Informazione

VLADE DIVAC FOR PRESIDENT !

Ai quarti di finale del Campionato Mondiale di Pallacanestro, ad
Indianapolis, la RF di Jugoslavia ha battutto gli USA con il punteggio
di 81:78. A Belgrado era l'alba, eppure decine di migliaia di persone
sono scese nelle strade a festeggiare.

http://espn.go.com/nba/news/2002/0905/1427913.html#

Thursday, September 5
Updated: September 6, 10:44 AM ET

Americans won't medal, best possible finish fifth

Associated Press
INDIANAPOLIS -- Peja Stojakovic, Vlade Divac and the Yugoslavian team
danced, hugged and celebrated at the center of Conseco Fieldhouse. More
than 1,000 of their flag-waving, chanting supporters serenaded them with
cheers and applause.
Pulling off one of the biggest victories in its history, Yugoslavia
defeated the United States 81-78 Thursday night in the quarterfinals of
the World Championships.
The Yugoslavs weren't the first to beat a U.S. team of NBA players --
the Americans lost 87-80 to Argentina a night earlier -- but that really
didn't matter.
Yugoslavia had been looking forward to playing the U.S. team for months,
and the manner in which they won validated all their hard work and bold
talk.
"You can't imagine how happy my people are. They feel so good right
now,'' Stojakovic said. "They've been up at 3 a.m., getting out of bed
and watching this thing. They love this. We wanted to win for them.''
In Belgrade, Yugoslavs fired shots into the air and danced and sang to
celebrate their team's victory.
"Vlade Divac for President,'' fans in the streets of the capital
shouted. Serbia has presidential elections later this month.
Several thousand people celebrated the victory at a downtown square. The
fans took to the streets in cars and on foot, honking horns and setting
off firecrackers. In New Belgrade, residents set off fireworks and lit
flares.
Yugoslavia fought back from a 10-point deficit in the fourth quarter to
send the U.S. team to yet another loss.
The semifinals of this topsy-turvy tournament will be played Saturday,
and the American team will not be participating.
The best the U.S. team can do now is finish in fifth place.
"It's embarrassing, on our home turf,'' Miller said. "We have to walk
away from it as a learning experience.''
Yugoslavia advanced to a semifinal matchup with New Zealand, which
surprised Puerto Rico 65-63. Also in contention for the gold medal are
Germany, which defeated Spain 70-62, and Argentina, a 78-67 victor over
Brazil.
The Americans will play in the consolation round against Puerto Rico on
Friday night.
Losing for a second straight night was devastating to the Americans.
George Karl sighed as he dug his fingers into his forehead, struggling
to find the correct words to express his disappointment. Next to him sat
Michael Finley, his chin resting on his fist and his eyes barely open.
"You're seeing the rest of the world playing better basketball, special
basketball. I'm not sure it's the end of an era so much as it's a
celebration of basketball,'' Karl said.
Stojakovic, one of five NBA players on Yugoslavia's roster, scored 20
points. Vlade Divac added 16 -- all in the first half -- and Milan
Gurovic had 15.
Gurovic hit his third 3-pointer of the fourth quarter to give Yugoslavia
a 77-73 lead with 56 seconds left, capping an 18-4 run.
Andre Miller answered with a 3-pointer 18 seconds later, and Marko Jaric
sank two free throws with 23 seconds left to restore a three-point lead.
Reggie Miller got open underneath for a layup with 13 seconds left, and
the Americans quickly fouled Jaric. He sank both, and the Americans --
out of timeouts -- were forced to try to tie it from behind the 3-point
arc.
Andre Miller's long attempt came up short.
"This is a great victory for us,'' said Divac, who stated a week ago his
team knew it could beat the United States. "It's not fair for the U.S.
team because there is so much pressure on them, and the international
game is a different game than they're used to.''
The Yugoslavian players hugged, kissed and high-fived their supporters
for almost an hour after the game; the Americans left the arena in
shock.
"It's so brand new, we'll have to evaluate what we'll do for '04,'' USA
Basketball executive director Jim Tooley said. "We'll go qualify (for
the Olympics) next year and think about what our next move is.''

PIOVE, GOVERNO LADRO

Sabato 31 agosto 2002 sul quotidiano "Liberazione" appare un articolo
sulle terribili alluvioni in Cina, nel quale la colpa dei disastri
viene attribuita al governo cinese, colpevole di "minimizzare" sulla
situazione... Più avanti "Liberazione" si contraddice sostenendo che
il governo cinese ha schierato militari, civili e "paramilitari" -
proprio così vengono chiamati i volontari della Protezione Civile!
Il quotidiano ufficiale del PRC, impegnato nella battaglia interna
contro gli elementi ancora comunisti presenti nel partito, per eccesso
di zelo parla male della Cina pure quando piove - cosa che non farebbe
nemmeno quando ci sono i tifoni negli USA, di dare la colpa al
governo! Ciononostante, lo splendido esempio del popolo cinese,
schierato in squadre di centinaia di migliaia di persone a difesa del
territorio, grazie alla organizzazione del partito e delle istituzioni
nazionali preposte, difficilmente potrebbe essere seguito in paesi
come il nostro, dove predominano l'individualismo e l'egocentrismo e
la vita umana vale proporzionalmente al premio di assicurazione, o
come quelli capitalistici del Terzo Mondo, nei quali la vita umana
vale zero.

(riadattato da una segnalazione di A.M.)

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20020806134532299263.html

KOSOVO: VOLONTARI TRENTINI FONDANO GRUPPO ALPINISTICO

(ANSA) - TRENTO, 6 AGO - Recuperare un clima di
pace anche attraverso la promozione di attivita'
di cui ormai si era quasi persa la memoria: e' con
questo obiettivo che il ''Tavolo trentino con il
Kosovo'' ha favorito la nascita di un Club
alpinistico, i 'Ragni della val Rugova', a Pec-Peja,
nella zona occidentale del paese. Il progetto e' unico
in tutti i Balcani. E' nato per promuovere sia
l'aggregazione sia la tutela ambientale, e vede
25 ragazzi ritrovarsi piu' volte alla settimana
per allenarsi. Il fine settimana e' poi interamente
dedicato alle uscite in Val Rugova.
Il gruppo si e' gia' dato un nome: ''Marimangat'',
i ragni. ''Ma non abbiamo copiato i piu' famosi 'Ragni
di Lecco' - spiegano i ragazzi - il nome e' nato
spontaneamente da una discussione interna al gruppo''.
L'ambizione del progetto non e' solo di creare un
gruppo di alpinisti che poi possa essere primo garante
della salvaguardia della Val Rugova (questo anche
grazie ad uno sforzo per far conoscere alla cittadinanza
le attivita' dei 'Ragni' ed aprire questa esperienza al
maggior numero di persone possibile) ma intende
anche di favorire l'apertura di un dialogo tra i
vari gruppi etnici. Si sta cercando infatti di fare
in modo che ragazzi di tutti i gruppi etnici (serbo,
rom, albanese) possano prendere parte alle attivita'
del Club alpino.
''Attraverso la passione per la montagna si
inizia a parlare di problemi ambientali e non
solo'', racconta Mauro Barisone, rappresentante a
Pec/Peja del Tavolo e promotore del progetto.
''Inoltre avvicinare piu' giovani possibile alla
pratica sportiva e al contatto con la natura li
stimola e aiuta ad uscire dai soliti problemi
quotidiani. In un paese dove praticamente non
esistono gruppi che fanno e propongono delle
iniziative anche sociali - continua -, andare in
montagna insieme, progettare e proporre delle
iniziative, lavorare e decidere in gruppo, essere
legati su di una parete di roccia insieme,
responsabilizza l'individuo e fa comprendere
che con il lavoro di squadra si possono ottenere
grossi risultati''. ''E' particolare, ad esempio -
spiega Mauro Barisone - come alcuni dei ragazzi
con i quali lavoriamo si siano dimostrati molto
attenti a problemi bellici o post bellici al di
fuori del Kossovo: il conflitto in Pakistan-India,
in Tibet, in Afghanistan, in Sierra Leone. Forse
provare ad analizzare una situazione di crisi lontana
da loro (e quindi che non li coinvolga cosi'
intensamente dal punto di vista emotivo), ma
simile a quella in Kossovo, potrebbe aiutarli a
capire meglio anche la realta' che stanno
vivendo''. Sono molte le attivita' previste per i
prossimi mesi. E' gia' iniziato un corso di primo
soccorso tenuto dal personale dell'Ospedale
civile di Pec/Peja. E poi sono previsti brevi corsi
formativi di meteorologia, preparazione atletica,
tutela ambientale e naturalmente tutto cio' che e'
direttamente legato all'alpinismo: progressione su
roccia, tecniche generali di sicurezza in montagna,
tecniche di attrezzatura e disgaggio di pareti
rocciose, ecc. Questa prima fase formativa verra'
realizzata interamente attraverso la collaborazione
di associazioni, enti e professionisti locali ed
internazionali del settore alpinistico reperibili
in loco. ''Sono sicuro che vedere un gruppo di ragazzi
albanesi, rom e serbi promuovere e realizzare insieme
iniziative volte al miglioramento delle condizioni
generali della zona avra' un impatto notevole e
positivo sulla popolazione locale '' - ribadisce
Mauro, aggiungendo che tra qualche mese ''il miglioramento
della situazione ambientale della Val Rugova sara'
gia' visibile e documentabile''. Di Pec-Peja si
ricordano le immagini trasmesse in Italia mentre vi
entravano i militari italiani poco dopo la firma
degli Accordi di Kumanovo. Le strade ingombre di
macerie, la maggior parte delle case distrutte o
severamente danneggiate. Anche il paesaggio attorno
era pesantemente segnato dalla guerra. Eppure il
paesaggio attorno alla citta', benche' deturpato
dalla guerra e da anni di incuria, e' bello. Come
la Val Rugova, la valle che s'incunea nel massiccio
montuoso che separa il Kossovo dal Montenegro e alla
cui entrata vi e' ancora, intatto e difeso dai
militari della Kfor, uno dei patrimoni artistici
piu' rilevanti della cristianita' ortodossa, il
Patriarcato di Pec/Peja. Si tratta di una valle
ricca di corsi d' acqua, foreste, montagne, pareti
rocciose, flora e fauna particolari. La grande affluenza
nella valle, la mancanza di educazione ambientale,
la forte deforestazione stanno rovinando questo
patrimonio naturale unico.
Esiste un ente forestale ed e' in progetto l'istituzione
di un parco naturale. Tutto pero' rimane per ora a
livello teorico. La prima azione e' quella dei
''Marimangat''. (ANSA). DEC 06/08/2002 13:45

Immigrazione serba a Trieste

La testimonianza di tre lavoratori
di Renato Kneipp
Segretario Fillea-Cgil di Trieste

(da "L' Ernesto", numero 5/2000)

Dalla caduta del Muro di Berlino sono passati oltre dieci anni e i più
ricorderanno a malapena che Trieste confinava con un Paese, la
Jugoslavia, non allineato e non facente parte del Patto di Varsavia,
un Paese considerato comunista. Ciò comportò non pochi problemi e
momenti di forti tensioni in queste terre di confine; tuttavia, con il
passare degli anni, pur in presenza di grosse difficoltà nei rapporti
politici tra i due paesi confinanti, gli interscambi economici
cominciarono ad intensificarsi e a radicarsi in diversi settori. Tutto
ciò fu merito anche dell'impegno dei cittadini italiani appartenenti
alla minoranza slovena, che da sempre vivono nella nostra città e che
hanno saputo con grande intelligenza avviare in modo corretto questo
rapporto di reciproca convenienza ed utilità.
In questa prima fase furono le aziende di "import-export" ad essere le
apri- pista di tali scambi, che permisero di superare una barriera
confinaria (più mentale che fisica) che fino ad allora sembrava
insormontabile. Non tutto però fu così facile, anche perché le forze
reazionarie, nazionaliste e fasciste presenti massicciamente a
Trieste, si erano da sempre contraddistinte nell'opporsi a qualsiasi
tipo di apertura e di collaborazione con la Jugoslavia.
Ma la carenza di determinate figure professionali, aprì la porta a
centinaia di cittadini jugoslavi, provenienti dalla fascia confinaria
che in virtù degli "Accordi di Udine" attraversavano giornalmente il
confine tra i due stati, esibendo semplicemente il famoso e tuttora
esistente "lascipassare", che riconosce pari diritti anche ai
cittadini italiani. In tal modo centinaia e poi migliaia di donne e di
uomini attraversarono il confine per venire in Italia a cercare
lavoro. In particolare, le donne trovarono occupazione presso le
famiglie come collaboratrici domestiche o come commesse nei negozi
triestini, data la conoscenza di almeno due lingue, requisito
indispensabile per lavorare in una zona di confine, dove la clientela
proveniente dall'estero raramente conosce l'italiano. Gli uomini
furono inseriti in quei comparti dove maggiore era la fatica fisica,
come l'edilizia.
In quella fase vi fu un miglioramento delle condizioni economiche
generali, che non riguardava solo i paesi occidentali, ma anche i
paesi dell'est europeo e le Repubbliche della Jugoslavia più vicine al
nostro confine, ove iniziò a manifestarsi il problema della carenza di
manodopera, problema al quale si cercò di dare risposta facendo
affluire i lavoratori dalle realtà più povere della Jugoslavia. Tale
politica portò in queste terre di confine centinaia di lavoratori
serbi, montenegrini, bosniaci e macedoni, parte dei quali gradualmente
iniziò ad entrare in Italia, dove si poteva guadagnare di più. Da
allora il numero di questi lavoratori è costantemente aumentato,
portando Trieste ad essere, nel contesto italiano, una delle realtà
con la percentuale più alta di stranieri rispetto alla popolazione
residente. Attualmente la stragrande maggioranza degli immigrati
proviene dalla Jugoslavia, ovvero dalla Serbia e più precisamente
dalla zona di Pozarevac, nota in quanto città natia dell'ex presidente
Jugoslavo Slobodan Milosevic. Quasi tutti sono in possesso di un
regolare permesso di soggiorno, che permette loro di poter lavorare in
regola sotto il profilo assicurativo. Però, come del resto succede
anche a molti nostri connazionali, non tutti riescono a trovare un
lavoro regolare, pertanto sono spesso costretti ad accettare lavori in
nero e sottopagati. Per capire cosa significa per l'economia triestina
l'apporto di questi lavoratori è sufficiente evidenziare che, ormai,
oltre la metà degli occupati nel settore delle costruzioni sono
stranieri.
Una discreta parte di questi si è pienamente integrata nella vita
sociale della città: oltre il lavoro, frequentano associazioni e
circoli culturali, mandando i figli nelle scuole di ogni ordine e
grado, iscrivendoli nelle varie società sportive. Ma al di la di
questi casi "felici", tanti sono i problemi che comunque tutti gli
stranieri devono affrontare. Senza considerare l'aspetto burocratico
per ottenere - rinnovare il permesso di soggiorno, o i vari documenti
da dover esibire per avere diritto all'assistenza medica, la questione
più critica è rappresentata dalla ricerca di una casa. Oggi un
appartamento decente, ad un prezzo onesto, è quasi impossibile
trovarlo e questo ha costretto i cittadini stranieri e le loro
famiglie a doversi accontentare di alloggi spesso del tutto
inabitabili. Non a caso agli stranieri che risiedono in città vengono
offerti quei vani dove gli italiani non vogliono più abitare, in cui i
servizi spesso sono in comune, dove spesso vi è un solo rubinetto con
la sola acqua fredda, oppure vengono affittate soffitte, cantine o
magazzini trasformati abusivamente in alloggi ma per i quali si pagano
prezzi spropositati Si sta verificando lo stesso fenomeno degli anni
'60 e '70 nelle grandi città del nord industrializzato, quando gli
immigrati che provenivano dal sud Italia non riuscivano a trovare
delle sistemazioni civili. Il fatto che i mariti ed i padri abbiano
portato in Italia mogli e figli, ha contribuito a favorire quella
integrazione di cui sopra parlavamo. Ormai alcuni immigrati sono nella
nostra città da quasi trent'anni, ed erano arrivati quando a governare
la Jugoslavia c'era il Maresciallo Josip Broz Tito e non esistevano
assolutamente tensioni di alcuna natura tra le popolazioni delle varie
Repubbliche che formavano quel Paese. Altri sono arrivati dopo la
morte di Tito, quando purtroppo la Jugoslavia incominciò a
sgretolarsi; gli ultimi sono giunti quando la loro terra veniva
bombardata dagli aerei della Nato che dalle nostre basi partivano alla
volta di Belgrado, di Kragujevac, di Pancevo o di Novi Sad, portando
distruzione e morte. Pertanto ho ritenuto opportuno ed utile sentire
tre lavoratori serbi, che sono giunti a Trieste in tre distinte fasi,
ed attraverso le loro testimonianze capire che cosa li ha spinti a
venire in Italia, quali siano stati i maggiori problemi che hanno
dovuto affrontare e cosa ne pensano della loro condizione di immigrati
in Italia.


L'incontro con i lavoratori serbi


Per fare ciò, mi sono recato al "Club associazione culturale serba Vuk
Karadzic", luogo fondato ed autogestito da un gruppo di lavoratori
serbi, i quali hanno in questo modo dato la possibilità a tanti loro
connazionali di potersi ritrovare in una sala e non per strada o in
una piazza, potendo magari bere un caffè alla turca, giocando una
partita a scacchi o a domino e guardando (grazie all'antenna
satellitare) la televisione jugoslava e sentirsi un po' come a casa.
Particolari e drammatiche furono quelle serate segnate dagli attacchi
aerei della Nato contro la Jugoslavia. Alle 19.30, ora del
telegiornale di Belgrado, il Club si riempiva di gente che in profondo
silenzio e con il cuore in gola aspettava di sapere dove erano cadute
le ultime bombe o i missili e quali danni avevano provocato. Le
immagini che arrivavano via satellite erano come un pugno nello
stomaco per tutti, ma per loro che si trovavano a centinaia di
chilometri di distanza dalla propria martoriata terra e che con
difficoltà riuscivano a malapena a mettersi in contatto telefonico con
le proprie famiglie, quella esperienza fu una cosa veramente
traumatica. Diversi decisero di rientrare in Jugoslavia, perdendo in
alcuni casi anche il lavoro, altri portarono in Italia la famiglia,
altri parteciparono assieme a noi alle innumerevoli manifestazioni
contro la vile aggressione della Nato.
Ed è proprio qui, in questo luogo, che incontro i nostri tre
interlocutori, che con grande disponibilità hanno accettato di fare
quattro chiacchiere con noi. Dopo aver ordinato un caffè alla turca,
accompagnato da un tipico dolce, il ratlog, inizia la conversazione
con Zile, Zivorad e Dejan.

Il racconto di Zile


Zile racconta che ormai sono passati 25 anni da quando è arrivato a
Trieste e che oggi può ritenersi abbastanza soddisfatto di come sta
vivendo nella nostra città. Ma prima di arrivare qui, appena finito il
servizio militare, aveva avuto una breve esperienza nella "democratica
Austria", dove trovò lavoro in una piccola fabbrica che produceva
pezzi di ricambio in gomma per automobili. Una notte, nella casa dove
assieme ad altri dormiva, irruppe la polizia che, dopo aver
identificato i presenti, rinchiuse in carcere tutti coloro che erano
sprovvisti di un regolare permesso e Zile tra questi. Comunque fu
"fortunato", visto che dopo una "sola" settimana, assieme ad altri
cinquanta, fu rimpatriato alla volta della Jugoslavia. Meno fortunati
furono quelli che dovettero aspettare anche un mese in galera, prima
di essere rispediti nel loro paese.
Dopo questa non certo felice esperienza, Zile ritentò nuovamente ed
arrivato a Trieste, nel tempo di alcune settimane, riuscì a trovare
lavoro presso l'impresa dove tuttora svolge la propria attività.
All'epoca tutta la documentazione e le relative autorizzazioni del
Ministero, indispensabili per l'ottenimento del permesso di soggiorno
per motivi di lavoro, le procurava l'impresa stessa e al lavoratore
non rimaneva altro che recarsi al Consolato italiano di
Koper-Capodistria, dove gli veniva rilasciato il visto. Inizialmente
la sistemazione alloggiativa gli fu garantita dal datore di lavoro,
che gli mise a disposizione una baracca (attrezzata) dove visse per
oltre tre anni.
Successivamente, una volta arrivata la moglie, affittò una stanza di
un appartamento nel quale, in spazi ristretti, vivevano assieme
quattro famiglie, le quali avevano a disposizione un unico gabinetto
ed una unica cucina, dove il padrone di casa controllava che l'uso del
gas fosse limitato. Anche l'intimità coniugale veniva in tal modo
limitata e ciò contribuì ad accelerare la ricerca di una sistemazione
più consona alle giuste esigenze di una famiglia. Poi, passando da una
finita locazione ad uno sgombero forzato causa l'inabitabilità di una
casa pericolante e ad uno sfratto esecutivo, Zile e sua moglie
trovarono, grazie anche all'interessamento del datore di lavoro di
quest'ultima, un appartamento che finalmente offrì quelle
caratteristiche abitative e contrattuali che da tempo cercavano.
Zile ricorda di essere stato tra i primi o addirittura il primo
lavoratore jugoslavo ad aver superato a Trieste l'esame per la patente
di guida italiana, il che gli permise di acquistare la sua prima
automobile, di seconda mano. Zile però si contraddistinse da subito
anche sul versante sindacale, pretendendo il rispetto dei propri
diritti di lavoratore. Innanzitutto chiarì con l'impresa che gli
straordinari dovevano essere fatti solo in casi specifici e non come
un normale prolungamento dell'orario di lavoro o addirittura come un
obbligo. Pertanto rifiutò in tal senso di lavorare tutti i sabati,
come era ormai diventata abitudine consolidata in azienda. Il suo
esempio fu a questo punto ripreso anche da altri compagni di lavoro,
che presero grazie a lui maggior coraggio nel far valere diritti
troppo spesso dimenticati.
Per quanto concerne i rapporti tra lavoratori italiani e stranieri
egli stesso conferma che raramente ci sono stati dei problemi e
comunque quasi mai derivanti dal loro status di stranieri. Anzi il
fatto di aver da sempre lavorato gomito a gomito, ha notevolmente
contribuito alla reciproca conoscenza ed al superamento delle
diffidenze iniziali.

Il racconto di Zivorad


Zivorad inizia ricordando che nel paesino dal quale è partito per
cercare maggiore fortuna in Italia, l'unica fonte di reddito era ed è
ancora oggi l'agricoltura e l'allevamento di bestiame(bovini e suini).
Già suo padre emigrò in Svezia dove lavorò per ben 28 anni e anche
lui, sebbene a malincuore, dovette, dieci anni fa, fare le valige e
partire. Essendo riservista dell'esercito jugoslavo, quando iniziarono
gli scontri tra serbi e croati, volle in tutti i modi evitare di dover
combattere contro chi fino a ieri gli era stato amico e fratello.
Ancora oggi non riesce a dare un senso al disfacimento della
Jugoslavia e alle migliaia di morti che hanno insanguinato un Paese
dove la fratellanza tra popoli diversi per nazionalità, religione,
lingua o per tradizioni, avevano trovato nella convivenza e nel
reciproco arricchimento culturale la migliore risposta alle divisioni.
All'epoca Zivorad, attraverso un familiare che viveva a Trieste,
ottenne un permesso di soggiorno turistico che gli dette modo, uno
volta arrivato a Trieste, di chiedere di rimanere in Italia per motivi
"umanitari". Da prima fu ospitato presso questo parente e
successivamente, dopo aver trovato un lavoro in regola, si sistemò in
un appartamento non certo di lusso, situato in un palazzo dove
risiedono esclusivamente cittadini non italiani. In Jugoslavia ha
lasciato la moglie, due figlie e l'anziana madre, che quando il lavoro
glielo permette va a trovare, dovendosi sobbarcare oltre 1200 km
all'andata ed altrettanti al ritorno. Prima che il suo Paese venisse
smembrato bastava farne 800 di km per arrivare a casa, ora però deve
attraversare prima l'Austria, poi l'Ungheria per arrivare in
Jugoslavia, anche perché per passare dalla Slovenia e dalla Croazia,
come si faceva una volta, bisogna ottenere dei visti di transito molto
onerosi (e le pratiche per ottenerli sono alquanto lunghe e
complicate). Anche lui vorrebbe ricongiungersi con la sua famiglia, ma
le ultime leggi italiane che regolano la materia sono alquanto rigide,
riguardo alla disponibilità alloggiativa del richiedente, il quale
deve poter disporre di una abitazione che sia in regola con i
parametri minimi di abitabilità previsti dalle normative vigenti. Con
i soldi che Zivorad guadagna non può permettersi attualmente niente di
meglio, il che gli nega ogni possibilità di far arrivare sua moglie e
le figlie a Trieste.
Anch'egli spera che la Jugoslavia possa finalmente uscire
dall'isolamento internazionale che negli ultimi dieci anni l'ha
fortemente indebolita, sia dal punto di vista economico che politico.
Ciò che però ha voluto alla fine sottolineare è l'auspicio che il
popolo jugoslavo, possa decidere del proprio futuro senza subire
condizionamenti, sia esterni che interni.

Il racconto di Dejan


L'ultima testimonianza è quella del più giovane dei tre, Dejan, che ha
36 anni, è sposato, ha due figli di 9 e 14 anni che sono rimasti in
Jugoslavia assieme alla madre.
Dejan è arrivato a Trieste nell'aprile di quest'anno, grazie alla
richiesta di assunzione fatta da un'impresa artigiana edile, che non
trovando manodopera disponibile in loco ha ottenuto l'autorizzazione
ad assumere un lavoratore "extra comunitario". Quando gli aerei della
Nato iniziarono a colpire la Jugoslavia non scappò, come altri fecero,
ma restò nel suo Paese a coltivare la terra, sfamando la sua famiglia
e garantendo in questo modo che il raccolto venisse utilizzato per dar
da mangiare a tutto il Paese, martoriato dai bombardamenti e
dall'embargo. Proprio l'embargo appesantì ulteriormente la già
difficile situazione economica di migliaia e migliaia di famiglie
jugoslave e costrinse tanti come Dejan ad emigrare per sopravvivere. A
differenza di altri Dejan aveva già un lavoro in Italia che lo
aspettava, non aveva però un posto dove poter dormire.
Da prima si arrangiò a casa di amici, poi trovò un "buco" di 25 metri
quadrati al costo di 400.000 al mese, senza servizi, senza
riscaldamento e con un'umidità tale che i muri sono spesso bagnati.
Spera di poter quanto prima risolvere il problema della casa, anche
perché vorrebbe comunque che la sua famiglia lo raggiungesse e
certamente non potrebbe farlo con l'attuale sistemazione.
Anche Dejan fa alcune battute sulle ultime novità politiche che il suo
Paese sta attraversando. Analogamente alla stragrande maggioranza dei
suoi connazionali, che vivono e lavorano all'estero, non ha potuto
recarsi a votare, in quanto sia la proibitiva distanza che l'elevato
costo del viaggio, glielo hanno di fatto proibito. Il risultato del
voto non lo ha particolarmente sorpreso, anzi ritiene logico che la
gente si sia espressa in tal modo, considerando le promesse che i
paesi occidentali avevano fatto in caso Milosevic avesse perso.
Contestualmente ribadisce che la popolazione ha voluto anche dare un
chiaro segnale di volontà di cambiamento per una Jugoslavia più
democratica, ma soprattutto per una politica che sia più vicina alle
loro aspettative ed alle loro esigenze.

Un ultimo accenno hanno voluto farlo sulla guerra che l'anno scorso
devastò tutta la Jugoslavia e tutti e tre hanno più o meno espresso le
stesse opinioni e valutazioni.
1) Le bombe ed i missili hanno colpito principalmente i punti
strategici economici e viari, lasciando quasi intatti gli obiettivi
militari, a dimostrazione che gli Stati Uniti ed i paesi della Nato
volevano soprattutto devastare la loro terra e distruggere la loro
economia, oltre che ferire mortalmente l'orgoglio di un popolo
abituato a combattere per la difesa dei propri diritti.
2) L'inquinamento dell'acqua, dell'aria e della terra provocata dai
bombardamenti e dall'uso di proiettili all'uranio impoverito stanno
già causando immensi problemi sanitari, non solo ai popoli della
Jugoslavia, ma a tutti coloro che vivono nei paesi confinanti,
pertanto sarà necessario che la comunità scientifica internazionale
trovi quanto prima delle risposte concrete.
3) La così detta "guerra umanitaria", scatenata per "aiutare" gli
albanesi del Kossovo, non ha minimamente risolto i problemi di
convivenza di quella regione: viceversa, dopo i bombardamenti e
l'arrivo delle forze militari della Nato, le divisioni etniche si sono
ancor più approfondite e le varie mafie che si stanno impossessando
del territorio stanno a loro volta condizionando il futuro di quelle
popolazioni.
4) Sperano ora che l'intelligenza degli uomini riporti la pace in
tutta i territori della Jugoslavia, e che la loro tragedia non si
ripeta mai più.

http://www.lernesto.it/5-00/Kneipp-9i.htm

DUE ORE DI SPARATORIA TRA SOLDATI ITALIANI E TERRORISTI IN KOSOVO

E' successo il 29 agosto, quando i soldati delle truppe italiane della
KFOR sono dovuti intervenire per bloccare una aggressione in atto, da
parte di terroristi pan-albanesi, contro quattro contadini serbi
disarmati che erano al lavoro nei campi presso Gorazdevac, a 55
chilometri da Pristina.
I soldati italiani sono stati allora bersagliati dai terroristi per ben
due ore, in uno dei peggiori episodi di violenza in cui siano state
coinvolte le truppe di occupazione occidentali sin dal loro arrivo nella
provincia serba, nel giugno 1999. Fortunosamente lo scontro non ha
causato vittime, ed un solo terrorista e' stato fermato.
Non ci risulta che alcun media italiano abbia riportato la notizia. Lo
stesso sito dei dispacci ANSA sul Kosovo risulta non aggiornato proprio
dal 29 agosto, come se i giornalisti o i loro datori di lavoro siano
rimasti sotto shock per l'accaduto.

---

+++ UCK GREIFT SERBISCHEN KONVOI AN
GORAZDEVAC. Vorgestern griffen albanische UCK-Terroristen beim
metochischen Gorazdevac einen Konvoi der serbischen Zivilisten
an, der von der "internationalen Polizei" UNMIK geleitet wurde.
Mehr als zwei Stunden dauerte das Gefecht zwischen den
Terroristen und den italienischen Peacekeepers. STIMME KOSOVOS
+++ (http://www.amselfeld.com - 31. August 2002)

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http://www.serbianna.com/news/09_02/06.shtml

Ethnic Albanians Fire on Peacekeepers

By GARENTINA KRAJA
The Associated Press
August 30, 2002

PRISTINA, Yugoslavia (AP) - NATO peacekeepers and
ethnic Albanian gunmen traded gunfire for two hours
Thursday, after the troops were called in to protect
Serb farmers, officials said.
The fighting was some of the heaviest involving
peacekeepers since they arrived three years ago. But
there were no reports of any casualties, and one
ethnic Albanian was detained.
The Italian peacekeepers were called in after shots
were fired at four Serbs working their land under the
protection of U.N. forces and local police, United
Nations spokesman Andrea Angeli said. They came under
fire as they arrived in the village of Gorazdevac,
some 55 miles west of the provincial capital Pristina,
Angeli said.
Two military helicopters helped fight off the
attackers during the clash, which ended with one
suspect being detained, a NATO official said on
condition of anonymity.
The official did not specify how many peacekeepers and
U.N. police were involved, but said special forces
were called in after the regular peacekeeping
contingent responsible for the area asked for help.
The detained suspect was an ethnic Albanian, Angeli
said.
The firefight came as the U.N. administration has
increased efforts to repatriate Serbs who fled Kosovo
because of ethnic violence.
It was the first time peacekeepers guarding the Serb
minority were shot at since arriving after troops
loyal to former Yugoslav President Slobodan Milosevic
left in 1999.
Serbs have been targeted by ethnic Albanian extremists
seeking revenge for the crackdown under Milosevic that
left thousands dead, and dozens of Serbs have been
killed over the past three years. Tens of thousands
have fled.

---

http://www.rferl.org/newsline/2002/08/4-SEE/see-300802.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
September 1, 2002

GUNMEN PIN DOWN PEACEKEEPERS IN KOSOVA [RFE/RL's
preferred spelling]

UN civilian administration (UNMIK) police spokesman
Barry Fletcher told Reuters in Prishtina on 29 August
that unidentified gunmen shot at Serbian woodcutters
in the Peja district and "police responded with three
vehicles and a total of eight officers. When they
arrived, they were fired upon and they had to take
cover." Fletcher added that the police "were being
fired at from at least three different places, and
people who were shooting were too far away for the
range of pistols. [The police] couldn't move because
of the shooting." The police then called for KFOR
troops to come to the scene. "But the KFOR troops were
also fired at, and both UNMIK police and KFOR were
trapped for at least two hours." Italian peacekeepers
then brought up reinforcements and military vehicles,
which prompted the gunmen to flee. Italian military
police detained one suspect who refused to speak.
UNMIK spokeswoman Andrea Angeli said nonetheless that
he is an ethnic Albanian. AP described the attack as
one of the worst cases of violence since NATO troops
entered Kosova in June 1999. PM

---------- Initial Header -----------

From : Italo Slavetti
To : rubrica.lettere@...
Date : Mon, 2 Sep 2002 14:33:03 +0200
Subject : Civilta' giuridica e battaglie politiche

> Spett.le Redazione de "La Repubblica",
>
> credo che l'opinione pubblica democratica e progressista, della quale
il
> vostro giornale e' specchio e portavoce insieme, debba evitare di
> commettere l'errore di biasimare il governo Berlusconi, e lo stesso
> premier - che non avendo ancora rimpiazzato il Ministro Ruggero e' di
> fatto responsabile in prima persona delle scelte di politica estera
> dell'Italia - per il ventilato accordo con gli USA in merito alla
(non)
> giudicabilita' dei cittadini statunitensi da parte del Tribunale
Penale
> Internazionale (TPI). Su questo tema ritengo che si debba fare molta
> attenzione, evitando di analizzare e criticare la posizione
> berlusconiana usando solamente la (pur legittimamente dura) polemica
> di politica interna, tra maggioranza ed opposizione nel nostro Paese.
>
> Si dice che la posizione di Berlusconi, che e' d'accordo a garantire
> l'impunita' ai cittadini statunitensi che commettono crimini di guerra
e
> contro l'umanita', romperebbe lo schieramento europeo. Ma un governo
> diverso ovviamente non potrebbe scegliere in altro modo, poiche' e'
> prioritario confermare innanzitutto la affidabilita' (come direbbe
> D'Alema) della classe dirigente italiana, ed il rispetto della nostra
> "partnership" con gli USA. Sara', semmai, la Unione Europea in toto a
> doversi conformare ai voleri degli USA, e certo lo fara', non l'Italia
a
> mettere in discussione unilateralmente il proprio servaggio.
>
> Ma anche dal punto di vista strettamente giuridico, di diritto
> internazionale cioe', le ragioni per garantire agli USA uno status
> "super legibus", di immunita' "a priori", sono forti e vanno intese
nel
> quadro dei criteri ai quali si deve improntare la moderna civilta'
> giuridica. Va ricordato che e' oramai prassi consolidata la immunita'
> per i responsabili politici e militari delle grandi democrazie
> occidentali. Ad esempio, il premier israeliano Sharon non e'
> chiamabile in causa per i fatti di Jenin, ovviamente, e d'altronde
> il suo status "immune" gli e' garantito gia' dai tempi di Sabra e
> Chatila (se fosse stato riconosciuto colpevole di strage per quei
fatti,
> non avrebbe potuto godere di mano libera per le recenti operazioni
> in Palestina). Ma, per rimanere nel nostro "orticello" italiano, va
> ricordato che una legittima impunita' e' stata "de facto" sancita
> anche a favore degli esponenti del governo D'Alema, per i fatti
> della primavera del 1999. La magistratura a tutti i livelli, per
ultima
> la Corte di Cassazione (vedasi sentenza Sezioni unite, ordinanza
> 8157/02; depositata il 5 giugno scorso), ha provveduto a dichiarare
> "ab principio" il non luogo a procedere per le denunce intentate
> da migliaia di cittadini per strage, violazione della Costituzione,
> crimini di guerra, eccetera, relativamente alla partecipazione
> dell'Italia ai bombardamenti sui petrolchimici, i convogli di
profughi,
> i treni, le stazioni radiotelevisive (con i giornalisti dentro), sul
> territorio
> della Repubblica Federale di Jugoslavia.
>
> In tutti i casi del genere si tratta molto semplicemente di proteggere
> i responsabili politici democratici e gli Stati occidentali da
> dispositivi
> accusatori mossi da fini meramente politici, e che possono recare
> intralcio alle sempre piu' frequenti iniziative di carattere militare
> (cioe' umanitario) intraprese contro paesi stranieri, anche molto
> lontani dalla Penisola.
> Ben diverso dovra' essere ovviamente il criterio giuridico da adottare
> nel caso di quei politici del campo avverso (cioe' non democratici)
> che e' necessario vengano processati e puniti duramente, anche in
> base - se necessario - ad accuse artefatte o mendaci (si veda ad
> es. il caso di S. Milosevic). Il garantismo ed il diritto alla
> "legittima
> suspicione" che gli USA vogliono garantiti per se' nel quadro
> internazionale non saranno mai applicabili neanche per i terroristi
> islamici, che giustamente gli USA rinchiudono a Guantanamo,
> dove li sottopongono a trattamenti lesivi dei piu' elementari diritti
> umani: ma i suddetti islamisti non rientrano nel novero dei soggetti
> democratici, anzi direi che e' dubbio che si possano a costoro
> ascrivere attributi umani qualsivoglia, in quanto islamisti (come
> illustrato da un intellettuale raffinato come Oriana Fallaci
> su giornali e libri editi in tutto il mondo). La civilta' giuridica
> occidentale, che deriva direttamente da quella romana, non
> potra' dunque prevedere alcun "diritto a priori", tantomeno
> "immunita'" per costoro.
> Ed oggi, che l'antico "jus romanus" evolve, con i
> tempi ed i ritmi della globalizzazione, cioe' di internet e delle
> fibre ottiche, verso il piu' attuale "jus fortius", nemmeno noi
> appartenenti al popolo della sinistra potremo eccepire con
> ragionamenti del tutto fuori moda e fuori luogo, basati su
> concezioni del "diritto" di derivazione illuministica. Questo
> nemmeno ai lodevoli fini della battaglia politica interna.
>
> Italo Slavetti (Roma)
>
>
>
>
>

BARLETTA venerdì 6 settembre, ore 19.30

Spazio dibattiti Festa di Liberazione, Viale Giannone (nei pressi della
stazione)
"XXI secolo: guerra permanente?"

Intervengono
Azmi Jarjawi - della comunità palestinese, Bari
Andrea Catone - associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in
terra di Bari
Laura Marchetti - dir. naz, PRC
Ugo Villani, docente di diritto internazionale Università La Sapienza,
Roma
coordina Michele Rizzi, com. pol. naz. PRC
sarà proiettato il video "La guerra umanitaria della NATO"

sarà disponibile il libro di J. Elsaesser "Menzogne di guerra - le bugie
della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo", ed. La città
del Sole, Napoli


===*===


Jürgen Elsässer:

"MENZOGNE DI GUERRA
Le bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per
il Kosovo"

Traduzione di Mara Oneta
Prefazione di Andrea Catone
Collana "Frontiere del presente"
Ed. La Citta' del Sole, Napoli 2002
ISBN 88-8292-183-2; prezzo 11 euro

Si tratta della versione italiana del libro edito in Germania
con il titolo "Kriegsverbrechen" dalle edizioni KONKRET
(Amburgo 2000), oggi giunto alla quarta edizione.

Edizioni "La Citta' del Sole"
Via Giovanni Ninni 34, 80135 Napoli
Tel. 081-4206374, fax 081-7041804

AUF DEUTSCH / NA SRPSKOHRVATSKOM:

http://www.juergen-elsaesser.de/html/template.php?
inhalt=../de/buecher/inhalt_buecher.html&buch=buch_leer.html

Jürgen Elsässer
Ratni zlocini - Bestidne lazi i zrtve NATO-a u kosovskom
sukobu
JASEN Verlag, 207 Seiten, 14.50 Euro

Jürgen Elsässer
Kriegsverbrechen Die tödlichen Lügen der Bundesregierung
und ihre Opfer im Kosovo-Konflikt,
Hamburg (Konkret) 2000, 190 Seiten, 26,80 DM

http://www.juergen-elsaesser.de/html/template.php?
inhalt=../de/buecher/inhalt_buecher.html&buch=buch_leer.html


===*===


UNA STELLA ROSSA PER RICORDARE

Sono disponibili le bandiere della RFS di Jugoslavia: i
tricolori con la "petokraka", la grande stella rossa partigiana.

Una bandiera grande formato (circa 100x140cm) si puo' avere versando
un contributo minimo di 18 euro (spedizione compresa); una bandiera
piccola (formato da tavolo) costa almeno 8 euro. Per ordinativi
superiori
a 5 bandiere il costo e' inferiore.

Per ordinare le bandiere (che si possono ricevere anche contrassegno,
previ accordi telefonici) chiamare od inviare un fax al numero
06-4828957.

Ricordiamo che per i versamenti a favore del CNJ e' stato aperto il
Conto Bancoposta n. 73542037 (cin N, abi 07601, cab 03200)
intestato a E. Gallucci e I. Pavicevac, Roma

KOSOVO: ESPULSO DA GERMANIA TENTA DI STRANGOLARE HOSTESS

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20020829203532314227.html
(ANSA) - BELGRADO, 29 AGO - Un immigrato albanese del Kosovo in
Germania, rimpatriato dalle autorita' tedesche, ha tentato oggi di
strangolare una hostess dell'aereo delle Montenegro Airlines che lo
riportava a Pristina. Ora e' agli arresti,
mentre la giovane aggredita e' stata curata all'ospedale per leggere
ferite. L'immigrato, Saban Jisufi di 26 anni, faceva parte di un gruppo
di 50 albanesi kosovari che le autorita' di Duesseldorf avevano espulso,
dopo avergli rifiutato la domanda d'asilo, visto che la situazione in
Kosovo non presenta piu' pericoli [SIC]. I 50 erano stati caricati su un
aereo, accompagnati da un alcuni soldati tedeschi.
Durante il volo l'improvvisa follia [SIC] di Jisufi, che ha assalito la
hostess, Irena Radonjic, tentando di strangolarla con i lacci delle
scarpe. Immediatamente sono intervenuti gli agenti tedeschi, che hanno
immobilizzato l'aggressore. Per via radio -
ha detto all'Ansa un ufficiale delle linee montenegrine, Zoran Djurisic
- gli agenti hanno avvertito l'Unmik, la polizia internazionale in
Kosovo, che ha preso in consegna Jisufi allo sbarco. L'albanese e' stato
portato, sotto custodia, in ospedale per una serie di accertamenti
[Devono accertare che sia sufficientemente filo-UCK per poter
sopravvivere nel Kosovo di oggi].
(ANSA). COR-SPD 29/08/2002 20:35

http://www.rferl.org/newsline/2002/08/4-SEE/see-300802.asp
Radio Free Europe/Radio Liberty

KOSOVAR HIJACKING ATTEMPT THWARTED

The personnel of a Montenegrin Airlines flight from
Duesseldorf to Prishtina thwarted an attempt by a
young Kosovar Albanian to strangle a stewardess with
his shoelace on 29 August, AP reported. She was not
seriously injured. The youth was part of a group of 50
Kosovars being deported from Germany on a charter
flight. The suspect is under arrest, and police are
investigating. PM

CENERE
Jugoslavia, due anni dopo

Da Fulvio Grimaldi per "L'Ernesto" settembre 2002

Cenere radioattiva di decine di migliaia di
proiettili e bombe all'uranio che si stanno
mangiando la vita di serbi, bosniaci, albanesi.
Cenere tossica di polveri chimiche e di
idrocarburi combusti sollevata dai 78 giorni di
sterminio bombarolo e aiutata a viaggiare, a
insediarsi in terre, acque, polmoni, sangue da
un embargo che solo nell'ipocrita disattenzione
dei media è davvero finito. Cenere di uno Stato
che godeva della stima del mondo e per mezzo
secolo aveva indicato ai popoli in lotta di
liberazione una via di fuga dalla tenaglia
dell'allineamento con le superpotenze, aiutando
a costituire un secondo polo planetario della
lotta per l'emancipazione umana. Una cenere che
ha accecato, intorpidito, avvelenato una gran
parte della popolazione di questo Stato.. Ma
sotto la quale, forse, covano e si rianimano
braci irriducibili.

ANTEFATTO

La Sinistra e le menzogne di guerra

Cenere sulla testa di una sinistra, soprattutto
italiana, che si è fatta travolgere e
addirittura rendere complice di una devastazione
imperialista in Europa, a cinquant'anni
dall'"Ultima e più terribile delle guerre", e
per coprire la vergogna storica del suo
tradimento ha sostenuto, anche al di là di ogni
evidenza contraria, le più turpi invenzioni
delle centrali della disinformazione e della
menzogna. Da un sacrosanto bagno di cenere non
dovrebbe andare esente quasi nessuno. Non certo
la pseudosinistra che, con il "sergente D'Alema"
(per gli USA meno di un vivandiere), ha voluto
farsi co-protagonista di un crimine per tutti i
versi assimilabile all'assalto nazista ai paesi
liberaldemocratici e socialisti. Oggi, svuotata
di ogni credibilità da quello su tutti dei suoi
arretramenti sistemici, tragicamente per il
nostro paese ma opportunamente sul piano
dell'equità, quei "moderati" (termine
paradossale) pagano il prezzo del crescente
rifiuto di massa di ogni genere di organismi
geneticamente modificati. Non si salva nessuno
perché nessuno ha saputo vedere l'evidenza,
neppure dopo le puntuali smentite a valanga,
ovviamente reperibili solo in trafiletti
mimetizzati o su selezionati media esteri, della
più colossale operazione di mistificazione dai
tempi del rovesciamento paolino del messaggio
nazareno. C'era chi, a sinistra, serrando gli
occhi sulla matrice nazifascista del progetto
Grande Albania , "Croazia dei croati", Bosnia
della Sharìa, Montenegro della mafia, e
ostinatamente ignorando soldi e ceffi del
narcotraffico e dei servizi occidentali che
guidavano la marcia dei secessionisti,
sproloquiava di "autodeterminazione" nei termini
esatti di un Bossi. C'era chi, paludandosi di
ecumenico movimentismo, tesseva reti di
complicità, "dal basso", tra centri sociali e
forze e personaggi serbi creati e guidati dal
superboss della destabilizzazione
finanziario-politica dei paesi liberi, George
Soros, dalla CIA al BND tedesco: le ONG
filo-occidentali di "Alleanza Civica", i
teppisti fascisti di Otpor, il partito del
quisling Zoran Djindjic, il gruppo
giovanilistico raggruppato attorno a Radio B92,
del circuito USA di Radio Free Europe,
formazioni femministe della "società civile"
guidata da Sonia Licht (Fondazione Soros) che
riuscivano a imbrigliare compagne straniere in
convegni nientemeno che sul "Fascismo serbo",
all'ombra di un presidente narcotrafficante
come Milo Djukanovic del Montenegro. C'era chi,
pilatescamente, si attestava dietro il
famigerato "né-né", lo squallido limbo di chi
deprecava i macelli Nato, ma sodale della
satanizzazione in virtù di ignoranza, pigrizia e
settarismi ideologistici, s'impegnava
soprattutto a bastonare Milosevic e i serbi.
Importanti esponenti di questo trasversale
schieramento della collusione, indiretta, ma
determinante, arrivarono addirittura a
costringere i manifestanti per la Jugoslavia e
per la pace a cacciare dai cortei e dalle veglie
sui ponti le comunità serbe che, con noi,
volevano piangere e imprecare sulla patria
uccisa. L'imperialismo, soprattutto europeo
nella prima fase dello squartamento balcanico
nel segno del marco e poi a totale egemonia
statunitense, deve molto a questi "agevolatori".
Deve loro l'aver soffocato sul nascere un fronte
compatto e coraggioso di controinformazione -
per scardinare l'architettura di menzogne su
"pulizia etnica", "fosse comuni" "nazionalismo
serbo", "dittatura" o "tesoro" di Milosevic",
"Milosevic, già uomo degli americani" (falsità
assoluta, molto efficace a sinistra), "giovani
democratici anti-regime"- e, dunque, di lotta
contro la guerra a quello che era forse il paese
multietnico e multiculturale più democratico,
pluralistico e socialmente avanzato, pur nelle
intemperie e nei ricatti dell'imperialismo
finanziario, del nostro continente. Oggi i
protagonisti di questa aberrazione storica non
si coprono il capo delle ceneri che hanno
contribuito a disseminare, neppure davanti allo
smascheramento delle cosiddette "stragi serbe"
di Sarajevo (grande trombettiere, Adriano
Sofri), Sebrenica, Racak, al crollo dai 500.000
albanesi del Kosovo secondo il Dipartimento di
Stato "probabilmente uccisi", alle 2080 vittime
di tutte le etnie, effettivamente individuate
dal Tribunale Penale per la Jugoslavia. Eppoi,
"Hitlerosevic", quel capolavoro
dell'identificazione, con un falso fotografico,
tra nazisti e serbi nel comune allestimento di
"campi di sterminio" ( risultati campi di
raccolta per profughi cui gli operatori della TV
inglese ITV avevano messo davanti un
reticolato). Senza parlare del pellegrinaggio di
ONG, buonisti sciolti e provocatori in perfetta
malafede (un nome per tutti, Adriano Sofri) a
"Sarajevo multietnica assediata dai serbi",
servito da copertura alla pulizia etnica
bosniaca di metà città, abitata da serbi.
Stanno in silenzio, cronisti ed esperti, voltano
il capo dall'altra parte, mentre sia dalla
straordinaria lotta di Slobodan Milosevic nel
tribunale-agenzia USA dell'Aja, sia da
testimonianze incontrovertibili (vedi
soprattutto "Menzogne di guerra", di Juergen
Elsaesser, Città del Sole, 11 euro) escono
confermate le verità sul complotto per
l'amputazione e la distruzione di un grande
pezzo d'Europa. Struzzi. Code di paglia lunghe
dalle protette poltrone dei loro collateralismi
fino alle ossa del tremillesimo serbo trucidato
in Kosovo dopo l'occupazione Nato.

I FATTI

Nel vasto panorama dei media italiani la
Jugoslavia - oggi ufficialmente ridotta a
"Serbia-Montenegro", fino a quando gli USA,
schiacciando le riserve della tardivamente
preoccupata Europa, non otterranno che
Djukanovic imponga la rottura totale - è un buco
nero. I pochissimi inviati che hanno seguito, da
febbraio, le udienze del processo dell'Aja a
Milosevic, hanno smesso quasi subito, quando si
sono accorti che riferire correttamente
sull'andamento degli interrogatori e
contrinterrogatori, come sulle condizioni di
detenzione dell'imputato, avrebbe minato alla
base tutto quanto erano andati raccontando di
Slobo e del suo governo fin dall'inizio della
crisi. Un'onta alla quale ovviamente preferire,
da bravi professionisti, "the voice of silence".
Tocca all'Ernesto, tra le poche pubblicazioni
che siano riuscite ad evitare la tagliola
dell'inganno imperialista, a fare un po' di cronaca.

IL PROCESSO

Organizzato, finanziato e diretto dagli USA,
alla fine di luglio è stato sospeso dal giudice
Richard May e aggiornato a settembre, dopo una
visita medica, cui finalmente ha potuto
assistere anche il medico di fiducia di
Milosevic, che ha confermato le gravi condizioni
di salute del detenuto, affetto da ipertensione
e da seri problemi cardiocircolatori, aggravati
dall'inumane trattamento riservatogli
(illuminazione costante, isolamento, negato
accesso a medici personali, negati rapporti
regolari con avvocati e famigliari, negata
terapia durante due settimane di "influenza",
negato accesso a qualsivoglia documentazione,
tempi e ritmi massacranti delle udienze imposti
dalla riunione in uno solo dei processi per i
fatti di Croazia, Bosnia e Kosovo. Due imputati
serbi sono già deceduti in prigionia, uno con
misterioso "suicidio" per impiccagione). Per la
procuratrice Carla Del Ponte, nota per la
sollecitudine con cui seppe far coincidere le
imputazioni a Slobo con i più rovinosi
contraccolpi alla Nato del macello in corso di
esecuzione (errori collaterali), le cose non
erano andate bene. Dopo la contraccusa iniziale
di Milosevic, alla mano di documentazione
audiovisiva, sui crimini Nato nelle guerre
balcaniche, si era assistito a una sfilza di
testimoni d'accusa, perlopiù albanesi del Kosovo
o ex-membri delle istituzioni jugoslave,
frantumati dal controinterrogatorio di
Milosevic, che si difendeva da solo e negava il
riconoscimento al Tribunale, smascherati come
bugiardi, scoperti indottrinati dai servizi
inglesi o membri dell'UCK, affogati nelle
contraddizioni, a volte in crisi di nervi, a
volte addirittura in fuga dal
controinterrogatorio di Milosevic, pretendendo
di star male.. Al punto che il governo USA,
esasperato, ha incominciato a criticare la Del
Ponte per non aver saputo mettere in piedi un
decente gruppo di testimoni credibili e, mandato
al diavolo il Tribunale contro i crimini di
guerra appena istituito a Roma, ha fatto
intendere che anche il Tribunale dell'Aja poteva
aver fatto il suo tempo. Preoccupante per la
squadra di magistrati pinocchieschi dell'Aja,
visto che i quattrini per il funzionamento del
tribunale e di loro stessi arrivano soprattutto
dal Tesoro USA e dal solito Soros, cioè da una
delle parti in causa.

Un'inarrestabile caduta di credibilità che è
diventata tonfo finale con le dichiarazioni, in
una delle ultime udienze, del testimone Rade
Markovic. In quel momento, si può dire, il
Tribunale Internazionale per la Jugoslavia è
esploso. Stupefacentemene, ma mica tanto, nessun
organo di informazione o comunicazione ne ha
dato conto. Rade Markovic era stato il capo dei
servizi di sicurezza dell'ex-presidente. Dopo 17
mesi di prigionia a Belgrado era stato convocato
all'Aja come testimone per l'accusa. Un
testimone-bomba, si diceva nei corridoi del
Tribunale, che avrebbe finalmente rovesciato il
vento in faccia a quell'irriducibile confutatore
di Milosevic e raddrizzato il "processo del secolo".

Invece questo testimone "della corona" ha ferito
a morte l'obbrobrio giuridico dell'Aja rivelando
una verità che molti già sospettavano essere la
prassi del Tribunale: tortura e ricatto.
Rovesciando non solo le carte, ma l'intero
tavolino, Radovic ha denunciato che a Belgrado
era stata ininterrottamente torturato dagli
sgherri di Djindjic perché si risolvesse a
dichiarare il falso contro Milosevic. Un giorno
lo venne a trovare addirittura il ministro degli
interni, Mihailovic, insieme al capo dei servizi
segreti, Petrovic. Violando la legge, se lo
portarono a una cena privata dove offersero a
lui e famiglia un cambio d'identità e una vita
di agi in un paese straniero, insieme alla fine
delle torture. Radovic finse di accettare, ma
all'Aja denunciò tutto. Non solo, negò tutte le
accuse che avrebbe dovuto avvallare: Milosevic
non ha mai promosso una politica di espulsione
degli albanesi dal Kosovo, ha insistito che gli
autori di violenze contro civili albanesi
venissero arrestati e processati, non ha mai
abusato di fondi dello Stato, non ha mai
ordinato assassinii politici... Non male per un
testimone "d'accusa". Radovic ha concluso il suo
intervento, ripetutamente e come d'abitudine,
quando le cose diventavano imbarazzanti per
l'Accusa, interrotto dal giudice May,
illustrando con documenti la ferma opposizione
dell'ex-presidente jugoslavo a qualsiasi forma
di odio etnico e il suo costante, alla fine
disperato, impegno per la convivenza dei popoli
balcanici, contro i nazionalismi regionali,
esasperati dalle manovre imperialiste e favoriti
dal civilismo "umanitario" di molte ONG (oggi
totalmente assenti tra i più reietti delle
vittime dell'aggressione: il milione e passa di
profughi serbi cacciati da Croazia, Bosnia e
Kosovo). Oggi Markovic è in cella a
Scheveningen, alla mercè di coloro che ne
ordinarono la tortura e che da lui furono
svergognati. Un caso per Amnesty.

Un caso già sollevato dal Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan
Milosevic (presidente Ramsey Clark) che ha anche
sollecitato i parlamentari europei a denunciare
a Strasburgo le pesanti violazione dei diritti
giuridici e umani del prigioniero Milosevic.

DOPO IL KOSOVO, LA MACEDONIA

Nel Kosovo, occupato per un buon pezzo dalla più
grande base militare USA costruita dopo la
guerra del Vietnam (costruita dalla società
Halliburton, di cui era presidente il
vicepresidente USA, Cheney), nè il formicaio di
ONG (oltre 900 a un certo punto), né
l'amministrazione ONU Unmik, né il presidio di
40.000 militari KFOR, né l'elezione a presidente
e primo ministro del razzista secessionista
"moderato" Rugova, insieme al razzista
secessionista mafioso e tagliagole Thaci, hanno
saputo - voluto - impedire il totale degrado
della provincia serba.

Provincia-bordello, a beneficio dei maschi in
"missione disagiata" di ONG e contingenti
amministrativi e militari, dove ogni cosa è
gestita, come nella Bosnia "liberata", da
funzionari ONU e NATO che affiancano, con potere
decisionale assoluto, le maschere politiche
delle "istituzioni". Funzionari che governano un
territorio totalmente sotto controllo delle
famigerate "Cinque famiglie" mafiose albanesi
che hanno fatto del Kosovo il centro mondiale
per lo smistamento dell'eroina proveniente dai
campi riattivati dai vincitori in Afghanistan,
il traffico di prostitute e di essere umani in
genere, o di loro pezzi. Funzionari che, in
compenso sono stati accusati dall'UE di aver
fatto sparire in loro conti nel paradiso fiscale
di Gibilterra almeno 4,5 milioni di Euro facenti
parte di pacchetti di "aiuti" per il protettorato kosovaro.

Ultimissime dal Kosovo ci riferiscono di
costanti devastazioni di cimiteri serbi
(Djakovica, Orahovac, Milosevo, Pristina), con
lapidi infrante e scritte inneggianti all'UCK;
di 400 desaparecidos serbi, in aggiunta ai 3000
trucidati e ai quasi 300.000 espulsi dopo
l'ingresso della KFOR, denunciati dal
Coordinamento per la riunione delle famiglie di
serbi rapiti o dispersi in Kosovo-Metohia;
dell'esumazione continua di cadaveri serbi da
fosse comuni (20 lo scorso 17 luglio, solo a
Dragodan, nei pressi di Pristina); di quotidiane
aggressioni al Monastero di Pec, sede del
patriarca Artemije, e tuttora di distruzioni di
luoghi di culto ortodossi (Artemije ha
denunciato la totale devastazione di 110 tra
chiese e conventi, perlopiù medioevali); di una
KFOR che accompagna attivamente il lavoro sporco
di pulizia etnica del Corpo di Protezione del
Kosovo (in cui si sono riciclati i banditi
dell'UCK) irrompendo nelle case dei 100.000
serbi rimasti (e tenuti in totale isolamento "a
difesa della propria incolumità"), nella
presunta ricerca di armi, terrorizzando gli
abitanti, minacciando la "soluzione finale" per
l'enclave serba di Mitrovica, cacciando dalle
loro case e dai loro uffici a Pristina (17
giugno) 57 famiglie di accademici e insegnanti
serbi, per mettere al loro posto unità
famigliari albanesi. Si trattava di quei
professori che, nonostante la costante minaccia
terroristica UCK, avevano fatto funzionare fino
all'ultimo giorno dell'aggressione NATO le
istituzioni scolastiche dello Stato federale, a
composizione, lingua e corsi multietnici,
all'incontro dell'apparato scolastico e
sanitario parallelo, etnicamente pulito
(riservato a frequentatori albanesi e alla sola
loro lingua) messo in piedi da Rugosa con i
finanziamenti di Gorge Soros e di Madre Teresa
di Calcutta.

Mentre le truppe russe, giunte con 3.600 uomini
per prime a Pristina, nell'entusiasmo dei serbi
e dell'antimperialismo internazionale, si sono
gradualmente ritirate e ridotte a 600 unità,
avanzando riserve nei confronti della conduzione
dell' occupazione di una provincia che
nominalmente fa ancora parte della Jugoslavia, i
contingenti occidentali della KFOR assistono con
crescente indifferenza, che nel caso degli USA e
aperto compiacimento, al riscatenarsi
dell'espansionismo grandalbanese. Il parlamento
a totale dominio albanese approva (subito
imitato dal governo del fantoccio Djindjic a
Belgrado) un'amnistia per i terroristi
panalbanesi dell'UCK, e al polacco Marek
Nowicki, Difensore Civico ONU in Kosovo-Metohia,
viene cancellato il diritto di visitare i
detenuti nelle carceri, gli USA rilasciano
sistematicamente terroristi albanesi catturati
da altri reparti KFOR sul confine della
Macedonia e consegnati agli americani di Bondsteel.

Nella disattenzione dei media mondiali,
concentrati su altre carneficine imperialiste e
coloniali, dall'Afghanistan alla Palestina e
sull'imminente genocidio degli iracheni,
prosegue intanto, sempre sotto l'egida USA, il
lavoro di smembramento della Macedonia. Un paese
e un governo che alla Nato, durante
l'aggressione alla Jugoslavia, avevano concesso
tutto: la secessione, l'ospitalità alla truppe
Nato, le proprie basi, assistenza logistiche,
complicità politica. E ne sono stati ripagati
con la riduzione a colonia Nato, l'appoggio agli
invasori e separatisti albanesi, la
criminalizzazione (con il solito concorso di
certa disinvolta stampa di sinistra) dei
difensori dell'unità e sovranità dello Stato,
definiti derogatoriamente "nazionalisti".
Qualifica riservata in modo particolare al primo
ministro Ljubco Georgievski che, dopo aver fatto
passare una normativa che accedeva alle
richieste della minoranza albanese relative a
lingua, autonomie e istituzioni scolastiche, ha
pubblicamente denunciato in un discorso del 2
agosto la collusione della Nato con il
terrorismo separatista grandalbanese, attraverso
la fornitura di armi e il libero passaggio del
confine con il Kosovo concesso ai militanti
dell'UCK riciclati in Macedonia nell'Esercito di
Liberazione Nazionale.

"Molte cose sono state dette circa la
multietnicità in Kosovo, Macedonia e Bosnia, ma
quello che in effetti accade è la più vasta
pulizia etnica che i Balcani ricordino", ha
dichiarato Georgievski, denunciando anche la
continuata, per quanto taciuta dai media,
occupazione di larghe zone del Nord della
Macedonia da parte dei terroristi UCK con il
pieno appoggio degli USA. Affermazione difficile
da confutare quando si pensi che la MPRI
(Military Professional Resources Inc.), agenzia
statunitense di mercenari controllata dalla CIA,
ha il privilegio di armare, addestrare e
istruire entrambe le squadre in gioco:
l'esercito governativo macedone
e le bande secessioniste albanesi. E' il trucco
con il quale gli USA si propongono di gestire i
conflitti che gli interessa innescare.
Dall'esempio più clamoroso dell'Osama Bin Laden,
operativo CIA dal 1979, contrapposto ai
mercenari USA dell'Alleanza del Nord, si
potrebbe scendere fino alle varie situazioni
"bipartisan" di cui abbiamo ampia esperienza nel
mondo politico italiano.

Che, contrariamente agli europei, gli USA non
ritengano concluso il lavoro di squartamento
della Jugoslavia e dei Balcani, con particolare
attenzione a Montenegro, Macedonia, la provincia
serba di Vojvodina, Bulgaria, è stato confermato
nelle ultime settimane dal vicecapo della CIA
per i Balcani, Steven Mayer, in un'intervista
all'emittente "Voice of America" (stesso
circuito di Radio B92, amichevolmente
frequentata dalle Tute Bianche) e in un
seminario al prestigioso "Woodrow Wilson
International Center for Scholars" (Woodrow
Wilson è il padrino di numerosi genocidi USA: da
presidente degli Stati Uniti, bel 1919 proclamò
gli embarghi il mezzo più silenzioso, efficace e
letale per disfarsi di popoli di troppo).

Mayer ha annunciato l'intenzione del
Dipartimento di Stato di convocare una nuova
"conferenza di Berlino" per "ridefinire gi
confini dei Balcani" in termini di monoetnicità.
"Non ce l'ho con le entità multietniche. E' che
la gente non le vuole", ha detto e a indicato
come unità statali separate la repubblica serba
di Bosnia, l'Erzegovina (parte croata della
Bosnia), la Serbia senza il Kosovo, il
Montenegro e "alcune altre parti
dell'ex-Jugoslavia". Alla domanda se Mayer fosse
favorevole allo smembramento della Macedonia, la
risposta è stata:"Lasciamo per ora che la
sopravvivenza dello Stato macedone rimanga una
questione aperta". Mayer ha poi sostenuto la
necessità che gli USA rimangano a lungo la forza
principale nei Balcani, per proseguire la
battaglia contro il terrorismo integralista di
Al Qaida. Peccato che proprio Al Qaida - e Osama
in prima persona - è stata usata in Bosnia e
Kosovo e, a detta dei dirigenti della Sicurezza
macedone, viene attivata oggi nel nord di quel
paese, sempre all'interno del disegno strategico
statunitense di frantumazione dei Balcani

OGGI A BELGRADO

Rivedo, alle cinque del mattino, le lunghe e
stanche file di cittadini alla ricerca
esaperante di beni essenziali che oggi costano
cinquecento volte di più rispetto all'ottobre
2000 del colpo di Stato, come tutto tranne
l'apparato produttivo serbo divorato da
multinazionali e pescecani all'ombra della DOS
(Opposizione Democratica serba, il
raggruppamento di 18 partiti dominato dalla
formazione di Djindjic e da cui si è separato
quest'estate il Partito Democratico Serbo del
presidente Vojislav Kostunica). Dismissioni di
"razionalizzazione" e privatizzazioni sotto
l'egida del Gruppo dei 17, organismo economico
teleguidato dal FMI, hanno prodotto un milione
di senza lavoro. Cacciati anche 15.000 dei
33.000 lavoratori della Zastava, totalmente
ricostruita dagli operai in poco più di un anno,
con fondi statali per il 6% della spesa
complessiva. Il PIL, tornato in lievissima
crescita, nonostante il micidiale embargo,
nell'anno della ricostruzione sotto Milosevic, è
oggi a -28. Spaventosa la nuova divaricazione
delle classi, fortemente ridotta dallo stato
sociale difeso nella misura del possibile (sotto
il costante ricatto del debito rastrellato dal
FMI tra tutti i creditori di una Jugoslavia
sabotata e isolatissima fin dal 1980), con una
concentrazione di superricchi da economia
mafiosa sul tipo post-"liberazione" nei paesi
del socialismo reale e un dilagare vertiginoso
della povertà assoluta. Il 28% dei serbi vive
oggi con meno di un dollari al giorno, il 73%
con due dollari. L'ex-Jugoslavia, che ancora,
sotto sanzioni, nel 1996 in recupero economico è
precipitata al 10° posto nella classifica dei
paesi più poveri del mondo. Accanto a Ciad,
Haiti, Mozambico. Nessuna delle più celebri e
vociferanti ONG assiste questi nuovi "dannati
della Terra", e le offerte per l'adozione di
bambini serbi riguardano sconcertantemente
perlopiù la sola Zastava. E gli USA continuano a
trattenere una seconda tranche di aiuti - 40
milioni di dollari - in attesa "che il governo
di Belgrado mostri un maggiore grado di
collaborazione con il Tribunale dell'Aja e
acceleri le riforme della sua economia e del suo
apparato produttivo". Stessa condizione è stata
posta dal'UE e sospesa solo quando, l'inverno
scorso, un Djndjic alle corde avvertiva che il
mancato arrivo degli aiuti avrebbe compromesso
la stabilizzazione sociale e politica del paese
e rafforzato la crescente opposizione sociale,
in massima misura guidata dal rinato e riformato
(nel senso di epurato dai suoi elementi
compromessi con episodi di corruzione e
malgoverno) Partito Socialista di Serbia (PSS).
La prima tranche, di 30 -simbolici - milioni era
stata pagata all'atto del sequestro e rapimento
di Slobodan Milosevic, il 28 giugno del 2001,
tre giorni dopo quell'ultima intervista in
libertà concessa dall'ex-presidente, in cui mi
diceva che un suo eventuale processo all'Aja
avrebbe potuto innescare la rinascita del
patriottismo e dell'antimperialismo tra i suoi concittadini.

Nel frattempo il governo Djndjic ha adottato due
leggi fondamentali, entrambe giudicate
incostituzionali dalla Corte Suprema ma
nondimeno andate in vigore: quella
sull'incondizionata collaborazione con l'Aja e
quella sul lavoro. Entrambe hanno provocato,
oltre all'accentuazione del dissidio tra
Djndjic, premier serbo, e il presidente federale
Kostunica, esploso con la consegna di Milosevic
all'Aja, la spaccatura della maggioranza parlamentare,
con l'incostituzionale cacciata da parte di
Djndjic di 45 parlamentari del partito di
Kostunica "per assenteismo" e il ritiro di
questo dalla coalizione DOS. Infine, la crescita
di una protesta sociale che si è espressa, a
dispetto della nuova, dirigenza "moderata"
imposta ai sindacati, con uno sciopero generale
e una ininterrotta serie di scioperi di
categoria o territoriali. Protagonisti i
lavoratori delle aziende di Stato, o miste, che
ora vengono svendute, senza più l'osservanza
della vecchia legge di Milosevic che imponeva
che almeno il 60% delle azioni ottenute dalla
privatizzazione fosse riservato alle maestranze.

Sono presenti anche studenti e cittadini non
sindacalizzati, colpiti dalla privatizzazione di
sanità e pubblica istruzione, con tasse
universitarie e scolastiche che, decuplicate
rispetto al valore nominale del governo
precedente, rendono questi servizi vitali
inaccessibili alla maggioranza della
popolazione. C'è stato anche un "effetto
collaterale" delle misure del fantoccio Nato al
governo: Con una revolverata in testa, sui
gradini del Parlamento Federale, si è ucciso
Vlajko Stojiljkovic, ex-ministro degli Interni,
membro socialista del Parlamento Federale,
accusato dai sicofanti giuridici dell'Aja di
"crimini di guerra". Nella lettera d'addio, la
protesta contro le leggi liberticide e
sovranicide di Djindjic, la denuncia
dell'aggressione Nato, la frantumazione della
Jugoslavia, la capitolazione e il tradimento dei
nuovi dirigenti, le violazioni della
Costituzione, la svendita della dignità
nazionale. "I cittadini, i patrioti di questo
paese sapranno rispondere", sono le ultime
parole del messaggio.

E' su questo piano che si svolge la battaglia
politica del Partito Socialista di Serbia,
oltrechè sulla difesa e diffusione della verità
sulla guerra imperialista e sull'operato di
Slobodan Milosevic. A quest'ultimo fine si è
dato vita a Belgrado al Comitato Internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic (il cui
referente in Italia è chi scrive) che, con
l'adesione di numerose personalità politiche e
della cultura di tutto il mondo, presiedute da
Ramsey Clark, ha cercato con numerose iniziative
e mobilitazione di contribuire all'emergere dei
fatti attraverso la cortina della diffamazione e
dei silenzi mediatici e politici occidentali.

Rimane invece in discussione un'eventuale
alleanza anti-DOS tra il PSS e il partito del
presidente Kostunica. Molte restano le domande
circa l'affidabilità del rivale del fantoccio
tedesco-statunitense Djindjic. Kostunica si è
opposto alla legge sull'estradizione di
Milosevic e altri serbi, ma poi ha acconsentito
e ha promesso collaborazione con l'Aja.
Kostunica denuncia l'aggressione Nato, ma non
esonera Milosevic dalla false accuse e non
spende parola sulla persistente persecuzione dei
Serbi in Kosovo, né sul futuro della provincia,
né sulle terrificanti notizie, documentate da
ricerche di scienziati e istituti privati e
statali, circa il dilagare delle patologie
tumorali provocate dai bombardamenti all'uranio
e dall'inquinamento chimico. E' vero che contro
la legge sul lavoro, che disintegra i diritti
dei lavoratori, introduceva la
turboflessibilità, riduceva i salari,
liberalizzava i licenziamenti e le
privatizzazioni senza salvaguardia per gli
operai, Kostunica è arrivato fino a staccarsi
dalla coalizione di governo e ritirare i suoi
ministri. Ma è anche il politico che queste cose
le aveva previste nel suo programma elettorale
del 2000. Rimane il sospetto che il
liberaldemocratico, filomonarchico Kostunica
tenda solo a operazioni d'immagine, a
rappresentarsi, in vista delle elezioni
programmate per il 29 settembre, come
l'antagonista onesto, patriottico, dotato di
sensibilità sociale di Zoran Djndjic, definito
"corrotto, autoritario, venduto e mafioso". Una
tattica che, il 5 ottobre del 2000, gli fruttò i
voti di tanti serbi massacrati dal terrorismo
militare ed economico di 10 anni di aggressione
Nato. Una tattica portata avanti anche con il
clamoroso arresto di uno spione USA, con le
insegne dell'ambasciatore, mentre complottava
segretamente con il vice-primo ministro serbo
Momcilo Perisic, che gli stava consegnando
documentazioni sugli estradandi all'Aja e su
possibili testimoni "buoni" contro Milosevic
(Perisic ha dovuto successivamente dimettersi,
con grave scorno della coalizione guidata da
Djndjic). L'arresto è stato fatto eseguire
all'esercito, ancora considerato cuore della
resistenza serba.

Numerose sono state, negli ultimi mesi, le
manifestazioni organizzate dal PSS, partito di
Milosevic in difesa della sovranità serba, dei
diritti dei lavoratori e della liberazione di
Milosevic. La crescita nei sondaggi di quello
che rimane numericamente il primo partito di
Serbia non è stata compromessa, a luglio, da una
miniscissione di un gruppo di destra del partito
(30 su 190 membri del Comitato Centrale) che ha
allestito un congresso straordinario in cui ha
rimosso Milosevic dalla presidenza del partito e
dichiarato la sua disponibilità a collaborare
con Djindjic e le sue politiche economiche. La
più recente -all'atto di scrivere -
manifestazione di protesta ha visto riunite a
Belgrado circa 50.000 aderenti a quattro
formazioni: il PSS, con grande maggioranza, il
partito liberalnazionale di Vuk Draskovic, la
Sinistra Unita (JUL) di Mira Markovic e il Nuovo
Partito Comunista di Kitanovic.

VLADIMIR KRSLJIANIN

Pensiamo entrambi a Karzai, già consigliere
d'amministrazione della petrolifera USA UNOCAL,
che all'atto dell'insediamento da presidente
dell'Afghanistan "liberato", assegna all'UNOCAL
l'incarico di costruire - e sfruttare -
l'oleo-gasdotto dal Caucaso all'Afghanistan al
Pakistan all'India agli USA, quando leggiamo i
titoli che annunciano la conclusione a Zagabria
di un accordo tra serbi, croati e rumeni, per la
costruzione di un oleodotto dall'Asia centrale
a Vienna. L'esecuzione dell'accordo con le
proprie multinazionali verrà curato dall'Agenzia
USA per il Commercio e lo Sviluppo (USTDA) che
avrà la prima e l'ultima parola sull'opera e
sulla sua gestione. Il mio interlocutore è
Vladimir Krsljianin, membro della segreteria del
PSS, suo responsabile per gli esteri e portavoce.

Data: 03/09/2002 07:34
Da: The Centre for Peace in the Balkans
Oggetto: 9-11: If only we could turn back the clock


http://www.balkanpeace.org/press/prs14.shtml

Press Release

The Centre for Peace in the Balkans

TORONTO, September 01, 2002 - The Centre for Peace in the Balkans
responded to recent media information suggesting that a sister-city
relationship may be considered between New York City and Srebrenica.

9-11: If only we could turn back the clock

"There were 9,000 soldiers killed in Srebrenica in the eyes of the U.N.
soldiers, who were supposed to protect them. But they didn't do shit.
It's like watching those airplanes bang into the World Trade Center and
not trying to save those people." - Danis Tanovic, Academy Award
winner, Directors World, March 25, 2002.

Very influential circles in Bosnia and Herzegovina have recently
initiated a plan to make Srebrenica the sister town of New York City in
order to establish a symbolic link based on their perception of tragedy
in face of terror. However, their suggested similarities are unfounded.
Their plans are opportunistic attempts to propagate false information.
Consider the following:

* Sheik Omar Abdel Rahman (the convicted mastermind behind the 1993
World Trade Center bombing) was connected to the TWRA, a phony relief
agency. Alija Izetbegovic, the President of Bosnia, provided a
guarantee for Elfatih Hassanein (head of the TWRA and a personal friend
of Izetbegovic) to open an account for the TWRA in Die Erste Österreich
Bank in Vienna, Austria in 1993.

* Mohammed Haydar Zammar, the man who recruited key 9-11 hijacker,
Mohammad Atta, to the Al-Qaeda network, based his terrorist activities
in Bosnia. Zammar also brought two of Atta's lieutenants into the Al-
Qaeda network, namely Ramzi Binalshibh and Said Bahaji.

* Osama Bin Laden was given a Bosnian passport at the Bosnian Embassy
in Vienna, Austria. Many other terrorists connected to the Al-Qaeda
network also received blank Bosnian passports that enabled them to
further propagate their illicit activities.

* Abu el Maali (Abdelkader Mokhtari), a senior representative of Al-
Qaida, was based in Bosnia until recently. Just a few years ago, a US
official called him a junior Osama Bin Laden.

* Bensayah Belkacem was arrested in October 2001 in Bosnia. Numbers
stored in his mobile phone link him to at least one of Bin Laden's top
lieutenants.

The involvement of Al-Quaeda in radical Islamic activities and events
in Bosnia is however, frequently mentioned in the media and US
government reports. Unfortunately, it is also frequently overlooked.

New Yorkers and other victims of Osama Bin Laden's terrorist attack
were civilians and were not connected to a terrorist network in any
way.

Proclaiming New York City and Srebrenica sister towns misrepresents the
basis for forging such an important and symbolic relationship. Implying
that the terror suffered by 9-11 victims in New York is similar to
civil war suffering in Srebrenica is factually wrong. As such, a sister-
city relationship between New York City and Srebrenica should not be
established since it would be an insult to the memory of 9-11 victims.

For more information or to arrange an interview with a spokesperson,
please contact the Centre for Peace in the Balkans at e-mail:
scontact@.... Website: www.balkanpeace.org.

RELATED INFORMATION

[1] Al-Qaida On the Run , Voice of America News Report, June 22 02:

[2] A Bosnian Village's Terrorist Ties; Links to U.S. Bomb Plot Arouse
Concern About Enclave of Islamic Guerrillas, The Washington Post March
11, 2000:

[3] A U.S. Prisoner >From Bosnia Is Labeled a Top Qaeda Aide The New
York Times, January 23, 2002:

[4] Yossef Bodansky, Director, U.S. Congress' Task Force on Terrorism
and Unconventional Warfare

[5] US Senate Document

[6] The international Islamic mercenary force known as the mujahedeen

[7] Balkan Wars and terrorist ties

[8] LA Times:Los Angeles Times, October 07, 2001 Terrorists Use Bosnia
as Base and Sanctuary

MUSSOLINI A POLA

Da "GLAS ISTRE", quotidiano istriano - quarnerino, luglio 2002:

A Pola manifesti con l'immagine di Mussolini
POLA- "Bravo signor Jacovcich, questo statuto è un capolavoro! Tu
realizzerai quello che io non ho realizzato - italianizzare l'Istria!
Yes-IDS" [Dieta istriana N.d.T.], è scritto sul manifesto apparso in
alcune zone del centro di Pola. Sul manifesto c'è l'immagine del
dittatore italiano Benito Mussolini con l'elmetto durante un suo
discorso.
"Si capisce che questa campagna e' sporca, e non escluderei che questo
caso sia legato al tiro mancino giocato all'ex vicesindaco polese Mario
Quaranta, tanto più che il cittadino italiano che ha consegnato dei
soldi a Quaranta è stato espulso dalla Croazia all'inizio degli
anni '90": così ha commentato il manifesto Damir Kajin, vicepresidente
dell'IDS. (...) Secondo le parole dell'addetto all'ufficio stampa del
PU [commissariato di polizia] istriano, Stefanija Zumbar-Prosenjak, la
polizia ritiene che i manifesti siano stati affissi nella notte tra
lunedi e martedi. Il caso è stato denunciato e la polizia sta indagando
per scoprire gli autori del fatto. (Z.O.)

Socialist Workers´ Party of Croatia

10000 Zagreb, Palmoticeva 70/II, Croatia
tel/fax: + 385 (0)1 48 39 958 e-mail: srp@...

The Socialist Workers' Party of Croatia has been the only political
party in Croatia that has resisted our country's joining NATO , as well
as all the other military alliances. During the so-
called "humanitarian" bombing of the Federal Republic of Yugoslavia, we
warned about the consequences of the attacks. We were the lone voice to
speak out about the fact that many people experience great suffering,
either directly, or indirectly in the name of "principles and values"
regardless of their political views. We warned, furthermore, of the
fact that NATO destroyed a great number of housing plants, industrial
plants, bridges and other parts of the infrastructure, as well, of
course, as of the very negative effects of the bombings on the
environment.

Just as we, in Croatia, have begun to recover from the "crusades of the
20th century at the end of the millennium, new consequences of the
attack are being disclosed. While we are listening in for the cases of
the Italian soldiers who were taking part in the attack on FR
Yugoslavia and in whose cases radiation sickness caused by
the "depleted uranium" was ascertained, the criticising of NATO is
becoming a matter of an increasing current interest even in Croatia.
And yet, in disregard of that, the aim of becoming member of NATO is
still being emphasised as one of the "strategic" interests of Croatia.
We ourselves - the members of the Socialist Workers´ Party of Croatia -
are taking this occasion to shatter the illusions of the public and to
make a clear statement to the public about what the status of being a
member of NATO would really mean for Croatia :

To become a part of NATO would cause a drop of the number of 60000
currently personnel in our army service to 25000 - 20000 and yet it
would not mean that the state budget for the army would decrease. On
the contrary, it would increase dramatically due to modernisation of
existing weapons and purveyance of new weapons to adapt and,
ultimately, to achieve NATO standards. It would furthermore, be
mandatory for Croatia, as a NATO member, to send its soldiers to
military actions where they could be killed, wounded or even exposed to
radiation sickness as were the Italian soldiers. Naturally, one must
forcefully ask this question:

Hasn´t this war been enough to you? Haven´ t we had enough people die?
Should we have more people die in the name of "defense" of who knows
whose interests and who knows where?

Military alliances and arbiters from abroad cannot bring prosperity and
human welfare to nations and states in our part of Europe and in the
entire globe. Only the processes of demilitarisation and
neighbourliness can bring us these things. Because of what we believe,
the Socialist Workersa Party of Croatia demands that a public
referendum be held to decide whether Croatia shall apply for membership
in NATO. Furthermore, we consider it absolutely imperative that we
begin the process of demilitarisation. Expenditures for defense are
currently 70% of the GDP! If we implement demilitarisation these huge
expenditures would of course decrease tremendously and, this would help
greatly the way for the economical and consequenly any other form of
betterment of Croatia.

http://www.srp.hr/eanto.htm