Il mio amore per la
Jugoslavia è nato quando purtroppo la stavano aggredendo e
distruggendo agli inizi degli anni '90, anche se mi ha sempre
affascinato la Jugoslavia indipendente leader dei non-allineati, un
faro per i popoli del Terzo Mondo che si liberavano dal colonialismo,
uno dei paesi fondatori dell'ONU, che parlava con Washington e Mosca da
pari a pari, a testa alta. Mi ricordo le Olimpiadi invernali del 1984 a
Sarajevo, avevo 14 anni e pur avendo visto solo delle immagini
televisive è impossibile dimenticare quella città
così bella, con i minareti delle moschee mescolati con i
crocefissi delle chiese cattoliche e con le icone delle Chiese
ortodosse. In una via ti sembrava di essere a Istanbul, giravi l'angolo
e ti sembrava Vienna o Budapest o una qualsiasi città italiana o
europea. Gente di 1000 etnie diverse che vivevano fianco a fianco e in
pace e non importava il colore, la fede e nient'altro, solo
l'umanità era in primo piano, così come avevo sognato che
fosse ogni posto nel mondo. Tutta la Jugoslavia era così e
Sarajevo era l'ombelico di quel mondo fantastico. Come disse lo
scrittore austriaco Peter Handke "per me la Jugoslavia era l'Europa,
per come io la vorrei e perciò, in me, l'immagine dell'Europa
è stata distrutta con la distruzione della Jugoslavia".
Mi chiedevo come era
possibile che un grande paese come quello stesse letteralmente
implodendo, la spiegazione non poteva risiedere semplicemente nella
caduta del blocco socialista, ed infatti i motivi erano ben altri. La
vicinanza geografica con l'Italia poi mi ha fatto interessare di quelle
terre in maniera particolare, era come se sentissi l'odore della
polvere da sparo nell'aria, trasportata da una delle tante
perturbazioni balcaniche così famose nelle previsioni meteo.
Infine non mi sono mai piaciute e non ho mai creduto alle favolette che
vedono tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall'altra
perfettamente riconoscibili ed etichettabili. Per questo non ho mai
creduto alla favoletta televisiva dei serbi cattivi cattivi, capeggiati
da un mostro assetato di sangue (Milosevic) che volevano fare della
Jugoslavia una Grande Serbia a scapito degli altri popoli, poveretti.
In quell'accanimento mediatico verso i serbi ci vedevo del rancore
quasi razzista che aveva radici lontane e così ho iniziato a
studiare un po' di storia balcanica, soprattutto quella del XX secolo,
di cui sono così avari i nostri libri di storia. Ho scoperto che
i serbi, nei secoli scorsi sono stati sempre un ostacolo alla
realizzazione di qualsiasi progetto imperiale, dall'Impero Ottomano al
Terzo Reich e che l'unione dei popoli balcanici, prevalentemente slavi,
era l'unica soluzione per evitare la dominazione straniera. Nei Balcani
poi si stava realizzando pari pari il progetto di divisione pensato da
Hitler, che per quasi mezzo secolo il Maresciallo Tito aveva fermato,
con una Croazia ultracattolica indipendente ripulita etnicamente dalla
minoranza serba, erede del regime clerico-ustascia di Ante Pavelic e
dell'Arcivescovo Stepinac (non a caso il Vaticano è stato il
primo stato al mondo a riconoscere la Croazia indipendente), una Serbia
inoffensiva separata dal Montenegro e privata finanche delle proprie
province autonome e una Repubblica islamica filoturca in Bosnia per
realizzare la famosa "Trasversale verde", premio per i nuovi ascari
dell'Imperatore, i "bosgnacchi" eredi delle divisioni SS Handzar. Per
finire il quadro c'è il progetto grande albanese, da sempre caro
all'Italia fascista, che ha sempre appoggiato i secessionisti kosovari,
detti balisti, i progenitori dell'attuale esercito terrorista UCK, il
cui capo è ora Primo Ministro nel governo fantoccio kosovaro.
Sia in Bosnia che in Kosovo ha lavorato il terrorismo islamico al
fianco dell'imperialismo, terrorismo che l'imperialismo stesso ha
creato, con Bin Laden e soci che scorrazzavano nei Balcani con tanto di
passaporto bosniaco, gli stessi che ora l'imperialismo sta fingendo di
combattere nell'ipocrita e funzionale ai suoi interessi "Lotta al
terrorismo".
Per realizzare questo
progetto l'Occidente ha dapprima strozzato economicamente la
Jugoslavia, attraverso i cravattari del FMI e della Banca Mondiale,
distruggendo l'economia di un paese prospero che ancora nel 1989, data
in cui la Jugoslavia aveva fatto richiesta di entrare nell'Unione
Europea, aveva gli stessi indicatori economici e lo stesso tenore di
vita della Spagna e dell'Irlanda. L'Occidente ha poi trasformato il
malcontento per le precarie condizioni economiche in odio etnico,
soffiando sul fuoco dei micronazionalismi fino ad allora soffocati dal
perseguimento di un grandioso progetto comune e chiamando ipocritamente
tutto ciò "diritto all'autodeterminazione dei popoli". La guerra
di aggressione del 1999 ha poi concluso il lavoro.
Il 4 febbraio 2003 il
nome Jugoslavia è definitivamente scomparso dalle cartine
geografiche, il principio del "divide et impera" è stato
realizzato in pieno e sono rimaste una serie di piccoli staterelli
preda delle multinazionali, capeggiati da veri e propri capi
tribù fedeli agli interessi occidentali e litigiosi tra di loro
anche per la più insignificante questione di confine. Una volta
il passaporto jugoslavo era rispettato ed apriva qualsiasi porta nel
mondo, ora i passaporti servono solo per fare pochi chilometri
all'interno dei Balcani, a volte anche per attraversare un fiume (il
Danubio o la Drina) e per entrare in Occidente bisogna passare mille
peripezie e vessazioni. In alcuni paesi la gente non si riconosce nella
nuova nazionalità e tenta di sbarazzarsene, come avviene in
Bosnia ad esempio. Infine le condizioni economiche e sociali dei popoli
balcanici sono estremamente più precarie, gli elevati livelli di
servizi sociali assicurati dal socialismo sono solo un malinconico
ricordo, la disoccupazione è aumentata esponenzialmente e con
essa la criminalità e la gente rimpiange tristemente la famosa
autogestione delle fabbriche da parte degli operai.
La Jugoslavia come
concetto continua a rimanere nel mio cuore e nel cuore dei tanti che
l'hanno vissuta e se un giorno essa dovesse risorgere nei Balcani o in
qualunque altra parte del mondo, non esiterei nemmeno un istante a
trasferirmi lì e a lottare con tutte le mie forze per la sua
sopravvivenza e crescita.
|
Moja se ljubav prema
Jugoslaviji rodila kada su, početkom '90-ih, tu zemlju, nažalost,
napadali i uništavali. Mada, moram reći da me je Jugoslavija kao vođa
pokreta nesvrstanosti, uvek fascinirala; ona je bila svetionik zemljama
Trećeg sveta na putu njihove afirmacije i oslobođenja od kolonijalne
zavisnosti. Bila je to jedna od država osnivača Organizacije
ujedinjenih nacija, koja se ravnopravno i uzdignute glave, nosila sa
Vašingtonom i Moskvom. Sećam se Zimske olimpijade 1984. godine u
Sarajevu, kada sam imao 14 godina. Iako sam video samo slike sa
televizije, u pamćenju mi je ostao taj lepi grad sa minaretima džamija
smeštenim u istom gradu pored Hristovih raspeća u katoličkim i ikona u
pravoslavnim crkvama. Jedna ulica mi je delovala kao da se nalazi u
Istanbulu; odmah iza sledećeg ugla, dobijao se utisak kao da se
nalazite u Beču ili Budimpešti, ili u bilo kom od italijanskih ili
evropskih gradova. Ljudi sa hiljadu različitih narodnosti živeli su
mirno jedni pored drugih. Boja kože, vera, ništa od svega toga nije
bilo uopšte važno - važna je bila samo ljudskost, onako kako sam
zamišljao da bi trebalo da budu sva mesta širom sveta. Jugoslavija je u
celini bila takva zemlja, a Sarajevo je u tom času bilo čvorište tog
fantastičnog sveta. Tako je i govorio austrijski pisac Peter Handke:
"Jugoslavija je za mene predstavljala Evropu kakva sam želeo da ona
bude. Zato se, rušenjem Jugoslavije, u meni srušila predstava o Evropi".
Pitao sam se kako je moguće da se jedna tako velika zemlja naprosto
uruši. Odgovor se nije mogao naći tek u padu socijalističkog bloka.
Razlozi su, odista, bili sasvim druge vrste. Geografska blizina te
zemlje Italiji, potom me je navela da se znatno više zainteresujem za
nju; činilo mi se da u vazduhu osećam dim baruta kada se u onim
standardizovanim meteorološkim izveštajima govorilo o nailasku
vremenskih nepogoda sa Balkana. Nisu mi se nikad dopadale, niti sam
verovao u bajke da su svi dobri momci na jednoj strani, dok se na
drugoj, odreda, nalaze svi nitkovi kojima se zlo čita na licu, jer im
se olako daje takva odrednica. Zato nisam nikad verovao televizijskim
legendama o zlim i surovim Srbima koje vodi krvožedni monstrum
(Milošević), koji od Jugoslavije hoće da naprave Veliku Srbiju na štetu
ostalih, ojađenih naroda. U medijskoj ostrašćenosti protiv Srba, video
sam taj gotovo rasistički, davno ukorenjeni jed. Zato sam otpočeo da
pomalo proučavam balkansku istoriju, prevashodno razdoblje XX veka o
kome ovdašnji udžbenici istorije, inače, jako škrto pišu. Došao sam
tako do saznanja da je srpski narod kroz vekove uvek predstavljao branu
za ostvarivanje svakojakih zavojevačkih ciljeva još od vremena
Otomanskog carstva, pa do Trećeg rajha, te da ujedinjavanje balkanskih,
pretežno slovenskih naroda, predstavlja jedinu mogućnost za utuk protiv
strane dominacije. Na Balkanu se otvoreno ostvarivala Hitlerova zamisao
podele, a koju je Maršal Tito gotovo pedeset godina zadržavao; jedna
ultra-katolička nezavisna Hrvatska, etnički očišćena od srpske manjine,
ta država-naslednica klero-ustaškog režima Ante Pavelića i biskupa
Stepinca (nije slučajno Vatikan bio prvi u priznavanju nezavisnosti
Hrvatske), jedna ne-napadačka Srbija odvojena od Crne Gore i čak od
sopstvenih autonomnih pokrajina. U Bosni je, kao nagrada za carske
askere-naslednike SS Handžar divizije, nastala filo-turska islamska
republika sa namerom ostvarenja "Zelene transverzale". I radi
zaokruženja celokupnog scenarija, postoji i veliko albanski projekat
koji je fašističkoj Italiji bio uvek jako mio; ona je oduvek davala
podršku kosovskih secesionistima-balistima, praocima sadašnje
terorističke vojske UCK, čiji je komandant sada postao premijer u
marionetskoj kosovskoj vladi. Kako u Bosni, tako je i na Kosovu na
snazi bio islamski terorizam koji je išao uz bok imperijalizmu. Taj su
terorizam kreirali isti ti imperijalisti, od Bin Ladena i kompanije
koji su slobodno mahali po Balkanu sa bosanskim pasošima. Oni su ti,
protiv kojih se sada imperijalizam pretvara da vodi borbu u sklopu
svojih licemernih i pragmatičnih interesa u "borbi protiv terorizma".
Radi ostvarenja tih svojih namera, Zapad je, preko sluga iz MMF i
Svetske Banke, prvo ekonomski ugušio Jugoslaviju, uništio privredu
jedne napredne zemlje koja je, još 1989. godine, kada je Jugoslavija
tražila prijem u Evropsku uniju, imala identične ekonomske iskazatelje
i životni standard kao jedna Španija ili Irska. Potom je nezadovoljstvo
zbog loših uslova života, Zapad pretvorio u etničku mržnju, duvao je u
vatru radi rasplamsavanja mikro-nacionalizama koji su prethodno uvek
ostajali u senci pred uspesima opšteg grandioznog projekta jedne
države. Zapad je to licemerno nazivao "pravom naroda na
samoopredelenje". Agresijom na ostatak Jugoslavije, 1999. godine, Zapad
je još samo dovršio svoj plan.
4 februara 2003. godine, ime je Jugoslavije definitivno iščezlo sa
geografskih karata. Princip "zavadi, pa vladaj" je bio u celosti
ostvaren, okolo je nastao čitav niz državica koje su predstavljale lak
plen multinacionalnim kompanijama,. Te su državice predvodile prave
plemenske poglavice verne zapadnjačkim interesima; nastavili su da se
međusobno sukobe oko beznačajnih pitanja međusobnih granica. Nekad se
jugoslovenski pasoš uvažavao i otvarao je sva vrata ovoga sveta, a sada
su na svakih stotinjak kilometara, potrebni pasoši za prelazak novih
granica na Balkanu; bez njih se nekad ne može ni preći preko reke (na
pr. preko Dunava ili Drine), dok za odlazak na Zapad, treba hiljadu
peripetija i poniženja. U nekima od tih državica, narod se ne
prepoznaje u novonastalim nacionalnim granicama i pokušava da ih se
otrese, u Bosni na primer. I posle svega što se desilo, ekonomska i
društvena situacija balkanskih naroda su izrazito pogoršane, dok visoki
nivo socijalne zaštite iz vremena socijalizma predstavlja tek tužnu
uspomenu; porast nezaposlenosti meri se eksponencijalnim ciframa, isto
kao i kriminal. Ljudi se s tugom prisećaju slavnog doba samoupravljanja
radnika u fabrikama.
Jugoslavia i dalje živi u meni kao jedna zamisao, kao što isto tako
opstaje u srcima ljudi koji su živeli u njoj. Ako se jednoga dana, na
Balkanu, ili u bilo kom delu sveta, ona ponovo rodi, neću ni za
trenutak oklevati da se preselim i živim u njoj i da se svim svojim
snagama borim za njen opstanak i razvoj.
|