Informazione
Nella sua prossima visita in Croazia papa Ratzinger si recherà anche a rendere omaggio alla tomba del cardinale Stepinac, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998, personaggio sul quale si continua a dibattere: salvatore di ebrei nel regime di Pavelic e poi vittima della repressione jugoslava o collaborazionista del nazifascismo ustascia?
Su questo tema la giornalista Claudia Cernigoi
intervisterà il ricercatore Vincenzo Cerceo
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2011
ALLE ORE 17.30
PRESSO IL NARODNI DOM DI TRIESTE
Via Filzi 14
organizza
la redazione de La Nuova Alabarda
in collaborazione con
il Coordinamento Antifascista di Trieste
grazie alla Narodna in Studiška Knjižnica per l'uso della sala.
(segnalato via Facebook.
Sulla figura di Stepinac, e più in generale sui crimini commessi dal clerico-nazismo croato e dal Vaticano, si veda anche:
https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7066 )
Sarebbe di due morti e 37 feriti il bilancio provvisorio dei disordini scoppiati nella notte a Tiblisi, capitale della Georgia.
Secondo fonti governative, le due vittime sarebbero membri degli apparati di sicurezza, travolti da auto dei manifestanti in fuga.
Gli incidenti si sono verificati davanti al parlamento, dove la leader dell'opposizione,Nino Burjanadze, aveva convocato una manifestazione per protestare contro il governo di Mikhail Saakashvili, definito "autoritario e corrotto".
Contro i manifestanti sono intervenuti i reparti del ministero dell'Interno, con lacrimogeni, manganelli e idranti.
L'opposizione parla di centinaia di arresti ma soprattutto denuncia una repressione brutale: alcuni testimoni racontano di strade sporche di sangue, teste spaccate e gambe rotte.
La Burjanadze, che poco dopo è apparsa su un canale televisivo georgiano, ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire e condannare Saakashvili, isolandolo.
Non tutte le rivoluzioni escono col buco. Quelle contro i regimi amici degli Stati Uniti hanno il brutto vizio di venire brutalmente stroncate sul nascere, nel silenzio della stampa occidentale. E' successo a marzo nell'Azerbaigian di Ilham Aliyev. E' successo di nuovo ieri nella Georgia di Mikheil Saakashvili.
Da giorni migliaia di georgiani protestavano nel centro della capitale Tbilisi, chiedendo le dimissioni del presidente 'Misha', accusato di ignorare il progressivo impoverimento della popolazione - afflitta da crescente disoccupazione, aumenti prezzi e tagli alle pensioni e ai servizi sociali - e di governare in maniera sempre più autoritaria e repressiva. C'erano molti giovani, studenti e disoccupati, decisi a imitare le rivoluzioni arabe, ma soprattutto molti anziani pensionati dai capelli bianchi, tanto che i giornali hanno parlato di 'rivoluzione d'argento'.
Mercoledì i dimostranti si erano radunati davanti al parlamento occupando Viale Rustaveli, decisi a impedire la tradizionale parata militare dell'indomani, Giorno dell'Indipendenza. Poco dopo la mezzanotte, centinaia di poliziotti antisommossa appoggiati da blindati hanno attaccato il presidio da due lati, senza lasciare scampo ai manifestanti, sparando granate fumogene e proiettili di gomma a distanza ravvicinata e picchiando selvaggiamente persone già a terra, anche anziane (video). Decine i feriti, centinaia gli arrestati. Un'auto del convoglio della leader dell'opposizione Nino Burjanadze, in fuga dalle cariche, ha travolto un agente e un dimostrante, uccidendoli.
La pioggia notturna ha ripulito il sangue dal selciato di Viale Rustaveli, su cui poche ore dopo hanno sfilato colonne di carri armati e truppe dell'esercito georgiano - tutti mezzi e armi forniti dagli Stati Uniti - sotto lo sguardo marziale del presidente Saakashvili. ''Ogni cittadino ha libertà di esprimersi e di protestare - ha dichiarato dal palco - ma i fatti di questi giorni non hanno nulla a che vedere con questa libertà: sonoprovocazioni orchestrate all'estero, secondo un copione scritto fuori dalla Georgia, dal nostro nemico e occupante''. Il riferimento esplicito è alla Russia, le cui forze armate stanziano nelle repubbliche separatiste di Abkhazia e Sud Ossezia(quest'ultima al centro della breve guerra Russo-Georgiane dell'agosto 2008, scatenata e persa da Saakashvili).
La brutale repressione poliziesca della 'rivoluzione d'argento' aveva ottenuto l'implicito via libera da parte dei rappresentanti diplomatici dei governi occidentali a Tbilisi.
Mercoledì, parlando ai giornalisti, l'ambasciatore americano John Bass aveva dichiarato: ''Sono preoccupato dal fatto che tra i manifestanti vi siano elementi più interessanti allo scontro violento che alla protesta pacifica'', ha dichiarato l'ambasciatore americano John Bass.
''Hanno il diritto di manifestare, ma la protesta deve cessare entro domani perché non hanno il diritto di impedire una parata ufficiale'', parola dell'ambasciatore francese Eric Fournier.
L'ex alleata di Saakashvili e oggi leader dell'opposizione, Nino Burjanadze - tutt'altro che filorussa - ha smentito ogni sostegno da parte di Mosca, affermando che ''l'azione punitiva'' di mercoledì notte non fermerà il corso della ''rivoluzione democratica'' georgiana.
Ma l'Occidente non sembra proprio interessato a sostenere un altro cambio di regime in Georgia dopo quello ottenuto nel 2003 con la 'rivoluzione delle rose' che ha portato al potere il fido Saakashvili: soggetto tutt'altro che democratico, ma molto attento agli interessi politici ed economici occidentali.
Enrico Piovesana
http://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz0311.doc
Anche le precedenti relazioni di Zastava Trieste / Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus si possono scaricare alla URL:
http://www.cnj.it/solidarieta.htm#nonbombe
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Questa relazione e’ suddivisa in quattro parti:
- Introduzione e siti web
Cronaca del viaggio; i progetti in corso e quelli futuri
Alcune informazioni generali sulla Serbia e su Kragujevac
Conclusioni
2. Cronaca del viaggio; i progetti in corso
Desanka Maksimovic
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Piero Calamandrei
[FOTO: La targa sulla porta / Le due poesie]
La sala e’ stata restaurata benissimo; spicca in modo particolare il pavimento, recuperato perfettamente; le sedie e i tavoli presenti sono piuttosto vecchi e malandati, a parte il nuovo armadio che il Comune si era impegnato a comprare.
Sabato 19 marzo
Alle 10 abbiamo un incontro con i rappresentanti sindacali del settore auto, per verificare la situazione della fabbrica a poco piu’ di un anno della FIAT. I dati raccolti in questo incontro li ritrovate piu’ sotto, nella quarta parte di questa relazione.
Alle 11 inizia l’assemblea per la consegna degli affidi. Malgrado siano passati tanti anni e tanti viaggi dall’inizio della nostra campagna credo che nessuno possa abituarsi alla vista di tutte queste persone che pazientemente con qualunque condizione di tempo ci aspettano nel piazzale davanti alla grande sala della direzione della Zastava Camion dove avvengono le consegne.
Come sempre l’assemblea comincia con i saluti dei dirigenti sindacali e con un nostro intervento; questa volta i saluti sono piu’ commoventi del solito perche’ Delko dopo dieci anni lascia la guida del Sindacato, poiche’ fa parte di quelli che hanno perso il lavoro
E non e’ tra i piu’ sfortunati perche’ tra cinque anni sara’ in pensione (naturalmente se la pensione ci sara’ ancora...). Molto peggio stanno quel migliaio di lavoratori al di sotto dei 50 anni che sono stati messi in mobilita’ a gennaio 2011; molti di loro sono presenti in sala con la loro famiglia.
Quando la fonte non e’ indicata significa che i dati sono stati ricavati dai bollettini periodici dell’Ufficio Centrale di Statistica; qualora la fonte sia diversa viene esplicitamente indicata.
ALCUNI INDICI ECONOMICI GENERALI
Cambio dinaro/euro.
A ottobre 2008 il cambio dinaro-euro era di 84 a 1.
Al 22 ottobre 2009 era di 93.2 dinari per euro.
Il 25 marzo 2010 era di 97 dinari per un euro.
Il 1 luglio 2010 il cambio e’ passato a 102 dinari/euro.
Il 20 ottobre 2010 il cambio era di 103.5 dinari per un euro
Il 28 novembre 2010 il cambio e’ arrivato a a 107.4 dinari per euro.
Dopo questa data c’e’ stato un rafforzamento progressivo del dinaro che ha raggiunto il suo massimo il 2 maggio, passando a 99 dinari per euro.
L’indebolimento del dinaro rispetto all’euro ha effetti devastanti sulle condizioni di vita delle famiglie, con una vistosa caduta del potere di acquisto delle famiglie, visto che la Serbia e’ un Paese con un fortissimo deficit commerciale e che piu’ della meta’ del commercio con l’estero si svolge con la Unione Europea (Germania e Italia sono i primi partners commerciali in quest’area).
Il suo recente rafforzamento invece e’ dovuto esclusivamente a ragioni politiche, legate alle prossime elezioni; ha vantaggi solo per chi ha aperto mutui in euro, ma penalizza fortemente le gia’ scarse esportazioni, mentre i prezzi dei beni di prima necessita’ e le tariffe continuano ad aumentare.
Un dato per tutti rispetto alle tariffe: il prezzo dell’energia elettrica e’ aumentato del 15.1 per cento dal primo aprile scorso
Commercio con l’estero.
La Serbia si conferma un Paese estremamente indebitato, con un deficit commerciale altissimo.
Tra gennaio e dicembre 2010 le esportazioni sono state pari 7393.4 milioni di euro, con un aumento del 24% rispetto all’anno 2009.
30.maj 2011 22:13 (izvor : Tanjug / http://www.glassrbije.org/)
Predsednik Srbije Boris Tadić je izjavio da 2. juna u Rimu neće učestvovati na proslavi 150. godišnjice ujedinjenja Italije, zbog toga što su domaćini na tu svečanost pozvali Atifetu Jahjagu kao predsednika samozvane države Kosmet. Ukazujući da je njegova obaveza i namera da brani legitimne interese Srbije, Tadić je u intervjuu agenciji ANSA izrazio duboko razočaranje potezom italijanskih vlasti i dodao da je očigledno da je zvanični Rim prednost dao prisustvu predstavnika Kosmeta. Takvi potezi ne idu u prilog razvoju odnosa Srbije i Italije, naznačio je Tadić. On je, međutim, napomenuo da odluka o nedolasku na proslavu u Rim neće uticati na održavanje bilateralnog samita u Beogradu krajem juna. Imamo mnogo važnih i konkretnih stvari o kojima bi trebalo da razgovaramo, naveo je Tadić i u tom kontekstu posebno pomenuo izgradnju saobraćajnog "Koridora 11" i potencijalno italijansko partnerstvo u izgradnji beogradskog metroa.
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The Fifth International Conference on Jasenovac
May 24-25, 2011
Banja Luka
D E C L A R A T I O N
OF THE FIFTH INTERNATIONAL CONFERENCE ON JASENOVAC,
DEDICATED TO THE GENOCIDE COMMITTED AGAINST SERBS, JEWS AND ROMA IN THE INDEPENDENT STATE OF CROATIA
DURING THE SECOND WORLD WAR
The Fifth International Conference on Jasenovac,
- Starting from the fact that in the present-day Republic of Croatia the memory of the genocide committed during World War II against Serbs, Jews, and Roma by the quisling government of the Independent State of Croatia, which at that time also included the area of today’s Bosnia and Herzegovina, especially the Muslim people, whom they called “the flowers of the Croatian nation”, has been deliberately and systematically blotted out;
- Bearing in mind that the casualty rate of this genocide, especially the number of victims in Jasenovac, has not only been suppressed in the Croatian public media and quasi-historiographic works, but also radically diminished to a mere 40,000 killed Serbs, Jews and Roma, just as Franjo Tudjman, the first president of the Republic of Croatia, did in his capacity as a historian;
- Having in mind that nowadays some very influential and very partial parties in Croatia present the Ustasha, as perpetrators of genocide in the Independent State of Croatia, along with Ante Pavelic, as fighters for Croatia’s national liberation and independence, based on alleged historical and national rights of the Croatian people;
- Given the fact that the historically proven genocide against Serbian, Jewish and Roma people has never been properly condemned by politicians, either in Tito’s communist Yugoslavia or the present-day Croatia; that unlike the German people, who have accepted responsibility for the Holocaust committed in their name by the Nazis, the Croatian people have never taken responsibility for the genocide committed in their name; and that the Roman Catholic Church has failed to condemn the crimes of genocide in the NDH, the way it has condemned crimes committed at other World War II execution sites across Europe and apologized for the involvement of some of its members in them;
Given that the authorities of the People’s i.e. Socialist Republic of Croatia, as a federal unit within the Federal People’s Republic of Yugoslavia (FPRY), and later the SFRY, as well as the authorities of the present-day Republic of Croatia, as an independent state, have never offered to pay any reparations to the victims of genocide and their descendants;
- Given the fact that the execution sites at which the victims of this genocide were tortured, massacred and killed, and the mass graves into which they were thrown and buried without due respect or a respectable funeral, have never been marked and protected in a proper way;
- Since Ante Pavelic and many of his associates fled the Independent State of Croatia after the war using the so-called rat lines, along with the support of some Vatican prelates and clerics, and that many of them have not been tried in the country, which would have led the Croatian people to acknowledge the unfathomable crimes committed on their behalf, and to their moral enlightenment and purification;
Keeping all this in mind, the Fifth International Conference on Jasenovac hereby concludes that:
- The Ustasha crimes against Serbs, Jews and Roma during the Second World War in the Independent State of Croatia were a premeditated and planned genocide, as defined by the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, adopted by the United Nations General Assembly on the 9th of December, 1948;
- In the perpetration of this genocide, 700,000 Serbs, 23,000 Jews and 80,000 Roma were tortured, robbed, raped and eventually killed by the Croat Ustasha in the Croatian system of concentration camps Jasenovac alone, used for the extermination of Serbs, Jews and Roma and the regime’s ideological opponents, only because they belonged to another nation, religion or race;
- The Independent State
Le famiglie che abitano il campo sono arrivate a Kragujevac da varie città del Kosovo dove hanno lasciato tutto. Il Commissariato per i profughi consegna loro un pasto al giorno. Molti non hanno un lavoro. La comunità soffre molto la mancanza di spazi sociali dove ritrovarsi e, di conseguenza, i disagi abitativi sono molteplici, specialmente nei periodi invernali. La condizione di sicurezza di molte strutture e assai precaria, quando inesistente.
La scuola è luogo tenuto in gran considerazione dalla comunità ed è frequentata da bambini delle famiglie profughe ma anche da bambini della comunità locale. L’edificio ha bisogno di alcuni importanti interventi strutturali ma anche di attrezzature a supporto delle attività didattiche e ricreative.
Sono presenti 4 classi elementari, per un totale di 35 bambini nati tra il 2000 e il 2004, e anche una classe materna, tutte frequentate anche da bambini locali.
COSTO STIMATO dell’INTERVENTO SCUOLA: 6.000 Euro
Per la serata, si esibiranno i Bitles con una loro performance teatrale e musicale, incentrata sulla storia dei Beatles.
I BITLES nascono e sono parte integrante di un progetto di musica e teatro dedicato ai Fab Four: I BEATLES A ROMA. Parallelamente all'attività teatrale si esibiscono in un show prettamente musicale tributo ai beatles con riferimenti anche ai gruppi che li hanno influenzati: ne viene fuori una performance scatenata ed elettrizzante da non riuscire a star fermi...d'altro canto parliamo di rock'n roll!
ore 17:30 presso la Sala Ajace (Piazza Libertà)
Gens Italica: l'inesorabile rappresaglia dei Palikuća
Inoltre, dalla documentazione che verrà presentata, non potranno che risultare evidenti le pesanti responsabilità di personaggi che, mescolandosi tra le "vittime delle foibe", sono entrati nella contemporanea agiografia revisionista, permettendo ai carnefici e ai loro sostenitori di recitare il ruolo delle vittime, operando una vera e propria falsificazione storica.
Oggetto: Presentazioni a Bari (27/5) e Gravina (28/5)
Data: 24 maggio 2011 09.59.11 GMT+02.00
Storie e memorie di una vicenda ignorata
La scheda del libro sul sito di CNJ-onlus: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#partigiani2011
La scheda del libro su Facebook: http://www.facebook.com/event.php?eid=103675256383363
ore 18.30 c/o associazione Marx XXI - II str. priv. Borrelli 32
(di fronte al “Piccolo teatro”, a pochi minuti a piedi dalla stazione FS, lato estramurale Capruzzi e dal parcheggio dell’ex Rossani in C.so Sicilia)
Presentazione del libro
I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana
Storie e memorie di una vicenda ignorata
Intervengono
Andrea Martocchia, autore del libro, Coordinamento nazionale per la Jugoslavia
Gaetano Colantuono, coautore col capitolo dedicato alle Puglie
Antonio Leuzzi, ANPI-Bari, Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea
Coordina
Andrea Catone, Associazione Marx XXI;
associazione Most za Beograd – un ponte per Belgrado in terra di Bari
ore 10.30 c/o Camera del Lavoro, Piazza della Repubblica
Storie e memorie di una vicenda ignorata
Incontro con l'autore
Andrea Martocchia
Interventi e testimonianze:
Andrea Ferrante, pres. ANPI
Sen. Onofrio Petrara
Luciana Gramegna, CGIL
Luigi Ljubimir Vjekoslav Maletic
Michele Loglisci, insegnante
Milena Fiore, ANPI
Luogo
Camera del Lavoro - p.zza della Repubblica, Gravina in Puglia
Creato da
ARCI MURETTI A SECCO GRAVINA, Luciana Gramegna, Milena Fiore, Arci Muretti A Secco
Maggiori informazioni:
Nelle settimane scorse l’ANPI di Gravina ha avuto modo di attuare una positiva collaborazione con alcune scuole della città ed associazioni, finalizzata alla costruzione di iniziative di formazione sul tema della lotta di Liberazione e della sua continuità rispetto al Risorgimento, nell’ambito del 150° dell’Unità d’Italia.
Nello specifico si è trattato di un ciclo di incontri nei quali la proiezioni di film a soggetto è stata seguita da alcuni interventi esplicativi e di contestualizzazione. In queste occasioni si è riscontrato un forte interesse degli studenti e la fattiva collaborazione di molti docenti.
In continuità con tale positiva esperienza l’ANPI invita a partecipare i cittadini alla presentazione del libro “I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana”, di Andrea Martocchia. Questo libro si aggiunge come importante contributo agli studi dell’Istituto pugliese per gli studi dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (IPSAIC). Il libro è frutto di una lunga ricerca relativa alla partecipazione di partigiani jugoslavi alla Resistenza italiana; partecipazione che proprio nel nostro territorio ha avuto una delle basi di partenza principali.
Si tratta tuttavia di una pagina di storia quasi del tutto sconosciuta, che sarebbe invece di grande interesse e utilità per la costruzione della memoria collettiva locale portare a conoscenza dei giovani.
L’iniziativa si svolgerà sabato 28 maggio ore 10,30 presso la Camera del lavoro di Gravina, sita in piazza della Repubblica.
Distinti saluti
Il presidente dell’ANPI di Gravina in Puglia
Viale Orsini, Gravina in Puglia
AL DIRIGENTE SCOLASTICO …
Della Scuola Secondaria di I grado …
OGGETTO: Iniziativa di presentazione del libro “I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana”
Egregio Sig. Preside,
nelle settimane scorse l’ANPI di Gravina ha avuto modo di attuare una positiva collaborazione con alcune scuole della città, finalizzata alla costruzione di iniziative di formazione sul tema della lotta di Liberazione e della sua continuità rispetto al Risorgimento, nell’ambito del 150° dell’Unità d’Italia.
Nello specifico si è trattato di un ciclo di incontri nei quali la proiezioni di film a soggetto è stata seguita da alcuni interventi esplicativi e di contestualizzazione. In queste occasioni si è riscontrato un forte interesse degli studenti e la fattiva collaborazione di molti docenti.
In continuità con tale positiva esperienza l’ANPI propone alle scuole di Gravina di invitare gli studenti a partecipare alla presentazione del libro “I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana”, che si aggiunge agli studi dell’Istituto per gli studi dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (IPSAIC). Il libro è frutto di una lunga ricerca relativa alla partecipazione di partigiani jugoslavi alla Resistenza italiana; partecipazione che proprio nel nostro territorio ha avuto una delle basi di partenza principali.
Si tratta tuttavia di una pagina di storia quasi del tutto sconosciuta, che sarebbe invece di grande interesse e utilità per la costruzione della memoria collettiva locale portare a conoscenza dei giovani.
L’iniziativa per la quale chiediamo la Vostra cortese collaborazione si svolgerà sabato 28 maggio ore 11, presso la Camera del lavoro di Gravina, sita in piazza della Repubblica.
Distinti saluti
Il presidente dell’ANPI di Gravina in Puglia
Gravina in Puglia, 14 maggio 2011
Da: Cathrin Schütz
Data: 16 maggio 2011 11.01.04 GMT+02.00
Oggetto: NATO in Beograd
English/Srpski
Dear friends, dear colleagues,
our friends Vladimir Krsljanin and Goran Petronijevic of Pokret za Srbiju are leading a campaign in Serbia against the upcoming NATO summit in Belgrade.
You can support the action by signing the online petition and spread the link:
http://www.thepetitionsite.com/1/FOR-SERBIA-FREE-OF-NATO-ZA-SRBIJU-BEZ-NATO/
The title "FOR-SERBIA-FREE-OF-NATO" is the title of their campaign. They have the petition and also will organize an anti-NATO-action (concert) in downtown Belgrade.
Here is the Belgrade NATO conference web site:
http://www.act.nato.int/smpc
Best,
Cathrin Schütz
NATO je izvrsio agresiju na nasu zemlju. U savezu sa teroristima i narkomafijom, NATO pokusava da otcepi Kosovo i Metohiju od Srbije. NATO cini zlocine sirom sveta.
Zahtevamo:
1. Da se otkaze odrzavanje NATO konferencije 13-15. juna u Beogradu;
2. Da sluzbenici NATO zemalja napuste sva ministarstva i institucije u Srbiji.
FOR SERBIA FREE OF NATO!
To: The President of the Republic of Serbia, The Government of the Republic of Serbia and The Parliament of the Republic of Serbia
NATO waged a war of aggression against our country. In alliance with terrorists and narco-mafia, NATO attempts to cut Kosovo and Metohija from Serbia. NATO commits crimes all over the World.
We demand:
1. The NATO Conference scheduled for 13-15 June in Belgrade to be canceled;
2. That "advisers" from NATO countries leave all ministries and institutions in Serbia.
NATO’s crimes from Kabul to Belgrade
Over the course of the last 20 years NATO has been revealed as the top criminal conspiracy of the world. It’s the mob boss of all mobsters. NATO, an imperialist military alliance led by the U.S., terrorizes whole continents. From Kabul to Tripoli, NATO is raining death from the skies.
The actual bombings, deaths and destruction are, of course, more of a problem for humanity than the hypocrisy and lies NATO tells. The hypocrisy simply adds insult to injury. Thus NATO not only bombed and killed 11 imams in Libya, but it murdered these religious leaders — who were trying to negotiate an end to the civil war — in the name of “protecting civilians.”
Now that there is no Soviet counterforce to hold their arrogance in check, the leaders of the imperialist powers — and NATO is their weapon of choice — have no shame. They no longer need to even think about a serious military opposition, although that doesn’t stop them from squeezing taxes out of the workers here, so the military-industrial complex can charge cost overruns for more doomsday weapons.
Yet despite their overwhelming military might, NATO has won no wars nor stabilized any conquests lately. Their arrogance leads them to underestimate their enemy: the world’s people, who resist being recolonized. The imperialist armies have spent 10 years in Afghanistan and sent 150,000 troops there, but they still can’t get control of that country. The U.S. invaded Iraq and still has less control there than the ruling class bargained for. And although Libya has only 6 million people, the NATO big shots project it will take months of bombing to achieve their objectives.
On top of all this, the swelled NATO heads may be underestimating another people. After decades as an anti-Soviet alliance, NATO’s first actual war was against Yugoslavia. In 1999, NATO celebrated 50 years of its existence with a 78-day bombing run against Serbia, doing much damage to Belgrade, Novi Sad and some industrial areas of the former Yugoslavia and killing thousands of people. The Pentagon still has an enormous military base, Camp Bondsteel, in the Kosovo province the imperialists want to wrench from Serbia.
Do the NATO tops think the people of Serbia have forgotten all this? They have chosen Belgrade, the capital of Serbia — and once of all Yugoslavia — as the site of NATO’s June 13-15 Strategic Military Partner Conference. This is the part of NATO aimed at integrating countries that used to be socialist into the military alliance. Now the unemployed youth of what have become capitalist countries can be cannon fodder for imperialist adventures in Africa and Asia or be used to surround Russia.
There are already plans for a protest — in the form of a concert — during the NATO meeting. Opponents of NATO’s war against Yugoslavia and the overturn in Serbia are leading a campaign against the conference. It was at open-air concerts in 1999 that Belgrade’s people defied the NATO bombers. Now the organizers are promoting a petition that demands canceling the conference and expelling all the “advisers” from NATO countries now running ministries and institutions in Serbia. See http://goo.gl/WK6bW.
Workers World offers our solidarity to the people of the former Yugoslavia who are resisting NATO. We hope this is another example where the imperialists have underestimated the people. We want NATO and U.S. troops and bombs out of Eastern Europe and the Balkans, just as we want them out of Afghanistan, Pakistan, Iraq and Libya. We must stop the superrich from plundering our budget here just so they can better plunder the rest of the world.
Besides our solidarity, we should remember that the next NATO summit will be held in 2012 in the United States. They haven’t announced a date or venue yet, so let’s keep an eye on it.
Workers World, 55 W. 17 St., NY, NY 10011
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Oggetto: Le prossime presentazioni a Roma-Arezzo-Terni-Firenze...
Data: 16 maggio 2011 22.28.30 GMT+02.00
Storie e memorie di una vicenda ignorata
La scheda del libro sul sito di CNJ-onlus: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#partigiani2011
La scheda del libro su Facebook: http://www.facebook.com/event.php?eid=103675256383363
Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html
con: Andrea Martocchia (autore), R. Veljović (sindacalista Zastava Auto - Kragujevac), Giacomo Scotti (saggista)
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/progetto.htm#firenze220511
Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo@...>Data: 11 maggio 2011 13.36.12 GMT+02.00Oggetto: dal recente viaggio in Serbia...cari tutti,
oltre a ricordarvi i prossimi appuntamenti:
- sabato 14 maggio, ore 20,30, a Milano, presso il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, viale Monza 255, presentazione dell'Urlo del Kosovo;
- mercoledì 1 giugno, ore 20,30, presso l'auditorium Ennio Morricone, facoltà Lettere e Filosofia, università Roma "Tor Vergata", spettacolo a sottoscrizione per il progetto di risistemazione della scuola di Trmbas, Kragujevac (Serbia),
vi invito alla lettura di un mio breve racconto appena tornato dalla Serbia, che troverete su:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/
MERCOLEDÌ 11 MAGGIO 2011
Radnacciàsu!
“Radnacciàsu”, che in serbo vuol dire compito in classe, non le piace e quella doppia C proprio non riesco a pronunciarla come lei vorrebbe.
Ha sette anni, Tanja, e ride insieme alla sua amichetta, Anastasija, anche lei di sette anni. Siamo nella scuola Vuk Stefanović Karadžić di Trmbas, villaggio di Kragujevac, in Serbia. La scuola è situata in un campo abitato da famiglie profughe dal Kosovo, vittime dei bombardamenti Nato del ‘99.
Prima delle bombe “umanitarie”, quel villaggio era la sede estiva di tanti alunni delle scuole elementari. Ora, è un piccolo vulcano dove tanta rabbia si accumula, giorno dopo giorno, nell’indifferenza di chi ha causato tutto questo. Quando arriviamo, qualcuno ci guarda diffidente, qualcuno ci chiede soldi, altri ci vogliono solo mostrare le loro povere cose.
Stanno così da 12 anni, il loro presente è fatto di lotte quotidiane per la sopravvivenza.
Stanno così da 12 anni e non sembrano avere un futuro.
Ma il futuro lo leggi negli occhi di giovani madri, come Velika, poco più che ventenne e già madre di due bambini.
Stanno così da 12 anni, e non sembrano avere passato. Ma il passato lo leggi negli occhi di anziane madri, come Dobrìla, che ci mostra la foto del suo giovane figlio mai dimenticato, ammazzato in Kosovo. I suoi assassini sono stati premiati dalle bombe della Nato e, quindi, da quelle dell’Italia, complice e rea confessa, per nulla pentita.
Oggi, a Kragujevac, c’è la visita del presidente della Serbia, Boris Tadić. Difficilmente passerà da queste parti. Così come difficilmente, da queste parti, conosceranno mai il maglioncino casual di Marchionne e le sue ricette di risanamento. Non avevano tanto bisogno di risanarsi, ai tempi della Jugoslavia, Kragujevac la chiamavano la “Torino dei Balcani”, con la sua fabbrica di automobili Zastava, oggi preda dei classici e consolidati ricatti del capitalismo occidentale: investimenti pubblici, profitti privati.
La nostra amica Rajka Veljović, dell’ufficio adozioni della Zastava, sindacato Samostalni, oggi licenziata da tutto ed espulsa, di fatto, dalla fabbrica, ci accompagna facendo da garante per noi nei confronti degli abitanti del villaggio. Il suo volto è triste, stanco, rassegnato. Sono anni che viene qui ma in tanti anni la situazione del villaggio è solo peggiorata.
E la tristezza diventa rabbia, per tutti questi anni di sfacelo e di drammi, per un paese che viveva la sua storia con assoluta dignità e fierezza.
Dignità e fierezza che ritroviamo in quel suo raccontarci della tomba di Tito, a Belgrado, che dal 2002 ha visto aumentare in modo esponenziale le visite. C’è chi la chiama “nostalgia”. Ma, forse, è solo ricordo indelebile di tempi migliori, ormai andati. Rabbia e ricordo, tristezza e disperazione.Qui a Trmbas, alla gente di questo villaggio, anche Milošević e il suo “regime” garantiva un salario, un’istruzione, cure, cibo, casa e dignità. Ma dalle nostre parti tutti lo consideravano un “regime”, una “dittatura” e si sa, di questi tempi si fanno guerre contro le “dittature”, nel nome di “libertà e diritti umani” e anche fra i "pacifisti", ormai, spesso si applaude agli interventi “umanitari”. Dalla Jugoslavia alla Libia, dall’Iraq alla Palestina, passando per l’Afghanistan o per l’Africa. Salvo sorvolare sui risultati finali di queste guerre, che producono tragedie enormi e incontrollate, ma nel silenzio più totale, dove concetti come “libertà e diritti umani” scompaiono dalle agende politiche e dai mass-media.
Anche le persone di questo villaggio, senza saperlo, sono oggi libere e padrone di sé stesse. Non si rendono conto di quanto sia bello essere padroni di sé stessi. E’ la democrazia. Nessuno più che ti impone cose, ma le scegli tu. Anche se sei ridotto allo sbando e non sai dove sbattere la testa, sarà uno sbando… libero!
Tanja ci consegna il compito in classe svolto.
“Radnacciàsu”, adesso ho imparato, anche se a me sembra di pronunciarlo come prima. Lo consegnano anche gli altri bambini che abbiamo coinvolto in questo nostro gioco. Hanno scritto nome e cognome, luogo e data di nascita. Sono nati a Kragujevac, in Serbia. Hanno dai sette ai dieci anni. Si chiamano Tanja, Anastasija, Sladjana, Stefan, Marina, Filip. Le loro famiglie sono state cacciate dal Kosovo e Metohija, la loro terra. Dodici anni fa. E questo villaggio, nel cuore dell’Europa, aspetta che l’Europa si accorga della sua esistenza. Ma, forse, sarà meglio di no. Già una volta, l’Europa, si è ricordata di loro. Crediamo possa bastare.
p.s. Per il loro compito, abbiamo dato a questi bambini voto 5, il massimo nella scuola serba. Hanno bisogno di credere fortemente in loro stessi.
Mani sporche sulla guerra in Libia
di Sergio Cararo*
Nella guerra di Libia, stanno emergendo una dietro l'altra tutte le assai poco nobili motivazioni che hanno portato le maggiori potenze europee della Nato a scatenare una operazione militare vera e propria contro quello che fino a tre mesi era ritenuto “un membro decisivo del partenariato euro-mediterraneo”.
Ormai sono sempre meno coloro disposti ad accettare la motivazione ufficiale che ministri e bollettini della Nato ripetono come un mantra ossia “la protezione dei civili”. Gli ultimi bombardamenti della Nato poi hanno colpito gli edifici della televisione e dell'agenzia di stampa libica. Cosa hanno a che fare con la “protezione dei civili” a Bengasi o a Misurata? E' tempo di cominciare a chiamare le cose con il loro nome.
In questo caso sono i fatti – più che le opinioni – a inchiodare le "mani sporche" dei governi della Nato che hanno riempito il Mediterraneo di navi militari e riempito di missili e bombe le città libiche, siano esse vicine o lontane dal fronte della guerra civile che oppone le milizie di Gheddafi a quelle del Cnt di Bengasi.
La missione militare di “protezione civile” è diventata una caccia all'uomo con bombardamenti che si configurano come tentativi di omicidio mirato contro Gheddafi e i suoi familiari. In pratica siamo di fronte ad un terrorismo di Stato, in qualche modo eccitato dalla vicenda dell'uccisione di Osama Bin Laden, che punta all'eliminazione fisica del “nemico di turno” come presupposto alla soluzione politica o negoziata del conflitto;
La missione di “protezione dei civili” si dissolve qualora i civili assumono le fattezze dei profughi che dall'Africa o dal Maghreb fuggono verso le coste italiane su carrette e mezzi di fortuna. Le navi militari della Nato o li ignorano – e li lasciano morire nella tomba d'acqua del Mediterraneo – o si limitano a lanciare qualche bottiglietta d'acqua o qualche scatola di biscotti. Dopodichè le regole di ingaggio finiscono lì.
L'eliminazione del regime di Gheddafi sta assumendo i contorni di un “grosso affare” in molti sensi. Da un lato il sequestro dei beni finanziari libici all'estero, ha portato nelle casse delle banche dove erano depositate un bottino di quasi 120 miliardi di dollari. Si tratta dei beni della Lia (Lybian Investment Authority), della Central Bank of Lybia e della National Oil Corporation, congelati dalle sanzioni. Per aggirare il divieto di utilizzarli a proprio piacimento, le banche e i governi della Nato hanno escogitato un trucchetto con enormi conseguenze politiche e diplomatiche: hanno dovuto creare un soggetto. E' questa la spiegazione della fretta con cui alcuni paesi hanno riconosciuto il Cnt di Bengasi. Occorre tener conto che già il 19 marzo (con il conflitto appena iniziato) a Bengasi erano già state costituite la Central Bank of Bengasi e Libyan Oil Company, due soggetti giuridici in grado di dare un quadro legale al sequestro dei beni libici dovuto alle sanzioni.
Nei mesi scorsi, qualcuno deve aver pensato che il presidente francese Sarkozy fosse stato “mozzicato dalla tarantola”. Il suo oltranzismo e la sua fregola, hanno trascinato nei bombardamenti sulla Libia i governi di Usa, Gran Bretagna e poi l'Italia. Qual'era la ragione di questa escalation da parte dell'establishment francese? Alcuni hanno detto che erano ragioni elettorali e di calo di consensi. Come abbiamo visto alcune delle motivazioni erano altre e molto più concrete. Ma ce ne sono altre che attengono al ruolo colonialista della Francia in Africa e che solo in queste settimane sono state portate alla luce e all'attenzione di chi troppo facilmente dimentica il passato e il presente coloniale delle potenze europee (Italia inclusa) nelle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo e il continente africano.
Per la Francia, il fronte libico era del tutto speculare a quello in Costa d'Avorio, il quale nello stesso periodo in cui si è iniziato a bombardare la Libia, ha visto l'intervento militare francese per deporre con la forza l'ex presidente ivoriano Gbagbo. Motivo? Gbagbo, come Gheddafi, per quanto fossero discutibili sul piano democratico, avevano però cercato di sganciare i paesi africani – aderenti all'Unione Africana – da quello che era il Cfe, cioè l'unità di conto monetaria che vincola le economie e addirittura gli accordi commerciali con altri paesi da parte dei paesi africani francofoni .... alle decisioni della Francia. Il cambio di regime in Libia come in Costa d'Avorio sono stati perseguiti sistematicamente e pesantemente dal governo francese sin dall'inizio di tutta la vicenda.
Qualcun'altro si domanderà: ma le rivolte del mondo arabo come si connettono a tutto questo? Una parte della risposta viene dalla filosofia dell'amministrazione Obama su quanto sta accadendo in Medio Oriente: “evolution but not revolution”. La modernizzazione possibile e i cambiamenti che stanno intervenendo in questa regione strategica, possono vedere al massimo una “evoluzione” nel senso della struttura politica con riforme che introducano meccanismi simili (ma non identici) a quelli dei paesi occidentali. Ma guai se dovessero mettere in discussione anche la struttura economico-sociale: rapporti di proprietà, nazionalizzazione delle risorse, distribuzione delle royalties sul petrolio etc. In quel caso altro che rivoluzione democratica, se non dovessero bastare i militari dei vari governi, regimi, monarchie arabe, le cannoniere della Nato sono già posizionate nel Mediterraneo e nel Mar Arabico. Chiaro il segnale?
Se queste osservazioni sono vere – e abbiamo la netta sensazione che lo siano – è evidente come a questo punto la Francia e le altre potenze della Nato perseguano l'omicidio di Gheddafi come un passaggio necessario per far quadrare l'operazione. Ne hanno creato i presupposti legali (la risoluzione dell'Onu, il riconoscimento di un nuovo soggetto di governo attraverso il Cnt di Bengasi) e ne stanno perseguendo la realizzazione con i “bombardamenti mirati”.
A fronte di tale presupposto e di tale evoluzione della guerra, chi accetta ancora di nascondersi dietro il dito della “protezione dei civili” è un complice di una operazione di stampo nitidamente coloniale che – esattamente un secolo dopo l'invasione italiana della Libia – si sta realizzando sotto i nostri occhi tra l'inerzia e la complicità delle “forze democratiche” e le grandi difficoltà che incontra il movimento contro la guerra in un contesto in cui “l'imperialismo cattivo” stavolta non è quello statunitense ma quello dal “volto umano” della nostra cara, vecchia e maledetta Europa.
Domenica prossima, a Roma, le reti del movimento No War che non hanno rinunciato a mobilitarsi contro questa guerra dal carattere sempre più palesemente coloniale, terranno una nuova assemblea nazionale per discutere come gettare sabbia e indignazione dentro questo ingranaggio. Ci si vede alle ore 10.00 in via Galilei 53. E' un appuntamento che pochi possono permettersi il lusso di perdere.
* editoriale di Contropiano, giornale comunista online, dell'11 maggio
Mercoledì 11 Maggio 2011 18:52
Roma. Pacifisti contestano davanti alla direzione del Partito Democratico
di Redazione Contropiano
Oggi pomeriggio, un folto gruppo di attivisti della Rete romana contro la guerra, hanno inscenato una manifestazione di protesta davanti alla sede nazionale del Partito Democratico a Roma nella centralissima via Sant'Andrea delle Fratte.
Nei cartelli e negli slogan i motivi della contestazione. “Il PD ha votato a favore della guerra”; “Non esistono guerre umanitarie”, “l'art.11 va rispettato”.
Gli attivisti contestano al PD di aver votato in Parlamento a favore della guerra e dei bombardamenti sulla Libia invece di incalzare il governo sulle sua contraddizioni.
Critiche anche verso il Presidente della Repubblica Napolitano che – secondo gli attivisti della Rete contro la guerra – ha il dovere di difendere anche l'art.11 della Costituzione e non di fare la sponda a chi ha voluto portare l'Italia a fare la guerra in Libia. Già alla fine di marzo la rete contro la guerra aveva infatti manifestato sotto il Quirinale.
Gli attivisti fanno riferimento ai sondaggi secondo i quali la maggioranza dell'opinione è contraria all'intervento militare italiano in Libia ma anche in Afghanistan, eppure la maggioranza parlamentare continua a sostenere le missioni militari all'estero. Per questo hanno chiesto un incontro con la direzione del PD ritenendo che di fronte agli sviluppi della guerra nel Mediterraneo ognuno deve assumersi le proprie responsabilità anche di fronte ai propri elettori.
Nei volantini distribuiti ai passanti gli attivisti annunciano una assemblea nazionale del movimento contro la guerra per domenica prossima a Roma e la partecipazione alla manifestazione nazionale di sabato a sostegno della Freedom Flotilla che intende raggiungere Gaza rompendo il blocco navale israeliano.
L'iniziativa ha provocato parecchio sconquasso nel quadrante della città politica. Polizia e carabinieri si sono precipitati in forze identificando gli attivisti, ma il sit in è proseguito tra battibecchi e discussioni. Mentre davanti alla sede del PD si procedeva all'identificazione, altri attivisti ne hanno approfittato per volantinare nelle strade circostanti. Il responsabile dell'Area Mediterranea del PD è uscito dalla sede dicendosi disponibile a discutere... ma solo dopo le elezioni...ballottaggi inclusi. Ovvero non prima di giugno! La guerra in Libia non è decisamente tra le priorità del Partito Democratico.
Qui di seguito il volantino distribuito durante la contestazione alla direzione nazionale del Partito Democratico
VERGOGNA! L'ITALIA BOMBARDA LA LIBIA CON VOTO BIPARTISAN
Perché oggi protestiamo davanti alla sede del Partito Democratico
Le bombe sono un crimine e bombardare significa uccidere i civili e non solo i soldati.
I bombardamenti mirati non esistono.
La cosa la cosa più paradossale e vergognosa, è che i sostenitori dei bombardamenti, dei bombardieri e dell’impegno militare italiano, giustificano la loro guerra “per proteggere i civili” mentre le loro navi li ignorano se stanno morendo in mezzo al Mar Mediterraneo, mentre con le loro bombe li uccidono nelle città libiche, mentre negano il cessate il fuoco e i corridoi umanitari, li costringono a fuggire come profughi e rimangono come inetti quando arrivano sulle nostre coste
La “protezione dei civili” è in realtà diventata un cavallo di Troia che consente alle potenze della NATO di entrare in Libia per conquistarla con un cambio di regime, è diventato il pretesto mediatico per giustificare la guerra e acquisire consenso.
L’anomalia italiana vede un Presidente della Repubblica sostenere una guerra in violazione dell’art.11 della Costituzione.
Siamo indignate e indignati e facciamo appello alla coscienza civile e pacifica del movimento di lotta nel nostro paese per ridare forza e voce al ripudio della guerra
Oggi protestiamo ad alta voce davanti alla direzione del Partito Democratico
Sabato 14 maggio saremo in piazza nella manifestazione per la Palestina e a sostegno della Freedom Flotilla diretta a Gaza per rompere l’assedio dei palestinesi (ore 14.30 piazza della Repubblica)
Domenica 15 maggio alle 10.00 terremo una Assemblea Nazionale contro la guerra a Roma, (Sala di Via Galilei 53).
Rete romana contro la guerra
PRIMO MAGGIO DI GUERRA
La "fabbrica del falso" sulla guerra in Libia
di Vladimiro Giacché
Il collasso dell'informazione occidentale sulla guerra i Libia sotto l'egemonia della "fabbrica del falso". Un saggio di Vladimiro Giacché.
La fabbrica del falso e la guerra in Libia
“Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva solo come accidentale e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato”
G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie del Geschichte, in Sämtliche Werke, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1971, Bd. 11, p. 403.
L’attacco della Nato contro la Libia iniziato il 19 marzo 2011 rappresenta un caso emblematico a più riguardi. In primo luogo, conferma in modo eclatante una verità più generale: nel mondo contemporaneo la propaganda, la guerra delle parole e delle immagini è ormai parte della guerra stessa. In secondo luogo, evidenzia la confusione che regna in una sinistra che – anche quando si pretende “radicale” e conseguente – in Italia come in tutti i paesi occidentali, ha dimostrato una sorprendente arrendevolezza e subalternità rispetto alla propaganda e all’informazione ufficiale. Si tratta di un fenomeno tanto più significativo in quanto anche in questo caso – come già era accaduto per l’Iraq – gli stessi Paesi aderenti alla Nato si sono presentati all’appuntamento divisi: l’astensione della Germania già in sede Onu si è trasformata in decisa presa di distanza dalle operazioni, e la stessa Turchia ha manifestato il proprio dissenso rispetto alla conduzione della guerra. Ma mentre ai tempi della guerra di Bush le divisioni nel campo imperialista avevano grandemente giovato al movimento per la pace, in questo caso nulla di questo è avvenuto. Lo stesso gruppo parlamentare della GUE al Parlamento Europeo si è spaccato, e nel nostro Paese si è assistito al grottesco spettacolo di un PD assai più guerrafondaio degli stessi partiti di governo, mentre SEL ha tenuto un atteggiamento inizialmente ondivago (con una parte della base favorevole all’intervento) e soltanto la Federazione della Sinistra ha avuto da subito posizioni intransigenti sull’argomento.
In questo articolo esaminerò i principali dispositivi che la fabbrica del falso ha posto in essere nel caso della guerra di Libia, e proverò ad individuare i motivi di fondo che hanno indotto molti, anche a sinistra, a cedere alla propaganda di guerra. Nel mio argomentare metterò in gioco lo schema interpretativo che ho esposto più diffusamente nel mio libro La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea(DeriveApprodi, 20112). In questo testo proponevo un insieme di strategie di attacco alla verità non assimilabili alla menzogna pura e semplice. Vediamo come queste strategie sono entrate in gioco nel caso libico.
La verità mutilata
La verità viene mutilata quando nel trattare di un evento non si fa menzione del contesto in cui si colloca, delle circostanze, di ciò che gli sta attorno. O, semplicemente, la si racconta a metà.
Nella famosa sequenza dell’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Bagdad, divenuta una delle icone della guerra in Iraq, le inquadrature mandate in onda sulle tv internazionali e pubblicate sui giornali erano così ravvicinate da non mostrare che la piazza era praticamente deserta e che la “folla festante” si riduceva a poche decine di iracheni.1 In questo caso la verità viene mutilata dal taglio delle foto, che impedisce di vedere lo spazio in cui ha luogo l’evento, e ne induce una falsa rappresentazione.
Nel caso libico esiste un episodio del tutto parallelo. Si tratta della famosa foto che il 22 febbraio i media di tutto il mondo hanno rilanciato con grande evidenza sotto il nome di “fosse comuni in Libia”. Quello che la foto riprende è in realtà un normale cimitero in cui si stanno preparando alcune tombe singole, ma gli scatti che hanno fatto il giro del mondo non consentono di capirlo. Ma c’è di più: come ha rivelato il giornalista Rai Amedeo Ricucci, lestesse foto erano già state messe in rete mesi fa. Lo stesso Ricucci a questo proposito ha raccontato un episodio interessante. Il caporedattore di un’importante agenzia di stampa italiana, accortosi della bufala, fatto presente al suo direttore che si trattava di foto vecchie. La risposta del direttore è stata: “[questa notizia] gli altri la danno, non possiamo bucare”.2
Questo meccanismo è tutt’altro che nuovo. Il 26 e 30 maggio 2004, il New York Times fece autocritica sull’atteggiamento tenuto nei confronti della guerra in Iraq, ammettendo – in un editoriale firmato dalla direzione del quotidiano e poi in un articolo del garante dei lettori – che alcuni articoli “non erano stati rigorosi a sufficienza”, e si erano giovati di fonti “discutibili”. Di più: il quotidiano ammise che la copertura offerta era stata un fallimento “non individuale ma istituzionale”: un “fallimento” fatto anche di titoli strillati in prima con notizie false. In quel contesto ilNew York Times fece riferimento anche all’“ansia di scoop”, quale movente che avrebbe indotto a pubblicare notizie senza verificarne in misura adeguata l’attendibilità. Anche Franck de Veck (ex direttore del settimanale tedesco Die Zeit) ha attribuito una parte della colpa delle notizie false pubblicate nel caso iracheno alla necessità per i giornali di decidere rapidamente cosa mettere in pagina: “meglio un’opinione, anche non suffragata da prove, che nessuna”.3
Lo stesso è avvenuto nei primi giorni dei disordini in Libia. Se tutti i giornali aprono sui 10.000 morti in Libia, notizia lanciata dalla televisione saudita Al-Arabiya il 24 febbraio e assolutamente inverificabile, io – giornalista della redazione x – che faccio? “Prendo un buco” o la metto anch’io? Da un punto di vista di etica dell’informazione, la scelta dovrebbe essere ovvia: non la metto. In pratica succede quasi sempre il contrario: perché il fatto che tutti mettano una notizia non verificata mi copre se risulterà non vera. E in effetti, la notizia in questione si è rivelata falsa, come false erano le generalità dei presunti funzionari della Corte Penale Internazionale che ne sarebbero stati la fonte. Ma ha contribuito a creare il clima psicologico per predisporre l’opinione pubblica occidentale alla decisione di effettuare un intervento militare in Libia. Lo stesso vale per l’episodio raccontato da Ricucci, con l’aggravante – in quel caso – che la verifica era stata fatta e aveva dato esito negativo.
La verità messa in scena
Il mosaico delle verità dimezzate (le presunte atrocità commesse dai soldati di Gheddafi, mentre ovviamente i soldati lealisti ammazzati o umiliati dai rivoltosi della Cirenaica non vengono mostrati, o – quando lo sono – vengono etichettati come “mercenari”) e delle pure e semplici falsità finisce per comporre una più generale verità messa in scena. Una rivolta tribale è trasformata in rivoluzione democratica, gli scontri armati tra ribelli e truppe regolari sono trasformati in “genocidio” ad opera di queste ultime (memorabili alcuni titoli in prima del Fatto Quotidiano), e un personaggio come Gheddafi si trasforma, da un giorno all’altro, da affidabile partner d’affari a una via di mezzo tra Adolf Hitler e Idi Amin Dada; ovviamente, in parallelo alla demonizzazione del dittatore, c’è l’idealizzazione degli insorti, che attinge vette di notevole lirismo. Lo prova tra gli altri un titolo di Repubblica del 23 marzo: “Al fronte in sella a una Kawasaki i sorridenti guerrieri della rivoluzione”; con tanto di sottotitolo rock: “Un inno ispirato a Jim Morrison per l’esercito della nuova Libia”. Il messaggio sottinteso di questa ridicola propaganda di guerra: loro sono come noi, Gheddafi e i suoi sono dei barbari o – come pure è stato detto – “beduini”.
La principale verità messa in scena riguarda però le motivazioni dell’intervento militare occidentale, ossia il presunto diritto all’“ingerenza umanitaria”. Un memorabile testo di Danilo Zolo riferito all’aggressione alla Jugoslavia, come noto giustificata nello stesso modo, reca come titolo le prime parole di una frase di Proudhon: “Chi dice umanità cerca di ingannarti”.4 Sono parole di profonda verità. E non da oggi. Chiunque conosca la storia del colonialismo non avrà difficoltà a rinvenire i precedenti di questa giustificazione. A metà Ottocento, a sentire re Leopoldo del Belgio, la sua Associazione Internazionale per il Congo – uno dei principali strumenti del colonialismo belga – intendeva “rendere dei servigi duraturi e disinteressati alla causa del progresso”. Il raffinato storico dell’arte Ruskin nel 1870 vedeva nell’Inghilterra “un’isola che impugna lo scettro, fonte di luce e centro di pace per il mondo intero”; un’Inghilterra il cui dovere, per adempiere a tale missione, era quello di “fondare nuove colonie il più lontano e il più rapidamente possibile, insediandovi i più energici e valorosi tra i suoi uomini”, per poi “radunare in sé la divina conoscenza di nazioni lontane, passate dalla barbarie all’umanità e redente dalla disperazione alla pace”.5 Oggi la stessa litania la sentiamo nella forma del cosiddetto “imperialismo dei diritti umani” (Ignatieff), o – addirittura – dell’“imperialismo benevolo” (Kaldor). È una litania che negli ultimi anni è stata intonata più volte: a proposito del Kosovo, dell’Afghanistan, dell’Iraq, e ora della Libia.6 Ora, è logico che chi si rende colpevole di una guerra di aggressione preferisca ammantare le proprie azioni con motivazioni altruistiche. Un po’ meno logico è che si dia credito a queste giustificazioni autoapologetiche.
Ma c’è qualcos’altro da dire a questo riguardo: l’“ingerenza umanitaria”, dagli anni Novanta in poi, venuto meno il contrappeso di potere rappresentato dall’Unione Sovietica, è stata il grimaldello con cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno scardinato i principi di non ingerenza e di autodeterminazione dei popoli stabiliti nella Carta dell’Onu del 1948 (art. 1, par. 2 e art. 2, par. 7).7 Purtroppo, quello che oggi sembra difettare a sinistra è la capacità di capire il funzionamento di questo grimaldello e le sue conseguenze devastanti non soltanto per la pace nel mondo, ma per la stessa autodeterminazione delle nazioni.
La verità rimossa