Flashback
"Il rovescio
internazionale" fu l'ottimo titolo
di un prezioso instant book
edito da Odradek nel giugno 1999.
Altrettanto azzeccato il sottotitolo: "Vademecum
per la prossima guerra". Era un
volumetto di scarso ingombro fisico ma di
enorme peso specifico intellettuale,
costruito sull'accostamento comparativo di
contributi diversi, i quali tutti –
partendo da competenze e interessi
tematici variegati, pur non
necessariamente condivisibili in toto
quando presi singolarmente – concorrevano
a rappresentare un quadro tanto chiaro
quanto fosco (1) della fase. "Questa
[iniziata il 24 marzo di quell'anno contro
la Rep. Fed. di Jugoslavia] è una
GUERRA e va chiamata con questo nome.
Non esiste nessun altro nome che possa
sostituire la sospensione della
politica e del diritto...".
Quelle pagine della Introduzione di
Claudio Del Bello cortocircuitavano le
dichiarazioni di note personalità... ad
esempio: "Sappiamo tutti che l'ONU
(...) non ha espressamente autorizzato
un intervento armato in Kosovo. È anche
a tutti nota la ragione per cui ciò non
avviene: la ferma opposizione dei paesi
con diritto di veto nel Consiglio
di sicurezza. Come è noto, l'Italia si
batte da anni per una riforma del
Consiglio di sicurezza che lo renda più
democratico e rappresentativo, ponendo
le premesse per un superamento
del diritto di veto...".
(2)
L'Introduzione a "Il
rovescio internazionale",
distillando i contenuti dell'intera
pubblicazione, li potenziava, disvelando
ulteriori drammatici risvolti:
Quali archivi conterranno
l'innominabile di questa guerra?
La NATO ha archivi? E, soprattutto, chi
disporrà delle chiavi di accesso? A
quale storico le consegneranno?
Esisteranno più gli storici? E quali
saranno gli istituti preposti alla loro
formazione? (...) Ci disponiamo allora a
rilevare gli elementi più cospicui,
risultato di una sorta di bradisismo
semantico, che hanno funzionato da
detonatore nelle coscienze. Una
catastrofica e repentina inversione
figura/sfondo. (...) Dopotutto la guerra
non è che una parola. O innanzitutto.
(...) Tema di un gioco linguistico
collettivo. Un gioco elusivo o
consolatorio. Di qui la valanga di
contraddizioni in termini, di ossimori
('contingente necessità'), metafore
('varco aperto nel sacro recinto della
sovranità nazionale'), eufemismi
(soprattutto: 'danni collaterali'),
equilibrismi lirici ('scommessa
arbitraria sulla legittimità futura''),
truismi, fino alle tautologie alla
D'Alema ('la guerra è la guerra', cioè,
'gli affari sono affari') (...) Con la
sovranità muoiono anche i diritti di
cittadinanza, quell'insieme di
acquisizioni conquistate con secoli di
lotte operaie e non. Vengono sostituiti
dai diritti umani. Un bel passo
indietro, non c'è che dire.
Capitalisticamente parlando, questi
ultimi hanno il vantaggio di essere
astorici, astratti, ma soprattutto gratuiti,
nel senso che il loro rispetto non
prevede voci di bilancio nella spesa
pubblica.
Diritto, adieu
Scriviamo oggi, più di
quindici anni dopo, quando da quel "varco
aperto" sono oramai scappati tutti i buoi.
La fase storica
post-Ottantanove, di cui la guerra del
1999 è stata il punto topico, si è
caratterizzata per la inversione della
tendenza, che si riteneva o si sperava
fosse via via consolidata durante la
Guerra Fredda, alla composizione pacifica
delle controversie ("pace") ed alla
regolazione normativa condivisa dei
rapporti tra gli Stati ("diritto
internazionale"). I Balcani, che più di
ogni altra area dell'Europa sono trattati
come "territorio di conquista" dalle
grandi potenze, hanno rappresentato da
subito (1991) lo spazio di sperimentazione
di pratiche eversive inedite. Laggiù,
entrambi i pilastri del precedente ordine
internazionale sono stati
fatti saltare in aria con la potenza
perforante delle bombe all'uranio
impoverito: alla pace è stata preferita la
guerra; al diritto internazionale è stata
sostituita la messa in scena di
pratiche pseudo-giudiziarie, ad hoc,
estemporanee e fittizie, espressione della
protervia dei vincitori contro i vinti.
Il caso della violazione
flagrante e reiterata del diritto
internazionale, e della sua sostanziale
demolizione nei Balcani, merita perciò
studi accurati. Oramai la casistica è
assai vasta ed esiste una ampia mole di
documentazione che andrebbe passata al
vaglio. In questa sede, per limitazione di
competenza e di spazio a disposizione, ci
limitiamo a fornire solo alcuni
aggiornamenti, indicando nuovi spunti
di riflessione e di analisi per un quadro
di devastazione che è già avvertito da
molti.
La notizia più recente
Un certo risalto sui
mass-media ha avuto la Sentenza della
Corte Internazionale di Giustizia (CIG)
dell'Aja di inizio febbraio 2015. Quella
Corte, in merito alle accuse reciproche di
genocidio della Croazia e Serbia per la
guerra civile che ha infuriato sul
territorio delle Krajine e della Slavonia
occidentale nel periodo 1991–1995, ha
preferito rigettare entrambe le istanze
per non scontentare nessuno. A nostro
avviso nessuna delle due accuse era
calzante, essendo altri i soggetti di
reato, e l'esito del procedimento forse
non poteva essere diverso, data la
simmetria delle pressioni in campo;
purtuttavia è questo l'ennesimo segnale di
una perfetta assenza di funzione della
CIG. Si trattava infatti comunque di
deliberare su fatti innegabilmente gravi,
iniziati con la illegittima secessione
croata, cui fecero seguito i criminali
riconoscimenti internazionali;
riconoscimenti che invece non furono
accordati alle realtà politiche costituite
dai Serbi di Croazia come poi di Bosnia,
spregiatamente e riduttivamente definite
"autoproclamate" dai politici e sui media.
Ha fatto notare il professor Aldo
Bernardini, ordinario di Diritto
internazionale ed ex Rettore
dell'Università di Teramo (3):
Non esiste alcun principio
generale per cui le nuove entità
[Slovenia, Croazia] avessero il diritto
alle vecchie frontiere in quelle
dello Stato estinto, perchè esse
esistevano soltanto
nella precedente Costituzione.
Il nuovo Stato "indipendente"
non nasce immediatamente ma si va
formando. Si tratta di un processo
costituente. Siccome non esiste uno
Stato costituito, i popoli che
vogliono rimanere nel vecchio Stato, o
diventare autonomi, ne hanno il
pieno diritto; essi lo possono
realizzare. (...) Cosi la
Krajina e la
Repubblica Srpska (di Bosnia)
avevano lo stesso diritto, ma sono
state costrette a rimanere nella
formazione dei nuovi Stati, malgrado le
loro frontiere amministrative fossero
definite nella Costituzione dello
Stato al quale appartenevano, la
Jugoslavia. Così nel caso della
Jugoslavia abbiamo una trasgressione
duplice del
diritto internazionale.
La trasgressione, in Croazia,
è culminata con le operazioni militari
"Lampo" e "Tempesta", ovverosia con la
vera e propria pulizia etnica della
popolazione serba autoctona.
Quest'ultima sentenza della
CIG, alla quale non potranno essere
presentati ricorsi, fa seguito ad altre
"dimostrazioni di impotenza", come il
nulla di fatto nel caso "Bosnia contro
Serbia" (2007) e soprattutto lo
scandaloso rigetto della istanza
presentata dalla Serbia contro i paesi
della NATO per la aggressione del 1999:
Già il 29 aprile
1999, a bombardamenti ancora in
corso, la Repubblica Federale di
Jugoslavia aveva presentato un
ricorso alla CIG contro i membri
della NATO partecipanti alle
operazioni militari, accusandoli di
aver violato il diritto
internazionale coll'impiego
illegittimo della forza e chiedendo,
come misura provvisoria, la
cessazione immediata dei bombardamenti.
I giudici dell'Aja furono in grado
di cavarsela assai elegantemente sul
rito, visto che la Jugoslavia aveva
sì riconosciuto la
giurisdizione obbligatoria della
Corte appena tre giorni prima del
ricorso (il 26 aprile 1999) ma
oramai quando i fatti contro cui si
reagiva erano già iniziati da un
mese. (...) Tuttavia la Corte non
si sottrasse da alcune considerazioni di
merito (...) osservò, con un
trasparente riferimento all'azione NATO,
che «under present circumstances
such use [cioè l'uso della forza] raises
very serious issues of
international law». (...) Gli è che
le diplomazie degli Stati paiono
tornate ad un Ottocento unilateralista
che le induce a rifiutare di
assoggettarsi allo scrutinio di un
organo
giurisdizionale internazionale per
dimostrare la legittimità di un atto di
guerra... (4)
Il Kosovo e la missione
EULEX
Il Kosovo è una regione
strappata ad uno Stato sovrano con la
violenza di una guerra di aggressione di
paesi terzi, che è stato trasformato in
protettorato a tutti gli effetti, pur con
la maschera di sovranità conferita da una
illegittima dichiarazione di
indipendenza (17 febbraio 2008) che
nemmeno la totalità degli Stati della UE
ha riconosciuto. Secondo l'esperto di
diritto internazionale Enrico Milano, che
alle questioni di legittimità del caso
kosovaro ha dedicato articoli scientifici
ed un intero libro (Milano 2013,
dalle cui Conclusioni citiamo),
la vicenda del Kosovo
a partire dal 1998 ha visto settori
influenti della
comunità internazionale aggirare i
vincoli giuridici costituiti da principi
tradizionali del diritto
internazionale generale, come quelli di
non-intervento e di rispetto della
sovranità degli Stati, per mettere in
moto un processo graduale, ma
inarrestabile, di separazione della
provincia jugoslava, prima dalla RFJ,
e poi dalla Serbia. La
stessa CIG si è inserita in tale
processo con un
parere apparentemente nitido e
lineare, ma che, all’osservatore più
attento, non può che essere
qualificato come un’abile argomentazione
di “aggiramento” e
evasione dai problemi giuridici
sostanziali che il fenomeno della
secessione pone per il diritto
internazionale. (...) Il fondamento
e la qualità giuridica di tali strumenti
[di State-building] sono stati
caratterizzati dall’opacità, dalla
debolezza di fondo e dal preoccupante
scollamento tra realtà effettiva e
dato formale
(...) Anche grazie alla
retorica “tecnocratica”, assistiamo ad
un processo cadenzato di cessione
territoriale del nord del Kosovo, da
parte della Serbia nei
confronti delle autorità di
Pristina, in cui il requisito
procedurale della volontà popolare
a sostegno della cessione territoriale
stessa, a nostro modo di
vedere parte del diritto
internazionale contemporaneo, è stato
palesemente ignorato e, con tutta
probabilità, continuerà ad esserlo (...)
Il parere della CIG, sancendo
l’irrilevanza del
diritto internazionale rispetto
alla dichiarazione di indipendenza del
2008, ha ulteriormente rafforzato
le ragioni delle tesi “realiste”.
(...) In ultima analisi, e non
senza un certo qual disagio
intellettuale, dobbiamo
rilevare come il caso oggetto del
presente studio mostri la refrattarietà
di un diritto così intimamente
legato alle mutevoli vicende politiche,
come
il diritto internazionale, a
piegarsi ai paradigmi
teorico-concettuali più rigorosi
e sofisticati, soprattutto quando
si tratti di incidere e disciplinare
ambiti di relazione della vita
della comunità internazionale, come
quello relativo alla formazione
degli Stati, in cui gli Stati stessi
preferiscono mantenere
un’ampia libertà di azione.
Citiamo ancora Aldo
Bernardini (ibidem):
Nel caso del Kosovo e
Metohija si è arrivati a criteri assurdi
ed illegali. Il Kosovo è parte integrale
di uno Stato, della Serbia. Nel seno
della quale aveva un'autonomia
interna e non c'era nessuna
discriminazione verso i cittadini. Si è
venuti ad una rivolta interna sostenuta
e finanziata dall'estero. Non aveva
nessun diritto alla secessione, questo
lo ammette anche Antonio Cassese,
professore di Giurisprudenza e
già presidente del Tribunale
dell'Aja, che sicuramente non è
orientato in senso pro serbo. (...) Il
Kosovo non è uno Stato reale
indipendente. Si tratta di uno Stato
mafioso, di criminali. D'altronde, il
Kosovo, chissà per quanto tempo
ancora, rimarrà sotto l'amministrazione
internazionale. Perciò esso è una
finzione, l'invenzione di qualcuno che
va in favore alle forze separatiste
interne e di quelle esterne. Ora una
missione delle Nazioni Unite viene
sostituita da una europea, l'EULEX - che
non ha nessuna base legale. Sul
Kosovo ne abbiamo talmente tante di
violazioni del diritto internazionale
che non saprei più come definirle!
Era d'altronde scontato che
per mettere sotto tutela occidentale,
anche dal punto di vista
giuridico-amministrativo, una simile
creazione neo-coloniale, fosse necessario
istituire organismi di controllo
illegittimi e profondamente corrotti. Già
nel 2008 i magistrati Luca M. Baiada e
Domenico Gallo, avanzando giuste questioni
di principio, ponevano un Quesito al
Consiglio Superiore della Magistratura
(CSM) ed al Consiglio della Magistratura
Militare (CMM) sulla legalità della
missione EULEX e sulla opportunità di
inviare magistrati italiani. Essi
scrivevano (5):
Il 4.2.2008 il Consiglio
dell’Unione Europea ha anche istituito
la European Union Rule of Law
Mission in Kosovo, EULEX Kosovo
(...) Con la promessa di assistenza
(...) i provvedimenti dell’UE hanno
oggettivamente incoraggiato il distacco
del Kosovo. (...) La missione (...) non
è stata concertata con la Russia, ed
anzi gravi frizioni proprio con la
Russia sono seguite alla
dichiarazione di indipendenza del Kosovo
ed al suo riconoscimento da parte di
alcuni Stati europei. Il Consiglio di
sicurezza dell’Onu non è stato coinvolto
prima della dichiarazione di
indipendenza del Kosovo, e l’integrità
territoriale della Serbia ha subìto
un’offesa, con compromissione del
diritto internazionale e delle
relazioni internazionali.
(...) Alla dichiarazione
unilaterale di indipendenza sono seguiti
riconoscimenti di alcuni Stati, fra cui
quello dell’Italia, ma non di altri, ed
è stata esasperata una
conflittualità locale già
esistente, creando contrasti
internazionali più vasti. La creazione o
l’esasperazione di conflitti è ormai da
anni il percorso con cui si giunge alla
guerra, anche in Europa. Peace-keeping, peace-enforcing, peace-making,
unilateralismo
interventista (un caso di scambio
fra sostantivo e aggettivo), ingerenza
umanitaria, guerra
umanitaria, intervento
umanitario, guerra preventiva, guerra
chirurgica, guerra al terrorismo,
sono tra le voci più frequenti della
recente tassonomia bellica. E purtroppo
la dichiarazione unilaterale di
indipendenza del Kosovo, come riportato
da tutti gli organi d’informazione, è
stata seguita da violenze, incendi,
sommosse, anche con perdite di vite
umane, e da prese di posizione –
fra cui quelle di potenze come la Russia
e la Cina – i cui toni perplessi o
addirittura ostili inducono alla massima
preoccupazione. (...) Appare utile
che il CSM ed il CMM possano
riconsiderare la richiesta formulata
dal Ministero per gli affari
esteri e, tenuto conto degli altri
elementi qui indicati, approfondire il
tema valutando se sia compatibile con la
legalità internazionale la
partecipazione di
magistrati italiani alla missione
in Kosovo.
Nessuna riconsiderazione è
invece venuta dal Governo italiano e la
posizione pilatesca di CSM e CMM in merito
al Quesito ha consentito che anche
l'Italia fornisse suoi magistrati per la
missione EULEX.
Uno di questi – Francesco
Florit – è adesso direttamente coinvolto
nel grave scandalo che ha colpito la EULEX
pochi mesi fa. Uno scandalo che non
sorprende, data la natura illegittima e
ipocrita della missione: il magistrato
inquirente Maria Bamieh, avvocato di
nazionalità inglese, ha avviato una
indagine su Florit e altri suoi
stessi colleghi, sospettati di corruzione
e di avere insabbiato inchieste importanti
perché andavano a toccare quel grumo di
potere mafioso e terrorista, derivato
dalla alleanza tra NATO e UCK, che vige da
16 anni in Kosovo. Il dito è stato puntato
anche direttamente contro il procuratore
capo di EULEX, Jaroslava Novotna, che come
Florit avrebbe intascato tangenti per
insabbiare almeno tre processi giudiziari
riguardanti Fatmir Limaj (6), Ilir Tolaj
(segretario del "Ministero della Salute"
kosovaro) e persone coinvolte nel caso di
una bomba esplosa in un bar di Pristina.
Florit ha ammesso di aver avuto un
incontro con alcuni intermediari che gli
avrebbero offerto circa 300.000 euro in
cambio dell’assoluzione di Tolaj, ma ha
negato di aver accettato la tangente.
In ogni caso, la Bamieh non ha
potuto portare fino in fondo la sua azione
poiché è stata impedita a tutti i livelli:
addirittura, attualmente i
sospettati sono rimasti inquirenti e
giudici, mentre lei, dopo aver denunciato
pubblicamente queste circostanze, è stata
allontanata dall’incarico e da EULEX. La
denuncia della Bamieh è allora
ulteriormente salita di tono: nella sua
incredibile intervista a Russia Today (7),
l'avvocato, con il volto gonfio e la voce
bassa di chi è appare sotto l'effetto di
psicofarmaci, denuncia anche pratiche di mobbing sul
posto di lavoro.
Le cose in realtà stanno ben
peggio di quanto rivelato da Bamieh. Altri
osservatori e testimoni delle azioni
dell'EULEX in Kosovo da anni rivelano casi
di mala giustizia, corruzione e mafia
in quel contesto, ma vengono
regolarmente ignorati. Andrea Lorenzo
Capussela ha posto una serie di domande
alla Bamieh (8), chiedendole perché lei
stessa non abbia dato seguito a
denunce da lui presentate in
passato. In una conferenza stampa
convocata a Pristina, il capo della
missione Gabriele Meucci ha
affermato che una prima indagine era
stata già aperta nel 2013.
L'Alto Rappresentante per la
PESC, Federica Mogherini, il 10
novembre 2014 ha nominato un esperto
legale esterno alla missione incaricato
della conduzione di ulteriori indagini:
si tratta di Jean Paul Jacqué,
professore di legge con oltre 40 anni di
esperienza e direttore dei servizi legali
del segretariato generale del Consiglio
dell’UE. Entro quattro mesi Jacqué
dovrebbe riferire alla Mogherini i
risultati del suo lavoro e fornire
eventuali raccomandazioni. “Chiarire
queste accuse è nel nostro interesse,
sia nel mio personale che in quello
del nuovo capo della Missione, con cui
ho discusso questi passi”, ha
sottolineato l’Alto Rappresentante,
secondo cui “la credibilità della
missione merita di essere pienamente
tutelata”. (9) Quale
credibilità? Ennio Remondino ha fatto
notare (10) che questo caso "seppellisce
comunque la credibilità residua"
dell'EULEX. Per una missione che è
costata finora circa 750 milioni di euro
di fondi comunitari, non c'è male.
Altri aspetti dello stato
di illegalità in Kosovo
Già negli anni scorsi
era stata lamentata l'impunità de
facto garantita ai banditi veterani
dell'UCK, assurti a posizioni di potere
nel Kosovo colonizzato, anche per
colpe EULEX oltreché per le colpe
dello scandaloso Tribunale ad hoc "per
i crimini commessi sul territorio della ex
Jugoslavia" (TPIJ) avente sede anch'esso
all'Aja. Vale la pena richiamare
qualche altro caso concreto:
– Per la strage dell'autobus
di linea Nis Express, avvenuta a Livadice
presso Podujevo il 16 febbraio 2001, che
causò 12 morti e 43 feriti, anche la
trasmissione del giornalista RAI Iacona "La
guerra infinita" aveva evidenziato
la responsabilità di Fljorim Ejupi.
Il criminale, presto catturato, fu
trasferito nella base statunitense di Camp
Bondsteel, e da lì nella primavera
2002... lasciato scappare. La EULEX nel
marzo 2009 lo ha proclamato innocente.
(11)
– Successivamente Ejupi
viene coinvolto anche nell'assassinio
di Zahir Zemaj, un oppositore politico di
Rajmush Haradinaj. Quest'ultimo è uno
storico leader dell'UCK, responsabile di
gravi crimini già durante la guerra del
1999 e perciò... prosciolto dal
"Tribunale ad hoc" dell'Aja. (12)
– C'è poi la patata bollente
del traffico di organi gestito dai
veterani dell'UCK, con responsabilità
dirette da parte di Hashim Thaci detto "il
serpente", un tempo capobanda ricercato
dall'Interpol e poi assurto a "premier"
kosovaro grazie all'intervento della NATO.
Di tale traffico parlò persino Carla Del
Ponte in un suo libro... ma solo dopo
avere abbandonato il suo incarico di
accusatrice al TPIJ (parlarne prima era
sconveniente?). In merito, dapprima il
procuratore svizzero Dick Marty ha
sottoposto al Consiglio d'Europa i
risultati di una investigazione
preliminare (2011), poi l'Unione Europea
ha incaricato Clint Williamson di
coordinare una Special
investigative task force (SITF)
che ha fatto luce ancor più in generale
sui crimini commessi ai danni di serbi e
rom. Il rapporto di quest'ultimo è del
2014; i responsabili individuati, a
partire da Haradinaj e Thaci,
sono perfettamente impuniti.
La Serbia e la Russia hanno
denunciato a più riprese che strutture
come l'EULEX e il "Tribunale ad hoc"
dell'Aja hanno sostanzialmente garantito
tale impunità per i crimini sul traffico
di organi, e che la NATO ha di fatto
ostacolato le indagini. (13) Il punto
è: di fronte a una tale inefficacia degli
organismi para-legali creati ad hoc gli
scorsi anni, a cosa potrebbe oramai
servire l'istituzione, annunciata per il
2015, di uno specifico, ulteriore
"Tribunale speciale" per i crimini di
guerra commessi dall’UCK?
D'altronde, i risvolti di
illegalità nella vicenda della secessione
kosovara non riguardano solamente la
guerra o i crimini brutali commessi contro
la popolazione civile. Molti altri aspetti
andrebbero investigati, a proposito di
questioni di cittadinanza e patrimoniali,
che non sono meno gravi. E' bennota ad
esempio la vandalizzazione del patrimonio
storico-artistico, mirata a cancellare le
tracce di presenza culturale
non-schipetara; ma va ricordato anche che
nel Kosovo "liberato", a giugno 1999,
mentre le truppe anche italiane
procedevano alla occupazione militare del
territorio, bande di teppisti assaltavano
uffici comunali e Catasti e ne
distruggevano la documentazione, con
chiari intenti. Un oggetto di contesa
fondamentale sono ad esempio le risorse
industriali e minerarie del territorio, a
partire dalla miniera di Trepča, uno dei
massimi giacimenti mondiali di zinco e
piombo, della quale è ventilata la
privatizzazione sin dal 1999, dopo che il
controllo dell'azienda è stato strappato
al legittimo proprietario, lo Stato
jugoslavo.
All'epoca, assieme a gravi
episodi di violenza e pulizia etnica
dell'area di Trepča contro tutti i
non-albanofoni, l'amministrazione serba
dell'azienda fu scacciata e fu decretato
un massiccio licenziamento degli
operai. Con motivazioni pretestuose
riguardanti problematiche di inquinamento
ambientale (che avrebbero dovuto piuttosto
comportare l'aumento dei posti di
lavoro per le operazioni di risanamento...
ILVA docet), l'allora
plenipotenziario ONU – di fatto un
governatore coloniale: Bernard Kouchner –
bloccò le attività estrattive mettendo le
basi per la liquidazione e la
svendita di Trepča a capitalisti
stranieri.
La questione era però troppo
grossa e difficile per poterla risolvere
con un mero colpo di mano. In seguito,
l'attività estrattiva è parzialmente
ripresa, con uno status
legale-amministrativo ambiguo, allo scopo
di dare lavoro a kosovari serbi e albanesi
della zona di Mitrovica.
L'ex ministro del governo
serbo Oliver Ivanović, influente
rappresentante dei serbo-kosovari (e per
questo arrestato mesi fa con accuse
inconsistenti e tuttora tenuto in galera
nel Kosovo "democratico") aveva fatto
appello alle "istituzioni" kosovare nel
2011 contro una eventuale privatizzazione
affinché, in ogni caso, l'azienda
rimanesse un bene collettivo. Più
recentemente, il governo della Serbia
ha invece parzialmente cambiato strategia
sul problema: proprio per riaffermare la
proprietà dello Stato serbo – erede della
Jugoslavia su quel territorio, anche in
base alla Risoluzione ONU 1244 del
1999 – il governo di Belgrado ventila
adesso piuttosto una "sua"
privatizzazione, i cui ricavi vadano nelle
casse serbe, piuttosto che acconsentire a
una illegittima nazionalizzazione da
parte kosovara, cioè al vero e proprio
furto del patrimonio frutto di decenni di
fatiche dei lavoratori e degli
investimenti dello Stato jugoslavo.
Ventilando la privatizzazione
la Serbia crede forse di farsi benvolere
dalle élites liberiste
internazionali, dal FMI e dalla UE che
pone sempre la svendita di patrimoni
e sovranità statali come
precondizione per l'adesione; però, in
pratica, anche la finta
"nazionalizzazione" da parte dello "Stato"
del Kosovo prelude alla svendita al grande
capitale straniero. In mezzo a questa
paradossale diatriba, piena di ipocrisie e
falsi ideologici, stanno presi i
lavoratori di ogni "etnia", che continuano
a pagare sulla loro pelle lo
squartamento dello Stato unitario
jugoslavo e le brame di arricchimento
delle classi dirigenti locali e
internazionali.
Le prime settimane del 2015
sono trascorse tra scioperi e violente
manifestazioni a Pristina, dove le frange
più estreme del nazionalismo pan-albanese
premono per risolvere la questione di
Trepča una volta per tutte. Chiedono in
sostanza di farla finita con lo status
transitorio della miniera, e che lo
"Stato" kosovaro se ne impossessi
formalmente ("nazionalizzazione").
Il caso Jelisić
Veniamo ora al TPIJ,
istituito all'Aja sotto gli auspici di
Madleine Albright e George Soros. Ha
ragione Ugo Giannangeli, che nella sua
Postfazione al nuovo libro "Uomini
e non uomini" (Jelisić
2013) ha scritto: «Ho letto il libro
di Goran Jelisić e sono
rimasto allibito». "Allibito" è la
parola giusta. Giustamente nella
Postfazione Giannangeli parla del
carattere eminentemente politico - e
perciò giuridicamente obbrobrioso -
del "processo" subito da Jelisić: «Non
che di aberrazioni giudiziarie non ne
abbia viste, ma poco sapevo del
funzionamento del
Tribunale dell'Aja».
Le cronache del "Tribunale
penale internazionale ad hoc per i
crimini commessi sul territorio della ex
Jugoslavia" non possono che
lasciare allibito chiunque vi si
avvicini per caso e senza parzialità o
preconcetti. Il problema, però, è che –
tolto il libro di cui stiamo parlando –
tali cronache a dir poco
scarseggiano. Esistono, è vero, i servizi
informativi prodotti dallo stesso
"Tribunale" (14) che oltre a farsi
autopropaganda pubblica le
trascrizioni ufficiali e una parte
dei video (su YouTube) dei dibattimenti:
ma il non addetto ai lavori non sa che
farsene di questa mole esorbitante di
materiali. Esistono poi le sintesi
informative prodotte dall'IWPR (Institute
for War & Peace Reporting), agenzia di
stampa creata anch'essa ad hoc
per occupare a priori scrivanie e
computer degli organi di informazione
rendendo "superfluo" – cioè in pratica
impedendo – il lavoro di presa diretta,
scavo e analisi indipendente che
invece il giornalista sarebbe tenuto a
fare. La IWPR è nata in effetti per
"coprire" mediaticamente in maniera
totalitaria tutta la crisi jugoslava
sin dai primi anni Novanta: chi li
finanzia? Che domande: gli stessi che
finanziano il "Tribunale ad hoc"!
Tra questi spiccano il National Endowment
for Democracy, l'Open Society
Institute e la Rockefeller
Family Associates (15).
Non esistono giornalisti
indipendenti che abbiano seguito i lavori
del TPIJ in maniera non occasionale, ed
anche alcune attività di
contro-informazione avviate su
internet, per ovvie ragioni, non hanno
retto al passare inesorabile del tempo –
chi può seguire costantemente una
questione per un ventennio o più su
base meramente volontaria? Tantomeno tali
attività hanno retto dopo alcune pesanti
sconfitte subite – la più pesante fra
tutte: l'assassinio
di Slobodan Milošević proprio
nel carcere dell'Aja, proprio mentre
avviava la sua autodifesa. (16)
Con la morte
di Milošević è venuta meno ogni
attività di analisi e di critica delle
attività del "Tribunale". Guardiamo al
nostro paese, l'Italia, che pur essendo un
paese molto provinciale aveva visto
svilupparsi sin dagli anni Novanta
innumerevoli attività dedicate ai fatti
jugoslavi: ebbene, sul "Tribunale ad
hoc" è uscito un numero
assolutamente esiguo di testi analitici.
Pochi gli articoli, tutti copia-e-incolla
dei dispacci d'agenzia venuti
dall'estero, e pochissimi anche i libri.
Tra questi ultimi, cronologicamente
precedenti al libro di Jelisić,
dobbiamo ricordare solamente "Imputato Milošević"
(Nava 2002) e l'edizione critica
della Autodifesa dello stesso Milošević
(17).
Sarebbe a questo punto
importante, a venti anni dalla creazione
di tale istituzione para-legale, operare
una ricognizione degli studi specifici
effettuati a livello accademico,
delle Testi di laurea o dottorato dedicate
al "Tribunale" o che usano gli Atti del
"Tribunale" come fonte di ricostruzione
storica dei tragici fatti jugoslavi…
Sarebbe importante, ma già viene la pelle
d'oca a pensare a quali sarebbero i
risultati di questa ricognizione.
Sulla vera natura del TPIJ
scrivevamo nel 2005 (18): «La
"giustizia" del "Tribunale ad hoc"
è dunque quella di una parte in causa
contro l'altra: il contrario esatto
del super partes. Il TPIJ,
analogamente al
famigerato Tribunale
Speciale dell'Italia fascista, è
uno strumento politico totalmente sotto
controllo dei vincitori, cioè degli
aggressori, devastatori ed invasori
della Jugoslavia.» Ci confortava nel
giudizio la sincera dichiarazione di Jamie
Shea, portavoce della NATO durante i
bombardamenti sulla Jugoslavia della
primavera del 1999: «La NATO è amica
del Tribunale, è la NATO che detiene per
conto del Tribunale i criminali
di guerra sotto accusa… Sono i
paesi della NATO che hanno procurato i
fondi per istituire il Tribunale, noi
siamo tra i più grandi finanziatori.»
Più in dettaglio, del
"Tribunale ad hoc" analizzavamo i
meccanismi giuridici:
Noti giuristi e
commentatori hanno spiegato come, nel
suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i
principi del diritto internazionale.
In sostanza, esso non rispetta la
separazione dei poteri, né la parità fra
accusa e difesa, né tantomeno la
presunzione di innocenza finché non si
giunge ad una condanna: la regola 92 del
TPIJ stabilisce che le
confessioni siano ritenute
credibili, a meno che l'accusato possa
provare il contrario, mentre in
qualsiasi altra parte del mondo
l'accusato è ritenuto innocente fino a
quando non sia provata la sua
colpevolezza. Il TPIJ formula
i propri regolamenti e li modifica
su ordine del Presidente o del
Procuratore, assegnando ad essi
carattere retroattivo: attraverso una
procedura totalmente ridicola, il
Presidente può apportare variazioni di
sua propria iniziativa e
ratificarle via fax ad altri giudici
(regola 6). Il regolamento stesso non
contempla un giudice per le indagini
preliminari che investighi sulle accuse.
Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni
anonimi, che si possono dunque
sottrarre a verifiche da parte della
difesa; secreta le fonti testimoniali,
che possono essere anche servizi segreti
di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa
la segretezza anche sui procedimenti
aperti (regola 53); ricusa o
rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare
gli avvocati della difesa (regola 46),
allo stesso modo dei tribunali
dell'Inquisizione; può rifiutare agli
avvocati di consultare documentazione
probatoria (regola 66);
può detenere sospetti per novanta
giorni prima di formulare imputazioni,
con l'evidente scopo di estorcere
confessioni. Dulcis in fundo, i giudici
si arrogano persino il diritto,
d'accordo con la "pubblica accusa",
di revisionare la trascrizione del
dibattimento, censurandola.
La gran parte di queste
pratiche illegittime è puntualmente
confermata nel suo libro da
Goran Jelisić il quale porta
quei casi esemplari che sono le sue
esperienze dirette. Esperienze
drammatiche, a fronte delle
quali chiunque
impazzirebbe. Jelisić invece
raccoglie il suo dolore, i suoi shock,
e riesce a farne un libro, a rivendicare
semplicemente la umanità sua e
dei suoi compagni di prigione, anche
quelli di diverso colore politico-etnico.
Di qui il titolo, poiché «esistono solo
due nazioni: gli uomini e i non uomini»
(p.87). E sulla base di questo spontaneo
senso di umanità in carcere si fraternizza
spesso (non sempre) anche con il nemico di
ieri.
Jelisić spiega ulteriori
discutibili prassi adottate dal
"Tribunale". Racconta casi precisi, di
testimoni "imboccati" dai giudici, o del
modo in cui vengono imposti gli avvocati
difensori e come questi ultimi
inducano l'imputato a commettere
errori dei quali pagherà poi care le
conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale
probatorio grossolanamente falsificato
(addirittura estratti da un film di Arnold
Schwarzenegger:
p.223). Jelisić racconta come
gli inquirenti cercarono in tutti i modi
di fagli dire che a Brcko erano stati
uccisi seimila musulmani: «Ero
sbalordito da tale richiesta. In
seguito, ogni volta che volevano
spingermi a dire
qualcosa, spegnevano la telecamera.
Si vedeva che avevano una bella
esperienza d'interrogatori nei servizi
segreti o come agenti» (p.144;
p.170). Jelisić spiega che di
fronte a sue "ammissioni" era sempre
pronto uno sconto di pena… Alcune sue
presunte vittime verranno però invece
ritrovate vive e vegete (p.169;
p.308).
Un altro elemento
interessante che emerge dalle memorie
di Jelisić è la varietà delle
posizioni e degli atteggiamenti anche nel
seno di ciascuna parte etnico-politica.
Così, ad esempio, anche tra i serbi di
Brcko: Jelisić prigioniero non
sempre trova tra i suoi ex commilitoni e
preposti quell'aiuto che si sarebbe
aspettato. Anche per qualche suo ex
superiore evidentemente poteva essere
lui, Jelisić, il capro espiatorio
adatto a calmare le acque su altri
versanti. L'opportunismo ha trasformato in
"non uomini" anche qualcuno dei
"suoi".
E' particolarmente importante
l'informazione
che Jelisić fornisce sulla sua
vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la
condanna egli è stato arbitrariamente
assegnato ad una prigione italiana
nonostante garanzie affatto diverse che
gli erano state date. In Italia è passato
per sei prigioni diverse, e si trova
adesso a Massa, dove deve terminare
di scontare una condanna a 30 anni (fino
al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per
ottenere tre anni di indulto, concessi a
tutti i detenuti dello
Stato italiano, questi gli sono stati
rifiutati con la motivazione che avrebbe
commesso il crimine di genocidio,
reato da cui invece è stato assolto; i
suoi ricorsi non ottengono nemmeno
risposta. Gli sono stati negati anche i
permessi che invece, nelle carceri estere,
sono stati spesso concessi ad altri
condannati dell'Aja. Dal 2006, anno
d'inizio del lavoro di traduzione e
riscrittura delle sue memorie, la
curatrice del libro non ha mai ottenuto il
permesso di incontrarlo. (*)
Sulla morte
di Milošević, che a noi
risulta essere stato ucciso tramite
somministrazione a sua insaputa di dosi
da cavallo di Rifampicina nei pasti
mensa, Jelisić espone una
sua tesi un po' diversa (p.137) ma
che comunque evidenzia quantomeno
arbitrii e deficit di controlli nella
prigione dell'Aja ("In carcere non
si può morire altro che per omicidio",
ha scritto giustamente Miriam Pellegrini
Ferri). Jelisić opportunamente ricorda
altre persone uccise o morte nel carcere
del "Tribunale" o nelle operazioni per la
loro cattura. L'elenco negli anni è
diventato terribilmente lungo: Djordje
Djukić, Simo Drljaca, Dragan Gagović,
Janko Janjić, Slavko
Dokmanović e Milan Babić (due
strani suicidi nelle celle dell'Aja),
Milan Kovacević, Dragomir Abazović. Sarà
un caso, ma in questo elenco sono tutti
serbi. Certamente la disparità di
trattamento tra prigionieri delle
diverse parti politiche è un dato
acclarato; scriviamo "politiche" e non
"nazionali" poiché in realtà anche alcuni
serbi legati ai servizi segreti
occidentali hanno goduto di trattamenti di
favore: è il caso di Milorad Ulemek
"Legija", di Momčilo Perišić e della
strana coppia Stanisić-Simatović, che
hanno reso in passato i loro servigi al
"Tribunale ad hoc" testimoniando
contro Milošević, per poi usufruire
di assoluzioni o sconti
di pena.
I proscioglimenti
"eccellenti" hanno riguardato tutti i
personaggi di spicco, veri responsabili
politico-militari, appartenenti alle parti
e ai partiti secessionisti
croati, musulmani e albanesi. Abbiamo
già detto di Ramush Haradinaj e Hasim
Thaci, che sono oggi i veri padroni della
repubblichetta del Kosovo. Nel novembre
2012 il TPIJ dell’Aja ha scagionato i
generali croati Ante Gotovina e Mladen
Markac, pianificatori della pulizia etnica
delle Krajine. Il boia Nasir Orić,
comandante delle milizie musulmane
che a ripetizione fecero strage di serbi
nei dintorni di Srebrenica tra il 1992 e
il 1994, è stato completamente assolto
(sic) nel 2008 quando era già libero
avendo scontato solo una pena ridicola nel
carcere dell'Aja.
Una notizia recente è la
liberazione dell'ex presidente della
autoproclamata "Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia" Dario Kordić. In custodia
dal 1997 e condannato a 25 anni nel
2004, Kordić ha scontato la pena a
Graz, cioè in un paese (l'Austria) che ha
in tutti i modi sostenuto il separatismo e
nazionalismo croato. Mandante della
strage di Ahmići, un villaggio a forte
componente musulmana presso Vitez, dove un
centinaio di non-croati furono liquidati
il 16 aprile del 1993, Kordić è
dunque potuto rientrare a Zagabria tra i
festeggiamenti di rappresentanti politici
e della chiesa cattolica. (19)
Per alcune delle assoluzioni
di cui sopra nel 2013 scoppiò uno
scandalo, presto silenziato, attorno alla
figura di Theodor Meron, "presidente" del
"Tribunale", cittadino statunitense,
già consigliere giuridico del governo
israeliano e ambasciatore israeliano in
Canada e alle Nazioni Unite. Il giudice
danese Harhoff accusò Meron di avere
"effettuato pressioni sui suoi colleghi"
per compiacere l'establishment militare
americano e israeliano. (20)
Negli anni successivi
all'assassinio di Milošević sono
stati chiusi i "processi" che erano già
aperti, come questo di Jelisić
e sono stati catturati gli ultimi
ricercati. Jelisić è prigioniero
in Italia da più di dieci anni, e
da alcuni anni sono oramai in corso i
procedimenti "eccellenti" contro
Karadzić e Mladić – procedimenti
che nessuno segue, né in Italia né
all'estero, benché gli elementi
interessanti siano moltissimi sotto il
profilo della ricostruzione storica,
mentre gli elementi di critica giuridica
sono perfettamente analoghi a quelli già
palesati nei casi precedenti… Il libro
di Jelisić con grande umanità
espone i fatti che sono capitati
all'autore (21), ma certamente non è
un singolo condannato a potersi fare
carico di mettere in questione i
meccanismi complessivi di funzionamento e
le logiche del
"Tribunale". Jelisić quasi
candidamente ci "colpisce allo
stomaco" rimproverandoci la nostra
disattenzione su questa problematica, e
ridestandoci. Ha ragione: a questo punto
sarebbe veramente necessario che qualcuno
stilasse un corposo bilancio critico di
tanti anni di attività di
questa struttura para-legale, "utile"
solamente ad assolvere a priori tutti i
responsabili occidentali, per i quali è
stato sempre dichiarato il non luogo a
procedere, e a prosciogliere dalle accuse
tutti quelli che tra i criminali
locali sono amici o agenti
dell’Occidente.
La magistratura come
prosecuzione della guerra con altri
mezzi
Rispetto al fallimento delle
istituzioni internazionali preposte alla
"giustizia" nei Balcani non c'è da
illudersi che il trasferimento dei
procedimenti in sede locale, cioè nelle
nuove Repubbliche, migliori granché la
situazione. La storia recente e la natura
politica e statuale o para-statuale di
queste impediscono molto spesso una
giustizia imparziale ed effettiva.
Un esempio recentissimo è
quello del gennaio 2015 (22), quando è
giunta la decisione della Corte
costituzionale della Croazia di
annullare la sentenza contro Branimir
Glavaš nei processi „Garage” e “Nastro
adesivo”, che lo condannava a otto
anni di carcere, pena tutto sommato già
lieve rispetto ai crimini commessi contro
i civili serbi a Osijek nel 1991. Il
caso "Garage" riguardava la vicenda di
civili condotti nei garage situati a poca
distanza dall’ufficio militare di Glavaš e
in seguito interrogati, torturati,
bastonati, alcuni anche costretti a
bere l’acido solforico delle batterie
delle auto. Il caso “Nastro adesivo” era
invece relativo all’assassinio di serbi,
portati nella cantina di una casa nel
centro di Osijek dove, dopo essere
interrogati e fisicamente torturati,
venivano legati col nastro adesivo e in
seguito portati sulle sponde
della Drava per essere uccisi con un
colpo alla nuca.
La decisione della Corte
costituzionale obbliga la Corte Suprema a
riaprire il caso, e di conseguenza il
Tribunale della contea di Zagabria
potrebbe avviare un nuovo processo, oppure
annullare la sua sentenza e in questo
modo assolvere Glavaš da tutte le accuse.
Sono state annullate anche
le sentenze contro altre sei persone
che hanno preso parte a quei
delitti. Glavaš è stato così
rilasciato in libertà dal carcere a Mostar
il 21 gennaio. Il presidente della
coalizione delle associazioni dei profughi
serbi, vittime delle operazioni "Lampo" e
"Tempesta", Miodrag Linta, ha dichiarato
che in tal modo le vittime serbe sono
state offese e umiliate una ennesima
volta. Linta ha invitato l’Unione
europea, l'OSCE e il Consiglio d'Europa a
esercitare pressioni sulla Croazia... ma
quale giustizia si potrà mai ottenere in
effetti dalle istituzioni europee, quando
persino la Corte Europea dei Diritti Umani
di Strasburgo ha vigliaccamente rigettato
istanze clamorose come quella di una
cittadina di Zara, di origine serba, che
assente da casa nel periodo in cui
scoppiava la guerra fratricida in
Jugoslavia si è vista rubare
l'appartamento dalle istituzioni della
nuova repubblica "indipendente"? (23)
O, ancor più grave, l'istanza contro i
paesi NATO sporta dai familiari
delle vittime del raid sulla RTV di Serbia
dell'aprile 1999, che causò 16 morti e
altrettanti feriti? (24)
Il fatto è che nessuna
giustizia formale su fatti specifici,
connessi al disastro jugoslavo, potrà mai
essere fatta se non si procede
preliminarmente a processare i più alti
responsabili dei crimini che sono
all'origine di questa tragedia, cioè dei crimini
commessi contro la pace.
Ricordavano sempre Baiada e Gallo nel
2008:
Lo statuto del Tribunale
militare internazionale (cd. Tribunale
di Norimberga) (...) prevede,
oltre ai crimini di guerra ed a quelli
contro l’umanità, i crimini contro
la pace. Li definisce l’art.
6 (a): «Crimes against peace: namely,
planning, preparation, initiation or
waging of a war of aggression, or a
war in violation of international
treaties, agreements or assurances, or
participation in a common plan or
conspiracy for the accomplishment
of any of the foregoing».
(...) Particolare importanza,
proprio a tutela della pace, hanno
dunque sia il divieto di fomentare
un conflitto civile in un altro Stato
(civil strife), sia il divieto
di ingerenza nei suoi affari
interni.
---
Una versione ridotta di
questo articolo è apparsa su
"La
Città Futura" il 5 dicembre 2014
NOTE:
(1) Passit
l'ossimoro chiaro e fosco,
da ritenersi in questo caso opportuno...
(2) Sergio Mattarella,
all'epoca vicepresidente del Consiglio
dei Ministri, in una Informativa
urgente alla Camera sulla partecipazione
dell'Italia alla aggressione armata
contro la RF di Jugoslavia, 24 marzo
1999 ( http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed511/s450.htm
). In merito si veda anche la
successiva polemica in Commissioni
riunite, 18 marzo 2003, in occasione
stavolta della aggressione contro
l'Iraq: http://documenti.camera.it/Leg14/BancheDati/resoconti/audizioni/01030409/audiz2/2003/0318/s010.htm
.
(3) "La Croazia è uno
stato illegale", intervista a cura di di
Milica Ostojić,
su "PECAT" (Belgrado),
n.40/2008.
(4) "Non sempre la
guerra «offre»
giurisdizione extraterritoriale:
l'occasione mancata del caso Bankovic",
di Giampiero Buonomo, "Diritto e
Giustizia" (quotidiano giuridico online)
del 2/2/2002.
(5) L.M. Baiada (giudice
del Tribunale Militare) e D. Gallo
(consigliere della Corte di Cassazione):
"Quesito rivolto al CSM ed al
CMM sulla legalità della
"missione PESD" e sulla
opportunità di inviare magistrati
italiani", 21 marzo 2008. Con
l'acronimo PESD si intende la "Politica
Europea di Sicurezza e Difesa" – nodo
"militare" della più generale politica
estera europea "PESC" – e dunque la
"missione" oggetto di questo quesito
altro non è che quella che verrà poi
denominata EULEX. Il testo integrale e
alcune note sugli esiti
dell'interrogazione sono leggibili alla
pagina https://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/quesito.htm .
Il
magistrato Luca Baiada in particolare ha
commentato: "Il plenum del CMM
(...) ha ritenuto di avere
precedentemente solo aderito ad
una richiesta legittima del
Ministero degli Esteri italiano, e di
doversi astenere dalla
valutazione di legittimità del
riconoscimento dell’indipendenza del
Kosovo. (...) C’èda chiedersi
cosa sia l’autogoverno, se l’organo di
autogoverno ubbidisce al
Governo. Comunque, è interessante
che il Consiglio abbia scelto
la cautela di non impegnarsi in
un’esplicita affermazione
della soggettività statale del
Kosovo. A quanto pare, la questione è
stata lasciata impregiudicata."
(6) "Crimes de guerre au
Kosovo : EULEX acquitte Fatmir Limaj"
(2012) – https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#eulex2012 .
(7) http://rt.com/shows/sophieco/206019-eu-foreign-crisis-kosovo/
(8) http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Scandalo-Eulex-le-rivelazioni-reticenti-156997/
(9) "Kosovo: Mogherini a
gamba tesa sullo scandalo Eulex",
di Maria Ermelinda Marino, www.rivistaeuropae.eu
(25 novembre 2014).
(10) http://www.remocontro.it/2014/11/26/eulex-in-kosovo-pendenti-accuse-sentenze-tassametro/
(11) Fonti: "La guerra
infinita. Kosovo nove anni dopo",
documentario RAI a cura di Riccardo
Iacona (2008)
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9b196d7b-52e6-4ae3-8e32-a5e93488063c.html?p=0
La EULEX garantisce
l'impunità ad Ejupi, responsabile
della strage dell'autobus di linea Nis
Express (2009)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/topics/6359
(12) Per le fonti si
vedano: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4071
; http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4044
.
(13) Fonti:
West refuses to probe organ
trafficking – Russian envoy (2011)
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=12&dd=30&nav_id=78057
Trafic d’organes au Kosovo
: les principaux suspects échappent
toujours à EULEX (2013)
http://balkans.courriers.info/article23867.html
Tutta la documentazione
sulle inchieste relative al traffico di
organi in Kosovo: https://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/organi.htm
.
(14) http://www.icty.org
.
(15) http://iwpr.net/what-we-do/supporters
.
(16) Da segnalare il
grande lavoro svolto per anni da Andy
Wilcoxson con il sito http://www.slobodan-milosevic.org .
Il "processo" a Milošević fu
seguito bene dalle sezioni del
Comitato internazionale di diversa
sorte nei diversi paesi, tra cui
l'Italia: http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/
.
(17) Milošević 2005. Online
– https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm
– si accede ai due materiali più
preziosi pubblicati nel testo: il nostro
saggio «Processo Milošević: un
“processo alle intenzioni”», unica
dettagliata analisi e denuncia del
funzionamento del "Tribunale" che sia
apparsa finora in lingua italiana, e il
testo integrale del Discorso di avvio
della Autodifesa di
Slobodan Milošević (31
agosto-2 settembre 2004).
(18) In «Processo
Milošević: un “processo alle
intenzioni”», tratto da Milošević
2005 – https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm#intenzioni.
(19) http://balkans.courriers.info/article25063.html
.
(20) https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/topics/7710 ; https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7715
Harhoff è stato ovviamente
subito silurato con un pretesto relativo
al "processo" Seselj: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7756
(21) In occasione di una
riedizione, raccomandiamo la stesura di
un Indice dei Nomi ed un corredo
critico, in modo che ad ogni circostanza
o nome si possa associare una pagina
delle trascrizioni degli Atti
ufficiali del dibattimento.
(22) Fonti: Voiceofserbia.org
del 13, 22 e 28 gennaio 2015. "Glavaš
libero, sarà anche assolto?", di Drago
Hedl, su Balcanicaucaso.org
del 30 gennaio 2015.
(23) Quello di Krstina
Blecić è stato un caso
esemplare di legalizzazione della
pulizia etnica da parte
delle istituzioni legali
internazionali. Le autorità croate
avviarono un procedimento per
cancellare il diritto della
Blecić a mantenere la
propria abitazione ed assegnarono
la casa in "proprietà sociale". In
primo grado (2004), il ricorso alla
Corte di Strasburgo ebbe come risposta
che non erano state
riscontrate violazioni; in secondo
grado la Grand Chamber
affermò, senza entrare nel merito,
che la Convezione Europea per i
Diritti dell'Uomo non si applicava
nel caso ratione temporis,
poiché la Croazia aveva aderito
alla Convenzione solo nel 1997, mentre
il caso era iniziato (e finito)
prima. Fonte: Andrea Rossini,
"Un appartamento a Zara", su
Osservatorio Balcani
del 09.03.2006.
(24) Fonti:
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/335
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/1370
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/1470
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/1575
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/3041
Sul bombardamento della RTS
si veda la documentazione alle
pagine:
https://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#rts
https://www.cnj.it/24MARZO99/amnesty2000.htm
.
(*) Nota
post-pubblicazione: il primo
incontro è potuto avvenire nel
carcere di Massa solo nel dicembre
2014.
BIBLIOGRAFIA MINIMA (in
ordine cronologico):
AAVV.: Il rovescio
internazionale. Vademecum per la
prossima guerra. Roma:
Odradek, 1999. Con contributi
di Rivera, Accame e Oliva,
Gallerano, Persichetti,
Modugno, Baracca,
Vassallo Paleologo, Ambrosino,
Tarozzi, Portelli,
Cesaratto, Osservatorio
Internazionale, Giudici e
Esté. Introduzione dell'Editore.
Sandro Provvisionato: UCK l'armata
dell'ombra. L'esercito di
liberazione del Kosovo. Una guerra tra
mafia, politica e terrorismo. Roma:
Gamberetti,
2000.
Massimo Nava: Imputato Milošević.
Il processo ai vinti e l'etica della
guerra. Fazi, 2002.
Slobodan Milošević: In
difesa della Jugoslavia. Il j’accuse
di Slobodan Milošević di
fronte al “Tribunale ad hoc”
dell’Aja. Francoforte: Zambon,
2005.
Aldo Bernardini: La
Jugoslavia assassinata. Napoli: Editoriale
Scientifica,
2005.
Antonio Evangelista: La
torre dei crani. Kosovo 2000-2004. Editori
Riuniti, 2007.
Alessandro Di Meo: L'urlo
del Kosovo. Roma: Ed. ExOrma,
2010.
Giuseppe Ciulla e Vittorio
Romano: Lupi nella nebbia. Jaca
Book, 2010.
Adem Bejzak e Kristin
Jenkins: Un nomadismo
forzato. ...di guerra in
guerra... Racconti rom dal Kosovo
all'Italia. Edizioni
Archeoares, 2011.
Enrico Milano: Formazione
dello Stato e processi
di state-building nel
Dirittto internazionale. Kosovo
1999–2013. Napoli: Editoriale
Scientifica, 2013.
Pierre Péan: Kosovo :
Une guerre juste pour un Etat
mafieux. Ed. Fayard, 2013.
Goran Jelisić: Uomini
e non uomini. La guerra in Bosnia
Erzegovina nella testimonianza di un
ufficiale jugoslavo. Francoforte:
Zambon 2013. A cura di Jean Toschi
Marazzani Visconti. Prefazione di
Aldo Bernardini. Postfazione dell’Avv.
Ugo Giannangeli.
Jacques Hogard: L'Europe
est morte à Pristina. Chronique
du Kosovo. Hugo Document, 2014.
Andrea Lorenzo
Capussela: State-building in
Kosovo: Democracy, EU Interests and US
Influence in the Balkans. London:
I.B.Tauris (due February 2015).