Informazione


Le tradizioni nazifasciste della stampa italiana

1937: Guernica, menzogne italiane
2012: I fascisti e il Corsera 

(fonte: Il Manifesto - www.ilmanifesto.it )


=== 1937 ===


Fonte: il manifesto | Autore: Angelo D'Orsi
27 aprile 2012

Guernica, menzogne italiane

Allineata e coperta per volontà del Duce, la stampa italiana costruì menzogne per nascondere la verità sulla distruzione della città basca. Con l’avallo di autorevoli penne ancora oggi celebrate 

Il 29 aprile 1937 il Corriere della Sera dà notizia della distruzione di Guernica, l’antica storica capitale di Euskadi, avvenuta tre giorni prima, il 26 aprile, un lunedì pomeriggio. Il primo articolo del Corriere ha un titolo emblematico, che coglie perfettamente nel segno, ma rovesciando le cose: Come si falsa la Storia. La distruzione di Guernica e le menzogne della democrazia internazionale. Di qui si può capire perché quell’evento possa esser considerato l’esempio e quasi il modello del ribaltamento della verità, a cui tante volte abbiamo poi assistito nel corso del XX e dei primi decenni del XXI specie in relazione ad eventi militari. Non è solo il Corriere a prestarsi all’operazione di costruire menzogne per nascondere le menzogne. È tutta la stampa italiana, allineata e coperta alla volontà del duce, in quell’anno terribile che fu il 1937, quando il fascismo, reduce da una guerra – l’Etiopia, con la «conquista dell’Impero» tornato «sui colli fatali di Roma» – si è immediatamente impegnato in un’altra guerra, quella contro los rojos spagnoli, guerra di cui Mussolini come Hitler capiscono subito l’importanza ideologica, prima che strategica. Con il sostegno decisivo della Chiesa cattolica spagnola, sia, un po’ più defilate, delle gerarchie vaticane, i sedicenti volontari italiani (che raggiunsero la cifra di 120.000) inviati dal regime fascista e la potente rinata, aeronautica militare del Terzo Reich, trasformano una sedizione militare, già sul punto di fallire, in un’aggressione internazionale a uno Stato europeo, usando il terrore di massa. E la menzogna per giustificarlo o occultarlo. 
Ma esisteva una stampa indipendente internazionale, e grandi reporter (a cominciare da George Steer, l’australiano, mitico corrispondente del Times e del New York Times) che si recarono sui luoghi e inviarono vere corrispondenze di guerra, in grado di inchiodare nazisti, fascisti e franchisti alle loro colpe. 
Il caso di Guernica è emblematico. Le menzogne del comando di Franco – balbettante fra diverse versioni, ma tutte coincidenti nell’attribuire la responsabilità ai rossi – si rivelano presto insostenibili davanti alle circostanziate denunce dei giornali britannici francesi e americani. Quelli italiani persistettero nel loro repertorio di sciocchezze e menzogne, tanto più desolante, se si pensa che ne furono protagoniste grandi firme, che, nel dopoguerra si riciclarono tranquillamente nella stampa “democratica” e ancora oggi sono considerate stelle del giornalismo italiano, come Luigi Barzini che, sul Popolo d’Italia (il quotidiano di Mussolini), scrisse articoli vergognosi quanto superficiali. 
La campagna su Guernica assunse un tono prevalentemente antibritannico, anticipazione della assordante propaganda contro «il popolo dei cinque pasti», che già avviata dopo le sanzioni all’Italia per l’aggressione all’Etiopia nel 1935, diverrà ossessiva durante la guerra mondiale. Non potendo negare la distruzione della città santa dei Baschi, si insiste sulla menzogna: sono stati i repubblicani in fuga, e si disegna la trama classica del complotto internazionale, su cui a partire dall’attacco all’Etiopia, e alle successive sanzioni contro l’Italia, la pubblicistica fascista si è scatenata, in un crescendo che toccherà i suoi picchi massimi nella Seconda guerra mondiale. Scrive il Popolo d’Italia che i francesi del Fronte Popolare, «prendendo a pretesto la distruzione di Guernica per attribuirla all’aviazione nazionale, piuttosto che alle torce incendiarie dei repubblicani fuggiaschi», hanno collaborato a «intorbidire l’atmosfera internazionale»: accanto a loro, «i demagoghi ispirati dalla bibbia anglicana con i seguaci di Carlo Marx e i fratelli massoni». Nell’idea della cospirazione internazionale, invece degli ebrei sono i protestanti, gli anglicani, che complottano con i marxisti, e, naturalmente, con i massoni. 
L’altro elemento che entra nel modello Guernica, ci riporta sotto gli occhi un altro luogo comune delle guerre coloniali, dalla Libia del 1911 all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia 2011. Gli invasori sono i «liberatori». Tale Riccardo Andreotti firma sulla Gazzetta del Popolo un articolo che fissa un vero canone interpretativo: «Guernica è apparsa alle truppe liberatrici quasi completamente rasa al suolo dalla furia devastatrice dei rossi che, prima di abbandonarla, l’hanno data alle fiamme». 
Un altro inviato speciale, Renzo Segàla (altro “grande nome” del giornalismo nazionale), sul Corriere della Sera presenta un quadro che sembra riprodurre i suoi stessi servizi da Addis Abeba occupata dalle truppe italiane all’incirca un anno prima: gli invasori sono salutati dalle popolazioni locali come liberatori, vengono ben accolti nelle città (e in special modo a Guernica, si precisa con straordinaria spudoratezza): in confronto a quanto fatto dai rossi a Guernica, Pompei può ancora sembrare una città abitabile. 
Su La Stampa attraverso uno dei suoi inviati di punta, Sandro Sandri (destinato morte prematura, in quello stesso anno ’37, dopo aver avuto il tempo di pubblicare un libro encomiastico verso il generale Graziani, il massacratore degli africani), fa capire, fin dal titolo, che non la verità dei fatti, ma la fedeltà politica stanno a cuore al giornale: Guernica ridotta in cenere dai dinamitardi comunisti. Il racconto vuol essere una dolente epopea capace di commuovere e insieme indignare. Mentre lungo la strada una folla commossa ed entusiasta di contadini accorsi dai villaggi vicini faceva ala al passaggio delle truppe, benedicendo ed acclamando, uno spettacolo terribile si presentò ai nostri occhi, non appena fummo nell’abitato (… ) un silenzio desolante regnava nelle vie di Guernica, su cui la barbarie rossa ha compiuto un crimine che supera di gran lunga l’incendio di Eibar. Quella di Guernica bombardata dai nacionales o loro alleati non è che una «stupida panzana». Ancora Il Popolo d’Italia ritorna sull’argomento, con parole che vorrebbero chiudere la bocca ai malevoli che parlano di bombardamento. A leggerle oggi v’è di che rimanere quasi sedotti da tanta disinvoltura: Ho compiuto oggi un doloroso pellegrinaggio fra le rovine ancora fumanti di Guernica (…) e ho potuto constatare che le case erano distrutte da incendi e che gli incendi dimostravano origine identiche. Ciò mi ha portato a credere che erano stati appiccati dall’interno. Non ho visto il minimo segno di bombe lanciate dall’alto, né ho osservato segni di esplosioni di bombe di aerei nelle vicinanze dei fabbricati. 
Siamo alla ipostatizzazione della menzogna, alla costruzione di un paradigma: se esso rimarrà vigente in Spagna, per i successivi quattro decenni, in Italia comincerà a essere incrinato solo dopo il fascismo, pur rimanendo in qualche modo in circolazione il germe del dubbio, capace se non di rovesciare la verità, quanto meno di farla apparire traballante. Insomma, il modello di una storia assurdamente “paritetica”: «Furono i tedeschi, ma agirono di testa propria, e non si esclude che gli stessi repubblicani abbiano collaborato in qualche modo…». 
Su questa strada si arriverà alle posizioni di revisionismo storiografico anche assai greve, negli ultimi decenni. Revisionismo che investirà anche, e soprattutto, il quadro di Picasso, la più efficace e drammatica testimonianza e insieme denuncia del massacro della ciudad sagrada del popolo basco. Ancora oggi capita di leggere su siti, giornali e libri che quel quadro era in realtà stato già dipinto e che il furbo pittore lo riciclò, per venderlo alla Repubblica. 
Anche per combattere tante menzogne, e mezze verità, in occasione del 75° del bombardeo si è tenuto a Guernica (Gernika nella grafia basca), un importante simposio internazionale organizzato dal Museo della Pace, e dall’annesso ricchissimo Centro di Documentazione (www.museodelapaz.org/es/docu-historia.php): è stato fatto il punto sulle conoscenze, interrogandosi sulle ragioni, gli attori, i risultati. Guernica ne è stata confermata come un esperimento che anticipa la guerra totale, con il suo terrore e le sue menzogne. È emerso, in questo primo convegno dedicato al martirio della città basca, un quadro esauriente delle ripercussioni del bombardamento, con una specie di catalogo delle menzogne, nel quale quelle italiane hanno risaltato. Al punto che un convegnista britannico ha chiesto come questo potesse spiegarsi, e ha avanzato un’ipotesi, a cui non ho saputo replicare: gli italiani popolo di guitti e mentitori, da Barzini a Berlusconi?


=== 2012 ===


Fonte: il Manifesto | Autore: Alessandro Robecchi
4 maggio 2012

I fascisti e il Corsera

Un infortunio giornalistico può sempre capitare. Ma l'errore in cui è incorso Pierluigi Battista, illustre commentatore e vicedirettore del Corriere della Sera, è un caso di scuola, una specie di esempio luminoso di cosa accade quando si scrive per tesi precostituite. I fatti separati dalle opinioni, si diceva un tempo, e mai come in questo caso lo slogan è azzeccato: i fatti qui, visibili, controllabili, stampati su foto e filmati. E le opinioni, invece, già belle e confezionate. Dunque ecco.

Il primo maggio sul Corriere Battista firma un denso editoriale dal titolo: «Cgil, perché è vietato ricordare Ramelli?». Nel resoconto di Battista si fronteggiano due realtà: una è il presidio antifascista della Cgil che si propone di «ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l'uccisione di Sergio Ramelli», giovane di destra assassinato nel '75. Una cosa proprio brutta, su cui Battista non risparmia toni apocalittici: «lugubre decennio», «teste e coscienze penosamente aggrappate al passato», «fragorosa e rituale protesta». Insomma, i cattivi del solito antifascismo.

Dall'altro lato, invece, gli amici e i camerati di Ramelli, che onorano il loro amico con «un elementare esercizio di pietà». Lo scenario che si presenta ai lettori del primo quotidiano italiano per mezzo di una delle sue penne più illustri è dunque questo: antichi e rancorosi facinorosi ostacolano la sacrosanta pietà. Abbastanza per suscitare qualche curiosità e per scoprire alcune cose che qui si elencano come semplici dati di fatto.

1. La sacrosanta pietà degli amici di Ramelli consisteva in una riunione in una sala della Provincia di Milano gentilmente concessa dal presidente Podestà (Pdl) e pietosamente intitolata "Milano burning". Presenti le sigle più minacciose della destra fascista e nazista cittadina, con personaggi già noti alla questura e alle autorità in un tripudio di simboli, slogan e paccottiglia fascista.

2. Il presidio antifascista davanti alla Camera del Lavoro, sita a pochi metri, è stato indetto dalla stessa Camera del Lavoro (ha aderito l'Associazione ex deportati) per un motivo molto semplice: in analoghe occasioni certi raduni "pietosi" erano sfociati in raid e provocazioni. Il presidio consisteva in una discreta presenza, canti, discorsi. Età media (purtroppo) alta. Chi voglia vedere le fotografie di queste «teste e coscienze aggrappate al passato» può andare a quest'indirizzo, bit.ly/JgkD0S, e vedrà di che razza di facinorosi si tratta.

3. «L'elementare esercizio di pietà» così ben descritto da Battista è sfociato in una manifestazione, questa sì assai lugubre. In fila per cinque con i labari e le croci celtiche, le svastiche tatuate, il grido «Camerata Ramelli, presente!», gli «A noi!», e tutto il repertorio. Il video, veramente agghiacciante, è qui: bit.ly/JNEFU9 . Ognuno può rendersi conto dell'affronto che queste immagini rappresentano per Milano, città medaglia d'oro della Resistenza, che è poi la città del Corriere della Sera, lo stesso che tante belle e preziose pagine confeziona ogni anno in occasione del giorno della Memoria.

In sostanza: un semplicissimo gioco di ribaltamento: la "cattiva" Cgil ancorata al passato e i pietosi giovani di destra che commemorano il loro caduto. Questo sanno i lettori del Corriere. Cioè l'esatto opposto di quel che è successo realmente. Sarebbe bastato leggere le cronache pubblicate dallo stesso Corriere il giorno prima. Sarebbe bastato cercare un po' in rete, magari dare un'occhiata al corteo nazifascista. Ma l'opinione preconfezionata ne avrebbe forse risentito, e allora perché farlo?

Viste quelle immagini, poi, si è cercato sul Corriere qualche cenno di errata corrige, qualche velata scusa, qualche ritrattazione, un pietoso (questo sì) «mi sono sbagliato». Invece niente. E dunque, vien da pensare, non un banale errore giornalistico, ma qualcosa di più. Irresistibile, per esempio, l'incipit del pezzo di Pierluigi Battista, che così recita: «Sinceramente non si capisce perché la Cgil, che pure avrebbe molti impegni da onorare in questo terribile periodo di crisi del lavoro debba prodigarsi per organizzare un presidio antifascista...». «Sinceramente», mi raccomando. Insomma: nazisti, vittime degli anni bui, sprangate, labari e croci celtiche non c'entrano niente, e quel che si voleva era mettere un po' al suo posto la Cgil. Tutto qui. Tutto semplice e lineare. La vergogna di cinquecento neonazisti che marciano inquadrati militarmente per Milano scimmiottando le coreografie berlinesi degli anni Trenta non conta. Ma che importa: leggendo soltanto l'accorato commento di Battista - lontano anni luce da fatti comodamente controllabili - i lettori del Corriere non lo sapranno.





INTERVISTA A NERINO GOBBO “GINO”



È recentemente scomparso Nerino Gobbo “Gino”, comandante del II settore della città di Trieste al momento della Liberazione. Nel corso di alcune interviste ci ha raccontato la sua storia, che riassumiamo qui.

- Gino, si sono dette tante cose su Nerino Gobbo, “spietato commissario del popolo”, “infoibatore”, ed altro. Ma chi è veramente Gino?

- Io sono nato a Rovereto, nel 1920 e la mia famiglia si stabilì a Trieste quando ero ancora molto piccolo. Avevo avuto dei problemi di salute e ci consigliarono di trasferirci in una città di mare, così venimmo a Trieste. Abitavamo nella corte di Fedrigovez, una zona di casette mono e bifamiliari nel rione di San Giovanni.

- Sì, conosciamo il posto, ci viviamo anche noi!

- Davvero? Ecco, questa è proprio una bella coincidenza. Ma andiamo avanti. Mio padre faceva il sarto, lavorava presso la ditta Beltrame, un grande negozio di sartoria ed abbigliamento, ed era considerato un ottimo sarto, tagliatore per abiti da donna. Sapete come perse il lavoro? Mio padre frequentava l’osteria detta del “Caligareto”, quella in via Giulia, all’ingresso della corte. Una sera, qualcuno disse che il governo aveva vietato di dire Messa in sloveno, e lui commentò che se la gente non ha più nemmeno il diritto di pregare nella propria lingua, allora vuol dire che siamo proprio messi male. Il giorno dopo, il padrone del negozio lo mandò a chiamare e gli disse che gli spiaceva, ma non poteva più farlo lavorare perché si era espresso contro il governo. Così da quel momento dovemmo tirare la cinghia, solo perché mio padre aveva detto quelle parole, che evidentemente qualche spione che frequentava l’osteria doveva avere riferito a “chi di dovere”.

Quindi ho dovuto iniziare a lavorare da giovanissimo per aiutare la famiglia, ma sono riuscito a non rinunciare all’alpinismo e alla speleologia, che erano le mie passioni nel tempo libero.

- Dicono che Gino era stato istruttore della GIL [1].

- Anche questo è un modo per cercare di screditare una persona. Io sono stato chiamato alla leva ed ho prestato servizio militare presso la Scuola Militare di Alpinismo ad Aosta, nel Battaglione Duca degli Abruzzi, dove ho fatto l’istruttore. La scuola istruiva gli alpini sulle tecniche di arrampicamento, sia su roccia che su ghiaccio, e sulla tecnica dello sci, teneva anche corsi di addestramento alpinistico agli ufficiali che uscivano dall’accademia militare prima che fossero assegnati alle singole unità.

Noi che eravamo stati già prima istruttori alla scuola del CAI [2] di Trieste fummo per questo mandati alla scuola militare, che inviava i propri istruttori ai corsi di alpinismo del CAI presso altre regioni ad organizzazioni che ci richiedevano. Noi istruttori della scuola militare non avevamo nulla a che fare con la GIL: faccio questa precisazione perché si è ripetutamente cercato di far credere che gli istruttori della Scuola Militare di Alpinismo erano comandati dalla GIL, cosa del tutto falsa. Una dimostrazione della distanza che c’era tra noi e la GIL s’è vista al corso tenuto al Passo Sella in Val Gardena. Lì sentimmo la notizia della caduta di Mussolini: allora i capi della GIL, visto il clima di giubilo esploso tra i corsisti, se ne sono andati lasciando i ragazzi allo sbando. E siamo stati invece noi istruttori che ci siamo impegnati per fare tornare i corsisti alle loro case. È vero che sulle tessere del CAI c’era la stampigliatura della GIL, ma questo non significa che noi ne facessimo parte.

Devo aggiungere che quasi tutti noi cercavamo di seguire la situazione di Trieste e cosa accadeva in Slovenia. Ascoltavamo radio Londra e simpatizzavamo per i partigiani; inoltre alcuni di noi erano stati in licenza a Trieste tra luglio ed agosto 1943.

Io ritornai a Trieste con altri compagni nel 1944 inun momento molto critico. C’erano stati da poco le fucilazioni di Opicina, le impiccagioni di via Ghega, molti attivisti politici dell’OF e dell’UO [3] erano stati arrestati o uccisi [4]. Per questo il nostro arrivo fu accolto molto bene. Io trovai subito il collegamento col movimento di liberazione attraverso compagni che conoscevo da sempre: nella fabbrica dove avevo lavorato prima di andare militare esisteva già una cellula comunista, anche se io non ne avevo fatto parte. Nel rione di San Giovanni i miei compagni d’infanzia e di giovinezza erano tutti attivi chi nell’OF chi nell’UO. Ad esempio Maria Birsa era attivista dell’OF all’ospedale maggiore dove lavorava come infermiera; Giuseppe Birsa, due volte naufrago della Marina da guerra, demobilitato per ragioni di salute, era attivo nell’OF sul territorio e nell’UO alla Fabbrica Macchine, Marcello Grill lavorava in un magazzino alimentare che riforniva l’esercito tedesco ed aveva la possibilità di sottrarre viveri che venivano mandati ai compagni.

Il periodo era dei più pericolosi. Prima del mio arrivo erano caduti nelle mani di Collotti [5] parecchi attivisti importanti.

Valutato il mio lavoro venni incluso relativamente presto nel comitato Circondariale dell’UO. Tirava già aria di insurrezione per cui dalle azioni di raccolta viveri e vestiario per le formazioni partigiane, dalla propaganda per l’afflusso nelle file dei combattenti, dalle azioni di volantinaggio che imbestialivano tedeschi e fascisti, iniziò anche l’azione per la raccolta delle armi. Gli avvenimenti scorrevano veloci.

Ad un certo punto il compagno Tofful mi mandò a dire che mi avrebbero incontrato due compagni per parlarmi. Erano i compagni Franovic e Dolesi del comitato circondariale dell’UO-DE, che vollero sapere tutto di me e mi fecero un interrogatorio a tiro incrociato di terzo grado. Ma ho avuto l’impressione che sapessero già tutto di me. Io spiegai loro che volevo andare in montagna, ma loro mi dissero che per il momento dovevo rimanere in città e lavorare per l’Unità Operaia, parlarono di perdite di quadri e necessità di sostituirli.

I miei contatti mi procurarono dei documenti della Todt [6] e fui in grado di muovermi liberamente in città. A casa mia vennero un paio di volte i carabinieri a domandare di me, ma i miei dissero che mi avevano dato per disperso dall’8 settembre.

Fui così inserito nella Unità operaia del secondo rione (la città era stata divisa in otto zone d’intervento, dette “rioni”); poi quando venne a Trieste la commissione militare a preparare la formazione del Comando città del IX Corpus, la città venne suddivisa in quattro settori territoriali e vennero formati i Comandi di Settore del Comando Città. Del Comando del II settore era stato nominato comandante Martin Praček, vecchio attivista dell’OF.

Ho partecipato a questo processo fin dall’inizio: fui prima nominato commissario politico del II settore, poi all’inizio del ‘45 ne divenni il comandante. Come tale ho partecipato all’insurrezione armata ed i risultati non sono mancati, come pure i riconoscimenti.

- Parliamo un po’ dell’attività a Trieste.

- Certo. Verso la fine del 1944 i nazifascisti avevano riempito la città di manifesti di propaganda antipartigiana, soprattutto anticomunista, manifesti che rappresentavano i comunisti come mostri sanguinari.

A quel punto decidemmo una, chiamiamola così, controffensiva di affissioni. Ci riunimmo nel Boschetto di Trieste una sera, approfittando di un preallarme come facevamo spesso, perché in quei momenti tanta gente andava a cercare rifugio dai bombardamenti e non si dava nell’occhio se ci si trovava assieme. Eravamo una trentina di persone, quasi tutti molto giovani. Dopo alcune discussioni sull’agire o non agire, decidemmo di fare un’affissione a tappeto di manifestini con l’effigie di Tito. Fu in quell’occasione che notai per la prima volta Carla, una bella ragazza scura di occhi e di capelli: era una kurirka, una staffetta di San Giovanni: prese la parola, non ricordo se parlò in italiano o in sloveno, ma con tanta enfasi che convinse anche i più dubbiosi ad intervenire con questa azione.

Così preparammo i manifesti: erano in formato A3 ed A4; li portò a San Giovanni, in una javka [7] presso un carbonaio di via San Cilino di nome Poropat (che teneva presso di sé anche armi per il movimento di liberazione), don Giulio, un prete che collaborava con noi. Con lui non parlavamo più che tanto di politica o di religione, stava con noi e questo bastava: anche con l’altro sacerdote che faceva parte del movimento, don Canciani [8], eravamo rimasti d’accordo di non entrare in polemiche o discussioni, noi non intendevamo proibire la religione o impedire la libertà di culto, ci bastava che fossero riconosciuti come valori fondamentali l’antifascismo e la democrazia socialista. E questi preti erano d’accordo con noi.

Non so il cognome di don Giulio, so che abitava nella zona di via Piccardi; qualcuno andò a cercarlo poco prima dell’insurrezione ma sentì da dietro la porta di casa sua che stava litigando con qualcuno e se ne andò senza farsi sentire.

A proposito di preti, voglio dire che uno dei posti dove dormivamo durante la clandestinità era proprio un alloggio di preti presso la parrocchia di San Giovanni, anch’io ho passato diverse notti lì. Finché un giorno il vescovo Santin non diede ordine a don Canciani di sbatterci fuori, allora ce ne andammo perché il posto non era più sicuro.

Ma parlavamo dei manifesti di Tito. I compagni si organizzarono in coppiette, che facendo finta di fermarsi apomiciare per le strade, attaccarono i manifesti in tutta via Giulia e via Carducci, anche piuttosto vicino alle sedi dei nazisti (in piazza Oberdan c’era il comando della SS).

Per i volantini avevamo diversi sistemi di diffusione: uno era quello della bora… nelle giornate di vento si posava una pila di volantini in punti strategici (uno dei migliori era sotto i portici di Chiozza), e quando arrivava una raffica i volantini volavano davvero, dappertutto. Un altro sistema l’aveva pensato Giulio, uno dei nostri compagni più in gamba: figuratevi che una volta ha disarmato, da solo, un tedesco nella zona del cimitero. Gli era andato alle spalle, gli aveva ficcato un dito nella schiena ed intimato di consegnarli l’arma. Il nazista si spaventò e gli diede la pistola, senza rendersi conto del bluff. Bene, questo Giulio aveva un sistema di diffondere i volantini ed anche i nostri giornali, nelle case: andava fino all’ultimo piano, e da lì, scendendo infilava i fogli nelle cassette delle lettere o sotto le porte. Così prima che uno si accorgesse di cosa accadeva il militante era già fuori dallo stabile.

Questo metodo piacque ai compagni e fu adottato per la diffusione della stampa.

- Poi c’erano anche attività più pericolose.

- Sì. Vorrei parlarvi di Ruggero Haas e di sua moglie Albina, che abitavano in una casa sul monte Valerio, presso la quale avevano costruito un bunker dove conservavano il materiale per la lotta. Haas era un buon compagno, onesto e coraggioso, però purtroppo non riusciva ad entrare nello spirito della vita clandestina. Si vestiva in tuta da lavoro, cosa che non andava molto bene, all’epoca era meglio indossare abiti buoni, perché un operaio che girava di giorno era sospetto. Inoltre era sempre sul chi vive e si aggirava guardingo, al punto che dava nell’occhio il modo in cui si muoveva. Questo comportamento gli aveva meritato il soprannome, affettuosamente ironico, di Konspiracijo.

Un altro bunker era stato sistemato in una casa vicina alla loro, dove abitava la famiglia Pierazzi. In quest’altro bunker c’era anche la macchina per la stampa.

Quando la banda Collotti arrestò i coniugi Haas e trovò il bunker, anche noi ci trovammo in una brutta situazione, perché dovevamo fare in modo di portare via tutto il materiale, senza farci scoprire.

Dalla casa dei Pierazzi si riusciva a vedere Collotti ed i suoi che cercavano il bunker nel terreno dei Haas. Ci organizzammo in modo da prelevare il materiale dall’altro bunker e di notte (mi ricordo che era una notte molto buia, senza luna) andammo a prendere la roba per portarla, attraverso il bosco, in un posto sicuro. Per coprire il rumore che facevamo nel nostro andirivieni, qualcuno si mise a segare della legna, cosa che alla fine avrebbe potuto essere ancora più pericolosa per noi, perché magari i poliziotti si sarebbero insospettiti a sentire il rumore e avrebbero potuto venire a controllare come mai c’era chi segava legna a notte fonda nel buio [9]. Il compagno era talmente agitato che lo si capiva dal rumore che faceva la sua sega: man mano che gli aumentava l’ansia, accelerava il ritmo e faceva sempre più rumore. In ogni caso riuscimmo a concludere l’operazione, quella notte portammo via tutto il materiale dal bunker dei Pierazzi e lo consegnammo a Milan, un compagno di Longera, che lo depositò nel bunker del loro villaggio.

- Dopo alcuni mesi di prigionia e torture i coniugi Haas furono fucilati, il 28/4/45. Ed anche il bunker di Longera fu scoperto, nel corso di un’azione che costò la vita a quattro compagni. La banda Collotti operò una repressione feroce e terribile a Trieste.

- Sì, ed infatti nella primavera del ’45 si era pensato di organizzare un attentato contro la sede di via Cologna dell’Ispettorato Speciale di PS: l’idea era di passare attraverso le condotte fognarie partendo dalla zona della Rotonda del Boschetto, a due chilometri circa da via Cologna, e di piazzare dell’esplosivo sotto la sede dell’Ispettorato. Ma poi questa idea fu accantonata, sia perché le piogge primaverili avevano ingrossato i torrenti e di conseguenza reso impraticabili le condotte, ma soprattutto perché avevamo valutato che erano troppi i compagni imprigionati nella caserma e l’esplosione avrebbe ucciso anche loro.

- Poi Gino ha organizzato anche l’attentato di via D’Azeglio…

- Sì, era il 27 marzo 1945. Nel garage Principe, in via D’Azeglio, c’erano mezzi di rifornimento per l’offensiva che la X Mas stava preparando contro il IX Korpus (le forze allora erano in equilibrio perciò si sarebbe trattato di una grande offensiva, e noi dovevamo fare il possibile per sabotare i nazifascisti). All’inizio avevamo pensato di asportare il carburante, ma considerate le difficoltà del trasporto si decise di distruggerlo. Io ho personalmente diretto quell’azione alla quale hanno partecipato altre sei persone: Silvio Pirjevec, Enzo Donini, Sergio Cebroni, Livio Stocchi, Remigio Visini ed un compagno alla sua prima esperienza di lotta, Giorgio De Rosa.

Dopo avere bloccato tutte le strade attorno al garage abbiamo fermato il proprietario, che faceva anche da guardiano, l’abbiamo obbligato a farci entrare e poi consegnato a due compagni che avevano l’ordine di portarlo nella ritirata con sé, di tenerlo prigioniero per motivi di sicurezza; di ucciderlo se le cose si fossero messe male. Invece al momento della fuga non se la sentirono di ucciderlo e lo lasciarono libero. Così riuscì a dare l’allarme che causò la cattura dei quattro compagni e la loro impiccagione.

Io e Silvio entrammo nel garage, dovevamo far saltare in aria i fusti di benzina, ne abbiamo aperto uno e quando la benzina ha iniziato a scorrere, abbiamo lanciato delle bombe e in quel momento è successa una cosa che non dimenticherò mai: la benzina ha cominciato a prendere fuoco in modo talmente rapido che si è sentito un rumore come una sirena, un ululato che andava all’infinito. S’era anche formato un calore enorme, ed a quel punto dovevamo uscire più in fretta possibile, ma quando abbiamo cercato di uscire dalla porticina laterale ci siamo resi conto che la pressione dell’aria era tale che non solo aveva rotto i vetri delle finestre, ma addirittura premeva tanto contro la porta che questa non si poteva più aprire dall’interno. Allora mi sono seduto a terra rivolto verso la porta, più sopra c’era il catenaccio; ho puntato le gambe sulla parte fissa della porta e ho tirato col catenaccio fintanto che non si è aperta una fessura; Silvio ha inserito il mitra in questa fessura e ha fatto forza, riuscendo ad aprire di quel tanto che ci ha permesso di sgusciare fuori, appena in tempo.

Intanto (saranno passati in tutto non più di dieci secondi) i compagni che erano fuori, avendo sentito le bombe e visto le fiamme e non avendoci visti uscire, devono aver creduto che eravamo rimasti vittime dell’esplosione; così si sono ritirati disordinatamente invece di attenersi a quanto era stato previsto nel piano. Stocchi, Cebroni e Visini andarono a cercare Donini a casa, ma questa era sorvegliata perché il padre, primario dell’ospedale psichiatrico, era notoriamente antifascista: Donini riuscì a fuggire, ma gli altri furono arrestati da una pattuglia delle SS italiane. De Rosa invece fu arrestato da una pattuglia della Guardia Civica presso la Rotonda del Boschetto. Dopo la cattura furono ferocemente torturati e la mattina dopo impiccati proprio al muro del garage: questi quattro giovani sono i martiri di via D’Azeglio.

Silvio ed io ci siamo salvati perché abbiamo seguito le regole stabilite: siamo usciti dal garage, ci siamo mischiati alla gente che era accorsa e abbiamo preso sottobraccio una ragazza con la quale ci siamo allontanati e che ci disse: “Se fossero tutti come voi non ci sarebbero più i tedeschi a Trieste”.

- Gino, parliamo ora dei preparativi per l’insurrezione a Trieste.



PRVI MAJ / Primo Maggio 2012

1) ZAJEDNIČKA PRVOMAJSKA IZJAVA OMLADINSKIH KOMUNISTIČKIH ORGANIZACIJA S PROSTORA BIVŠIH SOCIJALISTIČKIH ZEMALJA
Dichiarazione unitaria per il Primo Maggio delle organizzazioni giovanili comuniste dei paesi ex socialisti
2) MAJSKA PORUKA SRP-a / SRP PROSLAVIO 1. MAJ
Il Primo Maggio del Partito Socialista dei Lavoratori della Croazia
3) AUGUST CESAREC: ZA VJEČAN PRVI MAJ


ALTRI LINK:

Federazione Sindacale Mondiale: Dichiarazione del 1° Maggio 2012
Immagini del 1° Maggio da tutto il mondo

1. MAJ 2012 - GOVORI PRVI SEKRETAR SKOJ-a, ALEKSANDAR BANJANAC
prvomajski radnički skup u beogradu 2012. obraćanje druga aleksandra banjanca, prvog sekretara skoj-a. protestna šetnja nove komunističke partije jugoslavije (nkpj) i saveza komunističke omladine jugoslavije (skoj).

MLADI KOMUNISTI BIVŠIH SOCIJALISTIČKIH ZEMALJA - PRES KONFERENCIJA
Conferenza stampa delle organizzazioni giovanili comuniste dei paesi ex-socialisti a Kiev
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=frNIZ5BpwyY&feature=g-all-u


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ZAJEDNIČKA PRVOMAJSKA IZJAVA OMLADINSKIH KOMUNISTIČKIH ORGANIZACIJA S PROSTORA BIVŠIH SOCIJALISTIČKIH ZEMALJA

pubblicata da Mladi Socijalisti il giorno giovedì 3 maggio 2012 alle ore 22.05

1. MAJ – DAN BORBE I AKCIJE


Obeležavanje 1.maja Međunarodnog dana solidarnosti radničke klase je centralna borbena manifestacija proletarijata i marksističko-lenjinističkih organizacija širom sveta.
Reč je o događaju važnom za ceo međunarodni komunistički pokret, koji na svojoj borbenoj važnosti još više dobija na značaju kada govorimo o marksističko-lenjinističkom pokretu na prostoru bivših socijalističkih zemalja u Evropi. Nakon dolaska komunista i naroda na vlast u zemljama Istočne Evrope 1.maj je proslavljan kao dan nadmoći socijalizma nad kapitalističkim varvarstvom i imperijalizmom. Svečanim defileima, otvaranjem novih fabrika, mostova, železničkih pruga, slavljena je moć radničke klase. Istovremeno, 1. maj kao neradan dan se obeležavao na izletištima uz druženje i zabavu. U međuvremenu, usled privremenog sloma socijalizma u Evropi došlo je do rušenja radničkih država, čime je svečarski karakter obeležavanja 1.maja izgubio svaki smisao. Radni ljudi u bivšim socijalistički zemljama nemaju više razloga da tog dana bilo šta da slavi. Sve povlastice i prava koja su imali u socijalizmu zamenjene su kapitalističkim okovima u procesu tranzicije.
Stoga je izuzetno značajno da marksističko-lenjinističke organizacije sa prostora bivših socijalisitičkih zemalja borbeno učestvuju a tamo gde je to moguće i povedu prvomajske radničke demonstacije. Taj dan mora da se obeležava kao borbeni praznik, dan akcije, dan solidarnosti i našeg najbližeg jedinstva u kome radnička klasa slavi samo svoj ponos i prkos a sa druge strane od buržoazije demonstrativno zahteva svoja prava.
Svaki dan u godini je dan naše borbe, a 1. maja smo dužni da glasnije nego bilo kog drugog dana u godini poručimo da se ne mirimo s kapitalističkim varvarstvom, da nas dvadesetogodišnje iskustvo života u kapitalzmu obavezuje da jasno istaknemno sva nezamenjiva pozitivna dostignuća socijalizma koje kapitalizam nikada neće moći dostići ne zaboravljajući pritom sva oportunistička i revizionistička skretanja na čijoj negaciji, između ostalog, moramo nanovo graditi našu borbu u interseu potreba savremenog čoveka. Marksisti-lenjinisti 1.maja moraju da budu na ulici kao vodeći odred radničke klase. Naročito aktivni treba da budu među proleterima sada kada je kapitalizam u samrtnom ropcu nakon vlastite krize koju je stvorio svojim protivurečnostima. Samo ujedinjena, dobro organizovana i borbena radnička klasa bivših socijalističkih zemalja, radeći zajedno sa proleterima ostatka sveta, može se izboriti za bolju budućnost i kvalitetniji život kako bismo svi neki budući 1. maj dočekali nanovo u socijalizmu a ne u krizi.
Živeo praznik rada i borba proletarijata!

MLADI KOMUNISTI BIVŠIH SOCIJALISTIČKIH ZEMALJA - PRES KONFERENCIJA
Conferenza stampa delle organizzazioni giovanili comuniste dei paesi ex-socialisti a Kiev
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=frNIZ5BpwyY&feature=g-all-u


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MAJSKA PORUKA SRP-a RADNIM LJUDIMA I GRAĐANIMA HRVATSKE

Možemo samo  zamisliti, kojim osjećajem zadovoljstva bi bilo ispunjeno preko 350.000 naših nezaposlenih sugrađana i još toliko onih koji su bili prisiljeni  otići u svijet, kada bi im u Hrvatskoj  bilo ponuđeno bilo kakvo radno mjesto. Zadovoljstvom  bi bili ispunjene i na stotine tisuća zaposlenih radnika  koji rade u lošim uvjetima i sa malim primanjima, ako bi se radni uvjeti poboljšali, a primanja povećala.
Ali mi radnici  ne smijemo se zadovoljiti samo s radnim mjestom, boljim uvjetima rada i većom plaćom kada bi nam poslodavci i sve to dali, nego tek pravom na učešću u upravljanju  po osnovi svoga rada, jer tek je to garancija da utječemo na sudbinu poduzeća u kojima radimo, pa time i sudbinu svojih radnih mjesta, svoju vlastitu sudbinu, ali i sudbinu cijelog društva.
Ne smijemo nasjedati ni na političke floskule kako imamo svoju državu koja po sebi o nama brine i osigurava pravednost, jer nas iskustvo uči  da domaći tajkuni imaju isto lice kao i strani i kako oni udruženo nastupaju u podčinjavanju radnika. Nacionalna država može biti i te kako dobar okvir za eksploataciju većine nacije od strane vladajuće manjine. Zato nacionalizam  bilo koje vrste mora biti stran radnicima. Presudno je tko ima vlast u državi, dali  vlasnička klasa koja porobljava rad ili radnička koja oslobađa rad, a kroz to ne samo sebe već i ostale slojeve društva.
Shvatimo konačno da nam ni slobodu ni blagostanje neće podariti gazde tzv. privatni ulagači , stranačke birokracije, ni država po sebi, ma koji predznak ona imala, a još manje multinacionalne korporacije i EU, ako ne povjerujemo u vlastitu sposobnost pred sposobnošću izdvojenih struktura i ako sudbinu ne preuzmemo u vlastite ruke. Naša snaga je u činjenici da samo naš živi rad stvara novu vrijednost i da je svako vlasništvo, odnosno kapital, mrtav dok se ne pojave ruke radnika, kao i u tome da činimo većinu društva, što znači da smo mi njegova temeljna snaga. Mi dakle imamo pravo i mogućnost da određujemo vlastitu sudbinu i sudbinu cijeloga društva , a ne kasta na vlasti i kapitalisti. Tu poziciju možemo ostvariti ako se izborimo za suodlučivanje u poduzećima, lokalnoj samoupravi  i stavimo pod svoju kontrolu moć države. Samo taj put vodi u istinsku slobodu i demokraciju, ekonomsku i ljudsku efikasnost, jer najamne radnike pretvara u slobodne proizvođače i građane, a rad određuje kao temeljni kriterij položaja čovjeka u društvu, onemogućujući svaki monopol pojedinca, socijalnih grupa i klasa, odnosno emancipaciju svih slojeva društva u slobodne građane jednakih mogućnosti.
Naprijed navedeno znači  da se mi radnici, pored sindikalnog organiziranja i povremenog izraza nezadovoljstva o uvjetima rada,  moramo i politički organizirati  u svoju radničku stranku kao što je sada kapital organiziran u svoje stranke (sve parlamentarne stranke) i pobijediti na izborima, kao što dosada, zbog naše neorganiziranosti, pobjeđuje kapital. Tek sindikalno i politički organiziran radnički pokret staje na svoje obje noge. U Hrvatskoj nema te snage koja bi mogla na jedan jedini sat  zaustaviti snagu  osviještene i organizirane radničke klase.
Učinimo taj golemi radnički, duboko ljudski i epohalni napor i uspostavimo svijet slobodnog rada i istinske samoupravne demokracije, nasuprot sadašnjoj ponižavajućoj  i eksploatatorskoj vladavini kapitala, a prepustimo našem malograđaninu da i dalje sanja o ograničenoj parlamentarnoj demokraciji kao jedinoj mogućoj i dovršenoj.
 
Zagreb 01.05.2012. godine                                                               
Predsjednik SRP-a
Ivan Plješa

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posted by srp on svibanj - 3 - 2012

SRP PROSLAVIO 1. MAJ

Socijalistička radnička partija je svojim članstvom u Puli, Umagu, Rijeci, Splitu, Zagrebu, Đurmancu, Požegi i Slavonskom Brodu i širom Hrvatske, dala doprinos masovnosti sindikalnih prosvjeda i nametnula se  svojim vizualnim identitetom te vrlo jasnim porukama u letku “Što nam se dogodilo i što da se radi”. Pozdravljamo poruke  čelnika sindikalnih središnjica na Trgu J. Bana Jelačića i podržavamo poziv za 12.05.2012. godine na prosvjedni skup protiv kapitalizma. Prošle Vlade su dobile crveni karton od građana na izborima u prosincu prošle godine, nadamo se zauvijek, a ova je dobila vrlo ozbiljnu opomenu žutim kartonom, ne samo  sindikata nego i radnika Kamenskog, Dalmacijavina, Jadrankamena, Bilo kalnika, DIOKI-a, sindikata nezaposlenih i brojnih drugih.
Rezultati ankete  u emisiji HRT-1 “OTVORENO” Mislava Togonala da 83% građana žali za socijalizmom su potvrda opravdanosti simboličnog žutog kartona i nužnost sustavnih promjena sveukupnih društvenih kapitalističkih odnosa u Hrvatskoj, Europi i svijetu u korist socijalističkih.
Iskoristimo to raspoloženje građana Hrvatske, slobodnije iskažimo svoje programske stavove o socijalizmu, izađimo u javnost, obratimo se radnicima, studentima, nezaposlenima i poljoprivrednicima, te ugroženim umirovljenicima u pozovimo ih u jedinstveni front  za promjene sadašnjeg društva u pravednije socijalističko. Zato pozdravljamo jasne poruke sindikalnih lidera središnjica, poruke akcije M31, Radničke borbe, akcije zelenih demokratske stranke žena, i sindikata nezaposlenih.
Zastava SRP-a se jučer ponosno vijorila na Trgu J. B. Jelačića i Jarunu, transparenti jasnih poruka u Puli, bedževi  i majice SRP-a su zračili na ovom proljetnom majskom suncu na ulazu u park Maksimir, na Jarunu i Puli, a da nije bilo neprimjerenih izljeva negodovanja prisutnih građana i prolaznika. To nam daje novu snagu, polet i obvezu da budemo aktivniji i vodeće jezgro svenarodnog pokreta za promjene.

S. Šafran


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ZA VJEČAN PRVI MAJ (AUGUST CESAREC)


O svi vi prošli Prvi majevi,
sve vi opće smotre armija bratskih boraca
širom čitave zvjezdane kugle!
O sve vi povorke prosvjedne i duge,
svi vi zborovi na trgovima gradskim,
u dvoranama zagušljivim,
u zelenilu šuma proljetnih,
svi vi stjegovi i karanfili crveni,
svi vi cjelovi bratimstva čovječjeg!
O svi vi Majevi Prvi posljednjih tužnih godina,
svi vi užasni, svi mučeni morom međunarodne
mržnje,
razbijeni lavinom ognja,
gušeni plinom plinova i laži otrovnih,
svi vi stjegovi crveni u prašinu tavana bačeni,
u pokolju bratoubilačkom oskinavljeni,
svi vi Majevi Prvi,
svi vi tek sanja ste bili, a danas ste na ivici zbilje!
Danas,
u kolopletu krvavom, kad zemlja je tek suza u
svemiru zgrušana,
tek kaplja zgrušana mučeničke krvi,
danas smo na ivici doba da sanje ostvarimo svoje,
o armija boraca bratskih!
Sudišta naraštaja budućih i savjesti vlastite naše
gledaju na nas,
o braćo moja širom čitave kugle!
Neka u sve nas duhne proljetnog sunca
sunca sa istoka dah.
Dah konačne borbe za majsko izmirenje vječno,
za vječan Prvi maj,
za miris majskih ruža u dušama čovječjim vječan,
O neka se bije bitka posljednja
za vječan Prvi maj, za bratimstvo čovječje  vječno!
Nek se bije bitka posljednja!
Za spasenje i pročišćenje sviju nas na kugli ovoj
zvjezdanoj!
Tijelo je majčice zemlje posramljeno haljom
krvavom ratova bezumnih.
Tijelo je majčice zemlje paluba razdrte galije,
zalutale na Atlantiku krvi, nasukane na Himalaji
leševa.
I svi se mi rvemo na njoj — bezumlju požarnom
u hiljadu ciljeva hoteći zaploviti.
 
O veliki, crveni Dane, dane Prvoga maja 1919. ljeta!
Neka dah tvoj topli, svemoćni
osnaži smjele veslače i krmilare iskusne,
razbruja braću moju za juriš borbe posljednje
te s grebena se Smrti u jedinstvu cilja maknemo
do luke spokoja i spasa!
Podignimo zastave naše crvene
i zataknimo ih na jarbol, na zrenik Maja Prvog
vječnoga
u dušama da našim boja zaleprša njihova —
u znamen spasenja sviju nas,
što u procjepima tamnog zla smo rođeni
i za vječnim podnem čovječje sreće vapimo!
U stjegove crvene zavijmo tijelo zemlje majčice
po njima da ko po sagovima majskih ruža mirisnih,
svi mi, još uvijek razjedinjeni, pocijepani,
u ophodu praznika velikog pjevajući prođemo,
ujedinjeni, zagrljeni, sa suncem ljubavi,
sa vječnim podnem izmirenja i opraštanja,
sa himnom Prvog maja vječnoga u duši smirenoj!
O braćo moja, o armije crvenih boraca širom
čitave kugle,
sa grebena se smrtnog maknimo u borbu posljednju
za vječan Prvi maj, za vječan Prvi maj!
Za bratimstvo čovječje vječno!


Posted by Novi Plamen on May 1, 2012)



(italiano / english)


NATO terrorism in Kosovo and Syria

1) In Kosovo c’è sempre più NATO (Antonio Mazzeo)
2) Syrian opposition activists ask Kosovo for advice (AP 26/5/2012)
3) Syrian opposition studies terror tactics in Kosovo (RT 4/5/2012)


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mercoledì 25 aprile 2012

In Kosovo c’è sempre più NATO

Dopo tredici anni di amministrazione militare del Kosovo e la spesa di ingenti risorse finanziarie, la NATO riconosce di non essere più in grado, con le forze attuali, di evitare la degenerazione del conflitto tra la maggioranza albanese e la minoranza serba. Così, alla vigilia delle prossime elezioni politiche in Serbia, il comando generale dell’Alleanza atlantica annuncia che dal primo maggio verrà rafforzato il dispositivo di uomini e mezzi che presidiano strade e villaggi del Kosovo (KFOR – Kosovo FORce). Secondo Bruxelles, saranno quasi 700 gli uomini dei corpi di pronto intervento di Germania e Austria che raggiungeranno la mini-repubblica balcanica dichiaratasi indipendente dalla Serbia nel 2008.

“Nel valutare la situazione odierna, la NATO e l’Unione Europea si sono rese conto che le forze KFOR sul campo potrebbero non essere sufficienti per rispondere in modo appropriato a eventuali incidenti e scontri in Kosovo, legati alle elezioni in Serbia”, ha ammesso il portavoce del Comando centrale militare tedesco, Hauke Bunks.

Il dispositivo KFOR prevede dal 1° marzo 2011 due Multinational Battle Groups, di cui uno a conduzione italiana.Attualmente, la missione vede schierati 31 paesi con 5.500 uomini. La Germania è il paese impegnato con il maggior numero di militari, 1.300, più altri 550 che giungeranno nei Balcani tra meno di una settimana. Seguono poi l’Italia con meno di 1.000 uomini e gli Stati Uniti con 800. Alla forza d’intervento NATO si aggiungono poi i 3.200 uomini della missione EULEX dell’Unione europea (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), con il compito di “monitorare e guidare le nascenti istituzioni del Kosovo nei campi della Polizia, della Giustizia e della Dogana”. La missione europea ha preso il via il 4 febbraio 2008 (tredici giorni prima, cioè, della dichiarazione unilaterale d’indipendenza) ed opera, sostanzialmente, sotto il comando e la direzione della NATO. Inizialmente a capo di EULEX venne chiamato il generale francese Yves de Kermabon, dal 2004 al 2005 Comandante dell’operazione KFOR. L’odierno responsabile EULEX è il connazionale gen. Xavier Bout de Marnhac, capo KFOR nel biennio 2007-2008.

Nel caso di un inasprimento del conflitto tra le comunità albanesi e serbe, l’Alleanza Atlantica potrebbe chiamare all’Italia un maggiore impegno in Kosovo per i prossimi 5-6 mesi. Le forze armate italiane sono di base a Pec-Peja, nella parte occidentale della repubblica. Personale dell’Aeronautica militare della cosiddetta Task Force “Air”opera invece nell’aeroporto AMIKo di Djakovica in supporto e assistenza ai velivoli dei partner NATO. Nello scalo di Djakovica è presente anche il Gruppo elicotteri dell’Aviazione dell’Esercito denominato Task Force “Ercole”.

Gli altri centri operativi delle forze KFOR sorgono a Lipljan, Novo Selo, Prizren e Urosevac. Sotto il comando e la direzione dell’US Army Corps of Engineers, sono stati completati di recente i lavori di costruzione della più grande e moderna installazione militare NATO in tutta l’area balcanica: si tratta di “Camp Bondsteel”, nella regione meridionale del Kosovo, quasi alla frontiera con la Macedonia. La struttura si estende in un’area di 955 acri (poco meno 4.900.000 metri quadri) ed è in grado di ospitare sino a 5.000 uomini tra militari, civili e contractors. Nuova sede del comando generale di KFOR, “Camp Bondsteel” è una vera e propria cittadella autosufficiente: ospita numerosi magazzini e depositi di armi e munizioni, caserme e aree residenziali per i familiari dei militari, scuole, centri sportivi e commerciali e un grande ed attrezzato ospedale militare.

La nuova base kosovara avrà il compito di proiettare le forze terrestri e aeree USA e NATO in un’area compresa tra l’Adriatico e il Caucaso. Come evidenziato da alcuni analisti, la sua localizzazione consente di porre sotto controllo due corridoi terrestri ed energetici di importanza strategica per l’Occidente: quello progettato dalle imprese tedesche (e lautamente finanziato dall’Agenzia europea per la ricostruzione) che congiunge, via Belgrado, il porto rumeno di Costanza ad Amburgo, e quello “statunitense” (con fondi USAID) sulla rotta Bulgaria-Macedonia-Albania.

Le azioni di guerra alleate in Kosovo si svilupparono nel corso della primavera 1999. Secondo il Comando supremo dell’Alleanza, in 78 giorni furono lanciate più di 38.000 sortite aeree; 900 i velivoli NATO impegnati, 600 dei quali di pertinenza delle forze armate USA. Buona parte degli strikespartirono da basi aeree italiane (Aviano, Gioia del Colle e Sigonella in primis) e da unità navali dislocate nell’Adriatico. A dirigere le operazioni, il Combined Allied Operations Center installato ad hoc all’interno dell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza, oggi al centro dei lavori di trasformazione nella base-comando della 173^ brigata aviotrasportata dell’esercito USA e delle forze terrestri di USAFRICOM destinate al continente africano.
Alla guerra parteciparono per la prima volta i cacciabombardieri stealth B-2, fatti decollare dalla base aerea di Whiteman (Missouri) e riforniti in volo da aerei cisterna USA e NATO provenienti da basi italiane. Battesimo di fuoco anche per i giganteschi aerei cargo C-17Globemasters , che trasportarono in Albania e Macedonia gli oltre 5.000 militari e gli elicotteri d’assalto poi utilizzati per l’invasione e l’occupazione del Kosovo. Ad oggi è ancora ignoto il numero dei civili che furono uccisi durante le operazioni aeree alleate in Serbia e Kosovo. Secondo l’organizzazione non governativa statunitense Human Rights Watch le vittime dei caccia NATO sarebbero state tra 489 e 528. Anonimi “effetti collaterali” di un conflitto-pantano insensato, la cui risoluzione manu militari appare sempre più lontana.


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Syrian opposition activists ask Kosovo for advice

Published April 26, 2012
Associated Press


PRISTINA, Kosovo –  A Syrian dissident said Thursday his country's opposition is turning to Kosovo's former rebels-turned-politicians for advice on how to topple Bashar Assad's regime in Damascus.
Ammar Abdulhamid, an exiled anti-Assad activist, said that seeing a new country "emerging out of the nightmare and emerging as a state" could be inspiring for Syrian dissidents.
Assad's government has cracked down on a 13-month-old popular uprising in Syria, leading to an estimated 9,000-plus deaths.
"We are here to learn," Abdulhamid said during an interview with The Associated Press in Pristina. "Kosovo has gone through an experience that I think will be very useful to us in terms of how the different armed groups that formed the KLA (Kosovo Liberation Army) organized themselves."
Abdulhamid is one of three Syrian opposition activists visiting Kosovo, where they met former Kosovo rebels who fought a separatist war against Serbia in 1998-99. Serbia still rejects Kosovo's 2008 declaration of independence.
No details were given about the meetings with former rebels whose identities were not disclosed.
Syria's opposition has been criticized for failing to put up a more united front.
"We really need to get our act together as opposition coalitions," Abdulhamid said.
The dissident, who has been living in exile in the United States since 2005, compared the apparent lack of unity among Syria's opposition to Kosovo's own political divisions in the late 1990s between pacifist leader Ibrahim Rugova and armed rebels.
"Somehow they've managed to make it work so that gives us a hope that we can also rise above the differences and make transition to democracy in Syria something viable," Abdulhamid said.
The ethnic Albanian Kosovo Liberation Army launched an uprising against the regime of President Slobodan Milosevic in 1997. Serbia's response provoked international condemnation and led to NATO's 78-day bombing in 1999 that ended the crackdown on separatist ethnic Albanians and brought Kosovo under U.N. administration. About 10,000 people died in the Kosovo conflict.
Russia supports Serbia in rejecting Kosovo's declaration of independence, which many countries, including the U.S. and most EU countries, support.


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http://rt.com/news/syrian-opposition-studies-terror-tactics-in-kosovo-585/

RT - May 4, 2012

Syrian opposition studies terror tactics in Kosovo


A delegation of Syrian rebels has made a deal with Pristina authorities to exchange experience on partisan warfare. The Syrian opposition is sending militants to Kosovo for adopting tactics and being trained to oust President Bashar Assad’s regime.
On April 26, a delegation of Syrian opposition members made a stop in Pristina on their way from the US to hold talks on how to make use of the experience of the Kosovo Liberation Army (KLA) in Syria, reports the Associated Press.
So far, a poorly-organized Syrian opposition has proven unable to self-organize and form a steady front against the forces of President Assad. 
Terror tactics used by militants allow them to kill military and governmental officials, but do not help to hold positions against a regular army.
“We come here to learn. Kosovo has walked this path and has an experience that would be very useful for us,” says the head of the Syrian delegation Ammar Abdulhamid, a Syrian-born human rights activist and dissident. “In particular, we’d like to know how scattered armed groups were finally organized into the KLA.”
Syrian opposition leaders have promised to immediately recognize Kosovo once they seize power in the country.
“We’re in vital need of joint actions as a coalition opposition,” stressed Ammar Abdulhamid, a long-time opponent of the Syria’s President Bashar Assad. In 2005, he left Syria to settle in the US.
The training camp on the Albanian-Kosovo border that has welcomed Syrian attendees was originally organized by the US to help the KLA train its fighters. 
The Kosovo Liberation Army (KLA) was considered a terrorist organization by the US, the UK and France for years until, in 1998, it was taken off the list of terrorists with no explanation given. The KLA used to have up to 10 per cent of underage fighters in its ranks. 
There were numerous reports of the KLA having contacts with Al-Qaeda, getting arms from that terrorist organization, getting its militants trained in Al-Qaeda camps in Pakistan and even having members of Al-Qaeda in its ranks fighting against Serbs.
In 1998-1999 Kosovo separatists started an armed conflict with Belgrade to split the Kosovo region from Serbia. The war in the region was marked with mass atrocities and executions of the civilian population. Most of the Serbs that used to live in Kosovo became refugees.
In 2008, 10 years after the beginning of armed conflict with Serbia, Kosovo unilaterally proclaimed independence from Belgrade. Kosovo’s independence has been recognized by leading Western countries, most members of NATO and countries associated with the bloc.
The same horrors that were witnessed during the war in Kosovo are now apparently being prepared for the multi-confessional Syrian population by Islamist Syrian Liberation Army trained in Muslim Kosovo in the middle of Europe.
The Syrian Liberation Army group that actually formed the delegation to Kosovo has been fighting with the Syrian government for over a year now. This stand-off has claimed well over 9,000 lives, about half of them Syrian servicemen, law enforcers and officials. 
Lately, the militants have been squeezed out of the Syrian cities and their positions along the Syrian-Turkish border. Being unable to turn the tide independently, the Syrian Liberation Army has been addressing to its foreign sponsors to start a military intervention into Syria to topple President Bashar Assad.



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ROM GENTI LIBERE 
Serata d'incontro e musica con Santino Spinelli

mercoledì 9 maggio 2012
ore 20.00
c/o Circolo Agorà 
via Giovanni Bovio 48, Pisa

ROM GENTI LIBERE
Serata d'incontro e musica con Santino Spinelli
Docente di Lingua e Culura Romanì presso l'Università degli Studi di Trieste, Musicologo/musicista, Fondatore e presidente dell'associazione culturale Thèm Romanò

Ore 20.00 Cena Sociale: spaghetti cacio e pepe, rollata di tacchino su letto di purea di carote (per vegetariani, solo su ordinazione, omelette alle erbe aromatiche), crumble di frutta di stagione in crema pasticcera, vino, pane e coperto.

Ore 21.30 Incontro con le parole e la musica Santino Spinelli

Costo della cena sociale 20 euro - Ingresso all'incontro musicale 5 euro
Per la cena prenotazione obbligatoria entro le ore 18 di martedì 8 maggio - tel. 050500442

Iniziativa promossa da Thèm Romanò associazione autonoma di Rom e Sinti in collaborazione con circolo agorà Pisa


Biografia (fonte wikipedia)

CLICCA E VAI al sito ufficiale di Santino Spinelli
http://www.alexian.it/intro_italiano.htm

Santino Spinelli, in arte Alexian, è l'ultimo di sei figli, di cui cinque sorelle. Nasce a Pietrasanta dai genitori Gennaro e Giulia, ma è a Lanciano che compirà i suoi primi studi. Frequenta l'Istituto di Stato per il Commercio "P. De Giorgio", dove si diploma col massimo dei voti. Due volte laureato presso l'Università degli Studi di Bologna, la prima in Lingue e Letterature Straniere con una tesi su George Borrow (1998) e la seconda, nel 2006, in Musicologia. È sposato con Daniela De Rentiis, dalla quale ha avuto tre figli: Gennaro, Giulia ed Evedise.

È fondatore e presidente dell'associazione culturale Thèm Romanò (mondo romanò). Nel 2001 viene eletto, quale unico rappresentante per l’Italia, al parlamento della International Romani Union (IRU), organizzazione non governativa con sede a Praga, attiva nel campo dei diritti dei popoli rom, alla quale è stato garantito lo status consultivo presso alcuni organi delle Nazioni Unite. Dal 2002 Spinelli è docente di Lingua e Cultura Romanì presso l'Università degli Studi di Trieste, primo sinti in tutta Europa a detenere tale cattedra. Nel 2003 viene nominato vicepresidente del parlamento dell’IRU.





http://sucardrom.blogspot.it/2012/05/pescara-una-vergogna-nazionale.html

VENERDÌ 4 MAGGIO 2012


Pescara, una vergogna nazionale!


La situazione è a Pescara è fuori controllo, dopo l'omicidio di Domenico Rigante. Gravi e deliranti le reazioni di un gruppo di ultras del Pescara Calcio ma altrettanto pericolose le parole del Sindaco Masci che getta benzina sul fuoco criminalizzando tutti i circa duemila Cittadini italiani, appartenenti alla minoranza storico linguistica dei rom abruzzesi. Il Ministero dell'Interno e la Prefettura devono intervenire vietando la manifestazione di domenica prossima. L'Ordine dei Giornalisti intervenga per bloccare i media che rilanciano dichiarazioni razziste senza stigmatizzarle. 

Tutto è iniziato la sera del 1 maggio con l'aggressione a Domenico Rigante (ultras del Pescara Calcio) che muore per un colpo di pistola sparato contro di lui, era accovacciato sotto il tavolo, mentre il fratello Antonio fuggiva. Prima di morire Domenico Rigante fa il nome di Massimo Ciarelli. La stampa afferma che Massimo Ciarelli cercasse Antonio Rigante, gemello di Domenico Rigante, per un aggressione subita il giorno prima ma che già in passato c'erano state delle liti. Uno scambio di persona. 

Fin qui un bruttissimo episodio di cronaca nera, immediatamente condannato dall'intera comunità rom. Ma dopo pochi minuti l'aggressione a Domenico Rigante, prima ancora della sua morte in ospedale, due molotov artigianali sono state lanciate da ignoti contro l'abitazione di Massimo Ciarelli, presunto colpevole dell'aggressione insieme ad altre persone. Da quel momento abbiamo un continuo di attacchi razzisti veri e propri: sassi contro le case delle famiglie rom, scritte sui muri anche delle scuole inneggianti la morte dei rom... 

Le Istituzioni si mobilitano e ieri il Prefetto convoca un Comitato per la sicurezza che incontra i capi degli ultras mentre di fronte al Municipio vengono affissi tre striscioni enormi con la scritta “AVETE CINQUE GIORNI PER CACCIARLI DALLA CITTA'”. 

In contemporanea viene rilasciato un comunicato stampa delirante in cui si legge: “Non possiamo permetterci di far finta di niente, non possiamo permetterci di perdere il nostro territorio: per troppi anni hanno fatto il porco del comodo loro, ora li dobbiamo cacciare via tutti, ora devono sparire. Abbiamo deciso di invitare tutta la cittadinanza in piazza, dove devono essere presenti tutte le istituzioni, perché altrimenti ci vediamo costretti ad agire come sappiamo fare e come meglio ci riesce. Abbiamo un fratello da vendicare, o li fate sparire voi o ci pensiamo noi”. 

Il Sindaco Masci ci mette del suo e all'uscita dal Comitato Sicurezza rilascia la seguente dichiarazione scioccante: “La verità è che oggi, per colpa di scelte politiche scellerate compiute in passato dalla politica e che non condivido, Pescara è una città che conta tra i propri residenti molte famiglie di nomadi abituate a delinquere, che però fanno parte non del tessuto economico, visto che non producono economia, ma del tessuto sociale, perché qualcuno ha dato loro una casa popolare, dalla quale abbiamo difficoltà anche a mandarli via quando delinquono”. 

Gli ultras dichiarano di preparare una manifestazione per domenica mattina a cui sembra parteciperà sia il Sindaco che il Presidente della Provincia. Una manifestazione che ha tutta l'aria di trasformarsi nell'ennesimo pogrom contro le famiglie rom, come è successo pochi mesi fa a Torino nel quartiere delle Vallette. 

Nessuno in Città ha alzato la voce per dire no! I rappresentanti delle associazioni rom sono di fatto oscurati dai media mentre per due giorni siamo stati martellati da dichiarazioni razziste degli ultras, senza nessuna stigmatizzazione, ne nessun contraddittorio. Non c'è quotidiano o testata che non enfatizzi l'appartenenza etnica del presunto omicida. Una vergogna nazionale! 

Sucar Drom ha chiesto ieri al Governo italiano di intervenire immediatamente a Pescara perchè ritenevamo insufficiente l'azione di prevenzione contro atti razzisti della Prefettura. E' stata inviata anche una segnalazione all'Ordine dei giornalisti e sono stati fatti interventi su internet per stigmatizzare le dichiarazioni più violente. 

Invitiamo tutte le associazioni rom e sinte a dare il proprio appoggio alle associazioni rom abruzzesi che in queste ore difficili stanno lavorando per evitare il peggio e chiediamo a tutti gli attivisti antirazzisti di intervenire sui social network e sui siti internet dei quotidiani per stigmatizzare la criminalizzazione di un'intera comunità per il gesto grave e delittuoso di un singolo.

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http://www.diecifebbraio.info/2012/05/roma-452012-crimini-fascisti-foibe-uso-politico-della-storia/

Roma, venerdì 4 maggio 2012

nella sede di Piazzale degli Eroi 9

NOI RICORDIAMO TUTTO.
CRIMINI FASCISTI, FOIBE, USO POLITICO DELLA STORIA

Ne discutono:


Alexander Hobel      Associazione Marx XXI


Davide Conti      Fondazione Lelio Basso


Bianca Bracci Torsi       Progetto Memoria FDS


coordina      Giovanni Barbera         FDS – Municipio XVII


scarica la locandina: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/05/image001.jpg


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Milano, venerdì 4 maggio 2012

alle ore 18 presso la libreria Odradek, Via Principe Eugenio 28

Luigi Lusenti presenta il libro:


Giacomo Scotti

"BONO TALIANO"
Militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943: da occupatori a “disertori”

Roma: Odradek, 2012

Collana Blu - ISBN 978-88-96487-18-1 - pp. 256 € 28,00


scheda del libro: http://www.odradek.it/Schedelibri/bonotalianob.html
ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html
Il libro è la riedizione aggiornata del volume pubblicato dalle edizioni La Pietra nel 1977 
(vedi: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#scotti2012 )
scarica la copertina: https://www.cnj.it/immagini/cover_scotti2012.jpg

per info sulla presentazione milanese: odradekmilano@...


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http://www.michelcollon.info/Obervateurs-en-Syrie-au-Kosovo-c.html?lang=fr

Observateurs en Syrie : au Kosovo, c’est une « mission d’observation » qui avait créé le « massacre de Racak »

Simon de Beer
25 avril 2012


Des observateurs internationaux ont été envoyés en Syrie par l'ONU. Officiellement, leur but est de vérifier que le cessez-le-feu promis par Damas soit respecté. En 1999, une autre mission d'observation avait été envoyée au Kosovo par l'OSCE. Loin de s'en tenir à ses objectifs déclarés, celle-ci avait alors précipité la guerre en révélant au public occidental le soi-disant « massacre de Racak », une mise en scène qui a servi de prétexte aux bombardements de l'OTAN.


Octobre 1998. Depuis plusieurs mois, de violents combats opposent les forces de l'ordre serbo-yougoslaves à une guérilla albanaise du nom de l'« UCK ». Cette dernière réclame l'indépendance du Kosovo, province du sud de la Serbie. Les grands médias soutiennent unanimement la guérilla albanaise et accusent les Serbes de massacres, nettoyage ethnique, voire génocide. Sous la pression internationale, le président yougoslave Slobodan Milosevic accepte l'envoi d'une mission d'observation de l'OSCE (Organisation pour la Sécurité et la Coopération en Europe) et retire du Kosovo un partie importante de ses troupes. Des observateurs internationaux sont déployés sur le terrain d'octobre 1998 à mars 1999, soit quelques jours avant le début des bombardements de l'OTAN[i].

Le 15 janvier, le chef de la mission d'observation – un certain William Walker – tient une conférence de presse dans le village de Racak : 45 « civils innocents » viennent d'être retrouvés morts « d'une balle dans la tête ou dans la nuque ». Walker évoque la présence de «  mutilations  » sur les corps et qualifie la scène de « crime contre l'humanité[ii] ». Toute la presse s'empare de l'événement, nouvelle preuve de la barbarie des Serbes. Libération dénonce en « une » « L'impunité des massacreurs ». Le Figaro affirme que les victimes sont de simples « paysans albanais » et que leur «  extermination  » constitue un « acte de barbarie gratuit  ».Le Monde écrit en première page : « Les victimes ont été tuées d'une balle dans la tête, tirée à bout portant.  » Dans son éditorial, la rédaction du journal prévient : « Le massacre [...] fait partie de la stratégie grand-serbe. Intégralement, sciemment. [...] Depuis la Bosnie, cette "politique" a un nom : l'épuration ethnique[iii]. » Deux mois plus tard, l'OTAN entame sa campagne de bombardements contre la Yougoslavie. Dans son rapport, la Mission d'observation de l'OSCE note : « Le massacre de Racak a provoqué un tollé international et a changé les perspectives de la communauté internationale vis-à-vis des autorités serbes et yougoslaves [...] Les meurtres ont été perçus comme un tournant décisif en ce qui concerne les efforts déployés pour résoudre pacifiquement le conflit [...] »[iv]. En d'autres termes, Racak a assuré à l'OTAN le soutien de l'opinion publique pour une opération militaire.

Une réussite médiatique totale, car il sera démontré après la guerre que ce « massacre » était une mise en scène. En effet, un rapport d'autopsie a révélé que la quasi totalité des corps retrouvés étaient ceux d'hommes en âge de se battre ; que ceux-ci avaient été tués de loin ; que les balles venaient de directions différentes, réfutant l'idée d'un peloton d'exécution ; qu'enfin les prétendues mutilations étaient des morsures post mortem dues à des animaux sauvages[v]. Bref, ces résultats démentaient catégoriquement les propos de Walker selon lesquels les victimes de Racak étaient des « civils tués d'une balle dans la tête  ». Ils allaient au contraire dans le sens de la version officielle serbe, qui affirmait que les cadavres étaient ceux de membres de l'UCK morts lors d'un affrontement avec les forces de l'ordre. Précisons que l'UCK n'était pas composée de « vertueux démocrates », comme l'ont raconté les grands médias à l'époque. Classée sur la liste des organisations terroristes par les USA avant la guerre, cette guérilla avait instauré au Kosovo un régime de terreur, assassinant ses opposants, y compris les Albanais modérés. Comme il fut démontré par la suite, elle se finançait en capturant des Serbes qu'elle tuait pour revendre leurs organes au marché noir[vi]. Aussi, pour beaucoup de Yougoslaves, une réaction de l'Etat était nécessaire et légitime.
 
Mais, dira-t-on, même si Racak était une mise en scène, et même si l'UCK était une organisation terroriste, les Serbes n'ont-ils pas été responsables de la mort de civils innocents ? N'ont-ils pas mis en place, comme l'évoquaient les médias à l'époque, un « nettoyage ethnique », un « génocide » ? La réponse se trouve dans l'Acte d'Accusation du Tribunal Pénal International (TPIY) inculpant Milosevic de crime contre l'humanité[vii]. Pour toute la période précédant l'entrée en guerre de l'OTAN, cet acte ne mentionne comme faits répréhensibles qu'une seul chose : le massacre de Racak. Tous les autres chefs d'accusation sont postérieurs au déclenchement des bombardements. Autrement dit, avoir parlé de « nettoyage ethnique » ou de « génocide » pour justifier la guerre du Kosovo était totalement infondé. D'ailleurs, ces deux termes sont absents de l'Acte d'Accusation du TPIY, y compris pour la période postérieure au début des frappes.

C'est donc bien grâce à un médiamensonge que l'OTAN est entrée en guerre contre la Yougoslavie en 1999. N'ayant aucune preuve du « génocide » auquel elle prétendait vouloir mettre un terme, elle en a créé une : le massacre de Racak. Pour la cause, des soldats albanais ont été maquillés en civils innocents. Et cette mise en scène fut l'œuvre de la « Mission d'observation » de l'OSCE qui, comme on l'apprit par la suite, était en fait composée d'agents de la CIA[viii]. Que faut-il donc attendre des observateurs déployés aujourd'hui par l'ONU en Syrie ? Malheureusement pas grand-chose : si leurs analyses contredisent la version officielle des événements, elles seront jugées partiales et non valables, ou seront tout simplement passées sous silence. Si au contraire elles fournissent des éléments permettant d'accabler Bachar El-Assad, elles feront la « une » et seront considérées d'une objectivité imparable. Paradoxalement, la mission supposée contrôler le cessez-le-feu syrien pourrait servir d'étincelle à une nouvelle guerre occidentale. Il ne suffirait pour cela que d'un massacre bien médiatisé. Réel ou inventé, peu importe pour nos dirigeants, du moment que cela leur permette d'apporter leur « solution » au conflit : une solution qui, comme au Kosovo, en Afghanistan, en Irak et en Libye, serait encore une fois pire que le mal que l'on prétend combattre.
 


[i] Le Monde, 14 et 29 octobre 1998 ; 21/22 mars 1999.
[ii] Libération, 18 janvier 1999.
[iii] Journaux datés des 18 et 19 janvier.
[iv] OSCE Kosovo Verification MissionKOSOVO/KOSOVA As Seen, As Told. An Analysis of the Human Rights Findings of the OSCE Kosovo Verification Mission. October 1998 to June 1999, p. 512. Disponible sur internet.
[v] Lalu K., Penttilä A. et Rainio J., « Independent forensic autopsies in an armed conflict : investigation of the victims from Racak, Kosovo », Forensic Science International, 116, pp. 171-185.
[vi] Voir le rapport de la mission du Conseil de l'Europe : Marty D. (rapporteur), Traitement inhumain de personnes et trafic illicite d’organes humains au KosovoAS/Jur (2010) 46, Commission des questions juridiques et des droits de l’homme, 12 décembre 2010.
[vii] TPIY, Acte d'accusation de Slobodan Milosevic, fait par le Procureur Louise Arbour à La Haye le 22 mai 1999, points 97 et 98. Disponible sur internet.
[viii] Laverty A. et Walker T., « CIA aided Kosovo Guerilla Army », The Sunday Times, 12 mars 2000, p. 28.



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----Messaggio originale----
Da: brunomaran @ tiscali.it
Data: 17/04/2012 17.14
Ogg: evento balkans windows


segnalazione 
con preghiera di diffusione 


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BALKANS WINDOWS

FINESTRE BALCANICHE

porta san Giovanni, interno - Padova

multiproiezione in quattro atti

di Bruno Maran




Vukovar 1991-2011 Bosnian Afterwars

Kosovo Atto primo Zastava AnnoZerO

Da Vukovar a Sarajevo, Mostar, Srebrenica; dal Kosovo dell’indipendenza a Kragujevac la Torino dei Balcani, una visione contemporanea, che riunisce questi avvenimenti, riproducendo la complessità delle vicende balcaniche, riportando i fatti della realtà del dopoguerra attraverso elaborate visioni fotografiche


sabato 28 aprile - dalle 18.30

introduce la prof. Bruna Mozzi



mercoledì 2 maggio ore 21




L’informazione in guerra

con i giornalisti Ernesto Milanesi e Sebastiano Canetta

Dall’assedio di Sarajevo al dramma di Srebrenica: un'analisi sull'informazione italiana e le guerre a intensità variabile


giovedì 3 maggio ore 21



Di guerra in pace: Jugoslavia vent’anni da ex


Riflessioni e testimonianze con

don Albino Bizzotto, Beati i costruttori di pace

Gianni Rocco, Assopace Padova

Mario Fiorin, Avip - Ass. Volontari per Iniziative di Pace

e



coordina tutti gli incontri Bruno Maran

tutti i giorni multiproiezioni continue dalle ore 19.00

venerdì 4 maggio ore 21

A Nord est di che… La strada del cibo

Storie di luoghi, persone, emozioni incentrati sui Balcani

La cucina parla di origini, di legami, di storie che si fondono


con Elisabetta Tiveron, storica scrittrice e cuoca

Nicola Fossella, fotografo e blogger

Leonardo Barattin, tour designer e responsabile viaggi Ad est


martedì 8 maggio ore 21


Un fotografo e uno scrittore si incontrano

Dialogo attorno al libro “Sotto Tiro” di Gianni Ballestrin

Ohrid, era solo un bel lago tra Macedonia, Grecia e Albania dal quale riportare fotografie per un'agenzia turistica…

I Balcani sono terra di malinconia e voglia di vivere, di ingenuità infantili e sapienza artigiana, terra di incontri che si rivelano preziosi per affrontare le ombre della vita senza perderne il senso. Le parole sono l'esorcismo con cui sottrarsi alle vampate di braci sempre fatalmente nascoste sotto ogni cenere

coordina tutti gli incontri Bruno Maran

multiproiezioni continue dalle ore 19.00



Nei miei Balcani ho visto di tutto e di più. Ho visto il naufragio della credibilità dei Caschi Blu dell'Onu a Srebrenica e ho visto l'indignazione internazionale a intensità variabile fra il sonno quadriennale della Bosnia e la frenesia umanitaria per il Kosovo”

Ennio Remondino

in collaborazione con




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(the original version on this article, in english language:
Kosovo's "Mafia State" and Camp Bondsteel: Towards a Permanent US Military Presence in Southeast Europe
Washington’s Bizarre Kosovo Strategy could destroy NATO
by F. William Engdahl - Global Research, April 12, 2012


La bizzarra strategia di Washington sul Kosovo potrebbe distruggere la NATO


Giocare con la dinamite e la guerra nucleare nei Balcani 

William Engdahl 
13 Aprile 2012

In uno degli annunci più bizzarri della politica estera della bizzarra amministrazione Obama, la segretaria di Stata degli USA Hillary Clinton, ha annunciato che Washington ‘aiuterà’ il Kosovo ad aderire alla NATO e all’Unione europea. Ha fatto la promessa dopo un recente incontro a Washington con il Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci, dove ha elogiato i progressi del suo governo nel progredire verso “l’integrazione e lo sviluppo economico europeo”. [1]
Il suo annuncio ha senza dubbio causato seri maldipancia tra i funzionari governativi e militari delle varie capitali europee della NATO. Pochi comprendono la pazzia del piano della Clinton nel spingere il Kosovo nella NATO e nell’UE.

Kosovo base geopolitica

La controversa proprietà oggi chiamata Kosovo, era parte della Jugoslavia ed era legata alla Serbia fino a quando la campagna dei bombardamenti NATO nel 1999, ha demolito quel che restava della Serbia di Milosevic, aprendo la strada agli Stati Uniti, con la dubbia assistenza delle nazioni dell’UE, soprattutto della Germania, nel spartire l’ex Jugoslavia in minuscoli pseudo-stati dipendenti. Il Kosovo ne è uno, così come la Macedonia. Slovenia e Croazia già in precedenza si erano separate dalla Jugoslavia, con il forte aiuto del ministero degli esteri tedesco.
Alcune brevi rassegne sulle circostanze che hanno portato alla secessione del Kosovo dalla Jugoslavia, aiutano a capire quanto sarà rischiosa la sua adesione alla NATO o all’Unione europea per il futuro dell’Europa. Hashim Thaci, l’attuale Primo Ministro del Kosovo, ha ottenuto il suo posto, per così dire, attraverso il Dipartimento di Stato degli USA, e non tramite libere elezioni democratiche nel Kosovo. Il Kosovo non è riconosciuto come Stato legittimo dalla Russia, dalla Serbia e da oltre un centinaio di altre nazioni. Tuttavia, è stato immediatamente riconosciuto quando ha dichiarato l’indipendenza nel 2008, dall’amministrazione Bush e da Berlino.
L’adesione all’Unione europea del Kosovo, sarebbe il benvenuto a un altro Stato fallito, cosa che non può disturbare la Segretaria Clinton, ma di cui l’Unione europea, in questo momento sicuramente, può fare a meno. Le migliori stime sulla disoccupazione nel paese, la danno a circa il 60%. Non è che il terzo a livello mondiale. L’economia era sempre la più povera della Jugoslavia, ed oggi è peggio. Ma il vero problema, per il futuro della pace e della sicurezza, è la natura dello stato del Kosovo, che è stato creato da Washington alla fine degli anni ’90.

Stato mafioso e Camp Bondsteel

Il Kosovo è una piccola parcella di terra in una delle posizioni più strategiche di tutta Europa, dal punto di vista geopolitico l’obiettivo militare degli Stati Uniti è controllare i flussi del petrolio e gli sviluppi politici del Medio Oriente, a danno di Russia ed Europa occidentale. L’attuale riconoscimento degli USA dell’auto-dichiarata Repubblica del Kosovo, è una continuazione della politica statunitense nei Balcani, fin dall’illegale bombardamenti della NATO e degli USA della Serbia, nel 1999, dallo schieramento fuori area della NATO, approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, presumibilmente sulla premessa che l’esercito di Milosevic sarebbe stato sul punto di effettuare un genocidio degli albanesi del Kosovo.
Alcuni mesi prima dei bombardamenti statunitensi degli obiettivi serbi, uno dei più pesanti bombardamenti dalla Seconda Guerra Mondiale, un alto funzionario dell’intelligence statunitense aveva parlato, in conversazioni private con alti ufficiali dell’esercito croato, a Zagabria, della strategia di Washington per l’ex Jugoslavia. Secondo questi rapporti, comunicati privatamente all’autore, l’obiettivo del Pentagono già alla fine del 1998 era prendere il controllo del Kosovo, al fine di garantirsi una base militare per controllare l’intera regione del sud-est europeo, fino alle terre petrolifere del Medio Oriente.
Dal giugno 1999, quando la Kosovo Force (KFOR) della NATO occupò il Kosovo, quindi una parte integrante dell’allora Jugoslavia, il Kosovo era tecnicamente nel quadro di un mandato delle Nazioni Unite, secondo la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Russia e Cina avevano inoltre convenuto su tale mandato, che specificava il ruolo della KFOR nel garantire la fine dei combattimenti inter-etnici e le atrocità tra la minoranza serba, le altre e la maggioranza albanese islamica del Kosovo. Sotto il 1244 il Kosovo sarebbe rimasto parte della Serbia, in attesa di una risoluzione pacifica del suo status. Questa risoluzione delle Nazioni Unite è stata palesemente ignorata dagli Stati Uniti, dalla Germania e da altri elementi dell’Unione europea, nel 2008.
Il riconoscimento tempestivo del Kosovo da parte della Germania e di Washington, e l’indipendenza nel febbraio 2008, significativamente avvennero il giorno dopo le elezioni del presidente della Serbia, che confermarono il filo-Washington Boris Tadic, che aveva avuto un secondo mandato di quattro anni. Con Tadic assicurato, Washington poteva contare su una reazione serba compatibile al suo sostegno al Kosovo.
Subito dopo il bombardamento della Serbia, nel 1999, il Pentagono aveva sequestrato 1000 acri di terra a Urosevic, in Kosovo, vicino al confine con la Macedonia, e aggiudicò un contratto alla Halliburton, quando Dick Cheney ne era l’amministratore delegato, per costruire una delle più grandi basi militari degli USA all’estero, Camp Bondsteel, oggi con più di 7000 soldati.
Il Pentagono si era già assicurato sette nuove basi militari in Bulgaria e Romania, sul Mar Nero e nei Balcani settentrionali, comprese le basi aeree di Graf Ignatievo e Bezmer in Bulgaria, e la base aerea di Mihail Kogalniceanu in Romania, utilizzate per “ridurre” le operazioni militari in Afghanistan e in Iraq. L’installazione rumena ospita la Joint Task Force East del Pentagono. Il colossale Camp Bondsteel degli Stati Uniti, in Kosovo, e l’utilizzo e il potenziamento dei porti croati e montenegrini dell’Adriatico, per le implementazioni della Marina degli Stati Uniti, completano la militarizzazione dei Balcani. [2]
L’agenda strategica degli Stati Uniti per il Kosovo è in primo luogo militare, secondariamente, a quanto pare, riguarda il traffico di stupefacenti. Il suo obiettivo principale è opporsi alla Russia e il controllo dei flussi di petrolio dal Mar Caspio e dal Medio Oriente all’Europa occidentale.  Dichiarandone l’indipendenza, Washington ottiene uno stato debole che può controllare completamente. Finché fosse rimasto parte della Serbia, il controllo militare della NATO sarebbe stato politicamente insicuro. Oggi il Kosovo è controllato come una satrapia militare della NATO, la cui KFOR vi ha posto 16.000 soldati, per una popolazione di soli 2 milioni di abitanti. Camp Bondsteel fa parte di una serie di cosiddette basi operative avanzate o “ninfee” (elistazioni NdT), come li chiamava Donald Rumsfeld, per l’azione militare a est e a sud. Ora, portando formalmente il Kosovo nell’UE e nella NATO, rafforzerà la base militare, dopo che la Repubblica di Georgia dominata dal protetto degli USA Saakashvili, aveva così miseramente fallito, nel 2008, nel ricoprire quel ruolo per conto della NATO.

Heroin Transport Corridor

Il controllo militare USA-NATO del Kosovo serve a diversi scopi dell’agenda geo-strategica di Washington. In primo luogo, consente un maggiore controllo degli Stati Uniti sul petrolio e sulle potenziali rotte degli oleodotti e dei gasdotti dal Mar Caspio e dal Medio Oriente all’UE, nonché il controllo dei corridoi di trasporto che collegano l’Unione europea al Mar Nero. Inoltre, protegge il traffico di eroina multi-miliardario che, significativamente, è cresciuto fino a registrare dei record in Afghanistan dall’inizio dell’occupazione statunitense, secondo funzionari dei narcotici delle Nazioni Unite. Kosovo e Albania sono le principali rotte di transito dell’eroina verso l’Europa. Secondo un rapporto annuale del 2008 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sul traffico internazionale di stupefacenti, alcune importanti rotte del traffico di droga passano attraverso i Balcani. Il Kosovo viene indicato come un punto chiave per il passaggio di eroina dalla Turchia e dall’Afghanistan all’Europa occidentale. Questo flusso di droga passa sotto l’occhio vigile del governo Thaci.
Dall’epoca dei suoi rapporti con la tribù Meo, in Laos, durante l’epoca del Vietnam, la CIA ha protetto il traffico di stupefacenti in luoghi chiave, per finanziare in parte le sue operazioni segrete. La dimensione del traffico internazionale di sostanze stupefacenti, oggi, è tale che le principali banche statunitensi come Citigroup, ricaverebbero una quota significativa dei loro profitti dal riciclaggio del traffico.
Una delle caratteristiche più notevoli della corsa indecente di Washington e degli altri Stati a riconoscere immediatamente l’indipendenza del Kosovo, è il fatto che ben sapevano che il suo governo e i suoi due principali partiti politici, sono in realtà gestiti dalla criminalità organizzata albanese del Kosovo. Hashim Thaci, Primo Ministro del Kosovo e capo del Partito Democratico del Kosovo, è l’ex leader dell’organizzazione terroristica che gli Stati Uniti e la NATO addestrarono e chiamarono Esercito di liberazione del Kosovo, KLA, o in albanese UCK. Negli ambienti della criminalità del Kosovo, è conosciuto come Hashim ‘il Serpente’ per la sua spietatezza personale verso gli avversari.
Nel 1997, l’Inviato Speciale per i Balcani del presidente Clinton, Robert Gelbard, descrisse l’UCK, come indubbiamente un gruppo terrorista. Era molto di più. E’ una mafia clanistica, impossibile quindi infiltrarvisi, che controlla l’economia sommersa del Kosovo. Oggi il Partito Democratico di Thaci, secondo fonti delle polizie europee, mantiene i suoi legami con il crimine organizzato.
Un rapporto del BND tedesco del 22 febbraio 2005, etichettato Top Secret, che da allora è trapelato,  dichiarava: “Tramite elementi chiave, per esempio Thaci, Haliti, Haradina, vi è uno stretto legame tra politica, l’economia e la criminalità organizzata internazionale nel Kosovo. Le organizzazioni criminali favoriscono l’instabilità politica e non hanno alcun interesse nella costruzione di uno stato ordinato e funzionante, che potrebbe nuocere ai loro affari crescenti.” [3]
L’UCK ha iniziato le azioni nel 1996 con il bombardamento dei campi profughi serbi che ospitavano i rifugiati dalle guerre in Bosnia e Croazia. L’UCK aveva ripetutamente fatto appello alla ‘liberazione’ di aree di Montenegro, Macedonia e della Grecia settentrionale. Thaci non è certo una figura della stabilità regionale, per dirla morbidamente.
Il 44enne Thaci era un protetto personale della Segretaria di Stato di Clinton Madeleine Albright, durante gli anni ’90, quando era  solo un gangster 30enne. L’UCK è stato sostenuto fin dall’inizio dalla CIA e dal BND tedesco. Durante la guerra del 1999, l’UCK è stata sostenuta direttamente dalla NATO. Nel momento in cui venne assunto dagli Stati Uniti, nella metà degli anni ’90, Thaci aveva fondato il ‘Gruppo di Drenica’, un sindacato criminale del Kosovo con legami con le mafie albanese, macedone e italiana. Un rapporto classificato del gennaio 2007, preparato per la Commissione UE, intitolato ‘VS-Nur fur den Dienstgebrauch‘, venne fatto trapelare ai media. Contiene in dettaglio l’attività criminale organizzata del KLA e del suo successore, il Partito democratico di Thaci.
Nel dicembre 2010, la relazione del Consiglio d’Europa venne pubblicata, il giorno dopo che la commissione elettorale del Kosovo aveva detto che il partito dell’onorevole Thaci aveva vinto le prime elezioni post-indipendenza, e accusava le potenze occidentali di complicità nell’ignorare le attività criminali della cerchia guidata da Thaci:“Thaci e questi altri membri ‘del Gruppo di Drenica’ sono costantemente indicati come ‘attori chiave’ nei rapporti di intelligence sulle strutture della criminalità organizzata della mafia del Kosovo“, dice il rapporto. “Abbiamo scoperto che il ‘Gruppo di Drenica’ ha avuto come capo o, per usare la terminologia delle reti della criminalità organizzata, un suo ‘boss’ nel rinomato politico … Hashim Thaci“. [4]
La relazione afferma che Thaci esercitava un “controllo violento” sul traffico di eroina. Dick Marty, l’investigatore dell’Unione europea, ha presentato il rapporto ai diplomatici di tutti gli Stati membri dell’UE. La risposta è stata il silenzio. Washington è dietro Thaci. [5]
La stessa relazione del Consiglio d’Europa sulla criminalità organizzata del Kosovo accusava  l’organizzazione mafiosa di Thaci di trattare il commercio di organi umani. Figuri della cerchia intima di Thaci, sono stati accusati di aver tenuto dei prigionieri oltre il confine con l’Albania, dopo la guerra, dove si dice che un certo numero di serbi sono stati uccisi affinché i loro reni fossero venduti sul mercato nero. In un caso, rivelato nei procedimenti giudiziari in un tribunale distrettuale di Pristina del 2008, si diceva che gli organi erano stati presi dalle povere vittime in una clinica conosciuta come Medicus, “collegata all’espianto di organi da parte del Kosovo Liberation Army (KLA), nel 2000”. [6]
La questione diventa allora, perché Washington, la NATO, l’UE e annessi e, soprattutto, il governo tedesco, sono così desiderosi di legittimare il distacco del Kosovo? Un Kosovo gestito internamente dalle reti della criminalità organizzata, è facile da controllare per la NATO. Essendo sicuro che uno Stato debole è molto più facile da sottomettere al dominio della NATO. In combinazione con l’Afghanistan controllato dalla NATO, da cui arriva l’eroina, con il Kosovo controllato dal Primo Ministro Thaci, il Pentagono sta costruendo una rete di accerchiamento attorno alla Russia, che è tutto tranne che pacifica.
La dipendenza di Thaci dalle buone grazie degli Stati Uniti e della NATO, assicura che il governo di Thaci farà ciò che gli viene chiesto. Questo, a sua volta, assicura agli Stati Uniti un vantaggio importante, consolidando la propria presenza militare permanente nel strategicamente vitale sud-est Europa. Si tratta di un passo importante nel consolidamento del controllo NATO sull’Eurasia, e fornisce agli Stati Uniti un notevole margine di oscillazione nell’equilibrio di potere europeo. Meraviglia poco che Mosca non abbia accolto con favore la vicenda, così come numerosi altri Stati. Gli Stati Uniti stanno letteralmente giocando con la dinamite, e potenzialmente anche con la guerra nucleare nei Balcani.

F. William Engdahl, è autore di A Century of War: Anglo-American Oil Politics in the New World Order. Collabora con BFP e può essere contattato attraverso il suo sito web Engdahl.oilgeopolitics.net, dove questo articolo è stato originariamente pubblicato.

Note:
[1] RIA Novosti, US to Help Kosovo Join EU NATO: Clinton, 5 aprile 2012.
[2] Rick Rozoff, Pentagon and NATO Complete Their Conquest of The Balkans, Global Research, 28 novembre 2009.
[3] Tom Burghardt, The End of the Affair: The BND, CIA and Kosovo’s Deep State.
[4] The Telegraph, Kosovo’s prime minister ‘key player in mafia-like gang ,’ 14 dicembre 2010
[5] Ibid.
[6] Paul Lewis, Kosovo PM is head of human organ and arms ring Council of Europe reports, The Guardian, 14 dicembre 2010.
Traduzione di Alessandro Lattanzio



Fonte: La Nuova Alabarda (Trieste)
nuovaalabarda @ yahoo.it

LA LEGA NAZIONALE ALLA FOIBA DI BASOVIZZA.


Chi va a visitare il monumento nazionale della “foiba” di Basovizza scopre che l’area museale non è gestita dai Civici Musei triestini, né da altre strutture istituzionali specializzate nella ricerca storica sull’argomento.

No, chi visita il museo e desidera acquistare qualche pubblicazione per comprendere la storia del confine orientale, si trova di fronte un bookshop con le sole pubblicazioni della Lega Nazionale di Trieste; ciò perché (leggiamo in http://www.foibadibasovizza.it/monumento.htm, pagina curata dalla stessa Lega Nazionale) “a margine del Sacrario è stato previsto uno spazio dedicato a Centro di Documentazione, che il Comune di Trieste ha ritenuto di affidare alla Lega Nazionale”.

E qui appare il problema che intendo sottoporre ai lettori (e che porrò in sede istituzionale): in base a che il Comune di Trieste ha “ritenuto di affidare” lo spazio informativo presso la “foiba” di Basovizza alla Lega Nazionale, che non è un Istituto storico ma un’associazione privata che ha come scopo statutario (come leggiamo nel loro sito http://www.leganazionale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=44&Itemid=124 ) “di perpetuare e promuovere ovunque la conoscenza, lo studio, l’amore e la difesa della lingua e della civiltà italiana nella Venezia Giulia”.

Cos’ha a che fare con la storia tutto ciò? Nulla, basta dare un’occhiata a quanto messo in vendita nel bookshop personalizzato della Lega Nazionale presso il Monumento, Nazionale anch’esso, ma con un’altra accezione, ovviamente: testi e CD di mero contenuto nazionalista e di propaganda della Lega suddetta.

La Lega Nazionale non è un istituto storico, e la conoscenza (scarsa) che i suoi membri hanno (e purtroppo diffondono) della “questione delle foibe” si evince dalle pagine da loro curate, sostanzialmente il sito http://www.foibadibasovizza.it/, che poi rinvia a dei collegamenti con il sito http://www.lefoibe.it e ad altri collegamenti con il sito della Lega Nazionale (dove si trovano articoli a dir poco aberranti).

Non entriamo in questa sede nel merito delle falsificazioni storiche che troviamo in questi link, rinviando i lettori ad uno studio specifico che pubblicheremo a breve; vogliamo solo ribadire, come più volte detto, che ci troviamo di fronte ad una serie di affermazioni non suffragate da alcuna prova, ma che si limitano a ripetere quanto affermato in precedenza da altri propagandisti. Qui ci limiteremo a parlare di quanto scrive la Lega Nazionale relativamente alla “foiba” di Basovizza).

La Foiba di Basovizza divenne nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito (…) le vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, venivano prelevate nelle case di Trieste, durante i 40 giorni di occupazione jugoslava della città (…).A Basovizza arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro”. Tralasciamo il resto, perché una tale congerie di affermazioni false richiederebbe pagine e pagine di smentite (si veda il dossier “La foiba di Basovizza”, da noi pubblicato nel 2005) ma solo chi non ha idea dell’argomento su cui pretende di pontificare può affermare che sparando ai primi della fila tutti gli altri “precipitavano nel baratro”. Si guardino le foto delle dimensioni reali del Pozzo della miniera di Basovizza (conservate nell’Archivio del Comune di Trieste) e si valuti se era fisicamente possibile infoibare le persone nel modo descritto.

Infine la perla nera delle affermazioni su Basovizza, relativamente al numero degli infoibati, che, tanto per cambiare, non è possibile determinare con esattezza (il che lascia spazio a qualunque illazione, sia chiaro) e quindi è stato calcolato in modo “inusuale e impressionante. Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila vittime”.

Calcolo questo non solo “inusuale e impressionante”, ma anche inattendibile ed assurdo. In primo luogo, nessuno aveva misurato le profondità “prima e dopo la strage”; secondo, il calcolo volumetrico, basato su dimensioni falsate del pozzo e sulla teoria che in un metro quadrato starebbero tre corpi umani, è del tutto inaccettabile; terzo, se da tutta Trieste sono scomparse meno di 500 persone (dati desunti dall’Anagrafe), delle quali buona parte si sa dove e come sono morte, come potrebbero essere trovarsi “oltre duemila vittime” a Basovizza?

Menzogne, menzogne, menzogne: ecco quello che la Lega Nazionale propaganda a proposito delle foibe, in base a mere affermazioni prive di riscontro documentale. E nel suo sito, proprio nelle pagine relative agli “approfondimenti” sulle foibe troviamo anche alcuni scritti insultanti di ricercatori come la sottoscritta o il dottor Sandi Volk, definiti “negazionisti” e “trinariciuti” (tanto per rendere l’idea della serenità con cui la Lega Nazionale parla di questi argomenti) perché abbiamo smentito le affermazioni menzognere di chi da decenni usa le foibe come strumento di propaganda politica e nazionalista.

Curiosamente invece la Lega Nazionale non pubblicizza la sua diretta conoscenza in tema di foibe, non riproduce la poesia tratta da testi scolastici del Ventennio, quella che recita che per difender la favella di Dante e sovenir la Lega (cioè la Lega Nazionale) convien che ognun s’appresta a fare el suo dover. Che sarebbe: chi che ofende Pisin la pagherà: in fondo alla Foiba finir el dovarà.

In conclusione le domande: a quale titolo la Lega Nazionale detiene il monopolio della (dis)informazione al Monumento nazionale “Foiba di Basovizza”? È stata indetta una gara di appalto, un concorso per questo? E se sì, quali titoli ha portato questa associazione, e quale commissione di esperti li ha esaminati? 





L'ANVGD FESTEGGIA IL 25 APRILE ...

... con un attacco isterico contro i partigiani jugoslavi:

<< ... un’occupazione feroce... l’ondata sanguinaria delle bande di Tito... un regime di terrore e la pulizia etnica dell’elemento italiano protrattisi ben oltre la fine del conflitto... una dimensione di inaudita violenza... Gli eccidi a danno della popolazione giuliana ... pianificati in modo capillare e tristemente famosi divennero i campi di concentramento... l’immaginazione etnocentrica del nazionalcomunismo jugoslavo.... L’Istria intera e Zara con i suoi dintorni divennero teatro di infoibamenti e di spoliazioni di massa, a tale punto da indurre all’esilio in Italia la popolazione autoctona... >>

(dal Comunicato Stampa dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia per il 25 Aprile 2012:

In realtà l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia fu armata multi-nazionale per composizione - al suo fianco combatterono anche 30mila italiani inquadrati nelle Divisioni "Garibaldi" e "Italia" - e internazionalista per vocazione - "Unità e Fratellanza" era il motto, concretamente realizzato, di quei partigiani e dello Stato federale che essi con il loro sacrificio costruirono.
Almeno ventimila furono gli italiani autoctoni di Istria e Dalmazia che, optando per la Jugoslavia e rigettando le "sirene" nazionaliste e anticomuniste italiane, rimasero a vivere sulla loro terra natìa nel dopoguerra. 
Gli unici a teorizzare, predicare e realizzare praticamente "pulizie etniche" e "campi di concentramento" su base nazionale nel corso della II Guerra Mondiale furono i nazi-fascisti e i loro alleati - e dunque anche i fascisti italiani, che sterminarono la popolazione autoctona con l'incendio di interi abitati (come a Podhum) e nei lager (come ad Arbe). 
 
La nuova presidenza dell'ANVGD (insediata da soli due mesi) ha deciso di "presentarsi" così all'opinione pubblica democratica, scambiando vittime e carnefici, urlando ricostruzioni volgarmente faziose e alimentando odio cieco contro i popoli a noi più vicini. O forse è proprio questa è la natura dell'ANVGD, per Statuto e ascendenze? Forse è per queste finalità che essa viene finanziata con i soldi dei contribuenti e sostenuta, da un decennio a questa parte, in tutte le sedi istituzionali?

Italo Slavo

(Sulle origini e finalità irredentiste della ANVGD si veda alla nostra pagina: