Informazione

Comunicato Stampa

LA FABBRICA DELL'ODIO

La Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) è forse la più nota tra le organizzazioni del fronte irredentista. Dopo decenni di attività quasi "sotto traccia", la ANVGD ha avuto un exploit in tempi recenti, grazie alla guerra fratricida in Jugoslavia, alla istituzione del "Giorno del Ricordo" ed al sostegno politico bipartisan di cui oramai queste tematiche godono, sostegno che per quella Associazione si traduce nel coinvolgimento crescente in iniziative istituzionali e negli abbondantissimi finanziamenti pubblici. Attraverso la Federesuli, di cui è una delle componenti principali, la ANVGD dispone infatti di un budget milionario cui contribuiscono in maniera sostanziale i versamenti di ognuno di noi contribuenti (si veda la denuncia del programma REPORT trasmesso su RAI3 domenica 11/4/2010).

In forza di tali sostegni e finanziamenti la ANVGD riesce tra l'altro a mantenere una sua solida ed aggiornatissima presenza in internet, specialmente attraverso il sito -www.anvgd.it - che riporta numerose notizie e interpretazioni su vicende più o meno legate alla "questione orientale" italiana. Con il passare del tempo ci è capitato con sempre maggiore frequenza di rimanere sconcertati non solo per la unilateralità di quanto viene ogni giorno ripreso su quelle pagine, ma anche e soprattutto per i toni e i contenuti delle reazioni dei responsabili di quel sito internet a commenti e critiche che a loro sono stati occasionalmente indirizzati, a titolo personale, da alcuni di noi.

Negli ultimi giorni il nostro presidente Ivan Pavicevac ha voluto ad esempio stigmatizzare, con un email personale di commento, la sfacciata strumentalizzazione che gli ambienti irredentisti fanno della figura di Sergio Endrigo. La famiglia di quest'ultimo si trasferì nel dopoguerra in Italia avvalendosi del diritto di opzione previsto dagli accordi tra i due paesi susseguenti al Trattato di Pace - di qui la definizione di "optanti"; ma nonostante la ferita che tale distacco dalla terra natale può avere causato all'artista, è cosa nota che Endrigo, comunista, non serbò mai alcun rancore verso i nostri vicini jugoslavi. Anzi, egli ebbe l'occasione di intrattenere rapporti artistici con la Jugoslavia, dove vinse pure il Festival canoro di Spalato.

Di fronte ad un breve email di Pavicevac che faceva presente tutto questo, la risposta proveniente dalla ANVGD (con un messaggio non firmato proveniente da info@..., e che dunque interpretiamo come risposta ufficiale della ANVGD), è stata:

<< Bastardo di un istriano. Nessuno è stato "libero" di optare. Gli italiani sono andati via, comunisti compresi. Gli Esuli non hanno colore. Il colore lo hanno solo i bastardi come te, ed è marrone. Solo i cretini come te non capiscono neanche quel che dicono. Perché hanno la testa piena di roba marrone. Deficiente che non sei altro. E finiscila di rompere perché sappiamo dove sei. >> (22 giugno 2010)

Di nuovo il giorno dopo l'ANVGD rincarava la dose ritenendo che in Istria alla fine della guerra << bastardi come te avevano occupato le case, i terreni... Togliti dalle palle, sei troppo marrone per meritare anche uno sputo. >> (23 giugno 2010)

Da quanto scrive l'aggressivo interlocutore di Pavicevac, evinciamo che l'ANVGD fa una netta distinzione tra istriani ed istriani: in particolare, quelli che non condividono le istanze dell'ANVGD - che sono irredentistiche e mirano alla destabilizzazione dei confini di Stato, visto che nel proprio Statuto la ANVGD contesta il vigente Trattato di Pace: Capo II (SCOPI E FUNZIONI) Art .2: http://www.anvgd.it/documenti/anvgd_statuto.pdf - sono semplicemente "bastardi" e devono "stare attenti".

Questo è dunque il modo in cui, e queste sono le finalità per cui la ANVGD usa i soldi dei contribuenti.
E' allora persino paradossale che sul proprio sito internet la ANVGD insinui che debba essere messa in discussione l' "utilità sociale" di CNJ-onlus (vedi: http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8598&Itemid=111 ): il nostro Coordinamento - che di soldi pubblici finora non ne ha percepiti affatto - perlomeno non si prefigge di incrinare i rapporti con i popoli vicini nè di mettere in discussione i trattati di Pace e di Osimo, e non ha mai minacciato nessun interlocutore.

I due email di insulti e minacce provenienti dall'ANVGD sono stati fatti oggetto di una denuncia-querela alla Polizia di Stato, Compartimento Polizia Postale, che il nostro presidente ha presentato a Roma in data 30 giugno 2010.


Per il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus, il Direttivo
Roma - Arezzo - Bologna - Firenze - Milano - Torino - Trieste, 30 giugno 2010


(Diese Texte auf deutsch: 

Per una breve sintesi in lingua italiana si veda:



Forming Opinions (I)
 
2010/06/23

BELGRADE/ESSEN
 
(Own report) - The German WAZ media company's efforts to expand to Serbia have been accompanied by dubious business deals. The company, headquartered in the western German city of Essen, which nearly nine years ago bought a 50% share in one of the two most prominent Serbian dailies, has, for some time, been seeking to also acquire shares in the other. The attempt, which had to be carried out through an intermediary because of legal difficulties, is likely to fail when the Serbian Cartel Office reaches its verdict. The WAZ's efforts to expand within the Serbian press market through political and economic pressure have been so far just as unsuccessful. The German company is now threatening to withdraw completely from Serbia - with negative consequences for Serbia in its relationship to powerful Germany. For its business deals in Belgrade, which were only possible after the overthrow of Slobodan Milosevic, the WAZ had the former Yugoslav Prime Minister, Zoran Djindjic, mediate contacts to dubious business circles. One businessman, who today claims to have discussed shady deals with WAZ manager Bodo Hombach (SPD), was described in the German media, at the time of his contacts to the WAZ, as one "of the kingpins of the Balkans mafia."

Door Opener

The WAZ media group has been present on the Serbian media market since October 2001. At the time, more than two years after the war over Kosovo and about a year after the overthrow of Slobodan Milosevic, the WAZ media group bought 50 percent of the shares in the Politika AD publishing house based in Belgrade, one of the most venerable newspaper publishers in all of Southeast Europe. Politika AD publishes the "Politika" daily newspaper, which, even today, remains one of the dailies that sells the most copies in Serbia, with a reputation of being the public opinion maker for the Serbian upper echelon. The circumstances in 2001, under which it was possible for the WAZ to buy into Politika, remain essential for understanding the conflict around the company's activities in Serbia. According to media reports, the Yugoslav Prime Minister at the time, Zoran Djindjic, used the WAZ as his door opener in Serbia.[1] Djindjic was elected to office in January 2001, immediately after Slobodan Milosevic was overthrown. Djindjic and the German SPD politician, Bodo Hombach were friends. In February 2002 - just a few months after WAZ had bought into Politika - Hombach was hired as the manager of that German media company. Hombach's previous activities remain unforgotten in Serbia. In the spring of 1999, during the war over Kosovo, he was Chancellery Director under Gerhard Schröder, coordinating the German aggressors' policy and in the summer of the same year, took on the job as EU Special Coordinator for the so-called Southeast European Stability Pact.

Dominant

Under Hombach's aegis, the WAZ was by no means satisfied with its Politika shares. In 2003 WAZ bought a 55 percent share of the Novi Sad daily Dnevnik, which is incomparable to Politika, having neither its influence nor its circulation. The WAZ subsidiary, Mediaprint, is also publishing under license the Serbian edition of the German "AUTO BILD" magazine. With its takeover of the "Stampa" chain of newsstands, in 2008, the German company assured itself considerable control over press sales. From the beginning, WAZ had had its eye on acquiring the second most important daily paper in the country, the Vecernje Novosti (Evening News). Politika and Vecernje Novosti are the Serbian journals with the highest circulation and the greatest amount of influence. They are dominant in the formation of public opinion.

Dubious Business Deals

WAZ's attempts to buy into the Novosti AD publishing company, which published the daily Vecernje Novosti, has, from the beginning, been associated with dubious business deals. For example, according to news reports, through the mediation of Hombach's friend, Zoran Djindjic, back in 2001, contact had been made to Djindjic's close associate, the businessman, Stanko Subotic, whose services could be used, as long as the WAZ was prohibited by law from obtaining direct access to Novosti AD.[2] At the time, even WAZ functionaries could read in the German press that Subotic was considered one of the kingpins in Southeast European cigarette smuggling. A spokesperson for the Croat interior ministry even called him the "head of the Balkans' mafia."[3] Today, Subotic remembers that the WAZ has been seeking to buy shares in Novosti AD "since it has been present in Serbia."[4] Subotic recounts also how the company in Essen - and its manager, Hombach - had been engaged in dubious business deals to try to enter Novosti AD using a front man.[5] Hombach denies this. Fact is that today, an intermediary by the name of Milan Beko owns a substantial amount of Novosti AD shares - and is unwilling to sell them to the WAZ.

Supporter

The reason given in Serbia: the Cartel Office has refused its approval of the sale. This is quite comprehensible, considering the leverage that would be obtained through the appropriation of the two leading dailies Politika and Večernje Novosti. According to reports, WAZ manager Hombach tried "everything" to buy into Novosti AD. But since the approval of the Cartel Office has yet to be given, he wonders "if the government in Belgrade is really ruling the country."[6] It has been reported that in his efforts to acquire Novosti AD for the WAZ group, Hombach sent "half a football team of supporters" onto the field: former German Chancellor Gerhard Schroder, the Austrian, Alfred Gusenbauer (currently a WAZ-advisor), the German ambassador to Serbia, EU commissioner Günther Oettinger and Klaus Mangold, Chairman of the German Committee on Eastern European Economic Relations. All these "supporters" have intervened with Serbian President, Boris Tadić - to no avail.

An Alarm Signal

At the beginning of June, the WAZ media group launched a final offensive. In a letter to President Tadić, WAZ manager Hombach wrote that "the reception has been quite positive" in "other Southeast European countries."[7] Only in Serbia, has the group had to put up with "financial losses and public calumny." This is why it will withdraw from that country. Soon afterwards, the Chairman of the German Committee on Eastern European Economic Relations, Klaus Mangold, expressed his hope "that the announced withdrawal is understood as an alarm signal" and that the WAZ group will be able to continue its activities in Serbia.[8] Mangold also emphasized that Germany is Serbia's most important trading partner and has expanded its direct investments from 278 Million Euros in 2004 to currently 1.2 Billion. German businesses are "prepared to significantly increase their engagement" [in Serbia]. But the Chairman of the Committee on Eastern European Economic Relations left no doubt that it is very important for German businesses that Belgrade heed their demands, including WAZ's demand to buy into Novosti AD. Mangold's remarks carry weight because impoverished Serbia is dependant on business with powerful Germany. WAZ manager Bodo Hombach is a member of the presidium of Mangold's Committee on Eastern European Economic Relations.

Legal Action

The future development remains uncertain. The WAZ group has announced its takeover of the Salzburg-based Ardos Holding GmbH owned by intermediary, Milan Beko. Even though this provides the WAZ group with 23 Percent of Novosti's shares, held by Ardos, WAZ maintains its intentions to withdraw from Serbia.[9] But according to Večernje Novosti, in its alleged takeover of Ardos in Austria, the WAZ had been incorrect in the form and operated "fraudulently". Večernje Novosti considers the transaction to be invalid, undermining Serbia's legal system and reserves itself the right to take legal action.[10]

Only one Part

In its expansion drive toward East and Southeast Europe, the WAZ group has not only waged these power struggles in Serbia. Since its expansion into that region began in 1990, the German company has succeeded in acquiring - partially or completely - 26 daily newspapers and numerous magazines in Southeast Europe alone, sometimes under questionable circumstances. german-foreign-policy.com will report on the WAZ expansion in other South East European countries tomorrow.

[1], [2] Hombach, Hitler und die Oligarchen; Süddeutsche Zeitung 19.06.2010
[3] Die Belgrad-Connection; Financial Times Deutschland 13.08.2001
[4] Subotić expands on recent remarks; www.b92.net 23.03.2010
[5] "'I spoke with WAZ, with Mr. (Bodo) Hombah, about the information I received and he said it was alright, if they can get that done, as far as they are concerned, it was acceptable. I met with Mišković and Beko, we spoke about the details and they asked me for EUR 26mn, adding that with that money they could buy 60-65 percent of the Novosti shares, which would then naturally be given to WAZ,' Subotić said. 'I gave Mr. Hombah the details of the conversation, and he accepted that. I made a contract, I received a mandate from WAZ that gave precise details for the contract. I made the same agreement with Beko and Mišković through several of their companies, I can give you the names later so that you can get the documents from them. I paid them EUR 26mn and they bought the shares. They paid EUR 8-9mn for the shares, which means that EUR 26mn minus eight or nine was their profit, the profit they took as people organizing a sale outside of the stock exchange, as mediators and practically sellers of state goods,' Subotić said. When B92 asked WAZ for a reaction, the company said in a written statement that all money for the purchase of Novosti was given directly by the company and that all other claims are false." Subotić expands on recent remarks; www.b92.net 23.03.2010
[6], [7] Hitler und die Oligarchen; Süddeutsche Zeitung 19.06.2010
[8] Ost-Ausschuss bedauert Rückzug der WAZ-Gruppe aus Serbien; www.ost-ausschuss.de 18.06.2010
[9] WAZ hält an Ausstieg aus Serbien fest; derstandard.at 22.06.2010
[10] Hombah pokušava da ukrade "Novosti"; www.novosti.rs 22.06.2010

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Forming Opinions (II)
 
2010/06/24

ESSEN/SKOPJE/BELGRADE
 
(Own report) - The Serbian Minister of the Economy, Mladan Dinkic is calling on the WAZ media group from Germany to leave Serbia because of its dubious intrigues. After a deal was revealed that was aimed at making the Essen-based company a leader on the Serbian market, Dinkic said that the WAZ cannot be allowed to take control of one of the country's most important daily newspapers, with "backroom business deals". The WAZ and its manager Bodo Hombach, (SPD), attempted, with the help of a front man, to buy, step by step, majority shares in the Vecernje Novosti, the country's largest selling daily newspaper. But the front man, a Serbian oligarch, does not want to turn over the shares in his temporary possession. A front man was needed for the deal because antitrust regulations did not allow the WAZ to buy the Serbian public opinion forming daily, Vecernje Novosti. The German media group, headquartered in Essen, is the strongest West European company on the Southeast European press market owning up to 70 percent in several countries - padded by excellent relations to the political and business establishment.

Backroom Business Deals

In a comprehensive statement yesterday,[1] the WAZ media group admitted to having engaged in dubious business deals. According to the statement, an unnamed "contractual partner" - Bodo Hombach referred to him as a "Serbian oligarch" - committed himself in December 2008 to sell 3 businesses to WAZ: "Ardos" (Austria), "Trimax" (Austria) and "Karamat" (Cyprus). These three companies together possess two-thirds of the Novosti AD shares, the publisher that puts out the Serbian Vecernje Novosti (Evening News). A few years ago, when Novosti AD was privatized and antitrust restrictions prevented WAZ from taking it over - WAZ already owned 50 percent of Politika, the second most significant opinion making journal in the country - the "oligarch" bought the shares, thereby prohibiting another Serbian investor from buying the publishing house. When the deal became public it caused serious anger in Belgrade. The WAZ cannot be permitted to acquire a "trademark" like Vecernje Novosti with "backroom business deals", declared Serbia's Minister of the Economy, Mladan Dinkic.[2]

Austria, Hungary

The WAZ, which has recently raised so much ire with its intrigues in the Serbian capital, has for years been the mightiest foreign company on the press market in Southeast Europe. Already at the end of the 1980s, the "WAZ media group" began exploring possible expansion into eastern and southeastern Europe. In 1987 the Essen-based company bought into two important publishers in Austria. It acquired 50 percent of the Kronen Zeitung, which has a unique standing in the country's media landscape with its 3 million readers in a country with a total population of 8.4 million, and 49.4 percent of the Vienna-based daily, Kurier newspaper (distribution: 200,000). "With this we opened the door to Southeast Europe," said the WAZ employee, charged with relations to Southeast Europe, Andreas Ferling in 2007.[3] With the take over of the Hungarian publishing group, Pannon Lapok Tarsasaga, in 1990, the German company was able to accomplish its first penetration onto the market of a previously socialist country in the immediate aftermath of the radical transformation. The five regional journals of Pannon Lapok Tarsasaga were sold, according to the WAZ, "in four counties stretching from the Austrian border to the gates of Budapest" [4] - total distribution 225,000.

Big Headlines, Scant Language

The first serious resentment over the WAZ's southeastward expansion arose in Bulgaria, where the company was engaged in 1996. Following the takeover of the second largest daily newspaper of the country (24 Tschassa), WAZ bought also the largest (Dneven Trud). The WAZ was not only accused of having used dumping methods to obtain a monopoly position.[5] The company, which had won an antitrust lawsuit brought against it in Sofia, holds today a market share of around 70 percent. In January 2007, the former WAZ employee Ferling explained that "one of our strategies is to go into countries where antitrust laws are not very developed" - and try buying the shares of the market before the antitrust laws become more restrictive.[6] Criticism about the qualitative development of the newspapers taken over by the WAZ can still be heard today. "The potential" for bringing "higher standards" to Bulgarian readers at the time, was "not used" by the WAZ, says a media specialist in Sofia. On the contrary, complains a journalist, "they introduced a new graphic design: big headlines, scant language, large front page photos."[7]

Exclusive Contacts

After the WAZ group had already acquired access to the Croatian (December 1998), Rumanian (March 2001) and Serbian (October 2001 [8]) markets, the media group took on a new manager, Bodo Hombach (SPD), in February 2002, who had exceptional contacts to Southeast Europe. Hombach had been head of the Federal Chancellery (1998 to 2001) during the preparations for the war over Kosovo and NATO's bombing of Yugoslavia and subsequently (from mid 1999) he became the EU's Special Coordinator for its so called "Stability Pact for South Eastern Europe". The "Stability Pact," designed to stimulate cooperation and economic reconstruction in southeastern Europe, gave the EU's Special Coordinator the possibility to develop direct contacts to leading personalities in business and politics throughout southeastern Europe. Already with his activities in Germany, Hombach had occasionally provoked much anger. A regional politician in North-Rhine Westphalia, where Hombach was active until the fall of 1998, was quoted as having said that, with Hombach's departure to the Federal Chancellery "the amount of intrigues in North-Rhine Westphalia" has "significantly decreased."[9] Hombach's activities in southeastern Europe for the WAZ group have also not been without conflicts.

Positive Reporting

In the second half of 2004, a dispute with the editorial staff of the Rumanian daily România Liberă over WAZ directives made the headlines, but has been given various public interpretations. The WAZ group owned 70 percent of the România Liberă shares. This conservative daily's editorial staff complained that the WAZ was trying to prevent critical reporting on Rumania's social democratic government, making reference to Hombach's SPD past and the close ties between the German and Rumanian social democrats. But the WAZ countered that it was insisting merely on standards of quality and "positive reporting."[10] This dispute over the German media group's interference in editorial policies attracted European public attention for several weeks. This would hardly be the case today. "Previously, the WAZ gave itself an image of pursuing purely commercial interests and maintaining strict political neutrality," stated a knowledgeable observer in the spring of 2006, "but now the WAZ-owned Balkan newspapers have become liberal, pro-western," thereby "the company is assuming it's growing political role in the Balkans."[11] This no longer attracts attention.

From Foreign Minister to Newspaper Man

The media group's activities in Macedonia are a good example of the close ties between the WAZ and the political elite in Southeast European countries. In Mai 2003, the WAZ bought the country's three daily newspapers with the largest distribution (Dnevnik, Utrinski Vestnik, Vest). Soon thereafter, the WAZ consolidated its activities in the company Media Print Macedonia (MPM) - insisting "with the Cartel Office's permission."[12] This must be underlined, because with the three newspapers, MPM not only centralizes the complete value added chain from printing to distribution, it even controls more than 70 percent of Macedonia's print market.[13] The excellent relations with the political establishment are of great benefit to the company's activities in Macedonia. When the WAZ made its entry in Skopje, it employed Srgjan Kerim as MPM manager. Kerim knows Germany, because he also served as his country's ambassador to the Federal Republic of Germany (1994 to 2000), then in 2000 briefly as "Special Envoy for Regional Questions" of the Stability Pact for South-Eastern Europe under the Coordinator Bodo Hombach and as Macedonian Ambassador (2000 to 2001) before becoming President of the Macedonian-German Association of Commerce - and beginning work for the WAZ.

Impoverish

The Essen-based WAZ media group considers that "no other western European publishing house is more present in Southeast Europe than the WAZ."[14] Given the fact that this German company has 40 percent of its sales and 70 percent of its revenue abroad, critics in Southeast Europe come to a different conclusion. One being Manojlo Vukotić, editor in chief of the fiercely contested daily, Večernje Novosti, who recently explained in reference to the WAZ group's back room business deals with dubious oligarchs: "they set out to conquer the media scene of the impoverished Balkans and they are succeeding in impoverishing the Balkans even more."[15]

[1] "Serbiens Bürger haben ein Recht auf Wahrheit"; www.derwesten.de 23.06.2010
[2] Probe ordered into newspaper privatization; www.b92.net 23.06.2010
[3] "Wir grasen den Markt ab"; www.medien-monitor.com 30.01.2007
[4] Ungarn; www.waz-mediengruppe.de
[5] European Federation of Journalists: Media Power in Europe: The Big Picture of Ownership, Brussels, August 2005
[6] "Wir grasen den Markt ab"; www.medien-monitor.com 30.01.2007
[7] Staatsfeind Nummer eins; Berliner Zeitung 03.08.2009
[8] see also Forming Opinions (I)
[9] Schröders play-back; Der Freitag 25.06.1999
[10] Lebenslauf Dr. Srgjan Kerim; www.dgvn.de
[11] Flaggschiffe im Visier; Berliner Zeitung 04.05.2006
[12] Mazedonien; www.waz-mediengruppe.de
[13] Vladimir Zlatarsky, Dirk Förger: Die Medien in Mazedonien; www.kas.de 31.08.2009
[14] Das internationale Engagement der WAZ Mediengruppe; www.waz-mediengruppe.de
[15] Serbischer Chefredakteur beschimpft WAZ-Boss; Spiegel Online 24.03.2010



(italiano / francais)

Un an après le coup d'Etat, le Honduras résiste

1) Entretien avec le président Manuel Zelaya
2) Ancora sull'appoggio di Reporters sans Frontieres al golpismo honduregno


=== 1 ===


Un an après le coup d'Etat, le Honduras résiste. Entretien avec le président Manuel Zelaya

Manola Romalo

« Nous devons vaincre le coup d'État, l'impunité et  la terreur ». Manuel Zelaya, président légitime du Honduras depuis janvier 2006, a été dérogé le 28 juin 2009 par un coup d'État. Depuis le 27 janvier 2010, il se trouve avec son épouse et sa cadette en République Dominicaine.  Entretien réalisé par Manola Romalo, publié en exclusivité par Junge Welt (Allemagne), Rebellion (Espagne) et michelcollon.info (Belgique).


Ce 28 juin le peuple hondurien sort protester dans tout le pays contre le coup d`État perpétré il y a un an par une clique d’oligarques, parrainé par Washington. Sous l’hospice d’un gouvernement fantoche mis en place en juillet 2009 -  suivi par les élections présidentielles manipulées  de  janvier 2010 -  des  paramilitaires ont assassiné à ce jour des dizaines de membres de la Résistance, des syndicalistes, des enseignants, des journalistes. Protégeant ses  intérêts économiques, l’Union Européenne n’y voit que du feu.

 

Manola Romalo: Monsieur le Président, cela fait un an aujourd’hui qu’une clique d'entrepreneurs envoyèrent des militaires vous kidnapper dans votre maison sous le feu des balles. Que signifie cet acte pour l’avenir du Honduras ?


Manuel Zelaya:
 En ce moment, ils ont plus de problèmes qu’auparavant : ils ont fait prendre conscience, non seulement au peuple hondurien mais aussi  aux peuples d’Amérique Latine,  de la menace que représente l’ambition économique pour les démocraties.  Avec cette attaque, ils ont réussi à accélérer les processus de transformation à travers lesquels sont nées de nouvelles forces d’opposition.
L’influence des grandes multinationales s’étend à la politique étrangère des Etats Unis,  preuve que l'administration d’Obama - de même que celle de son prédécesseur - est tombée dans l’effrayante erreur d’appuyer le terrorisme d’État. Ils ont recommencé à faire des coups d’État, méthode pratiquée déjà dans le passé par une extrême droite acharnée à semer la barbarie à travers le monde.

Manola Romalo: Quoique les putschistes,  parrainés par Washington, essayèrent de maquiller en démocratie les élections présidentielles de novembre 2009,  une grande partie de la communauté internationale n’a pas reconnu la légitimité du gouvernement  en place.  Quelles transformations  démocratiques veut le peuple hondurien?    


Manuel Zelaya:
 J'ai présenté un plan de réconciliation en 6 points qui passent par le respect des Droits Humains et la fin de l’impunité. C'est le chemin correct pour annuler le putsch et retourner à l’Etat de droit.
Avec leur position inflexible et extrémiste de laisser impuni ce putsch au Honduras, les États-Unis et leurs alliés créoles n'appuient pas ce plan et n’aident en rien la réconciliation du peuple hondurien.
Contrairement à ce que nous avons espéré, avec ses déclarations, le Département d’État ignore le crime  qu’il condamna antérieurement et nomme « crise politique» des faits qu’il occulte : l`'mmunité et les privilèges des putschistes.  

Manola Romalo: Le Ministère allemand des Affaires Extérieures informe sur son site Internet , qu’ « après le coup d`État », le gouvernement allemand ne reprendra pas de nouveaux  projets d’aide pour le Honduras, mettant également court aux « consultances gouvernementales ». Quelle est la situation économique du pays? 


Manuel Zelaya : Les chiffres sont plus éloquents que les mots. En trois ans nous avions réalisé les meilleurs indices de croissance de l’histoire du Honduras : 6,5 et 6, 7 %. Pour la première fois en trente ans, la pauvreté avait été réduite à plus de 10 %.  
Par contre, depuis le coup d'État, le pays est entré dans une récession économique,  le nombre de pauvres  a augmenté,  les investissements de l’Etat et ceux des particuliers ont été réduits de façon significative. Les dommages causés par le coup d'État dans le processus de développement économique du pays vont durer au moins dix ans avant d’être réparés.  

Manola Romalo : Ce 28 juin, il y aura de grandes manifestations dans tout le pays, le peuple va débattre les principaux articles de la Déclaration Souveraine. La Résistance veut  « refondre le Honduras ». Quelles sont les étapes nécessaires ?


Manuel Zelaya:
 Nous devons vaincre le coup d'État, l'impunité et la terreur.  L'Assemblée National Constituante, avec la participation de tous les secteurs, est l’instrument légitime pour reconstruire la démocratie, l’ordre constitutionnel et l’Etat de droit.
L’organisation, la conscience et la mobilisation sont nécessaires pour renforcer le Front National de Résistance Populaire (FNRP) qui est la force sociale et politique de la Résistance contre le coup d’État.  Nous avons la responsabilité de la reconstruction, le peuple doit reprendre les affaires en cours pour transformer le pays.  

Manola Romalo: Monsieur le Président, dans le contexte politique du Honduras, le peuple réclame énergiquement votre retour. Quels sont vos projets ?  


Manuel Zelaya:
 Le futur n'est pas très loin. Toutefois je fais des projets pour le présent: je veux réussir à vaincre les espaces d'impunité avec lesquels les putschistes prétendent couvrir les crimes contre la démocratie et contre l'humanité.   
Mon retour devra être immédiat, il n´existe aucun prétexte ni justification qui expliquerait l'absence absolue de garanties pour mon retour. Il n’est pas possible que quelqu’un prétende voir les victimes soumises à la justice de leurs bourreaux.
Mon retour est lié à la  reprise de l’Etat de droit au Honduras. Le propre président Porfirio Lobo affirme être menacé, ajoutant en même temps qu’il garantit ma sécurité.
Évidemment, ils utilisent les Honduriens comme des cobayes, les putschistes font de ce pays un laboratoire de violence. Ils recourent aux castes militaires pour réprimer le peuple et  créer le chaos afin de maintenir le contrôle sur la société.  Peu leur importent les conséquences du processus d'intégration régionale et la confrontation,  doublement éprouvés,  avec les organismes multilatéraux.
Les preuves sont sous nos yeux : ils ont créé un nouveau régime de terreur et de persécution. Et les Etats Unis ont beaucoup perdu de leur prestige en Amérique Latine.



=== 2 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19525
 
Reporters sans Frontieres non include il golpismo honduregno nella sua lista dei “Depredatori della Stampa”

di Unai Aranzadi*
 
fonte: http://www.independentdocs.com/
Traduzione a cura di l’Ernesto online

*Unai Aranzadi è reporter, fotografo e documentarista, specializzato in conflitti armati e diritti umani. Dal 1994 I suoi film sono stati trasmessi, tra gli altri, da BBC 2, BBC WORLD SERVICE, CNN, AL JAZEERA ENGLISH e CANAL +. I suoi testi e fotografie sono stati pubblicati da El País, Der Spiegel, Reuters e The Washington Post.

Seduto al tavolo della casa editrice, rivedendo le sequenze in cui l’esercito honduregno procede alla chiusura del canale 36 della televisione “Cholusat Sur” e dopo aver ricevuto numerosi SOS dei miei amici giornalisti che resistono in Honduras (dove hanno già assassinato sette di loro dall’inizio dell’anno) osservo con tristezza che Reporters sans Frontieres ha deciso di non includere il regime golpista di Roberto Micheletti ieri, oggi di Porfirio Lobo, nella loro lista mediatica dei “depredatori della libertà di stampa”.

Che cosa ancora manca all’Honduras per essere incluso in questa lista? Quanti giornalisti in più assassinati? Quanti media in più chiusi, occupati e intimiditi? Quanti corrispondenti stranieri in più espulsi? Quanti giornalisti locali in più esiliati?...

Credo, nonostante tutto, che Reporters sans Frontieres compia anche buone azioni, e per questo sono suo socio e ho aiutato l’organizzazione per sei anni, ma devo constatare che la sua agenda sembra rispondere più a interessi politici che a una difesa onesta delle libertà, e questo silenzio riguardo all’Honduras parla da solo, convincendo il più scettico degli osservatori e confermando i peggiori presagi che maturavo da tempo, mentre informavo su guerre e crisi in tutto il mondo.

Probabilmente non potrebbe essere diversamente, dal momento che RsF viene finanziata dal NED di Washington, da un gruppo di ultradestra della Florida e da grandi imprese mediatiche; per questa ragione organizzazioni con credibilità comprovata come Amnesty International o Greenpeace non accettano denaro da Stati o da enti legati a questi. L’indipendenza nella difesa dei diritti umani è vitale, proprio come Reporters sans Frontieres annuncia senza arrossire nella sua pagina web.

Ora, rileggendo le interviste a giornalisti honduregni, traggo le mie conclusioni... A tre settimane dal colpo di Stato e la conseguente repressione esercitata contro civili, giornalisti e media, nel modo più assoluto non c’è stato uno di Reporters sans Frontieres che si sia minimamente preoccupato di telefonare ai colleghi degli strumenti di comunicazione aggrediti e rinchiusi (così affermano tutti loro nel video registrato). Con quello che ho visto, tutto torna.

“Se non lo raccontiamo, non esiste”, è il motto di Reporters sans Frontieres. Grazie allora per non raccontare la tragedia che si svolge in Honduras! Del resto neppure in El Pais, El Mundo o ABC si stanno preoccupando molto di raccontarla. Un silenzio sepolcrale è garantito.

Quali denunce e servizi ci regalerebbero se tutto ciò accadesse in Bolivia o Venezuela!

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Il giorno 20/mag/10, alle ore 09:08, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:


Golpe in Honduras: RSF, Vaticano, media e politici occidentali sono complici


Sulla situazione in Honduras, dopo il golpe guidato dall'italiano Micheletti, segnaliamo:

Il Cardi...male in Italia
Mons. Oscar Rodríguez Maradiaga arriva in Italia. Il suo attivo sostegno al colpo di Stato non deve passare inosservato

Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, un cardinale golpista a Roma: Persona non gradita!

Alla Comunità di Sant'Egidio: ripensare alla scelta di invitare il Mons. Maradiaga

Ciò che in Honduras non era repressione, lo diventa in Iran grazie alla stampa internazionale
Oltre ogni limite della manipolazione mediatica - di Pedro Antonio Honrubia Hurtado

Honduras: imaginez que l’équivalent se passe à Cuba, que diraient nos médias, et le maire de Paris ?
Danielle Bleitrach 

1° Maggio in Honduras

Perché assassinare la parola?

Honduras: consultazione popolare per installare un'Assemblea Costituente

Appello urgente Honduras: La rifondazione della speranza


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R.S.F. NON ALZA UNA PAGLIA SULLA STRAGE DEI GIORNALISTI IN HONDURAS !
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Honduras : l’ONU s’émeut des assassinats de journalistes, pas RSF

L’association française Reporters sans frontières n’a pas placé le Honduras dans sa liste des Etats prédateurs de la liberté d’expression, publiée le 3 mai, à l’occasion de la Journée internationale de la liberté de la presse. L’ONG pro-US estime qu’il n’est pas établi que ces meurtres soient liés au contexte politique et que l’actuel gouvernement est démocratique.

Le 28 juin 2009, un coup d’Etat militaire, orchestré par les Etats-Unis, a renversé le président élu Manuel Zelaya et placé au pouvoir Roberto Micheletti. Le 29 novembre, la junte a convoqué des élections et déclaré vainqueur Porfirio Lobo Sosa. Le nouveau régime a fait appel à des experts israéliens du maintien de l’ordre. La répression s’est concentrée sur des assassinats ciblés, dont ceux de journalistes.

Le 10 mai 2010, le Rapporteur spécial des Nations Unies sur la promotion et la protection des droits à la liberté d’expression et d’opinion, Frank La Rue, le Rapporteur spécial sur les exécutions sommaires, extrajudiciaires ou arbitraires, Philip Alston, et la Rapporteuse spéciale sur la situation des défenseurs des droits de l’homme, Margaret Sekaggya, ont appelé les autorités honduriennes à faire toute la lumière sur les sept assassinats de journalistes survenus en six semaines dans le pays.

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http://www.voltaire net.org/article1 65395.html

13 DE MAYO DE 2010

La ONU denuncia los asesinatos de periodistas que RSF se niega a reconocer en Honduras 

La asociación francesa Reporteros Sin Fronteras no menciona a Honduras en su lista de Estados violadores de la libertad de expresión, publicada el 13 de mayo en ocasión del Día Internacional de la Libertad de Prensa. Esta ONG proestadounidense afirma que no se ha demostrado que los asesinatos de periodistas perpetrados en Honduras desde el golpe de Estado militar que derrocó al presidente Manuel Zelaya sean de origen político y que el actual régimen hondureño es democrático.

El 28 de junio de 2009 un golpe de Estado militar, orquestado por Estados Unidos, derrocó al presidente electo de Honduras, Manuel Zelaya, poniendo en su lugar a Roberto Micheletti. El 29 de noviembre los golpistas realizaron una elección presidencial en la que Porfirio Lobo fue declarado ganador. El nuevo régimen recurrió a la ayuda de expertos israelíes en mantenimiento del orden y la represión se ha concentrado en la realización de asesinatos selectivos, incluyendo asesinatos de periodistas que se pronuncian contra el régimen.

El 10 de mayo de 2010, el Relator Especial de la ONU sobre la promoción y la protección de la libertad de expresión y de opinión, Frank La Rue; el Relator Especial sobre ejecuciones sumarias, extrajudiciales o arbitrarias, Philip Alston, y la Relatora Especial sobre la situación de los defensores de los derechos humanos, Margaret Sekaggya, exhortaron a las autoridades hondureñas a esclarecer los 7 asesinatos de periodistas perpetrados en 6 semanas en su país.


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http://www.voltaire net.org/article1 65377.html

11 MAY 2010

Honduras : UN concerned over assassination of journalists, but not RWB

French NGO Reporters Without Borders did not include Honduras in its 2010 list of Worst Predators of Press Freedom, released on 3 May on the occasion of the World Press Freedom Day. The pro-US NGO maintains that no link between the murders and the political climate has been established and that the current government is democratic.

On 28 June 2009 a military coup, orchestrated by the United States, toppled elected President Manuel Zelaya and put Roberto Micheletti in power. On 29 November the junta held elections and declared Porfirio Lobo Sosa the winner. The new regime has called for Israeli public order experts. The repression is geared towards targeted assassinations, including journalists.

On 10 May 2010, United Nations Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression, Frank La Rue, United Nations Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions, Philip Alston, and United Nations Special Rapporteur on the situation of human rights defenders, Margaret Sekaggya, called on the Honduran authorities to elucidate all the circumstances surrounding the killing of seven journalists in six weeks.

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Related article:  

Reporters Without Borders seems to have a geopolitical agenda, by F. William Engdhal, Voltaire Network, 5 May 2010.

http://www.voltaire net.org/article1 65297.html




Oggetto: C.S. Il Colosseo dovrebbe rimanere spento per almeno 7.500 notti

Data: 24 giugno 2010 13:23:02 GMT+02:00

Alemanno devi spegnere il Colosseo almeno per 7.500 notti!!!

comunicato stampa

I prigionieri palestinesi attualmente nelle prigioni israeliane sono circa 7.500. 37 sono donne, 15 deputati del Consiglio Legislativo (Clp). Tra queste cifre ci sono anche i bambini palestinesi detenuti da Israele: sono 330.  5.000 sono i prigionieri palestinesi perseguiti e condannati: 790 stanno scontando pluriergastoli. 1.900 sono i detenuti senza condanna perché, nella maggioranza dei casi, senza alcuna accusa. I palestinesi in detenzione amministrativa sono 290 dall’inizio del 2010. 9 palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, sono stati sottoposti alla "Legge del combattente illegale". Questa sera l'amministrazione comunale di Alemanno, subalterna come sempre alla lobby filo-israeliana, farà spegnere il Colosseo per ricordare un solo detenuto: il soldato israeliano Shalit, un militare catturato in zona di guerra e prigioniero da quattro anni nella Striscia di Gaza. Il Colosseo - per senso di elementare giustizia - dovrebbe allora rimanere spento tutte le notti da oggi per almeno venti anni, tanti sono i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane da anni.

Roma, 24 giugno

Il Forum Palestina




Anche in Lituania i comunisti al bando e i nazisti esaltati come “eroi nazionali”

di Mauro Gemma

su l'Ernesto Online del 22/06/2010

Mentre si proibisce l’attività del Partito Comunista, un tribunale locale sentenzia che la croce uncinata rappresenta “parte integrante del patrimonio storico nazionale”. E l’Unione Europea continua a far finta di niente.

Mentre si proibisce l’attività del Partito Comunista, un tribunale locale sentenzia che la croce uncinata rappresenta “parte integrante del patrimonio storico nazionale”. E l’Unione Europea continua a far finta di niente. 

Nel nostro paese – come del resto in tutti gli altri paesi del nostro continente – pochi sono al corrente che anche in Lituania – repubblica baltica ex sovietica, da anni membro fedelissimo della NATO e ammessa nell’Unione Europea – da tempo è in corso una campagna di criminalizzazione dei partiti e dei simboli comunisti e di ogni riferimento alla storia sovietica, accompagnata dalla riabilitazione della cosiddetta “resistenza nazionale lituana”, che ha collaborato con i nazisti nella repressione del movimento partigiano e nello sterminio della locale comunità ebraica.

Con la decisione delle autorità lituane di procedere a una revisione costituzionale nel giugno del 2009, denunciata, nella più totale indifferenza dei mezzi di comunicazione europei, solo dal Partito Socialista (che raggruppa i comunisti dopo la messa fuori legge del Partito comunista nel 1991 e l’arresto di diversi suoi dirigenti, alcuni dei quali, anche ultrasettantenni, sono stati condannati a oltre 10 anni di carcere, quasi interamente scontati, al tempo della presidenza di Vytautas Landsberghis, insignito della cittadinanza onoraria di Torino, insieme al Dalai Lama, evidentemente per i suoi “meriti” di anticomunista, e in seguito del “socialdemocratico” Brazauskas), è oggi possibile perseguire penalmente e condannare a pene fino a 5 anni chiunque neghi “i genocidi commessi dal comunismo e dal nazismo” e “diffami i combattenti della lotta per la libertà della Lituania che, dal 1944 al 1953 si sono battuti con le armi contro l’occupazione sovietica”.

Come si può ben capire dalle motivazioni della decisione, è evidente che i destinatari della campagna repressiva sono, ancora una volta, i soli comunisti, dal momento che i “combattenti per la libertà lituana”, considerati alla stregua di eroi nazionali, non hanno esitato a militare nelle file del collaborazionismo e nelle legioni delle SS, rendendosi responsabili, al servizio di Hitler, delle più efferate atrocità. I più giovani sostenitori dei criminali di guerra, dunque, possono sicuramente dormire sonni tranquilli e agire indisturbati.

Una conferma del carattere anticomunista e di riabilitazione del passato nazi-fascista del nazionalismo lituano, proprio della revisione costituzionale in corso, è venuta in questi giorni da una sorprendente decisione di un tribunale locale, nella città di Klaipéda, oscurata anch’essa dall’apparato mediatico continentale e dalle istituzioni comunitarie, le stesse che, in nome della democrazia e dei diritti umani, negli ultimi mesi non hanno esitato a scatenare una campagna propagandistica contro Cuba.

Il 19 maggio, decidendo sulla sorte di tre neonazisti che, durante la giornata dell’Indipendenza, nel febbraio scorso, avevano sventolato bandiere con la croce uncinata e scandito slogan anticomunisti, antisemiti e inneggianti al Terzo Reich, i giudici hanno sentenziato che costoro dovevano essere assolti e liberati perché la “croce uncinata è parte integrante del nostro patrimonio storico, un simbolo importante della cultura baltica, ereditato dai nostri antenati”.

Si tratta di un verdetto che finora non sembra essere stato ostacolato dagli organi supremi della magistratura lituana e avere suscitato il minimo scandalo dei governi e delle strutture giudiziarie dell’Unione Europea. Una sentenza che sancisce in modo inquietante, in nome della denigrazione del passato sovietico e del nazionalismo più fanatico, la completa riabilitazione del nazi-fascismo.



(Di seguito un excursus nell'impero mediatico di Bodo Hombach: figura di spicco della "socialdemocrazia" tedesca, responsabile della aggressione militare del 1999, e padrone del monopolio mediatico dei Balcani - soprattutto in Serbia, dove il suo gruppo editoriale WAZ detiene da ormai un decennio il controllo del principale quotidiano, "Politika". Prima del golpe del 2000 vigeva in Serbia un pluralismo editoriale consistente nella dicotomia tra media, soprattutto statali, vicini ai governi di sinistra, e media, soprattutto privati, vicini alla opposizione. Oggi tale pluralismo è stato cancellato e in Serbia, come in Italia e negli altri paesi occidentali, ha spazio assicurato solo la dittatura del mercato capitalista. Per di più, il controllo imperialista tedesco (WAZ) e statunitense (B92) sui media è uno degli aspetti dello status coloniale di quello che un tempo era uno stato sovrano - la Jugoslavia. In Serbia Hombach si adopera ora per porre sotto il suo controllo anche il gruppo Novosti; ma anche negli altri paesi balcanici la sua presenza è più che influente...)



Meinung bilden (I)
 

23.06.2010

BELGRAD/ESSEN
 
(Eigener Bericht) - Dubiose Geschäfte begleiten einen Expansionsversuch der deutschen WAZ Mediengruppe in Serbien. Der Essener Konzern, der vor beinahe neun Jahren mit einem 50-Prozent-Anteil bei einer der zwei bedeutendsten serbischen Tageszeitungen eingestiegen ist, bemüht sich schon lange, auch Anteile an der zweiten maßgeblichen Tageszeitung des Landes zu erwerben. Der Versuch, dies wegen rechtlicher Schwierigkeiten über einen Mittelsmann zu tun, droht gegenwärtig am serbischen Kartellamt zu scheitern. Bemühungen der WAZ, mit politischem und wirtschaftlichem Druck die Expansion auf dem serbischen Pressemarkt erzwingen zu können, haben bislang ebenfalls nicht zum Erfolg geführt. Das deutsche Unternehmen droht nun, es werde sich gänzlich aus Serbien zurückziehen - mit negativen Folgen für die Beziehungen Serbiens zum mächtigen Deutschland. Bei ihren Geschäften in Belgrad, die erst nach dem Sturz von Slobodan Milošević möglich wurden, ließ sich die WAZ vom einstigen Ministerpräsidenten Jugoslawiens, Zoran Djindjić, Geschäftskontakte zu zweifelhaften Kreisen vermitteln. Ein Geschäftsmann, der heute angibt, mit WAZ-Geschäftsführer Bodo Hombach (SPD) zwielichtige Deals diskutiert zu haben, wurde zum Zeitpunkt seiner Kontaktaufnahme zur WAZ in der deutschen Presse als ein "Kopf der Balkan-Mafia" bezeichnet.

Türöffner

Die WAZ Mediengruppe ist auf dem serbischen Medienmarkt seit Oktober 2001 präsent. Damals, gut zwei Jahre nach dem Kosovokrieg und rund ein Jahr nach dem Sturz von Slobodan Milošević, übernahm sie 50 Prozent an dem Belgrader Verlagshaus Politika AD, einem der traditionsreichsten Zeitungsverlage in ganz Südosteuropa. Politika AD gibt die Tageszeitung Politika heraus, die bis heute zu den auflagenstärksten Blättern in Serbien gehört; ihr wird meinungsbildende Funktion für die serbische Oberschicht zugeschrieben. Die Umstände, die 2001 den Einstieg der WAZ bei Politika ermöglichten, sind zum Verständnis der Auseinandersetzungen um die Konzernaktivitäten in Serbien nach wie vor von erheblicher Bedeutung. Medienberichten zufolge diente der damalige jugoslawische Ministerpräsident Zoran Djindjić, der im Januar 2001 - unmittelbar nach dem Sturz von Slobodan Milošević - in sein Amt gewählt worden war, der WAZ als Türöffner in Serbien.[1] Djindjić war mit dem deutschen SPD-Politiker Bodo Hombach befreundet, der im Februar 2002 - nur wenige Monate nach dem Einstieg der WAZ bei Politika - von dem deutschen Medienkonzern als Geschäftsführer engagiert wurde. Hombachs vorherige Tätigkeit ist in Serbien unvergessen: Er koordinierte im Frühjahr 1999 während des Kosovokriegs als Chef des Kanzleramts unter Gerhard Schröder die Politik der deutschen Aggressoren und übernahm im Sommer 1999 den Posten des EU-Sonderkoordinators für den sogenannten Südosteuropa-Stabilitätspakt.

Dominant

Unter Hombachs Ägide gab sich die WAZ mit ihren Politika-Anteilen beileibe nicht zufrieden. Im Jahr 2003 übernahm sie 55 Prozent an der Tageszeitung Dnevnik aus Novi Sad, die sich allerdings weder hinsichtlich ihrer Auflage noch hinsichlich ihres Einflusses mit Politika messen kann. Die WAZ verlegt daneben in Lizenz über ihre Tochter Mediaprint die serbische Ausgabe der Zeitschrift AUTO BILD. Im Jahr 2008 übernahm der deutsche Konzern die Kiosk-Kette Stampa und sicherte sich damit erheblichen Einfluss auf den Pressevertrieb. Von Anfang an hatte die WAZ jedoch vor allem die zweite bedeutende Tageszeitung des Landes, Večernje Novosti ("Abendnachrichten"), im Blick. Politika und Večernje Novosti sind die auflagenstärksten sowie einflussreichsten serbischen Tageszeitungen und dominieren die Meinungsbildung.

Zwielichtige Geschäfte

Die Versuche der WAZ, beim Verlag Novosti AD einzusteigen, der die Zeitung Večernje Novosti publiziert, gingen von Anfang an mit dubiosen Geschäften einher. So heißt es in Medienberichten, Hombach-Freund Zoran Djindjić habe dem deutschen Konzern bereits im Jahr 2001 einen Kontakt zu dem ihm nahestehenden Geschäftsmann Stanko Subotić vermittelt, dessen Dienste in Anspruch genommen werden könnten, solange der WAZ aus rechtlichen Gründen der direkte Zugriff bei Novosti AD verwehrt sei.[2] Über Subotić konnten auch WAZ-Funktionäre zu dieser Zeit in der deutschen Presse lesen, er sei eine zentrale Figur des Zigarettenschmuggels in Südosteuropa; eine Sprecherin des kroatischen Innenministeriums habe ihn gar als einen "Kopf der Balkan-Mafia" bezeichnet.[3] Heute erinnert sich Subotić, die WAZ habe, "seit sie in Serbien präsent ist", Anteile an Novosti AD übernehmen wollen.[4] Subotić berichtet auch, wie er dem Essener Konzern und dessen Geschäftsführer Hombach zwielichtige Händel unterbreitet habe, damit die WAZ mit Hilfe eines Strohmannes bei Novosti AD einsteigen könne.[5] Hombach bestreitet das. Tatsache ist, dass heute ein Mittelsmann namens Milan Beko beträchtliche Anteile an Novosti AD besitzt - und nicht bereit ist, diese Anteile an die WAZ zu verkaufen.

Fürsprecher

Als Grund dafür wird in Serbien genannt, dass das Kartellamt bisher seine Zustimmung verweigert - angesichts der Macht, die sich durch den Besitz der beiden führenden meinungsbildenden Blätter Politika und Večernje Novosti ergäbe, eine durchaus nachvollziehbare Entscheidung. Über WAZ-Geschäftsführer Hombach hingegen wird berichtet, er habe "alles" versucht, um den Einstieg bei Novosti AD durchzusetzen. Angesichts der immer noch ausstehenden kartellrechtlichen Genehmigung frage er sich jedoch, "ob die Regierung in Belgrad wirklich Herr ihres Landes ist".[6] Wie es heißt, habe Hombach "ein halbes Fußballteam an Fürsprechern" aufgeboten, um Novosti AD in den Besitz des Essener Konzerns zu bringen: die Altkanzler Gerhard Schröder (Deutschland) und Alfred Gusenbauer (Österreich, heute WAZ-Berater), den deutschen Botschafter in Serbien, EU-Kommissar Günther Oettinger und den Vorsitzenden des Ost-Ausschusses der Deutschen Wirtschaft, Klaus Mangold. Obwohl die genannten "Fürsprecher" sämtlich beim serbischen Präsidenten Boris Tadić intervenierten, blieb ein Erfolg für die WAZ aus.

Ein Alarmsignal

Anfang Juni hat die WAZ nun eine letzte Offensive gestartet. "In anderen Ländern Südosteuropas" sei man "positiv aufgenommen" worden, heißt es in einem Brief von Geschäftsführer Hombach an Präsident Tadić.[7] Nur in Serbien habe man "finanzielle Verluste und öffentliche Verleumdungen hinnehmen müssen". Man werde sich daher aus dem Land zurückziehen. Kurz danach äußerte sich erneut der Ost-Ausschuss der Deutschen Wirtschaft zur Sache. Er hoffe, "dass der angekündigte Rückzug als Alarmsignal wahrgenommen" werde und die WAZ ihre Konzernaktivitäten in Serbien fortführen könne, erklärte der Vorsitzende des Ost-Ausschusses, Klaus Mangold.[8] Mangold wies darauf hin, dass Deutschland mittlerweile der wichtigste Handelspartner Serbiens ist und außerdem seine Direktinvestitionen von 278 Millionen Euro im Jahr 2004 auf aktuell gut 1,2 Milliarden Euro ausgedehnt hat. Die deutsche Wirtschaft sei "bereit, ihr Engagement (in Serbien, d. Red.) deutlich zu steigern". Der Vorsitzende des Ost-Ausschusses ließ allerdings keinen Zweifel daran, dass die deutschen Firmen Wert darauf legten, von Belgrad Forderungen wie etwa diejenige der WAZ nach einem Einstieg bei Novosti AD erfüllt zu bekommen. Mangolds Äußerungen besitzen Gewicht, da das weithin verarmte Serbien auf Geschäfte mit dem mächtigen Deutschland angewiesen ist. Dem Präsidium von Mangolds Ost-Ausschuss gehört auch WAZ-Geschäftsführer Bodo Hombach an.

Rechtliche Schritte

Die weitere Entwicklung ist ungewiss. Die WAZ gibt an, sie habe jetzt eine Firma mit dem Namen Ardos Holding GmbH übernommen, die in Salzburg ihren Sitz habe und dem Mittelsmann Milan Beko gehöre. Damit seien zwar die 23 Prozent der Novosti-Anteile, die Ardos gehörten, in ihren Besitz gelangt; dennoch halte sie am Ausstieg aus ihren serbischen Geschäften fest.[9] Večernje Novosti berichtet hingegen, die angebliche Ardos-Übernahme durch die WAZ sei in Österreich formal inkorrekt und "betrügerisch" durchgeführt worden; das Vorgehen des Essener Konzerns sei ungültig und untergrabe das serbische Rechtssystem. Man behalte sich rechtliche Schritte vor.[10]

Nur ein Teil

Die Machtkämpfe in Serbien sind nicht die einzigen, die die WAZ bei ihrer Expansion nach Ost- und Südosteuropa führte. Seit Beginn seines Ausgreifens in die Region im Jahr 1990 hat es der deutsche Konzern geschafft, sich allein in Südosteuropa 26 Tageszeitungen und eine Vielzahl an Zeitschriften ganz oder teilweise anzueignen - unter zuweilen bemerkenswerten Umständen. Über die Expansion der WAZ in weiteren Ländern Südosteuropas berichtet german-foreign-policy.com am morgigen Donnerstag.

[1], [2] Hombach, Hitler und die Oligarchen; Süddeutsche Zeitung 19.06.2010
[3] Die Belgrad-Connection; Financial Times Deutschland 13.08.2001
[4] Subotić expands on recent remarks; www.b92.net 23.03.2010
[5] "'I spoke with WAZ, with Mr. (Bodo) Hombah, about the information I received and he said it was alright, if they can get that done, as far as they are concerned, it was acceptable. I met with Mišković and Beko, we spoke about the details and they asked me for EUR 26mn, adding that with that money they could buy 60-65 percent of the Novosti shares, which would then naturally be given to WAZ,' Subotić said. 'I gave Mr. Hombah the details of the conversation, and he accepted that. I made a contract, I received a mandate from WAZ that gave precise details for the contract. I made the same agreement with Beko and Mišković through several of their companies, I can give you the names later so that you can get the documents from them. I paid them EUR 26mn and they bought the shares. They paid EUR 8-9mn for the shares, which means that EUR 26mn minus eight or nine was their profit, the profit they took as people organizing a sale outside of the stock exchange, as mediators and practically sellers of state goods,' Subotić said. When B92 asked WAZ for a reaction, the company said in a written statement that all money for the purchase of Novosti was given directly by the company and that all other claims are false." Subotić expands on recent remarks; www.b92.net 23.03.2010
[6], [7] Hitler und die Oligarchen; Süddeutsche Zeitung 19.06.2010
[8] Ost-Ausschuss bedauert Rückzug der WAZ-Gruppe aus Serbien; www.ost-ausschuss.de 18.06.2010
[9] WAZ hält an Ausstieg aus Serbien fest; derstandard.at 22.06.2010
[10] Hombah pokušava da ukrade "Novosti"; www.novosti.rs 22.06.2010


Meinung bilden (II)
 
24.06.2010

ESSEN/SKOPJE/BELGRAD
 
(Eigener Bericht) - Der serbische Wirtschaftsminister Mladan Dinkić fordert den deutschen Medienkonzern WAZ wegen dubioser Machenschaften zum Rückzug aus Serbien auf. Es könne nicht angehen, dass die WAZ mit zweifelhaften "Hinterzimmergeschäften" sich die Kontrolle über eine der wichtigsten Tageszeitungen des Landes verschaffe, erklärt Dinkić nach Bekanntwerden eines Deals, der dem Essener Konzern eine marktbeherrschende Stellung in Serbien verschaffen sollte. Dabei versuchten die WAZ und WAZ-Geschäftsführer Bodo Hombach (SPD), sich mit Hilfe eines Strohmannes stückweise in den Besitz der Anteilsmehrheit an Večernje Novosti, der auflagenstärksten Tageszeitung des Landes, zu bringen. Der Strohmann, ein serbischer Oligarch, will die bei ihm zwischengeparkten Anteile nun offenbar nicht herausrücken. Hintergrund des Deals ist, dass die WAZ zunächst wegen kartellrechtlicher Bedenken Večernje Novosti, ein in Serbien meinungsbildendes Blatt, nicht kaufen konnte - und deshalb die Dienste des Strohmannes in Anspruch nahm. Der Essener Medienkonzern ist das stärkste westeuropäische Unternehmen auf dem Pressemarkt in Südosteuropa und hält in mehreren Staaten eine marktbeherrschende Position von bis zu 70 Prozent - abgefedert durch beste Beziehungen ins politische und wirtschaftliche Establishment.

Hinterzimmergeschäfte

Der WAZ-Konzern hat die dubiosen Geschäfte am gestrigen Mittwoch [1] in einer ausführlichen Erklärung eingestanden. Demnach hat sich ein nicht genannter "Vertragspartner" - Bodo Hombach nennt ihn einen "serbischen Oligarchen" - im Dezember 2008 verpflichtet, drei Gesellschaften mit den Namen "Ardos" (Österreich), "Trimax" (Österreich) und "Karamat" (Zypern) an die WAZ zu verkaufen. Die drei Gesellschaften halten insgesamt fast zwei Drittel der Anteile an Novosti AD, dem Verlag, der Večernje Novosti ("Abendnachrichten") herausgibt. Als Novosti AD vor einigen Jahren privatisiert wurde und die WAZ wegen möglicher kartellrechtlicher Einwände nicht selbst zum Zuge kam - sie besitzt bereits 50 Prozent an Politika, der zweiten meinungsbildenden Zeitung des Landes -, da hatte der "Oligarch" die Anteile übernommen und damit den Verkauf des Verlages an einen anderen serbischen Investor verhindert. Das Bekanntwerden des Deals ruft ernsten Ärger in Belgrad hervor. Es könne nicht angehen, dass die WAZ sich mit "Hinterzimmergeschäften" in den Besitz eines "Markenzeichens" wie Večernje Novosti bringe, erklärt der Wirtschaftsminister Serbiens, Mladan Dinkić.[2]

Österreich, Ungarn

Die WAZ, die in diesen Tagen mit ihren Machenschaften für Unmut in der serbischen Hauptstadt sorgt, ist seit Jahren der mächtigste ausländische Konzern auf dem Pressemarkt in Südosteuropa. Die ersten Sondierungen der "WAZ Mediengruppe" in Richtung Ost- und Südosteuropa erfolgten bereits Ende der 1980er Jahre. 1987 stieg der Essener Konzern bei zwei bedeutenden Verlagen in Österreich ein: Er übernahm 50 Prozent der Kronen Zeitung, die mit einer Reichweite von gut drei Millionen Lesern bei einer Gesamtbevölkerung von 8,4 Millionen eine singuläre Stellung im Land besitzt, und 49,4 Prozent an der Wiener Tageszeitung Kurier (Auflage: 200.000). "Damit haben wir uns das Tor nach Südosteuropa geöffnet", urteilte Anfang 2007 der einige Jahre für Südosteuropa zuständige WAZ-Mitarbeiter Andreas Ferlings.[3] In der Tat gelang dem deutschen Unternehmen unmittelbar nach dem Umbruch in Ost- und Südosteuropa der Einstieg in das erste zuvor realsozialistische Land: 1990 übernahm es die ungarische Verlagsgruppe Pannon Lapok Társasága, deren fünf Regionalblätter der WAZ zufolge "in vier Komitaten von der österreichischen Grenze bis vor die Tore Budapests" [4] erscheinen - Gesamtauflage: 225.000 Exemplare.

Große Schlagzeilen, knappe Sprache

Größeren Unmut rief die Südostexpansion der WAZ erstmals in Bulgarien hervor, wo der Konzern 1996 tätig wurde. Zunächst übernahm er die zweitgrößte Tageszeitung des Landes (24 Tschassa), danach zusätzlich auch die größte (Dneven Trud). Dabei wurde der WAZ nicht nur vorgeworfen, sich mit Dumpingpraktiken eine monopolartige Stellung verschafft zu haben [5]; in der Tat beläuft sich der Marktanteil des Unternehmens, das sich in Kartellprozessen in Sofia mit Erfolg behaupten konnte, in Bulgarien heute auf gut 70 Prozent. "Eine unserer Strategien ist es, in Länder zu gehen, in denen das Kartellrecht nicht so weit entwickelt ist", erklärte der ehemalige WAZ-Mitarbeiter Ferlings im Januar 2007 dazu - man versuche Marktanteile aufzukaufen, bevor das Kartellrecht verschärft werde.[6] Bis heute werden daneben Vorwürfe laut, die die qualitative Entwicklung der von der WAZ übernommenen Zeitungen kritisieren. So sei "das Potenzial", die bulgarischen Leser an höhere "Qualitätsstandards heranzuführen", von der WAZ damals "nicht genutzt" worden, sagt ein Medienwissenschaftler in Sofia. Ganz im Gegenteil, klagt eine Journalistin: "Sie brachten ein neues Grafikdesign mit: Größere Schlagzeilen, eine knappere Sprache, große Bilder auf der ersten Seite".[7]

Exklusive Kontakte

Seit Februar 2002 verfügt die WAZ, der zuvor bereits der Einstieg in Kroatien (Dezember 1998), Rumänien (März 2001) und Serbien (Oktober 2001 [8]) gelungen war, über einen Geschäftsführer mit herausragenden Beziehungen nach Südosteuropa. Bodo Hombach (SPD) hatte zwischen 1998 und 2001 exklusive Kontakte knüpfen können, zunächst als Kanzleramtschef bei der Vorbereitung des Kosovokriegs und während der NATO-Bombardements, ab Mitte 1999 als Sonderkoordinator der EU für den sogenannten Südosteuropa-Stabilitätspakt. Der "Stabilitätspakt", der Kooperation und Aufbaumaßnahmen in Südosteuropa fördern sollte, brachte den EU-"Sonderkoordinator" mit dem politischen und ökonomischen Führungspersonal in ganz Südosteuropa in direkten Kontakt. Hombach hatte bereits mit seinen Aktivitäten in Deutschland zuweilen ernsthaften Unmut erregt; ein Landespolitiker in Nordrhein-Westfalen, wo Hombach bis zum Herbst 1998 tätig war, wurde 1999 mit den Worten zitiert, "die Zahl der Intrigen in NRW" habe mit Hombachs Wechsel in das Bundeskanzleramt "signifikant abgenommen".[9] Hombachs Tätigkeit für den WAZ-Konzern in Südosteuropa verlief ebenfalls nicht ohne Konflikte.

Positive Berichterstattung

Schlagzeilen gemacht hat vor allem ein Streit mit der Redaktion der rumänischen Tageszeitung România Liberă in der zweiten Jahreshälfte 2004. Der Streit entzündete sich an Vorgaben seitens der WAZ, die in der Öffentlichkeit unterschiedlich interpretiert wurden. Die WAZ habe România Liberă, eine konservative Zeitung, die zu 70 Prozent dem deutschen Medienkonzern gehörte, von kritischer Berichterstattung über die sozialdemokratische rumänische Regierung abhalten wollen, klagte die Redaktion des Blattes; sie brachte das mit Hombachs SPD-Vergangenheit und mit den engen Kontakten zwischen der deutschen und der rumänischen Sozialdemokratie in Verbindung. Man habe sich nur für Qualitätsstandards und für "positive Berichterstattung" eingesetzt, hieß es hingegen bei der WAZ.[10] Einige Wochen lang beschäftigte der Streit um die Einmischung des deutschen Pressekonzerns in die redaktionelle Arbeit die europäische Öffentlichkeit. Heute wäre dies wohl nicht mehr der Fall. "Hatte die WAZ sich früher rein kommerziell und politisch streng neutral gegeben", urteilte im Frühjahr 2006 ein Kenner, "so rutscht sie mit ihren Balkan-Blättern jetzt in ein betont liberales, pro-westliches Segment." Damit werde "der Konzern auf dem Balkan seiner zunehmend politischen Rolle gerecht".[11] Aufmerksamkeit erregt dies heute nicht mehr.

Vom Außenminister zum Zeitungsmann

Ein herausragendes Beispiel für die engen Verbindungen der WAZ zu den politischen Eliten der Staaten Südosteuropas bieten die Konzernaktivitäten in Mazedonien. Dort kaufte die WAZ im Mai 2003 die drei auflagenstärksten Tageszeitungen des Landes (Dnevnik, Utrinski Vestnik, Vest). Nur wenig später fasste sie ihre Mazedonien-Aktivitäten in der Firma Media Print Mazedonien (MPM) zusammen - wie sie betont, "mit der Genehmigung des Kartellamts".[12] Das muss hervorgehoben werden, denn MPM bündelt nicht nur die vollständige Wertschöpfungskette vom Druck bis zum Vertrieb, sondern kontrolliert mit den drei Zeitungen auch mehr als 70 Prozent des Printmarktes in Mazedonien.[13] Begünstigt werden die mazedonischen Konzernaktivitäten jedenfalls durch beste Beziehungen zum politischen Establishment. Als die WAZ in Skopje einstieg, engagierte sie Srgjan Kerim als Geschäftsführer von MPM. Kerim kennt Deutschland unter anderem aus seiner Zeit als Botschafter seines Landes in der Bundesrepublik (1994 bis 2000), arbeitete im Jahr 2000 kurz als "Sonderbeauftragter für Regionalfragen" des Südosteuropa-Stabilitätspaktes unter Bodo Hombach und amtierte als mazedonischer Außenminister (2000 bis 2001), bevor er im Jahr 2003 den Vorsitz in der Deutsch-Mazedonischen Wirtschaftsvereinigung übernahm - und für die WAZ zu arbeiten begann.

Noch ärmer

"Kein anderer westeuropäischer Verlag ist in Südosteuropa so präsent wie die WAZ Mediengruppe", urteilt der Essener Medienkonzern über sich selbst.[14] Angesichts der Tatsache, dass das deutsche Unternehmen inzwischen 40 Prozent seines Umsatzes und 70 Prozent seines Erlöses im Ausland erzielt, bilanzieren südosteuropäische Kritiker die Aktivitäten der WAZ etwas anders. Beispielhaft hierfür steht der Chefredakteur der heftig umkämpften Tageszeitung Večernje Novosti, Manojlo Vukotić. "Sie sind aufgebrochen, die Medienszene auf dem verarmten Balkan zu erobern", sagte Vukotić kürzlich auch mit Blick auf die Hinterzimmergeschäfte der WAZ mit zum Teil dubiosen Oligarchen, "und sie schaffen es, den Balkan noch ärmer zu machen".[15]

[1] "Serbiens Bürger haben ein Recht auf Wahrheit"; www.derwesten.de 23.06.2010
[2] Probe ordered into newspaper privatization; www.b92.net 23.06.2010
[3] "Wir grasen den Markt ab"; www.medien-monitor.com 30.01.2007
[4] Ungarn; www.waz-mediengruppe.de
[5] European Federation of Journalists: Media Power in Europe: The Big Picture of Ownership, Brussels, August 2005
[6] "Wir grasen den Markt ab"; www.medien-monitor.com 30.01.2007
[7] Staatsfeind Nummer eins; Berliner Zeitung 03.08.2009
[8] s. dazu Meinung bilden (I)
[9] Schröders play-back; Der Freitag 25.06.1999
[10] Lebenslauf Dr. Srgjan Kerim; www.dgvn.de
[11] Flaggschiffe im Visier; Berliner Zeitung 04.05.2006
[12] Mazedonien; www.waz-mediengruppe.de
[13] Vladimir Zlatarsky, Dirk Förger: Die Medien in Mazedonien; www.kas.de 31.08.2009
[14] Das internationale Engagement der WAZ Mediengruppe; www.waz-mediengruppe.de
[15] Serbischer Chefredakteur beschimpft WAZ-Boss; Spiegel Online 24.03.2010



               * Jugoslavenski glas - Voce jugoslava*

"Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."

Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio, emisija:
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Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30:
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*** Program 22. VI. 2010 Programma ***

Historijski revizionizam na maturi: Fojbe      
Revisionismo storico alla Maturita': Foibe

       U studiju                      In studio
                  Eleonora e Ivan



Kathimerini

Conflit du nom : la Grèce affirme qu’un compromis a été trouvé


Traduit par Laurelou Piguet
Publié dans la presse : 13 juin 2010

La Grèce et la Macédoine s’approchent d’un accord. Sous la pression des interventions des États-unis et de l’UE, les deux pays seraient tombés d’accord sur le nom de « République de Macédoine du Vardar ». Cette appellation satisfait l’exigence grecque d’une désignation géographique, et est déjà largement utilisée par les citoyens du pays voisin pour différencier la Macédoine de l’Égée (la Grèce) et la Macédoine du Pirin (la Bulgarie).

Par Athanasios Ellis


Par ailleurs, il y a un an exactement, le conseiller du président de la FYROM, Risto Nikovski, s’était officiellement prononcé en faveur de l’appellation « République de Macédoine (du Vardar) ». Dans cette perspective, la forme exacte que prendra la transcription de ce nom a une très grande importance.

Utiliser des régions géographiques ou des fleuves comme élément constituant du nom officiel est une idée qui a été remise sur la table des négociations, selon un diplomate occidental très bien informé. Selon lui, l’initiative de Yorgos Papandréou d’inaugurer directement des rencontres avec Nikola Gruevski a été un facteur déterminant dans les avancées vers une solution. « Ces rencontres ont permis de briser la glace. Les mouvements de Papandréou ont eu une grande importance symbolique. D’un coup, vos voisins ne se sont plus sentis exclus ni humiliés ». Les contacts fréquents entre Dimitris Droutsas (vice-ministre grec des Affaires étrangères) et Antonio Milososki sont allés dans le même sens.

Les négociations intensives qui sont en cours ces derniers temps, loin des feux des médias, ont porté leurs fruits. Du côté américain, c’est le secrétaire d’État adjoint, James Steinberg, qui s’en est occupé de façon intensive : il a visité les deux pays à plusieurs reprises. Il est venu par exemple trois fois en Grèce, en mai, en juin et en décembre 2009, et a rencontré Kostas Karamanlis et Yorgos Papandréou.

James Steinberg, auquel la « direction grecque et chypriote » a remis il y a trois semaines une distinction à Washington, a déclaré récemment que Gruevski avait « des décisions difficiles à prendre dans un avenir proche », et a souligné l’importance que revêtait pour Skopje, dans l’incertitude de la période actuelle, son intégration à l’UE et à l’Otan. Par ailleurs, il s’est réjoui de l’attitude positive de Yorgos Papandréou et de sa vision d’une complète incorporation des Balkans occidentaux dans l’Union européenne d’ici à 2014.

La partie grecque insiste sur la nécessité que la nouvelle appellation composée qui désignera le pays voisin soit utilisée par tous, pour éviter la confusion que créerait l’utilisation de plusieurs noms. Des pays influents se rallient aussi progressivement à cette idée.

Dans ce cadre, on estime que l’appellation « Macédoine du Vardar » est celle qui représente le moins d’obstacles, et qu’elle pourra être conservée dans la Constitution puisqu’elle constitue une description du pays pour les citoyens même de la FYROM.

Pendant la visite de Yorgos Papandréou à Washington en mars, la partie américaine avait fait connaître son intention d’adopter l’appellation choisie tant dans les forums internationaux que dans les relations bipartites, que celle ci soit « Macédoine du Nord », comme l’avait proposé l’année dernière Matthew Nimetz, soit « Macédoine du Vardar », qui est la solution vers laquelle vraisemblablement les deux pays se dirigent.




(Gli anni passano ma la Serbia continua a mantenere il non invidiabile primato di paese europeo con il più alto numero di rifugiati: si tratta delle centinaia di migliaia di profughi da Krajine, Slavonia, Federazione Bosniaca, Kosovo-Metohija, vittime delle politiche di pulizia etnica promosse da NATO e  Unione Europea per poter riscrivere i confini dei Balcani.)


Serbia tops list as European country with most refugees

21 June 2010 | 05:36 | FOCUS News Agency

Belgrade. Sasa Jankovic, Serbia's Ombudsman, used the occasion of International Refugee Day on Sunday to bring attention to the fact that Serbia remains at the top of an unfortunate list as the European country with the largest refugee and internally displaced population, Xinhua News Agency informed.
Jankovic said that "the time has finally come to turn words into action plans and deeds, "to bring to a close the protracted refugee issue in Serbia.
According to government statistics, Serbia currently has 86,000 refugees and 210,000 internally displaced persons. Its refugees crisis began almost two decades ago with the breakup of Yugoslavia in the early 1990s and was followed by a second wave of forced migration from Kosovo in 1999. There are still 60 collective centers in operation with more than 4,700 people living in them.
In recent years a program to purchase and donate rural households throughout the country has been supported by both the domestic government and international humanitarian agencies.
According to Serbian Deputy Prime Minister Jovan Krkobabic," International Refugee Day is the right moment to remind the world of those who, in order to save their own lives, were forced to abandon their homes."


(dieser Text auf deutscher Sprache: Ein klein wenig Diktatur


A Bit of Dictatorship
 
2010/06/15

BERLIN
 
(Own report) - Foreign policy specialists from Berlin's establishment are discussing possible advantages of dictatorial forms of government. According to the current issue of a leading German foreign policy review, some observers see the West as being currently in a "state of democratic fatigue with an erosion of democratic institutions." Simultaneously there are "diverse discussions of dictatorial powers and measures" even if usually in terms of a temporary dictatorship. They see as the primary question, whether "beyond the system of rule of law, legitimacy reserves can be tapped" to "rejuvenate the system (- democracy -) that has grown old" is the formulation of the journal, a terminology used in the 1930s by the key Nazi jurist, Carl Schmitt to justify the annulment of the democratic constitution. This article suggests that some business representatives are in no way adverse to authoritarian measures and are questioning whether "the constitutional state can still hold its own" in the competition of systems against China and Russia. The author, a member of the advisory board of Berlin's Federal College for Security Studies, considers that the dictatorship "has been proven to be the wrong route to take," but he does not refuse to participate in a discussion of principles on the advantages of dictatorial methods.

A New Competition of Systems

The review published by the German Council on Foreign Relations (DGAP), "Internationale Politik", considered the most prestigious periodical in questions of foreign policy in the Federal Republic of Germany, devoted its latest edition to questions of "dictatorships". "The economic boom of autocratic powers such as China and Russia," the review explains, "has re-ignited the competition of systems."[1] In its editorial, the review's editor poses the question: "have authoritarian systems refurbished their gloss - because they are quicker at making decisions than portly democracies?" The review, posing its rhetorical questions, is obviously taking part in the current debate in Berlin's establishment circles and is positioning itself squarely in favor of democracy: "The glitter of dictatorships - remains counterfeit." But in one of the articles in "Internationale Politik" variations of dictatorial rule are thoroughly illuminated. The author is Herfried Münkler, a political science professor in Berlin and one of Berlin's most prominent political advisors, as he serves on the advisory board of the Federal College for Security Studies in Berlin.[2]

Post-Democracy

Münkler writes that, "according to some observers," the West finds itself today in a "state of democratic fatigue and an erosion of democratic institutions." Münkler is referring to the British political scientist, Colin Crouch, who, in his work entitled "Post-Democracy," detects an internal decomposition of western democracies. Crouch defines post-democracy as "a commonwealth, where, although elections still take place, competing teams of professional PR experts have such tight control over the public debate during the electoral campaign, that the whole thing is reduced to a spectacle". He sees western nations headed toward this sort of social formation.[3] Münkler, then detects that a "spreading discomfort with democracy" provides "a certain seductiveness for a flirt with dictatorships."[4]

Managers and Industrialists

According to Münkler, above all, it is the inertia of democratic procedures, the sluggishness of the democratic decision-making processes, "the lack of a selection of political personnel" and the "influence of parties and interest groups" that induce a "wish for 'a bit of dictatorship'."[5] In addition one finds, "the administrative need for 'Bonapartist solutions'," the "conceptualization of pertinent, depoliticized, bureaucratic procedure." "Dictatorship arrives (...) on procedural paws and according to its motto, 'what has to be decided, is what the administration has decided." In this context, Münkler explicitly mentions "managers and industrialists", who consider that through the de-parliamentarization of political decisions, their opportunity to be able to reap the advantages of the global competition, "will come quicker." But for the moment, demands for a classical 20th Century dictatorship, do not go beyond the wishes for less red tape or just "a bit of dictatorship".

Legality and Legitimacy

Münkler summarizes that "democracy (...) shows signs of fatigue and symptoms of deficiency; it needs a revitalization cure, but an alternative form of government to replace it, is nowhere in sight."[6] The key question is: "Is there a reservoir of legitimacy lying beyond the legal order that can be tapped and claimed to rejuvenate the elderly order?" Münkler's question plays on terminology that had once been used by the key Nazi jurist, Carl Schmitt, to justify the suspension of the democratic constitution. During the last years of the Weimar Republic, Schmitt, who differentiated between legality (abiding by positive law) and legitimacy (abiding by a norm superimposed over positive law), defended the standpoint that legality and legitimacy no longer coincided, and with his thesis that to protect the legitimacy, a dictatorship may be necessary, he helped pave the way for the Nazis to come to power.[7]

A Provisional Dictator

Münkler recalls that Schmitt "differentiated between provisional and sovereign dictatorships." Whereas a "sovereign dictatorship" creates a new political order, the "provisional dictatorship" defends a "constitutional order by extra-constitutional means."[8] "If there is various talk of dictatorial powers and measures today, it is usually in the sense of what Schmitt referred to as a provisional dictatorship" says Münkler in regards to the discussion taking place out of earshot of the public. "But no constitutional institution is prepared to take the risk of installing a provisional dictator."

Unknown

Münkler leaves no doubt that he, after careful deliberation, rejects dictatorial means: "Even with all of the contradictions in democracies, with dictatorships, in all their variations, the risks are too high."[9] Whether Münkler's rejection will convince those, who, according to his information, are today talking "of various dictatorial powers and measures" remains, for the time being, unknown.

[1] Der falsche Glanz der Diktatur; Internationale Politik Mai/Juni 2010
[2] see also Strategic CommunityEin neues MachtzentrumExclusive Contacts and Nur noch rechtshistorisch bedeutsam
[3] Colin Crouch: Postdemokratie, Frankfurt am Main 2008
[4], [5], [6] Herfried Münkler: Lahme Dame Demokratie; Internationale Politik Mai/Juni 2010
[7] Carl Schmitt: Legalität und Legitimität, 1932. Zur Rezeption Carl Schmitts durch einen hochrangigen Berater der Bundeskanzlerin s. auch Der Militärberater der Kanzlerin
[8], [9] Herfried Münkler: Lahme Dame Demokratie; Internationale Politik Mai/Juni 2010


(francais / deutsch / english / italiano)


Karadzic bringt Deutsche Regierung in Bedrängnis


in reverse chronological order:

1) Bundesregierung in Bedrängnis (jW 11.06.2010)

2) TPIY : Radovan Karadzić enseigne la géographie aux témoins (BIRN / CdB)

3) »Freundin der NATO« (jW 16.04.2010) / Karadzic-Prozeß in Den Haag fortgesetzt

4) Karadzic: la documentazione svelerà i canali di contrabbando delle armi in Bosnia (www.glassrbije.org 15.02.2010)

5) TPI : Radovan Karadžić, ou comment se jouer de la Justice internationale (BIRN / CdB)

6) Karadzic parla alla stampa serba (Peacereporter 29/12/2009)

7) Kriegsgräuel vor umstrittenem Gericht (Hannes Hofbauer, ND 26.10.2009)

8) Der programmierte Bürgerkrieg. Die Kämpfe im multiethnischen Bosnien-Herzegowina begannen, als der Westen die Abspaltung von Jugoslawien anerkannte (Gerd Schumann, jW 26.10.2009)

9) LINKS
Estratti delle interviste a Karadzic / Hearings transcripts and summaries / Comments / I precedenti post su JUGOINFO


=== 1 ===


junge Welt - 11.06.2010 / Ausland / Seite 6

Bundesregierung in Bedrängnis

Den Haag: BRD muß auf Antrag von Karadzic Dokumente zum Bosnien-Krieg überstellen
Von Cathrin Schütz

Ein brisanter Vorgang sorgt derzeit für Betriebsamkeit in einigen Berliner Ministerien. Laut Beschluß des Jugoslawien-Tribunals (ICTY) ist die Bundesrepublik Deutschland verpflichtet, dem Gericht in Den Haag bis Freitag, den 18. Juni, Dokumente über ihre Beteiligung am Krieg in Bosnien-Herzegowina (1992–1995) zu überstellen. Das in der Sache federführende Bundesjustizministerium erklärte dazu am Mittwoch auf Anfrage von junge Welt, daß man »innerhalb der Frist eine Stellungnahme gegenüber dem Gericht« abgeben werde. Allerdings laufe derzeit noch der »Abstimmungsprozeß«. Dieser scheint kompliziert zu sein: Schließlich geht es um die Beteiligung der BRD an der Zerstörung des Vielvölkerstaats Jugoslawien und dabei insbesondere um Waffenlieferungen im Bosnien-Krieg.

Der Beschluß des Tribunals vom 19. Mai ging auf einen Antrag von Radovan Karadzic zurück. Der ehemalige Präsident der Republika ­Srpska innerhalb Bosnien-Herzegowinas (1992–1996), der im September 2008 in Belgrad verhaftet und nach Den Haag überstellt worden war, verlangte unter anderem die Herausgabe von Materialien, die sich mit Waffenlieferungen an die bosnisch-muslimische Kriegspartei in den Wochen und Monaten vor Juli 1995 befassen. Das ist genau der Zeitraum vor jenem Ereignis, das weithin als »serbischer Völkermord« an bis zu 8000 unbewaffneten männlichen muslimischen Zivilisten in der »entmilitarisierten Zone« von Srebrenica gilt.

Außerdem will Karadzic mittels Dokumenten der Parlamentarischen Kontrollkommission die Infiltration von EU- und UN-Missionen durch westliche Geheimdienste wie den Bundesnachrichtendienst belegen. Er plant, den gegen ihn gerichteten Anklagepunkt der »Geiselhaft« von zahlreichen UN-Beamten zu entkräften. Dies soll durch den Nachweis geschehen, daß die damals von bosnisch-serbischen Kräften gefangengenommen entgegen allen Behauptungen keine neutralen Beobachter waren, sondern an der Seite der Kriegsgegner agierten.

Deutschland hatte sich von Beginn an gegen den Antrag Karadzics gewehrt. Bereits am 15. Februar mußte deswegen der deutsche Botschafter in den Niederlanden, Thomas Laufer, in einer Verfahrensanhörung vor dem ICTY Rede und Antwort stehen. Laufer erklärte damals, warum Deutschland Karadzics Ersuchen nach Aushändigung von Dokumenten nicht nachkommen wolle: Die Waffenlieferungen in die »entmilitarisierte Zone« von Srebrenica hätten mit dem Prozeß gegen Karadzic nicht das geringste zu tun. Sie gehörten vielmehr zum Kriegskontext. Zur Untermauerung ihres Widerstands gegen die Aktenüberstellung berief sich die Bundesregierung zudem auf »nationale Sicherheitsinteressen« sowie auf die Rechte anderer Staaten. Diese dürften nicht berührt werden.

Die Richterkammer des ICTY folgte trotzdem Karadzics Antrag – ein Vorgang, der als Niederlage der Bundesregierung angesehen werden kann. »Erfolg für Karazic« wertete dementsprechend die FAZ (1.6.). Der jüngste Spiegel (23/2010) meinte, »Karadzic pokert« und konstatierte, die Papier sollten beweisen, »daß der Bosnien-Krieg 1992 bis 1995 keineswegs von Karadzic initiiert wurde, um die dortigen Muslime zu vertreiben, sondern daß der Westen selbst den Zerfall Jugoslawiens betrieben habe«.

Offensichtlich befindet sich die Bundesregierung nunmehr in einem Konflikt mit dem ICTY – eine eigenartige Situation. Schließlich war die Einrichtung des Tribunals – neben den USA – maßgeblich von der BRD gefördert und im UN-Sicherheitsrat durchgesetzt worden. Und bisher hatte für das Tribunal tatsächlich der Schutz seiner Gründer und NATO-Geldgeber stets oberste Priorität. Die jetzige Entscheidung stellt den ersten bedeutenden Bruch mit dieser Praxis dar. Es bleibt abzuwarten, ob die Bundesregierung den politischen Nutzen des ICTY auch 19 Jahre nach dessen Gründung noch so hoch bewertet, daß sie sich seiner jetzigen Entscheidung fügen wird.


=== 2 ===

http://balkans.courriers.info/article15232.html

BIRN

TPIY : Radovan Karadzić enseigne la géographie aux témoins


Traduit par Jacqueline Dérens

Publié dans la presse : 11 mai 2010

Alors que le procès de Radovan Karadžić reprend devant le TPIY ce mercredi 19 mai, les dernières audiences ont été consacrées à l’audition de témoins, une première depuis que le procès a débuté le 27 octobre 2009 avant d’être reporté deux fois. Cette fois c’est au tour de David John Harland, ancien fonctionnaire des Nations unies durant la guerre en Bosnie de s’exprimer. Radovan Karadžić l’a interrogé sur la géographie de la région pour arguer sa défense.


Radovan Karadžić tient à prouver que les forces des Serbes de Bosnie étaient dans une position géographique défavorable et donc dans une position « inférieure » à celle des forces bosniaques. Il n’a pas hésité à qualifier de « leçon de géographie » les questions qu’il a posées aux témoins.

« Pouvez-vous être d’accord sur le fait qu’ils étaient sur les collines et nous, dans les vallées, exposés à leur tir », a demandé Karadžić au témoin David John Harland qui a répondu :« Oui, d’une certaine manière. Mais c’est une inversion de la réalité parce qu’il y avait des centaines de civils qui étaient exposés aux tirs incessants des forces des Serbes de Bosnie ».

Karadžić a demandé au témoin de montrer sur une carte les lignes de front autour de Sarajevo, tout en maintenant que la ville n’était pas assiégée par les forces des Serbes de Bosnie.

David John Harland, qui a occupé plusieurs postes pour les Nations unies pendant et après la guerre en Bosnie-Herzégovine, a affirmé que les citoyens de Sarajevo étaient soumis à la terreur permanente des tirs et des bombardements, mais aussi aux coupures d’eau, d’électricité de gaz et d’approvisionnement en nourriture.

D.J. Harland a précisé que la topographie de la ville avait affecté la nature de la guerre et du siège, la ville étant dans une vallée entourée de montagnes. « La vallée est profonde et étroite et partout où vous vous trouvez, vous avez l’impression d’être au fond d’une cuvette. Historiquement, les Musulmans vivent dans les centres urbains densément peuplés, alors que les Serbes vivent sur les hauteurs, comme c’est le cas à Sarajevo ».

Le témoin a été présent pendant la campagne des tirs de snipers, à l’exception d’une courte période à l’automne 1994, et il témoigne en ces termes « Les gens avaient peur de sortir. Un visiteur étranger pouvait difficilement croire qu’il se trouvait dans une ville de 200.000 à 300.000 habitants : il n’y avait pratiquement personne dans les rues ».

Le témoin explique aussi qu’au cours de ses rencontres avec les dirigeants des Serbes de Bosnie, il n’a jamais remarqué que l’accusé donnait des ordres, mais de la façon dont il parlait et agissait, il était évident que c’était lui qui prenait les décisions.

La vidéo du massacre de Markale

D.J. Harland, qui a subi le feu des questions de l’accusé pendant quatorze heures, a aussi témoigné sur le massacre du marché de Markale. En février 1994, 67 personnes ont été tuées et 142 blessées au cours d’un tir d’artillerie sur la place du marché. Karadžić a toujours prétendu que ce massacre avait été mis en scène par le gouvernement de Sarajevo pour provoquer une intervention militaire étrangère. Pour apporter des preuves à son discours, Karadžić a montré au cours de l’audience une vidéo du marché de Markale qui montre d’un côté des tables vides et de l’autre des cadavres. L’accusé affirme que ces corps sont des mannequins et des corps de soldats tués avant l’incident et transportés après sur le marché. L’accusation a demandé des preuves de l’authenticité du document et Karadžić a répondu que cette vidéo avait été enregistrée par « la télévision musulmane » et qu’elle avait été montrée une seule fois « par erreur ». Ensuite selon l’accusé, seule la version modifiée avait été montrée à la télévision. D.J. Harland a reconnu qu’il n’avait jamais vu certaines parties de cette vidéo. « C’est très étrange. Je voudrais aussi voir l’original. Ce que je sais de ce massacre, je le tiens des personnes qui ont survécu et des premiers témoins qui sont arrivés sur place ».

Karadžić a aussi répété que les habitants de Sarajevo étaient lourdement armés et ouvraient souvent le feu sur les positions des Serbes de Bosnie. Il a demandé au témoin de dire combien d’obus tombaient en moyenne par jour sur la ville. « Cela variait de jour en jour, mais je dirais en moyenne une centaine par jour », a répondu D.J. Harland en précisant que ces obus provenaient surtout des positions des Serbes de Bosnie.

Les forces de l’Onu avaient identifié trois types de cibles pour ces tirs : les cibles stratégiques proches de la ligne de front, les cibles militaires, et les cibles civiles. Ces dernières étaient beaucoup plus exposées aux tirs que les cibles militaires.


=== 3 ===


junge Welt - 16.04.2010 / Ausland / Seite 6

»Freundin der NATO«

Jugoslawien-Tribunal in Den Haag beginnt mit Anklageverfahren gegen Karadzic
Von Cathrin Schütz

Im Prozeß gegen Radovan Karadzic begann in dieser Woche das Anklageverfahren. Vorerst sind drei Verhandlungstage pro Woche angesetzt. Als erste Belastungszeugen gegen den Expräsidenten der Serbischen Republik in Bosnien traten die bosnischen Muslime Ahmet Zulic und Sulejman Crncalo auf. Beide wurden von Karadzic, der vor dem Internationalen Strafgerichtshof für das ehemalige Jugoslawien in Den Haag (ICTY) seine Verteidigung ohne anwaltliche Vertretung führt, ins Kreuzverhör genommen.

Eine der nächsten Aussagen soll vom geschützen, also anonymen Zeugen »KDZ064« kommen. Sie wird mit den angeblichen Massenexekutionen in Srebrenica im Juli 1995 in Verbindung stehen, die einen der beiden Völkermordanklagepunkte begründen. Die Anklage behauptet, der Zeuge sei als Teil einer Menschenkolonne auf dem Weg von Srebrenica ins bosnisch-muslimisch kontrollierte Tuzla von serbischen Kräften in Haft genommen worden. Die folgende Massenhinrichtung der Gefangenen habe er überlebt. Eine umfassende Aussage dieses offenbar wichtigen Zeugen wird es jedoch nicht geben. Die ersten zwölf von der Anklageseite geladenen Zeugen haben bereits in anderen Fällen vor dem ICTY ausgesagt oder, wie KDZ064, eine schriftliche Aussage gemacht. Es wird lediglich ein Resümee ihrer Stellungnahmen verlesen, bevor das Kreuzverhör beginnt.

Durch diese Vorgehensweise sieht Karadzic seine grundlegenden Rechte verletzt. Er habe nicht die Möglichkeit, sich mit allen relevanten Details der früheren und schriftlichen Aussagen im Kreuzverhör auseinanderzusetzen. Damit gehe die Last der Beweisführung von der Anklage auf den Beschuldigten über. Gleiches äußerte er mit Blick auf die »gerichtlich bereits festgestellten Fakten«, die von der Anklage nicht bewiesen werden müssen. 1500 solcher »Fakten« wurden bereits zugelassen, weitere 1216 will die Anklage einbringen. Ein von Karadzic wegen dieser Rechtsverletzung eingereichter Antrag auf Verfahrenseinstellung wurde abgelehnt.

Erneut zeigt das ICTY damit, daß es dem Ruf einer unparteiischen Institution nicht gerecht wird. Bestätigt wird Ex-NATO-Sprecher Jamie Shea, der das ICTY als »Freundin der NATO« bezeichnete, von deren Mitgliedsländern es initiiert wurde und finanziert wird. So wurde der Maulkorb für Karadzic bereits gefertigt. Hinter ihm im Verhandlungssaal sitzt der britische Anwalt Richard Harvey, der vom Tribunal ausgewählt wurde, Karadzic zu verteidigen, sollte dieser »erneut den Prozeß behindern«. Allein die Bestellung des Zwangsverteidigers zeigt die herrschende Willkür, wenn es um die Bestrafung von Serben geht. Die Möglichkeit, das Recht auf Sebstverteidigung zu entziehen, schufen die Richter infolge vonKaradzics kurzzeitigem Prozeßboykott Ende 2009. Damit hatte er auf die wiederholte Ablehnung seiner Anträge auf Verlängerung seiner Vorbereitungszeit reagiert. In dem einen Jahr seit seiner Auslieferung an das ICTY hatte die Anklage ihm Dokumente von gut eine Million Seiten zugestellt und eine Woche vor Verhandlungsbeginn den Anklageinhalt verändert.

Mit Harvey bestellte das ICTY einen Anwalt aus einem NATO-Staat. Die NATO jedoch war aktiv am bosnischen Bürgerkrieg beteiligt und bombardierte wiederholt bosnisch-serbische Stellungen. Außerdem vertrat Harvey kürzlich vor dem ICTY zwei Mitglieder der kosovo-albanischen Terrororganisation UCK. Diese hatte die Serben in einen blutigen Sezessionskrieg verwickelt und die Vorlage für den Aggressionskrieg der NATO gegen die Bundesrepublik Jugoslawien im März 1999 geliefert.

Karadzics Bruder Luka gab sich am Mittwoch gegenüber der italienischen Agentur AKI keinen Illusionen hin: Wer die Eröffnungsrede von Radovan im März gehört habe, kenne die Wahrheit. Es seien die bosnischen Muslime und der Westen gewesen, die Bosnien in Brand setzten, so Luka Karadzic. »Doch es ist nicht damit zu rechnen, daß das Tribunal an der Wahrheit interessiert ist. Radovan wurde von den westlichen Medien schuldig gesprochen. Aufgabe des Tribunals ist es, dies zu bestätigen. Mit einigen Ausnahmen folgen die westlichen Medien eben den Anweisungen der führenden Politiker, die Jugoslawien zerschlagen haben, den Krieg beförderten und die Rolle der Täter allein den Serben zuweisen.«

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junge Welt - 14.04.2010 / Ausland / Seite 2

Karadzic-Prozeß in Den Haag fortgesetzt

Den Haag. Mit der ersten Aussage von Zeugen der Anklage ist am Dienstag der Prozeß gegen den früheren bosnischen Serbenführer Radovan Karadzic fortgesetzt worden. Der im Bosnienkrieg in serbischen Gefangenenlagern inhaftierte Ahmet Zulic sollte von den Richtern und dem sich selbst verteidigenden Karadzic ins Kreuzverhör genommen werden. Der zuletzt von Karadzic erhobene Forderung, seinen Prozeß bis zum 17. Juni auszusetzen, um neue Akten durcharbeiten zu können, hatte das Gericht nicht stattgegeben.

(AFP/jW)


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www.glassrbije.org

Karadzic: la documentazione svelerà i canali di contrabbando delle armi in Bosnia

15. febbraio 2010. 20:03


L’ex Presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic ha dichiarato alla conferenza statutaria nel tribunale dell’Aja che i documenti, la cui pubblicazione ha chiesto ad alcuni paesi, aiuteranno la sua difesa e dimostreranno in quale modo sono stati organizzati i canali del contrabbando delle armi che erano destinate ai musulmani in Bosnia ed Erzegovina. Questa documentazione dimostrerà in quale modo è stato organizzato il contrabbando delle armi destinate ai musulmani a Srebrenica. Essa dimostrerà che alcuni paesi hanno lavorato in modo attivo nello smembramento dell’ex Jugoslavia. I rappresentanti della Germania, Francia, Croazia e Iran, i quali sono stati invitati alla conferenza statutaria da parte del tribunale dell’Aja, hanno dichiarato che i loro paesi hanno reso di pubblico dominio tutto quello che ritenevano importante per il processo contro Karadzic, e si sono opposti alla pubblicazione dei documenti richiesti. Il processo contro Radovan Karadzic inizierà il 1 marzo, quando egli terrà l’arringa.   


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BIRN

TPI : Radovan Karadžić, ou comment se jouer de la Justice internationale


Traduit par Stéphane Surprenant

Publié dans la presse : 2 février 2010
Mise en ligne : jeudi 4 février 2010
Radovan Karadžić a demandé au gouvernement de la Bosnie de lui remettre des documents relatifs à l’existence de l’unité de police secrète « Seva » et à ses membres. Il a aussi réitéré ses requêtes déjà faites à d’autres pays en vue d’obtenir certains documents. Certains États les ont déjà fournis, d’autres refusent de les lui livrer. Alors que son procès doit reprendre début mars, l’accusé continue de jouer avec le TPI et essaie de retarder à nouveau la reprise des audiences, de quelque manière que ce soit, arguant du manque de temps pour préparer sa défense.

Nidžara Ahmetašević


« Je suis l’ancien Président de la République serbe de Bosnie. Je suis actuellement en train de préparer ma défense car je fais face à des accusations de génocide, de crimes contre l’humanité, ainsi que de crimes de guerre, devant le Tribunal pénal international sur l’ancienne Yougoslavie. »

Presque toutes les lettres que Radovan Karadžić a écrites à différents États, plus de trente, et à diverses organisations internationales commencent de cette manière. Toutes ces lettres constituent des demandes visant à obtenir des documents qui serviront à plaider sa cause. Depuis son arrestation en juillet 2008, Radovan Karadžić a demandé des copies de centaines de documents à des pays aussi inattendus que le Bangladesh, la Jordanie, l’Égypte, la Malaisie, la Turquie, Malte, de même qu’aux États-Unis, au Royaume-Uni, à l’Italie, à l’Autriche ou à l’Allemagne. L’Otan, l’Union européenne et l’Onu ont aussi reçu des demandes de sa part.

Radovan Karadžić, qui s’était plaint au départ de l’intention apparente du procureur de transformer son procès en un « sentier fait de paperasse », a à son tour envoyé des requêtes afin d’avoir à sa disposition des centaines de documents.

Il estime avoir reçu jusqu’à présent environ 5% des tous les documents visés. Il considère par conséquent qu’il lui faudra encore un certain temps avant d’obtenir toutes les informations qu’il souhaite utiliser.

Certains pays lui ont fourni la documentation volontairement, comme la Russie et le Canada. D’autres, telle que l’Allemagne, se sont opposés ouvertement à ces transferts de documents.

En ce qui concerne la Bosnie-Herzégovine, elle a déjà transmis une partie des documents demandés par l’accusé.

Or, celui-ci veut désormais que la Bosnie lui expédie des documents relatifs à l’existence de l’unité « Seva », décrite par plusieurs comme une unité de police parallèle. « Seva » aurait effectué des opérations pendant la guerre sur les territoires contrôlés alors par le gouvernement de Sarajevo.

Des médias ont rapporté que, durant la seconde moitié des années 90, des allégations concernant l’existence de l’unité « Seva » auraient même fait l’objet d’une enquête du TPI. Cette enquête serait reliée aux meurtres de personnes, qui en majorité n’étaient pas bosniaques, commis au cours de la guerre à Sarajevo.

Radovan Karadžić a donc demandé des documents portant sur Nedjad Herenda, un membre présumé de « Seva » et, selon certains, le chef du groupe. L’accusé a également demandé des documents concernant Nedžad Ugljen, membre à l’époque d’une unité des services de renseignements à Sarajevo, tué en 1996, et Edin Garaplija, lui aussi membre d’une unité de renseignements.

L’accusé souhaite accéder à des rapports d’enquête « rédigés par des civils appartenant à des instances judiciaires, ou par des personnels militaires » portant sur ces trois individus qui auraient travaillé pour l’unité « Seva ».

Les activités de « Seva », tout comme celles de Nedžad Ugljen, Nedjad Herenda et Edin Garaplija, ont effectivement fait l’objet de plusieurs enquêtes s’étalant sur plus de dix ans. En Bosnie, les projecteurs médiatiques sont d’ailleurs systématiquement braqués sur cette affaire dès qu’un fait nouveau est révélé.

Le Tribunal pénal international (TPI) a décidé d’organiser une conférence de mise en l’état le 15 février et invité sept pays à y dépêcher des représentants, dans le but de discuter des documents réclamés par l’accusé.
Ainsi, des représentants de la Bosnie, de l’Allemagne, de la France, de la Croatie, de l’Italie et des Pays-Bas devraient comparaître devant la Cour.

Radovan Karadžić a lui-même demandé au Tribunal d’inviter des responsables du Bureau du Haut représentant en Bosnie (OHR), car, selon l’accusé, l’OHR serait en mesure d’obliger le gouvernement bosnien à lui fournir ce qu’il cherche. Il semble cependant que le Tribunal ait rejeté sa requête.

Radovan Karadžić a, de plus, demandé à la Bosnie de lui transmettre « toutes les décisions de la Cour pénale fédérale de Bosnie-Herzégovine, concernant toutes les personnes portées disparues et les personnes déclarées décédées » pour la période allant de janvier 1992 à décembre 1995.

Il veut consulter aussi tous les certificats de décès émis dans les municipalités de Srebrenica, Bratunac, Vlasenica, Zvornik, Višegrad, Kladanj et Olovo.

En juillet 2009, Radovan Karadžić avait en effet annoncé son intention de démontrer que le massacre de Srebrenica était un mythe et que le nombre de personnes assassinées à cette occasion ne dépassait pas en réalité quelques centaines.

Rappelons que le procureur accuse Radovan Karadžić de génocide à Srebrenica. Environ 8.000 personnes ont été exécutées à cet endroit en juillet 1995.

L’accusé considère également pertinent pour sa défense de disposer de copies « de toute liste sur laquelle figure les noms des soldats tués et dont les pierres tombales ont été fabriquées par les entreprises de pompes funèbres de deux municipalités, en l’occurrence Gradska Groblja Visoko et Sokolica, à Tuzla ».

Concernant les documents que Radovan Karadžić réclame de la Croatie, ils sont surtout liés aux réunions qui auraient eu lieu entre des responsables américains et croates en 1994. Il voudrait examiner les procès verbaux de ces rencontres au cours desquelles, soupçonne-t-il, l’on discutait du transfert d’armes et de munitions en provenance d’Iran. Les armes seraient ensuite passées par la Croatie, avec l’approbation de Washington.

Il a demandé des documents semblables à l’Iran. Les fonctionnaires iraniens ont répondu en expliquant avoir besoin de temps afin de procéder aux recherches nécessaires dans leurs archives.

Radovan Karadžić a dit croire que l’Iran avait en main des documents prouvant « des violations de résolutions du Conseil de sécurité des Nations unies […], violations qui ont neutralisé toute solution politique et permis la poursuite de la guerre ».

L’accusé a en outre déposé plusieurs demandes de documentation au gouvernement des États-Unis. Mais la plupart de ses requêtes ont été rejetées.

Lors de la conférence de mise en l’état, le 28 janvier 2010, Radovan Karadžić a affirmé être convaincu que la France détenait elle aussi des documents d’une importance décisive.

« Je suis persuadé que la France a en sa possession des informations et des documents cruciaux au sujet de la crise en Bosnie-Herzégovine. »

Lundi 1er février 2010, Radovan Karadžić a présenté une nouvelle motion visant à retarder à nouveau son procès, qui a commencé en son absence en octobre 2009.

L’accusé insiste pour mener seul sa propre défense et se plaint de ne pas avoir assez de temps à sa disposition pour s’y préparer.


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29/12/2009

Karadzic parla alla stampa serba

Per la prima volta dopo gli anni della fuga l'ex leader serbo bosniaco rilascia un'intervista alla stampa serba


L'ultima volta che Radovan Karadzic aveva parlato con i media serbi, la Bosnia era ancora in fiamme, mentre tragicamente calava il sipario sull'ultimo grande conflitto in terra d'Europa. 
Dopo quasi quindici anni, l'ex leader della Repubblica Srpska ha affrontato con il quotidiano di Belgrado Vecernje Novosti gli anni della guerra e il controverso accordo verbale secondo cui l'allora inviato speciale Usa Richard Holbrooke gli avrebbe garantito l'immunità se avesse accettato di lasciare la vita pubblica sparendo dalla scena politica. Mentre Holbrooke, però, ha sempre negato l'esistenza di un tale accordo, Karadzic sostiene che la proposta venne fatta in presenza di almeno una decina di testimoni.


'Holbrooke sa che non sono un criminale'. 

Il quotidiano di Belgrado non ha specificato se l'intervista è avvenuta per telefono, attraverso uno scambio epistolare o se un inviato della testata si sia recato fisicamente nella cella del Tribunale dell'Aja dove Karadzic si trova dal luglio del 2008, in seguito alla sua cattura avvenuta a Belgrado. L'ex leader serbo bosniaco, che deve rispondere di 11 capi d'accusa tra cui due di genocidio, quando fu arrestato nella capitale serba si faceva chiamare Dragan Dabic e aveva fatto crescere una lunga barba bianca per meglio nascondere i lineamenti del suo volto. Stando alle sue parole, non avrebbe goduto di una rete di protezione che lo nascondesse dagli investigatori: "Il miglior nascondiglio - dice Karadzic - è stato l'essersi comportato da cittadino esemplare". Perché, a quanto pare, in 13 anni nessun ufficiale gli avrebbe mai chiesto le generalità. Andando nel merito degli anni della guerra, Karadzic difende il suo operato, dicendosi convinto che lo stesso Holbrooke non lo ha mai considerato un criminale: "Altrimenti non avrebbe mai accettato di trattare con noi in maniera così profonda e rispettosa". 


Una guerra che si poteva evitare. 

Radovan Karadzic ritiene che la guerra in Bosnia si sarebbe potuta evitare, se solo la Jugoslavia fosse rimasta in vita e se Alija Izetbegovic, il leader dei musulmani, "non avesse ceduto alle pressioni delle potenze occidentali e degli stati islamici". Ma poi, secondo Karadzic, i musulmani si sono determinati per una Bosnia indipendente dove i serbi sarebbero stati "soggiogati al loro potere". "Era inevitabile dunque - continua Karadzic - che noi ci difendessimo per garantire la nostra sopravvivenza".


Il processo all'Aja. 

D'obbligo un accenno al processo che lo vede protagonista nelle aule del Tribunale dell'Aja. Sin dall'inizio, Karadzic ha deciso di difendersi da solo, ma dopo le ripetute assenze alle udienze la Corte ha stabilito che gli fosse affiancato un avvocato d'ufficio, il britannico Richard Harvey. Karadzic, che ha fortemente contestato e ufficialmente impugnato tale decisione, sostiene che il processo sia l'ultima occasione perché si raggiunga la verità politica e storica di quegli anni. "Tutto il mondo vedrà che la verità è diametralmente opposta al quadro che è stato dipinto negli ultimi 15 anni", ha concluso l'ex leader serbo-bosniaco dall'interno della sua cella.


Vero o presunto che sia l'accordo con Holbrooke, non si può comunque ignorare il fatto che Karadzic abbia vissuto per 13 anni indisturbato nel cuore della Serbia, mentre l'altro ricercato, il generale Ratko Mladic è ancora un fantasma. Nel marzo scorso lo storico americano Charles Ingrao - che ha guidato una commissione di studio e di inchiesta sui fatti di Bosnia - aveva dichiarato a PeaceReporter che gli Stati Uniti, d'accordo con inglesi e francesi, hanno protetto a lungo i due fuggitivi. Sulla base di questi fatti - nel suo rapporto Ingrao sostiene che le forze speciali avrebbero avuto più di una volta i due criminali nel loro mirino - il professore della Purdue University ritiene veritiera la versione di Karadzic in merito all'immunità garantita da Holbrooke. Ma poi, evidentemente, le cose sono cambiate e, almeno per Karadzic, il salvacondotto "verbale" ha perso efficacia.


Nicola Sessa


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Neues Deutschland, 26.10.2009

Kriegsgräuel vor umstrittenem Gericht

Chefankläger erwartet zwei- bis dreijährige Verfahrensdauer

Von Hannes Hofbauer

Mehr als 13 Jahre nach der Veröffentlichung eines Haftbefehls und 15 Monate nach der Festnahme des Gesuchten beginnt in Den Haag der Prozess gegen Radovan Karadzic, den ehemals höchsten politischen Repräsentanten der Serbischen Republik in Bosnien-Herzegowina. Die Anklage lautet auf »Völkermord, Verbrechen gegen die Menschlichkeit und Kriegsverbrechen«.

Der heute 64-jährige Radovan Karadzic trat im Sommer 1990 an die Spitze der neuen Serbischen Demokratischen Partei (SDS), die rasch zur bestimmenden national-serbischen Kraft in Bosnien wurde. Eine mit deutscher Rückendeckung abgehaltene Volksabstimmung zur Abspaltung Bosnien-Herzegowinas vom jugoslawischen Staatsverband im Frühjahr 1992 wurde von den Serben in Bosnien, die ein Drittel der Bevölkerung ausmachten, boykottiert. Die SDS begriff die folgende bosnische Unabhängigkeitserklärung als politische Provokation. Der opferreichste Bürgerkrieg im zerfallenden Jugoslawien, in dem auf allen Seiten unvorstellbare Gräuel begangen wurden, hatte begonnen.

Nach Inkrafttreten des von der USA-Regierung betriebenen Vertrages von Dayton über die Neuordnung Bosnien-Herzegowinas trat Karadzic 1996 vom Vorsitz der SDS und vom Amt des Präsidenten der Serbischen Republik zurück, nachdem ihm der US-amerikanische Sondergesandte Richard Holbrooke angeblich Straffreiheit zugesichert hatte. Jahrelang lebte der studierte Psychiater, der sich auch als Poet betätigt hatte, trotz internationalen Haftbefehls unbehelligt in Pale nahe Sarajevo - bis sich nach 2001/02 der Druck erhöhte, seiner habhaft zu werden. Vor seiner Verhaftung am 21. Juli 2008 hatte Karadzic als Dr. Dragan Dabic mit geändertem Aussehen als Alternativmediziner in Neu-Belgrad gearbeitet.

Die jüngste, am 19. Oktober veröffentlichte Fassung der mehrfach geänderten Anklageschrift wirft der »höchsten zivilen und militärischen Autorität« der bosnischen Serben auf 40 Seiten Völkermord, Verbrechen gegen die Menschlichkeit und Kriegsverbrechen vor. 29 weitere Seiten listen einzelne Taten auf, wobei auffällig ist, dass die Anklage etwa ein Drittel der konkreten Vorwürfe - für alle sichtbar - gestrichen hat. Vermutlich um den Prozess zeitlich nicht ausufern zu lassen.

In Punkt 9 wird Karadzic beispielsweise vorgeworfen, zwischen Oktober 1991 und November 1995 »ethnische Säuberungen an Muslimen und Kroaten in den von Serben beanspruchten Gebieten« verantwortet zu haben. Ebenso wird ihm Verantwortung für die Massaker nach der Eroberung Srebrenicas durch bosnisch-serbische Truppen im Juli 1995, für Kriegsverbrechen an der Zivilbevölkerung Sarajevos zwischen April 1992 und November 1995 und für die Geiselnahme unter UN-Angehörigen im Mai und Juni 1995 zur Last gelegt. Punkt 11 stellt den Angeklagten als Teilnehmer einer serbischen Verschwörung in eine Reihe mit Slobodan Milosevic (ehemals Präsident Jugoslawiens), dem Milizenführer Zeljko Raznatovic (Arkan), dem serbisch-bosnischen Armeechef Ratko Mladic, oder Vojislav Seselj, Chef der Serbischen Radikalen Partei.

Der Tatbestand des »gemeinschaftlichen kriminellen Unternehmens« durchzieht wie ein roter Faden die gesamte Rechtsprechung des Tribunals. Heftige politische Differenzen zwischen republikanisch-jugoslawischen und monarchistisch-nationalen Positionen, wie sie beispielsweise zwischen Milosevic und Karadzic bestanden, werden von der Anklage durch Verschwörungskonstruktionen glattgebügelt. Die konsequente Weigerung von Anklägern und Richtern, die bosnische Katastrophe als Bürgerkrieg fanatisierter Nationalisten und Fundamentalisten zu betrachten, hat schon in der Vergangenheit zu Schauprozessen geführt, die sich mehrheitlich gegen die »serbische Aggression« gewandt haben. Slobodan Milosevic fiel im Wortsinn einem solchen Schauprozess zum Opfer: Er starb 2006 vor Abschluss seines Verfahrens in der Gefängniszelle. Vojislav Seselj wird seit über sechs Jahren ohne nennenswerte Erfolge der Anklage in Den Haag festgehalten.

Einen fairen Prozess erwartet auch Karadzic nicht. Die von ihm behauptete politische Absprache mit den USA und Richard Holbrooke, nach der er bei Wohlverhalten keine juristische Verfolgung zu fürchten brauche, wurde von Holbrooke in Abrede gestellt und vom Gericht für irrelevant erklärt. Inwieweit Karadzic dies und andere Faktoren benutzen wird, um auf den politischen Charakter des Prozesses aufmerksam zu machen, werden die kommenden Monate zeigen - wenn er sich denn dem Tribunal stellt. »Sobald ich dazu bereit bin«, schrieb er vergangene Woche, »werde ich das Gericht und die Anklage mit einigen Wochen Vorlaufzeit informieren.«

Chefankläger Serge Brammertz hat vor der Presse eine Verfahrensdauer von zwei bis drei Jahren angekündigt. Allein die Anklage meldete 409 Zeugen an. Auch der berühmt-berüchtigte »Kronzeuge« Drazen Erdemovic dürfte bei der Einschätzung der Massaker von Srebrenica wieder zum Einsatz kommen und für kritische Beobachter deutlich machen, wie sehr das Tribunal im Dienste der führenden westlichen Staaten steht. Deren militärische Allianz, die NATO, flog 1994 erstmals in ihrer Geschichte einen Einsatz »out of area« - gegen die bosnischen Serben, denen Radovan Karadzic in jenen Kriegstagen vorstand.


Zahlen und Fakten

Vor dem Tribunal in Den Haag

Der Internationale Strafgerichtshof für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) wurde 1993 auf Beschluss des UN-Sicherheitsrats gebildet, um schwere Verbrechen während der Konflikte auf dem Balkan in den 90er Jahren zu ahnden. Das Tribunal weigerte sich jedoch, in Sachen NATO-Aggression gegen die Bundesrepublik Jugoslawien (1999) tätig zu werden.

Seit Gründung des ICTY wurden 161 Personen angeklagt, die weitaus größte Zahl davon sind Serben und bosnische Serben. Dass dies dem Kriegsgeschehen nicht gerecht wird, gibt selbst die frühere Chefanklägerin Carla del Ponte indirekt zu, wenn sie in ihrem Buch »Im Namen der Anklage« etwa die skandalöse Behinderung von Ermittlungen gegen Führer der kosovo-albanischen UCK durch die UN-Mission in Kosovo beklagt.

Die Verfahren gegen 120 Angeklagte sind abgeschlossen: 11 wurden freigesprochen, 60 verurteilt, 13 an nationale Gerichte überstellt, in 20 Fällen wurde die Anklage zurückgezogen, 10 Angeklagte starben vor der Auslieferung ans Tribunal, 6 danach - darunter Slobodan Milosevic.

Verfahren gegen weitere 37 Angeklagte sind noch anhängig, das gegen Karadzic soll am heutigen Montag eröffnet werden, der Prozess gegen den bosnischen Serben Zdravko Tolimir beginnt voraussichtlich im Dezember. Zwei Angeklagte sind nach wie vor flüchtig: der bosnisch-serbische Armeechef Ratko Mladic und Goran Hadzic, ehemaliger Chef der Republik Serbische Krajina in Kroatien.

Die zu elf Jahren Haft verurteilte Amtsnachfolgerin von Radovan Karadzic, Biljana Plavsic, wird am Dienstag übrigens nach Verbüßung von zwei Dritteln ihrer Strafe wegen »guter Führung« aus ihrem schwedischen Gefängnis entlassen. Plavsic hatte sich dem Tribunal gestellt und sich der Verbrechen gegen die Menschlichkeit schuldig bekannt, worauf das Gericht alle anderen Anklagepunkte gegen sie fallen ließ, darunter den des Völkermords. In der Anklage gegen Karadzic figuriert sie jedoch weiterhin als Teilnehmerin jenes »gemeinschaftlichen kriminellen Unternehmens«, dem eben solcher Völkermord vorgeworfen wird. ND/-ries


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junge Welt, 26.10.2009

Der programmierte Bürgerkrieg

Die Kämpfe im multiethnischen Bosnien-Herzegowina begannen, als der Westen die Abspaltung von Jugoslawien anerkannte

Von Gerd Schumann

Der Niedergang Jugoslawiens, an dessen Ende die Zerschlagung des Vielvölkerstaats stand, machten Radovan Karadzic zum Politiker. Er scheiterte - wie das Land - tragisch. Und nicht nur das: In führender Position der bosnischen Serben stehend spielte er, wie seine direkten Gegenspieler auf muslimischer und kroatischer Seite, eine zentrale Rolle in einem der fürchterlichsten Bürgerkriege der jüngeren Zeit. Die zwischen 1992 und 1995 geführten erbitterten Kämpfe zwischen den bis dato in Bosnien-Herzegowina friedlich zusammenlebenden Ethnien gingen mit dem Wortungeheuer »ethnische Säuberungen« in die Geschichte ein.

Der Serbe Karadzic, 1945 in Montenegro geboren, sah sich berufen, die Interessen seiner Landsleute in Bos nien-Herzegowina zu vertreten. Von Haus aus ist Karadzic Doktor der Medizin, späteres Fachgebiet Psychiatrie, der unter anderem ein Jahr an der Columbia-Universität in New York studiert und sich später auch als Kinderbuchautor einen Namen gemacht hatte. Mitte 1990 übernahm er den Parteivorsitz der kurz zuvor gegründeten Serbischen Demokratischen Partei (SDS). Damals deutete sich überdeutlich der Zerfall der multiethnischen jugoslawischen Teilrepublik an, dem ein gigantischer sozialer Abstieg des ganzen Landes vorausgegangen war. Die Massenarmut entstand, nachdem Weltbank und Währungsfonds dem verschuldeten Jugoslawien Daumenschrauben angelegt hatten. Löhne und Gehälter schrumpften um bis zu 80 Prozent.

Die Suche nach Sündenböcken hatte in Bosnien-Herzegowina besonders drastische Konsequenzen. Mit der Bildung nationalistischer Parteien etablierte sich eine Politik des chauvinistischen Hasses, rasend schnell entstand eine Konfrontation der Ethnien: die bosnischen Muslime stellten gut 40 Prozent der Gesamtbevölkerung, die Serben 30 und die Kroaten knapp 20 Prozent. Es bildeten sich Parteien auf ausschließlich ethnischer Basis - die muslimische Partei der Demokratischen Aktion (SDA), die kroatische HDZ (Kroatische Demokratische Aktion) und zuletzt die SDS (Serbische Demokratische Partei). Jede betrieb eine streng ethnisch ausgerichtete Klientelpolitik, keine verfügte über ein politisches Programm, die Interessengegensätze erwiesen sich als antagonistisch.

Die SDA von Alija Izetbegovic, der im sozialistischen Jugoslawien wegen Gründungsversuchen eines islamischen Staats mehrfach zu Gefängnisstrafen verurteilt worden war, orientierte auf eine Unabhängigkeit mit Anbindung sowohl an islamische Staaten als auch des westeuropäischen Kapitalismus. Die von HDZ favorisierte einen Anschluß der kroatisch-bosnischen Region um Mostar an Kroatien. Zwischen HDZ und SDA gab es vor allem wegen der strikt antijugoslawisch ausgerichteten Politik, aber auch wegen der EU-Ausrichtung wichtige Berührungspunkte, die zur bis heute existenten Bildung einer Konföderation in Zentral- und Südbosnien führte. Lediglich die serbische SDS - und die Nachfolgepartei des Bundes der Kommunisten - verfolgten zunächst eine am Erhalt Jugoslawiens und auch Bosnien-Herzegowinas gebundene Politik.

Sie standen damit auch der vielerseits angestrebten Zerschlagung Jugoslawiens im Wege: Gefördert von gewichtigen Kräften im Westen - BRD und Vatikan vorweg - sagten sich Slowenien und Kroatien im Juni 1991 von Belgrad los, Zagreb führte einen Separationskrieg in seinen mehrheitlich serbisch besiedelten Gebieten, vor allem in der Krajina und in Slawonien. Zehntausende starben, Hunderttausende flüchteten.

Karadzic warnte seinerzeit vor einer innerbosnischen Konfrontation. Ein Gegeneinander, so Karadic, hätte fürchterliche Folgen. Und er argumentierte gegen die absehbare Zersplitterung und gegen eine Loslösung von Jugoslawien: »Es gibt drei total gleichberechtigte Nationen. Niemand kann für den anderen entscheiden«, meinte der damals 45jährige und erinnerte an das bis dahin geltende Konsens prinzip. »Angenommen, hier am Tisch sitzen drei gleichberechtigte Leute zusammen un

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Tania Karbova <vitamia1 @ gmail.com>
Data: 17 giugno 2010 1:35:33 GMT+02:00
A: Coordinamento nazionale per la Jugoslavia 
Oggetto: serata bulgara a Milano

Una serata bulgara, spettacolo teatrale con tanta musica balcanica.

Info in allegato.

Tania Karbova
Presidente A.B.I.L. - Associazione culturale dei bulgari in Lombardia



con il patrocinio                              Comune di Milano                       Teatro San Cipriano
Diocesi di Milano
Servizio Migranti                                                  Associazione Bulgari in Lombardia
                                                                 con il Patrocinio del Consolato di Bulgaria


sono lieti di invitare la S.V.  alla 105° serata di

Parole e Musiche d’oltre confine
a cura di Laura Moruzzi

sabato 26 giugno 2010 - ore 20.45
Teatro San Cipriano – Milano

Via Carlo D’Adda 31, (ang. Viale Cassala)
20143 Milano
Tel. 02 894 00 363        e-mail : sancip@...      www.sancipriano.it

Interverranno con un saluto:
Mariolina Moioli Assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali
del Comune di Milano
don Luciano Sala Responsabile Teatro San Cipriano

Seguirà nella serata
ore 20.00 Animazione per bambini
ore 20.45 “Il Viaggiatore Balcanico”- Spettacolo del Teatro Statale “Ivan Dimov” della città di Haskovo
Testo di Yanko Mitev
Regia di Sabi Sabev
Scenografia di Tomiana Tomova - Natcheva
Pupazzi di Tanya Ganeva
Musica popolare scelta da Vesselin Koytchev
Attori: Silvya Predova, 1° Premio migliore attrice Festival Int. in Galats, Romania
           Yanko Mitev
Tutti professionisti, allievi Accademia Teatrale di Sofia, famosa e apprezzata nel mondo.

al termine brindisi con prodotti bulgari

INGRESSO LIBERO - FREE ENTRY