"Abbiamo
raccolto le pannocchie." L'interprete
traduce senza difficoltà: "Abbiamo raccolto le
pannocchie."
Fonte:
Arturo Cronia, GRAMMATICA DELLA LINGUA
SERBO-CROATA
Trevisini editore, Milano
(prima edizione: 1924 - sono seguite
almeno altre otto edizioni fino agli anni
2000!)
Attorno alla metà del XIX
secolo in Croazia gli illirici -
jugoslavisti - francescani, con Ljudevit Gaj
in testa, si interrogavano sulla praticità
della adozione dell'alfabeto cirillico, per
sottrarsi all'influenza della
magiarizzazione, il nuovo-vecchio giogo che
i Croati dovevano patire dopo il 1848.
"Se invece
usassimo il cirillico, potremmo stampare
la nostra storia con tale alfabeto..."
Già
attorno al 1835 in effetti si chiedevano:
"... Ehh, se fossimi stati uniti con i
Serbi nell'alfabeto, non avremmo avuto
niente da temere.
Questa gente (i Serbi) sono tanto più
cordiali e buoni dei nostri cattolici.
Sarei pronto, nel nome della concordia e
dell'unità, ad adottare i loro
caratteri, e ad abbandonare i latini...
Per quale
motivo una minoranza degli Illirici
cattolici si astiene
dall'addottare nuovamente
i caratteri illirici, che tanto tempo fa dovette
abbandonare?
La stessa fede, come tale, non ne
sarebbe offesa, e neanche
potrebbe essere d'ostacolo..."
(Fonte:
Sinan Gudžević, "Cirillico e croati". A
cura di DK)
LA CASA VIENNESE SERBOCROATA
Quella che
segue è la traduzione di un articolo del
linguista e traduttore Sinan Gudzevic. Si
intitola "La Casa Viennese Serbocroata"
con riferimento alle prime elaborazioni
linguistiche comuni degli Slavi del Sud,
che, dopo l'impegno di Vuk Karadžić degli
anni 1815-1850 circa, culminarono proprio
nell'"accordo di Vienna" con l'adozione
generalizzata di una lingua comune per
tutti i popoli di Croazia, Bosnia, Serbia,
Montenegro. Vescovi, scrittori, professori
di tutte le nazionalità contribuirono
attivamente a questa impresa centrale nel
progresso civile e culturale dell'area.
Certi
"linguisti" nazionalisti, ed i loro
mentori e colleghi accademici occidentali,
vorrebbero oggi invertire quegli esiti, e
cambiare davvero tutte le parole degli
Slavi del Sud affinchè non parlino più la
stessa lingua! Ma neanche mille anni
basterebbero per questo!
I
nazionalisti non sono capaci di mettersi
in testa che è più facile uccidere uno
Stato che una lingua. Non è neanche
possibile dimostrare loro che è più facile
creare un nuovo Stato piuttosto che una
nuova lingua.
(traduzione
senza fini di lucro: Dragomir Kovacevic)
Questo
articolo condivide il difetto di tutti
quelli che, occupandosi degli inizi di
qualcosa, non riescono a raccontare...
dall'inizio. Si, perché l'inizio è
sconosciuto, non si sa quando "l'inizio"
ebbe il proprio "inizio". Siccome tutto
iniziò in tempi remoti, forse nel
dodicesimo secolo, quando probabilmente un
Croato incontrò un Serbo per la prima
volta [In effetti Serbi e Croati sono lo
stesso popolo, diviso in due dallo scisma
avvenuto nella chiesa cristiana proprio
nel XII secolo, ndt]. Perciò questo
articolo inizierà con un aneddoto, da
metà. Anzi non con uno, ma con due
aneddoti. Il primo è diffuso nella forma
di barzelletta, mentre il secondo è
qualcosa di più (sebbene una buona
barzelletta non sia cosa futile!), perché
riguarda le avventure celebri
dell'antichità, e noi ormai sappiamo come
l'invecchiamento sia precondizione per la
bontà.
Il primo aneddoto, dunque, a seconda della
regione dove viene narrato ha per soggetto
Luigi Quattordicesimo, Luigi Quindicesimo,
oppure Bismarck, ma per me la versione
montenegrina è la più convincente di
tutte, perché si narra che le sue origini
sarebbero da far risalire alla corte del
Re Nikola di Montenegro verso la fine del
secolo scorso. Un mattino, dunque, Re
Nikola decise di verificare in che misura
le sue guardie del corpo fossero
adulatrici o ipocrite. Schierandoli in
fila su di un prato, vicino alla sua
reggia, il Re prese la pistola e sparò in
alto, in direzione di un'aquila, che in
quei tempi era un uccello molto presente
in Montenegro. La pallottola non colpì
l'aquila in volo, eppure alla domanda
"L'ho colpita o no, mie guardie?", le
guardie risposero all'unisono "L'ha
colpita, padrone!", tutte tranne una, che
disse: "Ehh, padrone, non si è mai vista
un'aquila simile: morta, eppur vola
ancora!"
Il secondo aneddoto è più noto: quel
mostro di Gorgone fermò in mare aperto la
barca del vecchio marinaio greco. Alla
domanda se il Re Alessandro fosse ancora
vivo, il marinaio diede una risposta
rimasta celebre: "E' vivo, ed è ancora
re!"
La motivazione di questo che vi ho appena
raccontato segue due punti - il primo: è
morto eppure vola; ed il secondo: è vivo,
ed è ancora re. In mezzo a questi due
punti oggi si colloca quel mostro
linguistico (alcuni lo definiscono
"drago", "spettro", un tale ha detto:
"mostro centauro") nato al finire del
diciannovesimo secolo sotto il nome di
Lingua Serbocroata. Tre giorni prima della
conclusione del secondo millennio,
cercandole col lumicino, in tutto il mondo
non si riuscirebbe a trovare più di un
migliaio di persone non disposte a dire
che tale creatura linguistica sarebbe
morta. Quei mille (io personalmente ne
conosco ottantatre) direbbero che questa
creatura è ancora in vita. Alcuni di loro
direbbero che è ancora re; e conosco
perfino uno di loro che direbbe che questa
creatura porta le ali, eccome!
Sarà ormai un decennio che svariati
despoti sparano incessantemente contro
questa lingua. E sono convinti d'averla
uccisa. Si pone la domanda se questa
lingua "scomparsa" sia effettivamente e
letteralmente ed irrevocabilmente morta,
oppure, come il Re Alessandro - spero il
lettore non trovi il paragone troppo
esagerato - se non sia ancora viva, e se
non sia ancora re! L'intenzione di questo
articolo non è quella di cercare la
risposta per questa domanda. I
nazionalisti non sono capaci di mettersi
in testa che è più facile uccidere uno
Stato che una lingua. Non è neanche
possibile dimostrare loro che è più facile
creare un nuovo Stato piuttosto che una
nuova lingua. Tra l'altro, i nazionalisti
sono bugiardi. Quando si accorgono che la
realtà smaschera le loro bugie, essi
creano nuove realtà più congrue alle loro
bugie. Questo articolo non ha per scopo
quello di metterli sulla strada giusta:
tanto, loro, quando io per esempio dico
"no", dicono "si", e quando io dico "si",
loro dicono "no". Questo articolo ha per
scopo quello di ricordarci di certe
meravigliose persone jugoslave che
edificarono le fondamenta della lingua
comune di Serbi, Croati, Bosgnazzi e
Montenegrini, fondamenta che non sono
abbattibili facilmente. Non è facile
determinare la data di inizio della
costruzione di queste fondamenta. Però,
una data è indiscutibile: 28 di marzo del
1850. A Vienna in quella data, molto
probabilmente nell'appartamento di Vuk
Karadžić, oppure nella celebre taverna di
Gerlovic in Baumarkt, otto Jugoslavi (essi
stessi si diedero tale nome) si riunirono
e firmarono un manifesto con il quale
invitavano gli Slavi del Sud ad accettare
il cosiddetto dialetto meridionale come
loro lingua letteraria. Questo dialetto
meridionale è la variante ijekava del
novoštokavo. In base a come lo descrissero
i linguisti, il novoštokavo è quel
dialetto diffuso in mezzo al territorio
idiomatico tra i fiumi Sutla e Timok, tra
il Mare Adriatico e Timisoara, tra Horgos
e la montagna Šara.
Questo dialetto comprende il maggior
numero di fruitori (al presente sono più
di diciotto milioni) in grado di capirsi
tutti tra di loro. Questo dialetto,
dunque, fu standardizzato e considerato
come norma per la lingua letteraria di
Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini.
Tale processo durò fino agli anni Novanta
del secolo scorso ed ebbe il carattere di
una vera battaglia e di una vera guerra.
Negli anni '90 del XIX secolo, lo spazio
linguistico serbocroato fu diviso
politicamente tra due imperi e due Stati
indipendenti. Questa lingua
standardizzata, normata, comprensibile per
tutti, questa lingua policentrica e
letteraria, non ebbe mai un suo nome
preciso. I Serbi lo chiamarono il "serbo",
i Croati "croato", i Bosgnazzi "bosniaco",
i Montenegrini "montenegrino", gli
Jugoslavi "jugoslaveno", "jugoslavo",
"nostrano", gli Illiri "illirico", e la
popolazione dei musulmani jugoslavi
presenti qua e la arrivarono a chiamarlo
il "turco"! Il nome "serbocroato", secondo
tutte le indicazioni, fu usato per la
prima volta da Jakob Grimm nella
prefazione per l'edizione tedesca della
"Grammatica della lingua serba " del 1824
di Vuk Karadžić. Prima della creazione
della Jugoslavia, questo nome lo usarono i
grammatici Pero Budmani nel 1867 e, in
italiano, Giovanni Androvich nel 1908,
così come il celebre slavista August
Leskien, autore della "Grammatik der
serbo-kroatischen Sprache", Heidelberg,
1914.
Torniamo al tema del gruppo degli otto
viennesi. Cinque di loro erano croati.
Dimitrija Demeter, Ivan Kukuljevic
Sakcinski, Ivan Mažuranić, Vinko Pacel e
Stjepan Pejaković. Due di loro erano
serbi: Ðuro Daničić e Vuk Stefanović
Karadžić. Uno era sloveno: Fran Miklošić.
L'accordo letterario di Vienna, come
questo "manifesto ai popoli jugoslavi" fu
denominato in seguito, nacque nella forma
di un documento a margine dei lavori sulla
terminologia politica e giuridica per i
popoli slavi dell'Impero Austriaco. Il
lavoro della creazione di una terminologia
fu finanziato dal ministero della
Monarchia, ed il risultato doveva
facilitare la comunicazione negli affari
legali nel sud slavo dell'Impero.
L'iniziatore del lavoro sulla terminologia
a tutti gli effetti fu Miklošić,
bibliotecario e deputato nel Reichstag
dell'Impero. In base alla poca
documentazione disponibile sull'Accordo
letterario, si può dedurre che Miklošić fu
l'autore dell'idea di un incontro
concernente l'accordo per la lingua
letteraria. Quello che a prima vista
sembra strano, dimostra invece una
sensibilità linguistica perfetta ed il
notevole livello di preparazione dei
firmatari. Quegli otto, al momento della
firma dell'Accordo, erano tutti cittadini
della Monarchia d'Austria, essendo nati
sul territorio della monarchia, tutti
tranne Karadžić, mentre come base della
lingua letteraria suggerirono un dialetto
che veniva prevalentemente parlato al di
fuori del territorio della monarchia!
Quando si ragiona su questa decisione, il
lavoro pluriennale e l'impegno di Vuk
Karadžić per l'introduzione dell'idioma
meridionale come base della lingua
letteraria non possono essere trascurati.
Quando si legge, oggi, questo Accordo,
esso per una metà sembra fallito, ma per
la seconda metà è eccellente. I firmatari
partirono da un presupposto che è
distante, se non proprio inaccettabile,
per i nazionalisti odierni e perfino per
quelle persone lontane da qualsiasi
nazionalismo: "i sottoscritti, considerato
che un unico popolo dovrebbe possedere una
letteratura unica, e biasimando la
situazione odierna per cui la sfera delle
Lettere è lacerata non soltanto in merito
all'alfabeto, ma anche nella grammatica,
si sono radunati in questi giorni per
discutere su come accordarsi ed unirsi nel
modo migliore sul tema della letteratura".
Segue il testo dell'Accordo, diviso in
cinque punti. I primi due punti iniziano
con "Abbiamo riconosciuto unanimemente",
il terzo punto inizia con "Abbiamo
considerato opportuno e necessario", il
quarto punto al suo inizio riporta
"Abbiamo riconosciuto tutti", ed il quinto
"Abbiamo accettato unanimemente". Per il
tema che ci interessa, in questo momento è
importante il secondo punto. Esso riporta
le ragioni per cui quegli otto uomini
suggerirono "che sarebbe più corretto ed è
la migliore soluzione accettare l'idioma
meridionale come lingua letteraria, ed in
particolare,
a) poiché la maggior parte della
popolazione parla in questo modo,
b) poiché sarebbe il più vicino all'antica
lingua slava e perciò alle altre lingue
slave,
c) poiché tutta la poesia popolare è
cantata in tale dialetto,
d) poiché l'antica letteratura della
Repubblica di Dubrovnik è scritta con tale
idioma,
e) poiché ormai la maggioranza dei
letterati, di confessione orientale ed
occidentale, scrivono in tale maniera
(anche se non tutti stanno attenti alle
regole)."
L'organizzazione dell'incontro per la
realizzazione dell'Accordo probabilmente
fu opera di Miklošić. Il contenuto
dell'Accordo, il suo secondo punto in
particolare, rivela invece la mano del
veterano Vuk Karadžić. Il celebre filologo
Vatroslav Jagić, scrivendo nel 1864 sul
tema della grammatica, affermò che gli
accordi viennesi furono realizzati dai
"figli migliori del nostro popolo, di cui
la patria ancora oggi è fiera". In una
annotazione, in questa sezione del suo
scritto, aggiunge: "Mentre scriviamo,
giunge la triste notizia che morte
sgradita ha portato via il nostro anziano
e venerando Vuk Karadžić. Ogni letterato
si ricorderà, in occasione di una sua
prossima opera, di tessergli una corona
per i suoi attualissimi meriti".
Oggigiorno, il secondo punto dell'Accordo
si potrebbe definire integralmente
veritiero, ed ancor più di centocinquanta
anni fa. Invece, la frase introduttiva
sarebbe da bocciare completamente. In
questo consiste la forza e la saldezza
della nostra casa linguistica viennese:
fragile politicamente ma solida dal punto
di vista linguistico. Il novoštokavo,
normato e standardizzato, al presente è
ancor più armonizzato; Serbi, Croati,
Bosgnazzi e Montenegrini scoppierebbero di
rabbia oggi per il fatto di capire tutti
la stessa lingua. Per impedire che non sia
così, essi inventano delle nuove realtà.
Un esempio molto recente: Ladan, la "clava
linguistica" croata, pochi giorni fa,
mentre presentava uno dei suoi
raffazzonati saggi linguistici a
Rijeka/Fiume, ha dichiarato di essere
cresciuto nell'ambiente multilinguistico
della Bosnia! Non succede mai che un
figlio di Fiume in tali occasioni non
ponga la domanda: come mai la Bosnia
sarebbe un ambiente multilinguistico? In
verità, la Bosnia è l'ambiente linguistico
štokavo più compatto di tutti!
Difatti in Bosnia l'Accordo viennese è
stato accettato ed applicato nel modo
migliore, e più completamente che altrove.
Le differenze linguistiche in Bosnia sono
tali che la loro ricerca ed individuazione
è molto difficile. Questo non è il caso di
altre regioni della variante štokava. I
leader nazionalistici ne sono bene al
corrente, e perciò hanno avviato una
guerra linguistica. O, per meglio dire,
una guerra lessicale, una guerra dove la
parola è il mezzo che combatte contro
altre parole. Si è arrivati al punto che
l'area linguistica serbocroata assomiglia
all'allegoria rinascimentale "La guerra
grammaticale". Il rappresentante migliore
di questo genere letterario è Andrea
Guarna da Napoli. Nel suo libro "Bellum
grammaticale" egli descrisse un paese
felice, chiamato Grammatica, in cui
regnavano due re, in concordia ed a
beneficio di tutti i cittadini: il re dei
Verbi, ed il re dei Sostantivi. Nel corso
di un banchetto, dopo avere tanto mangiato
e bevuto, i due cominciarono a litigare su
quali parole sarebbero state le più
antiche e più importanti. Non arrivando ad
un compromesso, decisero di risolvere la
lite con la guerra. La mattina seguente
partirono, l'uno contro l'altro, ciascuno
con il proprio esercito. Sotto la bandiera
del Re dei Verbi si schierarono tutti gli
Avverbi e tutti i Verbi che ci sono: i
verbi d'azione, quelli di ripetizione, gli
incompleti, gli irregolari, e così via;
mentre con il re dei Sostantivi si unirono
i Sostantivi, i Pronomi, e tutte le
Preposizioni. Il Participio, per sua
natura, non poté decidere con quale re
schierarsi, e cominciò ad inviare truppe
ad ambedue le parti. Il campo di battaglia
fu organizzato nell'area delle
Congiunzioni. Un nubifragio fece
interrompere la feroce battaglia. La
battaglia rimase senza vincitore, e le
perdite delle parti in guerra furono
tremende: un verbo perse il figlio, un
altro rimase senza tutti i suoi alleati,
il terzo perse il futuro e fu costretto a
comprarselo al mercato; molti dei
Sostantivi cambiarono genere, alcuni
furono castrati e passarono al neutro...
ed in tutto ciò perirono tanti Singolari e
Plurali.
Se tutto questo potè accadere nel
Rinascimento, allora perché mai, ad un
mostro di nome Lingua Serbocroata, dopo
centocinquant'anni non potrebbero crescere
le ali, per alzarsi al di sopra della sua
provincia Grammatica, nell'attesa che
qualche vento schiarisca la nebbia sopra
alle parole litigiose e mutilate, per
curare le loro ferite e ricomporle,
seppellendo le parole morte?
Nel corso degli anni mi è capitato di fare
il traduttore, collaborando occasionalmente
con delle agenzie. Si trattava per lo più di
documenti di vario genere, manuali o lettere
commerciali. Tornava utile per tappare i
buchi o per tenersi occupati quando si è
senza lavoro, anche se i soldi guadagnati
erano sempre pochi. Era più stimolante
quando lo facevo volontariamente come ad
esempio per la trasmissione Ostavka!
di Radio
Onda d’Urto condotta da Michelangelo
Severgnini tra 1999 e 2001 o facendo da
interpretere ad Aleksandar Zograf
quando venne a presentare una sua raccolta
di fumetti a Milano sempre in quegli anni.
Alcune esperienze erano anche deprimenti
come quando feci da interprete in un
tribunale durante il processo per
direttissima a due rom accusati di tentato
furto. Furono condannati ad alcuni mesi di
carcere senza aver rubato nulla. Sotto banco
uno dei due mi fece passare un biglietto con
il numero di telefono di qualche parente in
Germania e una scheda telefonica. Al primo
tentativo non gli riuscì perché una guardia
se ne accorse, ma al secondo a udienza
finita quando tutti si alzarono finalmente
me lo passò. Telefonai subito dopo e mi
sentì un po’ riscattato per aver collaborato
con un processo che trovavo imbarazzante.
Ultimamente, considerate le difficoltà
economiche mi sono messo di nuovo a mandare
i curriculum alle agenzie di traduzione e
qualcuna ha risposto. Una di queste, Easy
Languages, per una sorta di selezione
chiedeva un articolo sulle lingue e sul
mestiere del traduttore, per essere ammessi
al team dei collaboratori. Ho scritto
sull’annosa questione che riguarda una
lingua che tutti parlano nelle quattro delle
sei repubbliche ex jugoslave, ma nessuno
riconosce, cioè il serbo-croato.
Serbo-croato, quando una lingua diventa
scomoda
Quando sono nato, nel 1977, in Jugoslavia si
parlava il serbo-croato, la lingua
considerata ufficiale e tre lingue
utilizzate nelle singole repubbliche
federali: sloveno, macedone e albanese. A
queste si possono aggiungere le minoranze
linguistiche parlate nelle zone di confine
come l’ungherese, l’italiano, il valacco, e
le lingue parlate dalle comunità rom e
goranci. Naturalmente non mancavano i
dialetti locali, molto meno numerosi che in
Italia ma con differenze altrettanto
marcate, che nel corso del novecento sono
stati uniformati e sostituiti dalle parlate
regionali che si differenziavano per lo più
per l’accento e il gergo. La situazione
linguistica può apparire complicata ma in
fin dei conti non ha mai rappresentato un
problema, anche perché la maggioranza della
popolazione parlava appunto il serbo-croato.
la lingua “unificante”, mentre le
altre lingue avevano comunque i loro spazi
nell’ambito scolastico, mediatico ed
editoriale. Successivamente all’ascesa delle
correnti politiche egemoniche o
disgregazioniste è venuta a mancare questa
peculiare pluralità e intercomprensibilità
linguistica.
Semmai è oggi che regna la confusione
dato che il serbo-croato, parlato in Serbia,
Croazia, Bosnia e Montenegro è stato diviso
in serbo, croato, bosniaco e montenegrino,
senza un valido fondamento
linguistico-filologico ma principalmente su
base politica. Quindi nell’area della ex
Jugoslavia le lingue si sarebbero
raddoppiate anche se un abitante di
Podgorica può andare a Sarajevo ed
instaurare una conversazione di qualsiasi
tipo incontrando tutt’al più qualche decina
di termini diversi, comunque conosciuti non
solo a coloro che sono nati prima degli anni
Ottanta. Lo stesso accade se un abitante di
Zagabria va a Belgrado, dove al massimo
troverà qualche difficoltà se si reca nei
quartieri periferici dove si parla un
particolare slang formatosi negli ultimi
decenni, ma sono le stesse difficoltà che
potrebbe trovare un milanese a zonzo per le
borgate di Roma. Dunque oggi si può
incorrere nel paradosso di dover tradurre un
testo dal serbo al montenegrino, che sono
tra l’altro le due varianti più vicine di
serbo-croato considerando i fattori storici
e culturali che hanno intrecciato le vicende
dei due paesi. Infatti l’ultima separazione
riguarda proprio queste due repubbliche, per
fortuna avvenuta senza esiti tragici e
sanguinolenti come quelli che hanno
caratterizzato la guerra civile degli anni
novanta, ma comunque con ripercussioni
abbastanza pesanti a livello politico e di
conseguenza anche sociale ed economico,
creando parecchi problemi ai cittadini
comuni, abituati a viaggiare, condurre i
propri affari, intrattenere rapporti
familiari e di amicizia, trovandosi
all’improvviso di fronte ai nuovi confini e
ostacoli burocratici. Alla luce di questa
situazione, come accennavo, vediamo emergere
delle speculazioni nell’ambito linguistico.
Per fare un esempio banale ma significativo,
se guardiamo le etichette di un prodotto
qualsiasi, ci tocca leggere gli ingredienti
in quattro lingue diverse dove le differenze
spesso non esistono o comunque sono minime.
Nel maldestro tentativo di sottolineare le
diversità si usano dei sinonimi o
semplicemente si cambia una preposizione.
Per chiunque e in particolare per un
traduttore di professione può risultare un
po’ scandaloso il fatto che qualcuno venga
pagato per fingere di tradurre.
Senza essere dei filologi, ma servendosi
solo del buon senso, possiamo, se non
concludere che si tratta della stessa
identica lingua, avere quanto meno dei
fortissimi dubbi che la si possa smembrare
in base ai nuovi confini
politico-amministrativi. Eppure oggi, il
serbo-croato non è più nemmeno oggetto di
discussione, si finge che non esista anche
se i tentativi di trasformarlo in neo-lingue
accentuandone le differenze e puntando alla
sovrapproduzione dei neologismi a volte
ridicoli, non stanno avendo il successo
sperato. Una lingua segue il proprio corso e
si adatta alle esigenze umane di natura più
pratica ed è ovviamente molto più longeva di
una corrente politica che la vorrebbe viva o
morta.
ISBN 978-953-188-311-5
Format: 13x21, tvrdi uvez -
Cijena: 200 kn / 28 Eur
Ovo je u domaćoj
sredini prva knjiga koja na
osnovi uvida u obimnu inozemnu
literaturu rasvjetljava odnos
između jezika i nacije.
Čitatelju se u njoj nude
spoznaje o tome kako se prave
nacije, kako se
instrumentalizira jezik za
nacionalističke ciljeve, kako se
falsificira prošlost i izgrađuju
mitovi koji podupiru ideološki
poželjnu sliku stvarnosti. U
knjizi se identitet razotkriva
kao konstrukcija, a kultura kao
nepodudarna s nacijom. Pokazuje
se da jezik kojim govorimo ima
šire granice nego što mu
uobičajeno ucrtavaju, a
predočava se i prava priroda
jezičnog purizma. S obzirom na ovdašnja
proširena shvaćanja, mnogima bi
se sadržaj knjige mogao učiniti
revolucionarnim. Ali on to nije,
nego se prije radi o
izoliranosti domaće sredine od
dosega znanosti u svijetu. Cilj
ove knjige i jest da se ta
izoliranost prevlada i da se
nadoknade postojeći deficiti u
znanju.
(http://www.durieux.hr/pregled.asp?id=776)
Snježana
Kordić: govori kao što govoriš
Domaći
jezikoslovci uvjeravaju ljude da država
i nacija ne može postojati ako nema
zaseban jezik sa zasebnim imenom. Kad bi
bilo tako, ne bi postojala čak ni
američka država i nacija, ne bi
postojala švicarska nacija i država, ni
kanadska, argentinska... Ako je najmanje
81 posto osnovnog rječničkog blaga
zajedničko, radi se o istom jeziku.
Snježana Kordić, lingvistica iz Osijeka, u
svojoj knjizi Jezik i
nacionalizam [1]
piše o tome da se u BiH, Hrvatskoj, Srbiji
i Crnoj Gori govori istim jezikom. Naime,
Kordić je u intervjuu zaSlobodnu Bosnu
kazala da se spomenuti narodi međusobno
razumiju i da govore jednim jezikom.
Lingvistica napominje kako je u
lingvistici definirano da se radi o istom
jeziku ako je najmanje 81 posto osnovnog
rječničkog blaga zajedničko. "A Hrvati,
Srbi, Bošnjaci i Crnogorci, kad govore
standardnim jezikom, imaju 100 posto
zajedničko osnovno rječničko blago",
kazala je Kordić.
Prije nekoliko godina Kordić je bila
optužena da "potkopava temelje hrvatske
države" zbog svojih radova i stajališta o
jeziku. Ona kaže da je do toga došlo jer
"domaći jezikoslovci uvjeravaju ljude da
država i nacija ne može postojati ako nema
zaseban jezik sa zasebnim imenom". "To je,
naravno, besmislica jer inače ne bi
postojala čak ni američka država i nacija,
ne bi postojala švicarska nacija i država,
ni kanadska, argentinska...", smatra
Kordić.
lingvistički
dokazi
o postojanju zajedničkog jezika ne
ugrožavaju postojanje zasebne države
"Čovjek stvarno mora biti potpuno neuk, da
ne kažem slijep, pa da misli da
lingvistički dokazi o postojanju
zajedničkog standardnog jezika ugrožavaju
postojanje Hrvatske, Bosne i Hercegovine,
Srbije i Crne Gore kao četiri zasebne
države, ili da ugrožavaju postojanje
četiriju nacija", smatra Kordić.
Kordić u svojoj knjizi navodi kako se radi
o standardnom jeziku koji je
policentričan, odnosno da nekoliko nacija
govori istim jezikom pa on ima nekoliko
centara. "Sve četiri varijante su
ravnopravne, nije jedna od njih nekakav
‘pravi’ jezik, a druga ‘varijacija’ tog
jezika. Policentrični su svi svjetski
jezici, a i brojni drugi. Razlike između
njihovih varijanti su često veće nego u
našem slučaju", smatra.
jezična
netolerancija je politički
prihvatljiva maska za netoleranciju
prema drugoj naciji
Lingvistica naglašava da pojedinci koji
razdraženo reagiraju na neke riječi koje
prepoznaju kao znak druge nacije
izražavaju jezičnu netoleranciju. Ona se
slaže s tim da je jezična netolerancija
često politički prihvatljiva maska za
netoleranciju prema drugoj naciji. "Ta
maska se koristi jer je u današnjim
društvima politički prihvatljivije
govoriti o jezičnoj čistoći nego govoriti
direktno o neprijateljstvu prema drugoj
naciji", kazala je.
"Tipično je da mislimo kako nacionalizam
postoji uvijek samo kod drugih, a naš
nacionalizam predočavamo kao
’patriotizam’, koristan i neophodan",
kazala je Kordić.
Kordić smatra da su naši lektori postali
cenzuristi. "Ono što čine domaći lektori,
to nije posao lektora, nego cenzora. Ni u
kojem slučaju lektori u inozemstvu ne vrše
odstrel riječi navedenih na nekakvim
listama nepodobnosti, a upravo to čine
domaći lektori", smatra Kordić.
SPR:HRVATSKA-PREVOD-EP
U Evropskom
parlamentu prevođenje s hrvatskog na
srpski
ZAGREB,
28. maja (Tanjug)
- Na inicijativu Doris Pak i Hansa
Svobode, u Evropskom parlamentu je od
juče uvedeno prevođenje s hrvatskog na
srpski jezik, jer su hrvatski prevodioci
izdvojeni u posebnu kabinu, odvojenu od
zajednilke kabine za srpski, bosanski i
crnogorski jezik, javljaju danas
hrvatski mediji. Hrvatski predstavnici
bili su protiv ideje Sekretarijata EP
da, shodno praksi Haškog suda, obezbedi
zajednički prevod na
hrvatsko-srpsko-bosanskom jeziku. (Kraj)
LE SPESE INUTILI DEL PARLAMENTO EUROPEO
Agendo in base all'iniziativa di Doris Pak
e Hans Svoboda, ieri, nel Parlamento UE, è stata
introdotta la traduzione dal croato al
serbo (SIC), cosicchè i
traduttori croati sono stati collocati in
una cabina a parte, separata dalla cabina
congiunta per serbo, bosniaco e montenegrino
(SIC SIC).
L'informazione
giunge dai media della Croazia. I
rappresentanti della Croazia erano
contrari all'idea del Parlamento UE che,
sulla scia della prassi del Tribunale
dell'Aja, fosse procurata una traduzione
unica per la lingua croata-serba-bosniaca.
(fonte
Tanjug - 28 maggio 2008 - in
italiano a cura di DK)
Spese
inutili del Parlamento europeo? “E chi
se ne frega” si diranno i deputati –
parlamentari! Tanto per loro non ci
sono problemi, salariali s’ intende.
D’ altronde cosa ci si puo’ aspettare
da questa Europa dei capitali,
con la sua miope socio-politica, “che
l’occhiolino fa al tiranno...” (Đuro
Jaksić)?
Almeno sulla disputa linguistica, da
parte degli intellettuali, degli
scrittori, dei professori una
precisazione sarebbe dovuta. E invece
niente!... Noi jugoslavi, anche di
media cultura linguistica, sapevamo
bene tutti che la nostra lingua era il
“serbo o croato”! Non ho sentito
ancora che gli austriaci per esempio,
non parlino il tedesco, ma la
loro “madrelingua”!...
Al Parlamento europeo suggerirei di
ufficializzare la lingua “serba o
croata”, (serbo-croata o
croato-serba), usando il linguaggio
che comprendono tutti i cittadini
delle ex-Repubbliche jugoslave e che
tuttora usano in grande maggioranza o
in toto - come in Bosnia-Erzegovina e
Montenegro (nella variante
“jekava”). Anche per uno
straniero e’ comprensibile che januar,
februar eccetera indicano i mesi. Nel
mio lavoro per non turbare certi
animi ho preferito usare la
“numerazione” del mese: primo,
secondo... dodicesimo. Al Tribunale
dell’Aia, che tanto per coprire un po’
la sua faziosita’ ha processato alcuni
esponenti croati e musulmani bosniaci
("bosgnazzi"), Milosevic ha
elegantemente risposto alla traduzione
di un croato doc: "Studeni sara’ senz’
altro un mese invernale" (giacche’
“studeni” vuol dire freddo).
Ivan Pavicevac, giugno 2008
MinCulPop
linguistico
anche nelle Università
italiane?
Il
Ministero dell'Università e della
Ricerca attraverso la Conferenza
dei Rettori ha recentemente
trasmesso senza commento alle
strutture universitarie una nota
proveniente dall'Ambasciata di
Croazia:
---
Da:
Segreteria Crui
Inviato:
giovedì 6 novembre 2008 14.33
A:
Undisclosed recipients
Oggetto:
Ambasciata della Repubblica di
Croazia
A tutti
i Rettori
Si
trasmette l'allegata nota del MIUR
relativa all'oggetto.
Vorremmo informarLa del
cambiamento dell'indicazione
internazionale della lingua
croata, entrato in vigore il 1
settembre 2008. Con la decisione
del corpo internazionale
ISO639-2 Registration Authority
e la Biblioteca del Congresso
degli Stati Uniti (Library of
Congress) di Washington,
l'indicazione "hrv" è stata
introdotta come l'unica
indicazione bibliografica e
terminologica per la lingua
croata, sostituendo
l'indicazione "scr" usata finora
[v. http://www.loc.gov/marc/tn080701.html]. (...) Per le
indicazioni bibliografiche d'ora
in poi verranno adoperate
esclusivamente le nuove
indicazioni per le suddette
lingue: "hrv" per la lingua
croata e "srp" per la lingua
serba. (...)
Distinti
saluti,
Ambasciatore
Tomislav
Vidošević
---
Tale
nota è stata inoltrata dai Rettori
alle rispettive biblioteche
universitarie. Ma a che pro?
Che cosa
dovrebbe in effetti comportare la
rigorosa applicazione di tale
richiesta dell'Ambasciata di
Croazia?
Si sta
forse chiedendo di riclassificare
i libri in serbocroato, presenti
nelle biblioteche universitarie,
distinguendoli tra libri scritti
in "serbo" e in "croato"?
In questo caso, come
andranno classificati ad esempio
gli iper-classici di Ivo Andrić,
premio Nobel jugoslavo, di
famiglia "croata" ma opzione
linguistica "serba" (ekava), nato a Travnik nel
cuore della Bosnia-Erzegovina e
dunque profondamente influenzato
dal lessico e dalla cultura di
ascendenza turca ed islamica di
cui si sono oggi appropriati i
settori politici cosiddetti
"bosgnacchi"? Classificheremo la
sua lingua come "croata", come
"serba", o come... "bosgnacca"?
Oppure
procureremo tre copie identiche per
ogni libro di Andrić,
classificandole diversamente in modo
da non scontentare nessun partito
politico?
E come dovremmo
classificare il "Serto della
montagna" del Njegoš, vera e
propria "Divina Commedia" della
lingua serbocroata, scritta in
caratteri "serbi" (cirillici) ma
nella variante di pronunzia
"croata" (jekava) dal famoso letterato
e regnante... montenegrino Petar Petrović?
Prendere
alla lettera ciò che viene richiesto
dalla Ambasciata della Repubblica di
Croazia significherebbe piegarsi
alle logiche imposte dal peggiore
nazionalismo, mettendo in pratica in
campo letterario quel separatismo
(pseudo)etnico che è stato imposto
con la violenza sul terreno
jugoslavo. Inoltre, simili scelte
relegherebbero ad esempio gli autori
della Bosnia-Erzegovina e del
Montenegro in una condizione di
discriminazione: per loro sarebbe
infatti arbitrario usare sia la
classificazione "croata" che quella
"serba". Vogliamo imporre l'utilizzo
di due ulteriori standard fittizi di
classificazione linguistica?
E per i
corsi di lingua, come ci vogliamo
regolare? Vogliamo avviare lo stesso
processo di discriminazione, di
moltiplicazione e di
separazione dell'identico?
Il fatto
che la Registration
Authority ISO639-2 e la
Library of Congress degli USA
abbiano introdotto questi nuovi
standard non rappresenta altro che
un atto politicamente motivato,
che non deve necessariamente avere
implicazioni sulla vita e sulle
strutture culturali e accademiche
del mondo intero. Esiste ad
esempio un diverso e più corretto
standard, l'ISO 639-3 (*), nel quale
il serbocroato continua ad essere
considerato macro-lingua
all'interno della quale è
possibile differenziale (per chi
proprio ci tiene) tra le "nuove
lingue" - hrv, srp, bs(bos)...
La
questione linguistica
serbocroata esemplifica la
degenerazione dei rapporti
socio-culturali nell'area
jugoslava. Sul tema siamo
intervenuti in passato
diffondendo documentazione, e
continueremo a parlarne (si
faccia riferimento spec. alla
pagina a questo dedicata sul
nostro sito internet: https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm).
Ci ripromettiamo di intervenire
presto sul tema anche con una
iniziativa pubblica organizzata
in ambito accademico.
Per
adesso, pubblichiamo di seguito
una analisi di carattere
scientifico preparata per
CNJ-onlus da Ljiljana Banjanin,
lettrice di serbocroato a Torino e
componente del nostro Comitato
Scientifico.
Documentation
for ISO 639 identifier:
hbsIdentifier:
hbs
Name:
Serbo-Croatian
Status:
Active
Code set:
639-3
Equivalent:
639-1: sh (deprecated)
Scope:
Macrolanguage
Type:
Living The individual
languages within this
macrolanguage are:
Bosnian [bos] Croatian
[hrv] Serbian [srp]
Alcune note sulla
necessità di mantenere lo standard
serbocroato
(a cura
di Ljiljana Banjanin, lettrice di
serbocroato a Torino, per il
Comitato Scientifico
del Coordinamento Nazionale
per la Jugoslavia - onlus)
Il
serbocroato fu la lingua ufficiale
jugoslava sia durante il Regno di
Jugoslavia sia durante la Repubblica
Federale (SFRJ).
La scelta
tra la parlate era vincolata da due
fattori principali:
Le parlate
jugoslave si differenziano da un
lato per come viene espresso il
termine «che
cosa», che ha tre
varianti: što, kaj, ča, da cui la denominazione
della parlate come štokavo, kajkavo e čakavo. Il kajkavo si parla
soprattutto in Croazia, nella
zona intorno a Zagabria, il
čakavo in alcune zone del
litorale settentrionale croato e
delle isole, in certe parti
dell'Istria e in alcune zone
della Dalmazia, mentre lo
štokavo è senza dubbio la
parlata più diffusa.
Esistono
dialetti che si differenziano
per la pronuncia di quello che
fu lo jat paleoslavo che
divenne je (talvolta ije)
ovvero e o anche i, da cui le
denominazioni: jekavo (talvolta
ijekavo), ekavo ed ikavo.Si faccia un esempio
per i non conoscitori della
lingua, il sostantivo ljeto (estate)
diventa leto in ekavo e lito in ikavo,
l'aggettivo lijepo (bello) diventa
nella variante ekava: lepo e nella variante
ikava lipo.
Alla fine
si scelse la variante štokavo-jekava, tra l'altro la più
comprensibile in quanto la più
estesa sul territorio. Tappe del
processo furono le discussioni
tra linguisti, letterati,
intellettuali, basti pensare a
figure come Dositej Obradović,
Ljudevit Gaj, Vuk Karadzić, e
all'accordo di Vienna nel 1850. Tale variante
corrisponde in generale alla
parlata bosniaco erzegovese (bosansko-hercegovačko
narjeće)
I problemi
esistono, in quanto nei territori
jugoslavi esistevano (ed esistono)
combinazioni dei due vincoli,
talvolata a macchia di leopardo,
senza parlare dei numerosi dialetti,
all'interno delle combinazioni
principali, e ciò costutuisce fin
dall'inizio una enorme ricchezza
linguistica.
Si noti
inoltre che esistono due alfabeti,
il latino ed il cirillico. Per lo
più in Serbia si parlava in
ekavo-štokavo e si scriveva in
cirillico, mentre in Bosnia e in
Croazia era più comune lo jekavo,
tuttavia è' interessante notare come
in certe zone dell'interno della
Croazia si parli in ikavo,che
sembrerebbe caratteristico della
Dalmazia, e in certe zone della
Serbia meridionale in jekavo. In
Montenegro si scrive in cirillico ma
la variante è jekava.
E'
soprattutto attraverso la
letteratura che si scopre la
ricchezza della lingua: Goran
Kovačić scrive in čakavo, come
Vladimir Nazor, del resto, Ivo
Andrić scrive sia in ekavo sia in
jekavo, Krleža scrive anche in
kajkavo: e non c'è corrispondenza
tra nazionalità del letterato e tipo
di scrittura.
Soprattutto
nella Jugoslavia socialista, c'è
grande attenzione per la letteratura
e la lingua del Paese, si ribadisce
l'unità della lingua, l'ortografia
comune con rispetto delle varianti
ekava/jekava e dei due alfabeti; si
stampano inoltre le opere letterarie
in tutte le versioni possibili: il
rispetto dell'unità della lingua,
non impedisce infatti la
sperimentazione sulla base del
patrimonio lingusitico.
Con la
distruzione della Jugoslavia
socialista viene distrutta anche
la lingua, ovvero la
denominazione della lingua
ufficiale. In Croazia si
promuove la pubblicazione di
grammatiche, dizionari della
lingua croata; la lingua
ufficiale della radio, della
televisione viene „ripulita“ dai
serbismi. In Serbia solo in
seguito viene adottato il
termine 'lingua serba' e
l'alfabeto cirillico[1].
La
creazione di altri stati sul
teritorio della Jugoslavia offre
possibilità di creazione di numerose
altre „lingue“ che nascono da uno
stesso standard: per il momento si
sono rese concrete la bosniaca (in
almeno due o tre varianti), e la
montenegrina, oltre alle due citate
sopra. Si tratta di lingue
politiche, lingue che seguono,
rispondono al bisogno di creare
un'identità nazionale attraverso la
lingua, perché è un mezzo che
permette una manipolazione facile,
attraverso una parola d'ordine
dall'impatto immediato (UN
POPOLO=UNO STATO=UNA LINGUA).
Il problema
dell'identità della lingua non è
banale, dal punto di vista
scientifico, come del resto
banali non sono tutti i problemi
collegati al linguaggio.Tuttavia
vi sono dei criteri basati su
posizioni teoriche; per esempio
vi sono vincoli genetici (da che
cosa è nata una certa lingua),
strutturali (come è costruita ),
socio-linguistici (come la
considerano coloro che parlano).
Le neo- lingue serbo, croato,
bosniaco e montenegrino, sono
nate dalla parlata neo-štokava,
come il serbocroato, sono quasi
uguali tra di loro (a volte le
differenze sono ridicole: si
pensi che il montenegrino
differisce solo in tre (tre!)
dettagli dal serbocroato (per
esempio la parola «domani» si
dice sutra in serbocroato e
sjutra in montenegrino), tanto
che la comprensibilità è totale,
e soltanto il terzo criterio
pone problemi.
A nostro
parere, la lingua può
considerarsi come sistema o come standard. Nel primo caso, è
ovvio per i linguisti, che il il
bosniaco, il croato, il serbo e
il montenegrino, sono parte di
una stessa lingua, perchè sono
identiche dal punto di vista
linguistico, genetico e
strutturale; per ogni persona di
normale buon senso il fatto
stesso che la intercomprensione
sia completa, fa sì che la
lingua sia la stessa. Tuttavia
la lingua è anche standard, e
questo, come si sa da molti
anni, presuppone un accordo
sociale sulle regole, le norme
linguistiche per una determinata
società: si tratta ovviamente di
un'idea socio-politica della
lingua, e infatti è noto a tutti
che il passaggio dal considerare
una parlata lingua o dialetto è
un fatto principalmente
politico.
Il
serbocroato (o serbo-croato, o
croato-serbo) è una lingua
policentrica : cioè una lingua
con alcune varianti che in
alcuni tratti si differenziano,
ma non a tal punto da costituire
una lingua autonoma.
Anche l'
Inglese, il Tedesco e il
Portoghese sono lingue di tale
tipo: esistono infatti alcune
varianti per ognuna di loro.
Brittanico, americano,
australiano, o inglese standard
sono le varianti della lingua
Inglese, tedesco, austriaco, lo
standard tedesco svizzero
riguardano il tedesco e per
quanto riguarda il portoghese
ricordiamo portoghese, standard
portoghese brasiliano.[2]
La
linguista Snježana Kordić
insiste sulla tesi che si tratta
di questo tipo di standard,
specialmente dopo la
dissoluzione della Jugoslavia
degli anni Novanta: argomenta la
sua tesi con le seguente
dichiarazioni: „Sia la
linguistica che la
sociolinguistica dimostrano che
il serbocroato oggi come prima è
una lingua standardizzata di
tipo policentrico. Tutti e tre
[...] i criteri [...], -
comprensione reciproca,
compatibilità del sistema
linguistico, la base dialettale
comune (lo štokavo) della lingua
standard – indicano che si
tratta della stessa lingua
policentrica“.[3]
Ranko
Bugarski, anglista e linguista
afferma tra l'altro:» E' ancora
legittimo parlare di esistenza del
serbocroato come di una lingua
standard (anche se, naturalmente,
con alcune varianti territoriali).
Anche se ad alcuni attualmente
potrebbe apparire strano, se non
reazionario, vi sono degli argomenti
a sostegno della tesi. Il
primoargomento è la strettissima
somiglianza linguistica, addirittura
strutturale talvolta, tra gli eredi
del serbocroato....La normale
comunicazione tra gli abitanti di
Zagabria, Belgrado e Sarajevo
procede come prima...Sicché mentre è
normale parlare a proposito di una
persona che conosca spagnolo,
francese e italiano, per esempio, di
multilinguismo, farlo per chi parli
serbo, croato e bosnaico sembrerebbe
uno scherzo.»
A nostro
parere, si possono sintetizzare le
precedenti considerazioni in alcuni
punti chiave:
1. La
prevalenza delle forze centripete
presso gli slavi meridionali è una
conseguenza di fattori
extra-linguistici e extra-culturali.
Nella autodeterminazione nazionale
degli anni '90, che molto spesso è
anche nazionalistica, la politica
quotidiana e i politici hanno
utilizzato quello che è piu'
semplice da utilizzare, cioè la
lingua. In tal modo essa è diventata
il mezzo politico, la carta da
giocare nelle mani della politica e
la misura della autodeterminazione.
2 La
situazione attuale linguistica e
sociolinguistica sui territori della
ex-Jugoslavia è caotica.
L'atteggiamento dei linguisti non è
separato da quello dei politici, il
che crea una certa parzialità nella
standardizzazione delle «nuove
lingue» che vengono presentate come
un qualcosa di diverso rispetto allo
standard pre-esistente noto come
serbo-croato o croato-serbo o
semplicemente serbocroato.
3. Gli
sforzi per produrre gli standard
nuovi che insistono esclusivamente
sulle differenze tra il serbo e il
croato e non sulle affinità e le
somiglianze, sono un esempio
negativo di attualizzazione della
politica linguistica, indipendemente
da quale parte arrivino. Importanti
linguisti e scrittori si sono uniti
ai politici e questo è un fatto
preoccupante, oltre che
scoraggiante, perchè gli interessi
della affermazione nazionale si sono
identificati con quelli linguistici,
e gli intellettuali hanno perso
l'occasione di fare il loro lavoro;
è successo con le neo-lingue quello
che è successo a proposito delle
neo-guerre: all'analisi rigorosa si
è sostituita la condiscendenza alla
propaganda politica e, ancora più
grave, l'affinamento della
propaganda con l'uso distorto dei
mezzi forniti dalla ricerca.
4.
L'attribuzione di una spropositata
importanza alla denominazione della
lingua è una conseguenza del bisogno
di affermare la propria apprtenenza
nazionale, in modo che l'individuo
si identifichi con il proprio gruppo
in maniera monolitica, in senso
nazionale e linguistico.
5. In molte
università italiane e internazionali
i cambiamentti nella lingua sono già
stati codificati, però la
separazione di questi due rami della
Slavistica ci pone davanti a molti
interrogativi: il primo tra tutti la
validità scientifica delle nuove
lingue e letterature, che forse
continueranno a moltiplicarsi, e
così fra breve assisteremo alla
nascita anche del šumadinese, del
belgradese-moravo, vojvodinese,
erzegovese, ecc., ecc., ecc. (senza
parlare delle lingue derivate dal
kajkavo e dal čakavo!).
6. Il
problema a nostro avviso più
importante per la lingua
serbocroata, è il pericolo di
perdita della indubbia ricchezza
della lingua: l'impoverimento
sarebbe dannoso dal punto di vista
del livello culturale dei cittadini
territori jugoslavi, sia dal punto
di vista letterario e scientifico,
sia dal punto di vista degli
studenti e degli slavisti stranieri.
Pertanto
riteniamo che siano da evitare passi
ulteriori sulla strada della
separazione della lingua
serbocroata.
[1] cfr. Ivan
Klajn Grammatica della lingua
serba, Zavod za udzbenike,
Beograd, 2007,p. 13: „ Dopo la
creazione dello Stato jugoslavo
(1918), in Serbia e nel
Montenegro ha cominciato a
diffondersi rapidamente
l'alfabeto latino, già in uso
presso i croati.
Oggi la „latinica“ è
più diffusa in Serbia, a tal
punto che è nato un movimento
per la protezione della
„cirilica“, e negli ultimi anni
si sono avute misure legislative
per definire la „cirilica“ come
l'alfabeto primario nell'uso
ufficiale e pubblico. Anche se
l'uso parallelo di due alfabeti
è un caso unico in Europa, se
non nel mondo, sembra probabile
che esso si mantenga anche nel
futuro“.
[2] Cfr. H. Glùck
(hrsg), MetzlerLexikon Sprache, Stuttgart, 2000.
[3] Cfr. La situazione
linguistica attuale nell’area a
standard neostokavi (ex
serbo-croato), a cura di Rosanna
Morabito, in “Studi
Slavistica”, III, Firenze
University Press, 2006, p. 325.
Fonte:LiMeS
n.6/2003,
p.229: IL NOSTRO ORIENTE
Per
rafforzare la loro identità, i
croati insistono nel
promuovere una lingua
nazionale sempre più distinta dal
serbo-croato incentivato
dagli jugoslavisti. Ma serbi e
croati continuano a capirsi
perfettamente nella ‘loro lingua’.
SERBO, CROATO
O
SERBO-CROATO?
L’USO
GEOPOLITICO DELLA
LINGUA
di Luka
BOGDANIĆ
1.
CROATO E SERBO O
SERBO-CROATO?
Due lingue o una? Una
lingua una nazione, o una lingua due
nazioni? Tutte queste domande
si risolvono in una sola questione:
qual è la caratteristica principale
dell’identità nazionale di
serbi e croati?
Nell’Ottocento,
nei
circoli intellettuali di
Zagabria nasce sotto l’influenza
del Risorgimento europeo il
movimento illirico, guidato da
Ljudevit Gaj. Il
movimento, sorto per
contrastare il predominio della
cultura ungherese e austriaca su
quella slava, aveva
l’obiettivo di favorire l’unità
culturale, ma in ultima analisi
anche l’unità politica
degli slavi del Sud. La
rivendicazione dell’unità degli
slavi meridionali derivava
dalla coscienza che solo con la
creazione di uno Stato sudslavo
sarebbe stato possibile
difendere gli interessi di quei
popoli dalle mire
espansionistiche delle
potenze circostanti (1).
L’ideale unitario poggiava sulla
convinzione che la lingua è
il fondamento dell’identità
nazionale. Partendo da tale
presupposto, cioè dalla
convinzione che serbi e croati
parlano la medesima lingua e
dunque sono un unico
popolo, Ljudevit Gaj, guida del
movimento risorgimentale croato,
scelse come lingua standard
il dialetto croato parlato dai
croati dell’Erzegovina, regione
dove il modo di parlare dei
croati non differisce da quello
dei serbi locali. Infatti,
nell’Erzegovina, sia serbi
che croati parlano usando il
dialetto štokavo
e
la pronuncia ijekava.
Lo štokavo
è
la caratteristica generale del
dialetto (in questo caso un
dialetto che è divenuto
lingua letteraria) in quanto il
pronome interrogativo «che»
viene espresso con la
parola «što»;
ijekavo
è
la caratteristica che si
riferisce alla pronuncia delle
sole vocali. Anche a Belgrado,
per esempio, si usa lo štokavo,
però non la pronuncia ijekava
ma
quella ekava.
Qualche decennio prima di
Gaj, in Serbia, Vuk Stefanović
Karadjić riformò
l’alfabeto cirillico e formulò
la regola ortografica fondamentale
della lingua
serbocroata: «Scrivi come parli
e leggi com’è scritto».
L’idea
secondo
cui gli elementi fondamentali di
una nazione sono in
primis la lingua,
e
poi usi, costumi, alla base dei
quali stanno fattori
naturalistico-ambientali e
geografico-climatici, è di
derivazione herderiana. Infatti,
secondo Johann
Gottfried Herder il primato
nella formazione di una nazione
spetta al linguaggio,
in quanto solo grazie ad
esso si possono tramandare usi e
costumi da una
generazione all’altra. Per
Herder, «è il linguaggio che
fonda le leggi e lega le
stirpi», tanto che nella
lingua «è impresso l’intelletto
e il carattere di un popolo» (2).
Ancora, «l’essenza della
nazione non è la razza, “il
sangue” (perché le razze,
mescolandosi ovunque, sono
una suddivisione arbitraria)
bensì essa è costituita dai modi
dell’acculturazione (lingua,
religione, forme della
convivenza, costumi)» (3).
La carenza principale della
concezione herderiana stava nel
fatto che si trattava di una
visione della nazione di tipo
storico-culturale, cioè
sostanzialmente
apolitica. D’altra parte era
più che logico che in una Croazia
arretrata e
politicamente sottomessa, in
particolare all’Ungheria e poi
all’Austria, le prime istanze di
emancipazione venissero
presentate sotto forma di
riflessioni su questioni culturali.
In condizioni di totale assenza
di una storia e di una tradizione
politica propria,
l’unico spazio in cui era
possibile agire, per quei pochi
intellettuali croati e serbi
imbevuti d’ideali
risorgimentali appresi nel corso dei
loro studi nelle università
europee, era ovviamente
l’ambito della cultura. Essi
troveranno quindi nel pensiero di
Herder un terreno
particolarmente fertile e adatto ai
loro scopi culturali e in
ultima analisi geopolitici.
Il fatto che nei Balcani,
più che altrove, il risorgimento
nazionale esca dal cappello
magico della cultura e si mimetizzi
continuamente come fenomeno
culturale, è spiegabile se si
pensa all’assenza plurisecolare di
qualunque tipo di
Stato unitario delle
popolazioni sudslave. Tale assenza
ha loro precluso ogni
possibilità di riflessione e di
riscontro empirico sul ruolo dello
Stato nella creazione
dell’identità nazionale. Essa
ha inoltre impedito che si formasse
una cultura politica uniforme
dei serbi e dei croati. Sicché
l’impegno culturale ha rappresentato
per secoli, in Croazia, in
Bosnia e in Serbia, l’unico modo per
fare politica. Discutere della
lingua dei croati e dei serbi non
significa dunque affrontare una
questione accademica o
meramente culturale, ma intervenire
in un problema politico e
geopolitico di prim’ordine.
2. Se il serbo-croato sia
una o due lingue è rimasta fino al
giorno d’oggi una questione
politica fra le più dibattute.
L’ideale unitario dei popoli slavi
del Sud, la Jugoslavia, poggia
sul presupposto che la lingua dei
serbi e dei croati sia una
sola. Per conseguenza, il
compito primario d’ogni nazionalismo
separatista era, ed è, provare
che si tratta di due lingue
diversissime.
Il
fatto che immediatamente
distingue il serbo e il croato è
che la prima viene scritta,
oltre che in alfabeto latino, anche
in
cirillico. D’altronde, se si
lascia scorrere la memoria
storica, si ricorderà che anche
i croati lungo tutto il medioevo
scrivevano in glagolitico,
sostanzialmente una variante del
cirillico antico. Per
rendersene conto basta
visitare qualche chiesa
cattolica croata tardomedievale.
Ci sono addirittura alcune
parole che scritte con
l’alfabeto cirillico serbo hanno
la stessa forma grafica che
se fossero scritte con
l’alfabeto latino ed ovviamente
hanno lo stesso significato
e pronuncia sia in serbo che in
croato, come per esempio le
parole jaje
(uovo),
ja
(io),
moj
(mio),
mak
(papavero),
oko
(occhio),
kao
(come),
je
(è), mama
(mamma),
TATA
(papà,
scritto
in stampatello) eccetera.
Cosicché è addirittura possibile
costruire alcune piccole frasi
che sono scritte allo stesso
modo sia in alfabeto
cirillico serbo sia in alfabeto
latino croato, come ad esempio
la frase: «Moja
mama
je jaka kao ja»
(«Mia madre è forte come me»).
Infatti le lettere a, e,
j, o, m, k, e la lettera T
(se scritta in stampatello),
sono scritte allo stesso modo
nell’alfabeto latino e in
quello cirillico.
La
seconda differenza nel modo di
esprimersi di serbi e croati,
come già osservato, sta nel
fatto che i serbi parlano ekavo
e i
croati ijekavo.
Si tratta di due
varianti di pronunce che si
distinguono nel modo in cui si
esprimono le vocali: i serbi
ad esempio per la parola
latte dicono mleko
e i
croati mlijeko.
Però si tratta di una
differenza che riguarda più
lo standard della lingua
letteraria che la sostanza
linguistica.
In
alcune regioni della ex
Jugoslavia è facilissimo trovare
serbi che parlano ijekavo
(particolarmente
in
Bosnia ed Erzegovina), come vi
sono croati che parlano ekavo
(ad
esempio nei dintorni di
Zagabria).
Poiché
molti
serbi parlano ijekavo,
alla fine dell’Ottocento Ante
Starčević – padre del
nazionalismo croato antiserbo o
come lo chiamava Franjo Tudjman
padre della patria –
scriveva le sue opere in ekavo. A
suo avviso la maggioranza dei
serbi parlava ijekavo
e
dunque per distinguersi da essi
i croati dovevano adottare
lo standard della pronuncia
ekava.
L’ironia della storia ha fatto
sì che, secondo una logica
nazionalista, le opere del padre
della patria risultino oggi
quasi tutte scritte in
lingua straniera.
Esistono insomma differenze
tra serbo e croato, ma non più che
tra dialetti di una medesima
lingua. Si tratta di diversità
dovute al diverso sviluppo storico
che la lingua croato-serba ha
avuto in differenti regioni. La
lingua serba, come anche il suo
standard, è piena di parole
d’origine turca, mentre lo standard
croato è stato epurato delle
parole straniere, in quanto si è
sempre ritenuto che esse siano
un elemento estraneo allo
spirito della lingua.
Il modo di parlare di
serbi, croati e musulmani in Bosnia,
specialmente in quelle regioni
dove le tre popolazioni vivevano
insieme fino a ieri, è uguale.
È dunque impossibile
distinguerli in base al linguaggio.
L’unico modo per determinare se
si tratta di serbi, croati o
musulmani è classificarli in base
alla religione.
3.
La creazione di una lingua, come
anche la creazione di una
nazione, è un processo cui
concorre una pluralità di cause.
Serbi e croati sono stati
esposti all’influenza di
religioni diverse e dunque di
culture diverse, la cristiana
orientale e la cristiana
occidentale. Inoltre, si trovano
sul limes
che
divide l’Oriente
dall’Occidente, schiacciati
dall’incontro di differenti
concezioni e interessi
geopolitici. Per
questo hanno sviluppato
caratteri particolari. Ma le
diversità non sono tali da
dividerli in due compagini
etnicamente differenti. Tanto
che qualche volta troviamo
maggiori differenze tra
croati di due diverse regioni,
ad esempio tra croati di Bosnia
e croati dello Zagorje
(regione nordoccidentale della
Croazia tra Zagabria e
Slovenia) o tra serbi di
due regioni differenti, ad
esempio tra i serbi della
Croazia e i serbi della
Šumadija (regione della Serbia
centrale), che tra i croati e i
serbi di una medesima
regione, ad esempio tra i serbi
e i croati dell’Erzegovina.
L’idea
della
lingua unitaria serbo-croata era
alla base dell’ideologia della
fratellanza ed unità nella
Jugoslavia socialista. Secondo
questa visione, serbi e
croati, nonostante le
differenze, sono due popoli
fratelli, un’unica stirpe in
nuce che occupa un unico
spazio geopolitico, quello dei
Balcani occidentali, ma che
la storia aveva diviso
creando due compagini
etnicamente simili. Difatti,
nella prima dichiarazione
sul linguaggio e l’ortografia
del 1954, nota come Accordi
di Novi Sad, gli
intellettuali e i letterati
serbi e croati dichiaravano che
«la lingua popolare di
serbi, croati e montenegrini è
un’unica lingua. Per tale motivo
anche la lingua letteraria
che si è sviluppata sulla base
di essa intorno ai due centri
maggiori, Belgrado e
Zagabria, è un’unica lingua con
due pronunce, la ekava
e
la ijekava» (4).
Insomma, gli ideologi di Tito
sostenevano che si trattasse di
un’unica lingua con due
varianti, quella serba ekava
e
quella croata ijekava,
di eguale valore. Per dirla
con le parole di Miroslav
Krleža, il più importante
scrittore croato e, con Ivo
Andrić, jugoslavo: «Croato e
serbo sono un’unica lingua. I
croati la chiamano croato,
i serbi serbo».
Durante
la
vicenda jugoslava, molti degli
intellettuali che avevano
firmato gli Accordi di Novi
Sad cambiarono più volte la
propria opinione rispetto alla
questione linguistica (5).
Si potrebbe fare una lunga lista
d’intellettuali, sia serbi che
croati, che non si sono mai
sentiti in contraddizione con se
stessi affermando che il
serbo e il croato sono
un’unica lingua, per sostenere
con altrettanta fermezza, solo
qualche decennio dopo, che
si trattava di due lingue
diverse. E quasi non si
accorgevano che pur
litigando tra loro si
comprendevano perfettamente!
Vista
la
somiglianza, se non
l’uguaglianza, tra serbo e
croato, i
nazionalisti croati (ma non
solo essi!) erano da sempre
preoccupati di provare la
diversità tra serbo e
croato, anche a costo di
inventarla. Questa grande opera
d’immaginazione ebbe la sua
massima espressione negli anni
Novanta durante il governo del
partito Hdz (6),
ovvero durante la presidenza di
Franjo Tudjman. Infatti, se
Tudjman
aveva un’ossessione, questa
stava nella continua invenzione
di nuove/antiche
parole croate e
nell’autarchia linguistica. Essa
arrivò al punto che l’ultimo
libro del
presidente Tudjman ha un
titolo «talmente croato» che ad
un croato risulta quasi
incomprensibile (7).
La continua invenzione
delle parole che non esistevano o
non venivano più usate da
decenni nel croato corrente prima
del 1991, e dunque il continuo
ricorrere a locuzioni che
distinguessero il croato dal serbo e
venissero propinate al
popolo tramite la televisione e
la stampa, è indubbiamente il
particolare più marcante
della politica culturale della
presidenza di Franjo Tudjman. Certo,
la prima
manifestazione d’autarchia
linguistica nella storia dalla
Croazia risale al periodo dello
Stato indipendente croato di
Ante Pavelić, istituito dai governi
delle forze dell’asse
durante la seconda guerra
mondiale. Però sotto Tudjman
l’invenzione di nuove parole
ha raggiunto vette assolute.
Sembrava che tutti i croati
dovessero riandare a scuola per
parlare e scrivere correttamente la
propria lingua. Si è addirittura
seriamente dibattuto se
introdurre l’ortografia etimologica,
ripudiando in tal modo
l’impostazione comune al serbo
e al croato introdotta da Vuk S.
Karadjić. La (taciuta)
parola d’ordine era autarchia
linguistica. L’intento era di
mettere in risalto l’identità
nazionale e culturale croata
esaltandone le differenze da quella
serba. Questo trend
applicato alla lingua ha avuto
a volte approdi talmente assurdi da
produrre una quantità di
barzellette sui neo-croatismi.
4.
Visto che il linguaggio non è
solo un mezzo di trasmissione
della cultura, ma anche un
potente strumento di potere, è
ovvio che in Croazia la
differenziazione linguistica
della lingua croata da quella
serba era ed è adoperata in
particolare nel gergo
statale amministrativo e in
quello militare. Una grande
quantità di parole del
gergo politico è nata dopo il
1990. Si iniziò con termini
direttamente legati
alla nascita del nuovo
sistema politico, che di fatto
in Croazia fu segnato dalla
vittoria elettorale
dell’Hdz. Infatti, una delle
prime parole cambiate fu glasanje
–
che significa
votare,
sostituita
dall’espressione glasovanje;
così il termine glasanje
veniva
relegato al
passato, insieme al sistema
socialista e all’ideale di
fratellanza e unità
di serbi e croati.
Il
passaporto, che da sempre in
Croazia come in Serbia era
chiamato pasoš,
divenne dall’oggi al domani
putovnica,
termine che deriva dalla parola
putovati
– che
significa
viaggiare. L’insegna
d’onorificenza divenne da orden
a odličije.
Altri esempi: il termine
«sviluppo del discorso» passò da
tok
razgovora a tijek
razgovora, il
pubblico difensore da javni
tužilac
divenne
pučki
pravobranitelj;
arrestare mutò da uhapsiti
in
uhititi.
L’ambasciatore da ambasador
divenne
veleposlanik (parola
composta
da vele
=
grande e poslanik
=
emissario), mentre il termine
console,
chissà
perché,
rimase konzul.
La parola sekretar,
segretario, venne
espulsa dal linguaggio
amministrativo e fu sostituita
con l’ex sinonimo slavo tajnik.
Gli spettatori passarono da
gledaoci
a gledatelji
–
gli spettatori della televisione
che propagava la nuova
lingua croata.
L’Europa,
sogno
ambito e per ora irrealizzato
dei croati, che si
materializzava nel loro
immaginario sotto forma di
vetrine dei negozi di Trieste o
Graz, diventò Europa
da
Evropa;
solo che in base alla stessa
logica si dovrebbe dire Kaukaz
per Caucaso
e
non Kavkaz
come
ancora
oggi si denomina sia in croato
sia in serbo quella lontana
catena montuosa tra Europa ed
Asia. Chissà se si trattò di una
dimenticanza, visto che per
i croati l’Oriente non era più
importante, o se
qualcuno si rese conto che
per un croato la parola Kaukaz
è
impronunciabile. In onore
di questa inclinazione
verso l’Occidente, poi, e in
omaggio ai nuovi interessi
geopolitici croati, un cinema
nel centro di Zagabria che da
sempre si chiamava Balkan
divenne Europa.
Contemporaneamente
al
volgersi verso l’Europa della
nuova Croazia, quasi tutte
le cosiddette parole straniere,
cioè quelle d’origine greca,
latina o inglese
furono espulse dai manuali
di scuola e dal linguaggio
politico. Perché? Perché
usate anche dai serbi. Se
prima per indicare l’aereo si
potevano usare a piacimento
le parole avion
o zrakoplov,
da un giorno all’altro il
termine da usare divenne zrakoplov (parola
composta
da ploviti
=
navigare e zrak
=
aria). Allo stesso modo,
se prima era normale usare
come sinonimi aerodrom
o zračna
luka
per
indicare l’aeroporto,
la
seconda d’un tratto divenne la
sola parola permessa. Lo stesso
si cercò di fare con il
termine elicottero che in croato
come in serbo si dice helikopter,
ma per fortuna il nuovo
termine non fu mai accettato in
quanto ritenuto troppo
ridicolo. Allo stesso modo,
il direttore della scuola da direktor
divenne
ravnatelj, e
il compito da fare a casa
da domaća
zadaća
mutò
in
domaći
uradak.
Addirittura alcune località
o aree geografiche cambiarono nome.
Così la regione Banija,
storicamente abitata da un buon
numero di serbi, dopo
l’operazione Lampo del 1995,
che si concluse con la cacciata dei
serbi, cambiò non solo la sua
configurazione etnica, ma in onore
della grande vittoria mutò nome in
Banovina.
Con
la nascita dell’Armata croata,
tutte le denominazioni dei gradi
degli
ufficiali dell’esercito
vennero cambiati. Si fece di
tutto per differenziarli il più
possibile dall’Armata
jugoslava. La caserma da kasarna
divenne
vojarna, i
gradi di maggiore e
capitano, che in croato-serbo
suonano major, kapetan,
vennero sostituiti
da termini come bojnik
e satnik.
L’unica
sfortuna
di questa grandiosa opera di
creazione della nuova
lingua croata fu che alcuni
termini internazionali furono
sostituiti con varie parole
slave coniate ad
hoc.
In tal modo, grazie alla radice
slava di questi neocomposti, il
croato rimaneva sempre
comprensibile per i serbi,
mentre per i croati le lingue
europee diventavano sempre
più lontane. A guardare bene,
più che di un processo di nation-building
o rebuilding
tramite
la
creazione del linguaggio, si
trattò di una semplice
eliminazione di un grande numero
di sinonimi e dunque di un
impoverimento del
linguaggio.
Esistono Stati e popoli che
pur avendo a cuore le proprie
particolari
caratteristiche nazionali e il
proprio Stato, ammettono senza
difficoltà che condividono
con un’altra popolazione la
propria lingua. Anzi, probabilmente,
non arriverebbero mai a
sostenere che parlano due lingue
diverse con una tenacia pari a
quella mostrata da serbi e
croati. Per esempio, un austriaco
difficilmente sosterrà che la
sua lingua, almeno quella
ufficiale e letteraria, sia diversa
da quella parlata dai
tedeschi, e per lo stesso
motivo non penserà che l’uso della
lingua tedesca metta in dubbio
la sua identità nazionale di
austriaco. L’insistenza con la quale
vari linguisti e ideologi degli
Stati sorti sul territorio della ex
Jugoslavia marcano la differenza
tra serbo e croato, casomai
induce a dubitare che davvero esista
una sostanziale differenza tra
i due popoli. Infatti, al cospetto
dello zelo dei puristi della lingua,
e del loro lavoro svolto
tramite le televisioni e i giornali,
bisogna osservare che la
nuova lingua croata non ha
estirpato i dialetti, né sopraffatto
il loro uso. Spesso le
differenze tra i vari dialetti
nella stessa Croazia sono maggiori
di quelle esistenti tra
lo standard della lingua
letteraria croata e quella
serba.
Così,
ad
esempio, il dialetto zagabrese
può essere più comprensibile ad
un belgradese dato che
entrambi i dialetti sono pieni
di cosiddetti germanismi, che
ad uno spalatino, il cui
dialetto è incomprensibile senza
una minima conoscenza
dell’italiano o più
precisamente del dialetto veneto
(8).
Come se non bastasse, anche
se in Croazia non è stata
introdotta l’ortografia
etimologica, è stato permesso a
piacimento, nel pieno stile
dell’assurda applicazione
balcanica del concetto di
democrazia, di utilizzare
per alcune parole anche
l’ortografia etimologica. Così
succede che ad esempio due
fratelli di età diversa, nella
stessa scuola elementare,
studino due ortografie
diverse, con l’unica differenza
che uno ha una maestra un po’
più zelante quanto a
purismo linguistico.
5.
Dopo il 1991 non solo i croati
ma anche i serbi hanno cercato
di reinventare la loro
lingua. D’un tratto, in Serbia
si doveva scrivere solo in
alfabeto cirillico
per onorare l’ortodossia.
Contemporaneamente, in Bosnia
molti si davano da fare
per inventare
un’immaginaria lingua bosniaca.
Ma serbi e croati si capiscono
perfettamente. E quando si
incontrano nel mondo, in
contesti veramente estranei a
tutti e due, ad esempio
nell’ambita Europa, comunicano
l’uno con l’altro senza
problemi. Se gli si chiede
in quale lingua comunichino, con
un po’ di imbarazzo, forse
perché coscienti
dell’assurdità della loro
situazione, rispondono: našim
jezikom
(nella nostra
lingua)
senza specificare meglio qual è
questa «nostra lingua» – la
lingua della comprensione
reciproca.
Se una volta a tenere
insieme serbi, croati, musulmani e
montenegrini era la concezione
della fratellanza e dell’unità
suggellata dall’esistenza di uno
Stato comune, chissà se oggi il
legame non stia nel senso di
smarrimento e confusione
davanti al proprio passato e al
proprio futuro. Quali saranno le
conseguenze dei
separatismi linguistici oggi è
troppo presto per dire, ma se si
giudica in base
all’esperienza storica bisogna
concludere che i popoli dell’ex
Jugoslavia hanno sempre trovato
un linguaggio comune, malgrado le
divisioni e i divergenti
interessi.
Marina
Abramović,
la più famosa artista
contemporanea dell’ex
Jugoslavia, vincitrice
della Biennale di Venezia nel
1997, parlando della sua opera Balkan Baroque
ha
osservato: «Balkan
Baroque
rappresenta
la
ricchezza della mente,
o piuttosto una specie di
irrazionalità, una follia tipica
di un’area geografica
specifica. Credo che
l’ambiente, e soprattutto la
configurazione geografica, sia
estremamente importante per
la formazione della psicologia
collettiva. I Balcani sono
un luogo dove Est e Ovest
si incontrano, dunque un luogo
dove due civiltà
opposte vengono in contatto
e si mescolano causando la
contraddittorietà della nostra
natura». In piena sintonia con
Abramović, il geopolitico
Georges Prévélakis
osserva nel suo libro I
Balcani:
«Per quanto concerne le forze
interne dei Balcani, la
storia dimostra che il
meglio e il peggio sono entrambi
possibili, e che le forze di
convergenza sono importanti
quanto quelle di divergenza.
Così l’elemento
determinante sembra essere
l’ambiente geopolitico. (...)
Nel bene e nel male i popoli
dei Balcani sono capaci di
arrivare agli estremi» (9).
Indubbiamente uno di questi
estremi è la diatriba tra i
serbi e i croati sulla loro
lingua.
NOTE:
1. Il
movimento
illirico aveva il suo punto
d’approdo ideale nell’unità politica
degli slavi del Sud, cioè nella
creazione di uno Stato indipendente
degli slavi. Per rendersi conto non
solo dell’impatto che ha avuto
tale movimento, ma anche di quanto
gli illiristi fossero affezionati
all’idea dell’unità dei
popoli sudslavi, basti
ricordare che l’Accademia delle
scienze e arti, che nasce a Zagabria
nel 1861 sotto la guida del
vescovo cattolico postillirista
Josip Juraj Strossmayer, ottiene il
nome Jugoslavenska
Akademija Zanosti i Umjetnosti
(Accademia jugoslava delle scienze e
arti) e non il nome di Accademia
croata.
2. J.G. HERDER, Idee
per
la filosofia della storia
dell’umanità, trad. di Valerio
Verra, Bari-Roma
1992, Laterza, p. 222.
3. N. MERKER, Il
sangue e la terra. Due secoli di
idee sulla nazione, Roma 2001, Editori
Riuniti, p. 21.
4. Pravopis
srpsko-hravatskoga
jezika. Matica
Srpska
i Matica Hravatska, Novi Sad-Zagreb 1960,
p. 5.
5. In
realtà,
già nel 1967, vari circoli
intellettuali croati, in particolare
quelli radunati intorno
all’Associazione letteraria
croata, protestarono contro
l’ideologia linguistica ufficiale
nella Dichiarazione sullo stato
della lingua croata. La
Dichiarazione fu subito condannata
da tutti gli esponenti politici
della Lega comunista, nonché
ufficialmente respinta dalla Lega
dei comunisti croati nell’aprile del
1967. Ovviamente simili
manifestazioni di nazionalismo
linguistico si ebbero anche nel
«caldo» 1971, l’anno in cui
esplose per la prima volta, dopo il
1945, la questione nazionale croata.
6. Hdz
sta
per Hrvatska demoktratska zajednica
(Comunità democratica croata), il
partito fondato e guidato fino
alla sua morte dal presidente Franjo
Tudjman.
7.
Il titolo del libro di
Franjo Tudjman è Usudbene
posvijesnice, che in una traduzione
approssimativa suonerebbe:
Storie
determinanti
di piccoli paesi.
8. Ad esempio in
dialetto zagabrese dire che «il
cacciavite è in bagno»
suonerebbe «šarafenciger
je
u badecimeru» mentre in spalatino «kazavita
je
u banju».
9. G. PRÉVÉLAKIS,
I
Balcani, Bologna 1997, il
Mulino, p. 159.
TAVOLA
CON ALCUNI ESEMPI DI CAMBIAMENTI
INTRODOTTI NELLA LINGUA CROATA
DOPO IL 1991:
Indice
delle voci:
serbo-croato:
lingua
ufficiale composta da due
standard di ambo valore;
croato:
lo
standard del croato letterale
prima del 1991;
serbo:
lo
standard del serbo letterale
prima del 1991;
neo-croato:
lo
standard della lingua ufficiale
dopo il 1991.
8. prosinca
- decembra, 1954-te
Znanost o jeziku utvrdila je u 19. stoljecu
da je narodni jezik Srba i Hrvata jedan
jezik, pa su stoga neki hrvatski i srpski
filolozi, medju kojima su bili Vuk S.
Karadzic, Ivan Kukuljevic, Djuro Danicic,
Ivan Mazuranic i Dimitrije Demeter, vec 1850
(per la traduzione osservare; ancora non era
formato il Regno dei Serbi, Croati, Sloveni)
sklopili u
Becu knjizevni dogovor kojim su
htjeli jezik srpske i hrvatske knjizevnosti
pribliziti, sloziti i ujediniti. Njihova je
namjera urodila plodom, tako da su u drugoj
polovici 19. stoljeca i u Srba i u Hrvata
pobijedili fonetski pravopisni principi, a
za knjizevni jezik uzet stokavski dijalekt
novih oblika i akcenata.
Ono sto je zapoceto knjizevnim dogovorom u
Becu nastavljeno je sto godina poslije
dogovorom, kojim su na sastanku u
Novom Sadu, doneseni Zakljucci o
hrvatskosrpskom/ srpskohrvatskom jeziku i
pravopisu. Sa hrvatske strane Novosadski
dogovor su na licu mjesta ili naknadno
potpisali: Mirko Bozic, Marin Franicevic,
Josip Hamm, Mate Hraste, Ljudevit Jonke,
Marijan Jurkovic, Jure Kastelan, Zdenko
Skreb, Josip Badalic, Antun Barac, Josip
Barkovic, Dobrisa Cesaric, Vladan Desnica,
Ivan Doncevic, Petar Guberina, Joza Horvat,
Stjepan Ivsic, Vojin Jelic, Slavko Jezic,
Vjekoslav Kaleb, Gustav Krklec, Miroslav
Krleza, Mijo Mirkovic (nome di battaglia
Mate Balota), Tito Strozzi, Tomislav
Tanhofer, Vice Zaninovic, (i drugi
citirani)...
(Il testo
è tratto dalla rivista di Zagabria
"Hrvatska ljevica", numero 2-3/2003,
rubrica Cronologia)
...
sulla lingua tua e mia ...
8 dicembre 1954
La Scienza linguistica nel 19.mo Secolo ha
constatato che la lingua nazionale dei serbi
e dei croati è una unica, perciò alcuni
filologi serbi e croati, fra i quali Vuk
Stefanovic Karadzic, Ivan Kukuljevic, Djuro
Danicic, Ivan Mazuranic e Dimitrije Demeter,
già nel
1850 (ancora non era stato creato
il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni,
n.d.o.) hanno stipulato a Vienna
l’accordo letterario con l’intenzione di
sistematizzare e unificare la lingua
letteraria, avvicinandola alla lingua
popolare. La loro intenzione ha avuto esito
positivo, così che nella seconda metà del
19.mo Secolo, sia dalla parte croata che
quella serba, ha prevalso il principio
ortografico fonetico e per la lingua
letteraria è stato scelto il dialetto
stokavo (*) con le forme e gli accenti
nuovi. Quello che è stato iniziato con
l’accordo letterario a Vienna è continuato 100 anni dopo,
con l’accordo di Novi Sad dove sono
state deliberate regole sulla lingua e sulla
ortografia serbocroata/ croatoserba.
Per la parte croata l’Accordo di Novi Sad è
stato firmato da Mirko Bozic, Marin
Franicevic, Josip Hamm, Mate Hraste,
Ljudevit Jonke, Marijan Jurkovic, Jure
Kastelan, Zdenko Skreb, Josip Badalic, Antun
Barac, Josip Barkovic, Dobrisa Cesaric,
Vladan Desnica, Ivan Doncevic, Petar
Guberina, Joza Horvat, Stjepan Ivsic, Vojin
Jelic, Slavko Jezic, Vjekoslav Kaleb, Gustav
Krklec, Miroslav Krleza, Mijo Mirkovic (nome
di battaglia Mate Balota), Titto Strozzi,
Tomislav Tanhofer, Vice Zaninovic, e altri.
(*) sul dialetto štokavo si veda il
documento Alcune note sulla
necessità di mantenere lo standard
serbocroato. Aggiungiamo
le considerazioni seguenti (a cura di
Ivan per CNJ-onlus): La distinzione tra
le varianti della lingua serbocroata
viene in primo luogo dal pronome
interrogativo-relativo "che, che cosa".
La variante "što" è usata nella
stragrande maggioranza del territorio di
Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e
Montenegro.
Sia i dialetti serbi che quelli croati
si basano sugli stessi elementi di
fonetica, morfologia e sintassi. Tutte
le forme delle parole sono sottoposte a
sette casi grammaticali, mentre per
quanto riguarda il lessico i sinonimi - cioè le varianti
usate con il medesimo significato, che sono comunque meno di
quelle esistenti ad esempio in tutti
dialetti italiani - non costituiscono
altro che l'insieme del patrimonio
linguistico. Dare
maggiore "dignità" linguistica ad un
sinonimo in una repubblica piuttosto in
un'altra non vuol dire parlare "un'altra
lingua"! Ad esempio: usare "u vezi"
oppure "glede" è come usare in
italiano "per quanto concerne" o "per
quanto riguarda". A scuola, per un
compito in classe di
serbocroato/croatoserbo, è sempre valsa
esclusivamente la regola che se si
inizia scrivere usando la parlata
(pronunzia) "ekava" (ad es. fiume=reka) tutto il compito deve
continuare con l'ekavo; e viceversa se
si usa lo "jekavo" (ad es. fiume=rijeka). Stessa regola è sempre stata
fatta valere per i sostantivi, ad
esempio per i mesi: "januar" equivale a
"sijecanj" così come "papà" equivale a
"babbo", ma in letteratura si deve
scegliere se usare l'una oppure l'altra
forma.
PAZZIA: alla
stampa il primo dizionario mai esistito
della "lingua montenegrina" (2016) «
L’AFFAIRE DU DICTIONNAIRE » DÉCHIRE
LE MONTÉNÉGRO (Radio Slobodna
Evropa | Traduit par Chloé Billon |
mercredi 15 juin 2016)
La parution du premier dictionnaire de
la langue monténégrine devait être un
événement scientifique, mais le
scandale l’a emporté. En cause,
quelques définitions outrageantes pour
les Albanais et les Bosniaques du
Monténégro. Certains se demandent
néanmoins si le DPS n’a pas cherché à
entretenir la polémique, pour raviver,
une fois de plus, la carte des
tensions ethniques...
ORIG.: Bunt
zbog rječnika: Albanci su autohtoni,
a ne agresori (maj/svibanj 24,
2016 – Lela Šćepanović)
... Početkom aprila Crnogorska
akademija nauka i umjetnosti (CANU)
objavila je prvi dio Rječnika
crnogorskog narodnog i književnog
jezika, kao "skroman poklon narodu
uoči deset godina nezavisnosti". Na
nešto više od 500 stranica popisano je
više od 12.000 riječi koje počinju
slovima A, B i V zajedno sa
informacijama o njihovom izgovoru,
značenju i upotrebi... La
« guerre des langues » embrase à
nouveau le Monténégro B92 & Vijesti - août
2011 (aussi en
JUGOINFO) "Hrvati,
Srbi,
Bosanci i Crnogorci govore jedan te
isti jezik" Njemačke novine „Frankfurter
Rundschau“ se u svom online izdanju od
utorka, 18. januara [2011], osvrću na
jezike koji su nastali u zemljama
stvorenim nakon raspada bivše
Jugoslavije. (Deutsche
Welle)
Lojalnost
Dejtonskom sporazumu Povodom
knjige „Srpski
jezik u normativnom ogledalu”, koju
su priredili Branislav Brborić, Jovan
Vuksanović i Radojko Gačević, a objavila
„Beogradska knjiga” (Politika,
11.11.2006.)
Nadrealisti:
"Otvoreno o jeziku"
(sketch del 1992 con Nele Karajlic, oggi
membro del gruppo musicale Zabranjeno
Pusenje di Kusturica, sul delirio della
differenziazioni linguistica nell'area
serbocroata)
"Чувајте, чедо моје
мило, језик као земљу. Реч се
може изгубити као град, као
земља, као душа. А шта је
народ, изгуби ли језик, земљу,
душу?... Цареви се смењују,
државе пропадају, а језик и
народ су ти који остају, па ће
тако освојен део земље и
народ, кад тад, да се врате
језичкој матици и своме
матичном народу."
"Conservatela
e curatela come si coltiva
la terra, questa creatura
cara, che è la lingua. La
parola può andare perduta,
come una città che si perde,
come la terra, o l'anima.
Che cosa rappresenta un
popolo, dopo aver perduto la
lingua, la terra e
l'anima?... Gli Zar passano
e arrivano degli altri, gli
stati vanno in rovina, ma la
lingua ed il popolo
sopravvivono. In tal modo,
nonostante venga conquistata
una parte della sua terra
insieme con lui, prima o poi
il popolo ritornerà alla sua
corrente linguistica ed al
suo popolo materno."
(Stefan Nemanja,
primo personaggio storico a
vedersi attribuito il titolo
del re nella Serbia
medioevale; le sue parole,
pronunciate prima della
morte nel lontano 1196,
possono insegnare se siamo
capaci di ascoltare...)
(a cura di DK)
Pravopis
srpskohrvatskog jezika - Matica Srpska
i Matica Hrvatska, 1960
Вук Стефановић
Караџић: „Докле год живи
језик, докле год њим говоримо
и пишемо, прочишћавамо га,
умножавамо и украшавамо, дотле
живи народ”.
Vuk Stefanović
Karadžić: "Finché
è
viva
la lingua, finché la
parliamo e scriviamo, la
purifichiamo, moltiplichiamo
e abbelliamo, è vivo anche
il popolo."
Il
busto di A. Cronia nel Rettorato
dell'Università di Padova