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da La Gazzetta di Parma del
5/4/2013:
con il pretesto di muri imbrattati da scritte
anonime, tale Chantal Fantuzzi esplode in
insulti e bugie contro il movimento partigiano
jugoslavo guidato da Josip Broz Tito
![GazzettaParma050413.jpg](GazzettaParma050413.jpg)
da La Gazzetta di Parma del 9/4/2013:
il signor Aminto Gennaroli rincara la dose
inventando "oltre diecimila martiri,
vigliaccamente torturati e trucidati dai
comunisti di Tito"
![GazzettaParma090413.jpg](GazzettaParma090413.jpg)
Il Circolo Geymonat del PRC (Quartiere
Montanara) risponde con un opportuno
comunicato stampa alle esagerazioni e alle
diffamazioni, del tutto fuori tema, pubblicate
nello spazio Lettere della Gazzetta
(per contatti: geymonat.prcparma @
libero.it):
Viva Tito - Partigiano
Si avvicina il 25 aprile e puntuali come le
rondini a primavera si rifanno, vivi i
“revisionisti storici” di casa nostra. Con il
solito e ormai trito pretesto partono in
quarta sparlando di Tito, di foibe e di
Comunismo. A lor signori e signorine ma
soprattutto a tutti quelli che si sono
imbattuti nelle loro prose gentilmente
pubblicate a distanza di pochi giorni l’una
dall’altra nella pagina delle lettere sulla
Gazzetta di Parma vorremmo (pacatamente e
democraticamente) ricordare alcuni dati.
Morti delle foibe, nel settembre-ottobre ’43 e
nel maggio ’45, furono alcune centinaia di
italiani (migliaia aggiungendo dispersi e
fucilati in guerra, deportati e morti in campi
di concentramento jugoslavi, ecc.) in gran
parte militari, capi fascisti, dirigenti e
funzionari dell’amministrazione italiana
occupante la Jugoslavia, collaborazionisti.
Morti per atti di giustizia sommaria, vendette
ed eccessi, da parte di partigiani jugoslavi,
derivanti dall’odio popolare e dalla rivolta
nei confronti dell’Italia fascista.
Considerare questi morti indistintamente,
accomunarli tutti insieme, non rende giustizia
a quella parte di loro che furono vittime
innocenti. Vittime, non martiri. La stessa
legge statale del 2004 istitutiva del “giorno
del ricordo delle vittime delle foibe” non usa
mai la parola “martiri”.
Violenza di proporzioni di gran lunga
superiori, sistematica e pianificata, e
precedente, è stata quella del fascismo a
partire dal 1920. Azioni delle squadracce
contro centri culturali, sedi sindacali,
cooperative agricole, giornali operai,
politici e cittadini di “razza slava”, poi,
nel ventennio, la chiusura delle scuole
slovene e croate, il cambiamento della lingua
e dei nomi, l’italianizzazione forzata,
infine, nell’aprile del ’41, l’aggressione
militare, l’invasione della Jugoslavia da
parte dell’esercito del re e di Mussolini,
pochi giorni dopo quella da parte della
Germania nazista. L’Italia si annesse
direttamente alcuni territori (come Lubiana e
parte della Slovenia), altri tenne sotto
controllo, in condizioni di occupazione
particolarmente dure e crudeli, non meno di
quelle naziste. Distruzione d’interi villaggi
sloveni e croati, dati alle fiamme, massacro
di decine di migliaia di civili, campi di
concentramento. Di qui la rivolta contro
l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del
movimento partigiano delle formazioni
repubblicane e comuniste guidate da Tito, la
grande lotta antifascista e antinazista nei
Balcani.
Enorme è stato il tributo jugoslavo alla
guerra contro il nazifascismo: su una
popolazione di 18 milioni di abitanti
dell’intero Paese, furono al comando di Tito
300.000 combattenti alla fine del ’43 e
800.000 al momento finale della liberazione,
1.700.000 furono i morti in totale, sul campo
350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti
e dispersi. Da 400.000 a 800.000, in altre
parole da 34 a 60 divisioni, furono i militari
tedeschi e italiani tenuti impegnati nella
lotta, con rilevanti perdite inflitte ai
nazifascisti. Una lotta partigiana su vasta
scala, che paralizzò l’avversario e passò
progressivamente all’offensiva, un’autentica
guerra, condotta da quello che divenne un vero
e proprio esercito popolare e che fece di Tito
più di un capo partigiano, un belligerante
vero e proprio, riconosciuto e considerato a
livello internazionale.
La Resistenza della Jugoslavia è stata di
primaria grandezza in Europa e da
quell’esperienza la Jugoslavia è uscita come
il paese più provato e al tempo stesso più
trasformato. La Resistenza jugoslava ancor più
di altre è stata più di una guerriglia per la
liberazione del proprio territorio, è stata
empito universale di una nuova società, ansia
di superamento delle barriere nazionali,
anelito di pace, libertà e giustizia sociale,
da parte di tanti uomini e tante donne del
secolo scorso.
Ai partigiani jugoslavi si unirono, l’indomani
dell’8 settembre ’43, quarantamila soldati
italiani, la metà dei quali diedero la vita in
quell’epica lotta nei Balcani; essi, col loro
sacrificio, riscattarono l’Italia dall’onta in
cui il fascismo l’aveva gettata. A questi
italiani devono andare il ricordo e la
riconoscenza della Repubblica democratica nata
dalla Resistenza.
Ringraziamo il Comitato Antifascista e per la
Memoria Storica che ci ha permesso di
utilizzare interi passaggi di loro vecchi
comunicati stampa a riprova di quello che si
diceva.
Il 25 aprile saremo in piazza con le nostre
bandiere rosse e con gli striscioni che
ricordano i due Presidenti Partigiani, Sandro
Pertini e Josip Broz Tito.
10 aprile 2013
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