Informazione

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I krizari

Il motivo per cui il Vaticano ed i servizi segreti occidentali
lasciarono fuggire gli ustascia era la necessit� di sconfiggere il
nemico "ateo bolscevico", creando un movimento di resistenza
clandestino per far scoppiare un'insurrezione nella neonata
Jugoslavia di Tito.

Oltre al compito di aiutarli a scappare, nel dopoguerra Draganovic
aveva anche ``quello di coordinare e dirigere l'attivit� degli ustascia
in Italia'' (108).

Poche settimane dopo la conclusione della guerra, il 25 giugno 1945,
gli ustascia si erano messi in contatto con la missione papale a
Salisburgo, nella zona dell'Austria controllata dagli Stati Uniti (60).
``Chiedevano l'assistenza del papa per creare un altro Stato croato
indipendente, o almeno un'unione adriatico-danubiana in cui la
Croazia, secondo le leggi di natura, avrebbe la possibilit� di
svilupparsi'' (60).

``Uno degli ecclesiastici che maggiormente si impegnarono ad
aiutare gli ustascia fu l'arcivescovo di Salisburgo Andreas
Rohracher [il quale] mise la Chiesa a disposizione della
Confederazione Pandanubiana dell'Intermarium'' (136).

I servizi segreti occidentali conoscevano benissimo queste trame, ed
un rapporto dei servizi segreti USA di quegli anni lo riassumeva con
le seguenti parole: ``Stanno tentando di istituire lo Stato
Intermarium o Inter-Danubio, composto da tutte le nazioni
cattoliche dell'Europa sudorientale'' (149). Anche ``importanti
politici e burocrati italiani aiutavano le operazioni terroristiche dei
krizari'' (135).


Nel 1945 gli ustascia formularono ``l'offerta di mettersi a
disposizione del comando anglo-americano. [...] Gli inglesi avevano
accettato immediatamente questa offerta'' (136).

``Sia gli inglesi sia, in un secondo momento, gli americani avevano
assoldato quegli stessi nazisti che venivano protetti dalla Chiesa''
(128) per ``colpire con azioni terroristiche bersagli strategici e
uomini al servizio dei comunisti'' all'interno della Jugoslavia (129).
``Questi agenti venivano presi dalle fila degli ustascia sconfitti di
Pavelic. Riandando ai giorni della cristianit� militante, il poglavnik
chiam� questi guerrieri cattolici "krizari", ossia i suoi crociati''
(129). Tale nome derivava da quello di un gruppo ecclesiastico
ufficiale degli anni Trenta, denominato anch'esso "krizari" (145).

``Il distaccamento del CIC a Trieste riceveva informazioni sulle
operazioni che inglesi e americani dovevano compiere
congiuntamente, tra cui una campagna di reclutamento patrocinata
dagli alleati al fine di procacciare volontari per il movimento
krizari. Molti di questi volontari erano gi� stati portati in un campo
di addestramento americano ad Udine o l� vicino, dove ricevevano la
preparazione necessaria. Venivano dati loro approvvigionamenti e
uniformi dell'esercito americano, pi� 700 lire al giorno di paga.
Alla fine del loro addestramento, gli uomini venivano muniti di armi
americane e portati in Austria, dai cui confini entravano in territorio
jugoslavo. Potevano utilizzare i campi inglesi in Austria, nei quali si
ritiravano periodicamente per riposarsi'' (145).

Uno dei principali collegamenti americani con la ratline di
Draganovic ``durante gli anni 1946-47 [era] il colonnello Lewis
Perry, [che] faceva parte del distaccamento del CIC a Trieste''
(145-146). Costui manteneva rapporti in particolare con Srecko
Rover (146).

``Pavelic e Draganovic collaboravano strettamente, impartendo di
comune accordo i loro ordini ai gruppi terroristici'' (132). ``Pavelic
e i camerati pi� vicini a lui s'incontravano regolarmente con
elementi simpatizzanti delle forze armate inglesi, che avevano
pagato per la riorganizzazione unitaria degli ustascia da usare, alla
fine, contro Tito'' (136).

``I rifornimenti militari ai krizari provenivano quasi esclusivamente
dagli inglesi e comprendevano mortai, mitragliatrici, fucili
mitragliatori, radio ricetrasmittenti da campo e uniformi di fattura
inglese'' (136-137). In Vaticano si trovava ``il centro del comando.
Gli aiuti [...] armi e altri rifornimenti di base arrivavano dal
Vaticano con metodi clandestini. [...] Le armi che giungevano in
Croazia provenivano dalla Svizzera'' (137).

Il finanziamento del movimento avveniva attraverso le operazioni di
riciclaggio di denaro sporco di sangue proveniente dal furto nei
confronti degli ebrei e dei serbi durante la guerra; inoltre
``attraverso figure molto influenti in ambito ecclesiastico, il
comando dei krizari riceveva dei fondi vaticani. Alcuni furono usati
per indurre il governo italiano di Alcide de Gasperi a fornire le armi
richieste per la loro crociata contro Tito'' (143).

``Il colonnello dei krizari Drago Marinkovic [...] aveva la
responsabilit� di procurarsi armi e fondi di provenienza italiana,
viaggiando in lungo e in largo per le missioni tra Trieste, Venezia e
Roma. Inoltre Marinkovic aveva contattato il Vaticano a Roma, dove
[era] riuscito ad ottenere una grossa somma di denaro. [...] Questi
soldi servirono per procurarsi delle armi: [...] un camion con
rimorchio che trasportava fucili mitragliatori nascosti tra pezzi di
mobilio [fu consegnato ad] un gruppo di persone in attesa di portare
le armi in Jugoslavia'' (143).

``I criminali comuni, soprattutto spacciatori di droga e operatori del
mercato nero, venivano spesso utilizzati per aiutare i krizari ad
attraversare il confine jugoslavo'' (145). Il traffico delle armi
avveniva ``dietro la copertura della Croce Rossa Italiana'' (145).

A dicembre 1945 ``padre Ivan Condric e altri quattro preti furono
riconosciuti colpevoli di aver organizzato le azioni terroristiche dei
krizari'' (131). Si trattava del primo processo contro i krizari in
Jugoslavia: in seguito ne vennero altri.

``Nell'agosto del 1946, una quantit� considerevole di opuscoli venne
gettata sul territorio croato da alcuni aeroplani, decollati, a quanto
pare, dalla zona inglese dell'Austria. Questi opuscoli, firmati da
Pavelic, dichiaravano che la guerra sarebbe continuata senza tregua
fino alla definitiva eliminazione di Tito [...]'' (136).

Negli anni 1946-47, i krizari si infiltrarono in Croazia a partire
dalle loro basi in Austria: ``i loro ordini erano di rafforzare il
movimento clandestino e di lanciare una violenta campagna di
assassinii e sabotaggi, per prepararsi al momento in cui avrebbero
finalmente regolato i conti coi loro vecchi nemici. Il loro scopo era
quello di ricongiungersi coi potenti reparti che operavano
sull'impervio terreno, distruggere le comunicazioni telegrafiche,
telefoniche e ferroviarie, attaccare l'industria e assassinare i pi�
importanti rappresentanti politici e militari. Invece di trovare un
movimento clandestino ben organizzato di 300.000 uomini,
s'imbatterono presto nell'efficiente e spietata polizia segreta di Tito.
A pochi giorni, se non addirittura a poche ore, dal superamento del
confine, la maggior parte di loro si ritrov� in mano ai comunisti''
(130-131).

Tra di loro ``c'erano alcune persone che avevano eseguito le stragi
pi� brutali per conto di Ante Pavelic, uomini che avevano messo in
atto i sanguinosi metodi politici e razziali del loro poglavnik con
incredibile accanimento'' (130).

``Il contatto radio era mantenuto mediante una radio da campo fatta
funzionare da Vrancic [...] e situata nella zona inglese dell'Austria.
Si ritiene che al servizio di corriere ustascia all'interno delle zone
austriache collaborasse la Chiesa cattolica romana in Austria [e in
particolare] il cardinale di Graz'' (133).

``L'uomo al comando delle operazioni era uno dei pi� fedeli
servitori del poglavnik, Bozidar Kavran, assistito da Lovro Susic''
(134).


``Gli Sloveni avevano istituito la loro sezione del movimento
krizari'' sotto la leadership spirituale del vescovo di Lubiana
Rozman, che si era rifugiato a Klagenfurt (137-138). Il capo dei
krizari sloveni era Franjo Lipovec (143). ``Nel 1945 [Lipovec] fu
arrestato dal SIS a Trieste, dove [...] fu assunto e stipendiato'' dal
servizio segreto inglese (143).

``Lipovec costituiva il principale legame tra i krizari e il governo
italiano. Nell'agosto 1946, s'incontr� con alti ufficiali del servizio
segreto militare italiano, i quali proposero di stabilire un certo
grado di collaborazione. Lipovec accett� la loro offerta e vendette
completamente se stesso e i suoi piani agli italiani. Tali piani
vennero a loro volta forniti al capo di gabinetto di De Gasperi e, in
seguito, il presidente del Consiglio italiano assicur� a Lipovec che il
suo governo avrebbe fatto, in via ufficiosa, qualsiasi cosa in suo
potere per rafforzare l'opposizione a Tito, promettendogli un
appoggio incondizionato nel caso in cui la situazione si fosse fatta
pi� favorevole.

Con il sostegno finanziario dei servizi segreti italiani, Lipovec e i
suoi camerati lanciarono quindi una campagna di propaganda per
procurarsi nuove reclute tra gli esuli politici a Trieste. Il passo
successivo fu quello di armare le unit� di krizari che si trovavano
nella zona e, dopo diversi incontri col servizio segreto italiano,
Lipovec raggiunse un accordo secondo cui armi provenienti dai
depositi dell'esercito italiano sarebbero state messe a sua
disposizione per essere inviate ad elementi krizari che si trovavano a
Trieste. Nei mesi di febbraio e marzo del 1947, secondo l'accordo,
[...] furono consegnati otto carichi d'armi, che comprendevano 500
armi automatiche, circa 4.000 granate a mano, 100 pistole e pi� di
30 bombe a orologeria. I servizi segreti italiani pagarono le spese di
trasporto per portare le armi fuori dalla zona alleata di Trieste fino
in Jugoslavia'' (143-144).

``Trieste [che si trovava sotto l'amministrazione militare degli
inglesi] rappresentava il punto d'incontro tra le forze di resistenza
all'interno della Jugoslavia e le forze che le stavano finanziando,
controllando e dirigendo in Italia. Il principale collegamento era
costituito dal professor Ivan Protulipac, [...] l'uomo di padre
Draganovic a Trieste'' (144-145). Protulipac ``dopo la guerra
assunse un ruolo di primo piano [...] finch� verso la fine del 1946 gli
agenti comunisti non lo assassinarono a Trieste'' (145).


``La sezione croata della Croce Rossa fondata da Cecelja era, in
effetti, sotto il controllo degli ustascia, che ne utilizzavano i vari
uffici come agenzia per la raccolta di informazioni per operazioni
clandestine in Jugoslavia e in Austria. Inoltre Cecelja era noto come
uno dei principali organizzatori ustascia in Austria, dove [venivano
organizzati] regolarmente raduni militari'' (104).

Una delle loro basi era a Trofaiach (Austria), ed era diretta da
Bozidar Kavran e Srecko Rover (146). Quest'ultimo fu
successivamente sospettato di essere una spia di Tito, in quanto tutte
le operazioni da lui dirette si rivelarono disastrose: i suoi uomini
venivano regolarmente arrestati appena mettevano piede in
Jugoslavia, mentre lui la scampava sempre (147-148).

``Tanti dei criminali di guerra che vennero [tratti in salvo dalla rete
di Draganovic] furono catturati in seguito durante missioni
terroristiche compiute all'interno della Jugoslavia'' (121).

In luglio ed agosto del 1948, si tenne a Zagabria un processo
giudiziario contro 57 imputati, per gli atti di terrorismo compiuti
dai krizari. ``Il verdetto, dichiarando colpevoli gli imputati, li
condannava a morte o a lunghi periodi di carcere'' (130).

In Ratlines, il procedimento viene chiamato sarcasticamente
"processo pilotato", e viene manifestato chiaramente il disprezzo
degli autori nei confronti della Jugoslavia di Tito. Dopo sei pagine di
denigrazione del processo, tuttavia, gli autori arrivano alla seguente
conclusione:

``� possibile che le strane accuse fatte dagli jugoslavi
durante il "processo pilotato" ai krizari avessero,
dopotutto, una certa sostanza'' (137).

Il Foreign Office smentiva le accuse che gli venivano formulate al
processo, accusando invece l'alleato americano; tuttavia ``dietro la
rinascita militare e politica degli ustascia c'era proprio il SIS''
(132).

``Nel 1948 le prove presentate durante il processo pilotato ai krizari
lasciarono ben pochi dubbi sul fatto che la polizia segreta comunista
si fosse servita di agenti doppiogiochisti per condurre una
contro-operazione molto sofisticata. Erano riusciti in qualche modo
a procurarsi i codici radio segreti usati dai krizari ed erano
informati, con buon anticipo, sui dettagli precisi delle loro
operazioni. Conoscevano gli itinerari esatti adoperati dai gruppi che
cercavano di entrare clandestinamente in Jugoslavia, come pure la
data e l'ora del loro ingresso nel paese. Grazie a questi vantaggi, era
facile per la polizia segreta attirare i krizari inconsapevoli nelle
loro
mani, servendosi dei loro stessi codici radio. Una volta all'interno
del paese, potevano catturarli quando volevano.

[...] Nonostante questi terribili rovesci, le operazioni proseguirono e
si estesero addirittura in altri paesi comunisti. Per tutti gli anni
Cinquanta, fino agli inizi degli anni Sessanta, il governo jugoslavo
continu� a processare gli agenti catturati, molti dei quali erano
presumibilmente finanziati da padre Draganovic e agivano dietro
suoi ordini'' (148-149).

``Altri eserciti cattolici clandestini erano stati radunati per
disgregare e, se possibile, rovesciare i regimi comunisti dell'Europa
centrale e orientale. In Cecoslovacchia, in Polonia, negli Stati
Baltici e in Ucraina gruppi di nazisti clandestini operavano a stretto
contatto con i krizari. [Fra i] complici dei krizari c'erano famigerati
[fascisti ucraini, sotto il comando di] Stjepan Bandera, per costruire
[...] il Blocco delle Nazioni Anti-bolsceviche. Cominciarono presto a
lavorare per l'occidente'' (149).



Riciclaggio di denaro sporco (di sangue)

Oltre a nascondere i fuggiaschi ed a impiegarli nel terrorismo, alcuni
funzionari ecclesiastici riciclavano i tesori rubati dai nazisti alle
loro
vittime (32). Erano coinvolte nelle operazioni numerose ``banche
situate in Gran Bretagna, in Palestina, in Italia e in Svizzera.''

Inoltre Walter Rauff, dopo aver preso contatto con l'arcivescovo Siri
``si impegn� a riciclare denaro falso con l'aiuto di Frederick
Schwendt, un ex-collega di Rauff nelle SS. Schwendt � considerato
tra i pi� grandi falsari della storia'' (47).


``Con l'aiuto dei preti cattolici, all'inizio del 1944 Pavelic aveva
cominciato a trasferire [a Berna] notevoli quantit� d'oro e di
valuta.'' Il tesoro doveva ammontare a 2500-3000 kg di oro (142),
``ossia in realt� i valori delle vittime assassinate da Pavelic, rubati
dagli ustascia in fuga'' (127-128).

Una parte del tesoro fu portata a Roma con dei camion dal tenente
colonnello inglese Jonson. ``Due autocarri [...] che trasportavano
una parte del tesoro degli ustascia avevano [...] raggiunto l'Austria''
e furono trasferiti in Italia ``per finanziare il movimento croato di
resistenza in Jugoslavia'' (133).

Inoltre, ``a Wolfsber erano stati nascosti 400 kg d'oro, del valore di
milioni di dollari, nonch� una considerevole quantit� di valuta
straniera, e l� si trovavano sotto il controllo dell'ex-ministro
ustascia Lovro Susic.'' Gli ufficiali ustascia ``dissero a Draganovic
di tenere [il tesoro] al sicuro. Il sacerdote obbed� fin troppo
volentieri; contatt� Susic e, con il suo accordo, prese 40 kg di
lingotti d'oro e li port� a Roma, nascosti in due casse da
imballaggio'' (133).

``Susic nomin� Draganovic membro di un comitato di tre persone
incaricato di controllare il tesoro. [Gli altri due erano]
l'ex-ministro ustascia Stjepan Hefer e il generale di gendarmeria
Vilko Pecnikar'' (134). Draganovic ``consent� a Pecnikar di avere
accesso al tesoro accumulato per la sua ratline. [...] Parte di quel
tesoro and� a finanziare anche una nuova campagna terroristica,
appoggiata dall'occidente, all'interno della Jugoslavia'', ossia il
movimento dei krizari (112).

Nella veste di ``tesoriere della sezione ufficiale croata della
Pontificia Commissione di Assistenza Profughi [padre Mandic]
provvedeva alla vendita dell'oro, dei gioielli e della valuta straniera
depositati dagli alti ufficiali ustascia in cambio di valuta italiana''
(127-128).

Nei primi mesi del 1948 il vescovo di Lubiana Rozman si rec� a
Berna, dove ``2400 kg d'oro e altri valori rimanevano ancora
nascosti. [...] Avrebbero dovuto essere usati per aiutare i profughi di
religione cattolica'', il solito eufemismo per dire gli ex-ustascia.
Gli alleati, e in particolare gli americani, erano perfettamente a
conoscenza dell'esistenza di questo tesoro (142). ``Gli amici ustascia
di Rozman erano impegnati in un'enorme truffa, in cui ci si serviva
del mercato nero per convertire l'oro in dollari e, pi� tardi, in
scellini austriaci'' (142).

(3/6 - continua)

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(4/6 - continua)

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I personaggi

I preti

papa Pio XII (Eugenio Pacelli)

Fu papa dal 1939 al 1958, era un fervente anticomunista, e a
causa delle sue posizioni politiche veniva detto "il papa
tedesco" (54). Durante la guerra appoggi� la Croazia di Ante
Pavelic (82-83). Era perfettamente al corrente delle ratlines
organizzate da Hudal e Draganovic, in quanto era tenuto al
corrente da Montini (122,126).

Giovanni Montini, il futuro papa Paolo VI

Assistente personale di papa Pio XII nella veste di
sottosegretario di Stato per gli affari ecclesiastici (25-26).
Durante la guerra fu coinvolto nelle trattative fra nazisti e
occidente (25) e fu organizzatore, per conto del papa, del
Servizio Informazioni del Vaticano (il servizio segreto
vaticano) (26).

Fu lui a rifiutare l'udienza a Bokun, inviato dalla monarchia
jugoslava per trasmettere al Vaticano le prove delle atrocit� di
Pavelic, malgrado che ``non ci fossero dubbi che Montini fosse
ben informato sulla reale situazione'' (82).

Aiut� e collabor� con Hudal per l'organizzazione della fuga
dei nazisti (43). Era anche l'amico di Draganovic (67,94).
Questi talvolta ``chiedeva a Montini di procurarsi pi� visti da
paesi che non ne emettevano in numero adeguato, e il
burocrate vaticano intercedeva presso i diplomatici
competenti'' (125). Altre volte, invece, era Montini a chiedere
a Draganovic di ``far espatriare clandestinamente certa
gente'' (125). Era sempre Montini che nascondeva Ante
Pavelic a Castel Gandolfo (87).

``In quel periodo Montini era il prediletto del papa e dirigeva
l'opera caritatevole della Santa Sede a beneficio dei profughi.
Dato che i due prelati s'incontravano quotidianamente per
parlare del lavoro che la Segreteria di Stato doveva svolgere, �
inconcepibile che Pio XII fosse all'oscuro di tutto'' (126).

Alois Hudal

Vescovo austriaco, amico di Pio XII (40), antisemita convinto
(55), e principale organizzatore della rete di fuga (ratline) per i
criminali di guerra tedeschi nell'immediato dopoguerra.

``Nato il 31 maggio 1885, divenne professore di studi
sull'Antico Testamento all'Universit� di Graz nel 1919.
Quattro anni pi� tardi, Hudal si trasfer� a Roma come rettore
del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima, situato su
una strada che paradossalmente si chiama Via della Pace''
(37).

In tale veste, durante la guerra il vescovo aveva ``prestato
servizio come commissario dell'episcopato per i cattolici di
lingua tedesca in Italia [e] come padre confessore della
comunit� tedesca a Roma'' (37).

Il Pontificio Collegio, uno dei tre seminari per preti tedeschi a
Roma (34), ``era stato fondato nel XVI secolo per la
formazione teologica dei preti tedeschi, ma nel dopoguerra
divenne un centro nevralgico per l'espatrio clandestino dei
nazisti'' (37).


Hudal ``era un ardente anticomunista, convinto che la vera
minaccia per l'Europa fosse rappresentata dal bolscevismo
ateo. Era perci� favorevole al raggiungimento di un accordo
con i nazionalsocialisti tedeschi, che rappresentavano l'unica
potenza abbastanza forte da sconfiggere i comunisti. [...]
Riteneva che questa fosse una lotta di importanza vitale per la
Chiesa, una lotta che avrebbe deciso chi, fra il comunismo e la
cristianit�, sarebbe alla fine sopravvissuto'' (37-38).

``All'inizio degli anni Trenta [...] appoggi� apertamente
Hitler, viaggiando in molte zone dell'Italia e della Germania
per arringare le grandi folle di cattolici di lingua tedesca''
(37).
``Pensava di essere stato chiamato da Dio per stabilire dei
rapporti fra i nazisti e la Chiesa Cattolica'' (37).

Nell'aprile 1933 negozi� con Franz von Papen, il
vicecancelliere di Hitler, il concordato tra Berlino e la Santa
Sede. ``Prima della fine di quello stesso anno divenne
senz'altro l'alleato politico di von Papen e fu da lui consultato
immediatamente dopo il fallito putsch nazista in Austria''
(38).

``Nel 1936 pubblic� un trattato filosofico intitolato I
Fondamenti del Nazionalsocialismo'', libro che ottenne
l'imprimatur (ossia il permesso ufficiale della Chiesa per la
pubblicazione) da parte del primate della Chiesa austriaca, il
cardinale filonazista Theodore Innitzer (38). ``Il cardinale lo
approv� calorosamente come prezioso tentativo di pacificare
la situazione religiosa del popolo tedesco'' (38-39).

Il libro fu bandito dal ministro tedesco della propaganda
Joseph G�bbels, il quale ``non permetteva che i fondamenti del
movimento venissero analizzati e criticati da un vescovo
romano'' (39). Ciononostante, Hudal rimaneva ben visto alla
gerarchia nazista, e ``portava un distintivo d'oro di
appartenenza al partito di Hitler'' (39). Inoltre se ne andava
``orgogliosamente in giro per Roma con il vessillo di una
Germania pi� grande sulla sua automobile; ma quando, nel
giugno del 1944, gli alleati giunsero nella capitale italiana,
Hudal fu il primo a cambiarla: improvvisamente la sua
bandiera divenne austriaca'' (42).

``Nel 1945, dall'oggi al domani, Hudal, da ideologo fascista
qual era, cominci� a manifestare le sue nuove aspirazioni
democratiche. Abbandonando la sua posizione favorevole alla
Germania, s'affrett� a unirsi al libero comitato austriaco di
Roma, e collabor� persino all'organizzazione di una
liberazione simbolica della legazione austriaca.''
Quest'atteggiamento ipocrita era molto diffuso fra gli
Austriaci, popolo ``la cui percentuale di iscritti al partito
nazista era pi� elevata di quella della Germania'' e che
malgrado ci� ha ``immediatamente richiesto un trattamento
speciale in quanto prima vittima di Hitler'' (42).


Dopo la guerra Hudal fece scappare numerosi criminali di
guerra attraverso la rete di fuga che aveva provveduto a
predisporre sin dal 1943. Nel 1947 il suo operato fu scoperto e
lo scandalo lo costrinse a farsi da parte. Tuttavia ``ci vollero
quasi quattro anni per sostituire il vescovo austriaco come
rettore del Collegio di Santa Maria dell'Anima. Infine, nel
Natale del 1951 Hudal si arrese di fronte all'ineluttabile,
annunciando che avrebbe lasciato il Collegio nel luglio
seguente.'' (55).

``Convinto che la sua unica colpa fosse quella di avere una
cattiva immagine presso la stampa, Hudal rimase a Roma fino
alla sua morte, [che avvenne nel 1963 a Grottaferrata], senza
pentirsi mai della sua opera a beneficio dei criminali di guerra
nazisti:

Aiutare la gente, salvare qualcuno, senza pensare
alle conseguenze, lavorando altruisticamente e con
determinazione, era naturalmente ci� che ci si
sarebbe dovuti aspettare da un vero cristiano. Noi
non crediamo all'"occhio per occhio" degli ebrei''
(55).

Siri

Il vescovo di Genova Siri era il terminale genovese della rete
del vescovo Hudal. ``Era uno dei principali coordinatori di
un'organizzazione internazionale il cui scopo era quello di
provvedere all'emigrazione di europei anticomunisti in
Sudamerica. Questa classificazione generale di anticomunisti
comprende, ovviamente, tutte le persone compromesse
politicamente agli occhi dei comunisti, vale a dire fascisti,
ustascia e altri gruppi del genere. [...] Siri rappresentava il
contatto di Walter Rauff nella messa a punto del sistema usato
da Hudal per far fuggire clandestinamente dall'Europa i
latitanti tedeschi'' (117).

``Anche se pensava soprattutto a mantenere la propria
organizzazione, Siri sapeva tutto sulla rete croata'' e aiutava
talvolta Petranovic ``dandogli una mano ogni volta che
poteva'' (117).

Krunoslav Draganovic

Prete croato, stretto collaboratore di Ante Pavelic, sia durante
che dopo la guerra. In quanto ``rappresentante croato
all'Intermarium in veste quasi ufficiale'' (65) si impegn� a far
fuggire molti criminali ustascia ed a organizzare il movimento
dei krizari. Era noto come "l'eminenza grigia dei Balcani"
(123) ed anche ``come "il prete d'oro" poich� controllava gran
parte del tesoro rubato'' alle vittime degli ustascia durante la
guerra (133).

Nacque nel 1903 a Brcko, in Bosnia, e prese i voti nel 1928.
Dal '32 al '35 studi� al Pio Pontificio Istituto Orientale e
all'Universit� Gregoriana Pontificia, lavorando negli archivi
vaticani (66). ``Divenne in seguito segretario del vescovo di
Sarajevo Ivan Saric, che raggiunse una certa notoriet� durante
la guerra come boia dei Serbi'' (66,136).

``Quando i nazisti occuparono Zagabria nell'aprile del 1941,
era professore di teologia all'universit� locale. In seguito
raccont�:

Quando venne proclamato lo stato croato
indipendente ero in attesa a Zagabria con le
lacrime agli occhi. Pensavo che la nazione croata,
dopo otto secoli, avesse finalmente realizzato il
suo pi� profondo desiderio d'indipendenza e
d'autonomia'' (106).

(In realt� lo stato croato non era per nulla indipendente: era
uno stato fantoccio impiantato dai Tedeschi senza che i Croati
avessero neanche dovuto combattere)

``Era vicepresidente dell'Ufficio per la Colonizzazione
ustascia. Questo ufficio costituiva parte integrante della
macchina usata dai nazisti per il genocidio, poich� disponeva
dei serbi o degli ebrei destinati allo sterminio, oppure, se
erano molto fortunati, alla deportazione'' (106).

``Draganovic era un criminale di guerra latitante: la
Commissione Jugoslava per i Crimini di Guerra mise a
verbale che il sacerdote era stato un alto funzionario del
comitato addetto alla conversione forzata al cattolicesimo dei
serbi ortodossi. Inoltre aveva scoperto il suo ruolo di primo
piano nella requisizione forzata di cibo durante la sanguinosa
offensiva anti-partigiana compiuta dai nazisti sul Monte
Kozara, nella Bosnia occidentale, durante l'estate del 1942.
Fu la stessa offensiva in cui l'ex-presidente austriaco Kurt
Waldheim svolse un ruolo di primo piano come ufficiale
nazista. Pavelic confer� a Waldheim un'importante
decorazione per i suoi servigi e poi, alla fine della guerra, lo
segu� in Austria'' (105-106).

``Nell'agosto del 1943, Pavelic e l'arcivescovo Stepin�c
inviarono Draganovic a Roma [con la carica di] rappresentante
ustascia in Vaticano [per] costruire la rete clandestina per
l'espatrio dei nazisti'' (107). In tale veste, ed in quella di
rappresentante della Croce Rossa croata, inizi� a preparare i
percorsi di fuga per i criminali di guerra (66).

``Riceveva l'appoggio dell'arcivescovo di Croazia, Aloysius
Stepin�c, che gli aveva procurato influenti contatti in
Vaticano'': si incontrava regolarmente con il segretario di
Stato Maglione, con il vicesegretario di Stato Montini (il
futuro papa Paolo VI), e persino con papa Pio XII (66-67,94).

Divenne segretario della Confraternita croata di San
Girolamo, situata a Roma, in Via Tomacelli 132 (65).
``Fondata nel 1453 con il patrocinio di papa Nicola V, la
Confraternita di San Girolamo aveva sfornato alcuni dei pi�
eminenti studiosi, scienziati, scrittori e preti della Croazia''
(66).


Nel dopoguerra sar� lui a coordinare e dirigere il movimento
ustascia in Italia (108), facendo fuggire i criminali di guerra
attraverso la sua rete clandestina e reclutandoli per entrare a
far parte dei krizari (131).

``Draganovic era non soltanto un capo del Partito Clericale
Croato, ma anche uno dei maggiori leader dei krizari.
Manteneva eccellenti contatti con le sue forze all'interno della
Croazia e riceveva il sostegno della Chiesa Cattolica'' (137).

``Nell'estate del 1945, Draganovic fece personalmente un giro
dei campi in cui erano stati sistemati ex-componenti delle
forze armate e delle organizzazioni politiche ustascia. Avvi�
ben presto un'intensa attivit� politica e prese contatto con i
principali rappresentanti ustascia. In questo era assistito da
altri sacerdoti croati, con l'aiuto dei quali si mantennero
stretti rapporti fra la Confraternita di San Girolamo e i gruppi
ustascia in tutta Italia e anche in Austria. Ci� condusse alla
formazione di un servizio di spionaggio politico che permise
alla Confraternita di raccogliere resoconti e dati sulle
tendenze politiche tra gli emigrati. � altres� probabile che le
informazioni apprese da questi rapporti venissero poi
trasmesse al Vaticano'' (107).

Si sospetta che Draganovic agisse nell'ambito del servizio
segreto vaticano, agli ordini di monsignor Angelo Dell'Acqua;
sono inoltre confermati ``stretti legami tra Draganovic e i
servizi segreti italiani'' (123).


Draganovic ``dichiarava inequivocabilmente che coloro i
quali hanno commesso crimini di guerra, soprattutto crimini
contro l'umanit�, devono essere puniti. Tuttavia sosteneva che
proprio i pi� colpevoli non avrebbero dovuto essere classificati
come criminali di guerra'' (119). ``Le uniche persone
condannate da Draganovic come criminali di guerra furono i
soldati che s'insanguinarono effettivamente le mani [...]. Egli
escludeva [...] i politici che avevano effettivamente decretato le
leggi razziali che avevano reso legale la strage'' (120).

Vilim Cecelja

``Schedato dal governo di Tito come criminale di guerra
numero 7103'' (101), questo prete ustascia collabor�
attivamente con il regime di Ante Pavelic durante la guerra, e
dopo divenne il collegamento austriaco della rete di
Draganovic (100).

``Dieci giorni dopo che Pavelic fu messo al potere dai nazisti,
il quotidiano ufficiale ustascia "Hrvatsky Narod" (Nazione
Croata) pubblic� una lunga intervista con Cecelja. L'articolo
s'intitolava "Il prete ustascia Cecelja" e rivelava quelle che
erano, all'epoca, le sue vere attitudini. Nel corso di esso,
Cecelja si vantava dell'importante ruolo svolto, prima della
guerra, nelle attivit� illegali del movimento a Zagabria, dove
molti capi ustascia che operavano clandestinamente s'erano
incontrati in segreto nella sua parrocchia.

Ammise [di fronte agli autori di Ratlines, che lo intervistarono
nel 1989] di aver fatto parte segretamente del movimento
ustascia, descrivendo con orgoglio il giuramento rituale che
aveva compiuto davanti a due candele, a un crocifisso e a una
spada e una pistola incrociate. Ci� gli valse il titolo di
"Ustascia Giurato", concesso soltanto a coloro che militavano
nel partito da prima della guerra. Successivamente il prete
fascista offr� a Pavelic il suo crocifisso e le sue candele in
segno di devozione. Cecelja parl� con orgoglio anche del suo
ruolo di primo piano nel coordinamento di 800 contadini che
combatterono a fianco dei nazisti invasori.

Quando ci fu bisogno di un sacerdote per officiare alla
cerimonia del giuramento di Pavelic, Cecelja fu ben lieto di
farlo, impartendo cos� la benedizione della Chiesa al regime
fantoccio dei nazisti. Poco tempo dopo, in pubblico, Cecelja
"salut� con gioia il momento di libert�", proclamando
apertamente i suoi stretti collegamenti con i maggiori ministri
del gabinetto ustascia, come Mile Budak. Qualche settimana
pi� tardi Budak annunci� pubblicamente il destino di due
milioni di serbi in Croazia: un terzo doveva essere ucciso, un
altro terzo deportato e il resto convertito con la forza al
cattolicesimo. Cecelja, tuttavia, non modific� il suo
atteggiamento benevolo nei confronti di Budak'' (101).

Fece parte ``della delegazione ufficiale di Pavelic a Roma,
benedetta in Vaticano da Pio XII il 17 maggio del 1941. A
quell'epoca il dittatore croato aveva gi� promulgato le sue
leggi contro i serbi e gli ebrei e il genocidio era in corso. La
principale conquista della delegazione fu la cessione della
costa dalmata all'Italia, cosa che non rappresent� certo un
atto di patriottismo croato'' (101).

``Cecelja ha tranquillamente ammesso di essere stato
cappellano militare nelle forze ustascia durante la guerra, [...]
nominato da Pavelic in persona nell'ottobre del 1941 e pi�
tardi confermato dal suo caro amico, l'arcivescovo (in seguito
cardinale) Aloysius Stepin�c'' (101).

``Nel maggio del 1944 abbandon� finalmente la sua carica [di
cappellano militare] per recarsi a Vienna, ufficialmente per
prendersi cura dei soldati croati feriti in battaglia. In realt�, il
suo compito era quello di preparare il capo austriaco della
rete per l'espatrio clandestino dei criminali nazisti, per cui
fond� anche la sezione locale della Croce Rossa Croata, che
forniva una copertura ideale alla sua attivit� illecita'' (102).
A proposito della Croce Rossa Croata, bisogna far notare che
la stessa Croce Rossa Internazionale si rifiut� di riconoscerla,
``pur offrendole ufficiosamente notevole assistenza'' (102).

``Un diplomatico americano sollev� Cecelja da qualsiasi
accusa di collaborazionismo con i nazisti. Il console
americano a Zagabria afferm� che il sacerdote era stato
esiliato a Vienna da Pavelic per il suo ruolo in un complotto
anti-ustascia.'' Queste affermazioni erano tuttavia smentite
dal fatto che ``Cecelja continu� a viaggiare su aerei ufficiali
degli ustascia tra Vienna, Zagabria, Praga e Berlino.'' Egli
inoltre ``ricevette da Zagabria l'ordine di condurre un'intensa
campagna propagandistica tra gli ustascia presenti in
Austria'' (102).

Nel 1945, Cecelja si trasfer� da Vienna a Salisburgo: ``il
sacerdote ustascia era provvisto di documenti americani e
della Croce Rossa che gli permisero di viaggiare liberamente
attraverso la zona di occupazione statunitense'' (102-103).
``Il 19 ottobre del 1945 venne arrestato dal quattrocentesimo
distaccamento CIC dell'esercito degli Stati Uniti. Rimase in
carcere per i 18 mesi successivi.'' In agosto 1946 ``il governo
jugoslavo richiese la sua estradizione come traditore,
descrivendone accuratamente le attivit� in favore degli
ustascia durante la guerra'' (103).

Tuttavia nel marzo 1947 Cecelja venne rilasciato e ci�
malgrado la ``decisione da parte dell'Extradition Board
americano in Austria di approvare la richiesta jugoslava''
(104). Avevano parlato a suo favore: l'arcivescovo Stepin�c; il
vescovo americano Joseph Patrick Hurley, che si trovava in
Jugoslavia come rappresentante del papa; il Foreign Office
inglese, secondo il quale ``la maggior parte delle sue azioni
[era] stata di carattere umanitario e non politico''; il console
americano a Zagabria, per il quale Cecelja era un ``sacerdote
di sani principi''; ed il Segretario di Stato americano George
Marshall (103-104).


Cecelja partecip� anche alla costituzione del movimento dei
krizari: ``era noto come uno dei principali organizzatori
ustascia in Austria, dove partecipava regolarmente a raduni
militari e faceva infuocati discorsi ai fedeli riuniti'' (104).

``In seguito, fu direttamente implicato dalle autorit� del
controspionaggio australiano in una serie di azioni
terroristiche intraprese da cellule ustascia operanti a Sidney e
Melbourne'' (104). Nel 1957 ottenne un visto per visitare gli
Stati Uniti (104).

``Cecelja mor� qualche mese dopo aver concesso
un'intervista'' agli autori di Ratlines (100). Ha ``trascorso i
suoi ultimi anni di vita in un pittoresco villaggio appena fuori
Salisburgo, dove le suore del convento Maria Pline si
prendevano cura di lui'' (100). All'epoca dell'intervista aveva
80 anni ed ``era ancora molto fiero dell'importante ruolo che
aveva svolto in favore della sua amata Croazia. Pur criticando
gli ustascia per aver procurato una brutta reputazione ai
Croati, non mostrava n� senso di colpa n� rimorso'' (100).

Nell'intervista rilasciata nel 1989, Cecelja ammise:

``Fui fiero di aiutare questi fuggiaschi,
registrandoli e offrendo loro cibo, alloggio e
documenti di immigrazione, nonch� l'opportunit�
di spostarsi in giro per il mondo fino in Argentina.
Ricevevo i documenti dalla Croce Rossa''
(104-105).

Karlo Petranovic

Nel 1934 divenne parroco di Ogulin, ``un distretto composto
sia da serbi sia da croati'' (114). ``Quando i nazisti invasero
la Jugoslavia nell'aprile del 1941, Petranovic era cappellano
nell'esercito'' (114). ``Si era unito al movimento [ustascia]
subito dopo l'invasione'' (114).

``Fu chiamato a ricoprire cariche ufficiali molto alte e
influenti. [...] Gli era stato conferito il grado di capitano
nell'esercito ustascia e aveva accettato la carica di vice del
capo ustascia di Ogulin. [...] Egli divenne un fattore molto
importante nella politica locale del regime ustascia, che
decideva della vita e della morte dei serbi di Ogulin e del
distretto circostante. [...] Tale politica consisteva nel seminare
il terrore tra la popolazione serba completamente innocente e
si risolse nello sterminio di circa duemila serbi locali'' (114).

``Una volta aveva diretto l'arresto e l'esecuzione di eminenti
personalit� serbe. Un'altra volta il prete, a quanto si diceva,
fu responsabile del prelevamento dall'ospedale di Ogulin di
cinque o sei pazienti serbi che furono uccisi nelle circostanze
pi� brutali. Un altro episodio fu l'assassinio del dottor Branko
Zivanovic, avvenuto il 31 luglio del 1941. [...] Petranovic
aveva collaborato all'organizzazione degli arresti di massa dei
serbi di Ogulin e del distretto, che furono derubati e uccisi,
alcuni a Brezno, gli altri vicino al villaggio di St. Petar. [Ebbe
un ruolo] nella morte di circa un centinaio di serbi alla fine di
luglio, un massacro compiuto in seguito a una decisione presa
dal comitato ustascia di Ogulin, di cui Petranovic era un alto
e influente membro. [...] Il comitato ustascia di Ogulin, di cui
Petranovic era funzionario, fu responsabile dell'invio di
centinaia di serbi e di croati del posto ai campi di
concentramento degli ustascia, cosa che si concluse con lo
sterminio della maggior parte di queste persone'' (115).

Nel 1947 gli jugoslavi ne chiesero l'estradizione agli inglesi
(114), ma questa non fu concessa. Fino ad oggi, Petranovic ha
continuato a negare i suoi crimini di guerra, affermando che
non era stato messo al corrente di quanto accadeva (114).


Nel 1989 Petranovic fu intervistato dagli autori di Ratlines.
``A domande relative alle sue attivit� postbelliche, Monsignor
Petranovic rispose ammettendo senza problemi di aver aiutato
un paio di migliaia di persone a lasciare l'Italia via Genova''
(115).

Al termine della guerra ``fu inviato al confine
austro-jugoslavo, dove poteva muoversi liberamente tra gli
ustascia in fuga. Si stabil� per un certo tempo a Graz, dove si
nascondevano molti famigerati criminali di guerra. L� fu
aiutato nel suo lavoro dal vescovo Ferdinand Pawlikowski, che
ottenne dal capo della polizia locale il permesso di far
rimanete Petranovic a Graz. Da l� il sacerdote croato riusc� a
scendere fino a Trieste, dove il vescovo locale provvide al suo
alloggiamento; poi prosegu� verso Milano, dove venne aiutato
dal cardinale Schuster, per arrivare finalmente a Genova verso
la fine del 1945. Voleva recarsi presso la Confraternita di San
Girolamo a Roma, ma era gi� piena; perci� rimase a Genova e
divenne l'agente locale di Draganovic'', dopo essere stato
assoldato da questi in persona durante una visita a Genova
(115-116).

Petranovic manteneva ``ottimi collegamenti nella gerarchia
ecclesiastica, soprattutto con il vescovo di Genova Siri'', il
quale era il terminale genovese dell'altra rete di fuga, quella
del vescovo Hudal (117).

Monsignor Petranovic ``ha oggi quasi 80 anni e, negli ultimi
tre decenni � vissuto a Niagara Falls, in Canada'' (113).

Gregory Rozman

``Durante la guerra, in assenza di Krek, [il vescovo di
Lubiana] Rozman si era assunto la responsabilit� del Partito
Clericale Sloveno, stabilendo stretti contatti sia con i fascisti
italiani sia con i nazisti'' (138). ``Verso la met� del 1942 and�
in Vaticano per una missione segreta, consistente nel chiedere
a Pio XII armi, cibo uniformi e altro equipaggiamento
essenziale per il suo esercito anticomunista cattolico. Di
conseguenza, gli italiani rifornirono le forze armate di
Rozman. Dietro suo suggerimento, un certo numero di preti
assunse anche ruoli chiave a livello militare e spionistico per
conto delle potenze dell'Asse.

Quando, nel settembre del 1943, gli italiani capitolarono,
Rozman fece in modo che il passaggio al dominio nazista fosse
il pi� facile possibile, suggerendo al gauleiter di Hitler la
formazione della Guardia Nazionale Slovena. Questa Guardia
Nazionale era completamente sotto il controllo tedesco, poich�
obbediva direttamente agli ordini del capo delle SS locali e
della Polizia Superiore. Fu tristemente nota per i suoi
massacri di civili, soprattutto sostenitori dei partigiani guidati
dai comunisti, mentre la polizia segreta conduceva una
campagna terroristica sotto la direzione della Gestapo.

Mentre avevano luogo queste atrocit�, Rozman sosteneva
entusiasticamente la causa nazista, emettendo numerosi
appelli affinch� gli Sloveni combattessero dalla parte della
Germania. La sua Lettera Pastorale del 30 novembre 1943
rappresent� un'espressione tipica del tono filonazista che
caratterizzava l'opera spirituale del vescovo. Dopo aver
sollecitato i suoi fedeli a combattere per la Germania,
sottoline� che soltanto "per mezzo di questa coraggiosa lotta e
di questo industrioso lavoro per Dio, per il popolo e per la
terra dei padri [gli Sloveni si assicureranno], sotto la guida
della Germania, la [loro] esistenza e un futuro migliore, nella
lotta contro la congiura ebraica"'' (138-139).

Nel 1943 fu ``fotografato sul palco con il comandante delle SS
locali, [il generale Rosener,] durante una cerimonia ufficiale.
La Guardia Nazionale aveva appena giurato di presentare
servizio sotto la guida di Hitler, e stava marciando di fronte al
suo ufficiale di comando. Il generale delle SS se ne stava
rigido sull'attenti, facendo il saluto nazista, mentre il vescovo
dava la pia approvazione al suo esercito collaborazionista''
(139).
(La stretta di mano fra Rozman e Rosener � raffigurata nella
fotografia nei risguardi della copertina del libro.)

``Sei mesi prima della fine della guerra, Krek e monsignor
Preseren perorarono la causa di Rozman presso il papa. Nel
corso di un incontro con Pio XII tenutosi il 26 novembre del
1944, consegnarono al pontefice la lettera personale del
vescovo. Rozman esponeva per sommi capi il suo piano per uno
sforzo, appoggiato dall'Occidente, destinato a sconfiggere i
partigiani di Tito e a instaurare un governo filooccidentale.
Non appena cessarono le ostilit�, il Vaticano intraprese una
campagna per ottenere la libert� del suo vescovo, chiedendo
ripetutamente che gli venisse concesso un salvacondotto
dall'Austria per potersi rifugiare presso la Santa Sede. Si
offrirono persino di inviare un sacerdote appositamente scelto
fino a Klagenfurt, [nella zona di occupazione inglese,] per
prendere Rozman. L'uomo scelto per questo compito fu
nientemeno che padre Draganovic.'' La missione ebbe luogo
nel maggio 1945 (139).

``Gli inglesi [con la complicit� statunitense] gli permisero di
fuggire e di svolgere un ruolo di primo piano nell'ambito del
movimento dei krizari'' (139-140). La decisione degli inglesi
di lasciar fuggire Rozman consegu� dalle pressioni di Krek
``sul Foreign Office, tramite i buoni uffici di un membro
laburista del Parlamento'' (140). ``L'11 novembre del 1947
Rozman spar� dal palazzo del vescovo di Klagenfurt e [...] si
rec� a Salisburgo per mettersi sotto la protezione
dell'arcivescovo Rohracher. [...] Aveva lasciato Klagenfurt in
un'automobile del personale dell'esercito americano, guidata
da un autista americano'' (142).

``Rozman, non appena fuggito da Klagenfurt, aveva ripreso
con entusiasmo il suo lavoro per il movimento clandestino
nazista. Il vescovo collaborazionista s'era unito ai krizari''
per finanziare i quali si dedic� al recupero del tesoro di guerra
(142). ``Alla fine di maggio 1948, Rozman [...] viaggi� fino
agli Stati Uniti e si stabil� a Cleveland, nell'Ohio'' (143).

Dragutin Kamber

Era ``legato alla Confraternita di San Girolamo, all'interno
della quale aveva studiato dalla fine degli anni Venti ai primi
anni Trenta'' (108). ``Dal 1936 era stato membro del partito
ustascia'' (108). ``Il sacerdote era stato anche ufficiale della
famigerata guardia del corpo personale di Pavelic'' (108).

``Padre Dragutin Kamber era un sanguinario responsabile di
omicidi di massa'' (108). ``Dopo l'invasione da parte
dell'Asse, fu messo a capo dell'amministrazione ustascia nella
citt� di Doboj, [in Bosnia,] e uno dei primi provvedimenti che
prese fu quello di istituire un campo di concentramento, di cui
era comandante lui stesso. Introdusse nel distretto le regole
razziali naziste e, di conseguenza, ordin� agli ebrei e ai serbi
di portare intorno al braccio rispettivamente una fascia gialla
e una fascia bianca. In seguito proclam� che i serbi e gli ebrei
dovevano essere sterminati in quanto dannosi per lo stato
ustascia'' (108).

``A Doboj, comp� arresti in massa e fece internare i serbi.
Molte delle vittime venivano spesso portate in casa di Kamber
per essere interrogate e, dietro suo ordine, uccise nelle cantine.
I primi ad essere assassinati in questo modo furono i sacerdoti
e gli insegnanti serbi'' (108).

Milan Simcic

``Uno dei colleghi pi� vicini a Draganovic nella rete per
l'espatrio clandestino dei criminali di guerra'' (100).
``Lavorava all'interno della Confraternita di san Girolamo e
aiutava Draganovic nelle sue operazioni'' (110). ``Lavor�
diversi anni per la ratline a Roma'' (122).

``Oggi Simcic � un alto funzionario vaticano e ammette
apertamente che la Confraternita di San Girolamo protesse
eminenti fuggiaschi ustascia. [...] Ha detto con assoluta
chiarezza che il dottor Draganovic si prendeva cura a parte
delle persone pi� importanti, tra cui ex-ministri del governo
ed ex-capi di polizia'' (124). Sempre secondo la
testimonianza di Monsignor Simcic, ``il dottor Draganovic e
Montini s'incontrarono molte volte per parlare dell'operato
della Confraternita di San Girolamo'' (125).

Dominik Mandic

Era ``rappresentante ufficiale del Vaticano presso la
Confraternita di San Girolamo: [...] era, inoltre, un alto
funzionario dell'ordine francescano, poich� ricopriva la carica
di economo generale (tesoriere)'' (109). ``Mandic era l'alto
funzionario francescano che mise la stampatrice dell'ordine a
disposizione della Confraternita di San Girolamo in modo da
poter fornire le carte d'identit� false ai fuggiaschi'' (128).
``Padre Dominik Mandic controllava le finanze dell'istituto di
san Girolamo con notevole destrezza [nella veste di] tesoriere
della

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------- Forwarded message follows -------
From: "tribunale clark" <tribunaleclark@...>
Subject: Iniziative Tribunale Clark
Date sent: Fri, 8 Jun 2001 18:22:20 +0200


Con la riunuione del 26 maggio a Roma la Sez. Italiana del
Tribunale contro i crimini della Nato ha stabilito di riprendere
prima della fine della stagione, alcuni temi centrali su cui chiamare
all' iniziativa in modo ampio e diversificato i vari soggetti che nel
periodo passato non hanno accettato le criminali iniziative della Nato
e del nostro Governo D'Alema.

Tra queste abbiamo rimesso al centro dell'iniziativa :

1) L'illegalita' della guerra e dell'aggressione alla Jugoslavia.
2) I danni provocati dall'Uranio Impoverito e dai bombardamenti chimici.
3) Le falsita' delle conclusioni della "Commissione Mandelli"
4) L'illegalita' del Tribunale Internazionale dell'Aja.
5) L'arresto di Milosevic dettato dal ricatto occidentale, ennesima
violazione del diritto internazionale.

---

Gli appuntamenti pubblici che conferemero con maggiori dettagli
nei prossimi giorni sono i seguenti:

DOMENICA 24 GIUGNO - MILANO ORE 21.00

ALL'INTERNO DELLA FESTA PROVINCIALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
INIZIATIVA A CURA DELLA SEZIONE ITALIANA DEL TRIBUNALE CLARK:

DAI BOMBARDAMENTI IN JUGOSLAVIA E L'USO DELL'URANIO IMPOVERITO,
AL TRIBUNALE DELL'AJA E L'ARRESTO DI MILOSEVIC:
IL DIRITTO INTERNAZIONALE VISTO DALL'IMPERIALISMO.

INTERVENGONO:

FALCO ACCAME
FULVIO GRIMALDI
CARLO PONA
PAOLO PONA
ALDO BERNARDINI

introduce STEFANO DE ANGELIS

inoltre PROIEZIONE DEL FILMATO :
PATRIA PALESTINA
Di Fulvio Grimaldi


SABATO 30 GIUGNO - ROMA ORE 10.00
LUOGO DA DEFINIRE.

RIUNIONE NAZIONALE DELLE STRUTTURE INTERESSATE
AL MANTENIMENTO DELL'INIZIATIVA CONTRO LA NATO,
CONTRO LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE,
PER L'ABOLIZIONE DELL'URANIO IMPOVERITO .


-------------

Con questo messaggio intendiamo invitarvi direttamente alle iniziative
in programma con particolare rilievo alla riunione di Roma del 30 giugno,
la quale sarà una riunione di lavoro che dovra' chiarire in che modalita'
proseguire le attivita' sulle tematiche esposte.

Vi chiediamo quindi di farci avere per tempo suggerimenti e adesioni
sulle iniziative in programma.


la Sez. Italiana del Tribunale Clark


------- End of forwarded message -------
------

Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti
dell'ASSEMBLEA ANTIMPERIALISTA http://www.tuttinlotta.org
(ex Coord. Naz.Le "La Jugoslavia Vivra'")

I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al
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Subject: Herman vs Hitchens on Kosovo: Letter to The Nation
Date: Tue, 12 Jun 2001 18:10:12 -0700 (PDT)
From: Rick Rozoff



LETTER TO THE EDITORS AT THE NATION
Edward S. Herman
David Peterson
----------------------------------------------
----------------------------------------------
June 11, 2001

Letter To the Editors of The Nation on Christopher
Hitchens' Minority Report "Body Count in Kosovo"

>>From Edward S. Herman and David Peterson

In "Body Count in Kosovo" (The Nation, June
11, 2001), Christopher Hitchens outdoes even his
previous efforts at rewriting the history of the
break-up of Yugoslavia, carrying out his vendetta
against the Serbs, and apologizing for NATO's war in
Kosovo.
Hitchens' characterization of the opposition
to NATO's bombing campaign as based on the belief that
"casualties among Kosovo Albanians were not
sufficiently high to warrant the NATO intervention" is
nothing more than a straw man of his own invention.
Although there are legitimate questions to be raised
as to how high the Kosovo Albanian casualties were,
and how important those casualties were in impelling
NATO to war, contrary to Hitchens, the Left's main
objections to the war were that it was a case of Great
Power aggression carried out in violation of the U.N.
Charter and international law, and that it would "not
solve any human problem, but [would] only multiply the
existing problems," as Jiri Dienstbier, the Czech U.N.
rapporteur for human rights in Kosovo, characterized
the war's actual result.
Of course, Dienstbier was weighing the
impact of the war not only on the Kosovo Albanians,
but also on the Serbs as well as other peoples in the
region. But a notable feature of Hitchens' writings on
Kosovo has been his racist attitude toward the Serbs,
an attitude that now extends to the other ethnic
minorities in the province as well. Thus, for example,
in his "Genocide and the Body-Baggers" (The Nation,
Nov. 29, 1999), Hitchens led The Nation's readers in a
rousing cheer for NATO's good deeds in Kosovo: "The
NATO intervention repatriated all or most of the
refugees and killed at least some of the cleansers. I
find I have absolutely no problem with that." Here
Hitchens ignores the fact that Kosovo's massive
refugee crisis of 1999 followed the onset of NATO's
bombing campaign rather than preceded it. Note also
that in Hitchens' revealing word usage, "refugees" is
an ethnically pure concept and serves to denote only
Kosovo Albanians. For Hitchens, the only Kosovars who
count are ethnic Albanians; the demon Milosevic's
populace, along with the rest of the province's
shrinking ethnic minorities, are "unpeople" (John
Pilger's term)--and any negative consequences that
NATO's actions have had for them are of no interest or
relevance to Hitchens' evaluation of policy.
Hitchens contends that the bombing campaign
was both necessary and justified because "It was plain
enough that Milosevic wanted the territory of Kosovo
without the native population, and that a plan of mass
expulsion, preceded by some exemplary killings, was in
train. The level of casualties would depend on the
extent of the resistance that the execution of the
plan would encounter." Although as a supporter of the
war the burden of proof for such a claim should rest
on Hitchens' shoulders, neither he nor anyone else has
ever provided evidence for the existence of any "plan
of mass expulsion." Hitchens regularly implies that
because the Serbs reacted as they did in Kosovo when
NATO began its bombing war, and were clearly ready to
take such an action, this proves they would have done
exactly the same thing under any circumstances. But as
every military power has a spectrum of contingency
plans most of which will never be implemented, this is
a blatant non-sequitur. NATO's propaganda claim that
Belgrade used the bombing campaign to execute
"Operation Horseshoe"--an alleged plan to cleanse
Kosovo of its ethnic Albanian population, but whose
existence NATO had never mentioned until after the
bombs started to fall--has been utterly discredited.
(See the book by Germany's retired Brigadier General
Heinz Loquai, Der Kosovo-Konflikt. Wege in einen
vermeidbaren Krieg ("The Kosovo Conflict: A War That
Could Be Avoided," Durchschnittliche Kundenwertung,
2000).)
In his discussion of this "plain enough"
Serb plan, Hitchens consistently avoids dealing with
the fact that under an October 1998 agreement,
Belgrade had allowed a substantial OSCE observer
mission in Kosovo, and was prepared to permit the
extension of such a mission at Rambouillet. (See the
Agreement For Self-Government In Kosomet, signed among
others by the Government of the Federal Republic of
Yugoslavia and the Government of Serbia but rejected
by the Contact Group and the KLA in Paris on March 18,
1999, reproduced at
http://www.ius.bg.ac.yu/apel/agreemen.htm.)
Although the actual mission was highly compromised
from the start by U.S. intelligence agents working
under the cover of the OSCE for non-mandated
objectives (as a Swiss member of the OSCE's observer
mission in Kosovo told the Italian journal La Libert�,
"We understood from the start that information
gathered by OSCE patrols during our missions was
destined to complete the information that NATO had
gathered by satellite. We had the very sharp
impression of doing espionage work for the Atlantic
Alliance."),
nonetheless, a Yugoslav parliamentary Resolution
adopted the day before the start of the war vigorously
condemned the withdrawal of the monitors. (See
"Parliament says country will defend itself from any
attack," BBC Summary of World Broadcasts, March 25,
1999, which reproduces in full the text of the
Resolution adopted by The National Assembly of the
Republic of Serbia on March 23, 1999.) Hitchens'
failure to mention the OSCE observers can only be
explained by the fact that such evidence is not
compatible with the "plain enough.plan of mass
expulsion."
Nor is there the slightest evidence that
there were "exemplary killings" designed to induce
general flight, as opposed to killings in an ugly and
brutal civil conflict. In an internal report prior to
the bombing, the German Foreign Office had even denied
that the refugee flows in and out of Kosovo
constituted a case of "ethnic cleansing," contending
instead that this was the familiar pattern in a nasty
civil conflict. "[The] actions of the security forces
[were] not directed against the Kosovo-Albanians as an
ethnically defined group, but against the military
opponent and its actual or alleged supporters," the
German Foreign Office determined. (See "Important
Internal Documents from Germany's Foreign Office
Regarding Pre-Bombardment Genocide in Kosovo," trans.
Eric Canepa, reproduced at
http://www.suc.org/kosovo_crisis/documents/ger_gov.html.)
What is more, the evidence produced by NATO, the OSCE,
the State Department and the Pentagon, the British
House of Commons' Defense Review, the U.N., the Red
Cross, forensic teams from at least 16 different
countries, and all of the NGOs that have set up camp
in Kosovo, uniformly fails to support the claims of
the West's political leadership and the New
Humanitarians that, whether prior to or during the
war, a Rwanda-style crisis was in the offing. (On the
question of whether there was any evidence of imminent
atrocities prior to the withdrawal of the observers
and the onset of NATO's bombing, see Noam Chomsky's
analysis in his book, A New Generation Draws the Line:
Kosovo, East Timor, and the Standards of the West
(Verso, 2000), Ch. 3, "Kosovo in Retrospect," pp.
94-147.)
Furthermore, evidence has now surfaced
showing that the CIA, working largely through
corporate-sector firms such as Military Professional
Resources Inc. and DynCorp, had been aiding and
training the KLA prior to the bombing, and KLA
representatives have openly acknowledged that they
were trying to provoke the Serbs to actions that would
provide NATO with the jus belli that it was looking
for to launch the war. (See Tom Walker and Aidan
Laverty, "CIA aided Kosovo guerrilla army," Sunday
Times (London), March 12, 2000; Peter Beaumont, Ed
Vulliamy and Paul Beaver, "CIA's bastard army ran riot
in Balkans," The Observer (London), March 11, 2001;
and Rory Carroll, "Crisis in the Balkans: West
struggles to contain monster of its own making," The
Guardian (London), March 12, 2001).) Thus, Hitchens'
statement that "the level of casualties would depend
on the extent of resistance" is misleading not only as
regards the mythical "plan of mass expulsion," it also
ignores the fact that casualties would depend heavily
on the success of the planned provocations.
"As to Racak," Hitchens writes, "it might be
argued that Western policy-makers seized too fast on
the evidence of a Bosnian-style bloodbath, but...it
would be tough to argue that a 'wait and see' policy
would have been morally or politically superior. Wait
for what? Wait to see what?" Apart from the problems
of the non-existent evidence of a bloodbath and NATO's
underwriting of provocations, with the Racak case
there is strong evidence that those "Western
policy-makers" didn't just "seize too fast" on claims
of a massacre at Racak, they even helped create those
claims in order to justify a decision taken perhaps as
early as the summer of 1998 to bomb Serbia and teach
it as well as other potential "rogue states" a lesson
in who's the boss, and to teach the peoples of Europe
that they cannot live without NATO's protection. (For
material that raises doubts about NATO's contention
that the incident at Racak was a "massacre" of 40
unarmed Kosovo Albanian civilians, see "Finnish
experts find no evidence of Serb massacre of
Albanians," Deutsche Presse Agentur, January 17, 2001;
J. Rainio, K. Lalu, A. Penttil�, "Independent forensic
autopsies in an armed conflict: investigation of the
victims from Racak, Kosovo," Forensic Science
International, Vol. 116, Issue 2-3, 2001, pp. 171-185;
and the critical comments by Dusan Dunjic of
Belgrade's Institute for Forensic Medicine, "The
(Ab)Use of Forensic Medicine," reproduced at
http://www.suc.org/politics/kosovo/documents/Dunjic0499.html.)

As to "wait to see what," this is a phony
and misleading question, as the Great Powers didn't
have to "wait" for anything; they were always in a
very strong position to negotiate even with the hated
Milosevic for greater Kosovo autonomy and a stronger
international observer presence. Belgrade had agreed
to a number of compromises during the previous decade.
Among others, Milosevic supported the Vance Plan of
1991, the Jose Cutillero Plan of 1992 (a plan vetoed
by the Muslim side in Bosnia-Herzegovina), the
Vance-Owen Plan of 1993 (a plan eventually sabotaged
by U.S. authorities, as Owen describes in his
memoirs), and the Owen-Stoltenberg Plan of 1993 (also
vetoed by the United States). But in this case neither
the KLA nor NATO--nor for that matter Christopher
Hitchens-were interested in compromise or
negotiations.
In dealing with the events in Kosovo that
followed the March 24, 1999 beginning of NATO's
bombing campaign, Hitchens takes the refugee flows
that resulted from the fighting as proof that Belgrade
had planned to expel the Albanian population all
along, thereby reversing cause and effect, exactly as
NATO officials have done. While he drags in Rwanda,
saying that "we'll never know if another Rwanda was
prevented or not, since another Rwanda did not in fact
take place," he fails to explain why the Serbs didn't
engage in mass killings of Kosovo Albanians even under
the stress of wartime conditions, even in areas of
great KLA influence and fighting with the KLA. During
the war, NATO propagandists were proclaiming mass
extermination and even genocide, but these were lies.
So, contrary to Hitchens once again, one thing we do
know is that crimes on the scale of Rwanda did not
take place even under brutal, wartime conditions.
Hitchens ignores the evidence now openly
acknowledged by NATO officials that the KLA was
working in close military coordination with NATO
during the bombing period, and that the intensity of
Serb attacks was closely related to strategic military
factors, including the operational presence of the KLA
in the various theaters of combat. (See Daniel Pearl
and Robert Block, "War in Kosovo Was Cruel, Bitter,
Savage; Genocide It Wasn't," Wall Street Journal, Dec.
31, 1999.) Across Kosovo's 29 municipalities, ethnic
Albanians did not flee the territory uniformly. Nor
were they alone-members of all ethnic groups fled
areas where fighting took place. Municipalities in
different parts of Kosovo where the KLA's presence was
thin saw relatively little fighting and therefore
little refugee flow. This was particularly true prior
to the withdrawal of the observers and the start of
the bombing campaign. (On this, see the report
published by the OSCE, Kosovo/Kosova: As Seen, As
Told. The human rights findings of the OSCE Kosovo
Verification Mission October 1998 to June 1999,
reproduced at
http://www.osce.org/kosovo/reports/hr/part1/p0cont.htm,
esp. Part V: "The Municipalities.")
Hitchens spends considerable space on what
he calls the "forensic evidence" that has come into
public view "as a result of the implosion of the
Milosevic regime." But in fact the most important
"evidence" that Hitchens cites, the alleged "mass
burnings of bodies in the blast furnace of the Trepca
steel plant" that was claimed by NATO at the time of
its occupation of Kosovo in June 1999, was subjected
to a genuine "forensic" examination by a team of
French experts under OSCE auspices shortly thereafter,
and was found to be non-existent. (See Fisnik Abrashi,
"OSCE Says No Sign of Mass Burnings Found in Kosovo,"
Associated Press, Jan. 26,
2001.) Although this story has been rehabilitated
over the past two years by journalists with the
American Radio Works and National Public Radio, based
on highly dubious interviews with Serbs boasting of
their role in the cremations, these Serbs have
remained anonymous sources and have never been
available for questioning by independent analysts.
Among the other "forensic evidence" cited by Hitchens
are the recent reports that a refrigerated truck
carrying anywhere from 50 to 86 Kosovo Albanian bodies
(accounts have varied) was dredged up during the war
from the bottom of the Danube river near the Serb town
of Kladovo, the bodies then being reburied in an
unknown place somewhere. Although these stories may
very well turn out to be true, given the brutal nature
of the war, they do not constitute forensic evidence
as such, but are mere hearsay. It is also important to
note that these alleged events would have occurred
after the start of the war, and therefore cannot be
used to support Hitchens' contention that they are
evidence of a Serb "plan of mass expulsion" based on
"exemplary killings" that existed before the war.
Instead, they would suggest that the war itself, which
Hitchens defends, led to many deaths and deplorable
atrocities. But as an elementary point of logic, the
war's negative consequences cannot be used to justify
actions that produced those consequences.
Hitchens says that in the "new atmosphere"
of post-Milosevic Serbia it might be possible to prove
that "there was a state design" to the murders and
secret interments, and that if this were true "it
would owe very little to those who described the
belated Western intervention as an exercise in
imperialism based upon false reporting." But he fails
to note that in the "new atmosphere" that exists in
Serbia, and in the United States itself, there might
be strong political, financial, and even survival
incentives--and very little risk--in fabricating
claims of murders and secret interments, a point
perhaps illustrated by the recently recycled claims
about mass cremations at Trepca. He also fails to note
the possibility that the reason this evidence might
not surface is because it simply does not exist, in
which case those who supported the war will no longer
have even this crutch to stand on.
It is also of interest that Hitchens never
discusses the "new atmosphere" that prevails today in
NATO-occupied Kosovo, a conflict-ridden atmosphere
that has led to the creation of a monoethnic state,
with more than 250,000 members of ethnic minorities
having fled the province in what Jan Oberg,
the director of the Swedish-based Transnational
Foundation for Peace and Future Research, calls "the
largest ethnic cleansing in the Balkans [in percentage
terms]." But while Hitchens is extremely captivated by
lurid stories of mass cremations and ethnic Albanian
corpses spilling out of refrigerated trucks, the
estimated 1,300 non-ethnic Albanians killed and
perhaps as many abducted (and very possibly killed) in
Kosovo under NATO's occupation appear to be of no
interest to him at all. Nor does he ever link NATO's
intervention with
the spread of armed ethnic Albanian fighting to
geographically contiguous areas in southern Serbia and
northwestern Macedonia, or with the possibility of yet
another incarnation of the KLA carrying its war to
Greece as well. For Hitchens, NATO's "humanitarian"
war was justified for reasons that terminate with the
driving of the Serb army from Kosovo, NATO's
occupation of Kosovo, the repatriation of Kosovo
Albanian refugees-driven out during NATO's war and
returning to a ravaged, burned-out land effectively
controlled by the KLA and foreign powers--and,
ultimately, the ouster of the Milosevic regime, and no
doubt his trial at The Hague as well. All of the other
consequences that one could weigh in the scales of
justice, Hitchens passes over in silence.
Hitchens' claim that the potential
"emancipation of Serbia" by full disclosure of Serb
misbehavior "would owe very little to those who
described the belated Western intervention as an
exercise in imperialism based upon false reporting" is
equally ludicrous. No serious critic of the war has
ever argued that NATO's intervention was "based on
false reporting;" their view has been that a
combination of false reporting and heavily ideological
commentary such as that offered by Christopher
Hitchens helped sell the war-as has been the case in
virtually all wars.
But beyond this confusion, Hitchens seems to
imply that Operation Allied Force was not an
imperialistic undertaking, and in fact in his "Port
Huron Piffle" (The Nation, June 14, 1999), he clearly
stated that NATO finally chose the war-option "when
the sheer exorbitance of the crimes in Kosovo became
impossible to ignore." Jamie Shea or James Rubin could
not have stated NATO's case for war any better than
that. Indeed, it has been amusing to watch Hitchens,
currently vigorously assailing Kissinger for the
crimes of the imperial state a generation back, but at
the same time lining up with the likes of Bill and
Tony and Gerhard, Madeleine and Robin and Joschka in
the pretence that their war was driven by humanitarian
objectives-in this one case only-and with this being
the only factor he mentions to explain their
adventures in Kosovo.

---

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Da "Il manifesto" dell' 8-06-01

PRIMA PAGINA

GIORNALISMO
La fossa dei media

SANDRO PROVVISIONATO *

La foto � di quelle raccapriccianti. Si vedono due miliziani dell'Uck
chini su una fossa comune che indicano un teschio. Uno dei due lo
solleva
con cavetti di alimentazione per
batteria d'auto. Il messaggio � crudo e deciso. La foto � apparsa ieri
sui quotidiani Liberazione e l'Unit�. Uno spiacevole infortunio, perch�
quella � una fossa comune falsa. In
Kosovo, dopo la fine della guerra, vennero scoperte diverse fosse
comuni
(la cifra fornita dal tribunale penale dell'Aja � di 529 fosse
contenenti
3.685 cadaveri interi e resti parziali di
258 corpi, per un totale di 3.943, una cifra ben lontana dai 100.000
morti forniti dalla Nato e dal Dipartimento di stato durante la guerra),
ma quella fossa venne allestita a consumo
dei media internazionali il 15 giugno 1999, 5 giorni dopo la fine dei
raid "umanitari" della Nato.
Lo affermo senza timore di smentite perch� a quel ritrovamento ero
presente. Avvenne nel villaggio di Ruckhat, a una quindicina di km. da
Pec, dove il contingente italiano Kfor si
era acquartierato. Come ho raccontato nel mio libro Uck: l'armata
dell'Ombra (Gamberetti, 2000) con me, inviato del Tg5, c'erano almeno 15
giornalisti italiani, diversi fotoreporter e i
cameraman di sei televisioni.
Sul sito di quella presunta fossa comune fummo condotti da alcuni
guerriglieri dell'Uck. Quello che sembrava il capo in un francese
perfetto
ci raccont� la storia di quella famiglia
sterminata dai paramilitari serbi, con le generalit� dei cadaveri e la
data esatta dell'eccidio (il 20 maggio 1999, meno di un mese prima), ci
port� dall'unica figlia superstite e quindi ci
condusse, prima su un'aia annerita dal fuoco dove si notavano ossa
carbonizzate e poi sul luogo della fossa che sembrava scavata di fresco.
Dalla terra spuntavano diversi resti
umani - che, ci dissero, appartenevano a 4 persone - oltre ad uno
scheletro integro e quasi completamente scarnificato il cui teschio �
proprio quello ritratto nella foto con attorno al
collo i cavetti che sembravano essere stati usati per torturarlo e
strangolarlo.
Trattandosi di una delle prime fosse comuni trovate in Kosovo, tutti i
tg
italiani della sera e tutti i giornali riportarono con grande evidenza
la
scoperta. Personalmente detti la notizia e
mostrai le immagini della fossa nell'edizione delle 20 del Tg5 con
molti
condizionali. Assieme ad altri colleghi e all'operatore che mi
accompagnava, Alessandro Tomassini,
eravamo, infatti, rimasti colpiti da una contraddizione: se quel
teschio
era di un uomo ucciso neppure un mese prima, come mai appariva cos�
scarnificato?
Il giorno dopo decisi di tornare sull'argomento. E mostrai le immagini
cos� crude girate da Tomassini al medico responsabile del contingente
italiano a Pec, oltretutto un
anatomopatologo. Da lui ebbi la conferma: quei resti eranao di un uomo
morto almeno diversi mesi prima, forse pi� di un anno. Quindi
sicuramente
sulla data della sua morte sia i
soldati dell'Uck, sia la presunta unica superstite dell'eccidio avevano
mentito.
Per approfondire meglio la cosa decisi di tornare sul luogo
dell'enigmatica fossa comune. Mentre percorrevo in auto una lunga strada
sterrata, notai in aperta campagna uno di quei
piccoli cimiteri agresti di cui abbonda il Kosovo. In quel cimitero
c'erano diverse fosse aperte, scavate di fresco, con ancora le bare
scoperchiate, ma senza i resti dei defunti. Capii
subito dove stava l'imbroglio. Quelle ossa, quello scheletro, quel
teschio erano stati esumati da un normalissimo cimitero e spostati di
qualche chilometro. Per rendere pi� realistica
e drammatica la scena del ritrovamento della fossa comune, qualcuno
aveva
aggiunto il cavetto di alimentazione. Nel Tg5 delle 13 del 16 giugno
1999
raccontai la macabra
messinscena. Nessun altro tg o quotidiano lo fece. Quelle foto e
immagini
tv ancora circolano, usate a corredo di articoli e servizi sulle fosse
comuni. Non � il caso di Liberazione e
l'Unit�, ma la loro funzione � evidente: disinformare. Proprio
l'obiettivo dell'Uck. Il dubbio fondato � che - a quasi due anni dalla
fine di quell'inutile guerra - in fatto di fosse comuni la
disinformazione continui.

* giornalista del Tg5

---

Subject: Fossa comune
Date: Thu, 7 Jun 2001 03:05:49 +0200
From: "Fulvio"


Lettera al Direttore di Liberazione, Sandro Curzi

Caro Direttore,

la notizia, data con grande enfasi dai telegiornali, del ritrovamento
nei
pressi di Belgrado, di una fossa comune con
ben 800 corpi di "albanesi", merita, nella mia esperienza giornalistica,
di essere accolta con grandi diffidenza e
sospetto, senza cedere al previsto coro di esecrazioni. In Italia ci
ricordiamo tutti le stragi, gli assassinii, gli episodi
di terrorismo che hanno preceduto e accompagnato momenti in cui i poteri
forti puntavano a spostare a destra
l'asse del paese, specie in vicinanza di elezioni. Valga per tutti la
strage di Piazza Fontana, o l'assassinio di
Massimo D'Antona, utlizzato per criminalizzare il movimento contro la
guerra alla Jugoslavia. E ci ricordiamo
come quasi inevitabilmente sia emerso, da quei fatti, lo zampino di
servizi italiani o stranieri, perlopi� CIA. Chi ha
seguito con un po' d'attenzione la tragedia balcanica, si ricorder�
anche
delle stragi di Sarajevo, di Racak, di
Sebrenica, tutte provate, seppure a deprecabile e strumentale distanza
di
tempo, falsamente attribuite ai serbi dagli
stessi investigatori ONU, da medici neutrali e da giornalisti della
maggiori testate occidentali. Tutte finalizzate a
giustificare questo o quell'intervento "umanitario" a suon di bombe e
sanzioni contro il nemico. Nessuno pu�
sottovalutare la coincidenza di questo "ritrovamento" con la discussione
nel Parlamento serbo della legge che
dovrebbe permettere l'estradizione di Milosevic al Tribunale dell'Aja e
la
subordinazione della magistratura e della
politica serbe ai ricatti e ai dettami degli USA e del FMI, legge alla
quale anche Kostunica ha dato il suo consenso
e che rappresenta un ulteriore vulnus inflitto alla sovranit� di uno
stato. Sconcerta e rende increduli anche la
circostanza che, senza alcuna dichiarazione o verifica in merito, il
trasferimento delle 800 salme sia stato, secondo
i corrispondenti dei tg, "ordinato direttamente da Milosevic". Pare un
po'
folle che 800 corpi vengano congelati,
come � stato detto, � trasportati per centinaia di chilometri da un
Kosovo, pieno di possibilit� di nasconderli, in una
Belgrado allora traboccante di giornalisti, agenti, spie, gente, solo
allo
scopo di seppellirli in periferia. La consegna
di Milosevic e un'operazione che sottragga attenzione da una guerra in
Macedonia, che gli USA gestiscono e
sollecitano da entrambi i lati (attraverso addestramento e armamenti
forniti - come denunciato in USA e mai
smentito - equamente a entrambi i contendenti, l'esercito macedone e
l'UCK, dal MPRI, Military Professional
Resources Inc. di Alexandria, Virginia, valgono bene una montatura di
proporzioni storiche. Come si diceva: a
pensare male si fa peccato, ma ci si coglie.
Cordiali saluti.

Fulvio Grimaldi.

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Subject: da ABC
Date: Wed, 13 Jun 2001 08:16:57 +0200
From: "abcsolidarieta" <abcsolidarieta@...>
To: A, B, C, Solidariet� e pace
<abcsolidarieta@...>


Gentili amiche/amici,
di seguito riportiamo la relazione integrale del viaggio fatto, dal 15
al 30
maggio, per consegnare le quote agli affidati. La maggior parte di
questa
relazione trover� posto sul semestrale "A, B, C" che riceverete entro il
mese di giugno o ai primi di luglio. Una sintesi, invece, verr� inviata
a
tutti insieme al bilancio contabile del viaggio e alle ricevute.
Cordiali saluti.


APPUNTI IN SERBIA E BOSNIA - 15-30 MAGGIO 2001


1) Parlando con i dirigenti sindacali
Senza nemmeno attendere nostre domande, i dirigenti sindacali della
"Zastava" (Kragujevac), della "Mascinska Industria" e della "Elektronska
Industria" (Nis) - le fabbriche dove, oltre alle scuole, si svolgono le
nostre iniziative di adozione a distanza in Serbia - ci hanno esposto a
lungo, spesso accalorandosi, le loro idee, le loro aspettative e le loro
critiche sulle situazioni locali e su quella generale del Paese. Come �
comprensibile, i giudizi divergono sensibilmente.
Quello che era il sindacato di regime, e che resta il sindacato
maggioritario alla "Zastava", ha ora mutato il nome da "Organizzazione
sindacale unitaria" in "Sindacato autonomo"; ha anche sostituito molti
componenti del Comitato direttivo e lo stesso presidente, che adesso �
Dragan Cobic; ma � ben lontano dall'accettare i nuovi processi in corso
dopo
il "Cambiamento" (termine comunemente usato in Serbia quando si vuol
alludere in modo un po' anodino, e senza troppo compromettersi, alla
"rivoluzione di Belgrado" che sanc�, il 5 ottobre 2000, la vittoria
dell'Opposizione democratica serba, sigla DOS). Il Sindacato autonomo �
apertamente contrario alla politica economica dell'attuale governo serbo
diretto da Zoran Djindjic. La "Zastava" - ci dicono - verr� scissa in
una
diecina di fabbriche a s� stanti, per agevolarne le privatizzazioni.
Qualcuna cambier� tipo di produzione (si parla perfino di sigarette, e
gi�
la cosa sta sollevando proteste a Nis e a Vranje, che da molto tempo
hanno
fabbriche di questo tipo, sebbene da ricostruire perch� bombardate). Non
che
prima le produzioni del complesso "Zastava" - quando, beniteso, si
produceva
con effettivi sbocchi di mercato - fossero omogenee, dato che qua si
facevano automobili, l� furgoni, altrove utensili di vario genere e armi
leggere. C'era per� una direzione generale che coordinava il tutto e lo
gestiva per gli aspetti di maggiore importanza. Adesso invece ci saranno
tante fabbriche autocefale, ciascuna delle quali tratter� separatamente
l'ingresso di capitale privato, per lo pi� estero (leggi
multinazionale). A
quali condizioni? Qui sta il punto.
Secondo i dirigenti del Sindacato autonomo, si tratter� di una
svendita
a grave danno degli operai, della citt�, del Paese. La maggior parte
delle
nostre maestranze - � la loro non difficile previsione - sar� licenziata
in
tronco, perch� dovremo limitarci ad "assemblare" pezzi provenienti
chiss� da
dove. Secondo il maggiore dei sindacati gi� di opposizione, dal
battagliero
nome di "Nezavisnost!" e secondo la sezione locale dell�Associazione dei
sindacati liberi e indipendenti, le privatizzazioni sono comunque un
passaggio necessario e urgente per una reale ripresa produttiva; sar�
compito dei sindacati far s� che questo passaggio avvenga nel modo il
pi�
possibile indolore dal punto di vista sociale.
Dal "socialismo" di Milosevic, dunque, al "neo-liberismo" di
Djindjic:
sar� davvero possibile condizionarlo sindacalmente, in un Paese che sta
per
entrare nella "globalizzazione" dopo dieci anni di isolamento e di
"embargo", in un quadro generale di diffusa povert�, pieno zeppo di
profughi
da quasi tutto il resto della Jugoslavia di Tito, con infrastrutture
inadeguate, impianti obsoleti e un'inflazione di difficile contenimento?
Noi
serbi - tengono a sottolineare tutti gli amici sindacalisti con cui
parliamo, a prescindere dalle loro diversit� e contrapposizioni - siamo
un
popolo di civilt� e cultura europea, nessuno potr� ridurci a una
colonia.
Siamo gi� passati attraverso tante catastrofi, ci risolleveremo anche
questa
volta. Noi di ABC, cosa potevamo rispondere? Fino a qualche anno fa, il
nome
del grande complesso di Kragujevac era "Crvena Zastava", che vuol dire
"Bandiera rossa". Adesso � rimasta la Bandiera, e siamo certi che i
nostri
amici, quale che sia il loro "colore", non intendono ammainarla.
Non molto dissimile � la situazione che abbiamo trovato a Nis. Alla
Elektronska prevale il Sindacato unitario, alla Mascinska
"Nezavisnost!", e
in sostanza i discorsi che ci fanno sono, rispettivamente, analoghi. La
differenza � che ambedue i complessi gi� da tempo sono raggruppamenti di
singole fabbriche, ciascuna con produzioni specifiche. "Produzione",
per�, �
anche qui un temine improprio, poich� in realt� non si produce, e quindi
non
si vende, quasi nulla. Ci hanno condotto a visitare qualche "settore":
ovunque macchinari fermi, oggetti lavorati a met� e lasciati l� ad
arrugginirsi, pochi operai che timbrano i cartellini pi� che altro
affinch�
la loro appartenenza alla fabbrica resti almeno scritta sui registri.
Delle
maestranze comprese in organico - ci dicono i sindacalisti - solo un 20%
lavora tutti i giorni, ma ad orario ridotto, per un salario rapportabile
a
60, 80, al massimo 100 marchi mensili; un 40% viene chiamato
saltuariamente,
il resto � a "salario minimo garantito" (pari a nostre 15-20 mila
lire!).
Garantito, per�, fino a quando sar� possibile, ed � probabile che fra
poco
non lo sia pi�.
In generale, sulla complessiva politica economica del governo
Djindjic
il malcontento � diffuso. Aumentano i prezzi - riferiscono tutti -,
aumentano le tariffe dell'elettricit�, del telefono, aumentano le tasse,
perfino quelle universitarie, aumentano i prezzi di tutti i generi,
anche di
prima necessit�. All'adagio per cui "si stava meglio quando si stava
peggio"
(che i pi� vecchi tra noi italiani ricordano come tipico dei nostri
primi
anni dalla caduta del fascismo), molti contrappongono per� la
convinzione
che � necessario stringere la cinghia, e non per poco tempo, affinch�
l'inflazione non precipiti e la Serbia non si riduca a elemosinare
troppi e
onerosi prestiti. E' questa una tesi sostenuta con forza sui
"mass-media"
da esponenti governativi.

2) Un milione di profughi, tra "vecchi" e "nuovi"
Zobnatica � una localit� nel nord della Vojvodina, a met� strada
fra
Subotica e Backa Topola. Ci sono alcune attrazioni turistiche: un noto
allevamento di cavalli da corsa, un mausoleo di rimembranze storiche e
sportive, un pescoso laghetto, un esteso e ben curato parco pubblico. Un
albergo con pretese di lusso ospita comitive di scolari o pensionati,
cacciatori, squadre di calcio o di basket in temporaneo "ritiro". Ma a
una
cinquantina di metri dall'albergo, in un vecchio caseggiato agricolo,
c'� un
"centro collettivo" per profughi. E' proprio l� che andiamo noi in un
afoso
pomeriggio, su indicazione della nostra amica direttrice della scuola
"Nikola Tesla" di Backa Topola, dove, la mattina, avevamo consegnato le
"borse di studio". Sono una trentina di persone, assiepate in poche
anguste stanzette. Uno stretto ingresso dalle pareti annerite, con una
stufa
a carbone e due panche, dove siedono alcuni anziani dall'aria assente.
Ci
sediamo accanto a loro e cerchiamo di attaccare discorso con tutta la
naturalezza che ci riesce. A poco a poco comincia a rompersi il
ghiaccio e
qualcuno prende a raccontarci la sua storia. Al silenzio succede un
profluvio di parole: dove stavano prima, dove lavoravano, come era la
loro
casa, come viveva la loro famiglia, quando e come sono dovuti andar via.
Zeljka abitava a Knin. Ne � dovuta fuggire a precipizio ai primi
dell'agosto 1995, con tutti gli altri serbi della zona, quando il nuovo
esercito croato, modernamente armato, istruito e diretto da esperti
americani, spazz� via in pochi giorni, con un blitz denominato
"Operazione
Tempesta", l'autoproclamatasi Repubblica serba di Krajina, in territorio
croato, nata dalla rivolta del 1991, con epicentro appunto nella
cittadina
di Knin. Perch� vi ribellaste? Perch� non volevamo fare la fine di
quelle
centinaia di migliaia di nostri padri o nonni che furono sterminati
durante
la seconda guerra mondiale a Jasenovac, la Dachau croata di cui nessuno,
da
voi, sa niente. Quando cominciammo di nuovo a vedercela brutta, mentre
il
presidente Tudjiman lanciava da Zagabria lo slogan "la Croazia ai
croati"
escludendoci cos� da ogni diritto nel nuovo Stato di cui si preparava la
secessione, i nostri uomini si armarono e resistettero per quattro anni.
Ma
ormai, di fronte agli attacchi dei carri armati, non potevano pi�
farcela.
Dovemmo lasciare in tutta fretta le nostre case, incamminandoci verso
Banja
Luka [principale centro della Republika Srpska e ora sua capitale-
n.d.r.].
Di l� fummo smistati nelle pi� diverse localit� della Serbia vera e
propria,
e a noi � capitato di venire qui. Come vedete, ci stiamo ancora dopo sei
anni.
Da una cucina minuscola appare una giovane donna, Zorica, con i
suoi
due figlioletti. Erano fuggiti a Doboi, citt� della Republika Srpska a
oriente di Banja Luka, incalzati dall'offensiva "Maestral", sferrata da
croati e musulmani nel settembre del '95, quando i serbi di Bosnia erano
ridotti allo stremo sotto i bombardamenti della NATO. Come tutti gli
altri -
ci narra Zorica - siamo poi venuti in Serbia. Tra i due figli
riconosciamo
una bambina che in mattinata aveva partecipato allo spettacolo
organizzato
dalla scuola per darci il benvenuto. Donna coraggiosa, Zorica, vivace e
sorridente: dichiara di aver fiducia che presto verranno giorni
migliori.
Al racconto di Zorica segue quello di Milica, un'anziana signora
che
fissa lo sguardo davanti a s�: non sta guardando noi, ma la sua casa nel
Kosovo, a Pristina. Suo marito era ingegnere in una fabbrica della zona.
Serbi, albanesi e altre popolazioni vivevano e lavoravano insieme. Poi
sono
riprese le tensioni inter-etniche ed � cominciata quella maledetta
guerra...
. Fortuna - dice Milica - che noi avevamo imparato bene la lingua dei
kosovari albanesi: questo ci ha aiutato a fuggire in tempo e per la
strada
giusta. Ci mostra alcune foto: la famiglia, la casa, i parenti, gli
amici.
Queste foto sono tutto ci� che le rimane; le guardiamo per qualche
minuto,
rendendoci conto che non � il caso di chiederle altro.
Di "centri collettivi" come questo a Zobnatica, e di solito pi�
grandi,
la Serbia � piena, sparsi da Nord a Sud. Su un popolo di dieci milioni,
un
milione di profughi dalla Bosnia, dall'Erzegovina, dalla Krajina, dalla
Slavonia orientale, dal Kosovo. Alla scuola "Nikola Tesla" di
Belgrado-Rakovica, per esempio, quella cinquantina di alunni che
aiutiamo
con le "borse di studio" sono quasi tutti profughi: basta guardare le
loro
schede con il luogo di nascita: Zadar (Zara), Knin, Gospic, Vukovar,
Pristina, Prizren... .Un caso davvero al limite � quello della famiglia
Stojsavljevic, sistemata nel vicino "centro collettivo" sulla Rakovica
put
(strada). La ragazza affidata - si legge nella scheda - "� stata profuga
due
volte: la prima volta, nel maggio del '95, � dovuta fuggire da Bihac
[Bosnia] a un villaggio nel comune di Graciac [Krajina]. Poco dopo, il 5
agosto dello stesso anno (si ricordi la citata "Operazione Tempesta"-
n.d.r.), � dovuta scappare ancora, fino a raggiungere Belgrado. Abita
ora in
una stanzetta di tre metri per quattro con la madre, il padre e un
fratello.
In queste condizioni, studiare � quasi impossibile".
Anche alla scuola "Ivan Goran Kovacic" di Niska Banja (Terme di
Nis),
molti degli alunni che prendono le nostre "borse di studio" vivono in un
vicino "centro collettivo". E' l'"Hotel Serbia", che ospitava una volta
la
gente ricca venuta per curarsi alle acque termali e ai grandi,
attrezzati
impianti che le utilizzano. Adesso l'albergo � zeppo di profughi, una
famiglia per ogni stanza. Ci andiamo a trovare alcune vecchie
conoscenze,
tra cui Jovanka, donna ancora giovane ma affetta da sclerosi, con le
gambe
paralizzate e due figli da portare avanti. Qualche anno fa mostrava un'
eccezionale forza d'animo, pareva che la malattia non la interessasse.
Adesso � scoraggiata e depressa, sdraiata su un lettino senza potersi
pi�
muovere. Piange e si lamenta a lungo, cantilenando, perch� tra poco i
suoi
bambini rimarranno soli.

3)Situazione d'incertezza in campo scolastico

Il "Cambiamento" ha prodotto o tende a produrre, di riflesso,
situazioni ambigue in molte scuole serbe. Per adesso timori o, al
contrario,
speranze riguardano in primo luogo la loro dirigenza: in parole povere,
si �
in attesa di sapere se questo o quel direttore, vice-direttore o altri,
di
nomina o notoriet� politica "socialista" (cio� miloseviana), sar�
lasciato
al suo posto. Per il momento, ci � parso di notare in alcune segreterie
scolastiche persone nuove, messe l� con compiti di sorveglianza. "La
politica non dovrebbe entrarci - dicono in molti, specialmente quelli
che
"temono" -, dovrebbero contare soltanto la competenza professionale e i
risultati didattici conseguiti". Altri per� - quelli che "sperano" -
fanno
notare che prima del "Cambiamento" le scuole hanno funzionato secondo
criteri, programmi e metodi omogenei al vecchio regime, e che � ormai
tempo
di farvi entrare "aria nuova", aprendo al vasto mondo l'orizzonte
mentale e
culturale degli alunni.
Per intanto, ci si attende che vengano aperti i cordoni della borsa
da
parte del Ministero e delle amministrazioni comunali. Come abbiamo
potuto
constatare di persona, anche in alcune delle scuole interessate dalle
nostre
iniziative ce ne sarebbe effettivamente bisogno. Alla "Svetozar
Markovic" di
Novi Sad, per esempio, si sono dovuti lasciare a met� i lavori di
riparazione dei danni causati dal bombardamento di due anni or sono.
Alla
"Ivan Goran Kovacic" di Niska Banja molte aule, sistemate in
seminterrati
con le finestre a livello stradale, quando piove di brutto devono essere
evacuate, perch� si riempiono di acqua e fango. In tutte le scuole
serbe,
d'altra parte, gli stipendi del personale docente e non docente sono
molto
bassi (corrispondono a nostre 100 o 150 mila lire). Si sono fatti
scioperi,
interi o parziali (cio� con accorciamento di orari), ma il risultato
ottenuto, un aumento del 15% che ancora non si sa se reale o promesso,
non �
stato molto apprezzato.
A volte, personaggi incaricati del rinnovamento scolastico da parte
dell'attuale governo, cadono in atteggiamenti estremizzati che farebbero
meglio a risparmiarsi. Il 29 maggio si � tenuta a Sombor, per iniziativa
del
DOS, una riunione di 150 direttori e insegnanti di scuole della Backa
occidentale e centrale (la Backa � la fascia pi� settentrionale della
Vojvodina, quindi della Serbia). Proprio a Sombor la spinta al
"Cambiamento"
aveva avuto uno dei suoi punti di maggior forza. Ha presieduto e
concionato - ci narra la direttrice della "Nikola Tesla" di Backa Topola
-
una donna giovane, tanto immatura quanto arrogante, priva di reali
competenze didattiche. Si chiama Marija Vuckovic ed � stata inviata a
Sombor
dal ministro per l'educazione Gaza Knezevic. A suo dire, tutto ci� che
si �
fatto finora nelle scuole rappresentate dai convenuti � un cumulo di
errori
e falsit�, bisogna rovesciare tutto, ricominciare da zero. Non precisa,
per�, in che modo e secondo quali indirizzi didatticamente pi� validi.
Contestata dai docenti, che si sentono ingiustamente accomunati in una
globale e indiscriminata condanna, chiude di colpo la riunione e se ne
va.
Avvenimenti simili si verificano in molte altre parti della Serbia. Si
spera trattarsi di un breve periodo di transizione, con le sue
comprensibili derive d'inesperienza, ignoranza dei problemi, incapacit�
ad
assumere una linea giusta.
Passando a un discorso pi� generale, fenomeni dello stesso tipo -
ci �
stato detto - si hanno un po' in tutti i campi, sotto l'egida del
presente
capo del governo, Zoran Djindjic, che molti ritengono uomo ambiguo,
troppo
legato all'Occidente e in particolare alla Germania, dove ha studiato,
si �
formato e di cui ha conservato il passaporto (avrebbe dunque doppia
nazionalit�, tedesca e serba). Gli stessi lo considerano il miglior
cavallo
di Troia dei nemici della Serbia. Generale � invece l'apprezzamento per
Kostunica, che tutti giudicano uomo equilibrato e realmente rispettoso
delle
regole democratiche. Si sta facendo strada l'aspettativa delle
annunciate
nuove elezioni politiche a breve scadenza, nella speranza che ne
sortisca
per lo stesso Kostunica un pi� diretto ruolo di governo, al di sopra
delle
attuali incertezze e sbandate, e al di fuori delle "lottizzazioni" fra i
partiti della coalizione DOS.

4)Un'accoglienza indimenticabile
Piccola e malandata � la scuola "Rodoljub Colakovic", sita in Donja
Vrezina, un sobborgo di Nis. La stradina per arrivarci � attraversata da
buche piene d'acqua dalla profondit� incerta. L'edificio scolastico � al
centro di un prato senza recinzione, con a fianco un "campo di calcio"
lungo
una diecina di metri, dalla larghezza indefinita; le due "porte" sono
segnate da pietre dove � sperabile che i piccoli giocatori non vadano a
battere la testa. L'edificio scolastico ha spazio soltanto per due aule;
gli
stessi genitori stanno provvedendo alle riparazioni pi� urgenti, dagli
infissi al WC.
La scuola comprende solo le prime quattro classi; � la succursale
di
un'altra pi� grande e un po' lontana, dove gli alunni dovranno recarsi
in
seguito per il secondo ciclo dell'obbligo. Questa volta � venuto anche
il
direttore della scuola principale, che ci accoglie con interesse e
cordialit�, offrendoci alcuni regali: un po' di tutto, da alcune allegre
formicone variopinte, manovrabili come marionette con fili, costruite
dagli
alunni durante le lezioni di lavoro manuale, all'immancabile bottiglia
di
"rakija" (grappa da vari frutti, che i serbi generalmente distillano in
casa
e di cui fanno uso abbondante sia come aperitivo che come digestivo).
Pi� di una bottiglia di rakija � stata stappata, e vuotata, durante
l'indimenticabile festa con cui insegnanti, genitori e alunni della
piccola
scuola hanno voluto darci il benvenuto. Una lunga tavolata nell'aula pi�
grande. Appena ci sediamo, da una parte di essa, assieme agli
insegnanti,
dall'altra si mettono gli alunni cui abbiamo appena consegnato le "borse
di
studio". Torte e pasticcini fatti or ora dalle mamme, succhi di frutta e
aranciate per tutti. Ma ecco che i genitori prendono il posto degli
alunni;
le bottiglie di prima vengono sostituite, appunto, da quelle di rakija e
s'intensificano i brindisi: Djveli! - e noi rispondiamo: Alla salute! Ma
dove sono finiti i bambini? Eccoli ricomparire, con abbellimenti sui
vestiti
e fra i capelli, per un grazioso spettacolo di recite, canzoni, balli
tradizionali. Tocca a noi, adesso, ricambiare in qualche modo. Questa
volta,
per fortuna, abbiamo nella nostra delegazione Leonardo, che � un bravo
tenore. Intona vecchie canzoni napoletane, universalmente note, e
qualche
pezzo d'opera, fra scroscianti applausi generali. Genitori e insegnanti
vogliono fare anch'essi la loro parte, con canzoni serbe melodiose e un
po'
malinconiche. Si passa poi tutti quanti a "Bella ciao", "Scarpe rotte" e
simili, comune eredit� del periodo partigiano. Alla fine compaiono una
chitarra e una fisarmonica: tutti a ballare a coppie, in fila, in
circolo,
per un'oretta buona. Dopo un ultimo Djveli! ci congediamo. Siamo stati
l�
quattro ore, molti (e molte) hanno le lacrime agli occhi.
Si parla a volte di "Diplomazia popolare"; noi ci limitiamo a dire
che
piccoli episodi come questo sono importanti, perch� spargono semi di
amicizia, gettano ponti di solidariet� e fratellanza tra popoli,
tendendo ad
allontanare bombe e cannoni dal ricordo e dal pensiero

1) Ricevimento al Municipio di Nis
Il pomeriggio di gioved� 24, al palazzo comunale (dove fervono lavori
di
ricostruzione) ci riceve il vice-sindaco, Mirjana Barbulovic. E' una
donna
giovane, minuta, simpatica, piena di energia. Ci d� il benvenuto nella
citt�, ce ne espone brevemente i gravi problemi, ci ringrazia delle
nostre
iniziative "umanitarie". Ci parla fra l'altro di due giovani giocatori
locali di basket, due talenti da poco "acquistati" da una squadra greca.
La
preghiera di attivarci per analoghi "acquisti" da parte di squadre
sportive
italiane � implicito ma evidente. Gi� altre volte, a Nis, richieste
simili
ci erano state rivolte da persone che sperano di far carriera in Italia:
un
tenore, un pugile, ecc.
A Nis, come in tante altre citt� della Serbia, pullulano i pi�
svariati
organismi assistenziali, interni ed esteri, religiosi e laici. Alla
piccola
riunione dal vice-sindaco sono presenti anche i rappresentanti locali
della
"Yu-Rom Centar", che si occupa appunto dei Rom e di altre minoranze
etniche,
nonch� dell'Associazione per le madri sole con figli da allevare.
Ambedue ci
danno copia dei rispettivi programmi e ci chiedono un aiuto.
Queste sono certamente brave persone, e gestiscono organismi
"umanitari" seri. Bisogna per� stare attenti, ch� il momento � ritenuto
propizio anche per iniziative di tutt'altra e dubbia natura. Quelle
sovvenzionate dal magnate Soros e simili sono note; ma adesso se ne
stanno
infiltrando di nuove, che i Serbi non avevano mai visto. A Backa Topola,
per
esempio, si � installato un santone americano, sedicente "adoratore di
Ges�
sul Golgota". E' andato anzitutto dal sindaco (del partito irredentista
ungherese) e da lui si � fatto introdurre nelle scuole e in altre realt�
cittadine. Sta facendo numerosi proseliti, distribuendo soldi a piene
mani.
Un proselitismo molto facile tra gente ridotta in povert�, e anche molto
sospetto.

2) Prosegue l'iniziativa "Pancevo chiama Italia"
Gli strumenti e materiali per la cromatografia che abbiamo acquistato
dalla
ditta "Camag" sono felicemente arrivati all'Istituto d'igiene e
protezione
ambientale di Pancevo. Loris Campetti, inviato del "manifesto", ne ha
ampiamente parlato in un articolo del 9 gennaio e in un servizio
successivo:
li ha visti gi� in funzione per misurare la presenza di sostanze
tossiche
nel cibo. Ha intervistato la dirigente del laboratorio, dottoressa Mica
Saric Tanaskovic, e ne ha riportato le seguenti testuali parole: "Ci
avete
donato l'attrezzatura pi� moderna per questo tipo di analisi, che tutti
gli
istituti simili al nostro si sognano. Stiamo gi� intervenendo sulle
microtossine che con il calore - i bombardamenti hanno violentato anche
il
nostro clima atmosferico - si sviluppano nei cereali in seguito alla
catastrofe ecologica e potremo effettuare analisi anche per l'insieme
della
Vojvodina, granaio della Serbia"
Attualmente siamo pronti ad inviare all'Istituto uno
spettrofotometro a
raggi ultravioletti ed accessori (costo 15 milioni). Stiamo solo
aspettando
la definizione degli inevitabili adempimenti burocratici
.
3) Nulla di nuovo in Bosnia?
Dopo la consegna delle "borse di studio" alla scuola di Pale, ha voluto
invitarci a cena il direttore Radomir. Anche lui � un nostro vecchio
amico.
Sul suo volto si legge lealt� e fedelt� immutabile alle proprie idee. Ha
combattuto tre anni e mezzo nella "Difesa territoriale" della cittadina,
allora capitale della Republika Srpska, quindi sede del governo di
Radovan
Karadzic. "Noi a Pale - � questo il suo maggiore vanto - i musulmani non
ce
li abbiamo fatti arrivare". Peccato che, finite le ostilit�, sia
incappato
in una mina anti-uomo mentre stava per sedersi a pescar trote, e cos�
adesso
cammina con la protesi. Disgrazie analoghe, e anche pi� gravi, sono
accadute
a tanti altri in Bosnia, specialmente bambini: c'erano, e ci sono, dai
tre
ai cinque milioni di queste mine; nelle scuole una pubblicazione
dell'UNICEF
per mettere in guardia gli alunni � compresa tra i libri di testo.
La cena si svolge in un ristorante sul monte Jahorina, dove si
tennero,
nell'ormai lontano 1984, le olimpiadi di sci femminile. Nel locale ci
siamo
soltanto noi, davanti a un grande braciere dove sta cuocendo carne alla
griglia. All'intorno i grandi alberghi di un tempo sono vuoti, tranne
uno
dove abitano profughi.
"Che situazione c'� adesso in Bosnia?" - ci azzardiamo a chiedere.
"Sempre la stessa", � la lapidaria risposta di Radomir. Essa vuol
significare varie cose. In primo luogo che dopo la "pace" di Dayton,
firmata
nel dicembre �95, le truppe internazionali della SFOR ("Stabilization
Force"), comprendenti anche un forte contingente italiano, continuano a
tenere sotto controllo l'intero territorio della Bosnia-Erzegovina. E in
realt�, se cos� non facessero, la pace sarebbe di nuovo in pericolo,
come
dimostra il semplice fato che stanno l� da sei anni, mentre avrebbero
dovuto
andarsene dopo uno.
La risposta di Radomir sta a significare inoltre che uno degli
obiettivi
fondamentali sanciti a Dayton, e cio� la reintegrazione inter-etnica e
il
ritorno alle proprie case delle masse di profughi delle tre parti -
serbi,
croati e musulmani - si dimostra irraggiungibile. Ne abbiamo avuto uno
degli
innumerevoli esempi proprio in questo viaggio, quando una nostra amica
serba
di Rogatica, che una volta abitava a Sarajevo, ci ha ricevuto in una
casa
che fino a pochi giorni prima era di propriet� di una famiglia
musulmana.
L'ha scambiata con la sua casa di Sarajevo, e le � andata bene - ha
commentato - anche se la sua casa di prima era molto pi� bella e anche
se
Rogatica non � Sarajevo.
In terzo luogo, Radomir ha voluto far capire che si pensa ormai,
anche
da parte serba, che � tempo di uscire dagli equivoci di Dayton. Le
rispettive pulizie etniche sono ormai acquisite e definitive; se i
croati
dell'Erzegovina stanno agitandosi per riunirsi alla Croazia, perch� loro
non
dovrebbero riunirsi alla Serbia? Resta il problema dei musulmani. Si
adatteranno a un piccolo Stato cuscinetto o cercheranno, utilizzando le
contrastanti mire geopolitiche straniere, di realizzare quella "Linea
verde"
da Istanbul a Pristina, dal Sangiaccato a Sarajevo, che � una delle
tante
versioni dei sogni balcanici di "grandezza", accanto ai progetti di
"Grande
Serbia", "Grande Croazia", "Grande Albania" e via dicendo?
Quanto a Drago, il "pedagogo" della stessa scuola di Pale (cio�
assistente sociale, psicologo, incaricato dei rapporti con le famiglie),
egli ha frequentato - ci racconta - un seminario tenuto a Helsinki per
il
rinnovamento di programi e metodi didattici. Evidentemente, il povero
"Alto
Commissario" per l'attuazione dei trattarti di Dayton nei loro aspetti
civili ce la sta mettendo tutta, anche se i riultati non risultano molto
brillanti. C'� per� da dire che lo stesso Drago insiste nell'invitare
gruppi
di alunni italiani - appartenenti a scuole che aderiscono alle nostre
iniziative - a venir a sciare sul monte Jahorina. Che qualche spiraglio
alla
riconciliazione inter-bosniaca possa aprirsi attraverso "triangolazioni"
internazionali a livello di giovani? Le vie del Signore sono infinite...
.

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NATO-Kriegsopfer klagen auf Schadenersatz

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10 getoetete, 17 schwerverletzte Zivilpersonen

Klagegegner: Bundesrepublik Deutschland

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Von: wolfgang mueller
Datum: 2001/06/11 Mo PM 05:34:39 GMT+02:00
Betreff: Veranstaltungsreihe �ber die aktuelle Situation in Jugoslawien

Liebe Leute!
Ich m�chte auf eine Veranstaltungsreihe hinweisen, die
in den kommenden Wochen stattfinden wird und bestimmt
manchen von Euch interessiert:

Embargo, Bomben, Wahlputsch -
Veranstaltungsreihe �ber die aktuelle Situation in
Jugoslawien:

Mit Klaus Hartmann und einem Vertreter der
Sozialistischen Partei Serbiens (SPS)


- Hamburg: 14. Juni, 19 Uhr, Magda Th�rey Zentrum,
Lindenallee 72.
Veranstalter: DKP, Internationale Jugoslawien
Solidarit�t, Deutsch-Jugoslawische Friedensinitiative
e.V.

- Wiesbaden: 20. Juni, 19.30 Uhr, �Alte
Gewerbeschule�, Wellritzstra�e 38.
Veranstalter: Linke Liste Wiesbaden, Rathaus-Fraktion,
AK Antifaschismus und Antirassismus

- Mannheim: 21. Juni, 20 Uhr, B�rgerhaus (West),
Neckarstadt.
Veranstalter: PDS, DKP und Freidenker Mannheim

- Dortmund: 22.-24. Juni auf dem Pressefest der UZ

Mit internationalistischen Gr��en
Wolfgang Mueller (Internationale Jugoslawien Solidarit�t)

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SORRY VIRGINIA BUT THEY ARE NATO TROOPS,
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Rozoff, George Thompson and Max Sinclair.
[11 June 2001]

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FESTIVAL DI RESISTENZA CONTRO I G2 !
LUBIANA - SABATO 16 GIUGNO 2001
GIORNO DI INCONTRO TRA BUSH E PUTIN IN SLOVENIA

Il 16 giugno 2001 la Slovenia ospiter� il suo primo vertice
russo-americano.
Le autorit� politico-economiche slovene sono entusiaste di ospitare il
vertice russo-americano: lo considerano un'opportunit� per mostrare i
loro progressi politici ed economici al mondo intero.
Dato che l'incontro si terr�, per ragioni di sicurezza, nella citt�
blindata di Brdo pri Kranju, noi a Ljubljana organizziamo una grande
manifestazione di protesta contro i due rappresentanti delle nazioni pi�
potenti del mondo. Invitiamo a partecipare tutti coloro che ritengono
infami le loro politiche di repressione, guerre e inganni, che sono da
considerarsi un'oscenit� proprio perch� sostenute dalle massime autorit�
di una nazione. Scenderemo in piazza anche contro i gover-nanti sloveni
che li ospitano, perch� anche noi pensiamo sia l'occasione di mostrare
al mondo intero i loro successi, per mostrare le conseguenze del loro
governo repressivo e totalitario:
- violazione dei diritti umani fondamentali per gli stranieri e gli
immigranti in Slovenia
- repressione dello Stato e della polizia contro le minoranze (sessuali,
etniche e culturali)
- smantellamento dello stato sociale, con conseguente indebolimento dei
diritti dei lavoratori a favore del capitalismo parassita e dei suoi
funzionari
- repressione di ogni movimento di protesta contro le politiche dello
stato: feudalizzazione corporativa e leggi sempre pi� restrittive che
danno maggiore autonomia alla polizia
- misure repressive miranti a prevenire ogni possibile resistenza,
mediante feudalizzazione corporativa, leggi repressive e rafforzamento
della stato di polizia
- l'imposizione dello stato di polizia nelle aree di confine, con le
frontiere che stanno diventando il muro impenetrabile della Fortezza
Europa
- aggressiva polarizzazione ideologica della societ� tra modello
patriarcale-cattolico e liberale: si affermano diritti a livello
proclamatorio per poi negarli nel particolare mediante provvedimenti e
meccanismi amministrativi fascisti
- imposizione violenta, sostenuta dai media, della cosiddetta
integrazione Euro-Atlantica (NATO e UE), che ha come scopo la
militarizzazione del Paese, la distruzione finale dei meccanismi dello
stato sociale, la liberalizzazione del mercato della forza lavoro, la
trasfor-mazione dell'agricoltura in grande industria agrarie con la
proletarizzano i piccoli contadini.
E' importante capire tutto questo non come singole malattie, ma come un
male globale che detiene sempre pi� potere e contro il quale dobbiamo
combattere.
A tutto questo si aggiungono e vanno collegati una miriade di episodi di
repressione.
Noi dobbiamo unire le singole lotte contro il dominio e la repressione,
nel mosaico di un rifiuto generale ad essi e di una domanda collettiva,
nell'esistenza individuale e sociale, di pensieri e di aspettative
alternative. Contro il potere che orienta le nostre esperienze e
relazioni nella direzione dell'esclusione, dell'iniquit� e della
gerarchia, noi lottiamo per esperienze e relazioni che ci facciano
vivere in libert�, pluralit�, creativit�.
Vogliamo realizzare un mondo migliore per tutti quelli che sono oppressi
da queste logiche di potere.

Vi proponiamo di unirvi a NOI il 16 giugno 2001 a Ljubljana, Slovenia,
per costruire insieme un festival di resistenza,
per unirci assieme come un mosaico pieno di desiderio di cambiare.

Appuntamento alle ore 14.00 al Parco Tivoli
Dove troverete musica, festa, protesta, e da dove partiremo per una
marcia
attraverso la citt� che passer� davanti alle ambasciate americana e
russa.

RESISTENZA GLOBALE CONTRO IL POTERE GLOBALE!

Globala - www.ljudmila.org/globala - revolucija@...

FESTIVAL UPORA

Ljubljana bo 16. junija 2001

gostila predsednika ZDA Georga Busha
in njegovega ruskega kolega Vladimirja Putina.

Slovenska ekonomsko-politicna elita pozdravlja srecanje, na katerem
bosta vodilni politicni prikazni snovali prihodnost vsega clove�tva.
Slovenska oblast v uresnicevanju lastnih interesov slepo podpira velike
globalne lutkarje, da bi v njihovi senci sistematicno kr�ila pravice
zensk, mladih, imigrantov, upokojencev, delavcev, manj�in, socialno
�ibkih...

To je priloznost, da pred ocmi celega sveta, vsem globalnim in lokalnim
oblastnikom, pokazemo, da jim odrekamo pravico odlocanja o zivljenjih
nas, ostalih miljardah prebivalcev tega sveta.

Zato pozivamo vse svobodomiselne,
da s svojo domi�ljijo, radozivostjo
in strastjo sodelujejo in soustvarijo

FESTIVAL UPORA!

14:00 - Zacetek Park Tivoli
16:00 - Veliki Finale

O usodi sveta se ne moreta
pogovarjati samo dva, o clovekovih
pravicah se ne more odlocati
na referendumih!

Globala - www.ljudmila.org/globala - revolucija@...

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Original ENGLISH version:
> http://emperors-clothes.com/articles/jared/expan.htm
or
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NOTA: L'articolo seguente risale allo scorso marzo, prima
che Milosevic fosse arrestato, ma e' di grande attualita'
proprio oggi che la Macedonia viene destabilizzata e
precipitata nell'ennesima carneficina pseudo-etnica.
Commenta il traduttore: "Spero di non avere inviato
documenti diventati obsoleti; sono decisamente lunghi
da leggere, elaborati, ma fanno capire tante cose:
soprattutto che negli USA esistono ancora intellettuali,
come Jared Israel, senza paraocchi o venduti, ma con
grande capacit� critica, che non fanno parte della
fabbrica del consenso al capitale sfruttatore.
Chomsky ha fatto scuola! Curzio")

---

I TERRORISTI DELL'UCK ATTACCANO TUTTI;
I MEDIA ATTACCANO... MILOSEVIC?

di Jared Israel (4 marzo 2001)

I media occidentali ci stanno preparando ancora ad
un'altra guerra terrorista, che la NATO
sembra essere impotente a prevenire, sebbene stia
addestrando militarmente i terroristi.

"Forze speciali dell'Occidente stanno tuttora
addestrando le guerrillas, come risultato di decisioni
prese gi� prima del cambio di governo in Yugoslavia."
(BBC, 29 gennaio 2001) (1)

Le 'guerrillas' in questione sono i membri dell'Armata
di Liberazione del Kosovo, o UCK.

Vi ricordate ancora dell'UCK? E' la stessa gente che la
NATO ha installato al potere in Kosovo nel giugno
1999 dopo che questi hanno cacciato quasi tutti i
Serbi, i 'Gypsies' (zingari Rom), gli ebrei e i
mussulmani Slavi, o li hanno ammazzati.

Bill Clinton e George W. Bush erano assolutamente
entusiasti dell'UCK e il Sen. Joseph Lieberman
aveva affermato:

"Gli Stati Uniti d'America e l'Armata di Liberazione
del Kosovo lottano per gli stessi valori umani e
gli stessi ideali. Combattere per l'UCK �
combattere per i diritti umani e i valori Americani."
('Washington Post' 28 aprile 1999)

L'UCK, che in questi giorni appare sotto nomi diversi,
� stata disciolta pi� di una volta e nonostante ci�
continua ad innescare nuovi conflitti terroristici.

A parte l'invasione della Serbia meridionale, che �
iniziata un anno fa, l'UCK ha iniziato l'attacco
alla regione chiamata Ex Repubblica Yugoslava di
Macedonia (o, pi� semplicemente, 'Ex Macedonia').

L'UCK, o comunque si chiami, � stata completamente
disarmata, ma impiega armi pesanti e in pi� vi sono
gli elicotteri da combattimento NATO a provvedere
alla copertura aerea.

I MASS MEDIA PREPARANO GLI STATI UNITI
ALLA NUOVA GUERRA

Il modo in cui i mezzi di informazione di massa
ci stanno preparando alla nuova guerra terroristica
� di cucinare le nostre menti a fuoco lento.
Consideriamo un articolo apparso il 24 febbraio
2001 sul 'Telegraph' di Londra.

Il corpo dell'articolo concerne gli ultimi attacchi
terroristici dell'UCK. Ma il titolo recita:
"FORZE NATO FRONTEGGIANO UNA NUOVA
MINACCIA NEI BALCANI "

Ma come? Qualcuno minaccia la NATO? No, nessuno
sta minacciando la NATO, sebbene
questo sarebbe ampiamente giustificabile!
La singolarit� del titolo � di fornire ai lettori una
vera e propria preparazione mentale prima di
far passare la notizia che l'allievo prediletto della
NATO, l'UCK, sta attaccando la Serbia e l'ex Macedonia.

I lettori devono essere condotti lontano da
considerazioni "inaccettabili", anche se
perfettamente logiche, come quella che forse un
gruppo ONU in Kosovo, costituito dall'UCK, diventato
ufficialmente "Corpo di Protezione del Kosovo", e la
NATO, che ha addestrato i terroristi in azione in Serbia
e nell'ex Macedonia, hanno iniziato insieme questi attacchi.

Oh no, no, no, voi dovete esaminare il titolo: questi
attacchi minacciano la NATO, e il titolo sottilmente ci
conduce lontano da acque e conclusioni torbide.
Ora per le vostre considerazioni, vi � un primo giudizio
nell'articolo:
"La guerra in Kosovo � stata condotta per la disfatta di
Slobodan Milosevic e del suo sogno di una 'Grande Serbia'".

Sorprendente. Si suppone che questo articolo sia concernente
con gli ultimi attacchi terroristici.
Si suppone che nuove notizie ci informino su che cosa �
avvenuto, su dove � avvenuto, quando e come.
Forse Milosevic � uscito la notte scorsa e ha lanciato
attacchi terroristici sull'Ex Repubblica Yugoslava di
Macedonia e sulla Serbia meridionale?

In coerenza con questo giudizio il 'Telegraph' vuole
rinfrescare i nostri ricordi con vecchie storie proprie
dei mezzi di informazione anti-Serbia.
Tutto questo ci fornisce l'impressione che qualsiasi
cosa ora avvenga � a causa di Milosevic.

Questo � importante per due ragioni.
La prima, che Milosevic non pu� avere prodotto malsani
progetti, ad esempio aver condotto una lotta per una
'Grande Serbia', senza aver avuto un consenso di
massa.. Allora questa condanna deve essere messa in atto,
attaccando l'intera Serbia che resiste alla NATO.
La seconda, che la NATO e i leaders di Belgrado, favorevoli
alla NATO, stanno provando a costruire un consenso
pubblico per l'arresto di Milosevic.
Si vuole mettere in scena un processo spettacolo, per
convincere il mondo che la NATO � innocente e che i
Serbi sono colpevoli del disfacimento della Yugoslavia.

Allo stesso tempo, questo giudizio in apertura induce i
lettori a considerare la NATO assolutamente non colpevole.
Se non avesse bombardato la Yugoslavia e occupato il
Kosovo, la NATO avrebbe fallito il compito della: "sconfitta
di Slobodan Milosevic e del suo sogno di 'Grande Serbia'"

Allora, come il titolo di testa, il primo giudizio ci conduce
in una opportuna predisposizione mentale, per accettare
costruttivamente le notizie pro-NATO
e di vigile sospetto per i sogni Serbi di espansione.
Allora basta attendere un minuto! Seriamente il 'Telegraph'
sta affermando che la NATO ha bombardato la Yugoslavia
per fermare il sogno di Milosevic?
Forse questo sogno aveva preso una forma concreta? Forse
Milosevic aveva tentato di espandere la Serbia in Kosovo?

Potrebbe essere questa l'idea, ma vi � un piccolissimo
particolare! Al tempo dell'attacco NATO
il Kosovo era una provincia della Serbia. Infatti il Kosovo
� stato una provincia della Serbia con riconoscimento
internazionale gi� dalla Prima Guerra Mondiale.
Il Kosovo � il cuore della Serbia.
Dire che la Serbia si � espansa in Kosovo � come dire
che New York si � espansa a Manhattan.

Questa sciocchezza della 'Grande Serbia' ci � stata appioppata
per dieci anni da giornalisti, da politici e professori
dell'Occidente. Questa � la spiegazione base per ogni conflitto
in Yugoslavia. Ma a dispetto di tutto il sognare espansionistico
di Milosevich, la Serbia non ha mai annesso una qualche regione.
Non un acro. Invece un milione di Serbi e altri cittadini fedeli alla
Yugoslavia sono stati cacciati dalle loro terre e dalle loro case in
altre parti della Yugoslavia (ad esempio, i contadini che
possedevano la maggior parte della terra di Bosnia e che la
coltivavano).
Questi profughi, per la maggior parte ma non tutti di etnia
Serba, ora vivono in Serbia.

"DIFENDERE L'UNIONE"

La Yugoslavia, sotto la guida della Serbia, si � battuta difendendosi
a partire dal 1990, resistendo ai secessionisti che hanno lanciato
attacchi armati contro le forze Yugoslave e che hanno spopolato
vaste zone dai Serbi e da altri indesiderabili.
I due esempi pi� estremi sono la divisione della Krajina (pi� di
200.000 Serbi scacciati dalle truppe fasciste della Croazia sotto
la direzione degli U.S. nel 1995) e il Kosovo (circa 350.000
persone scacciate dall'incalzare della NATO nel giugno del 1999).
Lo scopo degli attacchi secessionisti era di strappare via parti alla
Yugoslavia e di formare mini-stati sotto il dominio degli U.S. e
della Germania.

I Serbi sono diventati il principale obiettivo poich� costituiscono
il cemento della Yugoslavia.

I Governanti della Germania sono stati completamente consapevoli
di questo fatto e, negli ultimi cento anni, hanno scatenato due
guerre mondiali con pesanti attacchi contro i Serbi.
Allora, a partire dal 1990 la Yugoslavia, sotto la guida della Serbia,
ha in realt� resistito ai "sogni di espansione" Anglo-Americani e
Germanici.
La Serbia si � venuta a trovare in una posizione similare a quella
degli Stati del Nord durante la Guerra Civile Americana. (7) Il
Nord si � battuto per evitare che gli Stati del Sud formassero una
nazione schiavista sotto il dominio Britannico, e la Serbia si �
battuta per impedire che regioni della
Yugoslavia si trasformassero in staterelli etnicamente 'puri',
sotto il dominio Occidentale.

I politicanti dell'Occidente e i mass-media hanno accusato la
Serbia di destabilizzare i Balcani.
Tutto ci� � di sorprendente cinismo. Chiunque abbia conoscenze
di storia dell'Europa sa che l'esistenza di uno stato che unifica gli
Slavi del Sud ('Yugoslavia') � cruciale per la stabilit� del Sud
dell'Europa e della Russia.
L'opposizione della Serbia alla frantumazione della Yugoslavia
in deboli neocolonie Anglo-Americane e Germaniche non
corrisponde assolutamente al "sognare di una 'Grande Serbia'".

IL MEDIUM MILOSEVIC

Per rendere veramente credibile il concetto di 'Grande Serbia',
questo � stato vincolato all'accusa che il Signor Milosevic era
ed � motivato dall'odio per i non-Serbi.
I media occidentali sono accresciuti di un nuovo medium,
Milosevic, che ha contribuito nell'aiutarci ad assimilare questa
idea. Io ho incontrato questo medium Milosevic mentre
osservavo un programma di Fox News durante
il bombardamento NATO sulla Yugoslavia. Fox stava intervistando
un reporter del 'NY Times', un 'esperto' della Yugoslavia. Il reporter
diceva:
"La pulizia etnica del Kosovo, come Milosevic avrebbe voluto
chiamare ci�, � un successo."
Cos� breve ma cos� menzognero!
Se il reporter avesse dichiarato, "Milosevic ha reso popolare
il termine 'pulizia etnica' e usato ci� in Kosovo," questa sarebbe
stata una bugia, ma una bugia sfrontatamente diretta.
Uno avrebbe potuto anche chiedere: " Dove sono le prove? ".
Ma il reporter presentava la sua accusa come se menzionasse
un fatto tanto noto da non richiedere prove. Tale noncuranza
ha un grande potere perch� fa pensare questo allo spettatore
non informato (virtualmente a tutti gli Americani): "Ah cos�,
Milosevic ha inventato l'idea della pulizia etnica.
Una ragione di pi� per mettere quest'uomo dietro le sbarre."

Il 'New York Times' ha spesso fatto riferimento a Milosevic
come autore della 'pulizia etnica'. Per esempio, il 3 agosto
1992 Anthony Lewis, il prolifico tormenta-Serbi, scriveva in
una colonna del 'Times' riportata da diversi altri giornali:

"Il Presidente Bush paragona Saddam Hussein a Hitler. Io
sono contrario a tali analogie, in quanto queste sminuiscono
l'Olocausto. Ma se bisogna usarne una, � meglio adattarla al
leader dei Serbi, Slobodan Milosevic, l'inventore della 'pulizia
etnica.'" (Anthony Lewis, 'N.Y. Times', 3 agosto 1992)

Il sito Emperor's Clothes usa un motore di ricerca chiamato
Lexis. Con questo noi possiamo analizzare la stampa mondiale
degli ultimi venti anni in pochi secondi.
Se una dichiarazione � stata pubblicata nei media, noi possiamo
trovarla.
Io ho fatto una ricerca approfondita sugli articoli del 'N.Y.
Times'. Il 'N.Y. Times' non ha mai citato Milosevic per avere
detto una parola in favore della 'pulizia etnica '.
Mai!.

Come poteva Milosevic far riferimento alla 'pulizia etnica '
senza usare le parole?

Il reporter intervistato da Fox (e Mr. Lewis, e tanti altri,
una folla!) era semplicemente bugiardo, o per essere pi�
accurati, egli non era solo bugiardo, egli aveva presentato
la sua menzogna in maniera calcolata per fare in modo che
ognuno degli spettatori pensasse che ci� fosse vero.

Il termine 'pulizia etnica' ha una storia interessante. E' stato
usato per la prima volta in Kosovo nel lontano 1980.
I secessionisti Albanesi avevano innescato una campagna
terroristica, scacciando dal Kosovo decine di migliaia
di Serbi. (4) Il 'N.Y.Times' ha fatto la cronaca della storia di
questo incubo nel 1982. Il giornalista del 'Times' aveva
intervistato un ufficiale Yugoslavo, un uomo di stirpe Albanese,
che disse:
"I nazionalisti Albanesi hanno una piattaforma su due punti...
primo, stabilire quella che loro chiamano una repubblica
Albanese etnicamente pulita e quindi fonderla con l'Albania per
formare una pi� Grande Albania." ('N.Y. Times', 12 luglio 1982)

Per ulteriori informazioni sulla storia dell'uso di 'pulizia etnica'
vedere la nota (6) a pi� di pagina, alla fine.

E' OPERA DI TUTTI !!

Le accuse contro il Signor Milosevic (ed inoltre contro i
Serbi Cattivi) sono venute da tutte le parti.
Scrittori liberali, e spesso di sinistra, hanno preso parte a
questi attacchi, e li hanno perfino guidati. Per esempio, vi �
un autore spagnolo, Juan Goytisolo, che da se stesso si
presenta come una immagine di assenza di apertura mentale.
Durante il bombardamento della Yugoslavia, il Signor
Goytisolo ha scritto un pezzo per l'Independent di Londra
affrontando un fenomeno che nel suo titolo chiamava con
larghezza di vedute "IL VIRUS CHE HA INVASO LA
SINISTRA." (Quale enfasi!). Questo virus era costituito dagli
scrittori che si opponevano ai bombardamenti NATO sui Serbi.
Piazzando le sue credenziali in prima linea, il Signor Goytisolo
ci assicura che:
"NESSUNO detesta i bombardamenti aerei pi� del sottoscritto ".
(Quale enfasi!)
Questo � incoraggiante, e una volta detto ci�, il Signor Goytisolo
va per� allo scopo, che � di spiegarci perch� egli non detesti i
bombardamenti aerei sulla Serbia:
"Dal 1992, era risultato evidente a chi era familiare con l'ideologia
Serba ultranazionalista abbracciata da Milosevic, che l'etnocidio
in Kosovo era inevitabile. Pieno di odio e di disprezzo per i
Mussulmani Bosniaci e i Kosovari Albanesi, il punto di vista di
Milosevic non differisce di molto dalle diatribe
anti-Semite dei Nazisti." (21 aprile 1999, London 'Independent')

Vi prego di notare che il Signor Goytisolo non fornisce
alcuna prova per la sua accusa che un etnocidio anti-Albanese
abbia avuto luogo in Kosovo. Piuttosto, egli si muove come
se l'esistenza di questo supposto etnocidio sia un fatto stabilito
e gli interessa solo la domanda di come sia potuto
avvenire. La risposta, egli dice, sta in Milosevic e nella sua
presunta ideologia di odio.

Il problema � che, al tempo in cui il Signor Goytisolo scriveva
queste parole, molta gente diceva che l'accusa di etnocidio era
una menzogna. E chiaramente, fosse stata l'accusa di etnocidio
un falso, la ricerca delle motivazioni del perch� i Serbi
avessero commesso ci� avrebbe avuto minor intensit�.

Da quando la NATO � entrata in Kosovo nel giugno 1999, ha
impiegato un esercito di esperti legali nel Kosovo. Questa gente
ha scavato mezza provincia, unitamente a frequenti conferenze
stampa nelle quali vari rappresentanti NATO e del Tribunale dei
Crimini di Guerra promettevano di trovare fosse comuni con
decine di migliaia di vittime della brutalit� Serba. Nei fatti,
costoro non ne hanno prodotta nessuna, n� fosse comuni, n�
atrocit� dei Serbi.
Scavando tombe individuali su tutto il Kosovo, sono stati trovati
non pi� di 3000 corpi. La NATO ha dichiarato che 2000
persone sono morte prima dei bombardamenti in Yugoslavia,
cio� prima che avvenisse il supposto 'etnocidio'.
Ne restano 1000.

Noi sappiamo che centinaia di persone sono morte sotto i
bombardamenti NATO, e che altre centinaia sono cadute sul
campo nella lotta fra UCK e le truppe della Yugoslavia.

Dopo la ricerca pi� esaustiva nella storia, la NATO non ha
prodotto letteralmente nessuna prova che le truppe Serbe
abbiano massacrato etnicamente gli Albanesi.

L'accusa di etnocidio era una falsificazione. (5)

Perch� Goytisolo e altri sono stati capaci di farla franca
scrivendo articoli che hanno assunto come verit� questa
menzogna? La causa sta nel fatto che i mass media ci
hanno soverchiati con servizi sonori, urli, sciocchi film
macabri, interviste con le 'vittime.'

Costantemente ripetuto, tutto ci� ha stabilizzato la menzogna
etnocida come verit� emozionale; allora la gente permette a
Goytisolo di 'infiorare' senza timore di ripercussioni. I Serbi
avrebbero dovuto fare un gioco onesto!

Il Signor Goytisolo affermava che egli sapeva che il (non
esistente) etnocidio sarebbe avvenuto, in quanto egli aveva
conoscenza della "ideologia ultra-nazionalista" di
Milosevic, che implicava "odio e disprezzo per i
Mussulmani di Bosnia e gli Albanesi Kosovari ",
non diversamente dalle "anti-Semitiche diatribe dei Nazisti."
Forse questa ideologia, come l'inesistente propulsione
alla 'Grande Serbia', si limitava ai sogni del Signor Mr.
Milosevic? Forse l'ideologia di Milosevic era scritta
realmente da qualche parte?
Se non era scritta realmente, allora come faceva Goytisolo
a dire di avere assunto familiarit� con questa ideologia.?

Al contrario, se invece era realmente scritta da qualche parte:
dove? In un libro? In un testo di un discorso?

Milosevic � citato almeno in un solo articolo di giornale per
aver fatto dichiarazioni piene di odio contro Mussulmani e
Kosovari?
Goytisolo su questi punti tace. Questo � realmente pessimo,
in quanto, in tutte le interviste e i discorsi, io ho sempre
sentito il Signor Milosevic attaccare le ideologie di tipo
Nazista e fare richiami alla fratellanza nazionale.

Ad essere giusti, nell'articolo sull'Independent il Signor
Goytisolo ci offre qualche citazione assurda a supporto
della sua accusa. La prima � dal Generalissimo
Francisco Franco, il Fascista dittatore di Spagna. Un'altra
da Adolph Hitler. E cos� il Signor Goytisolo mette sul
tavolo la sua carta di briscola: Milosevic, egli dichiara,
� proprio come quelli!

Ci sembra proprio giusto!. Se solo Goytisolo volesse
fornirci qualche frase di Milosevic, qualche fatto, qualche
sorta di indicazione di "odio e disprezzo" per i Mussulmani
e i Kosovari!
Goytisolo non ci fornisce proprio nulla.

(1/2 - segue)

---

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(2/2 - fine)


IL DISCORSO INFAME

Per anni siamo stati informati che Milosevic ha lanciato il
movimento per la 'Grande Serbia'" in un discorso che egli ha
fatto in Kosovo nel 1989.

Per� tutti coloro che attaccano il discorso, non ne usano mai
una citazione! Noi abbiamo richiesto il discorso al motore di
ricerca di Emperor's Clothes.(3) Pi� sotto vi sono due brani scelti.

Il primo � quello in cui Milosevic parla a riguardo dei cittadini
non-Serbi della Serbia, includendo naturalmente Albanesi e
Mussulmani di varie etnie:

"La Serbia non ha mai avuto solo Serbi presenti in essa. Oggi,
pi� che nel passato, membri di altri popoli e nazionalit� sono
presenti ancora in Serbia. Questo non � uno svantaggio per la
Serbia. Io sono fermamente convinto che questo sia vantaggioso.
Il Socialismo in particolare, per realizzare una societ�
pienamente democratica e progressista, non pu� consentire che
il popolo sia diviso da diversi punti di vista nazionalisti e religiosi.

Le sole differenze, che si possono e si devono prevedere nella
societ� socialista, consistono nel popolo che lavora duramente
e gli oziosi, e nella gente onesta e i disonesti.

Perci� tutta la gente che in Serbia vive solamente del suo lavoro,
in modo onesto, che rispetta le altre genti e le altre nazioni, deve
stare in un'unica repubblica."

E' stato stimato che l'uditorio del discorso di Milosevic del 1989
ha superato il milione di persone. Se Milosevic avesse voluto
scatenare gli entusiasmi delle folle sul suo "sogno di una 'Grande
Serbia'", questo sarebbe stato il momento opportuno.

"Da quando sono esistite delle comunit� multinazionali, il loro
punto debole � stato sempre quello delle relazioni fra le differenti
nazioni. La minaccia sta nella questione che, se un giorno una
nazione viene messa in pericolo dalle altre, questo pu� allora
far partire un'onda di sospetti, accuse e di intolleranza, un'onda
che invariabilmente si ingrossa ed � difficile fermarla.

Da sempre questa minaccia � stata sospesa come una spada sopra
le nostre teste.

I nemici interni ed esterni delle comunit� multi-nazionali sono
consapevoli di questo, e quindi organizzano la loro attivit� contro
le societ� multinazionali, soprattutto fomentando conflitti nazionali.
Fino a questo momento, noi in Yugoslavia ci stiamo comportando
come se non dovessimo mai avere una simile esperienza e come se
nel nostro passato recente e lontano non avessimo mai
sperimentato la peggiore tragedia dei conflitti nazionali che una
societ� possa provare, e tranquillamente sopravvivere."

Spesso campagne di informazione infanganti hanno avuto successo
perch� molta gente � onesta e f� il comprensibile ragionamento,
se un'asserzione � falsa, che una � uguale ad un'altra. Allora
quando uno scrittore ben conosciuto e che si suppone di larghe
vedute (come Goytisolo) afferma che Milosevic ha un'ideologia
simile a quella Nazista, la gente � incline a pensare "Dove
vi � fumo, vi � fuoco" e quindi nella menzogna vi deve essere
qualche parte di verit�.
Per� diventa verit� ci� che � sfacciatamente menzogna!

NEL FRATTEMPO, DI RITORNO NEL SUD DELLA SERBIA

La Francia, uno dei meno pericolosi " nemici esterni delle
comunit� multi-nazionali", ha protestato vivacemente con due
dei pi� grandi nemici, gli U.S. e la Gran Bretagna, informando
i giornalisti che:
"Le nazioni della NATO avevano discusso se inviare truppe nella
zona cuscinetto nel sud della Serbia ora in tensione, ma l'Allenza
aveva negato decisamente che un tale movimento sarebbe stato
preso in considerazione."

Alla domanda 'se fosse necessario lo spiegamento di una forza
militare internazionale in questa regione e se questo fosse
stato discusso fra gli alleati,' il portavoce del Ministero
Francese Bernard Valero rispondeva:

"Fonti diplomatiche Francesi avevano discusso che una forza
fosse pronta per garantire soprattutto la sicurezza degli
osservatori dell'Unione Europea." ('Reuters', 1 marzo 2001)

Vi ricordate ancora della Sud della Serbia? E' quella regione
che l'UCK, sotto qualcuno dei suoi nomi, ha invaso. E' la
violenza risultante da questa invasione dell'UCK che, se il
Francese ha la ventura di dire la verit�, serve come scusa
della NATO per invadere anche il Sud della Serbia.

Vi ricordate dell'UCK? E' quel gruppo terroristico del quale
la BBC aveva detto:
"Forze speciali dell'Occidente lo stanno tuttora addestrando."
Ma non bisogna preoccuparsi, � OK per l'Occidente
addestrare questi terroristi in quanto il Senatore Lieberman
ha detto che sono combattenti per i ''valori Americani'' e in
ogni modo questo era dovuto come ''risultato di decisioni
prese prima del cambio di governo in Yugoslavia", in altre
parole, mentre Milosevic tranquillamente governava e io sono
sicuro che voi vi ricordate di Milosevic.

O no?

Quante volte vi dovr� spiegare chi � il mostro che odia tutti,
e vi dovr� ricordare chi sempre sta sognando di attaccare
le terre degli altri popoli?
No, no Bill Clinton! No Tony Blair! No Bush Junior!
Milosevic! Egli ha iniziato quella violenza nel Sud della
Serbia che � la minaccia dei nostri ragazzi.

Noi abbiamo la necessit� di inviare pi� truppe in quella
regione e fare in modo che lo spauracchio non possa pi�
arrecare alcun danno alla nostra Way of Life, il nostro
modo di vivere, e alla nostra civilt�!.

Quante menzogne in cos� poco tempo!


Jared Israel 2 marzo 2001


Informazioni ulteriori

1)La BBC racconta tutto. O meglio, racconta una parte del tutto.
Vedi: 'Diplomatici ammettono che la NATO appoggia l'UCK
nell'invasione dell'interno della Serbia'
a http://emperors-clothes.com/docs/admi.htm.

2) Sulla NATO che provvede con elicotteri alla copertura aerea
per l'invasione del Sud della Serbia da parte dell'UCK, vedi
'Pentagon Dogs'; a
http://emperors-clothes.com/articles/tika/dogs.htm

3) Il discorso di Milosevic del 1989 in Kosovo pu� essere letto a
http://emperors-clothes.com/articles/jared/milosaid.html
oppure, IN ITALIANO:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/226

4) Nell'intervista "Kosovo: Incubo con le migliori intenzioni"
due Serbi-Americani raccontano come si viveva in Kosovo
tra il 1970 e il 1980. Per informazioni a
http://www.emperors-clothes.com/interviews/tika.htm

5) I seguenti articoli sono utili per considerare il mito del
genocidio Albanese in Kosovo:

* Gen.( oggi a riposo) Lewis Mac Kenzie comandava le forze
ONU in Bosnia. Egli ha esaminato la questione delle fosse
comuni in Kosovo in 'Dove sono andati a finire tutti i corpi?'. Per
Lewis MacKenzie a http://emperors-clothes.com/news/mack.htm

* Questo � il rapporto della conferenza stampa tenuta dagli
esperti legali spagnoli che hanno abbandonato il lavoro in Kosovo
e hanno criticato la NATO. 'Gli esperti Spagnoli non hanno visto
traccia di genocidio ad opera dei Serbi in Kosovo'. Di Pablo Ordaz
a http://emperors-clothes.com/analysis/spanish.htm

* Sull'importanza delle dichiarazioni degli esperti legali Spagnoli:
'Il rapporto degli Esperti Legali Spagnoli ' - Un commento di Jared
Israel a http://emperors-clothes.com/articles/jared/sp-comment.htm

6) Molto pu� essere scritto attorno alla macabra storia della
'pulizia etnica '. Il termine deriva dal razzismo di quei secessionisti
albanesi, addestrati da Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, che
consideravano (e tranquillamente possono considerare) i Serbi, gli
Zingari e gli Ebrei come immondizia; da qui il desiderio di creare
un'entit� che curiosamente vien denominata "Repubblica di Albania
etnicamente pura." (N.Y. Times, 12 Luglio 1982; per l'intero articolo
vedere
http://emperors-clothes.com/articles/benworks/1980news.html#BM9)
Il termine era derivato dagli esperti di guerra psicologica che
consigliavano i secessionisti neo-Fascisti Croati nel 1991-1992. Con
un tocco veramente Orwelliano, il portavoce dei Fascisti Croati
dichiarava che la 'pulizia etnica' era il programma dei veri Serbi, che
erano a quel tempo scacciati dalle terre dei loro antenati, dalla
Croazia.
Ma il termine era poco conosciuto in Occidente finch� Bush Senior
lo us� in una conferenza stampa il 6 agosto 1992. In questa egli
dichiar� una pi� intensa escalation della politica degli U.S. contro
la Serbia, molto probabilmente in reazione ad un programma TV
che aveva visto solo 20 minuti prima della conferenza. Il programma
TV diffondeva quelle che si supponevano essere le immagini di un
(inesistente) campo Serbo di sterminio.

(Emperor's Clothes ha prodotto JUDGMENT (GIUDIZIO), un film
che prova che queste infami immagini di quelle che appaiono
essere vittime emaciate di un campo di sterminio fossero
effettivamente falsificate con un procedimento da messa in scena
usando materiale di un centro umanitario per rifugiati.
Se non avete visto questo film e desiderate conoscere la verit�,
vi consiglio di acquistarne una copia. Se il prezzo standard $20
pi� le spese di spedizione vi sembra eccessivo, vi preghiamo di
comunicarcelo.Potrete pagare quando pi� vi far� comodo. Per
questo vedi: http://emperors-clothes.com/Film/judge.htm )

Il 6 agosto del 1992, nella conferenza stampa il presidente Bush
ha dichiarato: "Gli aggressori ed estremisti Serbi perseguono una
politica, una vile politica, di pulizia etnica ".
Allora il Presidente Bush impiantava nell'animo della gente il
pregiudizio che i governanti della Serbia avessero inventato un
concetto effettivamente radicatosi come 'vile' odio nel popolo
Serbo, 'il popolo nero dei Balcani.'
Durante l'anno seguente, questo ritornello di incolpare le vittime
era promosso letteralmente da migliaia di articoli di giornali e
da programmi televisivi, finch� divent� quasi impossibile per la
gente comune ricordare quando era stata 'istruita' per la prima
volta che la pulizia etnica era un concetto entusiasticamente
approvato dai Serbi, che ne erano le vittime principali

7) Vedi 'Abe Lincoln e Slobodan Milosevic' dell'economista
Jude Wanniski http://emperors-clothes.com/analysis/abe.htm


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(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

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