Informazione

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Fascisti anti-siriani in tour dal Kosovo a Miami

1) Hula come Racak. Esecuzioni di bambini, manipolazioni bellicose e libanizzazione (M. Correggia)
2) Terroristi siriani e cubani insieme a scuola di formazione ... a Miami!
2.1: Una primavera araba per Cuba? Cosa si nasconde sotto il tappeto (P. F. Alvarado Godoy)
2.2: L’opposition syrienne prend ses quartiers d’été à Miami (J. G. Allard)
2.3: Document: Cuban-Syrian Joint Declaration of Agreement (by U.S. State Department)
3) La Russie proteste contre l’entrainement de factieux syriens au Kosovo
4) Siria-Kosovo: a scuola di guerriglia (Miren Stillitani)


I governi imperialisti e la "sinistra" occidentale oramai non resistono per più di pochi mesi senza combattere qualche guerra di "civilizzazione" contro il paese "canaglia" di turno... E'  più forte di loro: come i vampiri, si nutrono oramai del sangue dei paesi indipendenti e sovrani, e vivono esclusivamente per ridurli in ammassi di rovine. (IS)


JUGOINFO LINKS:

Siria. I miliziani anti-Assad addestrati in basi nel Kosovo (Sergio Cararo)
Moscow against training Syrian militants in Kosovo
Kosovo : l’opposition syrienne à l’école de l’UÇK ?

Syrian opposition activists ask Kosovo for advice
Syrian opposition studies terror tactics in Kosovo


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Siria, esecuzioni di bambini, manipolazioni bellicose e libanizzazione…

Marinella Correggia
 
Quel che è certo è che da mesi la violenza più atroce e incredibile (settaria?) in Siria ha corso comune. Quel che è certo l’orrore di molti bambini e adulti trucidati, a Hula, in Siria. Un atto diabolico. Dolorosissimi i video (con ambientazioni diversificate) che mostrano quei piccoli corpi. Ma sugli autori del massacro e sulle dinamiche le versioni sono come al solito opposte. Le fonti dell’opposizione li attribuiscono all’esercito. Il regime siriano nega ogni responsabilità, annuncia un’inchiesta di tre giorni e sostiene che l’attacco armato è stato portato invece da “armati antigovernativi”.
Anche il centro di informazioni cattolico della provincia di Homs Vox Clamans dà una versione ben diversa da quella dei media internazionali.
Per quanto non ci siano conferme del coinvolgimento dell’esercito siriano nell’attacco, i media internazionali e i leader si sono precipitati ad accusare il regime e a chiedere un intervento internazionale forte, e così la stessa opposizione siriana, con il cosiddetto Esercito libero che si ritiene ormai libero da ogni vincolo di cessate il fuoco chiesto dal piano Annan). Un’occasione davvero utile, perla Clintoncome per il Qatar. Dunque il chiedersi “cui prodest” non è peregrino.
Le voci vanno sentite tutte, e senza mistificarle. Vediamo cosa dice l’Onu. Qui http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=42094&Cr=Syria&Cr1 non nomina responsabili: “Gli osservatori della missione Onu Unsmis confermano l’uccisione di 90 civili di cui 32 bambini, più molti feriti, nel villaggio di Houla, dopo aver visto i corpi” (ma ovviamente le dichiarazioni dell’Onu vengono manipolate dall’Ansa che titola “L’Onu accusa l’esercito”). Prosegue il sito Onu: “Il generale Robert Mood, capo dell’Unsmis, ha dichiarato che le circostanze di queste tragiche uccisioni non sono tuttora chiare”.
Il sito scrive inoltre che gli osservatori confermano anche, da un’analisi di residuati, che tiri di artiglieria sono stati effettuati contro un quartiere residenziale. Ma non è specificato da chi.
Il governo siriano invece sostiene che l’esercito non ha usato artiglieria o armi pesanti contro i civili e a che a compiere la strage sono stati i “terroristi” che a centinaia hanno attaccato Houla con armi pesanti compresi lanciarazzi anticarro.
Ban Ki-Moon e Kofi Annan hanno emesso un comunicato: “Questo crimine brutale che indica un uso indiscriminato e sproporzionato della forza è una violazione flagrante della legge internazionale e degli impegni da parte del governo rispetto al non uso di armi pesanti nei centri abitati (…) i responsabili dovranno pagare”. Sia Mood che Annan che Ban Ki Moon hanno chiesto al governo siriano di smettere di usare armamenti pesanti nei centri abitati ma hanno anche chiesto a tutte le parti di cessare le violenze in tutte le loro forme.La Reutersriferisce anche di queste parole di Mood: “Chi ha iniziato, chi ha risposto e chi è responsabile dovrà pagare”.
La tivù russa RT scrive (http://www.rt.com/news/fsa-annan-plan-307/): “Inizialmente il massacro è stato riferito da attivisti dell’opposizione fra i quali l’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra secondo i quali la città è stata bombardata dalle forze governative durante manifestazioni antiregime”. I bombardamenti sarebbero continuati da venerdì a mezzogiorno fino all’alba di sabato.
Il punto è che i morti nei video dalle ferite e dallo stato non sembrano essere vittime di bombardamenti sulle case ma di esecuzioni. Lo afferma anche un ex del Pentagono intervistato da Rt. Il collegamento fra azioni dell’esercito e i bambini morti dei video sembra non essere possibile.
Chi ha ucciso? Degli armati sicuramente non riconoscibili (quindi anche eventuali superstiti troveranno difficile dare risposte vere) e sulla base dei loro interessi. Che non sembrano essere quelli della pace ma piuttosto di una tensione sempre maggiore con intervento esterno.  Digitando su youtube “Hula massacre”, appaiono alcuni video, con tanti corpicini stesi sulle coperte, in ambientazioni diverse. I piccoli morti non appaiono vittime di bombardamenti sulle loro case ma piuttosto di esecuzioni mirate, uno a uno (non c’è la polvere e la distruzione che in genere si accompagnano ai tiri e ai bombardamenti che distruggono abitazioni, si pensi a certe foto dalla Libia).  C’è un altro video che mostra bambini morti con le mani legate (una stranezza che pare artificiosa e che richiama un video riferito a Homs in marzo, poi rivelatosi una mistificazione da parte dei rivoltosi).
Un altro video ancora mostra le immagini mostrate anche da Sana e dalla Press tv sulle due famiglie (con nomi) uccise in un villaggio da gruppi armati, ma attribuisce i morti con didascalia in spagnolo a Huila e alle “gang di Assad”.
Non sembrano esserci video di bombardamenti a Hula. Sempre digitando “Hula massacre” c’è un video che mostra uomini per strada (dove?), alcuni con bandiere – non quelle dell’opposizione – e poi si sentono rumori di spari e un fuggi fuggi con qualcuno che rimane per terra.
Secondo il Centro di informazioni Vox Clamans della diocesi di Homs, le cose sono andate molto diversamente da quel che dicono i media e l’opposizione. “Un nostro testimone oculare di Kfar Laha, presso Hula ci ha detto: ‘Bande armate in gran numero hanno attaccato le forze dell’ordine o dell’esercito vicino all’ospedale Al Watani che hanno perso veicoli e un blindato.  Sono seguiti scontri fino a tarda notte e invano i governativi hanno cercato di respingere l’attacco con l’artiglieria e molte perdite. Uccisi o feriti 35 soldati, e nove miliziani. I miliziani sono entrati nell’ospedale massacrando tutti i presenti. Hanno portato via i cadaveri in coperte dell’ospedale e li hanno ammucchiati in un luogo di Hulé che sembra essere una moschea. Poi sono entrati in varie case del quartiere sud uccidendo i civili e ammucchiandoli per mostrarli agli osservatori, prima di bruciare le loro case. In 24 ore cento sunniti sono stati massacrati a Tal Daw (Houlé), alaouiti sono stati massacrati a Shiphonyieh, ismailiti a Salamyeh e cristiani a Qusyar”. La consegna delle bande armate sembra essere incendiare il conflitto religioso.  E la previsione è sinistra : il mosaico siriano si potrebbe rompere in una guerra civile alla libanese.
L’agenzia Sana http://www.sana.sy/eng/337/2012/05/27/421559.htm parla di altre decine di assassinati civili “per mano di al Qaeda”: dà i nomi di diverse famiglie uccise nei villaggi Tal Daw e al-Shumariyeh e mostra diverse foto.

(27 maggio 2012)


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Una primavera araba per Cuba? Cosa si nasconde sotto il tappeto

23 Maggio 2012

di Percy Francisco Alvarado Godoy* | da www.rebelion.org

Rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), il principale raggruppamento antigovernativo in Siria, e membri dell'anticubana Assemblea della Resistenza Cubana (ARC) hanno sottoscritto un “accordo di collaborazione”

Traduzione a cura di Marx21.it

*Percy Francisco Alvarado Godoy è giornalista guatemalteco che risiede a Cuba. Collabora a numerose testate, tra cui “Cubadebate” e “Rebelion”

La notizia non sorprende nessuno. Rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), il principale raggruppamento antigovernativo in Siria, e membri dell'anticubana Assemblea della Resistenza Cubana (ARC) hanno sottoscritto un “accordo di collaborazione”, l'8 maggio, nell'Hotel Biltmore, a Coral Gables, Miami, il cui proposito è “coordinare azioni” per provocare il rovesciamento incostituzionale dei governi siriano e cubano. “Stiamo lottando per lo stesso ideale che non è altro che il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli di Siria e Cuba”, ha sottolineato la provocatrice Sylvia Iriondo, il cui padre è stato un noto agente della CIA e ha partecipato alla sconfitta invasione mercenaria a Playa de Giron.
Questa signora, alla guida del gruppuscolo Madri e donne antirepressione per Cuba (M.A.R. per Cuba), si è distinta per la promozione di attività sovversive dentro l'Isola, finanziando la controrivoluzione interna e inviando emissari per finanziare le sue attività destabilizzanti.

CNS e ARC si sono incontrati per caso? Certo che no. L'accordo è il risultato della creazione di una forza di scopo (Task Force), tra agenzie e governi, a cui partecipano congiuntamente la CIA, il Mossad, l'M16, le sezioni Cuba e Siria del Dipartimento di Stato, l'intelligence militare del Pentagono, gruppi di pressione filo-israeliani e anticubani all'interno del Congresso e vari rappresentanti dell'estrema destra, particolarmente Ileana Ros-Lehtinen. La Task Force è stata formata con il consenso di vari governi, quelli che hanno piena consapevolezza dell'attivazione di questo gruppo e dei suoi piani futuri, tra cui si distinguono Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Regno Unito e altri paesi dell'Unione Europea e delle Lega Araba. E' probabile che anche tre governi latinoamericani siano stati consultati in merito.

Questo gruppo di scopo funziona da pochi mesi e si è posto come obiettivi, i seguenti:

1) Coordinare azioni di appoggio comune sul piano internazionale, sviluppando una guerra mediatica di alta intensità che può contare su vaste risorse messe a sua disposizione. In tal senso, viene contemplato l'impiego delle reti sociali per sommergerle con un attacco continuo di distorsione della realtà interna a Cuba e in Siria, appoggiandosi su gruppi controrivoluzionari interni, di cui è stato definito con chiarezza il ruolo nella vendita di un'immagine distorta delle loro realtà nazionali.

Nel caso di Cuba, la SINA (Ufficio degli interessi degli Stati Uniti a Cuba) ha un ruolo determinante nel coordinamento delle azioni di provocazione e destabilizzanti. Nel caso della Siria, vari centri operativi ubicati a Parigi, Istanbul, Baghdad, Londra, e altre capitali europee e arabe, assolvono a questo compito che si inquadra nella guerra ideologica.

2) Creare un fronte unito e scambiare strategie comuni, che tengano conto dell'esperienza accumulata dai gruppi controrivoluzionari nelle rispettive nazioni. A tale scopo, il gruppo di scopo studia la possibilità, coltivata inutilmente per decenni, di promuovere una frattura tra le FAR (Forze Armate Rivoluzionarie) e il MININT (Ministero dell'Interno) di Cuba rispetto alla direzione del paese, avendo come riferimento l'esperienza maturata in Siria.

Davanti all'impossibilità di promuovere l'inserimento di mercenari stranieri all'interno di Cuba, come è accaduto in Siria, il gruppo di scopo ha ben chiara la creazione di condizioni per riattivare le azioni terroriste sviluppate contro Cuba negli anni passati, studiando i profili della forza controrivoluzionaria interna per individuare chi potrebbe essere potenzialmente impiegato in questo compito. In tal senso, si sta studiando l'invio di alcuni istruttori provenienti dall'Europa e da nazioni latinoamericane per preparare, surrettiziamente, alcuni controrivoluzionari all'utilizzo di esplosivi, delle tecniche di sovversione e di altri metodi di guerra sporca. Il gruppo di scopo ha pensato di incorporare alcuni cittadini latinoamericani, alcuni dei quali hanno servito in Iraq e Afghanistan, per preparare gruppi di infiltrazione allo scopo di realizzare sabotaggi dentro Cuba. Sono stati contattati anche terroristi di origine cubana e gruppi come Alpha 66, Comandos F4, tra gli altri, per reclutare persone da addestrare in campi all'interno degli Stati Uniti o in qualcuno dei paesi latinoamericani contattati.

3) La forza di scopo si è impegnata a utilizzare tutti i canali diplomatici possibili per demonizzare sul piano internazionale i governi di Bashar Al Assad e Raul Castro, in particolare all'interno delle Nazioni Unite, l'OSA, la Lega Araba, e utilizzando una vasta gamma di ONG, allo scopo di deformare deliberatamente la situazione dei diritti umani in queste nazioni.

4) La forza di scopo dispone di fonti di finanziamento attraverso fondi segreti già assicurati dai governi coinvolti, fondamentalmente attraverso conti fantasma della CIA, del Mossad e di altre agenzie, spacciati come contributi a ONG.

Si stanno attuando studi per potere abilitare i canali logistici necessari per far arrivare gli interessati a Cuba e in Siria, tutte le risorse logistiche necessarie per realizzare le loro missioni.

In sintesi, l'accordo firmato dalla parte cubana (Berta Antunez, Orlando Gutiérrez, Silvia Iriondo, Laida Carro, Horacio Garcia, Raul Garcia e Luis Gonzales Infante) e dalla parte siriana (l'Unità per una Siria Libera, la Commissione Generale della Rivoluzione, il Gruppo di Lavoro dell'Emergenza Siriana, l'American Syrian PAC, il Consiglio Siriano-Americano e l'Organizzazione dei Siriani Espatriati, tra cui si trovavano Niman Shukairy e Mohamed Kawam) è solo una copertura per qualcosa di più grande.

Molti potranno anche definire questo lavoro come una speculazione senza fondamento, ma coloro che sanno come funzionano i servizi nemici, sono coscienti che non deriva da un evento pubblico ma da qualcosa che c'è dietro l'infrastruttura segreta per articolarlo, o perlomeno dalla Task Force incaricata dell'esecuzione. In questo, sia la CIA che il Mossad hanno una vasta esperienza. L'importante è mantenersi vigilanti e aver chiaro che il nemico si muove nell'ombra. Occorre farlo, anche se si deve sapere, in anticipo, che una “primavera araba” a Cuba è la semplice masturbazione di un nemico testardo, illuso, ma pericoloso.


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L’opposition syrienne prend ses quartiers d’été à Miami


par Agence Cubaine de NouvellesJean Guy Allard

La CIA met en place un dispostif de sabotage du plan Annan et de toute tentative de paix en Syrie. Renouant avec les méthodes de la Guerre froide durant laquelle elle fabriquaient des groupes subversifs dans le Bloc de l’Est et les intégrait dans des fronts combattants internationaux, la CIA a organisé à Miami un séminaire de formation joint pour les opposants armés cubains et syriens.

RÉSEAU VOLTAIRE | LA HAVANE (CUBA)  | 25 MAI 2012

[FOTO: Séminaire joint des oppositions armées cubaine et syrienne, financées par les Etats-Unis (1er au 8 mai 2012 à l’hôtel Biltmore de Coral Gables, Miami).]

En recourant aux milieux cubano-américains agissant sous leur emprise à Miami, ainsi qu’à des opposants syriens vivant sur leur territoire, les Services de renseignement des États-Unis tentent d’associer Cuba aux troubles qui secouent actuellement la Syrie, comme le suggère une dépêche datée depuis Miami de l’agence espagnole EFE qui « révèle » que « des dissidents syriens et cubains sont en train de créer un front pour combattre Castro et El-Assad ».
« Les oppositions syrienne et cubaine ont constitué aux États-Unis un front uni pour la liberté et la démocratie des deux pays qui avait pour but de combattre les "régime dictatoriaux"  », affirme la correspondance de l’agence madrilène, basée à Miami, ville considérée comme le siège de tous les complots anticubains ourdis aux États-Unis.
Des représentants de « la principale organisation d’opposition en Syrie » et des membres de la dénommée Assemblée de la Résistance cubaine (ARC) de Miami, ont conclu un « accord pour coordonner leurs efforts » et donner de Cuba une image d’instabilité.
« La Syrie est tombée dans une spirale de violence depuis le 15 mars 2011, lorsque des milliers de personnes sont descendues dans les rues », ajoute EFE.
« Ceci offre une possibilité extraordinaire : un front uni pour la liberté et la démocratie au sein duquel les peuples syrien et cubain se sont unis pour lutter », commente l’interlocutrice du correspondant de cette agence à Miami, Silvia Iriondo, la « présidente » de Mères et femmes anti-répression (M.A.R. Por Cuba).
Silvia Iriondo, de son vrai nom Silvia Goudie, est la fille d’un mercenaire de l’invasion manquée de la Baie des cochons. Elle vit de ses mensonges à Miami, de sa « créature » M.A.R. Por Cuba, gracieusement financée par l’USAID. Lors de l’enlèvement de l’enfant cubain Elian Gonzalez, cette dame et les membres de son organisation avaient déclaré qu’ils préféreraient le voir mourir plutôt que de le rendre à sa famille à Cuba.
Le Département d’État et ses « filiales » l’ont invariablement employée dans leur « service extérieur » pour qu’elle participe aux rencontres et aux meetings qu’ils organisent contre Cuba, en Europe et en Amérique latine.
En mars 2004, Robert Ménard, l’ancien secrétaire général de Reporters sans frontières, et Frank « Paquito » Calzon, agent de la CIA et directeur du Center for a Free Cuba (CFC), se sont présentés en public à ses côtés lors d’une réunion avec des députés européens organisée par les copains de l’ancien président du gouvernement espagnol José Maria Aznar à l’Union européenne.
Robert Ménard est devenu célèbre après avoir renfloué ses comptes bancaires « cubains » de Virginie avec l’argent de l’USAID, tandis qu’au CFC, Felipe Sixto, le bras droit de Calzon, a été arrêté et condamné pour avoir détourné un demi million de dollars.
En 2007, ladite Société internationale pour les Droits de l’Homme – une organisation de la CIA ouvertement anticommuniste qui organisait un séminaire sur la « question cubaine » au Centre de communications de la Dresdner Bank, à Frankfort, en Allemagne –, invita et installa Silvia Iriondo à la présidence aux côtés de Calzon, de Pedro V. Roig (le directeur général de Radio et TV Marti qui était alors sous enquête pour fraude), du « commandant traître » Hubert Matos, lié au trafic de drogues, et d’Angel Francisco de Fana Serrano, d’Alpha 66 (arrêté en Californie en 1995 avec en sa possession un arsenal d’armes destinées à perpétrer un attentat terroriste contre Cuba.
En novembre 2009, Silvia Iriondo se joignit au chef d’UnoAmérica, confrérie fasciste de nostalgiques du Plan Condor, ainsi qu’à Alejandro Peña Esclusa – aujourd’hui jugé pour terrorisme à Caracas –, au sein du groupe d’« observateurs » qui ont légitimé les élections générales convoquées sous la dictature de Roberto Micheletti au Honduras.
À cette occasion, elle a une nouvelle fois côtoyé Matos et d’autres « figures » de la mafia anticubaine comme le millionnaire de l’« anticastrisme » Orlando Gutierrez Boronat qui l’accompagne à présent dans le montage du show « Cuba-Syrie ».
Bénéficiaire, à l’instar de Mme Iriondo, des généreuses perfusions de dollars de l’USAID, Gutierrez s’est autoproclamé secrétaire national du Directoire démocratique cubain (DDC), et d’aucuns lui reprochent même de s’offrir des voyages à travers le monde avec les subventions.
Salué par EFE – une agence de presse créée par le grand-père franquiste d’Aznar –, cet « accord » n’est pas la première tentative d’« associer » la Syrie à Cuba, à laquelle participe Mme Iriondo.
Il y a quelques semaines, cette « militante » à la solde du Département d’État a participé à une séance d’information au Congrès organisée par une soi-disant Association d’avocats cubano-américains (CABA), placée sous le thème « Le printemps arabe à Cuba », en présence des législateurs mafieux Mario Diaz-Balart, Ileana Ros-Lehtinen et David Rivera.
Parmi les signataires de l’« accord » dont se félicite EFE figure en outre Horacio Garcia, du Conseil pour la liberté de Cuba (CLC), l’un des anciens directeurs de la Fondation nationale cubano-américaine (FNCA). Rappelons que ce monsieur a été présenté publiquement par le terroriste d’origine cubaine Luis Posada Carriles comme l’un des principaux « financiers » de ses activités criminelles.
Pour la « partie syrienne », EFE mentionne Mohamed Kawam, du dénommé Groupe de travail de l’urgence syrienne, et Niman Shukairy, de l’Unité pour une Syrie libre, respectivement médecin et dentiste, qui semblent préférer l’argent facile à l’exercice de leur profession. Deux militants syriens basés aux États-Unis, dont les positions de droite leur ont permis de s’associer aux mécanismes de propagande et de déstabilisation du Département d’État.

[FOTO: Réception des participants au séminaire cubano-syrien par le gouverneur de Floride, Rick Scott (1er mai 2012).]

[1] The ACR included Movimiento Feminista por los Derechos Civiles Rosa Parks, Coalición de Mujeres Cubano Americanas (Coalition of Cuban American Women), Proyecto Pro Cambio, Jóvenes Cubanos en Acción (Cuban Youth in Action), Presidio Político Histórico "Casa del Preso", Directorio Democrático Cubano (Cuban Democratic Directorate), and MAR por Cuba (Mothers Against Repression).

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Document

Cuban-Syrian Joint Declaration of Agreement

We, Cubans and Syrians, in resistance against the tyrannies which deprive us of our God-given, inalienable rights, proclaim : That human rights and dignity are universal and intrinsic to the human condition, and that all humans are created equal in obeisance to same ; That in defense of these rights, the Cuban Resistance and the Syrian Revolution agree to unify our struggles in order to accelerate the hour of liberation ; Therefore : 
 The Cuban Resistance recognizes the Syrian Revolution as a legitimate expression of the highest aims and ideals of the Syrian people ; 
 The Syrian Revolution recognizes the Agreement for Democracy as a legitimate expression of the highest aims and ideals of the Cuban people ; 
 The Cuban Resistance joins those nations, which have recognized the Syrian Revolution as a legitimate representative of the Syrian people ; 
 The Syrian Revolution adopts the Vilnius Resolution of the Parliamentary Forum of the Community of Democracies in recognizing the Cuban Resistance as a legitimate representative of the Cuban people ;
Therefore, with said moral authority, the Cuban Resistance and Syrian Revolution jointly agree : 
 To coordinate all of our political, diplomatic, logistic and humanitarian efforts in pursuit of the liberation of Cuba and Syria ; 
 hence constituting a United Front for Freedom and Democracy ;
Therefore, the Cuban Resistance and the Syrian Revolution jointly declare : The people want the overthrow of the dictatorial regimes of Assad and Castro.
Signed at the Biltmore Hotel in Coral Gables this 8th day of May, 2012.
For The Assembly of the Cuban Resistance [1] : Bertha Antunez, Laida Carro Raul Garcia, Luis Gonzalez Infante, Orlando Gutierrez Boronat, Sylvia Iriondo 
For the Syrian Revolution : Khaled Saleh (General Commission for the Revolution), Mohamed Kawam (Syrian Emergency Task Force — SETF), Yahia Basha (United for a free Syria — UFS), Bashar Lufti (American Syrian Public Affairs Committee —(AMSPAC), Imad Jandali (Syrian American Council — SAC), Maher Nana (Syrian Expatriates Organization —SSO— and Syrian Support Group — SSG).



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La Russie proteste contre l’entrainement de factieux syriens au Kosovo


RÉSEAU VOLTAIRE  | 25 MAI 2012

Le ministère russe des Affaires étrangères a exhorté les instances internationales opérant au Kosovo à faire en sorte que la région ne devienne pas un terrain d’entraînement pour les rebelles opérant en Syrie.
En effet une délégation de l’opposition syrienne s’est rendue au Kosovo en avril pour procéder officiellement à un accord sur l’échange d’expériences en matière de guérilla anti-gouvernementale.
Selon le ministère russe, les entretiens ont porté non seulement sur les moyens d’organiser la résistance armée contre les autorités, mais aussi sur la formation de militants syriens au Kosovo.
« Il est prévu d’utiliser les zones (au Kosovo) qui ressemblent au terrain en Syrie. La possibilité de mettre en place des camps d’entraînement dans les anciennes bases de l’Armée de libération du Kosovo (l’UCK) est également en cours de discussion ».
« Transformer le Kosovo en un terrain d’entraînement international pour les militants armés peut devenir un facteur de déstabilisation grave qui pourrait se prolonger au-delà des Balkans (...) nous exhortons les organismes internationaux qui opèrent au Kosovo à prendre toutes les mesures nécessaires pour empêcher. ces projets ».
À la fin des années 90, la milice ethnique et confessionnelle albanaise UCK avait mené une guerre séparatiste contre le gouvernement du président Slobodan Milosevic.
Les représailles militaires de l’État yougoslave contre les actions terroristes organisées par l’UCK avait servi de prétexte à la première intervention militaro-humanitaire de l’histoire de l’OTAN.
Après la chute de l’État national, l’UCK avait procédé à une politique de purification ethnique au Kosovo, accompagnée d’une campagne de destruction méthodique d’églises et de monastères chrétiens orthodoxes.
Se présentant comme des musulmans sunnites, les combattants de l’Armée de libération kosovare s’étaient spécialisés dans le proxénétisme pour financer leurs opérations avant de diversifier leurs activités dans le trafic d’héroïne et le commerce d’organes.
Alors que le procureur national italien anti-mafia Alberto Mariati, à confirmé que « l’UCK était liée à la mafia de Naples, la Camorra, ainsi qu’ à celle des Pouilles », Hashim Thaçi, le parrain de la mafia kosovare et le dirigeant de l’aile politique de l’UCK est actuellement premier ministre du Kosovo. [1]
Le succès fulgurant de l’organisation et de ses dirigeants est dû au fait que dès sa création en 1996, l’UCK était piloté par les services secrets allemands et par l’OTAN qul l’avait entrainée dans des camps basés en Turquie et en Albanie [2].
À l’époque, les Occidentaux et l’UCK étaient parvenus à neutraliser politiquement la majorité des musulmans du Kosovo en marginalisant le leader pacifiste kosovar Ibrahim Rugova et en assassinant le modéré Ahmet Krasniqi.
Hier en Afghanistan, en Tchétchénie, en Yougoslavie ou en Libye et aujourd’hui en Syrie, l’Otan s’appuie systématiquement sur de soi-disant islamistes pour instrumentaliser l’islam et protéger ses intérêts.

[1] « Le gouvernement kosovar et le crime organisé », par Jürgen Roth, Réseau Voltaire, 8 avril 2008.

[2] « L’UÇK, une armée kosovare sous encadrement allemand », Réseau Voltaire, 15 avril 1999.



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Siria-Kosovo: a scuola di guerriglia

Miren Stillitani 
22 maggio 2012

E' in pericolo la stabilità dei Balcani e non solo. E' questo l'allarme lanciato da Mosca a seguito della visita in Kosovo di tre esponenti dell'opposizione siriana. Che si sarebbero recati a Pristina per imparare la guerriglia dagli ex Uçk

Lo scorso 15 maggio, durante un dibattito sul Kosovo tenutosi in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l'ambasciatore russo all'Onu Vitaly Churkin ha espresso preoccupazione in merito alla circolazione di notizie di stampa secondo cui il governo del Kosovo avrebbe instaurato contatti con esponenti dell'opposizione siriana ed avrebbe messo a disposizione basi per l'addestramento dei ribelli siriani.
Stando alle parole di Churkin, “trasformare il Kosovo in un centro internazionale di addestramento per insorti potrebbe costituire un serio fattore destabilizzante che andrebbe al di là dei Balcani”. A conclusione del proprio intervento, l'ambasciatore ha esortato le organizzazioni internazionali che operano in Kosovo (Kfor, Nato, Onu) ad intervenire in merito alla questione, adottando “tutte le misure necessarie per prevenire la messa in atto di tali piani”.
In una conferenza stampa tenutasi a seguito del dibattito presso le Nazioni Unite, il ministro degli Esteri del Kosovo Enver Hoxhaj non ha negato l'esistenza di contatti diplomatici fra governo del Kosovo e l'opposizione siriana, affermando che il Kosovo nel 2011 è stato “fra i primi governi in Europa a sostenere l'opposizione in Libia ed in altri Paesi arabi (…) dato il perseguimento di ideali affini”.
Pur avendo confermato di sostenere fermamente la causa dell'opposizione siriana, il ministro ha ad ogni modo respinto le accuse rivolte da Mosca sul coinvolgimento delle autorità kosovare in attività di addestramento dei ribelli siriani


La delegazione siriana in Kosovo


La presa di posizione russa è conseguente di un incontro tenutosi a Pristina lo scorso aprile fra lo stesso Enver Hoxhaj e una delegazione di membri dell’opposizione siriana: il rappresentante del Consiglio Nazionale Siriano e leader del Fratelli Mussulmani di Siria Molham Aldroby, l'Alto responsabile siriano all'interno dell'Assemblea Nazionale del Kurdistan Djengizkhan Hasso e Ammar Abdulhamid, oppositore del regime siriano esule negli Stati Uniti dal 2005.
“Siamo qui per imparare”, ha dichiarato quest'ultimo durante la sua visita in Kosovo a Le Courrier des Balkans “l'esperienza del Kosovo può esserci utile. Ad esempio ci è utile capire come i vari gruppi armati che formavano l'Uçk si sono organizzati tra loro. Questo soggiorno in Kosovo può servirci d'ispirazione per la nostra lotta”.
Nell'intervista Ammar Abdulhamid, pur evocando chiaramente la necessità di “costruire la capacità di combattere il regime siriano”, resta vago su una collaborazione che sia di più che un semplice scambio verbale di esperienze e non conferma né smentisce le voci sui campi d'addestramento dell'Esercito libero della Siria sul territorio kosovaro.


Fonti serbe


In linea con le accuse di Mosca anche le voci che arrivano da Belgrado, secondo le quali dietro a questa visita siriana in Kosovo vi sarebbero i servizi segreti Usa. “Dal momento che gli oppositori siriani non riescono a far crollare il regime, i fautori della rivoluzione sono passati al piano B: l'unificazione della guerriglia, ad immagine e somiglianza dell'Uçk. Sono coloro che avevano addestrato i terroristi albanesi del Kosovo nel 1996-1997 ad aver inviato i militanti siriani (...)” ha dichiarato alla stampa locale il generale Momir Stojanović, ex direttore dell'Agenzia di sicurezza militare serba.
Opinioni simili quelle espresse dall'ex comandante delle forze di sicurezza jugoslave, Ninoslav Krstić: “Queste formazioni militari s'eserciteranno negli ex campi d'addestramento dell'Uçk, vicino alla frontiera con l'Albania. Krstić indica anche come possibili luoghi d'addestramento Kukës e Tropoja nel nord dell'Albania per poi tirare in ballo anche la possibilità di campi d'addestramento in Macedonia.


Non lasciare soli i siriani


Intanto Verton Surroi, tra i più influenti giornalisti ed intellettuali kosovari, che sarebbe l'autore dell'invito dei tre rappresentanti dell'opposizione siriana in Kosovo, in un editoriale pubblicato daGlobal Viewpoint ha denunciato l'incapacità del piano in sei punti di Kofi Annan di porre fine al conflitto in Siria.
“E' chiaro che ha fallito sia nel porre fine alla violenza in Siria che ad assicurare un dialogo politico. Il regime ha compreso che può trascinare i piedi nell'implementazione del piano sino a quando non ci sarà un'alternativa all'orizzonte. Dà per scontato, come fece il Presidente della Serbia Milosević ai tempi della disgregazione jugoslava, che l'Occidente non ha lo stomaco per un intervento armato. E sembra che attualmente il regime siriano abbia ragione".
Surroi, dopo una lunga argomentazione, conclude: "Più volte i mediatori e diplomatici hanno ribadito che spetta ai siriani trovare la loro strada verso il futuro. Suona corretto, e dovrebbe essere così. Ma lasciare i cittadini siriani soli li condannerebbe ad una guerra prolungata e ad un bagno di sangue... La comunità internazionale non può stare a guardare o appoggiarsi su formule come quelle che sono già state sconfitte durante la tragedia nei Balcani".




(english / italiano)


ARBITRI IMPARZIALI? NO, FILO-UCK


Conflitto all'interno della UEFA sulla ipotesi di consentire alla "Nazionale" del "Kosovo" - il protettorato della NATO che più della metà dei paesi ONU non riconoscono come Stato indipendente - di scendere in campo in gare amichevoli internazionali...



Conflict of Platini and Blatter over Kosmet

Wed, 05/23/2012 - 16:04 -- MRS

President of the UEFA Michel Platini has opposed the decision of the Executive Committee of FIFA to allow Kosovo playing friendly international matches. At issue is exclusively a political issue, and that decision is contrary to the statute of the UEFA, said Platini. Namely, the FIFA Executive Committee decided yesterday to allow Kosmet to play friendly matches, although all eight members from the UEFA were against it.



(francais / english)

FYROM 2012

1) Macedonia: Mysterious 'army' threatens 'liberation of Albanian lands' (17/4)
2) La Macédoine et l’OTAN : initiative turque, inquiétudes grecques (20/5)
3) Mass unemployment and poverty fuel ethnic tensions in Macedonia (23/5)


=== 1 ===

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Source of the following text is the Stop NATO e-mail list.
Home page with archives and search engine:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles:
http://rickrozoff.wordpress.com
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http://www.adnkronos.com/IGN/Aki/English/Security/Macedonia-Mysterious-army-threatens-liberation-of-Albanian-lands_313214443368.html

ADN Kronos - April 17, 2012

Macedonia: Mysterious 'army' threatens 'liberation of Albanian lands'


Skopje: Tensions were high in the former Yugoslav Republic of Macedonia on Tuesday, less than a week after the murder of five Macedonians near the capital of Skopje, as a mysterious “army” threatened a “liberation of occupied Albanian lands”

The until recently unknown “The Army for Liberation of Occupied Albanian Lands”, in a statement published by the Macedonian media, gave the government an ultimatum to withdraw in two weeks from what it called “occupied Albanians lands” or face reprisals.

The “army’ said it has decided at a meeting of its “general staff” it would attack “Slavo-Macedonian police and military structures” if they don’t withdraw from the territory inhabited by ethnic Albanians.

Ethnic Albanians, who make about 25 percent of Macedonia’s two million population, are concentrated mostly in the west of the country bordering Albania, but there are numerous cities, like Skopje, with a mixed population.

Five Macedonian youths and a middle aged man were killed last week near a lake north of Skopje while fishing and local media speculated the murders were ethnically motivated.

The police still haven’t discovered the perpetrators and about one thousand Macedonians protested in Skopje Monday evening, smashing windows at a government building and clashing with police.

Six people, including three policemen, were injured in the clashes and fourteen protesters were arrested as police blocked demonstrators from marching onto Albanian section of the city.

Ethnic Albanians rebelled in 2001...gaining concessions from the government under international [NATO, U.S., EU] mediation. But tensions have been running high ever since.

Macedonians are Slavs and the mysterious army has accused prime minister Nikola Gruevski of “daily violations of the rights of Albanians”, of “spreading anti-Albanian ideology, staging attacks on innocent Albanians and of blocking Albanian villages”.

“We have been silent long enough, the silence is now over,” the statement said. It vowed to “revenge brothers” and to “respond on fire with fire, an eye for an eye and an arm for an arm”.


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Le Courrier de la Macédoine

La Macédoine et l’OTAN : initiative turque, inquiétudes grecques


Traduit par Slavica Rizovska
Glasnikot - Mise en ligne : dimanche 20 mai 2012

Un seul point fait consensus dans la classe politique grec : si jamais la question de l’adhésion de la Macédoine devait être posée lors du Sommet de Chicago, Athènes devrait immédiatement opposer son veto. La Turquie semble pourtant décidée à demander l’inscription de la question à l’ordre du jour.

(Avec Dnevnik, Utrinski Vesnik) - La Turquie serait décidée à demander l’inscription d’une éventuelle adhésion de la Macédoine à l’ordre du jour du Sommet de l’OTAN. L’initiative turque pourrait être soutenue par la Slovénie, la Croatie, la Norvège et la Grande-Bretagne.

Cette initiative provoque l’inquiétude à Athènes. Un compte-rendu des discussions entre les partis politiques sur la formation d’un nouveau gouvernement a été rendu public par le cabinet du président Papoulias. Ce compte-rendu précise que l’adhésion de la Macédoine n’est pas à l’ordre du jour du sommet de l’OTAN mais que, si cette question devait être débattue, les représentants de la Grèce devraient opposer leur veto.

La question de la Macédoine a été évoquée par le chef du Parti des grecs indépendants Panayotis Kammenos, inquiet que la Grèce soit représentée par un gouvernement à l’autorité limitée lors du Sommet de Chicago. « Si la question de la Macédoine se pose, elle doit être résolue dans le cadre de notre stratégie nationale et conformément à l’argumentation que la Grèce a préparé en réponse au verdict de la Cour internationale de Justice de La Haye. Nos arguments doivent être plus subtils que ceux soumis en 2008. Nous devons les renforcer de manière plus ingénieuse, plus intelligente », a répondu le chef du PaSoK, Evangelos Venizelos.

Alexis Tsipras, le dirigeant de la coalition de gauche SYRIZA, la secrétaire générale du Parti communiste (KKE), Alexandra Papariga, et le dirigeant de la Gauche démocratique Fotis Kuvelis estiment également que la Grèce devrait opposer son veto si jamais la question de l’adhésion de la Macédoine à l’OTAN était posée. Pour Alexis Tsipras, la condition sine qua non pour résoudre le différend est un nom à déterminant géographique acceptable pour les deux parties.


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Mass unemployment and poverty fuel ethnic tensions in Macedonia


By Paul Mitchell 
23 May 2012


Macedonia has recently witnessed a resurgence of ethnic tensions. The ability of nationalist politicians to mobilise large numbers of demonstrators is fuelled by the terrible social conditions in the country.

In March, violence erupted in the capital, Skopje, after two ethnic Albanians were killed in the western town of Gostivar by an off-duty police officer. Two weeks of rioting followed, leading to dozens of injuries. On April 16, large crowds demonstrated in Skopje blaming ethnic Albanians for the killing of five Macedonian Slav fishermen near Smiljkovci.

On May 11, thousands of ethnic Albanians rallied in several Macedonian towns protesting against the arrest and detention of a number of Muslim suspects accused of the Smiljkovci murders. Demonstrators shouted “Kosovo Liberation Army”, “See you in the mountains” and “Greater Albania”. The offices of the Albanian party Democratic Union for Integration (DUI) were attacked. The DUI was formed out of the remnants of the KLA offshoot, the National Liberation Army (NLA), after the Ohrid Agreement in 2001 ended months of fighting with Macedonian police and army forces. It has several ministers in the coalition government with the right-wing Macedonian nationalist VMRO-DPMNE (Internal Macedonian Revolutionary Organisation-Democratic Party for Macedonian National Unity).

Macedonia’s 2 million-strong population includes 64 percent Slav Macedonians, 25 percent ethnic Albanians and some ethnic Turks, Roma and Serbs.

Some commentators in the region now worry at renewed attempts to carve out an ethnic Albanian state in western Macedonia.

“Clearly they do not want coexistence—their slogans betray the goal to misuse Islam to create an ethnically pure state, which means conflict in the region. Slogans in support of the Democratic Party of Albanians (DPA) also betray the involvement of some political parties to benefit from such an abuse of religion,” declared former security studies professor Ivan Babanovski. Another Macedonian analyst told Radio Free Europe that the renewed tensions meant the country was “approaching an abyss.”

This situation and the ability of nationalist politicians to mobilise large numbers of demonstrators are fuelled by the country’s economic and social crisis. Promises from local politicians and the “international community” that liberalisation of the economy and wholesale privatisation of state assets after independence in 1991 from Yugoslavia would lead to a golden future have not materialised.

Macedonia now has Europe’s largest gap between rich and poor. The richest 20 percent of the population receive 42 percent of the total disposable income, while the poorest 20 percent receive just 5 percent. Criminal activity, such as smuggling through Greece and Bulgaria, has played a major part in the amassing of large personal fortunes.

Meanwhile, for two decades, workers have experienced continuous mass unemployment and poverty. Things have got worse since the global financial crisis broke out in 2008. The average monthly income in Macedonia is roughly 20,500 denars (€350, $440) a month. The minimum wage is a paltry €130 per month.

For years, the official unemployment rate has hovered between 30 and 35 percent. Among young people it is 50 percent, and nearly 80 percent for the Roma minority. The black market accounts for nearly 30 percent of total employment.

According to the State Statistical Office, relative poverty has increased from 19 percent in 1997 to around 31 percent in 2011. An estimated 21 percent of the population live below the absolute poverty line (less than €245 per month), and 7 percent are so poor that they cannot get a minimum level of caloric intake. Large differences exist between Skopje and the regions, particularly the northeast, where more than three fifths of children are at risk of poverty.

These are the results of programmes dictated by the International Monetary Fund and World Bank. According to the Economic Freedoms Index, compiled by the Heritage Foundation and the Wall Street Journal, successive government policies have made Macedonia “a regional leader in business friendly policies.” Last year’s World Bank Doing Business report ranked Macedonia the third top “economic reformer in the world”. The country has the lowest tax rates in Europe.

However, since the start of the “transition to a market economy” after independence, Macedonia has experienced low rates of economic growth compared to almost all of its neighbours. Following a severe recession in the early 1990s, growth was irregular, peaking at over 5 percent in 2008. It slowed down sharply in early 2009, with export revenues falling by 43 percent.

The government has lowered its forecast of economic growth for 2012 from 4.5 percent to 2.5 percent and cut €120 million from the €2.7 billion budget. In early April, it accepted a five-year loan of €250 million from Deutsche Bank at an interest rate of 6.83 percent.

Macedonia’s Slavic and ethnic Albanian communities exist separately. There are only a handful of intermarriages a year. The ethnic Albanians tend to live in enclaves in the main cities or in western Macedonia, across the border from Kosovo. Last October, a national census was abandoned after disagreements flared over data collection rules. Ethnic Albanian members of the census commission claimed the Macedonian majority had devised criteria that lowered the real number of Albanians in the country. Ethnic Macedonians claimed that Albanians wanted to inflate their numbers by including people who had emigrated years ago.

This endemic ethnic separation was enshrined in the Ohrid Agreement, the 2001 peace agreement signed between the country’s government and Albanian representatives. The NLA was disbanded and its leaders brought into mainstream politics, sidelining more-established DPA leaders, as the US had done with the Rambouillet accords in Kosovo. NLA leader Ali Ahmeti, a founder member of the KLA, became leader of the DUI party.

Sponsoring the KLA and NLA provided the US with a means of continuing to pressure the new regime in Serbia, following the ousting of President Slobodan Milosevic. Time magazine warned, “By essentially elevating the status of the NLA to that of a legitimate protagonist in Macedonia’s future, NATO and the European Union may have already effectively conceded the carving up of Macedonia on ethnic lines.”

Macedonia continues to be closely affected by events in Kosovo, which declared independence in 2008 supported by the US. More than half of the world’s countries still refuse to recognise it, including China and Russia, and tensions remain in Serb-dominated northern Kosovo, which operates as a de facto separate state. Earlier this year saw nearly 100 percent of voters in an advisory referendum reject control by the Republic of Kosovo. Widespread recognition of Kosovan independence and partition in northern Kosovo could lead to a break-up of Macedonia.

Implicit in the Ohrid agreement was the carrot of NATO and EU membership. But the process of EU accession has been vetoed by Greece, which objects to use of the name Macedonia. Skopje’s international airport is named after Alexander the Great and VMRO-DPMNE prime minister Nikola Gruevski has commissioned a new nationalist project, at the centre of which is a huge statue of the warrior in Skopje’s central square.

The EU, acknowledging Greek concerns, continues to refer to Macedonia as the “former Yugoslav Republic of Macedonia”, a name agreed as a “provisional reference” by the United Nations in 1993. Resolution of the naming conflict is a major precondition raised by the EU for membership of the bloc.

Greece has also vetoed Macedonia’s entry into NATO, although the US recognised the name “Republic of Macedonia” several years ago and has said that Macedonia “has fulfilled key criteria required of NATO members and has contributed to regional and global security.”






Segnaliamo il nuovo volume appena uscito per le edizioni Zambon:
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A. DORIN / Z. JOVANOVIC

SREBRENICA
Come sono andate veramente le cose

Prefazione italiana del Prof. Aldo Bernardini, ordinario di diritto internazionale presso l’università di Teramo

Formato 184x268 rilegato, pagg. 200 prezzo € 19,80 
Zambon editore - ISBN 978 88 87826 75 3

Le strazianti immagini che testimoniano il massacro di 4000 serbi. Le testimonianze dei sopravvissuti. La polemica sul numero dei miliziani musulmani uccisi. Le menzogne del Tribunale Speciale dell’Aia. Il ruolo degli USA, padrini e finanziatori di detto Tribunale.

Con oltre 200 foto e documenti.


Dalla quarta di copertina:

Srebrenica è una piccola città situata nella ex Repubblica jugoslava e dello Stato attuale Bosnia-Erzegovina artificialmente creato dalla NATO. Era un’enclave in territorio serbo, abitata fino a metà degli anni ’90 in maggioranza da musulmani.
Srebrenica era una “zona protetta”, (apparentemente) demilitarizzata, e occupata militarmente dalla NATO.
Ma Srebrenica è anche una orribile metafora sanguinaria e truculenta, in cui non solo echeggiano razzismo, fascismo, genocidio, sciovinismo, pannazionalismo, pulizia etnica e stupro di massa – in breve: tutte le etichette mendaci che negli due decenni si sono rivelate di provata efficacia per ingannare l’opinione pubblica.
La versione ufficiale di “Srebrenica” è una menzogna propagandistica che non diventa più vera se la si ripete una infinità di volte senza poterla provare. In questo libro si dimostra, con un’abbondante documentazione iconografica, che il massacro c’è veramente stato, ma fu un massacro a danno dei serbi.

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Introduzione


1. Srebrenica, la Auschwitz degli anni ’90. L’Aja, la Norimberga attuale. Equiparazioni oggi correnti, sono fra i mantra dell’ideologia imperiale, i derivati del mostruoso sistema di “giustizia penale internazionale” che alquanto spensieratamente si pretende discenda dal Tribunale di Norimberga, al quale fu assegnato di giudicare i criminali del nazifascismo tedesco. Sulla base dell’accordo internazionale di Londra dell’8 agosto 1945 fra le quattro grandi Potenze (Unione Sovietica, USA, Gran Bretagna, Francia) che occuparono la Germania debellata nel secondo conflitto mondiale.

Srebrenica. Quale Srebrenica? La conclamata strage di (si dichiara) 8000 musulmani ad opera dei Serbi di Bosnia nel 1995 – la strage detta ma che secondo molti forse non ci fu, almeno nei termini della presentazione usuale -, o quella non detta, ma che ci fu, dei serbi perseguitati, trucidati, espulsi, soprattutto ma non solo nel 1995 intorno a Srebrenica e altrove, inclusa la Kraijna di Croazia? Su tutto ciò, Autori varii Il dossier nascosto del “genocidio” di Srebrenica, La Città del sole, Napoli 2007.

È davvero esistito il massacro (quello “ufficiale”) di Srebrenica?

Oramai bisogna dubitare di tutto. Tante volte siamo stati ingannati:

Vi ricordate il famoso massacro di Timisoara attribuito a Ceaucescu ed alla sua crudele “Securitate”? Quanti di noi sanno oggi che i cadaveri fotografati erano quelli di persone decedute per cause naturali e “straziati” non dalle torture, ma dall’obduzione condotta dal personale medico dell’ospedale municipale?

Vi ricordate il “massacro di civili albanesi” consumato dall’esercito jugoslavo (serbo-montenegrino) in Kosovo? Quanti fra noi hanno saputo –a distanza di tempo- che i civili non erano tali, ma combattenti dell’UÇK caduti nel corso di uno scontro armato, e che il capo degli osservatori internazionali, cioè l’agente della CIA William Walker, ha ordinato di spogliarli delle divise e di rivestirli in abiti civili creando così l’occasione lungamente attesa per dichiarare guerra alla Jugoslavia? La verità è nota a chi si è dato la pena di leggere il rapporto della dottoressa finlandese che affermava aver trovato sulle dita di tutti i cadaveri (tranne in uno) tracce di polvere da sparo. Inutile dire che la “grande stampa indipendente” non ha ritenuto opportuno darne notizia.

E i campi di concentramento dei musulmani rinchiusi dai serbi dietro al filo spinato? La foto di un giovane denutrito e con le costole sporgenti guardava, da dietro al filo spinato, decine di milioni di lettori indignati di quanto stava apparentemente succedendo. In realtà il giovane non era “detenuto” ma era stato semplicemente ricoverato, assieme a decine di altri profughi di diverse etnie, in un campo di accoglienza organizzato dai Serbi. E il filo spinato? Molto semplice: il fotografo mercenario aveva attirato alcuni profughi del campo di raccolta all’interno del confine di una proprietà privata e li aveva poi fotografati posizionando l’obbiettivo al di là del recinto che delimitava la proprietà privata.

E l’11 settembre? Quale babbeo crede ancora in buona fede che sia stata Al Qaeda, almeno da sola, ad abbattere le torri a mezzo di due improbabili aerei? Sono ormai centinaia le domande senza risposta e decine le tracce che ad abbattere i grattacieli siano state delle cariche di esplosivo plastico piazzate scientemente nelle settimane precedenti in modo da provocare il crollo dei medesimi grattacieli. Sono a disposizione oramai numerosissimi libri che demoliscono la tesi ufficiale. Avete ancora dei dubbi? Ed allora cercate di spiegare come 2 aerei possano aver abbattuto 3 grattacieli!

Tralascio di parlare dell’Iraq e delle motivazioni che sono state date da Bush per la guerra di aggressione che ha portato la cifra delle vittime irachene a sfiorare il milione di unità, perché ormai anche il più sprovveduto fra noi ha capito di essere stato brutalmente ingannato. E da ultimo le fosse comuni di Tripoli e tutto il resto dell’infame aggressione alla Libia di Gheddafi?

Che pensare allora del massacro di Srebrenica?

Questo libro ci dimostra che un massacro c’è veramente stato, con una piccola differenza però rispetto alla tesi ufficiale: VITTIME DEL MASSACRO SONO STATI I SERBI. L’altro massacro, quello dei musulmani, presenta lati oscuri nonché l’indubbia utilità del tentativo di incastrare la componente serba e, attraverso una ricercata ricostruzione della catena di comando, ha avuto di mira il presidente jugoslavo Milosevic. Certo, anche questo va indagato. Ma la “giustizia penale internazionale” viene messa a nudo: l’altra Srebrenica, quella delle vittime serbe, risulta completamente ignorata.


2. Il sistema di “giustizia penale internazionale” con le attuali istanze giudiziarie, che si va costruendo per arbitraria volontà dei “forti” e colpevole acquiescenza ad ampio raggio sul piano mondiale, può solo nell’apparenza vantare la “nobile” (tale almeno nella grande sostanza) ascendenza di Norimberga. Ne è in realtà il totale rovesciamento, pur atteggiandosi a prosecuzione o reviviscenza: si tratta di “similNorimberga”.

Il Tribunale di Norimberga venne stabilito con l’accordo di Londra dell’ 8 agosto 1945 fra le quattro grandi potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale (URSS, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) per giudicare i crimini degli esponenti nazisti dopo la totale sconfitta della Germania. Dunque giustizia dei “vincitori”, e tale scopertamente: qui potrebbe ravvisarsi un primo tratto di aggancio con le attuali situazioni. Infatti, al di là di episodi tutto sommato marginali, le attuali istanze operano di fatto, e lo vedremo meglio, come espressioni di “giustizia”, se non dei “vincitori”, dei “forti” sul piano mondiale: ovviamente, in modo sotterraneo, implicito e certo non dichiarato, ma ben reale. D’altra parte pure, in ciò e se si va al fondo delle cose, con una fondamentale distorsione rispetto a Norimberga, il cui significato andrà chiarito.

Ci si riferisce, tralasciati il Tribunale per il Ruanda ed altre situazioni minori, al Tribunale ad hoc per la Jugoslavia, che è qui di primario interesse, e alla Corte penale internazionale, ambedue con sede all’Aja (e da distinguersi da altra istanza, che per i problemi qui trattati non ci riguarda, la Corte di giustizia internazionale, pure all’Aja, che giudica sui rapporti fra Stati in base ad accettazione della sua giurisdizione): istituiti, rispettivamente, con la ris. 827 del Consiglio di Sicurezza in data 25 maggio 1993 (per il Tribunale ad hoc)  e con la Convenzione di Roma del 17 luglio 1998 (per la Corte penale internazionale). Quale l’aggancio con il passato?

Campo di azione per Norimberga: le categorie di crimini catalogate, nell’accordo istitutivo, come crimini contro la pace (non solo l’aggressione, ma tutte le macchinazioni poste in essere con l’esito della guerra), crimini contro l’umanità (fattispecie delittuose di oggettiva gravità e con dimensioni di massa, a partire dal genocidio), crimini di guerra (quelli tradizionali previsti dal diritto bellico). Di qui un’evoluzione che portò all’ampliamento della tradizionale categoria dei “crimini individuali di diritto internazionale”: esempio classico, fin dal passato, la pirateria. Legittimato da un’antica norma internazionale, qualunque Stato può esercitare la propria giurisdizione penale sul pirata anche fuori dagli usuali criteri legati alla sua sovranità (cittadinanza dell’autore o della vittima del crimine; commissione del crimine sul proprio territorio) e pertanto in base a un criterio di universalità di giurisdizione penale. Ebbene, per i crimini delle categorie di Norimberga si è tentato da taluni Stati occidentali di applicare in proprio tale criterio, con in più un elemento assai pesante, in superficiale apparenza desunto da Norimberga: nel caso di fatti compiuti in veste ufficiale da individui-organi di uno Stato, sui quali l’unica giurisdizione penale è stata tradizionalmente solo quella del proprio Stato, quei fatti, in forza di asserite nuove norme internazionali, si è cominciato a considerarli come non attribuibili solo allo Stato dell’individuo-organo, ma anche direttamente a questo individuo (rispetto a ciò erano esistite in precedenza solo marginali eccezioni nel diritto bellico). Quindi qualunque Stato, che avesse adottato per quei crimini il criterio di universalità, avrebbe potuto e potrebbe legittimamente, secondo tale ben dubbia concezione, giudicare un individuo-organo di un altro Stato, deprivato dell’immunità prima risultante, per diritto internazionale, dall’esclusiva attribuzione del fatto criminoso al proprio Stato (unico titolare questo, com’è ovvio, di giurisdizione penale sull’individuo-organo proprio). Si ricordi il caso Pinochet. Ma abbiamo assistito a un fenomeno apparentemente sorprendente: quando è sorto il pericolo di colpire, invece che esponenti considerati ostili del c.d. Terzo Mondo, determinati personaggi “amici” o comunque appartenenti al campo dei “forti”, ad esempio l’israeliano Sharon da parte del Belgio, gli Stati, così “generosi” nell’adottare il criterio dell’universalità ai fini, come veniva strombettato, di una giustizia... universale, hanno, con rapida “opportunità”, fatto marcia indietro e dunque modificato la pertinente normativa per tenere in salvo siffatti personaggi.

Dopo questa zoppicante “evoluzione”, il passaggio all’attuale “giustizia penale internazionale” con le istanze giudiziarie non statali come quelle sopra nominate.

Lasciamo per ora il profilo sostanziale della giustizia dei “vincitori” o dei “forti”. Gli elementi in senso più specificamente giuridico che paiono far affondare in Norimberga le radici dell’attuale “giustizia penale internazionale” li possiamo così sintetizzare. Si tratta di giustizia penale, quindi su individui (come ogni giustizia penale) ma stabilita da norme internazionali, sottratta o sottraibile ai sistemi giudiziari degli Stati, e quindi alla sovranità statale, con la quale la giustizia penale sarebbe di per sé connaturata, per venire affidata a “organi”giudicanti non statali. Naturalmente, per categorie di fatti criminosi definite da norme internazionali: oggi, a partire da quelle, poco fa ricordate, di Norimberga, ma con una sottrazione di peso, che offrirà spazio a considerazioni di forte rilievo. Risalirebbe ancora a Norimberga, ma in quanto sancita espressamente dalle pertinenti norme internazionali istitutive, l’esclusione, davanti alle attuali istanze, dell’immunità degli individui-organi con l’accollo ad essi di responsabilità individuale anche per fatti compiuti in veste ufficiale.

Nonostante l’adozione di siffatti caratteri, l’attuale “giustizia penale internazionale” è però una contraffazione di Norimberga. Come detto, vi è un elemento di particolare visibilità che porterebbe ad accomunare: giustizia dei vincitori contro i vinti. Ma, a ben vedere, si deve oggi prendere atto della vistosa distorsione già evocata: dovrebbe parlarsi, a differenza di Norimberga, e lo si è anticipato, dei “forti”, solo potenziali o indiretti vincitori, ai danni di nemici prematuramente segnati come vinti, pur scattando l’operazione penale internazionale (anzitutto, l’incriminazione) a conflitto tuttora in corso. Ciò che, anzitutto, conferisce alle attuali operazioni di “giustizia penale internazionale” il marchio della strumentalità: al di là di una apparente formale equiparazione dei confliggenti, in realtà a sostanziale vantaggio di una parte del conflitto in atto, come copertura dell’attività di tale parte, e dei suoi sostenitori e mandanti sul piano mondiale, e strumento di (ricercata) delegittimazione e disgregazione della dirigenza dell’altra parte, quindi della stessa relativa compagine statale. È quanto meglio mostreremo più avanti.

Certamente il Tribunale di Norimberga e le sue decisioni posero problemi giuridici estremamente delicati (appunto, l’unilateralità, in quanto organo operante solo nei riguardi dei vinti; problematico rapporto con i principii generali di civiltà giuridica in campo penale, quale nullum crimen e nulla poena sine lege, e dunque retroattività dei criteri assunti come base delle condanne...). Ma la portata immane e catastrofica, di carattere per così dire sistemico sul piano mondiale, dell’azione complessiva della coalizione dell’Asse nazifascista (a fronte, è pur vero, di numerose azioni della coalizione contrapposta, o meglio di una parte di essa, di estrema gravità sul piano dello ius in bello, ma tutto sommato in quanto episodi non connessi in un disegno criminale totale: Dresda, Hiroshima e Nagasaki...), può illuminare sulle ragioni storiche profonde a sostanziale spiegazione della base giuridica di Norimberga: rispetto, per contrapposto, alle attuali esibizioni della “giustizia penale internazionale”, sinora sempre connotate da assoluta trascuranza, predisposta sul piano normativo, dei reali contesti e quindi della reale consistenza delle attività criminose, vere o asserite, prese in esame e delle connesse responsabilità globali.

Non vi è dubbio che la previsione, per Norimberga, dei crimini contro la pace ha costituito il “cappello” idoneo a circoscrivere la sfera d’azione del Tribunale: si tratta dei comportamenti che, nel contesto storico reale, non sarebbe stato possibile ascrivere altro che alle potenze dell’Asse, quindi per Norimberga alla Germania nazista: e ciò avrebbe avuto necessariamente riflesso sulle altre due categorie di crimini sotto il profilo soggettivo della sfera degli incriminabili. Il tutto però fondato su un dato inequivocabile: punto di partenza, i comportamenti e le attività aggressive, indubbiamente senza pari, dell’Asse. Il “taglio” della categoria per le odierne istanze dell’Aja porta invece per quanto in modo subdolo, si è accennato e vi torneremo, a gravi conseguenze specifiche.

Il processo di Norimberga può sembrare aver costituito elemento di rottura dello schema tradizionale del sistema internazionale nel settore in esame e di propulsione per gli sviluppi successivi. Sì e no, per verità. Un organo giudiziario stabilito sulla base di un accordo internazionale, senza la partecipazione dello Stato, i cui individui-organi vengono sottoposti al potere di quel Tribunale, appare prima facie, secondo il discorso delineato, scardinare la struttura basilare del sistema giuridico internazionale: con radicale obliterazione della sovranità statale, eliminazione delle immunità internazionali degli individui-organi, sovraimposizione di un apparato giurisdizionale di immediata origine internazionale. È in prima linea su questa rappresentazione, lo si è ribadito, che viene giocata una pretesa ascendenza di Norimberga rispetto all’attuale “giustizia penale internazionale”.

La profonda realtà giuridica, e non solo giuridica, della situazione delineata rivela tutt’altra configurazione. Pur previsto da un accordo internazionale, necessario come disciplina dei rapporti fra le quattro grandi potenze occupanti, il Tribunale di Norimberga ha operato in realtà come organo interno del sistema giuridico della Germania occupata, nella quale l’apparato statale era crollato e il potere sovrano era congiuntamente esercitato dalle quattro potenze. Quindi, nessuna sostituzione di organi statali tedeschi o sovraimposizione ad essi, ormai inesistenti, e pieno potere, invece, di quell’organo giudiziario in realtà interno di esercitare giurisdizione penale anche sugli individui-organi dell’estinto Reich nelle attività compiute pure in veste ufficiale. Si trattò infatti, in quella fase storica, di null’altro che della giurisdizione interna propria su quegli individui. Una situazione analoga, come giudice interno, fu quella del Tribunale militare di Tokio per il Giappone occupato nel 1945, per il quale non fu necessario neppure un accordo internazionale, l’occupazione essendo solo quella degli Stati Uniti.

Senza dubbio restano riscontrabili alcune anomalie sostanziali. Furono introdotte figure criminose prima inesistenti, come i crimini contro la pace o anche quelli contro l’umanità; lo stigma di “giustizia dei vincitori” resta visibile, in quanto analoga “giustizia” non venne esercitata, negli ordinamenti degli Stati vincitori, verso i loro cittadini autori di crimini eventualmente rientranti nelle categorie di Norimberga. Qui fu decisiva la previsione della categoria dei crimini contro la pace. Una previsione che senza dubbio dette un fondamento anche politico-morale alla scelta di perseguire gli esponenti dell’Asse (e solo essi). Si perseguirono innanzi tutto le politiche, macchinazioni, operazioni che sfociarono nelle aggressioni scatenate dal Terzo Reich. Lo si è rilevato: ma le istanze attuali ignorano le aggressioni e le politiche belliciste e gli attori di esse.


3. Il problema se fosse possibile istituire un tribunale del tipo di quello di Norimberga nel quadro del sistema delle Nazioni Unite se lo pose uno dei massimi giuristi del ‘900, Hans Kelsen, e la risposta fu negativa. Kelsen, in forza della concezione generale da lui seguita, non si interrogò sulla natura internazionale o meno dell’organo giurisdizionale penale istituito in Germania nel 1945. Si chiese soltanto se un simile organo potesse venir stabilito in forza di una decisione in sede Nazioni Unite (il pensiero va all’istituzione del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia). E lo negò. Così argomentando: la Carta NU non contempla responsabilità (internazionale) di individui, in specie individui-organi, per violazioni di norme e principii internazionali (come il divieto di uso della forza), ma solo degli Stati. Situazione superabile solo, secondo Kelsen, con una modifica della Carta a termini statutari (aggiungo: con probabili problemi costituzionali per gli Stati membri).

Nel 1993, nel corso dei conflitti intrajugoslavi innescati anche per (senz’altro decisiva) responsabilità dei paesi occidentali, venne istituito - lo si è anticipato - un Tribunale penale internazionale ad hoc, quello denominato per la ex-Jugoslavia (già allora detta ex, pur se prematuramente): con decisione del C.d.s. delle NU (la ris. 827 del 25 maggio 1993, preceduta da una preparatoria ris. 808 del 22 febbraio 1993). Un organo giudiziario destinato ad esercitare giurisdizione penale su individui, in specie individui-organi,essenzialmente di uno Stato e comunque di entità di tipo statale (la Jugoslavia socialista federale, poi quella residua, e le Repubbliche secessioniste), dotati di propri poteri sovrani o assimilabili, ma senza loro partecipazione, per imposizione esterna da parte di un “organo internazionale” come il C.d.s.: da ritenersi fondamentalmente e insanabilmente incompetente all’uopo.

Siamo in presenza di una giurisdizione penale sganciata da una situazione di sovranità: le NU, di cui il C.d.s. e il Tribunale per la ex-Jugoslavia sono organi, non sono ente sovrano (non sono una federazione). E non hanno potere su individui, i destinatari o soggetti passivi della giurisdizione penale. Anche se negli ultimi tempi il C.d.s. si va prodigando in misure e sanzioni relative ad individui. Sia chiaro: non può legittimamente farlo neanche imponendo agli Stati i relativi obblighi (che è poi l’unica pratica possibilità, le NU non essendo dotate di strumenti di esecuzione loro propri). Vi è comunque la sovraimposizione dell’organo (Tribunale ad hoc) sulla sovranità di uno Stato e/o di entità di tipo statale in essere nello spazio della (ex) Jugoslavia socialista: con la sottrazione di “incriminati” alla giurisdizione penale di queste e con la sottoposizione di loro individui-organi a quel Tribunale. Dunque, anche con la cancellazione dell’eventuale immunità internazionale. Perché quel Tribunale non si innesta, e non lo ha potuto, come invece era accaduto con il Tribunale di Norimberga per la Germania, in un sistema giuridico interno, e cioè quello o quelli delle entità ex-jugoslave (senz’altro di quella, la principale, che non aveva accettato in alcun modo il Tribunale ad hoc: la Jugoslavia federale residua –Serbia e Montenegro). L’abnormità sta dunque nel fatto che si è operato simulando, per così dire, una situazione di occupazione territoriale, che invece non vi è stata. Il Tribunale ad hoc ha quindi agito, ed agisce, non solo come copertura politica e di immagine delle operazioni politiche e militari che hanno portato alla distruzione della Jugoslavia socialista, ma addirittura ha collaborato a tale distruzione con la mirata disintegrazione di compagini statali attraverso le incriminazioni individuali anzitutto dei vertici.

La risoluzione istitutiva è illegittima perché stabilisce un organo giudiziario (su individui, per di più), quando il C.d.s. non è dotato di un tale potere giudiziario. Se in quest’ottica si ponesse l’accento sul carattere di organo sussidiario da ascriversi al Tribunale ad hoc, secondo l’art. 29 della Carta, un siffatto potere giudiziario dovrebbe rinvenirsi nel C.d.s. istitutore, e appunto tale potere su individui nel C.d.s. non esiste. Sotto altro punto di vista, istituire un organo giurisdizionale presuppone un potere normativo generale, diciamo di tipo legislativo, che il C.d.s. non possiede, essendo esso fornito solo, per così dire, di un potere di ordinanza rispetto a situazioni di emergenza nei rapporti internazionali fra Stati. Quel potere generale non rientra certo nell’ambito del potere di adottare misure senza uso della forza per situazioni concrete, espresso dall’art. 41 Carta (nel quale, precisiamo per chiarire, viene per lo più ricercata la base giuridica dell’operazione compiuta dal C.d.s. con l’istituzione del Tribunale ad hoc). Oltretutto, questa norma indica, certo in modo non tassativo ma senz’altro significativo, tipi di misure senza uso della forza: si tratta di misure consistenti in rotture o interruzioni di rapporti fra Stati, e comunque sempre di misure da prendersi dagli Stati, e certo l’istituzione di un tribunale penale operata dal C.d.s. non presenta siffatte caratteristiche. E non pare compatibile con l’intrinseco carattere contingente delle misure ex art. 41 Carta.


4. Richiamato che la vantata ascendenza di Norimberga rispetto al Tribunale ad hoc non è sussistente se non per tratti minori ed estrinseci, va comunque denunciato l’elemento più grave di deviazione dalla pur invocata tradizione: l’eliminazione, dal novero delle categorie di crimini previste dallo Statuto del Tribunale ad hoc, di quella dei crimini contro la pace, includente l’aggressione.

La mancata previsione di questa categoria avrebbe potuto favorire senza dubbio, in linea astratta, l’equiparazione formale delle parti in conflitto – e addirittura dei sostenitori esterni – con riguardo alle categorie di crimini previste, quelli di guerra e contro l’umanità. Tale esclusione (dei crimini contro la pace) è avvenuta per evitare il “rischio” di coinvolgere in prima linea gli esponenti delle potenze che hanno operato per favorire la disgregazione della Jugoslavia. Si è così raggiunta l’eliminazione, dal campo di competenza assegnato (si ripete, comunque in un contesto arbitrario) al Tribunale ad hoc, dei comportamenti degli Stati, e dei loro individui-organi, che hanno (quantomeno) contribuito allo sfascio della Jugoslavia socialista. Almeno astrattamente, i comportamenti di contrasto all’autodifesa dello Stato esistente, culminati nei riconoscimenti prematuri delle Repubbliche secessioniste, vi sarebbero rientrati, in quanto azioni concertate e mirate contro la sovranità della Federazione jugoslava socialista.

Si è in tal modo evitata la possibilità, sia pur –visto il contesto- solo teorica, che venisse sotto i riflettori tutto il retroscena della vicenda jugoslava: ne è dunque derivata la concentrazione esclusiva sulle azioni di combattimento, sui conflitti armati e le loro durezze, gli eventuali crimini connessi, il tutto sradicato in tale logica dal terreno internazionale (se non fittiziamente raffigurato, come stiamo per vedere), dalle operazioni e macchinazioni e rappresentazioni ideologiche che hanno condizionato e, per così dire e in ampia misura, fornito una conformazione rappresentativa a quei conflitti armati.

Mi spiego e svolgo. È stato fondamentalmente distorto, nell’applicazione alla situazione jugoslava, il principio di autodeterminazione dei popoli in quanto principio normativo internazionale vigente: questo infatti non tutela qualunque parte di popolazione di uno Stato che intenda staccarsi, ma solo quelle parti, territorialmente compatte, che soffrono di una discriminazione fondamentale, di tipo coloniale o assimilabile, e la tutela si concreta essenzialmente nell’attenuazione, per i terzi Stati, dell’obbligo di non ingerenza nei fatti interni e quindi nel poter legittimamente fornire appoggio al movimento di autonomia o indipendenza. Fuori di quel presupposto si ha un’insurrezione, di fronte alla quale i terzi Stati non possono lecitamente intervenire. La situazione delle Repubbliche jugoslave secessioniste era con evidenza questa. La macchinazione degli Stati occidentali, in un momento storico in cui non hanno incontrato sul piano mondiale contesti ad ampio raggio di opposizione, si è incentrata sull’imposizione (ideologica) di una rappresentazione in termini di autodeterminazione a favore delle spinte e lotte secessionistiche: così da raffigurare come aggressione il comportamento della Federazione che legittimamente le contrastava.

D’altro canto, va considerato che la configurazione giuridica che si è presentata vale a fronte di Stati costituiti (come era la Federazione socialista jugoslava). Ma in un processo fattuale di graduale dissolvimento di questa e di formazione di nuove entità, non ancora Stati costituiti, centrate sulle Repubbliche federate secessioniste, non può negarsi, a favore di parti di popolazione territorialmente compatte sino ad allora integrate in una data realtà amministrativa (una Repubblica federata secessionista), un principio di autodeterminazione in senso autonomo rispetto a quello sinora illustrato: e cioè come autocostituzione di una subregione in entità indipendente o come sua permanenza nella vecchia compagine dello Stato costituito. L’imposizione da parte degli Stati occidentali di un principio (che nel diritto vigente è limitato a determinati ambiti geografici sulla scena mondiale e non è generalmente applicabile) uti possidetis iuris (come imposizione della permanenza delle frontiere, in sé meramente amministrative nel quadro della precedente Federazione, delle Repubbliche federate secessioniste) è stata contraria all’autodeterminazione-autocostituzione di subregioni che non volevano essere coinvolte nella secessione della Repubblica federata in cui sino a quel momento erano state amministrativamente conglobate. Si pensa in particolare alla Kraijna e alla Slavonia orientale di etnia serba nel quadro della Croazia federata e alla Repubblica serba di Bosnia nel quadro della Bosnia-Erzegovina federata. L’intervento di Stati terzi per (aiutare a) reprimere quei movimenti di autodeterminazione (nel senso particolare da ultimo indicato) appare illecito e, in quanto intervento armato, criminale. Alle persone più attente non sarà sfuggita la flagrante contraddizione fra l’imperativa pretesa del campo imperialista di voler difendere il diritto dei popoli a vivere in regioni omogeneamente occupate dalla stessa etnia, liberandole dal “giogo jugoslavo” da un lato, mentre dall’altro, nei casi suindicati, si volle imporre ai serbi, con la violenza delle armi, la rinuncia a quello stesso diritto.

Conseguenza di questa duplice mistificazione ideologica: i conflitti secessionisti si sono fatti apparire come di autodeterminazione e quindi “internazionalizzati” e così resi (artificialmente e illegittimamente) suscettibili di sostegno esterno: il legittimo contrasto dello Stato federale è divenuto guerra di aggressione contro l’autodeterminazione. La lotta delle subregioni antisecessioniste si è fatta passare per ribellione contro Stati costituiti e quindi legittimamente reprimibile, addirittura pure con sostegno esterno (anche contro il vero o supposto, per altro in sé legittimo, sostegno dello Stato federale in funzione antisecessionista). Questa problematica, e le mistificazioni che ne sono state espressione, sono rimaste sullo sfondo, proprio perché escluse dall’ambito di competenza assegnato al Tribunale ad hoc. Ma certamente hanno esercitato in modo sotterraneo un influsso nefasto sulle vicende processuali e le scelte dei “giudici”: la criminalizzazione, e in esito la condanna, sono state pronte e senza esitazioni a danno del campo delle forze antisecessioniste, nelle due ipotesi che si sono delineate; ben più rarefatte e meno numerose nel caso opposto. Si tratta del discrimine di fatto che si è tracciato implicitamente tra i Serbi, da un lato, i Croati e i Musulmani, da un altro, e ancor più coloro che, dall’esterno, hanno affiancato questi ultimi. Così da rendere inevitabilmente “orientato” il Tribunale ad hoc. Inevitabile (!) l’ “archiviazione” delle denunce contro la NATO per i bombardamenti sulla Jugoslavia (2 giugno 2000). La condanna di un esponente croato, il gen. Gotovina, appare nel contesto complessivo operazione di copertura.

Non mi trattengo su questi aspetti, le relative statistiche e le loro implicazioni, e cioè sulle modalità dello svolgimento dei processi, prima ancora sulle incriminazioni (al massimo livello, solo il presidente Milosevic, serbo e jugoslavo; intoccati il musulmano-bosniaco Izebetgovic e il croato Tudjman), infine sulle sentenze.

Il presidente Milosevic ha avuto l’atto di incriminazione poco dopo l’inizio dei bombardamenti, cioè l’aggressione, della NATO contro la Jugoslavia (residua) nel marzo 1999. Nella logica assunta dal Tribunale ad hoc, che appunto vede escluso dal suo campo di azione il crimine più grave, e comunque scatenante, e cioè l’aggressione o le macchinazioni che hanno favorito le guerre civili, quell’incriminazione (sia pure anche per asseriti fatti pregressi) colpisce come criminale l’individuo-organo di vertice e vale dunque quale copertura dell’aggressione NATO: reazione, questa, come viene fatta apparire ed in tale logica, alle attività criminose attribuite – in base ad incredibili teoremi giuridici - allo Stato jugoslavo e al suo presidente da ultimo per il Kosovo (in realtà, legittimo contrasto dello Stato jugoslavo costituito nei confronti di un’insurrezione locale, come in precedenza contro le secessioni).

Va da sé che si è voluto anche inferire un colpo alla compagine statale jugoslava. Mi astengo dal richiamare la vicenda scandalosa del vero e proprio rapimento e sequestro di Milosevic a Belgrado nel 2001 per tradurlo nel carcere di Scheveningen e quelle dell’annoso processo, in cui Milosevic ha opposto un comportamento eroico e ha lasciato la vita (per morte naturale, come affermano i suoi aguzzini, per assenza di cure adeguate, come affermano alcuni, o per avvelenamento, come pensano altri).

 Citiamo a questo punto per incidens le incriminazioni, da parte questa volta della Corte penale internazionale dell’Aja, a carico del presidente sudanese al-Bashir e del leader libico Gheddafi, assassinato poi dalla NATO e complici: quest’ultimo, come Milosevic, appena scatenata l’aggressione aerea. Pur se questa Corte presenta una base di legittimità formale di maggior consistenza, la Convenzione di Roma del 1998, benché di fronte a probabili problemi di costituzionalità per gli Stati parti o almeno per diversi fra essi, risulta se non altro una situazione aberrante, che consente un’assimilazione al Tribunale ad hoc: l’art. 13 b, per il quale il C.d.s. può deferire alla Corte anche individui-organi di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima (come nei due casi da ultimo citati). Si configura, con atto estraneo alla Carta NU, un potere del C.d.s. non previsto: pur se evidentemente tale esito può apparire in ultima analisi un’escrescenza del potere arrogatosi dal C.d.s. stesso con l’istituzione di tribunali penali internazionali. Se l’attribuzione di potere giurisdizionale penale al di fuori di una struttura sovrana è fenomeno singolare, per non dire abnorme, cui può – entro molte cautele - sopperire una base convenzionale (quasi ad istituzione di un organo comune degli Stati parti), la pretesa soggezione ad una tale Corte, su indicazione del C.d.s., di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima e di loro individui-organi, con lo scalzamento delle relative immunità internazionali, ripropone lo schema di una simulata occupazione, appunto realmente non sussistente, con l’attribuzione di potere giurisdizionale penale a organo – almeno nei confronti di Stati non parti - non sovrano (neppure nel senso di una sorta di delega all’organo “internazionale” stabilita dalla convenzione istitutiva).

Va fatto presente che lo Statuto della Corte, almeno nella fase attuale, esclude anch’esso i crimini contro la pace, a partire dall’aggressione, dal proprio campo di applicazione. Il malo esempio del Tribunale ad hoc riproduce così a livello più generale i suoi effetti maligni ai danni dell’indipendenza e sovranità degli Stati.

Si noti, a completamento delle anomalie, che per giurisprudenza internazionale attuale (della Corte internazionale dell’Aja) gli organi statali godono pur sempre delle immunità internazionali, almeno finché in funzione. Principio patentemente violato dalle incriminazioni lanciate, a conflitto iniziato, dal Tribunale ad hoc e dalla Corte penale internazionale.

Ad un sistema del genere, a una siffatta “giustizia penale internazionale”, troviamo affidato il caso Srebrenica. Quello “ufficiale”. Dell’altro, documentato in questo volume, non vi è traccia.

Di fronte all’inerzia delle istanze di “giustizia penale internazionale”, che abbiamo preso in considerazione, riguardo a denunce pur lanciate contro esponenti occidentali per aggressioni e crimini di guerra in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Palestina, oggi Libia, non si riesce ad evitare una valutazione di assoluta parzialità, di mirata selettività, di strumentalità delle operazioni giudiziarie poste in essere da quelle istanze. Di fronte alle quali ci si può dunque domandare: al suono di quale piffero queste istanze danzano?

Norimberga fu certo unilaterale, ma su base morale, politica e giuridica inoppugnabile. Si procedé a partire da incontrovertibili crimini di aggressione e contro la pace. Tutto ciò non può dirsi per le incriminazioni e i processi del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia e della Corte penale internazionale. Ne sono prova irrefutabile le “archiviazioni” di denunce contro Blair, Sharon, Clinton e loro sodali e, per il Tribunale ad hoc, contro la NATO.

A mani ben poco affidabili risulta assegnata la “questione Srebrenica”. La documentazione presentata in questo crudo e coraggioso volume dovrebbe portare a rivedere molte opinioni e meglio mistificazioni circolanti e fatte circolare nell’opinione pubblica mondiale, per lo meno in quella occidentale. Ma non sappiamo se questo auspicio, questa speranza di vera giustizia potrà trovare accoglienza contro il pensiero unico dominante.


Aldo Bernardini

Roma, 25 gennaio 2012



(english / italiano.
Sullo stesso tema si veda anche il nostro precedente post:


Terroristi anti-siriani addestrati dalla NATO in Kosovo

1) Siria. I miliziani anti-Assad addestrati in basi nel Kosovo (Sergio Cararo)
2) Moscow against training Syrian militants in Kosovo


A lire aussi: 
Kosovo : l’opposition syrienne à l’école de l’UÇK ?


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Siria. I miliziani anti-Assad addestrati in basi nel Kosovo 

di Sergio Cararo

I ribelli addestrati in Kosovo? Mosca chiede alla Nato di “provvedere”. L'ombra di Al Qaida sulla Siria si fa più forte. Gli avversari di Assad continuano dividersi. Saltata la riunione al Cairo insieme alla Lega Araba. L’Unione Europea aumenta le sanzioni contro la Siria, uno scenario iracheno.

Mosca ha espresso ieri preoccupazione per le notizie secondo cui i ribelli siriani si addestrerebbero in Kosovo. Il ministero degli esteri russo, citato dalla Tanjug, ha fatto riferimento a notizie di stampa su “contatti fra esponenti dell'opposizione siriana e le autorità della cosidetta Repubblica del Kosovo”. Contatti che includerebbero non solo “scambi di esperienze nell'organizzazione di movimenti separatisti diretti a rovesciare governi in carica, ma anche l'addestramento di ribelli siriani in Kosovo”. Le notizie riferite dal ministero degli esteri di Mosca, paralano di centri di addestramento creati in ex basi dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). “Trasformare il Kosovo in una base internazionale per l'addestramento di ribelli di differenti formazioni armate potrebbe rivelarsi un grosso fattore destabilizzante con effetti ben al di là dei Balcani”, ha concluso il ministero russo che ha chiesto per questo alla Forza internazionale della Nato in Kosovo (la Kfor di cui fanno parte anche militari italiani) di adottare “tutte le misure necessarie per prevenire la messa in atto di tali piani”. Accuse fantasiose? Non si direbbe. L’Associated Press rivela che il 26 aprile scorso, al ritorno dagli Stati Uniti, una delegazione di membri dell’opposizione siriana ha fatto tappa a Pristina per tenere colloqui su come impiegare in Siria le conoscenze dell’ Esercito di Liberazione del Kosovo. “Siamo venuti qui per imparare. Il Kosovo ha già compiuto questo cammino e possiede un’esperienza che potrebbe esserci molto utile,” afferma il capo della delegazione siriana Ammar Abdulhamid, “attivista dei diritti” umani nato in Siria. “Soprattutto vorremmo sapere in che modo gruppi armati sparsi si sono infine organizzati nell’UCK.” I leader dell’opposizione siriana hanno promesso di riconoscere subito il Kosovo una volta preso il potere nel paese.

Già nel 2004, il generale statunitense Lewis Mackenzie scriveva sul National Post “Gli albanesi-kosovari ci hanno suonato come uno Stradivari. Noi abbiamo finanziato e indirettamente sostenuto la loro violenta campagna per un Kosovo etnicamente puro e indipendente. Non li abbiamo mai rimproverati per essere stati i perpetratori della violenza nei primi anni ’90 e continuiamo a dipingerli oggi come le vittime designate, a dispetto delle prove del contrario. Quando essi raggiungeranno l’indipendenza con l’aiuto dei proventi delle nostre tasse, combinati con quelli di Bin Laden e di Al-Qaeda, consideriamo allora il messaggio di incoraggiamento che verrà mandato ad altri movimenti d’indipendenza sostenuti dal terrorismo in giro per il mondo”.

E’ stata intanto rinviata a data da destinarsi la riunione delle opposizioni siriane organizzata dalla Lega Araba al Cairo per il 16 e 17 maggio. Lo rende noto un comunicato della stessa Lega Araba, spiegando che la richiesta di rinvio è venuta dal Consiglio Nazionale Siriano e dalla Commissione di Coordinamento Nazionale delle forze per il cambiamento democratico. Giovedì prossimo al Cairo era prevista una riunione di tutte le opposizioni sirianeche però restano divise fra loro. Già ieri, la Commissione per il Coordinamento Nazionale (Ccn), che si dice rappresentante dell’opposizione all’interno del paese, aveva annunciato il boicottaggio della riunione del Cairo, sponsorizzata dalla Lega Araba su richiesta dell'inviato Onu Kofi Annan. I vertici del Consiglio nazionale siriano (Cns, ancora presenti a Roma, avevano detto che anche loro non sarebbero andati al Cairo, perchè “non invitati come Cns ma a titolo individuale”. Il Cns è la piattaforma che riunisce gli avversari di Assad all'estero e che conta tra le sue file i miliziani armati che agiscono all’interno del paese. Dietro le questioni formali si nascondono però nodi politici legati a rivalità interne e personali tra i vari dissidenti all'estero e in patria. Nei giorni scorsi, una commissione mista Ccn e Cns aveva tentato invano di dare vita a una piattaforma congiunta in vista della conferenza del Cairo.

L'Unione Europea ha varato nel frattempo il quindicesimo pacchetto di sanzioni contro la Siria. Da più parti piovono le accuse ai governi europei e statunitense di imporre sanzioni che alla fine colpiscono più il popolo che i vertici del potere siriano, ma l'Alto rappresentante della Ue, Catherine Ashton- così come fece l’allora segretario di stato Usa Madeleine Albright nel caso dell’Iraq, ha affermato il contrario: “Le sanzioni Ue colpiscono il regime siriano, non la popolazione civile. Finchè la repressione durerà, la Ue continuerà a mettere pressione sui responsabili”, ha detto. In Iraq, come noto, i fatti hanno dimostrato il contrario. Con la decisione odierna, salgono a 128 le persone e a 43 le imprese colpite da misure restrittive. I nomi delle nuove tre persone e delle due società colpite saranno pubblicati oggi sulla Gazzetta Ufficiale europea


(maggio 2012)


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Source of the following texts, in english, is the Stop NATO e-mail list.
Home page with archives and search engine:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles:
http://rickrozoff.wordpress.com
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http://www.interfax.com/newsinf.asp?pg=2&id=331687

Interfax - May 14, 2012 

Moscow opposes plans to train Syrian militants in Kosovo


MOSCOW: The Russian Foreign Ministry is concerned by the reports that Syrian militants will be trained in Kosovo, and has urged the international community to prevent that from happening.
"Lately there have been media reports about contacts between Syrian opposition representatives and the authorities of the so-called Republic of Kosovo. This is not just about 'exchange of experience' in organizing separatist movements aimed at toppling existing regimes, it is also about training Syrian militants in Kosovo," the ministry said in a statement issued on Monday.
They intend to use areas that are geographically similar to the Syrian landscape, the ministry said. It is likely that training centers will be opened at the former bases of the Kosovo Liberation Army.
"Such intentions raise concerns. They run counter to the efforts of United Nations-Arab League Special Envoy Kofi Annan, backed by the entire international community. Moreover, turning Kosovo into an international site for training militants from various militant groups could become a serious destabilizing factor spreading beyond the Balkan region," the statement said. 
"We are calling on international organizations present in the province to take whatever steps necessary to foil such schemes," the Russian Foreign Ministry said.

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http://en.rian.ru/russia/20120514/173451677.html

Russian Information Agency Novosti - May 14, 2012

Russia Warns Against Training Syrian Rebels in Kosovo

The Russian Foreign Ministry on Monday urged international bodies operating in Kosovo to prevent the region from turning into a training ground for Syrian rebels.
A delegation from the Syrian opposition visited Kosovo in April to allegedly make a deal on exchanging experience in guerilla warfare against ruling authorities.
So far, the fractured Syrian opposition has been unable to form a steady front against the forces of President Bashar al-Assad.
The Russian ministry said in a statement that the talks covered not only the ways of organizing armed resistance against authorities but also the training of Syrian militants in Kosovo.
“There are plans to use the areas [in Kosovo] that resemble the terrain in Syria. The possibility of setting up training camps at the former bases of the Kosovo Liberation Army [KLA] is also being discussed,” the statement said.
“Transforming Kosovo into an international training ground for armed militants may become a serious destabilizing factor that could extend beyond the Balkans,” the document said. “We urge international bodies operating in Kosovo to take all necessary steps to prevent these plans.”
The ethnic Albanian KLA fought a separatist war against the regime of President Slobodan Milosevic in 1998-99. About 10,000 people died in the Kosovo conflict.
Kosovo declared its independence from Serbia in February 2008.
Both Serbia and Russia have refused to recognize Kosovo’s independence.



(english / francais)

Bail prolongé pour l’OTAN au Kosovo

1) May 1, 1999-2012: 13 years since NATO air strike on bus in Kosovo
2) Georges Berghezan: Bail prolongé pour l’OTAN au Kosovo


=== 1 ===

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2012&mm=05&dd=01&nav_id=80052

B92 - May 1, 2012

13 years since NATO air strike on bus in Kosovo

GRAČANICA: On this day 13 years ago, NATO's war planes attacked a Niš Express bus traveling on a road near the village of Lužane, close to the town of Podujevo in Kosovo. 
A file photo of a NATO attack (Tanjug)Some 40 people, many of whom women and children, died in the attack. 
Zorica and Dragiša Petrović, Serbs from the enclave of Gračanica in Kosovo, lost two children in the bombing - daughter Maja and son Nikola. Dragiša's mother was also among the victims. 
Zorica Petrović still struggles to cope with the loss of her children - she was taken ill after the tragedy and is still receiving therapy on a daily basis. 
The three members of the Petrović family were laid to rest on May 7, 1999 - Nikola's 17th birthday. 
The Petrovićs spoke to reporters on this day to say that they did not expect to receive any assistance from any quarter, "aware that they are not the only ones to have lost their loved ones during the NATO bombing". 
The reason they publicly addressed the tragedy, the family said, was their desire "for someone to have them in their thoughts on this day, and ease their pain and suffering". 
NATO launched its war against Serbia on March 24, 1999, and continued with aerial attacks for the next 78 days.


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Bail prolongé pour l’OTAN au Kosovo

Georges Berghezan

16 mai 2012


Nulle force de l’OTAN, parmi toutes celles déployées sur la surface du globe, n’a connu la longévité de celle du Kosovo. Depuis bientôt treize ans, la KFOR, pour « Force du Kosovo », occupe ce coin des Balkans, une région certes moins agitée que l’Afghanistan, mais où sa simple présence témoigne de la persistance des tensions laissées les guerres d’ex-Yougoslavie, tensions que les interventions occidentales n’ont fait qu’aiguiser.



[PHOTO] De g. à dr., Hashim Thaçi, alors chef politique de l’UCK, Bernard Kouchner, 1er administrateur de l’ONU au Kosovo, Michael Jackson, 1er commandant de la KFOR, Agim Ceku, chef militaire de l’UCK, et Wesley Clark, commandant suprême de l’OTAN
 
 
Bien entendu, l’OTAN répète sur tous les tons que la présence de la KFOR n’est justifiée que par le souci de « maintenir un environnement sûr et sécurisé »[1], par la nécessité de s’interposer entre ces sauvages tribus balkaniques toujours prêtes à s’entredéchirer. Cependant, un peu de recul permet de se rendre compte que les choses sont un peu plus complexes et que le déploiement de la KFOR n’est pas aussi désintéressé qu’elle ne le prétend.
 
 
Bombarder et occuper
 
Il faut tout d’abord se remémorer que le déploiement de troupes sous commandement OTAN dans la province serbe du Kosovo a été précédé d’une longue campagne de bombardements par cette même alliance atlantique. Pendant 78 jours, du 24 mars au 11 juin 1999, la République fédérale de Yougoslavie (RFY), qui unissait alors la Serbie et le Monténégro, a été pilonnée par les bombardiers et missiles de l’OTAN, faisant 2 500 morts dans la population civile. Les responsables occidentaux, dont le duo Bill Clinton/Tony Blair, ont justifié leur action en affirmant qu’un génocide à l’encontre de la population albanaise du Kosovo était en cours et qu’il était de leur responsabilité de l’arrêter. Si des milices serbes s’y sont effectivement livrées à des exactions, ce fut pour l’essentiel après le début des bombardements et dans des proportions infiniment moindres que ce qui avait été alors annoncé[2]. En outre, l’argumentaire occidental présentait l’Armée de libération du Kosovo (UCK), qui multipliait depuis 1996 les attaques contre civils et policiers serbes, comme d’héroïques « combattants de la liberté », alors qu’elle était alimentée par les plus solides trafics, en particulier celui de l’héroïne et, comme on l’apprendra une dizaine d’année plus tard, par celui des organes de prisonniers serbes et de prostituées d’Europe de l’Est[3].
 
Comme ceux des Etats-Unis contre l’Irak quatre ans plus tard, les bombardements de l’OTAN sur la RFY ne disposaient d’aucun mandat du Conseil de sécurité de l’ONU, ce qui en faisait, de l’avis de la plupart des juristes, une grossière violation du droit international. Cependant, c’est une résolution du Conseil de sécurité qui y mit fin. Si Slobodan Milošević, alors Président de la RFY, accepta de retirer ses forces armées du Kosovo et de laisser y pénétrer les troupes de l’OTAN, devenues KFOR, ce fut bien sûr pour éviter que son pays ne soit totalement ravagé sous les bombes, mais aussi parce que le Conseil de sécurité adopta sa « résolution 1244 ». Celle-ci autorisait bien le déploiement d’une force sous commandement OTAN, mais remettait la gestion civile de la province à une mission de l’ONU et, surtout, réaffirmait l’appartenance du Kosovo à la RFY, autrement dit à la Serbie dont il est la province méridionale et le berceau historique.
En arrivant au Kosovo, les troupes de l’OTAN furent précédées de quelques heures par leurs collègues russes qui s’emparèrent de l’aéroport de Priština, le seul digne de ce nom dans la province. Alors que les soldats britanniques entamaient le siège de l’aéroport, la crise se dénoua finalement sans confrontation armée, en grande partie parce que le général britannique Michael Jackson, chef de la KFOR, désobéit au général étatsunien Wesley Clark, commandant suprême de l’OTAN, qui exigeait qu’il attaque les troupes russes. A cet excité, très proche de Bill Clinton, Jackson répliqua vertement : « Je ne vais pas déclencher la Troisième guerre mondiale pour vous ».
 
 
 
Nettoyage des minorités
 
Le déploiement initial de la KFOR, s’il fut pléthorique, 50 000 hommes pour un territoire grand comme un tiers de la Belgique, fut surtout chaotique. En quelques mois, environ 300 000 non-Albanais quittèrent le Kosovo, chassés par la campagne de nettoyage ethnique orchestrée par l’UCK, sous l’œil complaisant des troupes de l’OTAN. Intoxiqués par une propagande manichéenne, les soldats occidentaux étaient enclins à croire sur parole les miliciens de l’UCK expliquant que les Serbes étaient des « criminels de guerre » et les Roms des « collabos » et que tout Albanais ayant travaillé dans les services publics était un « traître » et que, donc, leur exécution ou leur expulsion était pleinement justifiée.
 
Cependant, toutes les troupes de la KFOR n’eurent pas un comportement aussi irresponsable. Les Français, en charge du nord du Kosovo, adjacent au reste de la Serbie, empêchèrent l’UCK d’y débarquer et d’y expulser la population majoritairement serbe qui a pu s’y maintenir jusqu’à aujourd’hui. Particulièrement significatif est le cas de la région de Prizren, la deuxième ville du Kosovo, où les troupes allemandes, arrivées les premières, laissèrent l’UCK donner libre cours à sa rage d’une région » ethniquement pure ». Alors que les soldats allemands défilaient bras dessus bras dessous avec les miliciens de l’UCK dans les rues de la ville, ces derniers firent subir de multiples violences, non seulement aux Serbes, mais aussi aux nombreuses minorités musulmanes, Roms, Slaves, Turcs, habitant Prizren et ses alentours. Heureusement, après quelques semaines, la ville et d’autres localités sont passées sous le contrôle de troupes turques de la KFOR qui – en bonnes héritières de l’empire ottoman où une certaine tolérance ethnique était de mise – mirent au pas l’UCK et empêchèrent la poursuite de ces exactions, à l’encontre des minorités musulmanes du moins.
 
Pas très loin de Prizren, les troupes néerlandaises déployées dans la petite ville d’Orahovac, en proie apparemment à un « syndrome de Srebrenica », ont enfermé derrière des barbelés la population serbe et rom réfugiée dans le haut de la ville, empêché les évacuations, y compris médicales, et kidnappé tous les notables serbes, accusés par l’UCK de crimes de guerre. Le summum a été atteint quand les Hollandais ont pris fait et cause pour l’UCK qui refusait l’application d’un accord conclu après la crise de l’aéroport de Priština, prévoyant qu’Orahovac passe sous la juridiction des troupes russes. A la fin 1999, on assista donc à une étrange collaboration entre une milice officiellement dissoute et une armée d’un pays de l’OTAN pour édifier des barrages routiers afin d’empêcher le déploiement de troupes russes, et donc l’exécution d’un accord conclu entre Moscou et l’OTAN ! Dégoûtés, les Russes finirent par se replier sur l’aéroport, dont ils partageaient le contrôle avec les Britanniques, puis quittèrent définitivement le Kosovo en 2003.
 
 
Apartheid européen
 
Néanmoins, après le chaos initial, la KFOR parvint, dans le courant de 2000, à pacifier quelque peu la région. Si les violences directes contre les minorités ont alors décru, on assista à la mise en place d’une forme de système d’apartheid, encouragé tacitement par la Mission de l’ONU et la KFOR. Parmi les Serbes qui n’avaient pas été expulsés, soit une petite moitié de la population de l’année précédente, une partie, ceux vivant au sud de la rivière Ibar, a dû se résoudre à vivre dans des enclaves rurales isolées ou dans de minuscules ghettos urbains, sans liberté de mouvement ni possibilité d’emploi. Les autres, au nord de l’Ibar, ont pu continuer une vie presque normale, avec la possibilité de se rendre sans encombre dans le reste de la Serbie. La ville de Mitrovica fut divisée en deux, l’Ibar marquant la frontière entre deux mondes.
 
Les autres minorités n’ont guère connu un sort plus enviable. Au moins la moitié de leurs membres ont fui, que ce soit parmi les Slaves musulmans (Bosniaques, Gorani…), les Turcs, les Ashkalis et les Egyptiens (deux groupes roms de langue albanaise) ou la petite communauté croate, chassés à la fois par la violence des partisans de la pureté ethnique, par les menaces[4]et discriminations quotidiennes, et par les difficultés économiques. Les plus durement touchés par le nettoyage ethnique ont certainement été les Roms, pratiquement tous chassés des zones majoritairement albanaphones. Mais de graves violences ont également été commises contre des Albanais kosovars, d’abord ceux soupçonnés d’avoir « collaboré » avec les Serbes, puis les opposants politiques aux partis issus de l’UCK, en particulier le Parti démocratique du Kosovo (PDK) dirigé par Hashim Thaçi, actuellement Premier ministre. Ainsi, ont été exécutés un grand nombre de partisans d’Ibrahim Rugova, dirigeant incontesté de la communauté albano-kosovare jusqu’à ce que les Etats-Unis intronisent Thaçi juste avant les bombardements.
 

[PHOTO]  Déplacés roms installés dans l’enceinte d’une école de Kosovo Polje en 1999 (© Berghezan)
 
Une nouvelle flambée de violences a eu lieu en mars 2004, quand les enclaves serbes du sud de l’Ibar ont systématiquement été prises d’assaut par des foules furieuses menées par des anciens de l’UCK. Des milliers de maisons serbes, roms et ashkalies ont été incendiées, ainsi que des dizaines d’églises et monastères orthodoxes, s’ajoutant à plus d’une centaine d’édifices religieux détruits depuis 1999, dont certains bâtis au Moyen-Age. Officiellement, les pogroms ont coûté la vie à 19 personnes, 11 Albanais et 8 Serbes, bien que diverses sources indiquent que le bilan réel pourrait être nettement plus élevé[5]. Au début totalement dépassée par les événements, se contentant d’ouvrir ses bases à des foules apeurées, la KFOR a fini par reprendre la situation en main et, au bout de trois jours, est parvenue à mater les émeutiers.
 
C’est également à ce moment que, aux yeux des Serbes des enclaves du sud comme du nord, la KFOR est devenue leur seule protection possible, alors que la police de l’ONU avait battu en retraite et que la police kosovare avait souvent épaulé les émeutiers. Si ces derniers n’ont pas hésité à affronter des unités de la KFOR, ils ont reculé face au contingent étatsunien, dont le pays est considéré comme l’allié-clé pour sa contribution à l’émergence d’un Etat kosovar.
 

[PHOTO] Maison serbe incendiée lors des pogroms de mars 2004 à Lipljan (© Berghezan)

 
Indépendance supervisée
 
Car il apparut clairement que – en dépit de la résolution 1244, la dernière sur le Kosovo adoptée par le Conseil de sécurité, et donc encore contraignante – l’objectif des puissances occidentales était de forcer l’indépendance de la province serbe. Les pogroms de 2004, restés largement impunis, furent interprétés comme un « appel » de la population albanaise à l’indépendance, appel susceptible de se muer, s’il n’était pas entendu, en « menace » pour le personnel des nombreuses organisations internationales déployé sur place. Un processus de négociation, tronqué dès le départ, démarra donc pour déterminer, sous la houlette de médiateurs européens et étatsuniens, le « statut final » du Kosovo. Il aboutit à l’adoption, par l’Union européenne (UE), les Etats-Unis et le gouvernement de Priština, d’un plan dit « Ahtisaari », du nom du diplomate finlandais ayant chapeauté la négociation, recommandant l’indépendance « supervisée » du Kosovo. Précisions que, si Ahtisaari a été mandaté par le Secrétaire général de l’ONU, son plan n’a jamais été adopté par le Conseil de sécurité.
 
Le 17 février 2008, le Kosovo proclamait donc unilatéralement son indépendance, une indépendance immédiatement reconnue par la plupart des pays occidentaux et leurs plus proches alliés, mais dénoncée, non seulement par la Serbie, mais aussi par la Russie et la Chine, ainsi que par tous les grands Etats du Sud, du Brésil à l’Indonésie, en passant par l’Egypte et l’Afrique du Sud. Quelques membres de l’UE, en particulier ceux en proie à des poussées autonomistes sur leur propre territoire (Espagne, Roumanie, Slovaquie, Chypre, mais aussi la Grèce), ont refusé d’avaliser le coup de force. A ce jour, malgré les pressions des Etats-Unis et les pots-de-vin d’un milliardaire kosovar ayant acheté les reconnaissances de multiples micro-Etats, une majorité de pays du monde ne reconnaît pas l’indépendance du territoire, dont l’accession à l’ONU et dans les grands forums internationaux demeure de toute façon bloquée sans aval du Conseil de sécurité.
 
Malgré son rôle « historique », l’OTAN ne peut pas reconnaître d’Etat kosovar indépendant, quatre de ses membres refusant de la faire, et la KFOR continue à prétendre qu’elle est neutre sur la question du statut, en particulier quand elle s’adresse aux Serbes. Cependant, c’est la KFOR qui a pris en charge la formation des membres des Forces de sécurité du Kosovo, définies par le plan Ahtisaari comme les forces armées d’un Etat souverain, donnant ainsi un sérieux coup de canif à la neutralité affichée.
 
Après la proclamation d’indépendance, la mission de l’ONU a été rapidement dégradée, ne subsistant pratiquement plus que dans le nord du Kosovo. Elle a été remplacée par la mission « Etat de droit », ou EULEX, dépendant de l’UE. Comme cinq de ses membres ne le font pas, l’UE ne peut reconnaître officiellement la République de Kosovo. Cependant, plusieurs activités d’EULEX contribuent directement à établir ou à renforcer les compétences d’un Etat indépendant, en particulier lorsqu’elle s’est employée, depuis l’été 2011, à déployer des douaniers de Priština et à installer deux « postes-frontière » entre le nord du Kosovo et le reste de la Serbie. Cela a donné lieu à l’érection de barricades et à de multiples incidents, la population serbe du nord étant furieuse de se voir ainsi coupée de la « mère Serbie ». La KFOR a été plusieurs fois impliquée dans des affrontements, soit lorsqu’elle tentait de démanteler les barricades, soit quand elle escortait des véhicules d’EULEX transportant des douaniers ou des policiers kosovars.
 

[PHOTO] Les Etats-Unis, promoteurs n° 1 d’un Kosovo indépendant
 
 
Bondsteel, mirador des Balkans
 
Ces incidents, puis la tenue d’élections dans les zones serbes en mai 2012, ont entraîné un renforcement des effectifs de la KFOR qui, après avoir été réduits à un peu plus de 5 000 hommes, sont remontés à plus de 6 000 militaires, principalement déployés dans le nord. Au cours des années, le contingent allemand s’est imposé comme le principal contributeur de la KFOR, supplantant les Etats-Unis, ayant besoin de troupes fraîches sur d’autres théâtres encore plus problématiques. Ceux-ci ont cependant gardé leur immense base de Camp Bondsteel, véritable mirador au cœur des Balkans. Quant aux troupes belges, elles ont quitté le Kosovo en mars 2010.
 
Paradoxalement, malgré les violents affrontements de ces derniers mois dans le nord du Kosovo, malgré l’opposition massive des Serbes à une adhésion de leur pays à l’OTAN[6], ces renforcements ont été salués, tant par Belgrade que par les Serbes du Kosovo. Pour ces derniers, la KFOR est devenue la première condition à leur survie au Kosovo, la police de Priština étant considérée, non seulement comme incompétente, mais surtout comme fondamentalement hostile. Les pogroms de 2004 n’ont fait que renforcer ce sentiment. Puisqu’ il est impossible d’être protégés par Belgrade, en vertu de la Résolution 1244, seule la KFOR apparaît comme apte à le faire, même si elle fait insuffisamment et même si les bombardiers de l’OTAN sont à l’origine de leur ghettoïsation.
 
Aucune « stratégie de sortie » n’est évoquée pour la KFOR. Si la sécurité des minorités dans les enclaves au sud de l’Ibar s’est progressivement améliorée – bien que les agressions reprennent à chaque regain de tension dans le nord et que des lieux de culte serbes orthodoxes continuent à être profanés –, la situation au nord de l’Ibar demeure extrêmement instable. Les Serbes y refusent à la fois l’autorité de Priština et celle d’EULEX, tandis que Thaçi et ses ministres agitent régulièrement l’option d’une solution musclée, qui entraînerait vraisemblablement un nouveau nettoyage ethnique, voire une intervention de l’armée serbe.
 
Pourtant, un processus de « dialogue » entre Priština et Belgrade a débuté en mars 2011 à Bruxelles, aboutissant à quelques accords : remise de copies de registres officiels par Belgrade, représentation de Priština dans les forums régionaux, et gestion commune des points de passage entre le Kosovo et la Serbie centrale. Ce dernier accord prévoit la présence de douaniers du gouvernement de Priština aux postes du nord du Kosovo, où ne serait visible aucun symbole étatique. Bien qu’il doive encore être appliqué, l’accord a fortement mécontenté les Serbes locaux, inquiets que se mette en place une frontière entre eux et le reste de la Serbie. Couplé au refus du gouvernement serbe d’organiser des élections locales au Kosovo, comme partout ailleurs dans le pays, les autorités de Belgrade sont confrontées à une fronde grandissante des Serbes du Kosovo, qui craignent d’être « lâchés » et, que pour adhérer à l’UE, la Serbie finisse par reconnaître d’une manière ou d’une autre l’indépendance du Kosovo.
 
En attendant que les relations entre Belgrade et Priština se normalisent, et que cela se fasse en tenant compte des intérêts de toutes les parties, y compris les Serbes du nord du Kosovo, il ne fait guère de doute qu’une force de l’OTAN continuera à veiller sur ce territoire, qui a l’avantage d’être situé à proximité d’autres régions instables (Bosnie-Herzégovine, Macédoine, ou maintenant la Grèce) et d’importants axes routiers, ferroviaires et pétroliers.

 
Source : Investig'Action
 
Notes :

[1] Voir, par exemple, le site de la KFOR, http://www.nato.int/kfor/.
[2] Lire à ce sujet L’opinion, ça se travaille (Les médias, l’OTAN & la guerre du Kosovo), de Serge Halimi et Dominique Vidal, éd. Agone, 2000, ainsi que Monopoly, L’OTAN à la conquête du monde, de Michel Collon, éd. EPO, 2000.
[3] Affaire révélée par Carla Del Ponte, in La Traque, les criminels de guerre et moi, traduction française publiée en 2009 par les éditions Héloïse d’Ormesson, et confirmée par le rapport du sénateur Dick Marty, Inhuman treatment of people and illicit trafficking in human organs in Kosovo, Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe, 12/10/10, disponible surhttp://www.assembly.coe.int/CommitteeDocs/2010/ajdoc462010prov.pdf.
[4] Ainsi, à l’heure de boucler ce texte, la presse serbe fait état de tracts signés par une certaine « Armée populaire albanaise », menaçant de mort les Serbes de trois villages proches de la petite ville de Klina. Expulsée en 1999, cette centaine de familles est récemment revenue au Kosovo. La KFOR a refusé de commenter l’incident, arguant qu’elle « prend au sérieux toute menace à la sécurité ». Voir http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2012&amp ;mm=05&dd=15&nav_id=80259.
[5] Durant la 2ème journée d’émeute, la Mission de l’ONU annonçait déjà « au moins 31 morts ».
[6] De multiples sondages d’opinion ont montré que, en cas de référendum, les Serbes rejetteraient l’adhésion à l’OTAN dans une proportion d’environ 7 à 1. Par contre, l’adhésion à l’UE est soutenue par une majorité de la population.
 
 
 
 





L’arte della guerra

 

Dopo la strage degli innocenti

 

di Manlio Dinucci - da Il Manifesto , 15 maggio 2012

 
Una delle capacità dell’Arte della guerra del XXI secolo è quella di cancellare dalla memoria la guerra stessa, dopo che è stata effettuata, occultando le sue conseguenze. I responsabili di aggressioni, invasioni e stragi possono così indossare la veste dei buoni samaritani, che tendono la mano caritatevole soprattutto ai bambini e ai giovani, prime vittime della guerra.
L’Italia – dopo aver messo a disposizione della Nato sette basi aeree per le 10mila missioni di attacco alla Libia, e avervi partecipato sganciando un migliaio di bombe e missili – ha varato un «progetto a favore dei minori colpiti da traumi psicologici derivanti dal recente conflitto». Il progetto, del costo di 1,5 milioni di euro, prevede l’invio di una task force di esperti che opererà a Bengasi, Tripoli e Misurata, collaborando con le «autorità libiche». Le stesse che perfino il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiama in causa per «le continue detenzioni illegali, torture ed esecuzioni extragiudiziarie».
In Afghanistan, dove ogni anno muoiono migliaia di bambini per gli effetti diretti e indiretti della guerra, gli aerei italiani non lanciano solo bombe e missili, ma viveri, indumenti, quaderni e  penne per i bambini, così da «integrare l’azione operativa con l’attività di supporto umanitario». Un centinaio di fortunati bambini ha ricevuto, in una base militare italiana, un pacco dono, frutto di «una raccolta spontanea durante le celebrazioni delle Sante Messe». «Con l’occasione», alcuni sono stati perfino visitati da un ufficiale medico pediatra. E quando la piccola Fatima ha avuto un braccio maciullato da un ingranaggio, c’è stata la «corsa generosa e disperata» verso l’ospedale, effettuata con un Lince, il blindato usato dagli italiani nella guerra in Afghanistan.
In Iraq, l’Italia è impegnata in un «progetto comune contro la tratta di esseri umani», di cui sono vittime soprattutto ragazze e ragazzi, costretti alla prostituzione e al lavoro forzato nelle monarchie del Golfo. Nascondendo il fatto che tale fenomeno è uno degli effetti della guerra, cui ha partecipato anche l’Italia. Le vittime dirette sono state, nel 2003-11, almeno un milione e mezzo, di cui circa il 40% bambini, documenta il Tribunale di Kuala Lumpur sui crimini di guerra. Molti altri bambini sono morti per le armi a uranio impovertito,  che hanno contaminato il terreno e le acque. A Fallujah, le malfomazioni cardiache dei neonati risultano 13 volte superiori alla media europea, e quelle del sistema nervoso superiori di 33 volte.
A mietere un maggior numero di vittime è il collasso della società irachena, provocato dalla guerra. Circa 5 milioni di bambini sono orfani e circa 500mila vivono abbandonati nelle strade,  3,5 milioni sono in povertà assoluta, 1,5 milioni di età inferiore ai cinque anni sono denutriti e in media ne muoiono 100 al giorno. Sono queste le prime vittime della tratta di esseri umani: bambine di 11-12 anni sono vendute per 30mila dollari ai trafficanti. A provocare questo immenso dramma contribuisce l’Italia, partecipando alle guerre camuffate da missioni internazionali di pace. Anche se il presidente Napolitano, rivolgendosi ai militari in missione, assicura: «Voi oggi, e altri prima di voi, avete dato un grandissimo contributo a un rinnovato prestigio e alla credibilità dell’Italia».





18 Maggio: “Fascist Legacy” in Sala Errera a Mirano

MAGGIO 12, 2012

“So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori” Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, 1943.

Fascist Legacy (“L’eredità del fascismo”) è un documentario in due parti sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, realizzato e mandato in onda nei giorni 1 ed 8 novembre 1989 dalla BBC.
La prima parte tratta dei crimini di guerra commessi durante l’invasione italiana dell’Etiopia e nel Regno di Jugoslavia. Enfasi vi viene posta sull’impiego dell’iprite, o gas mostarda, da parte del Generale Pietro Badoglio, sui bombardamenti di ospedali della Croce Rossa e sulle rappresaglie dopo un attentato contro l’allora Governatore italiano dell’Etiopia. La sezione che esamina l’occupazione della Jugoslavia cita gli oltre 200 campi di prigionia italiani sparsi nei Balcani, in cui morirono 250.000 internati (600.000 secondo il governo jugoslavo), e si sofferma sulle testimonianze relative al campo di concentramento di Arbe (Rab in lingua serbo-croata) e sulle atrocità commesse nel villaggio croato di Podhum, presso Fiume.
La seconda parte tratta del periodo successivo alla capitolazione italiana nel 1943 e si rivolge principalmente all’ipocrisia mostrata tanto dagli USA quanto soprattutto dai britannici in questa fase. L’Etiopia, la Jugoslavia e la Grecia richiesero l’estradizione di 1.200 criminali di guerra italiani (i più attivamente ricercati furono Pietro Badoglio, Mario Roatta e Rodolfo Graziani), sugli atti dei quali fu fornita una completa documentazione. Entrambi i governi alleati videro però in Badoglio anche una garanzia per un dopoguerra non comunista in Italia, e fecero del loro meglio per ritardare tali richieste fino al 1947 quando i Trattati di Parigi restituirono la piena sovranità al paese: gli stati sovrani in genere non estradano i propri cittadini. L’unico ufficiale italiano mai perseguito e condannato a morte da un tribunale britannico fu un antifascista, Nicola Bellomo, responsabile della morte di prigionieri di guerra britannici. La voce narrante originale è di Michael Palumbo, storico americano autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Vengono inoltre intervistati gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e il britannico David Ellwood.
I diritti dell’opera, tradotta in lingua italiana dal regista Massimo Sani, furono acquistati dalla RAI nel 1991, ma il documentario non venne mai mandato in onda. L’emittente La7, invece, trasmise degli ampi stralci di Fascist Legacy nel 2004 all’interno del programma Altra Storia.

In compenso la Rai il 7 febbraio 2005 (in occasione della Giornata del Ricordo), trasmise lo sceneggiato “Il Cuore nel Pozzo” che in sostanza è un impianto di memoria artificiale stile “Total Recall”: durante la seconda guerra mondiale, un’Italiana residente in Slovenia e il suo bambino, frutto della violenza subita da un partigiano sloveno, son minacciati dalla furia slava del partigiano, che vorrebbe trucidare lei e il bimbo. Sarà un prete italiano, don Bruno, a metterli in salvo. Il pozzo è ovviamente la foiba dove finirà don Bruno.
Non venne trasmesso “Fascist Legacy” perché in quel documento si racconta che gli Italiani che invasero l’ex Jugoslavia fecero un carnaio: distrussero e incendiarono interi villaggi, giustiziarono, violentarono e torturarono, gestirono campi di concentramento, dove si andava a morire anche per il semplice fatto di NON essere italiani.

Una giornata per la Memoria, una per il Ricordo. Cosa succede quando la memoria storica più imbarazzante viene annullata? Che si creano ricordi falsi per riempire il vuoto. Il documentario “Fascist Legacy” sarebbe una buona cura ma la Rai non lo manda in onda. Da 23 anni.

Numerose sezioni dell’Anpi e altrettante organizzazioni antifasciste l’hanno proiettato in questi anni in tutta Italia e adesso lo proietta l’Anpi di Mirano nella Sala Conferenze di Villa Errera [Via Bastia Fuori n.° 58] il giorno 18 maggio alle ore 20.30. Ingresso libero.

 

fonte: http://anpimirano.it/2012/18-maggio-fascist-legacy-in-sala-errera-a-mirano/




4 MAJ 1980 - 2012

1) Prvi komemorativni skup JUGOSLOVENA Beograd 4.5.2012
Meeting commemorativo per Tito nel 32.mo anniversario della morte, il 4/5 a Belgrado - si vedano anche le fotografie alla pagina Facebook:
http://www.facebook.com/media/set/?set=a.10150880986468834.471074.36436743833&type=3
2) SKBiH o godišnjica smrti druga Tita
La Lega dei Comunisti della Bosnia-Erzegovina sull'anniversario della morte di Tito
3) TITOVI DANI U FAŽANI
Commemorazione nell'anniversario della morte di Tito a Fasana, Istria


VIDEO:

"Umro Je Drug Tito"

4.maj 1980 največa sahrana u istoriji ćovećanstva

Sahrana Josipa Broza TITA


Sirena za Druga Tita


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kuca cveca 04-05-2012

VIDEO: http://www.youtube.com/user/enco1978 ("Trtak Enco radjanje Jugoslavije ...")


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Prvi komemorativni skup JUGOSLOVENA Beograd 4.5.2012

Di SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia (album) · Scattate a Beograd


DANA 04. 05. 2012. U BEOGRADU, U BIOSKOPSKOJ SALI MUZEJA 25. MAJ, U PRISUSTVU NEKOLIKO STOTINA UCESNIKA, ODRZANA JE KOMEMORACIJA POVODOM 32. GODINE OD SMRTI MARSALA JUGOSLAVIJE JOSIPA BROZA TITA. DOGADJAJ JE UJEDNO BIO I SKUP O JUGOSLAVIJI POSVECEN BORBI ZA OBNOVU SFRJ NA BAZI DOBROVOLJNOSTI, BORBI ZA KOMUNIZAM I RADNICKO SAMOUPRAVLJANJE, BORBI ZA NESVRSTAVANJE I MIROLJUBIVU AKTIVNU KOEGZISTENCIJU, BORBI ZA OCUVANJE TEKOVINA ANTIFASIZMA, NARODNOOSLOBODILACKE BORBE I LIKA I DELA NASEG PREDSEDNIKA TITA.
SA POSEBNIM ZADFOVOLJSVOM NAGLASAVAMO DA SU NA SKUPU UCESTVOVALI PREDSTAVNICI POLITICKIH ORGANIZACIJA IZ SOCIJALISTICKIH REPUBLIKA SFRJ. 
IZ SRBIJE KAO DOMACINI UCESTVOVALI SU PREDSTAVNICI JUGOSLOVENSKOG CENTRA TITO, UDRUZENJE KOMUNISTA JUGOSLAVIJE U SRBIJI, SUBNORA I SEKCIJE PRVE PROLETERSKE BRIGADE. IZ HRVATSKE SU UCESTVOVALI PREDSTAVNICI DRUSTVA JOSIP BROZ TITO RIJEKA, DRUSTVA TITO VARAZDIN I SOCIJALISTICKE RADNICKE PARTIJE. IZ BOSNE I HERCEGOVINE SU UCESTVOVALI PREDSTAVNICI DRUSTVA ANTIFASISTA TUZLE. IZ SLOVENIJE SU UCESTVOVALI PREDSTAVNICI AVNOJA SLOVENIJA. IZ MAKEDONIJE SU UCESTVOVALI PREDSTAVNICE ORGANIZACIJE TITOVI LEVI SILI I DRUSTVA JOSIP BROZ TITO KOCANI.
NA SKUPU SU PROCITANA I PISMA PODRSKE KOMUNISTICKE PARTIJE BOSNE I HERCEGOVINE I CENTRA TITO SKOPLJE.
NASKUPU JE IZNETA IDEJA DA KOMEMORACJA MARSALU TITU PRERASTE U TRADICIONALAN SKUP KOJI CE SE ODRZAVATI SVAKE GODINE. ISTO TAKO UCESNICI SKUPA SU IZRAZILI UVERENJE DA SE JUGOSLOVENSKE, LEVICARSKE I KOMUNISTICKE SNAGE SA PROSTORA SFRJ MORAJU UJEDINITI KAKO BI STO SPREMNIJE, ODLUCNIJE, OZBILJNIJE I JACE IZNELI ZAJEDNICKU BORBU ZA OBNAVLJANJE JEDENSTVENE JUGOSLOVENSKE DRZAVE. 
SPECIJALNI GOST NA SKUPU BIO JE GENERAL PUKOVNIK JNA U PENZIJI DRUG STEVAN MIRKOVIC.
JUGOSLOVENSKI CENTAR TITI I UDRUZENJE KOMUNISTA JUGOSLAVIJE U SRBIJI IZRAZAVAJU ZAHVALNOST PREDSTAVNICIMA I CLANOVIMA SVIM ORGANIZACIJA KOJI SU UZELI UCESCE NA SKUPU. 

DO POBEDE!!! 
SMRT FASIZMU!!! SLOBODA NARODU!!!



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Godišnjica smrti druga Tita

Friday, 04 May 2012 07:03

Danas, 4. maja, navršava se 32 godine od smrti druga Josipa Broza TITA! Delegacija Saveza komunista Bosne i Hercegovine, na čelu sa VD Predsjednikom Mirkom Racom odaće počast polaganjem vijenca u Kući cvijeća u Beogradu.

Kao ličnost, revolucionar i državnik, mnogo je osporavan od savremenih politikanata i kvaziistoričara koji svoju karijeru grade izmišljajući razne neistine iz Titovog života, a sve u cilju omalovažavanja uspjeha revolucije KPJ i NOR-a, te socijalističkog procesa. Prisvajaju ga lažni ljevičari koji licemjerno na Titovom liku grade svoju popularnost u narodu, istovremeno održavajući kapitalistički sistem protiv koga se Tito borio i čine sve da narod potčine pod NATO! Takvi političari službeno zagovaraju antifašizam a služe najvećim okupatorima današnjice! Na žalost, osporavaju ga i mnogi kvazi komunisti koji svojim frustracijama pomažu antikomunističkoj kampanji, negirajući djela KPJ i Tita. 

Ali naši narodi, radnici, nezaposleni, zemljoradnici, omladina... sve više uviđaju u kakav ambis su nas doveli kapitalistički i lažni ljevičarski političari; da su od dostojanstvenog naroda i države SFRJ, stvorili robove i banana države!

Savez komunista Bosne i Hercegovine je partija kontinuiteta radničkog pokreta Bosne i Hercegovine i Jugoslavije, te KPJ/SKJ, partija koja se ne odriče svog Generalnog sekretara Josipa Broza TITA sa svim vrlinama i manama! Pozivamo sve istinske lijeve snage i narod da se zajednički, s drugovima komunistima na Balkanu i u svijetu, borimo protiv kapitalizma i imperijalizma!


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http://www.glasistre.hr/istra/vijest/352479

TITOVI DANI U FAŽANI

Matošević: Nećemo dozvoliti da blate Titovo doba

Objavljeno: 05.05.2012 | 19:35
Zadnja izmjena: 06.05.2012 | 08:01

"Šaljemo poruku svim ultranacionalističkim, desničarskim i proustaškim pojedincima i grupicama da nećemo dozvoliti da blate Titovo doba", rekao je, praćen pljeskom mnošva okupljenih, predsjednik županijske Zajednice društava Josip Broz Tito Martin Matošević na narodnom zboru upriličenom u subotu, zadnjeg dana dvodnevne manifestacije Titovi dani u Fažani koji se ove godine obilježavaju u znaku 120. obljetnice rođenja Josipa Broza Tita.

- Idu toliko daleko da Tita žele proglasiti ratnim zločincem. U svojim nastojanjima služe se svim prljavim metodama. Najnovija je TV serija "Tajne službe Jugoslavije". U svojoj namjeri neće uspjeti jer većina naših građana nije zaboravila kako se živjelo pod Titovim vodstvom, naveo je Matošević.

Istaknuo je Glas Istre kao pozitivan primjer prikazivanja života i djela Josipa Broza Tita. U vrijeme Tita nije bilo nezaposlenih, liječenje i školovanje bilo je besplatno, a ljudi su bili zadovoljni i optimistični, dodao je.

- Raduje nas što je hrvatski Sabor donio odluku da više neće biti pokrovitelj komemoracije bleiburškim žrtvama već da će 18. studenog proglasiti danom svih hrvatskih stradalnika i da će u Sloveniji podignuti spomenik nevinim žrtvama, naveo je.

Njegov su govor aplauzom i usklicima "Živio Tito" ispratili brojni članovi istarskih društava Josip Broz Tito, koji su stigli iz podružnica cijele Istre. Pored bivše političke škole u Fažani okupile su se stotine štovatelja Titovog lika i djela s crvenim maramama oko vrata, bedževima i značkama s Titovim likom, kao i transparentima na kojima je pisalo "Tvornice radnicima", "Zemlja seljacima", "Tito legenda - socijalizam ne umire" te "Što je više kleveta i laži, Tito nam je sve miliji i draži".

Prigodnim su se govorima okupljenima obratili i predsjednik Društva Josip Broz Tito Fažane Engels Devescovi, predsjednik odbora za sport i kulturu Općine Fažana Mitar Gavočanov te član predsjedništva županijske SABA-e Miljenko Benčić.

Govori o Titovim postignućima ispreplitali su se s kulturno-umjetničkim programom koji su otvorili Mauricio Vinković i Drago Draguzet svirajući roženice, svoju je pjesmu recitirao Titov gardist Božo Caković, s recitacijom bivšeg boksača Marijana Beneša nastupila je Matilda Halambek, a zapažen je bio i nastup trija Paljarica.

Manifestacija je započela u petak poslijepodne izložbom s temom Tita i njegovog života, a nastavila se danas sportskim susretima uoči narodnog zbora. Titove dane u Fažani organiziraju županijska Zajednica društava J. B. Tito, Općina Fažana, fažanski TZ, te društva J. B. Tito Fažane i Pule pod pokroviteljstvom Općine Fažana i Istarske županije. 

(P. LUKEŽ, snimio D. ŠTIFANIĆ)






LETTERA AL PRESIDENTE NAPOLITANO (ZDRUŽENJE BORCEV ZA VREDNOTE NOB – CERKNICA)

 

Lettera al Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano di Miro Mlinar, Presidente dell’Associazione dei combattenti per i valori della lotta di liberazione nazionale di Cerknica (Slovenia). Sulle manipolazioni della fotografia in questione si veda anche il nostro dossier: http://www.diecifebbraio.info/dossier-foto-fucilati-di-dane-slovenia-31-luglio-1942/ 

 

Scarica QUI li pdf della lettera: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/04/Quirinale.12-ric.pdf


Pregiatissimo Signore 
Giorgio Napolitano 
Presidente della Repubblica italiana 
Palazzo del Quirinale 
Piazza del Quirinale, Roma

Pregiatissimo Signore,
siamo rimasti molto colpiti nell’apprendere che una fotografia che ci ricorda le dolorosissime esperienze che il nostro popolo ha sofferto sotto l’occupazione dell’esercito italiano per ben ventinove mesi, è ampiamente utilizzata nello Stato di cui Ella è presidente per aizzare all’odio verso il nostro popolo. Abbiamo appreso che l’uso di questa fotografia è partito dalla sua pubblicazione sul sito del Ministero dell’interno della Repubblica italiana e che, nonostante le rimostranze fatte l’anno scorso dalle Autorità slovene all’Ambasciatore Alessandro Pietromarchi, quest’anno la fotografia ha avuto una diffusione molto maggiore fino ad essere impiegata in una popolarissima trasmissione del servizio pubblico televisivo il 13 febbraio u.s. 
Ancora nel 2007, quando ha ancora parlato di “furia sanguinaria”, Ella ha ribadito “un solenne impegno di ristabilimento della verità”. E nel 2011, quando ha ricordato di aver detto al nostro presidente che bisogna “non restare ostaggi degli eventi laceranti del passato”, Ella ha ribadito che “ciascun paese ha il dovere di ricordare la propria Storia, di non cancellare le tracce delle sofferenze subite dal proprio popolo”. E poi quest’anno Ella ha affermato che “impegnarsi a coltivare la memoria e a ristabilire la verità storica è stato giusto e importante”. E in tutti questi anni Ella ha parlato della “congiura del silenzio”. Ma lo Stato italiano non si è limitato alla “congiura del silenzio”, bensì ha inventato, sostenuto e diffuso un “negazionismo” per quanto riguarda l’attività criminosa delle Forze armate e dell’Amministrazione civile italiane nei confronti del popolo sloveno, tanto nella provincia di Lubiana quanto nella Venezia Giulia, da condizionare una talmente crassa ignoranza che dirigenti scolastici e studenti universitari esibiscono la fotografia dei nostri concittadini trucidati dalla soldatesca italiana come prova delle violenze subite da civili italiani da parte dei partigiani sloveni. Comportamento ignominioso inimmaginabile in qualsiasi ambiente civile.
Eppure la legge del Giorno del Ricordo parla in generale “della più complessa vicenda del confine orientale” della quale fanno parte, per colpa dello Stato italiano, le nostre inenarrabili tragedie.
Dopo l’aggressione, senza la dichiarazione di guerra, italo-germanica del 6 aprile 1941siamo stati annessi al Regno d’Italia con il regio decreto legge 3 maggio 1941, n. 291, che istituiva la provincia di Lubiana. La nostra area faceva parte del distretto di Logatec (Longatico di 564,78 km2 e con 24.710 abitanti) ed è stata affidata alla Guardia di Frontiera dell’XI° Corpo d’Armata al cui comandante fu affidato l’internamento della popolazione civile. Un documento del 25 maggio 1942 ha previsto la deportazione della popolazione civile “della zona sud Koceviano e del solco di Lož-Stari trg” per un totale di 10-12 mila persone “quasi esclusivamente donne, bambini e vecchi”. Ma il 31 maggio 1942 con i reparti della Guardia alla Frontiera della zona è stato istituito l’XI° raggruppamento tattico agli ordini del colonnello Alberto Seraglia cui è stato in seguito unito l’VIII° battaglione CC.NN. “M”. Già il 29 e 30 giugno furono arrestate per la deportazione 255 persone.
La situazione si è aggravata a partire dal 16 luglio 1942 nel corso dell’offensiva del XI Corpo d’Armata che è durata fino al 4 novembre e dovrebbe essere conosciuta al popolo italiano come parte “della più complessa vicenda del confine orientale”. Quanto è successo nella nostra zona è descritto nelle relazioni di Umberto Rosin, commissario civile del distretto di Logatec (Longatico). Per quanto è successo nella parte orientale della nostra zona, rastrellata dalla divisione “Granatieri di Sardegna” comandata dal generale di divisione Taddeo Orlando, si ha una narrazione struggente nel diario di Pietro Brignoli cappellano militare del 2° reggimento granatieri, comandato allora dal colonnello Umberto Perna, pubblicato nel 1973 con il titolo “Santa messa per i miei fucilati”. Importantissime sono le considerazioni pubblicate alle pagine 124-127.
Come dettaglio che illustra i fatti del tempo e della ristrettissima zona in cui fu scattata la fotografia in questione indichiamo i delitti commessi in soli quattro giorni:
a) 29 luglio 1942 a Dane passate per le armi 8 persone: tre donne, cinque maschi; 
b) 29 luglio 1942 a Grajševka passato per le armi 1 maschio; 
c) 29 luglio 1942 a Jermendol passati per le armi 9 maschi; 
d) 29 luglio 1942 a Podcerkev passati per le armi 5 maschi; 
e) 30 luglio 1942 a Podgora passati per le armi 2 maschi; 
f) 30 luglio 1942 a Babno polje passati per le armi 40 maschi; 
g) 30 luglio 1942 a Lož passati per le armi 7 maschi; 
h) 31 luglio 1942 a Križna gora passati per le armi 5 maschi; 
i) 1° agosto 1942 ad Ulaka passati per le armi 27 maschi;

Tra questi 104 (sui 271 passati per le armi nei mesi di luglio ed agosto dai reparti al comando del colonnello Seraglia) si trovano alla lettera h) i cinque fucilati della fotografia in questione, costretti prima della fucilazione a scavare la propria tomba. Che così i soldati italiani usavano fare soffrire la popolazione civile slovena lo provano cinque fotografie scattate probabilmente il 25 luglio 1942 con l’ intervento di un reparto di camicie nere a Zavrh a nord di Lož.
Lo Stato italiano si è impegnato con l’articolo 29 dell’armistizio lungo del 29 settembre 1943 all’immediato arresto e consegna alle Forze delle Nazioni Unite delle persone indicate come criminali di guerra. Questo impegno è stato confermato con l’articolo 45 del trattato di pace con l’Italia del 10 febbraio 1947, ma non ci risulta che la Repubblica italiana abbia onorato questo impegno. Il comandante della divisione “Granatieri di Sardegna” Taddeo Orlando (nominato il 26 marzo 1943 cavaliere dell’Ordine militare di Savoia per l’attività svolta in Slovenia dal maggio 1941 al settembre 1942) era comandante generale dei Carabinieri quando Mario Roatta, generale già comandante della 2a Armata (Comando superiore FF. AA. Slovenia-Dalmazia) dal 18 marzo 1942 al 4 febbraio 1943, era in arresto per altre imputazioni. Il 4 marzo 1945 Roatta poté fuggire grazie alla connivenza di Orlando. Della sorte del colonnello Umberto Perna e del colonnello Alberto Seraglia non si sa nulla, del comandante dell’VIII° battaglione CC.NN. “M” non conosciamo nemmeno il nome. Il mancato rispetto degli impegni presi per la punizione dei criminali di guerra certamente non fa onore all’Italia, come non fa onore il mancato rispetto degli articoli 185--189 del Codice penale militare di guerra. E dopo questo disonore si è arrivati anche all’indecente appropriazione dei nostri caduti. 
Noi siamo convinti che Ella come galantuomo provvederà a far cessare l’abuso della fotografia in questione che disonora la Repubblica italiana sia dal punto di vista di falso storico sia dal punto di vista di uno scriteriato vittimismo nazionalista. Inoltre noi ci aspettiamo di vederLa impegnata a far conoscere al popolo italiano quella parte “della più complessa vicenda del confine orientale” che riguarda la popolazione slovena della Provincia di Lubiana e della Venezia Giulia. Ci permettiamo pure di consigliarLe di impegnarsi affinché il Giorno del Ricordo venga spostato al 10 giugno in ricordo della nefasta aggressione alla Francia, data del vero inizio delle disgrazie del popolo italiano. Siamo infatti certi che con tale cambiamento crescerà la credibilità dello Stato italiano. Inoltre auspichiamo che ci vengano forniti i dati completi sull’attività dei reparti operanti nella nostra zona insieme con i dati sugli ufficiali di tali reparti. Non per intentare dei tardivi procedimenti penali, ma semplicemente per poter procedere ad una descrizione completa “della più complessa vicenda del confine orientale” in cui fummo, nostro malgrado, tragicamente coinvolti.
Il nostro movimento di liberazione ha considerato i soldati italiani e il popolo italiano delle vittime del fascismo. I soldati presi prigionieri furono rispediti ai loro reparti dopo un tentativo di convincerli di passare dalla parte giusta. Il problema dei “militari prigionieri restituiti dai ribelli” preoccupava i comandi italiani quantomeno dal 29 gennaio 1942. Nel marzo del 1942 il Partito comunista della Slovenia ha diffuso un volantino in cui si diceva “che all’Italia associata con la Germania toccherà una terribile sconfitta sul mare, sulla terra ed in cielo dalle forze unite di Russia, Inghilterra e d’America e di tutti i popoli del mondo che amano la libertà”. Il 28 maggio 1942 un commissario politico ha scritto al comandante di un presidio italiano: “Noi, che ci spetta la responsabilità di questa guerra, siamo coscienti che lo scopo della nostra lotta non è lo sterminio del popolo italiano, bensì la liberazione del popolo sloveno dal tallone dello straniero, ma anche la liberazione dell’Italia e di tutto il mondo dal giogo fascista di mancanza di diritti, di terrore, di miseria e di guerra, per la fratellanza e la pace tra i popoli”. Pochissimi militari italiani hanno fatto la scelta giusta e soltanto nell’aprile del 1943 fu possibile costituire il primo modestissimo reparto partigiano italiano. Dopo l’8 settembre 1943 fu chiesto a tutti i reparti italiani di unirsi all’esercito sloveno per combattere contro le forze armate germaniche. Anche allora i militari italiani non hanno aderito, ma ciò non ostante sono stati aiutati dal nostro esercito a rimpatriare. Il 73° reggimento fanteria, partito con altri reparti da Metlika, ha attraversato la nostra zona il 13 settembre 1943 ed è arrivato illeso alle porte di Trieste.
Complessivamente il popolo sloveno, trattenendo (tra Provincia di Lubiana e Venezia Giulia) quasi 90.000 soldati italiani, ha contribuito in misura ragguardevole alla caduta del fascismo, permettendo all’Italia di diventare cobelligerante, e, successivamente, ostruendo le vie per il rifornimento dell’esercito germanico, alla liberazione dell’Italia. 
Infine ci permettiamo di svolgere alcune considerazioni che riteniamo veramente indispensabili per capire il passato.
Fin dai tempi biblici si sa che “Chi semina vento, raccoglie tempesta”. Come laureato in legge Ella senz’altro conosce l’antica massima giuridica “Quod est causa causae est causa causati”. Ma fondamentale è la quarta parte delle considerazioni di don Pietro Brignoli: “Di tanti e così gravi mali (e son ben lungi dall’averli enumerati tutti) è madre la guerra. Spunti quindi il giorno in cui tutti gli eletti combattano da eroi contro di essa.
Ora, lasciare il popolo italiano ad ignorare la causa della causa ed incolpare del causato il popolo sloveno, equivale all’aizzare contro un popolo che ha combattuto per i valori fondanti della futura Unione europea, ed allo stesso tempo costituisce un esecrabile sostegno alle elucubrazioni ed alle macchinazioni degli eredi spirituali del fascismo.
 
Con ossequio
Cerknica, 29 febbraio 2012
Miro Mlinar 
presidente dell’associazione dei combattenti per i valori della lotta di liberazione nazionale di Cerknica

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ZDRUŽENJE BORCEV ZA VREDNOTE NOB - CERKNICA 
ASSOCIAZIONE DEI COMBATTENTI PER I VALORI DELLA LLN - CERKNICA

Lettera al pregiatissimo signore Giorgio Napolitano 
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

INDICE DEGLI ALLEGATI

1. Fotografia della fucilazione di cinque abitanti di Dane su Križna gore il 31 luglio 1943 (dal libro »Zbornik fotografij iz narodnoosvobodilnega boja slovenskega naroda 1941-1945«, II, 1., p. 365, Ljubljana 1959, già pubblicata nel libro »Mučeniška pot k svobodi«, p. 31, Ljubljana 1946).
2. Due fotografie dello scavo delle tombe da parte dei fucilandi il 25 luglio 1942 presso Zavrh (dal libro »Zbornik fotografij...« citato, p. 371; la prima fotografia è stata già pubblicata nel libro »Mučeniške pot ...«, p. 30). 
3. Tre fotografie dello scavo delle tombe da parte dei fucilandi il 25 luglio 1942 presso Zavrh (dal libro »Zbornik fotografij...« citato, p. 372).
4. Relazione del commissario civile di Logatec Umberto Rosin del 20 luglio 1942 e relazione dello stesso del 30 luglio 1942 (dal libro di Tone Ferenc »Si ammazza troppo poco«, p. 153, documenti n. 21 e n. 22, Ljubljana 1999). 
5. Relazione del 30 luglio 1942 (dal libro »Si ammazza...«, p. 154, documento n. 22). 
6. Relazione del 30 luglio 1942 (dal libro »Si ammazza...«, p. 155, documento n. 22). 
7. Relazione del 30 luglio 1942 (dal libro »Si ammazza...«, p. 156, documento n. 22). 
8. Relazione del 30 luglio 1942 (dal libro »Si ammazza...«, p. 157, documento n. 22). 
9. Relazione del commissario civile di Logatec Umberto Rosin del 30 luglio 1942 e Relazione dello stesso del 31 agosto 1942 (dal libro si Tone Ferenc »Si ammazza...« , p. 159, documento n. 23 e p. 160, documento n. 26, Ljubljana 1999).
10. Relazione del 31 agosto 1942 (dal libro »Si ammazza...«, p. 161 e 162, documento n. 26, Ljubljana 1999). 
11. Considerazioni del cappellano militare del 2° reggimento »Granatieri di Sardegna« Pietro Brignoli (dal libro »Santa messa per i miei fucilati«, pp. 124-127, Milano 1973).
12. Trascrizione del documento del comandante dell'XI° Corpo d'Armata generale Mario Robotti del 25 maggio 1942 sullo »Sgombero delle popolazioni« (dal sito »http://www.criminidiguerra.it/ARBISS1.shtml«). 
13. Nomi originali e nomi italianizzati dei comuni della Provincia di Lubiana (da Provincia di Lubiana in Wikipedia); si vede che si è trattatato di una proposta di »pulizia etnica« nel campo della toponomastica perchè per alcuni comuni non è stata ancora operata la scelta tra le due forme proposte.
14. Quadro di battaglia della Guardia alla Frontiera del V° e dell'XI° Corpo d'Armata al 30 novembre 1942 (dal libro di Massimo Ascoli »La guardia alla frontiera«, p. 355 e 356, Roma 2003) con parziale applicazione della »pulizia etnica« toponomastica.

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ZDRUŽENJE BORCEV ZA VREDNOTE NOB - CERKNICA 
ASSOCIAZIONE DEI COMBATTENTI PER I VALORI DELLA LLN - CERKNICA

Lettera al pregiatissimo signore Giorgio Napolitano PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA ITALIANA

AGGIUNTA
Annessionismo

Si ha notizia di un promemoria (da verificare) con cui l'ambasciatore del Regno di Sardegna conte Cotti di Brusasco nel 1817 avrebbe segnalato all' imperatore russo Aleksandr I il desiderio del suo sovrano Vittorio Emanuele I di estendere i propri dominii fino alle »Alpi della Carniola«.
Nel 1845 è stato pubblicato a Torino il libro »Le Alpi che cingono l' Italia considerate militarmente« che con l'allegata carta geografica costituisce la base »scientifica« per la teoria del »confine naturale« lungo la linea di displuvio. Ma tale linea è stata tracciata senza tener conto della natura carsica del territorio e dei corsi sotterranei delle acque.
Intorno al 1880 la casa editrice Francesco Vallardi di Milano ha pubblicato la carta geografica »Le Alpi Giulie colle loro Dipendenze italiane del Friuli Orientale ed Istria« con il »Diversorio dell'acqua e confine naturale« che passa per Ljubljanski vrh (819 m) a soli 22 km da Lubiana. Qualche edizione di questa carta riporta due linee arretrate, probabilmente in relazione alla constatazione che in questa zona i corsi d'acqua si inabbissano.
Nel 1918 la brigata Avellino ha marciato verso il presunto »confine naturale« ma quando il presidente del Consiglio nazionale di Logatec ha fatto presente al comandante che si trova ben oltre la linea spartiacque il comandante ha risposto che vede che l'acqua si inabissa, ma non vede dove corre sotto terra. Così l'esercito italiano ha occupato per la prima volta la zona di Logatec, rimanendovi fino all'attuazione del Trattato di Rapallo.
Poi sono arrivati il 6 aprile e il 3 maggio 1941 con tutte le conseguenze prevedibili e previste.
Allegati: 
a) Le Alpi Giulie colle loro dipendenze italiane del Friuli orientale ed Istria (il »confine naturale« nella zona Logatec (Loitsch inf.) - Lož (Laas)), b) Carta corografica (1:200.000) della zona in questione (a colori).





Quattro eroi per la liberta’ italiana


Aurelio Montingelli
25.04.2012

Poletaev, Musolishvili, Bujanov, Avdeev. Quattro eroi sovietici caduti per la liberta’ italiana. Quattro Medaglie d’oro al Valor militare.

Da Mosca la Voce della Russia!

AUDIO: http://m.ruvr.ru/data/2012/04/25/1265095073/4_eroi_per%2520la%2520liberta_italiana.mp3


        Bisogna essere grati all’Avvenire di aver introdotto il tema del 25 aprile con un articolo che gia’ nel titolo prende le distanze da quell’atteggiamento di sufficienza e di indifferenza verso la Russia, oggi prevalente sia a destra che a sinistra.     

Nel suo “Sangue russo per l’Italia libera” Castellanni ha voluto dare un taglio e un colore piu’ letterario che documentario alla storia di Fedor  Poletaev.un soldato sovietico che fuggito da un campo nazista  in Italia si era unito ad un reparto partigiano che operava nella zona di Cantalupo Ligure per cadere da eroe nel febbraio del 1945.

Pochi mesi piu’ tardi egli fu insignito della Medaglia d’oro al valor militare.

Su Poletaev, di cui all’inizio non si conosceva il nome esatto, sono stati scritti dei libri e girati dei film. E’ il partigiano sovietico su cui si e’ posata una certa attenzione dei media e forse della letteratura se e’ vero che Fenoglio si sia ispirato alla sua storia per tratteggiare la figura di Volodka, il soldato russo che compare in “Il partigiano Jonny”.

E’ forse per questo che Castellani scrive che Poletaev” e’ l’unico partigiano straniero medaglia d’oro al valore militare in Italia”.

I partigiani russi decorati in Italia con la Medaglia d’oro al valor militare sono invece quattro: Fedor Poletaev, Kristofor Musolishvili, Nikolai Bujanov, Danil Avdeev. Un numero altissimo se pensiamo che in duecento anni di storia la Medaglia d’oro al valor Militare e’ stata conferita a poco piu’ di duemila persone.

Quattro soldati che rappresentano al meglio quei cinquemila cittadini  sovietici   che in terra straniera non ebbero dubbi su chi fosse il nemico da battere.

Le loro storie sono molto simili come leggiamo nelle motivazioni del conferimento dell’ ultima onorificenza concessa nel 1994

Danil Avdeev

Ufficiale della cavalleria sovietica, si sottraeva alla deportazione nazista e attraverso la Svizzera, guidando un gruppo di connazionali, dopo dura e arditissima marcia, giungeva nelle prealpi Carniche in Friuli. Qui, riuniva in un reparto unico tutti i cittadini sovietici sfuggiti alla prigionia nazista e si metteva agli ordini del comando Garibaldi del Friuli, operando con coraggio e sagacia contro il comune nemico.

Nel novembre del 1944, durante la violenta offensiva nazista lungo le valli dell’alto Tagliamento e dell’Arzino, Danil Avdeev, con alcuni partigiani, nel tentativo di far saltare la strada da dove irrompeva il nemico, venne sopraffatto da ingenti forze naziste e dopo strenua ed eroica difesa che permetteva lo sganciamento dei partigiani italiani, cadde in un sublime atto di eroismo donando la sua giovane vita alla causa della liberazione d’Italia.

Pierlungo di Vito d’Asio in Friuli, 15 novembre 1944.

Kristofor Musolishvili invece era entrato in contatto con i partigiani italiani dopo una fuga di massa da un campo di concentramento nazista con un carico di armi e munizioni. Una storia incredibile che lui faceva raccontare agli altri per innata modestia. Era nato in una povera famiglia di contadini, in un villaggio sperduto fra i monti della Georgia.

Nell’ultimo combattimento della sua vita, prima di darsi la morte per non cadere nelle mani del nemico, nelle campagne del novarese riusci’ ad abbattere  piu’ di 70 soldati nazisti e repubblichini. Era il dicembre del 1944.

La medaglia d’oro gli fu conferita dal presidente Sagarat nel 1970. Una piccola delegazione, fra cui un giornalista di Radio Mosca, si reco’ in Georgia per consegnare l’onorificenza alla vecchia madre.

Peccato che la corrispondenza di Nikolai Kulikov non si sia conservata nei nostri archivi, ma ricordo come descrisse la madre dell’eroe. Una donna alta, il volto scavato sormontato da una crocchia di capelli bianchi, l’eterno vestito nero. Solo in quel momento comprese che il figlio non sarebbe piu’ tornato.

 Nikolai  Bujanov, meno fortunato dovette tentare la fuga per ben quattro volte. Ma nel giugno del 1944 riusci’ a raggiungere la compagnia “Chiatti” che operava sui monti di Castelnuovo dei Sabbioni. In Ucraina la sua famiglia era stata sterminata dall’invasore e in ogni scontro con i tedeschi si sentiva che aveva un conto aperto con loro.

Dopo un mese il suo nome era diventato una leggenda e come un eroe leggendario cadde con la mitragliatrice in pugno riuscendo a porre in salvo i suoi compagni d’arme.

Poletaev,

Musolishvili,

Bujanov,

Avdeev.

Quattro eroi sovietici caduti per la liberta’ italiana.

Quattro Medaglie d’oro al Valor militare.





Da: Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

Oggetto: inaugurazione giovedì 10/5 a Parma Palazzo Giordani mostra sui crimini fascisti in Jugoslavia 1941-1945 

Data: 08 maggio 2012 20.47.12 GMT+02.00


Da giovedì 10 maggio a venerdì 25 maggio si terrà a Parma, a Palazzo Giordani sede della Provincia (viale Martiri della Libertà, 15), la mostra storico-documentaria, di immagini e testi, "Testa per dente" [http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/] sui crimini dell'Italia fascista in Jugoslavia 1941-1945, organizzata dal Comitato antifascista e per la memoria storica e dalla Provincia di Parma, Assessorato alla scuola e cultura. 
L'inaugurazione, con gli interventi dell'assessore G. Romanini, del presidente onorario del Comitato R. Spocci, e del curatore della mostra P. Consolaro, sarà giovedì 10 maggio alle 17.30 a Palazzo Giordani.