Da: Dieci Febbraio <diecifeb @
diecifebbraio.info>
Oggetto: All’att.ne di ANPI e
ANVRG
Data: 25 luglio 2013 09.48.27
GMT+02.00
A: info @ anpi.it, comitatonazionale
@ anpi.it, anpisegreteria @ libero.it,
ufficiostampa @ anpi.it, camiciarossa @
virgilio.it, annita.garibaldi @ fastwebnet.it
Spett.li
Ass. Naz. Partigiani Italiani (ANPI)
Ass. Naz. Veterani e Reduci Garibaldini
(ANVRG)
Riportiamo in calce
il documento recentemente prodotto dalla
ANVGD (Ass. Naz. Venezia Giulia Dalmazia)
con il quale si richiede “al Presidente
Napolitano, al Presidente del Consiglio
Letta e all’Ufficio Cerimoniale del
Quirinale” di revocare la onorificenza di
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al
Merito della Repubblica Italiana a suo tempo
(1969) conferita al maresciallo TITO, rectius Josip
BROZ, dall’allora presidente Saragat.
L’iniziativa
della ANVGD va respinta e denunciata nella
maniera più energica per i motivi di
merito, di metodo e di opportunità che
andiamo sinteticamente ad esporre nel
seguito.
Riteniamo che le
vostre Associazioni siano le più titolate a
rispondere nella necessaria maniera a questa
operazione di riscrittura revisionista della
Storia, che è motivata da cieco furore
ideologico. Nel porre una questione
apparentemente solo specifica e simbolica,
la ANVGD getta
invece generale discredito sul movimento
antifascista e partigiano più
forte e massiccio che si sia sviluppato in
Europa nel corso della II Guerra Mondiale,
quello jugoslavo, e colpendone il leader
politico e militare infanga l’insieme dei
valori e delle speranze che quel movimento
ha rappresentato. Nello specifico jugoslavo
la ANVGD sceglie di schierarsi dalla parte
dei perdenti, dalla parte dei nazionalismi,
che allora come oggi hanno minato la
convivenza delle genti balcaniche. La ANVGD
insulta così non solo i valori di
Fratellanza e Unità cui la Resistenza
jugoslava si richiamò sempre, sia
testualmente che nella realtà dei fatti, ma
anche proprio lo spirito unitario,
internazionalista e anti-nazionalista che la
Resistenza Europea nel suo complesso ha
inverato.
Le vostre
Associazioni hanno per finalità
istituzionale quella di tutelare le memorie
ed i valori delle Resistenze europee, di
sottolinearne il carattere unitario e di
ribadire le ragioni delle parti che, in quel
conflitto disumano voluto dal Fascismo e dal
Nazismo, si allearono assieme per la
vittoria della libertà e della giustizia
sociale. In particolare per quanto riguarda
l’Italia, è vostro compito
istituzionale-statutario quello di
tramandare la memoria del sacrificio dei
combattenti “garibaldini”, partigiani
italiani in Jugoslavia, che dopo l’8
Settembre a decine di migliaia scelsero di
stare dalla parte giusta, coordinando le
proprie azioni con quelle dell’Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia
guidato da Tito. In proposito ha scritto
opportunamente Sandro Pertini:
« La
nascita del nuovo esercito italiano “inteso
come esercito democratico antifascista e
parte integrante della coalizione
antihitleriana nella seconda guerra
mondiale” deve essere anticipata,
alcuni mesi prima della storica battaglia
per la conquista di Monte Lungo a
Cassino, al 9 ottobre 1943, quando il
Generale Oxilia, Comandante della Divisione
di Fanteria da montagna “Venezia”, forte di
dodicimila uomini, dette ordini alle sue
truppe di attaccare i nazisti, coordinando
le azioni militari con l’esercito popolare
di liberazione della Jugoslavia.
(…) Emerge
l’imponente contributo offerto dagli
italiani alla lotta per la liberazione della
Jugoslavia: per numero, perchè si è parlato
di circa 40mila
italiani coinvolti nella lotta partigiana;
per mezzi, ricordo l’armamento, l’assistenza
tecnica e logistica offerta dalle
unità italiane all’esercito di
liberazione jugoslavo. Con commozione rilevo
sopra a tutto il grande sacrificio di vite
umane compiuto dagli italiani: di 24mila
soldati italiani che l’8 settembre 1943
costituivano gli effettivi delle divisioni
“Venezia” e “Taurinense” furono meno di
3500 i sopravvissuti.
Il contributo
italiano, dunque, alla liberazione della
Jugoslavia si colloca tra i maggiori che le
Nazioni alleate e cobelligeranti fornirono a
quelle forze partigiane e ripete un momento
particolarmente significativo per l’amicizia
e la collaborazione italo-jugoslava(…)
L’avventura fascista aveva interrotto la
fratellanza tra i due popoli che si era
instaurata non soltanto negli anni duri
della prima guerra mondiale, ma nel pieno
del Risorgimento italiano, quando Giuseppe
Mazzini nel 1857 pubblicò le sue “Lettere
slave” e previde con estrema lucidità che il
moto d’indipendenza degli Slavi del Sud
sarebbe stato il più importante, dopo
l’italiano, per l’Europa futura. »
[Introduzione di Sandro Pertini a “Il
contributo italiano alla Resistenza in
Jugoslavia”, Atti
del convegno di studi tenuto a Lucca il 21
giugno 1980.
Istituto Storico Provinciale Lucchese della
Resistenza. Lucca: Maria Pacini Fazzi
Editore, 1981.]
Il carattere
mistificatorio e anti-partigiano della
operazione della ANVGD impone probabilmente
dei passi formali e simmetrici, inclusa
forse la scrittura di una memoria o
contro-istanza da presentare agli stessi
referenti istituzionali e da pubblicizzare
ampiamente. Tale contro-istanza dovrebbe a
nostro avviso evidenziare almeno le
seguenti MOTIVAZIONI:
DI MERITO
Le gravissime accuse
rivolte dal dr. Antonio Ballarin contro la
figura di Tito sono tutte grossolanamente
false.
Non è mai esistito
piano jugoslavo per la “pulizia etnica”
degli italiani, ma viceversa il movimento di
liberazione jugoslavo, così come la
Repubblica federativa che da esso scaturì,
ebbero carattere eminentemente
multinazionale e internazionalista.
Ad attestare questo
è anche la semplice logica dei numeri: nel
caso di Gorizia, cosa abbia a che fare
l’arresto di 650 persone su circa 40.000
abitanti con una ipotetica “pulizia etnica”,
in un contesto in cui tutta l’Europa era
falcidiata da massacri di enormi
proporzioni, è un mistero. La permanenza in
Istria e Dalmazia di decine di migliaia di
italiani dopo la seconda guerra mondiale e
fino ad oggi, con tutte le loro prerogative
culturali ed il pieno godimento dei diritti
politici, sta a dimostrare l’insussistenza
delle velenose accuse di Ballarin.
Il dr. Ballarin
omette ogni riferimento concreto per un
presunto ordine di «eliminazione degli
elementi legati al fascismo e/o dichiaratisi
antititoisti»: in effetti non può indicare
alcun documento, perché non esiste nessun
ordine del genere. Da quale fonte
deriverebbero queste «stime più acceditate»
e in base a quali elementi? La stessa
categoria dei “titoisti” è dal punto di
vista storiografico insussistente fino al
1948, quando con la rottura tra la
Jugoslavia ed il Cominform si determinò
effettivamente uno schieramento, che nulla
però aveva a che fare con le nazionalità, ma
divise invece i comunisti tra tendenze
opposte.
Il suddetto
ipotetico “ordine di eliminazione” non è mai
esistito e peraltro non esiste alcun
elemento che possa indicare Tito quale
ispiratore di simili politiche di sterminio
“etnico” o “politico”. La “presunzione di
colpevolezza” della ANVGD nei confronti di
Tito è una abiezione dal punto di vista
storiografico ed è un puro pregiudizio
ideologicamente connotato.
D’altronde, il 4
luglio 1941 non venne affatto proclamata una
generica mobilitazione, ma il PC jugoslavo
chiamò i popoli jugoslavi all’insurrezione,
da condurre peraltro per gradi e
inizialmente con azioni limitate: fu cioè
l’atto con cui si diede inizio alla
Resistenza antifascista in tutte quelle
terre. Il modo sospettoso ed ingiurioso con
cui il dr. Ballarin vi fa riferimento parla
da solo in merito alle convinzioni ed alle
finalità dell’estensore.
DI METODO
L’istanza del dr.
Ballarin non a caso si sofferma su possibili
trucchi legali che consentano il ritiro
dell’onorificenza. Trucchi legali, perché
una tale eventualità non è contemplata dalla
normativa specifica per un soggetto defunto,
defunto peraltro dopo anni di governo
pacifico caratterizzato da ottimi rapporti
nel difficile contesto internazionale, e
specialmente ottime relazioni di vicinato
con l’Italia. I due paesi rafforzarono
ulteriormente la loro amicizia negli anni
successivi alla attribuzione
dell’onorificenza, risolvendo annose
questioni e dilemmi confinari che avevano
avuto origine ben prima della II G.M. e si
erano protratte ancora negli anni della
Guerra Fredda. Con il Trattato di Osimo nel
1975 Italia e Jugoslavia pervenivano ad
accordi storici con mutuo vantaggio:
l’onorificenza attribuita da Saragat
preludeva a quel clima di collaborazione e
di fratellanza che ad Osimo avrebbe trovato
una sanzione diplomatica. Il ritiro della
onorificenza, legalmente insostenibile,
sarebbe un atto di grave scorrettezza
postuma non motivato da fatti successivi al
1969, ed il tradimento di quei sentimenti e
aspirazioni alla pace che al tempo di
presidenti come Saragat e Pertini si cercò
di realizzare.
DI OPPORTUNITÀ
A partire dal marzo
1945 Tito fu a capo di un governo (il
governo Tito-Subašić)
riconosciuto ufficialmente dagli Alleati e
dunque dal nucleo di quelle che diventeranno
le Nazioni Unite – delle quali la
Jugoslavia, paese vincitore della II G.M.
assieme agli altri, fu co-fondatrice.
Peraltro l’Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia,
come esercito di un governo pienamente
riconosciuto era, almeno a partire dal marzo
1945, uno degli eserciti alleati, come
quelli di Gran Bretagna, USA, URSS…
L’eventuale ritiro
di questa onorificenza a Tito, così come
altri atti simbolici pure ventilati in altre
sedi dagli stessi dirigenti della ANVGD –
quali la cancellazione di tutta la
toponomastica che fa riferimento a Tito -,
fornirebbero dei precedenti per altre azioni
simboliche paradossali e gravi. Diventerebbe
forse lecito, a soggetti caricati da odio
ideologico, porre in questione onori
attribuiti ad altri leader della coalizione
alleata, per eventi della II G.M. che
isolati dal contesto e ingigantiti di
proporzioni e significato finirebbero per
essere trattati alla stessa stregua delle
peggiori nefandezze del nazifascismo.
Pensiamo ad esempio a fatti di guerra gravi
come i bombardamenti angloamericani sulle
nostre città, o gli stupri in Ciociaria che
hanno ispirato note opere artistiche.
L’occorrenza di tali gravi fatti bellici non
ha mai e non potrebbe mai giustificare il
ribaltamento di cause ed effetti in ambito
storiografico, come sembra invece intenzione
del dr. Ballarin nello specifico caso della
figura di Tito.
Per tutte queste
ragioni l’iniziativa della ANVGD va
rigettata con fermezza.
Certi della
vostra attenzione per questa vicenda
infamante, sulla quale è doveroso
esprimersi con chiarezza, ci rimettiamo
alla vostra iniziativa, rimanendo a
disposizione per ogni tipo di aiuto che
dovesse dimostrarsi necessario.
Auspichiamo un vostro riscontro entro la
fine del prossimo mese di settembre;
successivamente, a meno di sviluppi o vostra
diversa indicazione, provvederemo comunque a
pubblicare la presente sul nostro sito www.diecifebbraio.info .
Gorizia, 8 giugno
2013 (in occasione del Convegno
internazionale delle associazioni partigiane
“ La crisi dei valori e il neofascismo in
Europa”)
Redazione
di diecifebbraio.info (www.diecifebbraio.info)
email: diecifeb
@ diecifebbraio.info
fax: (+39) 36 333 6100425
recapito per corrispondenza:
Diecifebbraio.info c/o
KappaVu edizioni, Via Bertiolo 4 – 33100 Udine
Riportiamo
il testo dell’istanza dell’ANVGD, tratto
dal loro sito:
ANVGD
chiede revoca dell’onorificenza a Tito –
24mag13
L’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia ha presentato istanza al
Presidente Napolitano, al Presidente del
Consiglio Letta e all’Ufficio Cerimoniale
del Quirinale per la revoca
dell’onorificenza a suo tempo concessa al
maresciallo Tito, allora presidente della
Jugoslavia. Qui di seguito il testo
integrale della richiesta.
Il sottoscritto Antonio BALLARIN
in qualità di Presidente pro-tempore della
benemerita ASSOCIAZIONE NAZIONALE VENEZIA
GIULIA E DALMAZIA propone alle
Illustrissime Signorie Vostre la presente
Istanza di
Revoca
ex artt. 21 e 22 d.P.R. 31 ottobre
1952 della onorificenza di Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine al Merito della
Repubblica Italiana conferita al
maresciallo TITO, rectius Josip
BROZ, già Presidente della Repubblica
popolare federativa socialista di
Jugoslavia e fondata sulle seguenti
considerazioni in fatto e in diritto.
Premesso che
1) Il 4 luglio 1941 in una
riunione del Comitato Centrale TITO,
nominato Comandante militare dell’Esercito
popolare di liberazione della Jugoslavia,
promosse la mobilitazione generale per la
resistenza. Quindi tra il 1941 e il 1945
fu comandante in capo dell’Armata popolare
di liberazione della Jugoslavia.
2) Con l’avvicinarsi della
sconfitta dei nazifascisti, il 1° maggio
1945, la IV armata di TITO entrò in
Trieste, anticipando gli anglo-americani.
Al contempo le truppe titine entrarono
anche in Gorizia. In un clima di
intimidazione e di violenza
politico-ideologica, fu quindi emanato un
ordine per l’eliminazione degli elementi
legati al fascismo e/o dichiaratisi
antititoisti. Seguirono mesi di
occupazione del territorio nazionale
durante i quali furono perpetrate
macroscopiche violazioni dei diritti umani
in particolare a danno delle comunità
italiane residenti in Venezia Giulia,
Quarnaro e Dalmazia. Le violazioni
continuarono anche dopo la firma ed
entrata in vigore del trattato di pace.
3) Dal 1945 al 1953 Tito accentrò
in sé la totalità del potere decisionale
politico ricoprendo gli incarichi di Primo
ministro nonché ministro degli Affari
esteri della Repubblica popolare
federativa di Jugoslavia. Il 13 gennaio
1953 divenne, quindi, Presidente della
Repubblica popolare federativa socialista
di Jugoslavia. Gli storici considerano
quindi determinante la responsabilità
politica di Tito per tutto il periodo
delle esecuzioni di civili e militari
italiani utilizzando le foibe: atrocità
inenarrabili e indimenticabili che si
verificarono anche dopo la fine della
guerra.
4) Si trattò di una vera e propria
carneficina motivata non solo da ragioni
ideologiche ma anche etniche finalizzata
finalizzate alla eliminazione di chiunque
non accettasse la sua guida carismatica.
Un massacro che portò, secondo le stime
più accreditate, all’atroce morte di oltre
10.000 persone (di cui almeno 4.000 civili
innocenti, molti dei quali donne e
bambini).
5) Per quasi cinquant’anni il
silenzio della storiografia e della classe
politica avvolse la vicenda degli italiani
uccisi nelle foibe istriane, sul Carso e
nel mare Adriatico in tutta l’area
giuliano-dalmata. È una ferita – come
sanno bene le Illustrissime Signorie
Vostre – ancora aperta, lenita, per quanto
possibile, solo a far tempo dal 10
febbraio del 2005 con l’istituzione della
giornata del ricordo per i morti nelle
foibe (la letteratura in argomento è
amplissima, qui ex
multiis si
cita soltanto R. PUPO – R. SPAZZALI, Foibe,
Bruno Mondadori, 2003; G. RUMICI, Gli
infoibati. I nomi, i luoghi, i
testimoni, i documenti,
Mursia, 2002; P. MIELI, La
guerra di Tito contro gli anti-fascisti,
in “Corriere della Sera” del 6 aprile
2010).
6) Nonostante la commissione di
tali atrocità, che non poteva non essere
nota ai nostri vertici istituzionali, in
data 2 ottobre 1969, l’allora Presidente
della Repubblica italiana, Giuseppe
SARAGAT, conferì al maresciallo jugoslavo
TITO rectius Josip
BROZ l’onorificenza di Cavaliere di Gran
Croce dell’Ordine al Merito della
Repubblica Italiana. Onorificenza massima
(decorazione di 1a classe ai sensi del
Decreto del Presidente della Repubblica 30
marzo 2001, n. 173 pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 113 del 17 maggio 2001) del
più alto fra gli ordini al merito della
Repubblica Italiana.
7) Evidentemente, il conferimento
di tale onorificenza va valutato
contestualizzandola al tempo nella quale è
stata conferita. Un momento dove
l’indagine storica non aveva ancora
portato alla luce, in tutta la loro
oggigiorno indiscutibile gravità, i
crimini di cui si era macchiato TITO rectius Josip
BROZ. Un errore, figlio di quel tempo, che
oggi può essere cancellato dal
provvedimento di ritiro che, con la
presente istanza, viene richiesto in nome
di tutte le vittime delle imperdonabili
atrocità commesse sulla base delle
direttive politiche impartite
personalmente dal Cavaliere di Gran Croce
TITO rectius Josip
Broz.
Considerato in diritto che
Illustrissimi Signori Presidente della
Repubblica, Presidente del Consiglio dei
Ministri e gentile Dr.ssa Sapora, lo
scrivente in qualità di Presidente della
ASSOCIAZIONE NAZIONALE VENEZIA GIULIA E
DALMAZIA – quale maggiore rappresentante
sul territorio nazionale degli italiani
fuggiti dall’Istria, da Fiume, dal
Quarnero e dalla Dalmazia al termine della
Seconda guerra mondiale sotto la spinta
della pulizia etnica e politica delle
milizie jugoslave e lo spettro delle foibe
– ritiene doveroso proporre la presente
istanza. Lo scrivente, infatti, non può
non ritenere semplicemente contraddittorio
ma anche indecoroso che lo Stato italiano,
da un lato, riconosca il dramma delle
foibe (consacrato nella giornata del 10
febbraio voluta dal Parlamento nazionale)
e, dall’altro, al contempo annoveri tra i
suoi più illustri insigniti proprio chi
ordinò e i massacri e la pulizia etnica
degli italiani d’Istria e dell’Adriatico
orientale. Una macchia, una barbarie che –
purtroppo – ancora oggi pesa sul passato,
ma anche sul presente e sul futuro di
molti italiani che hanno vissuto
direttamente o indirettamente il dramma di
quegli anni di foibe ed esodo.
Ancora oggi – a più di 60 anni da
quegli eventi – la prima e la seconda
generazione degli Esuli istriani, fiumani
e dalmati in tutta Italia, collaborano e
si confrontano per il riaffiorare di
quella pagina di storia italiana negata
per decenni per motivi di politica
internazionale. Per il perseguimento di
questo scopo vivono e portano avanti ogni
giorno, non senza fatica, una battaglia
per il mantenimento dei valori culturali e
tradizionali di quelle terre a cui sono
stati strappati. Una battaglia, tuttavia,
che appare resa ancora più difficile a
causa dell’infelice decisione – consacrata
il 2 ottobre 1969 – di conferire il titolo
di Cavaliere di Gran Croce decorato di
Gran Cordone dell’Ordine al Merito della
Repubblica Italiana (cioè l’onorificenza
nazionale più elevata prevista dagli
ordinamenti italiani per i titoli di
benemerenza nazionale e internazionale) al
maresciallo jugoslavo TITO rectius Josip
BROZ, allora presidente della Repubblica
popolare socialista federativa di
Jugoslavia, diretto responsabile e
mandante della feroce pulizia etnica
attuata nei confronti dei nostri
connazionali dal 1943.
Stanti tali incontestabili
risultanze storiche sulle quali, ormai,
unanime letteratura storica concorda, pare
allo scrivente di potere asserire – dando
voce alle migliaia di persone che fanno
parte delle comunità rappresentate dalla
mia funzione – che non sussistano dubbi
circa la sussistenza degli estremi che
giustificano e rendono persino doverosa la
revoca dell’onorificenza concessa al
maresciallo jugoslavo TITO rectius Josip
BROZ.
Tali atrocità commesse, tali
nefandezze – ancora oggi impossibili a
dimenticare, oltre che storicamente
impossibili da revocare in dubbio – non
possono e non potranno mai giustificare il
mantenimento dell’onorificenza più alta
del primo degli ordini al merito
nazionali. Alla luce di queste innegabili
risultanze storiche, pertanto, non può che
ritenersi sussistente quella indegnità che
sola può giustificare la revoca
dell’onorificenza conferita. Indegnità
così evidente, così indiscussa e
indiscutibile da rendere la revoca
richiesta non solo opportuna, ma – a
giudizio di chi scrive – persino doverosa
nei confronti delle migliaia di vittime
italiane trucidate senza pietà per volontà
di TITO rectius Josip
BROZ.
Una tale doverosa conclusione,
peraltro, non può essere ostacolata dalla
circostanza della intervenuta morte del
maresciallo TITO rectius Josip
BROZ. Analizzando il procedimento di
revoca disciplinato dagli artt. 21 e 22
d.P.R. 31 ottobre 1952 potrebbe sembrare
che la revoca della onorificenza
presupponga la permanenza in vita del
beneficiario. Si prevede infatti che «il
decreto di revoca, controfirmato dal
Presidente del Consiglio, sarà notificato
all’interessato a mezzo di ufficiale
giudiziario con l’intimazione di cessare
di far uso della distinzione e di
fregiarsi della relativa insegna, con
diffida che, in caso di contravvenzione,
incorrerà nelle pene sancite dalle leggi
penali». Evidentemente, applicando
siffatto dettato normativo al caso di
specie due sono le considerazioni che si
possono esprimere: anzitutto, la notifica
e il relativo ammonimento può essere
rivolto comunque agli attuali interessati
(nel caso di specie i discendenti diretti
viventi del maresciallo TITO). E, in
effetti, il concetto di “interessato” non
può essere riferito soltanto al soggetto
decorato: evidentemente se la norma avesse
voluto proporre una tale restrizione
avrebbe fatto riferimento al concetto di
«soggetto decorato» e non al semplice
«interessato».
A ogni buon conto, come evidente,
un tale ammonimento può essere – a ragione
– indirizzato anche ai discendenti viventi
del maresciallo TITO, in quanto comunque
beneficiari – sebbene “indirettamente”
quali custodi privati e pubblici della
memoria dell’agnate – dell’alta,
immeritata, onorificenza attribuita al
loro predecessore. A quanto sopra
asserito, peraltro, non osta nemmeno
l’impossibilità – o quanto meno la
“difficoltà” – di applicare ai discendenti
«pene sancite dalle leggi penali» per il
caso di illegittimo uso dell’onorificenza.
Parimenti non ostativa appare la
previsione secondo cui il Cancelliere
comunica all’interessato la proposta di
revoca e gli contesta i fatti su cui essa
si fonda, prefiggendogli un termine per
presentare per iscritto le sue difese.
Decorso tale termine, il Cancelliere
sottopone gli atti al Consiglio
dell’Ordine per il prescritto parere.
Infatti, per un verso, tale forma
partecipativa non può considerarsi
ostativa al perfezionamento del
procedimento di revoca. Se così fosse la
mancata volontaria presentazione di difese
per iscritto da parte del decorato
renderebbe impossibile adottare il
provvedimento di revoca. Evidentemente
così non è, e non può essere.
Per altro verso – come sopra
enunciato – la norma fa riferimento al
mero «interessato» (e quindi per converso
ed esteso anche ai discendenti del
decorato), e non al «solo decorato». Ciò
comporta, all’evidenza, che la norma
assolutamente non sia di ostacolo alla
revoca di un’onorificenza attribuita a un
individuo successivamente deceduto, posto
che interessati – ai quali attribuire la
facoltà di proporre difese per iscritto –
siano qualificabili anche i discendenti
diretti viventi dell’insignito in quanto,
comunque, possono fregiarsi della memoria
pubblica e privata dell’alta onorificenza
attribuita al tristemente noto agnato.
Tanto premesso, la forma di partecipazione
prescritta dalla norma giuridica –
disciplinante il procedimento di revoca
dell’onorificenza – verrebbe a ogni modo
garantita attribuendo la possibilità di
avanzare difese per iscritto agli odierni
interessati, i discendenti diretti a oggi
in vita del maresciallo TITO rectius Josip
BROZ.
Tutto ciò premesso, il
sottoscritto Antonio BALLARIN, Presidente
pro-tempore dell’ASSOCIAZIONE NAZIONALE
VENEZIA GIULIA E DALMAZIA, porge formale
istanza
affinché le Illustrissime
Eccellenze Vostre vogliano accoglierla
revocando con apposito provvedimento
l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce
dell’Ordine al Merito della Repubblica
Italiana conferita a TITO rectius Josip
Broz con decreto del 2 ottobre 1969.
Con osservanza.
Roma, 20 maggio 2013.
dr. Antonio Ballarin
A sinistra: Un libello di propaganda
anticomunista, diffuso in Italia
nell'immediato dopoguerra
Al centro: manifesto segnaletico
fascista per la cattura del partigiano
Josip Broz (detto Tito)
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