Informazione

Ciao,

desideriamo farti sapere che, nella sezione File del gruppo
crj-mailinglist, troverai un nuovo file appena caricato.

File : /IMMAGINI/varniunatu.jpg
Caricato da : jugocoord <jugocoord@...>
Descrizione : "VARNI U NATU" ("Sicuri nella NATO", "Safe in NATO") - Mladina (Slovenia), n.19/2003 - http://www.mladina.si/

Puoi accedere al file dal seguente indirizzo:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/IMMAGINI/varniunatu.jpg

Per ulteriori informazioni su come condividere i file con gli altri
iscritti al tuo gruppo, vai invece alla sezione di Aiuto al seguente
indirizzo:
http://help.yahoo.com/help/it/groups/files


Cordiali saluti,

jugocoord <jugocoord@...>

Date: Tue, 20 May 2003 08:22:23 +0200
From: "Jedinstvena sindikalna organizacija Zastava" <sindikat@...>
Organization: Samostalni sindikat


GLI ORFANI DELLA YUGOSLAVIA

APPUNTI DI VIAGGIO DELLA DELEGAZIONE
DI UFFICIO ADOZIONI ZASTAVA - APRILE 2003

RAJKA VELJOVIC

E il 09. aprile, il giorno in cui 4 anni fa nel '99 la nostra fabbrica
e stata bombardata e rasa al suolo.

Partiamo al buio, alle 05 di mattina, dopo complicate procedure
burocratiche per ottenere il visto dall'ambasciata italiana a
Belgrado. Ricordo del 1. viaggio nel giugno del '99. Otenere il
visto fu piu semplice di ora: stranamente adesso, dopo 4 anni la
procedura e diventata molto piu complicata, fra l'altro con
parecchie ore in attesa nel cortile dell'ambasciata italiana a
Belgrado. E per fortuna non faceva molto freddo.

Arriviamo, da Kragujevac, a Belgrado, con le prime luci di un
giorno nuovo e promettente per la mia collaboratrice Milja, che per
la prima volta parte per Italia, terra della quale ha sentito tanto.
Dopo qualche minuto di ritardo, prima di passare ultimo cancello
per l'imbarco capiamo il motivo perche tanto staff di sicurezza.
Dalla sala di attesa guardiamo l'atterraggio degli aerei delle
delegazioni ufficiali di Romania, Bulgaria, Moldavia, Albania,
Grecia, guardiamo i tappetti rossi davanti agli aerei e ci ricordiamo
degli anni in cui aeroporti erano chiusi, e come per noi, gente
comune e ancora difficile muoverci oltre frontiera. Ricordo del
periodo felice, in cui con orgoglio, portavo passaporto yugoslavo,
senza aspettare la coda per i visti, ed in qualsiasi paese del mondo,
anche in quelli piu lontani, in cui incontravo persone che non erano
sicure dove fosse la Yugoslavia ed io spiegavo: "la Yugoslavia di
Tito" e capivano subito ... e si diventava subito amici...

Le nostre frontiere sono aperte per tutti, e ultimamente ci visitano
parecchi imprenditori occidentali, le vetrine dei negozzi pian piano
diventano come quelle occidentali, con gli stessi prezzi, a fronte di
un salario medio sotto i 150 euro a tempo pieno per i fortunati, non
ancora licenziati. Negozi pieni di merce, vuoti di clienti - paese
pieno di merci importate con esportazione minima.

Decolliamo "per arrivare in Europa" e per controllo dei passaporti
aspettiamo in fila non "UE", guardo l'altra fila che finisce in fretta
e mi chiedo quando faremo, anche noi, parte della famiglia
europea...

Il primo benvenuto di Riccardo, abbracci, emozioni, gioia perche
"abbiamo vinto" (siamo riuscite) solo grazie a loro, Zastava Brescia
ad essere qui. Siamo finalmente in Italia.

A Brescia il primo benvenuto ce lo augura il profumo di risotto di
Ugo, promessoci un'anno fa a Kragujevac. Non ha dimenticato la
promessa.

Stesso pomeriggio ci sentiamo gia a casa ospitate dalla famiglia di
Alfredo le cui due figlie meravigliose ci ospitano nella loro stanza,
cosi come con altri che pian piano arrivano, quelli che partecipano e
gestiscono progetto "Non bombe ma solo caramelle", progetto che
porta il nome del disegno del bambino di Kragujevac che nel '99 ho
portato, con altri disegni, in Italia. Disegni sui quali gli adulti
potrebbero imparare. Disegni che non fanno politica, ma che
portano lo stesso messaggio delle bandiere della pace, ma con un
aspetto ancora piu profondo, poiche riflettono 78 giorni di orrore
che purtroppo viene ripetuto in molte altre parti del mondo. Sono
tutte persone che gia parrecchie volte sono venute a Kragujevac per
portare aiuti alle famiglie dei lavoratori della fabbrica Zastava
distrutta nel '99. Si discute del proggetto"Premiata forneria mutuo
soccorso", delle adozioni in difficolta (non strano perche prima
siamo stati popolo di troppo, popolo invisibile - adesso popolo da
dimenticare e da accusare di nuovo. E comodo cosi, noi, brutti,
sporchi e cattivi contiamo solo quando c'e il business del
dopoguerra. A chi vuoi che importi del monumento nel cuore di
Belgrado dedicato ai bambini vittime dell'aggressione della Nato.
Le persone che ci sono rimaste vicine, che non ci hanno dimenticato
ci nutrono di speranza .... "che davvero, un altro mondo e
possibile"... Si discute anche su quelle adozioni nuove che alcune
associazioni miracolosamente riescono a conseguire, ci ricordiamo,
con molta emozione, dell'intervento della delegazione Zastava dal
palco il 15 febbraio scorso a Roma.

Dopo l'incontro caloroso ci accompagna pioggia e freddo, il giorno
dopo, mentre andiamo a incontrare Presidente della Provincia e il
Sindaco di Brescia, parliamo della situazione attuale nel nostro
paese, ringraziamo il Sindaco che una volta ha aderito al progetto
adozioni e facciamo presente che l'aiuto piu importante sarebbero
investimenti che potrebbero dare lavoro ai licenziati e disoccupati (
non parlo degli imprenditori che vengono tutti i giorni a vendere la
loro merce, gli scaffali dei nostri negozi ne sono pieni. Si, il
nostro mercato e grande, pero si dovrebbe muovere qualcosa per
ripristinare i clienti). Certamente, clienti non lo sono lavoratori
della Zastava, con un salario mensile sotto la media nazionale di
150 euro ne quelli dell'Ufficio di collocamento, con sussidio di 50
euro al mese, non quei lavoratori che devono sostenere le spese di
farmaci, esami, chemio (malatie in continua crescita), spese per far
studiare i figli, spese per le bolle arretrate di corrente, acqua
ecc....

Il Sindaco promette di aiutare associazione Zastava Brescia per
trasporto delle biciclette raccolte, riparate, diventate come nuove,
grazie ai donatori e volontari che gia fanno parte della famiglia
Zastava e donano biciclette alle famiglie operaie che abitano nella
lontana periferia. Ci salutiamo con il Sindaco ed a proposito degli
striscioni della sua avversaria alle prossime elezioni - bella donna
con occhi azzurri che dice "guarda i miei occhi e vedrai il futuro"
gli dico "io non guardo solo gli occhi, ascolto e non dimentico le
promesse". Poi gli faccio gli auguri di vincere alle elezioni,
sperando che manterra le promesse. Noi purtroppo siamo abituati a
promesse che poi non vengono mantenute.

Piove a catinelle, ed in un'ora libera chiediamo ad Ugo di
sacrificarsi e di portarci al centro commerciale, in attesa del
prossimo incontro ufficiale. Lo facciamo per Milja, che come
cittadina di un paese isolato da anni e che non e uscita oltre
frontiera, vede centro commerciale come un miracolo, come
aspetto di vita migliore (non siamo arrivati a vederlo dal punto di
vista consumistico - che cosa e consumismo per noi?) ma piu delle
offerte occidentali ci sono interessanti i clenti con i carrelli pieni
di roba, ed i commenti di Milja mi colpiscono direttamente al cuore
perche riconosco tutte le persone care e quelle sconosciute che ho
lasciato a pochi chilometri di distanza ma che fanno parte di un
mondo diverso. Immagino i nostri bambini davanti a centinaia di
tipi di dolci, e la nostra visita improvvisamente diventa utile,
perche Ugo mi chiede suggerimenti su che cosa e meglio portare
come regali alle famiglie. Gli spiego che non abbiamo l'abitudine
di consumare olio di oliva, parmigiano, acciughe, che le caffettiere
non ci sono e che per il nostro caffe, chiamato caffe turco, viene
usato caffe maccinato fine e che sarebbe meglio portare nutella (da
noi un lusso), cioccolatini e dolci molto desiderati dai bambini ma
poco accessibili, vitamine, materiale per l'igiene, materiale
scolastico, qualche vestito....

Mentre la pioggia continua ad accompagnarci andiamo alla Camera
del lavoro di Brescia, la quale continua ad appoggiare
l'associazione, grazie a persone come Greco, Fracassi... Conferenza
stampa, solo un giornalista. Mi viene di nuovo il pensiero "non
siamo piu di moda", poche le domande, nessuna su Kosmet
(Kosovo) durante tutto il viaggio - il muro del silenzio sul
protettorato in cui non hanno portato pace. Certo, non e comodo
parlare dell'insuccesso, come si verra a giustificare (oltre alla
pulizia etnica perpretata ai danni dei non albanesi) i mezzi
economici buttati... quanto ci sarebbe da dire, ma nessuno lo chiede,
e chi vorrebbe non e in grado di fare la domanda perche non ha le
informazioni di partenza...

Subito dopo, le emozioni fortissime, all'assemblea tutti ci
conosciamo. Quanto mi piacerebbe incontrare anche le persone
nuove, sconosciute a cui parlare. Guardiamo filmato fatto
dall'associazione in occasione di uno dei viaggi a Kragujevac, lo
guardo l'ennesima volta, ascolto la bella e professionale voce di
Massimo e provo, di nuovo, quel dolore che porto dal `99, il dolore
di una belgradese che e arrivata a Kragujevac per rimanerci un
anno, si e innamorata di questa citta operaia sino a sceglierla per la
sua vita futura, innamorata del monumento dedicato ai piccoli rom
lustrascarpe assassinati perche rifiutarono a lustrare gli stivali dei
nazisti tedeschi, la citta portatrice delle prime vittorie dei
socialisti, prime proteste operaie nella lotta per i diritti, primo
giornale socialista, citta martire in 1. e 2. guerra mondiale, citta
martire anche la 3. volta sotto le bombe della Nato ma anche citta
nominata dall'ONU citta di pace perche l'esempio di convivenza
multietnica, citta della Zastava ed infine citta dei disoccupati con
quartieri interi di profughi. Pochi lo sanno, che le piccole profughe
di Bosnia sono ospitate nel monastero di Kragujevac, e che nel centro
profughi del Kosmet c'e l'epidemia di tubercolosi, malatia della
poverta, in Europa dimenticata.

Ci salutiamo con adottanti di Milano, Biella, di Bolzano (che
ancora aiutano bambini di Mostar), cari amici che sono venuti a
incontrarci. Siamo insieme a cena e si costruiscono i ponti tra di
loro. Ed a loro racconto delle associazioni di Bari (Un ponte per..),
dell'ABC di Roma, di Aljug di Bologna, di Reggio, di Mir Sada di
Lecco, delle associazioni Zastava di Torino, di SOS Zastava di
Torino, Trieste..... E di tanti altri donatori singoli che fanno
miracoli.

Ed infine, ultima assemblea prima di lasciare Brescia, assemblea in
fabbrica, alla Alfa Acciai. Incontriamo lavoratori in tute, belle
mani operaie, e poesie di Michele, poeta operaio, che ha messo il
cuore nelle attivita delle adozioni, abbracciamo Alberto, Mirko-
jugoslavo di Croazia ed altri e mi rivolgo ai lavoratori (sala piena)
ricordandomi del periodo felice della Zastava, prima dell'embargo
negli anni novanta, in cui i reparti bollivano di movimentazione,
rumore degli impianti, catene con le macchine che brillavano,
entusiasmo degli operai, progetti per un futuro promettente che
offriva, loro, tutte le possibilita di costruirsi le proprie case, di
poter andare al mare, in montagna, di far studiare i figli, di potersi
curare... Tutto cio che e attualmente negato, anzi, negato gia
dall'inizio dell'embargo, arma piu potente per uccidere un popolo
in silenzio (oltre i mass media naturalmente, quando serve). Parlo ai
lavoratori della Alfa Acciai, dei reparti bombardati,
dell'entusiasmo con il quale abbiamo ripulito le macerie ed iniziato
la ricostruzione, ed infine della situazione attuale, scomposizione
delle fabbriche grandi, privatizzazione, disoccupazione, delle
riforme nel corso, e di quelle future che porteranno alla crescita dei
licenziati. Parlo delle leggi nuove, che negano i diritti che i nostri
nonni hanno acquisito, ed anche che la nostra terra, adesso offre
mano d'opera a basso costo. Verranno i padroni, offriranno forse,
invece di 150 euro un salario piu alto, e cosi, i padroni diventeranno
piu ricchi, lavoratori occidentali rimarranno senza lavoro, i nostri
lavoratori umiliati. questo dovrebbe essere uno dei motivi, almeno
per i lavoratori, per vivere in un'Europa davvero unita. Ed infine,
invito i lavoratori ad essere uniti, uniti nelle lotte che sono
comuni, le lotte per lavoro, un salario degno, e prima di tutto di
lottare per la pace e il futuro dei nostri figli.

Ultimi abbracci con l'augurio di incontrarci presto, e si parte per
Trieste, tanti bagagli nelle mani, tanti regali dai donatori, secondi
genitori, da portare ai bambini della Zastava, e tante emozioni nei
cuori. Nello scompartimento, Milja ed io ci scambiamo le
impressioni, a Padova sale il caro Pernigotti per salutarci, per
consegnare anch'esso dei pensieri per i suoi bambini, e per darci
una mano a cambiare treno. Incontro breve ma profondo ed
emozionante, di cose dette in fretta... Che hanno portato ad incontro
tipo quelli brevi ma che restano nel cuore e nella mente per tutta la
vita - il passeggiero di fronte che ci ha ascoltato in silenzio ma con
interesse, mentre scendeva dal treno si e rivolto a noi, ci ha stretto
le mani e le sue parole ci hanno portato via tutta la stanchezza...

Trieste. Abbracci con Gilberto, che gia fa parte di famiglia Zastava
e una conoscenza nuova. Mangiamo paeglia e parliamo di cose
diverse (un po' di rilasso), di poesia, dei libri e mi entusiasmo, e
si riaffaccia di nuovo, l'idea che mi muove sempre - idea dei ponti,
quelli di cui scrive Andric -di far conoscere poetessa Gaby, di
Trieste, con la poetessa Mariella di Bari, e gia le immagino
insieme, ma a Kragujevac. E guardo i quadri nella loro casa, i
quadri dei pittori da me preferiti, pittori chiamati naif nella mia
terra, nelle mie ex terre -Pavic, Laskovic. Mangiamo paeglia nella
casa degli italiani, parliamo della letteratura, e dai quadri, ci
guardano contadini dei villaggi yugoslavi, le case e paesaggi coperti
da neve...

Il giorno dopo accompagnate da Gilberto e solita pioggia, andiamo
a incontrare Sindaco di San Dorligo della Valle e rimaniamo subito
sorprese (a dir poco) dalla ospitalita e dalla bandiera appesa in
comune, bandiera che ci porta tanti ricordi al passato - bandiera
tricolore con stella rossa ....

Assemblea con il Sindaco, che porta la sua fascia, e con il pubblico
che parla la lingua che noi conosciamo, una delle ex nostre lingue,
come ci capiamo bene!... e la sala in cui si sente profumo di
nostalgia yugo immensa, l'insegnante di minoranza slovena che
piange e le sue parole che mi aprono ferite profonde "noi siamo
orfani della Yugoslavia, abbiamo perduto paese madre"...

Osteria di Cantonovello, gulas a tavola ed articoli sulla Zastava
sulle pareti, enorme e bellissimo mazzo di fiori, con gli auguri di
vida, che godiamo oggi e decidiamo di portarlo il giorno dopo, alla
Risiera di San Sabba, uno dei posti tragici come parco della
memoria "21 Ottobre" di Kragujevac, uno dei luoghi "da non
dimenticare".

Pomerriggio un'altra assemblea, sono grata a Knaip per le domande
che ha fatto perche cosi sono riuscita a dire qualcosa in piu e mi
emoziona l'intervento di una signora, partigiana, vedo in lei mio
padre, mi sembra di sentire lui mentre essa parla, capelli bianchi,
signora bella, alta con atteggiamento orgoglioso che non dimostra
gli anni che deve avere, ed un'altra che ascolta con attenzione e dai
suoi occhi vedo che essa ha capito, ha capito perche e successo...

Si va alla cena di saluto, e mentre viaggiamo, come ossessionate
contiamo quante bandiere di pace si vedono sui pallazzi e case,
bellissime bandiere, molte bilingue, con colombe o senza - per dire
no alla guerra... E qualche americana... per dire che cosa?

Cena in Casa del popolo, e prima di entrare vedo un pezzo delle
poesie di Nazim Hikmet - poeta turco che mi hanno scoperto
Mariella e Vigna "...Sopratutto credi all'uomo..." E una serata che
ci distrugge, inizia con il nostro desiderio che finisca presto per
riposare ed in serenita soffocare le emozioni che ci hanno portato
questi giorni, ed il posto al quale oggi ci ha portato Vlaic - su, in
alto, dal posto in cui camminava Napoleone abbiamo guardato il
mare e il confine con Slovenia. Pero, dimentichiamo la stanchezza,
ci sentiamo a casa in compagnia alle persone meravigliose,
parliamo la lingua che ci collega e poi cantiamo... ragazzo del coro
con la chitarra suona e canta nella nostra lingua le canzoni delle
nostre gioventu, canzoni yugoslave. Prometto al cantante di fargli
avere la canzone di Bajaga "I miei amici sono sparsi in tutto il
mondo".... (od Vardara pa do Triglava)

Ultimo giorno a Trieste, triste arrivederci lasciando i fiori alla
Risiera e poco dopo siamo gia nella macchina con Dora, cara amica
che in un giorno fa mille chilometri per prenderci e portarci a
Milano. E il primo giorno che si vede sole, la macchina di Dora
corre, la vedo gia stanca, passiamo Venezia e per fortuna Dora non
capisce Milja che disperata mi dice "ho sognato tutta la vita di
vedere Venezia...".

Arriviamo a Milano, prendo caffe offerto dalla mamma di Dora e
porto rametti di salvia e rosmarino che tengo ancora, essicati, come
ricordo di Carla e suo bel giardino.

A sera, a cena, conosciamo Giorgio e sua moglie, lui e un collega di
Dora, un segretario dalla Filcams di Milano, con lui parliamo del
presente del mio paese e sembra interessato a capire, ma dimostra
di conoscere bene il mio ex paese, quella che fu la Yugoslavia, e cio
mi commuove e mi fa soffrire. Pero, forse un altro ponte e stato
costruito.

Ultimo giorno, giorno di partenza, inizia con la preoccupazione,
dopo la notizia dello sciopero all'aeroporto. Dora, sempre qui, a
darci una mano ci accompagna all'ultimo incontro prima di
partire- pranzo con i torinesi che viaggiano solo per incontrare noi,
per portarci buone notizie sulle apparrecchiature sanitarie e
carrozzine per i malati di Kragujevac. Abbracciamo la solita
compagnia (Rosy, Fulvio, Pippo, Fabio) delle persone che aiutano le
famiglie di Kragujevac e ci salutiamo con un arrivederci a giugno
quando ci rivedremo a Kragujevac.

Arriviamo all'aeroporto ed in attesa di notizie sul volo parliamo di
tutte queste persone, che dopo 4 anni e il silenzio dei mass media,
ancora non hanno dimenticato i nostri bambini, dei ponti di
amicizia costruiti con le famiglie di Kragujevac, con noi tutti, e
speriamo, crediamo che continueranno ad esistere anche in un
futuro in cui non ci sara piu bisogno degli aiuti.

All'aeroporto aiutiamo una signora anziana a portare le sue valigie
pesanti, ci ringrazia, chiaccheriamo, essa ha un accento particolare e
si presenta yugoslava. Poi spiega che e di origini italiane, sposata
da 30 anni con un montenegrino e porta valigie pesanti di regali dai
parenti italiani - uovo di pasqua per nipote a Belgrado, parmigiano,
pasta, salamini - cose tipiche preferite ed io le dico "montenegrini
hanno dato all'italia una bellissima montenegrina, la regina Elena.
E come scambio Italia ci ha dato lei come sposa di un
montenegrino". Le ore di attesa le trascorriamo con la signora
yugo-italiana e le telefonate di Riccardo e Dora preoccupati del
decollo. Infine partiamo, per arrivare in un'altro mondo..

Sara piu facile continuare, resistere, dopo tutti questi incontri. Vi
aspettiamo tutti a Kragujevac, noi, orfani della Yugoslavia.

Questione ambientale e guerra nei Balcani:
Danni sociali, ambientali e sanitari dei bombardamenti del 1999
attraverso la stampa locale yugoslava


Tesi di Laurea (1) di Federica Alessandrini

(per contatti: federicalessandrini@...
La Tesi e' scaricabile alla URL:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/VARIE/alessandrini.z=
ip
)


* La principale fonte utilizzata per la ricerca è stato l'archivio
composto da una completa rassegna stampa curata dalla Dott.ssa Zivkica
Nedanovska. I giornali da cui sono stati tratti gli articoli sono
prevalentemente di origine yugoslava, eccenzion fatta per alcuni presi
da quotidiani inglesi ed italiani nonché da reti di informazione sulla
ex-Yugoslavia come Peacelink, Osservatorio sui Balcani e Coordinamento
Italiano per la Yugoslavia.

Perché la questione ecologica?

<< One of the great untold story of the Balkan conflict is that of the
enviromental damage caused by it >> (2)

Secondo Andrew Dobson esistono at least due importanti ragioni per cui
la questione ecologica connessa al conflitto del 1999 nei Balcani
andrebbe tenuta in grande considerazione: prima di tutto perché alcune
delle più tragiche conseguenze del conflitto sono direttamente legate
e connesse all'enviromental issue, in secondo luogo poiché la natura
del danno ecologico è "insidiosa", ossia difficilmente valutabile nel
presente e minacciosamente incombente sul futuro.
Come spesso accade in tempo di guerra, per motivi di coesione politica
internazionale, per colpevole disattenzione o consapevole
ipovalutazione del danno, alcuni aspetti bellici - siano essi connessi
ad un discorso sanitario, ambientale, demografico et al. - vengono
tralasciati o comunque posti in secondo piano relegandoli
nell'onnicomprendente categoria dei cosiddetti inevitabili "danni
collaterali". Se ci si ferma un attimo a riflettere su tale
denominazione potrebbe sorgere un primo quesito riguardo all'aggettivo
"collaterale": per chi? Solitamente questo tipo di danno va ad
incidere sulle condizioni delle popolazioni locali colpite dai
bombardamenti in corso: un simile discorso è forse estendibile anche
alla sfera ambientale?

<< enviromental effects travel through time as well as space, and some
of the unintended casualities of the war have yet to be born >> (3)

Quando si parla di ambiente le variabili cambiano in modo
significativo, basti pensare ai gravi danni ecologici subiti dal fiume
Danubio (4) durante il conflitto del 1999, quando in seguito a diversi
bombardamenti su industrie chimiche serbe si sono verificati
innumerevoli episodi di contaminazione fluviale da ammoniaca,
vinil cloruro monomero (VCM), metalli pesanti e quant'altro. Si
consideri ora che il bacino del fiume copre 817.000 km2 di territorio
appartenente a ben 17 paesi dell'Europa Centrale: come sarebbe
possibile pensare che in questo caso il danno subito dalla
ex-Yugoslavia non riguardi anche altri paesi, paesi in alcuni
casi estranei alla guerra in questione?
Il problema Danubio è solo uno degli aspetti della delicata questione
ecologica yugoslava, un altro tema di grande rilevanza che coinvolge
tanto il natural enviroment system quanto l'health system è quello
dell'uranio impoverito. Al di là di dubbi, incertezze, equivoci,
esagerazioni ed insabbiamenti riguardo all'eventuale relazione tra uso
di proiettili all'uranio impoverito ed insorgenza di certe patologie
in soggetti operanti in determinati territori, resta una spinosa
domanda: ipotizzando una qualche correlazione tra gli eventi,
sarebbe corretto parlare di "danni collaterali" limitati agli
obiettivi militari?

Media & guerra: un rapporto difficile ed ambivalente.

A partire da riflessioni di questo tipo è nata l'idea di una ricerca
volta ad indagare il tipo di impatto e di percezione dell'enviromental
risk da parte delle popolazioni locali rispetto alla delicata
questione ambientale e sanitaria in relazione agli eventi bellici del
1999.
Come intraprendere un simile studio senza essere sul campo?

<< while they do not create events, it can be argued that the media do
make the news, in the sense that they draw attention to specific
issues at the expense of others, interpret them in certain ways,
influence opinion or terminate it, almost at will >> (5)

Se è vero che i mezzi di comunicazione di massa hanno un grande potere
nel fare (do make) la notizia, attraverso lo studio della produzione
mediatica di un certo arco temporale dovrebbe potersi ricavare un
quadro generale capace di lasciare intendere presenza, assenza o
eventuale peso di pensieri, tensioni, preoccupazioni presenti nella
società di quel momento.

La Ricerca Sociologica.

Sono stati considerati circa 600 abstracts di articoli di stampa
nazionale yugoslava risalenti ad un arco temporale compreso tra il
Giugno 1999 ed il Dicembre 2002. E' stato possibile usufruire di tale
materiale grazie ad un archivio pre-esistente la cui esaustività è
garantita dal fatto che la spina dorsale dello stesso segue il filo
rosso della tematica ambientale-sanitaria ricorrendo perciò a testate
che hanno affrontato la questione con una certa omogeneità diacronica.
Tra le fonti yugoslave principalmente utilizzate si possono citare: 1)
l'agenzia di stampa Tanjug; 2) Radio B-92; 3) quotidiani come
Politika e Vecernje Novosti; Dnevni Telegraf, Blic, Glas Javnosti,
Danas; 5) quotidiani regionali quali Pancevac.
Una volta raccolto il materiale è iniziata la fase di catalogazione
svolta secondo un criterio sia tematico che cronologico (di tipo
annuale e mensile) e seguita da una sistematizzazione per fonte
(principalmente yugoslava o internazionale).
Oltre alle fonti sopra citate, l'altro importante strumento
metodologico utilizzato per la ricerca è stato quello dell'intervista
semi strutturata e del colloquio in profondità grazie alle quali è
stato possibile formulare riflessioni sulla validità o meno delle
ipotesi di partenza.
Le suddette ipotesi riguardano grosso modo tre sfere di riflessione:
1) modus operandi della stampa in un contesto bellico, ipotizzando
forme di filtraggio e censura a proposito dei gravi danni
ambientali/sanitari veicolati dalla guerra - con particolare
attenzione ai bombardamenti subiti dalle industrie chimiche e
dall'uso di armi all'uranio impoverito - ; 2) natura del conflitto in
ex-Yugoslavia inteso come guerra ecologica sia a livello di
intenzionalità che di effetti; 3) reazioni/dinamiche sviluppatesi
nella popolazione locale a fronte della problematica socio-ambientale,
ipotizzando una sorta di meccanismo di autocensura.
Per testare validità ed attendibilità di tali ipotesi il primo passo è
stato in direzione di confronto rispetto ai dati estrapolati
dall'analisi quali-quantitativa degli articoli analizzati. Dopo aver
creato le sei categorie concettuali di base denominate semplicemente
Voci si è cercato di individuare dei trend d'interesse mediatico nei
confronti dei singoli argomenti per poi cercarne eventuali
spiegazioni. Questo tipo di operazione ha rivelato una pressoché
totale assenza di articoli a proposito della situazione ambientale
fino all'anno 2000 ed un significativo - poiché crescente - interesse
per l'argomento dallo stesso anno in avanti.
Per quanto riguarda il lavoro svolto sui testi delle interviste il
primo passaggio utile è stata l'individuazione di diversi items
ricorrenti. In questo caso le segnalazioni più interessanti
riguardano da una parte l'omogeneità emersa a proposito delle pessime
condizioni ambientali dei siti bombardati dalla Nato e dall'altra la
netta spaccatura a proposito della questione Du (depleted uranium) e
delle operazioni mediatiche effettuate sulle notizie in tempo di
guerra.

Riprendendo dunque in mano le ipotesi iniziali, cosa emerge?
La testimonianza degli articoli pubblicati a partire dall'anno 2000
riguardo ai danni ambientali subiti durante il conflitto del 1999
spinge in direzione affermativa rispetto ad una constatazione di
effettualità del danno degna di una guerra ecologica e d'altro canto
interviste e colloquio in profondità portano verso una parallela
conferma dell'intenzionalità con la quale sono stati effettuati certi
tipi di bombardamenti.
Rispetto alla prima ipotesi sia l'analisi degli articoli che quella
delle interviste portano nella stessa direzione: la conferma di una
censura della stampa yugoslava durante e dopo il conflitto del 1999,
operazione attuata tramite un filtro delle informazioni.
Ciò che risulta quasi paradossale è il fatto che sull'altare del
mantenimento del public order sia stata immolata la possibilità di
denuncia rispetto ai gravi danni socio-ambientali riconducibili agli
attacchi aerei Nato in ex-Yugoslavia e ciò rimanda all'ultima ipotesi
formulata.
Scegliere di tacere riguardo ad alcune delle più pesanti conseguenze
dei bombardamenti non potrebbe forse indicare una specie di ambigua
complicità tra vittima e carnefice?
In questo caso i trend non aiutano poiché la vera fonte da considerare
sono piuttosto le interviste ed il colloquio da cui si ricavano
elementi convergenti verso la possibilità di una eventuale sorta di
autocensura scattata nelle popolazioni locali a proposito del rischio
ambientale-sanitario del loro territorio.

F. Alessandrini
federicalessandrini@...


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1) Tesi di laurea di Federica Alessandrini in Scienze Politiche
(Bologna), Indirizzo Politico-Sociale, Sociologia dello Sviluppo, 19
Marzo 2003:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/VARIE/alessandrini.z=
ip

2) A. Dobson, M. Waller, K. Drezov, B.Gökay, Kosovo, the politics of
delusion, Frank Cass Ed., London, 2001, p. 138.

3) Rapporto Unep, 1999.

4) T. Weymouth & S. Henig, The Kosovo Crisis. The last American War in
Europe?, Reuters, London, 2001, p.143.

5) M. Thompson, Forging War. The Media in Serbia, Croatia, Bosnia and
Erzegovina, University of Luton Press, 1999, p.21.

ÉLIE WIESEL PRIX NOBEL DE LA GUERRE

Élie Wiesel, prix Nobel de la Paix en 1986, publiait dans San
Francisco Chronicle le 12 mars 2003 un article appuyant la politique
des États-Unis face à Saddam Hussein.

Dans cet article Wiesel déclare, à propos de la guerre en Irak, qu'en
toute autre circonstance il aurait sans doute rejoint les marcheurs
de la paix. Quand on connaît les prises de position du Prix Nobel de
la paix, dans des conflits antérieurs, on se demande quelles doivent
être les circonstances d'une guerre pour que Wiesel rejoigne les
marcheurs de la paix? Il suffit d'examiner ses attitudes dans des
conflits récents pour douter de sa sincérité.

Ainsi, lors de la première guerre dans le Golf, Élie Wiesel brillait
par son absence parmi les marcheurs de la paix. Pourtant, dans le même
article il se demande si la guerre n'est pas la cruauté absolue et la
forme ultime de la violence. Enfin, à propos de la guerre en
Afghanistan, Élie Wiesel se tait aussi bien à propos du massacre des
prisonniers talibans que d'internement des survivants à la base de
Guantanamo, privés de toute protection juridique et enfermés dans des
cages, comme des fauves.

Mais si dans ces deux cas, l'intervention armée des États-Unis ait pu
paraître en partie justifiée par l'invasion de Kuweit et le fanatisme
des talibans, ce sont des conflits en Yougoslavie et la dernière
guerre contre Irak qui avaient mis en lumières l'alignement
inconditionnel d'Élie Wiesel sur la politique des États-Unis.

Dans l'article mentionné, Élie Wiesel affirme, en parfait accord avec
le président Bush, que Saddam Hussein était un tyran impitoyable d'un
État voyou, mais il oublie de rappeler que les États-Unis l'avait
soutenu tant qu'il faisait la guerre contre l'Iran. Quant à
l'épouvantail des armes prohibées dont Saddam aurait pu se servir,
Wiesel croit à leur existence, car il croit à la parole de Colin
Powell: « un homme d'un tel calibre ne risquerait pas sans raison son
nom, sa carrière, son prestige, son passé, son honneur ». On reste
perplexe devant la crédibilité d'Élie Wiesel. Ou elle frise la
jobardise ou elle est feinte. Dans ce dernier cas Wiesel suppose, à
tort, l'opinion publique capable d'avaler des pareilles couleuvres.
Or, voici qu'un mois après la fin des hostilités, les troupes
anglo-américaines n'ont pas trouvé la moindre trace de ces armes de
destruction massive. Élie Wiesel, est-il pris de doutes, de remords
d'avoir proféré un mensonge? La question ne se pose même pas. Le grand
homme se terre dans le silence, car il compte sur notre amnésie.

Mais c'est probablement dans le conflit qui avait déchiré
l'ex-Yougoslavie qu'apparaît le plus clairement l'ambiguïté d'Élie
Wiesel, l'homme de la paix virtuel et de la guerre réelle. Dans son
article, il affirme que seule une intervention militaire avait pu
mettre fin au bain du sang dans les Balkans. En effet, le 13 décembre
1995, Wiesel avait déclaré dans le bureau ovale de la Maison Blanche
et en présence du président Clinton que l'envoie des troupes de
maintien de la paix en Bosnie est un impératif moral. Fidèle à lui
même, il évoque la morale pour justifier les visées géostratégiques
des États-Unis et d'Allemagne, des véritables maîtres d'œuvre de cette
guerre.

Il est impossible d'imaginer que Élie Wiesel ne le savait pas, lui qui
fraie le gratin politique et intellectuel de son pays d'adoption. Si on
en doutait de cette réalité, il suffirait de relire les journaux
européens du décembre 1991 pour se rappeler que dans la nuit du 17 au
18 décembre 1991 le ministre allemand des affaires étrangères Hans
Dietrich Genscher avait arraché à Rolland Dumas, ministre des affaire
étrangères de la France, la reconnaissance de la Slovénie et de la
Croatie par les pays européens, ce qui a mis le feu aux poudres.
L'armement de la Croatie par l'Allemagne réunifiée et des musulmans
par des avions cargo américains atterrissant la nuit à l'aéroport de
Tuzla, en dépit de l'embargo sur les armes proclamées par les Nations
Unies, sont des secrets de polichinelle. Par la décomposition de la
Yougoslavie l'Allemagne avait enfin réalisé son vieux rêve de faire
disparaître le dernier vestige du traité de Versailles.

Pour ce qui est de la guerre en Bosnie tout se passait comme si dans
les esprits de certains dirigeants occidentaux ce conflit se présenta
comme une occasion unique de faire un deal avec le monde islamique :
concluons la paix en Israël et en contre partie vous aurez un État
musulman en Bosnie. Comment expliquer autrement sa charge contre les
Serbes dans son article du Time du 7 août 1995 et son support pour un
fondamentaliste islamique tel que Alia Izetbegovitch, auteur de la
fameuse Déclaration islamique qui prône l'incompatibilité d'un État
laïque avec la charia ?

Dans la politique tous les accords se font sur le principe du donnant
donnant, Hélène Carrère d'Encausse dixit. Elie Wiesel était le
complice conscient de cette politique.

Toutes les sanctions économiques contre la Yougoslavie et les actions
militaires contre les Serbes en Bosnie ont été justifiées par des
prétendus massacres commis par les Serbes. Or nous disposons
aujourd'hui des témoignages irrévocables prouvant qu'au moins deux de
ces massacres étaient organisés par les musulmans. Le premier de ces
massacres se produisit le 27 mai 1992 devant une boulangerie de la rue
Vasa Miskin à Sarajevo. Le général canadien Lewis MacKenzie, le
premier commandant des troupes des Nations Unies à Sarajevo, témoin
privilégié, écrit à ce propos dans son livre The road to Sarajevo :

« La présidence bosniaque dénonce un bombardement serbe. Les Serbes
parlent d'une charge explosive préparée à l'avance. Nos soldats (les
Canadiens) disent qu'il y a un certain nombre de détails qui ne
collent pas. La rue a été bloquée juste avant l'incident. Une fois la
file d'attente formée, les médias bosniaques ont fait leur apparition,
mais sont restés à distance avant de se ruer sur les lieux sitôt
l'attaque terminée ».

La première intervention militaire contre les Serbes de Bosnie s'était
produite suite au massacre de la place de Marcalé, commis prétendument
par les Serbes. D'après Le Nouvel Observateur du 31 août 1995, Édouard
Balladur, premier ministre français et les généraux français savaient
très bien que ce massacre n'était pas l'œuvre des Serbes, mais il a
permit à l'Otan de sortir de ses atermoiements. Donc les Serbes ont
été bombardé pour raison de commodité. Du moins Édouard Balladur a eu
le courage de dire « nul ne le conteste, pour gouverner, il arrive
qu'il faille recourir à des procédés qui ont peu à voir avec la morale
courante « ( Les mots des politiques, Éditions Ramsay, 1996).

Élie Wiesel ne pouvait pas ignorer ces faits, comme il ne pouvait pas
ignorer la mise en scène du massacre de Ratchak au Kosovo en 1999 car
celui-ci avait servi du prétexte pour déclencher la guerre contre la
Yougoslavie en mars de la même année, mais il continuait de se taire.

Ceci nous amène à poser la question si désormais le prix Nobel de la
Paix ne devait pas être attribué à titre posthume. Le cas d'Élie
Wiesel montre qu'un récipiendaire du prix Nobel de la paix peut de son
vivant se métamorphoser en un partisan de la guerre.

Il est probable aussi que si les membres de l'Académie norvégienne
s'étaient donnée la peine de lire le livre de Wiesel Legends of our
times, publié pour la première fois en 1968 chez Schocken Books, New
York, ils auraient réfléchi deux fois avant de lui donner le
prestigieux prix. Ils auraient pu y trouver notamment la phrase
suivante: « Chaque Juif, quelque part dans son être, doit instaurer une
zone de haine – une haine saine, une haine virile - pour tout ce que
les Allemands personnifient et représentent. Faire autrement serait
trahir les morts ».

Sans doute, Élie Wiesel a souffert dans sa chair à Auschwitz et on
peut comprendre qu'il ne porte pas les Allemands dans son cœur, mais
de là à faire l'apologie de la haine de tout un peuple, il y a là
quelque chose d'incompatible avec un homme qui aspire à être la
conscience universelle. Et puis, qui peut le nier, la haine n'est-elle
pas en dernière instance le désir de meurtre ?

À propos d'Élie Wiesel, on ne peut s'empêcher de penser à Primo Lévi,
un autre juif rescapé du camp d'Auschwitz et qu'on est tenté de
regarder comme antithèse de Wiesel. Il en est sur plusieurs plans. À
sa libération il reprend son métier d'ingénieur chimiste et fuit les
honneurs, les mondanités et surtout la fréquentations des puissants de
ce monde. Dans sa volonté de comprendre, il ira jusqu'à établir le
contact avec celui qui fut son chef au laboratoire de chimie à
Auschwitz et seule la mort de cet homme l'empêchera de le rencontrer.
Dans son œuvre magistrale, en grande partie autobiographique, la haine
d'Allemand est totalement absente. Lévi ne s'instaure pas le juge
suprême du Bien et du Mal, comme le fait Wiesel qui s'approprie ainsi
des attributs de Dieu. Pour un homme, qui se dit croyant, cette
appropriation abusive laisse une impression de malaise. L'œuvre de
Lévi pose implicitement la question fondamentale: comment un univers
concentrationnaire ait pu éclore au pays de Goethe et de Beethoven ?
C'est finalement la même question que Soljenitsyne pose pour la
Russie, patrie de Dostoïevski et de Tchaïkovski.

Plus je réfléchis sur ces deux rescapés d'Auschwitz, plus mes
préférences vont à Primo Lévi.


Trois-Rivieres (Canada), 15 mai 2003

Négovan Rajic

negovan.rajic@...