-soldiers and GCC-backed Islamic insurgents.

The rapid proliferation of trigger-happy terrorist groups and Jihadi factions drenched in petrodollars in Libya was not some sort of an intelligence failure on the part of western governments or a mere by-product of the power vacuum left by a slain Gaddafi; it was a deliberate, calculated policy sought after and implemented by NATO and its allies in the Gulf under the cringe-inducing moniker “Friends of Libya” (currently known as the International Coalition against ISIS) to turn the north-African country into the world’s largest ungovernable dumpster of weapons, al-Qaida militants and illegal oil trading.

So it is safe to say that UNSC resolution 1973, which practically gave free rein for NATO to bomb Libya into smithereens, has finally borne fruit… and it’s rotten to its nucleus, you can call the latest gruesome murder of 21 Egyptian fishermen and workers by the Libyan branch of the Islamic State exhibit “A”, not to mention of course the myriad of daily killings, bombings and mini-civil wars that are now dotting the entire country which, ever since the West engineered its coup-d’etat against the Gaddafi government, have become synonymous with the bleak landscape of lawlessness and death that is “Libya” today. And the gift of NATO liberation is sure to keep on giving for years of instability and chaos to come.

In an interview with the western media misinformation collective that is the BBC, ABC and the Sunday Times in February 2011; the late Muammar Gaddafi told his condescending interviewers; “have you seen the Al Qaeda operatives? Have you heard all these Jihadi broadcasts? It is Al Qaeda that is controlling the cities of Al Baida and Darnah, former Guantanamo inmates and extremists unleashed by America to terrorize the Libyan people…”. Darnah is now the main stronghold for ISIS in Libya.

In a bizarre coincidence (or some sort of cosmic irony); the date on which ISIS chose to release its video of the beheading of Egyptian captives, thereby officially declaring its presence in the war-torn country with three oil fields under its control, (appropriately) marked the 4th anniversary of the start of the so-called Libyan revolution on February 15th, 2011; a more apt “tribute” to commemorate the Western instigated regime-change debacle in Libya could not have been made.

But even long before ISIS became the buzzword, the acrid nature of a “revolutionary” Libya showed in full, sickening splendor almost instantly right after the old regime fell, everything the late Gaddafi was falsely accused of doing was literally perfected to a chilling degree by the so-called rebels; massacres, indiscriminate shelling of residential areas, car-bombings, mass arrests, torture, theft of oil and national resources… the whole lot. In 2013; two British pro-Palestine activists, on their way to Gaza with an aid convoy, got to experience first-hand the rotten fruits of the Libyan chapter of the so-called Arab Spring when they were abducted by a motely crew of Libyan revolutionaries-turned-warlords in the city of Benghazi and gang raped in front of their father.

Proponents of Humanitarian Interventions must be patting themselves on the back these days; now that Libya has completed its democratic makeover from a country with the highest standard of living in Africa under Gaddafi’s rule into a textbook definition of a failed state; a godless wasteland of religious fanaticism, internal bloodletting and wholesale head-chopping, in fact Libya became so “democratic” that there are now two parliaments and two (warring) governments; each with its own (criminal) army and supported with money and caches of weapons from competing foreign powers, not to mention the myriad of secessionist movements and militias which the illegal coup against Gaddafi has spawned all over the country while free health care, education and electricity, which the Libyans took for granted under Gaddafi’s regime, are all now but relics of the past; that’s the “Odyssey Dawn” the Libyans were promised; a sanitized version of Iraq sans the public outrage, neatly re-packaged in a “responsibility to protect” caveat and delivered via aerial bombing campaigns where even the West’s overzealous Gulf Co-conspirators Club (GCC), driven by nothing beyond petty personal vendettas against Gaddafi, got to test the lethality of its rusted, American-made military aircrafts alongside NATO on the people of Tripoli and Sirte.

This is what Gaddafi had predicted right from the get-go and then some; the ephemeral euphoria of the Tunisian and Egyptian revolutions was just too potent and too exhilarating for us to read the fine print; was it a conspiracy or a true revolutionary spirit gone awry? It doesn’t really matter now that ISIS has become the true legacy of Tahrir Square; “they will turn Libya into another Afghanistan, another Somalia, another Iraq… your women won’t be allowed out, they will transform Libya into an Islamic Emirate and America will bomb the country under the pretext of fighting terrorism”, the late Libyan leader had said in a televised speech on February 22nd, 2011, and more prophetic words were never spoken.

America’s “clean war” Libyan prototype proved to be such a success that it was replicated with a wanton abandon in Syria; Paul Bremer’s “Blackwater” death squads of old, which reigned terror all over Iraq, are back… with an Islamic twist; bearded, clad in black and explosives from head to toe and mounting convoys of Toyota Land Cruiser trucks with an ever-expanding, seemingly borderless Islamic Caliphate (that somehow leaves the Zionist regime unencumbered in its occupation of Palestine) set in their sights.

Everyday the Arab World is awakened to a new-videotaped atrocity; steeped in gore and maniacal terror courtesy of ISIS (or IS or ISIL), and countless of other “youtubeless”, albeit more heinous crimes courtesy of America’s very own ever-grinding, one-sided drone warfare; the entire region seesaws between machete beheadings and hellfire missile incinerations. Death from above… as well as below; the War on Terror rears its ugly head once again; to bring in line those nasty terrorists that the West itself funded and sponsored in the name of democracy to destabilize “unsavory” regimes; an unrelenting Groundhog Day that starts with the Responsibility to Protect and ends with the War on Terror, with thousands of innocent lives, typically chalked up to collateral damage, crushed in the process.

This is exactly what Gaddafi foresaw; a Libya mired in utter chaos, civil conflict and western diktats; a breeding ground for Jihadi fundamentalism and extremists… too bad we just laughed his warnings off to an Israeli-made parody tune.

Ahmad Barqawi, freelance columnist and writer.



--- in italiano ---


Le profezie di Muammar Gheddafi su Libia, sulla instabilità totale, i diktat dell’occidente, sui fondamentalisti islamici, sull’ISIS

Ahmad Barqawi

La previsione di Gheddafi: Libia, ISIS e il lusso del senno del poi


“Chi sei?” chiese una volta Gheddafi retoricamente in un famoso discorso verso la fine del suo governo; biasimando la legittimità di rovesciare il suo governo, puntando il dito verso estremisti, agenti stranieri, topi di fogna di ogni genere e tossicodipendenti.

Fu preso in giro, ridicolizzato, fatto oggetto di caricature offensive ed incessantemente demonizzato con un martellante video trasmesso su tutti i media; chiaramente, l’autore del video, un israeliano, ritiene che il termine arabo colloquiale “Zenga” (che significa passaggio, viuzza) suonasse abbastanza divertente che lo estrapolò da uno dei discorsi di Gheddafi, lo trasformò in una base hip hop e voilà… ecco un video tormentone che è circolato in maniera vergognosa nel mondo arabo. Noi lo abbiamo condiviso, noi abbiamo riso. Gheddafi invece è morto.

Ma il sanguinoso scherzo è ricaduto su noi tutti: Gheddafi sapeva di cosa stava parlando; lui accusava i cosiddetti ribelli libici di essere influenzati dall’ideologia di Al Qaida e dalla scuola di pensiero di Bin Laden; nessuno ha voluto tener in considerazione le parole.

Perché avremmo dovuto farlo? In fondo era solo un “vile, erotomane, ostinato dittatore che ha massacrato metà della popolazione libica”, mentre l’altra metà è stata sottomessa dalla sua violenza orgiastica con l’aiuto del suo fidato esercito di mercenari ingozzati di Viagra. Questo ci è stato detto da quel cancro dell’informazione che è il canale Al Jazeera, assieme al suo concorrente Al Arabiya quando hanno raccontato in maniera totalmente distorta la feroce invasione della NATO ai danni della Libia.

Per giunta vestiva in maniera buffa; perché credere a un macilento, dall’aspetto bizzarro dittatore vestito con stracci colorati, quando si possono avere dei sionisti eleganti e ben pettinati come Bernard Henry Levy, John McCain e Hilary Clinton dalla tua parte, sorridenti, che esibiscono la vittoria in foto di gruppo?

Gheddafi li definì tossicodipendenti, Fondamentalisti islamici; noi li conosciamo come ISIS…adesso non è più uno scherzo vero? L’Isis era il nostro asso nella manica; il “rivoluzionario” linciaggio e la “rivoluzionaria” sodomizzazione di Muammar Gheddafi tra canti maniacali di “Allah au Akbar”, lodati da molti come il trionfo della volontà popolare (leggasi masse pilotate da agenti della NATO) contro la malvagia dittatura (stato sovrano), altro no era che il preludio di ciò che sarebbe avvenuto nella regione; persecuzioni di massa in Libia, Siria, Iraq e la frantumazione degli stati arabi in tanti micro staterelli.

Il raccapricciante video dell’assassinio del Colonnello Gheddafi, che mostra, come nella maggior parte dei video dell’ISIS, la brutalità e la violenza delle loro azioni, non ha suscitato la benché minima condanna, al contrario, tutti sembravano contenti per fine fatta fare al tiranno… questo era solo l’inizio del regno di terrore avvallato dai soldati della NATO e dai “ribelli” islamici.

La proliferazione di terroristi dal grilletto facile e della fazioni della Jihad inzuppati nei petrodollari in Libia, non sono frutto di un’ operazione di intelligence mal riuscita dalle potenze imperialiste, o un sotto prodotto del vuoto di potere del dopo Gheddafi; è una deliberata, studiata, calcolata strategia voluta dalla NATO e dai suoi alleati del Golfo che appartengono alla sigla tremenda “Amici della Libia” (ora conosciuta come coalizione internazionale contro l’ISIS) per trasformare lo stato nord Africano nel più grande e ingovernabile pattumiera di armi, militanti di Al Qaida e commercio illegale di petrolio.

Così possiamo affermare con certezza che la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dava il via libera alla NATO di distruggere in 1000 pezzi la Libia ha dato finalmente i suoi frutti… marci fino al seme, come dimostra l’assassinio di 21 fra operai e pescatori egiziani compiuto dal ramo libico dello Stato Islamico; per non parlare della miriade di assassini compiuti ogni giorno, bombardamenti e micro guerre civili che interessano tutto il paese, che da quando l’occidente ha architettato il colpo di stato contro il governo di Gheddafi, è diventato sinonimo di mortale landa desolata senza legge quale è la Libia oggigiorno. Il regalo della NATO rimarrà in dote per anni con instabilità e caos.

In un’intervista con il principale canale di disinformazione occidentale quale è la BBC, ABC e il Sunday Times nel Febbraio 2011, Gheddafi chiese ai suoi altezzosi intervistatori: “Avete mai visto gli agenti di Al Qaida? Avete mai ascoltato le loro trasmissioni? E’ Al Qaida che ha preso il controllo delle città di Al Baida e di Darnah, ex detenuti di Guantanamo ed estremisti liberati dagli americani per terrorizzare il popolo libico…” Darnah oggi è una delle principali roccaforti dell’ISIS.

In una bizzarra coincidenza (una specie di cosmica ironia); la data in cui l’ISIS scelse di mostrare il video della decapitazione degli ostaggi egiziani, che diede l’ufficialità della loro presenza nel paese lacerato dalla guerra con tre giacimenti di petrolio sotto il loro controllo, fu fatto (non a caso) nel quarto anniversario dell’inizio della cosiddetta rivoluzione libica del 15 febbraio 2011; non poteva esserci miglior tributo al golpe sponsorizzato dall’occidente.

Molto prima che ISIS divenisse un termine di moda, la vera natura della “rivoluzione” libica fu mostrata subito dopo la caduta del vecchio regime, tutto ciò di cui fu falsamente accusato Gheddafi, fu fatto in maniera ancor più perfezionata dai cosiddetti ribelli; massacri, bombardamenti indiscriminati di zone residenziali, autobombe, arresti di massa, torture, furto di olio e di risorse nazionali… Nel 2013 due attiviste filo palestinesi britanniche, nel loro viaggio verso Gaza con un convoglio di aiuti, videro in prima persona i frutti marci del capitolo libico della cosiddetta Primavera Araba quando furono rapiti dagli scagnozzi dei signori della guerra libici nella città di Bengasi e stuprate a turno di fronte al loro padre.

I fautori degli interventi umanitari devono tirarsi una pacca sulla schiena in questi giorni; ora che la Libia ha completato il suo look democratico da un paese con il più alto standard di vita in Africa sotto il governo di Gheddafi in una definizione da manuale di uno stato fallito; un deserto senza Dio fatto di fanatismo religioso, salasso interno e il commercio all'ingrosso di ceppi per la decapitazione, infatti, la Libia divenne così "democratica" che ci sono ora due parlamenti e due governi (in guerra fra loro); ognuno col suo esercito di criminali supportato con i soldi di potenze straniere, per non parlare poi della miriade di movimenti secessionisti e milizie che l’illegale colpo di stato contro Gheddafi ha sparso per tutto il Paese, mentre la sanità gratuita, istruzione ed elettricità garantite che i Libici davano per scontati col regime di Gheddafi, sono ora relitti del passato; questa è l’Alba dell’Odissea che fu promessa ai Libici; una versione sterilizzata di quanto già avvenne in IRAQ, senza l’indignazione dell’opinione pubblica, ben ri-confezionato con la scusa di “proteggere” l’opposizione, consegnata via aerea con bombe, appoggiata persino dagli zelanti alleati del Club degli alleati del Golfo, che mossi da nient’altro che piccoli rimorsi personali contro Gheddafi, hanno avuto la possibilità di testare la letalità delle loro armi arrugginite fabbricate in America a fianco della NATO e delle popolazioni di Sirte e Tripoli.

Tutto questo era stato previsto da Gheddafi; l’euforia effimera per le rivoluzioni Egiziane e Tunisine erano troppo potenti o troppo esilaranti per leggerne il vero significato; fu cospirazione o una rivoluzione autentica poi strumentalizzata e deviata? Ora è davvero un problema visto che l’ISIS è divenuto l’eredità di piazza Tahir; “trasformeranno la Libia in un Afghanistan, Somalia, Iraq…le vostre donne non potranno più uscire di casa, trasformeranno la Libia in un emirato islamico e l’America bombarderà il paese con la scusa di combattere il terrorismo”, questo fu detto da Gheddafi il 22 Febbraio 2011, e non ci fu discorso più profetico di questo.

Il prototipo libico della “guerra pulita” americana è stato riproposto in Siria; le squadre della morte di Paul Bremer che sparsero il terrore in Iraq sono tornate con un gemello islamico; barbuti, vestiti di nero, armati di esplosivo dalla testa ai piedi e trasportati dai convogli di camioncini Toyota lungo uno sconfinato, sempre in espansione califfato islamico (che non ha nemmeno sfiorato il regime sionista occupante della Palestina) è sotto loro vigilanza.

Ogni giorno il mondo arabo si sveglia con un video shockante riguardante le atrocità, immerso nelle violente atrocità dei terroristi dell’ISIS e altri numerosi video, sebbene altri crimini altrettanto feroci vengano commessi dagli americani con i loro droni; tutta la regione assiste a decapitazioni e bombardamenti coi missili sparati dai droni. La morte sovrasta ogni cosa ora più che mai. La guerra al terrore tira su la testa ancora una volta per riportare nei ranghi gli stessi terroristi che l’occidente ha addestrato nel nome della democrazia per destabilizzare governi sgraditi; un inesorabile Giornata della Marmotta (festa statunitense che osservando il comportamento di una marmotta, cerca di profetizzare la fine o meno dell’inverno, NdT) che comincia con il “dovere di proteggere” e finisce con la “guerra al terrore”, con migliaia di morti innocenti, imputati ai danni/errori collaterali.

Questo profetizzò Gheddafi, una Libia impantanata in un caos totale, guerra civile e diktat occidentali, un vivaio di jihadisti ed estremisti... troppo brutto per riderci su con una canzonetta hip pop fatta da un israeliano che ne banalizzava il contenuto.

 

Da counterpunch   marzo 2015

Traduzione di Pacifico S. per civg.it