Informazione

* IL MITO DEL TIBET (analisi sulle manovre statunitensi per la
secessione
del Tibet dalla Repubblica Popolare Cinese; "Il Manifesto")
* LE VITTIME DELLA NATO CHIEDONO GIUSTIZIA (Il "Quotidiano del Popolo"
di Pechino sulla guerra "umanitaria" della NATO contro la RF di
Jugoslavia)
* CONSIDERAZIONI SULLA SETTA FALUN GONG (Dirk Nimmegeers)


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"Il Manifesto" del 9 Gennaio 2000:

CINA UNA CRISI ALLA FRONTIERA DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA

Il mito del Tibet

Dall'Impero a Mao, un popolo in gioco tra "modernizzazioni" di Pechino e
interessi occidentali in Asia. La fuga del "giovane Buddha" dalla storia
all'immaginario

- ENRICA COLLOTTI PISCHEL -

La notizia della fuga dalla Cina del giovanissimo Lama Ugyen Trinley
Dorje, terza autorità nella gerarchia delle reincarnazioni del buddhismo
tibetano stata ritenuta molto ghiotta dai giornali italiani e viene
considerata un grave scacco per il governo cinese che non sarebbe
riuscito
a impedirla, nonostante il proprio apparato militare.
Quest'interpretazione
ignora che i cinesi non hanno mai fatto nulla per fermare la fuga dei
rappresentanti politici e religiosi tibetani dalla Cina: nel 1959
l'intera
classe dirigente tibetana, con alla testa il Dalai Lama si allontanò da
Lhasa con una lunga fuga a piedi, nonostante il pattugliamento degli
aerei
da combattimento cinesi. Fa parte della politica delle autorità cinesi
il
pensare che gli avversari è sempre meglio tenerli fuori del paese che
dentro, meglio lontani dai loro adepti che vicini. Se poi le circostanze
equivoche di quest'ultimo episodio - cioè la mancata condanna di Pechino
-
possano far pensare a ipotesi di contatti con il Dalai Lama e di
trattative
di conciliazione, è difficile dirlo ora. Certamente il fatto che la
grande
organizzazione propagandistica che negli Stati Uniti (ma anche in Europa
e
nello stesso nostro scafato e realistico paese) sostiene la causa
dell'indipendenza tibetana si sia buttata sull'episodio, non rende certo
facile un'intesa: i cinesi sanno fare molto bene i compromessi e sono
disposti a concluderli quando siano convenienti. Ma ritengono che
debbano
essere cercati e raggiunti con la massima discrezione e comunque al di
fuori di pressioni che li possano far apparire come una resa a pressioni
straniere.

E non dimentichiamo mai che "straniero" per l'intera Asia orientale
nell'ultimo secolo e mezzo ha significato umiliazione e asservimento: di
essa fece parte anche il tentativo pi volte condotto di staccare il
Tibet
dalla Cina.

Il più povero

Molte cose dovrebbero essere dette a proposito del mito del Tibet che ha
preso piede, anche nei ranghi della sinistra. Dal cinematografico
"Shangri-la", al di fuori del tempo, dello spazio e del clima, alle
ovvie
seduzioni di turismo "estremo", dalle tendenze a vedere esempi validi in
civiltà rimaste primitive e tagliate fuori dal processo della storia,
alla
sistematica disinformazione diffusa da potenti mezzi mediatici
statunitensi
e al fascino che sugli occidentali delusi esercitano le religioni e le
ideologie esotiche ed esoteriche, tutto confluito in un'affabulazione
della
quale sono stati vittime in primo luogo proprio i tibetani.

Certamente sono uno dei popoli più poveri del mondo, esposti a
molteplici
forme di oppressione: tra esse quella cinese è stata con ogni
probabilità
meno gravosa di quella esercitata dai monaci e dagli aristocratici, dei
quali i pastori e i contadini erano fino al 1959 "schiavi", nel senso
letterale del termine, in quanto sottoposti al diritto di vita e di
morte
dei loro padroni. Che poi tutti, ma con ben diverso vantaggio,
trovassero
conforto nel ricorso ad una delle forme più degradate di buddhismo (il
buddhismo tantrico tibetano popolato di fantasmi e di incantesimi ha ben
poco a che vedere con la meditazione intellettuale e la creatività
artistica dello Zen), si può anche comprenderlo.

Per fare un minimo di chiarezza è necessario comunque precisare alcune
cose. Il Tibet non stato "conquistato dalla Cina comunista nel 1950":
dopo
precedenti più discontinui rapporti, fu conquistato dall'impero cinese,
nella prima metà del secolo XVIII e da allora stato considerato parte
dello
stato cinese da tutti i governi della Cina, anche dal Guomindang. La
Cina
(in cinese "Stato del Centro") è stato ed è uno stato multietnico nel
quale
è in corso da millenni un processo di trasferimenti di gruppi etnici e
soprattutto di fusione dei gruppi periferici entro quello più importante
che rappresenta nove decimi dei cinesi ed è sempre stato capace di
offrire
ai suoi membri una maggiore prosperità e i benefici di una cultura più
concreta. Mettere in discussione la natura multietnica della civiltà e
dello stato cinesi significherebbe mettere in moto la più spaventosa
catastrofe degli ultimi secoli. Quella praticata dalla Cina non è mai
stata
una politica di "pulizia etnica" bensì di fusione entro un insieme non
etnico ma contraddistinto da una comune cultura e da comuni pratiche
produttive: più che sterminarle, i cinesi hanno comprato le minoranze.
E'
vero che i tibetani per ragioni geografiche sono, entro lo "Stato del
Centro" il gruppo più lontano dalla comune cultura, però da 250 anni
sono
stati sempre governati da funzionari cinesi nominati dal governo
centrale:
giuridicamente e istituzionalmente ciò ha un senso. Gli inglesi
all'apice
del loro potere sull'India all'inizio del secolo XX intrapresero,
tuttavia,
una serie di manovre per staccare il Tibet dalla Cina e porlo sotto la
loro
influenza giungendo, nel 1913 a convocare una conferenza a Simla nella
quale le autorità tibetane cedettero vasti territori all'India
britannica.
Nessun governo cinese ha mai accettato la validità di quella conferenza.
Nel periodo precedente il 1949 il governo del Guomindang considerava il
Tibet a pieno diritto, parte del proprio territorio, tanto che durante
la
Seconda guerra mondiale concedeva il diritto di sorvolo agli aerei
alleati.

Il ruolo della Cia

Non ha quindi alcun senso dire che la Cina conquistò il Tibet nel 1950;
nel
1950 le forze di Mao completarono in Tibet il controllo sul territorio
cinese; nel 1951 fu raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la
concessione di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno
dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti inglesi e
americani
fomentarono una rivolta dei gruppi di tibetani arroccati sulle montagne
delle regioni cinesi del Sichuan e dello Yunnan, lungo la strada che
dalla
Cina porta al Tibet; i cinesi repressero certamente la rivolta con pugno
di
ferro: nelle circostanze internazionali nelle quali si trovavano e nel
loro
contesto etnico non era razionale pensare che si comportassero
diversamente. Alla fine del 1958 i servizi segreti inglesi annunciarono,
che all'inizio del 1959 essa si sarebbe trasferita a Lhasa e avrebbe
cercato l'appoggio del Dalai Lama. Ed infatti ciò che avvenne: sullo
sfondo
della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto l'accordo per il regime
autonomo e fuggì con la maggioranza della classe dirigente tibetana in
India, dove costituì un proprio governo in esilio e il proprio centro di
propaganda. Nessun governo al mondo ha riconosciuto questa compagine.
Recentemente la Cia (i servizi segreti americani sono infatti obbligati
a
rendicontare prima o poi le loro spese di fronte ai contribuenti) ha
ammesso di aver finanziato tutta l'operazione della rivolta tibetana.

Pechino: autonomia no

Dopo il 1959 il governo cinese spossessò monasteri e aristocratici e
"liberò gli schiavi", iniziando una politica di modernizzazione forzosa
(vaccinazioni, costruzione di opere pubbliche) e di formazione di una
classe dirigente locale, figlia di schiavi, sottoposta a un
bombardamento
educativo razionalista e anti-religioso. Furono questi giovani che
durante
la rivoluzione culturale distrussero templi e monasteri, infliggendo
gravi
danni a un patrimonio culturale unico e a un'identità certo non
abbandonata
dalle masse.

Dopo la morte di Mao, i governanti cinesi hanno cercato di ristabilire i
rapporti con i tibetani, migliorando le sorti economiche dell'altipiano
ma
importando anche gran numero di cinesi, non solo militari. Hanno anche
trattato indirettamente con il Dalai Lama, che - politico asiatico molto
scaltro - non chiede l'indipendenza, ma una più o meno larga autonomia:
Pechino non ha mai tuttavia voluto concedere un reale autogoverno, che
aprirebbe rischi di secessione e metterebbe in discussione tutti i
rapporti
etnici del vasto paese. Alle spalle del Dalai Lama si è sviluppato,
intanto, un vasto insieme di interessi della classe dirigente tibetana
che
ormai è nata all'estero e vi ha ricevuto una formazione culturale
moderna:
è questa che chiede un'indipendenza che potrebbe essere ottenuta solo
con
una guerra spietata alla Cina e potrebbe essere innestata dal
reclutamento
di giovani guerriglieri in India - segnali "terroristici" in questo
senso
ci sono già stati. Erano proprio dissennati i governanti cinesi che
ritenevano che l'attacco alla Serbia motivato dalla difesa dei "diritti
umani" in Kosovo fosse in effetti la prova generale di un attacco alla
Cina?

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STOP NATO: ¡NO PASARAN! - HTTP://WWW.STOPNATO.HOME-PAGE.ORG

http://web4.peopledaily.com.cn/english/200001/11/eng20000111F103.html

Peoples Daily (Cn), January 11, 2000
A Demand for International Justice from the Victimized

Soon after fireworks were let off at the advent of 2000 there has been
filed the second time by the Federal Republic of Yugoslavia a lawsuit at
the International Court decrying NATO's war atrocities against the
Yugoslav people in violation of principles and norms governing
international relations between countries.
Yugoslavia is obviously not a country that has suffered from amnesia nor
has it chosen terrorism to avenge itself on sufferings from "organized
terrorist crimes" of NATO headed by the US. It lodges likewise its
second complaint at the international court in pointing to its full
respect for international laws and its responsible principled demand for
justice from the international community.
Contrarily, the US and its ally NATO brag unblushingly about their war
atrocities committed against Yugoslavia as those "in complete accord
with international laws". But by international laws no interference in
the internal affairs of other countries or encroachments on their
sovereignty should be allowed. NATO and the US have conveyed their full
blatancy by denying the illegality of their aggression and atrocities
committed against a small country like Yugoslavia. A thing to be noted
is that by "just and mild" legal principles of the International Court,
just as things stand with the present panel of the court, Yugoslavia as
the victimized part can in the least be favored by decisions to be made
irrespective of its complaint placed. But this does not deny the
significance of Yugoslavia's complaint lodged at the International Court
against NATO and the US. Though Yugoslavia may fail in such a suit of
"war" against "organized terrorist crimes" by NATO and the US yet it
represents still the righteous demand of a nation for international
justice.
At a time as is now when NATO has by its Kosovo war brought an accursed
stain on the new bright 21st century the world people should be alerted
to the fact that dark clouds have already been thrown up by Western
power politics over world peace. It is by no means pointless for
Yugoslavia to renew its lawsuit and demand for justice from the
international community and a brand-new world order by lodging at the
International Court its accusations against crimes NATO and US
committed.
A variety of game rules have been produced by the US and its ally NATO
in regard to the sovereignty of other nations during the few years from
Gulf war to the Kosovo war. Back in 1990, when Iraq made inroads into
Kuwait the US and Britain directly unsheathed their sword on the pretext
of defending "principles on sovereignty". But by 1999, from US-led
NATO's Kosovo war there was suddenly produced such a pseudo theory as
"protecting human rights" at the expense of "principles on sovereignty"
originally they much flaunted. A saying by a handful of Americans is
that since the world has been engulfed in a tidal wave of globalization
the "principles on sovereignty" have become an outmoded concept in
defining the territorial rights of different states and their national
interest. But following the American logic, they themselves should be
excepted for they have still to be comforted by their own type of
"American interests". This is to say when the US has not been self
bestowed with the right to brag about various types of world interests
simply theirs it will find it hard to give a satisfactory explanation of
what it has asserted about the like fallacies as "human rights
transcending sovereignty". We should say international rules must be
worked out by a coordinated effort of the peoples of the whole world.
This is where the right sort of "human rights" and genuine democracy can
be produced and enjoyed by the peoples of the whole world.
In international politics, it is by no means a rare phenomenon for the
big to bully the small and strong to browbeat the weak. In spite of the
fact that though against Western power politics not a strong rival force
has yet risen in today's world since NATO launched its barbarous Kosovo
war in Yugoslavia people should in no way give up their hope and demand
for justice from the international community. High credit should
therefore be given to the Federal Republic of Yugoslavia since it has
lodged at the International Court its accusation against the US and its
ally NATO and the support given by the Italian Reconstructed Communist
Party to the Yugoslav people in their fight against Western power
politics.
A French writer has put it rightly. He said a people's foreign policy
can be bought but not the dreams or memories of such a nation. In the
brand-new 2000, instead of forgetting yesterday's sufferings the Federal
Republic of Yugoslavia clings all the same to its hope and demand for
justice from a responsive international community tomorrow.

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La Chine arrête les dirigeants de Falun Gong

Une secte qui tue

Le gouvernement chinois a mis sous les verrous de gros bonzes de la
secte Falun Gong, hors-la-loi,sans doute
responsable de 1.400 morts: des victimes crédules qui ne consultaient
plus le médecin mais espéraient que la
guérison viendrait de Falun Gong.

Dirk Nimmegeers*

Le 25 avril 1999, la secte Falun Gong rameute dix mille manifestants:
pendant 13 heures, ils occupent le quartier de
Zhongnanhai, où les hauts dirigeants et cadres supérieurs du parti ont
leurs bureaux et logements. Le 22 juillet, la secte
est interdite. Répression contre la liberté de culte? Muselage de la
libre expression? Voyons plutôt ce qui a provoqué ces
mesures.

Un an avant l?interdiction de la secte Falun Gong, Li Hongzhi, son
fondateur, émigre vers les Etats-Unis. A l?origine, il
pratique le qigong, une combinaison d?arts martiaux, de méditation et de
technique de respiration. En 1992, Li inaugure
son propre dogme, une concoction de qigong et d?idées bouddhistes et
taoïstes isolées de leur contexte: Falun Gong est né.

N?allez pas chez le médecin...

Li et ses assistants commencent à dispenser thérapies, formations et à
vendre toutes sortes de produits. Cela rapporte une
fortune. Ils déclarent suspectes toutes formes de médecines et superflus
les médecins, car 'avec Falun Gong, toutes les
douleurs physiques s?en vont et on atteint sa propre paix intérieure.'1

A partir de 1992, Li fondera 39 centres en Chine, dont dépendent 1.900
écoles et 28.000 salles d?exercices. Falun Gong
revendique cent millions de membres, les autorités chinoises estiment
qu?ils sont deux millions tout au plus.

Mais il y a des morts. Des adeptes croient que la maladie est imputable
à de mauvaises actions commises dans une vie
antérieure et que seuls les exercices de Falun Gong peuvent les guérir.
Ils laissent tomber médecin et médication. Certains
deviennent dépressifs ou sont obsédés par la prévision de la fin du
monde. De la sorte, la secte cause 1.400 décès et des
centaines de cas de maladies mentales.

A chaque critique des médias, Falun Gong fomente des bagarres. En août
1996, des membres de la secte entourent les
bureaux du Journal de Guangming. Occupations et sièges en règle de
journaux, de stations tv et radio se succèdent.
L?agence de presse Xinhua compte 78 manifestations non autorisées
impliquant chaque fois plus de 300 personnes. Les
revues médicales qui invitent les gens à refaire confiance en la
médecine reçoivent des visites menaçantes.

Début 1998, un nombre surprenant de rixes éclatent à Chongqing, dans le
Sud-Ouest. Le service de la sûreté publique
constate que toutes les actions sont dirigées par un solide réseau dont
le quartier général n?est autre que le principal siège
de Falun Gong à Pékin.2

La secte infiltre le Parti communiste et les ministères

Bientôt, il apparaît que le mouvement a infiltré certaines sections du
Parti communiste et des instances
gouvernementales. Deux des quatre dirigeants nationaux de Falun Gong qui
comparaîtront sont d?anciens fonctionnaires
de ministères importants. Il s?agit de Wang Zhiwen et de Li Chang. Ce
dernier travaillait encore il y a peu au ministère de
la Sûreté publique.3

En avril 1999, le professeur He Zuoxiu, de l?Académie chinoise des
Sciences, critique l?influence du qigong sur les jeunes.
Falun Gong saute sur l?occasion pour organiser ce qui sera, selon les
médias, ?la plus importante manif depuis Tien An
Men?.

Le gouvernement décide d?interdire la secte et sa propagande. La Chine
lance un mandat d?arrêt international contre Li
Hongzhi. Un avertissement est également adressé aux voyants
extralucides, vendeurs de perlimpimpin et autres semeurs
de superstitions. Le 30 octobre, le Congrès National du Peuple,
l?assemblée populaire suprême de la Chine, promulgue
une loi contre les sectes nuisibles.

Li Baoku, porte-parole gouvernemental, déclare: 'Celui qui veut suivre
le dogme de Falun Gong ne sera pas poursuivi à
condition qu?il rompe tous liens avec l?organisation, déclarée
hors-la-loi. L?interdiction ne vaut pas pour les groupes
de qigong qui s?en tiennent à l?observance des lois. Il y a une grande
différence entre la masse des simples adhérents, qui
ont été abusés, et la petite bande des dirigeants de la secte, qui les
ont trompés ou manipulés.'4

Et l?officielle agence de presse Xinhua indique: 'Le problème Falun Gong
a un contexte social et international
profondément enraciné. C?est une lutte politique entre le Parti
communiste et certaines forces intérieures et étrangères.
L?enjeu est de savoir qui va attirer à soi les masses. (...)' L?agence
de presse appelle la classe ouvrière à se détourner de
Falun Gong et de son influence.5

Deux cents dirigeants sont arrêtés mais la plupart sont remis en
liberté. A l?issue de manifestations, la police retient
brièvement quelques personnes. Pékin s?efforce de faire savoir aux
nombreux adeptes du taï-chi et du qigong qu?ils ne
sont en rien visés. Dans les parc, on voit toujours de nombreuses
personnes se livrer à leur gymnastique matinale.6

Claudio Cervini, un Italien qui travaille à Pékin depuis 1991, écrit:
'Ceux qui veulent maintenir la secte en place
s?opposent au gouvernement et ne sont pas conséquents car ils prétendent
toujours ne pas faire de politique et ne vouloir
que méditer et se développer. Les gens qui veulent s?adonner à la
méditation et à la quiétude spirituelle peuvent le faire
en d?innombrables endroits de Pékin. Je suis écoeuré de lire des
articles occidentaux accusant les autorités de
poursuivre des innocents. Tout étranger vivant ici peut se rendre compte
que ce n?est pas vrai.'

* Dirk Nimmegeers collabore à La Chine aujourd?hui, périodique de
l?Association Belgique-Chine. Pour plus d?infos
sur Falun Gong, consultez le site www.china.org.cn.

1. Conférencier de Falun Gong pour le Benelux, NRC, 27 novembre 1999 ?
2. Ibidem ? 3. Le Monde, 3 novembre 1999 ? 4.
China Daily, 24 juillet 1999 ? 5. Xinhua, 2 août 1999 ? 6. Michael
Kramer, correspondant de Reuters sur le website Asia
on line, 24 août 1999.


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
------------------------------------------------------------
QUIZ


Il "Machiavelli serbo", il "grande burattinaio", e' "geloso" dei suoi
"impronunciabili segreti", "ama l'ombra", "odia chi sceglie il sole", lo
"zar delle tenebre", il "signore del male", cui non importa "della
nazione ne' tanto meno dei suoi sudditi serbi" e "ai feudatari elargisce
solo prebende", poi "li elimina", come "uno scorpione circondato dalle
fiamme".
Di chi stiamo parlando?

(La soluzione sull'articolo di Mauro Manzin dedicato all'assassinio di
Arkan, su "Il Piccolo" del 18 gennaio 2000)


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
** NO COPYRIGHT ! **
------------------------------------------------------------
NON OPERE DI BENE, MA FIORI IN ABBONDANZA

"Francesco Cossiga e' in Croazia per una visita di due giorni durante la
quale deporra' una corona di fiori sulla tomba del Presidente Franjo
Tudjman, morto il 10 dicembre. Cossiga sara' ospite della famiglia
Tudjman e incontrera' il presidente ad interim Pavletic. Cossiga avra'
colloqui anche con l'arcivescovo di Zagabria Bozanic e deporra' un
bouquet di fiori sulla tomba del beato Stepinac in Cattedrale."

(da "Il Piccolo" 20/01/2000)


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
** NO COPYRIGHT ! **
------------------------------------------------------------
*** Sulla continua distruzione del patrimonio culturale rappresentato
dalle chiese ortodosse (ormai piu' di 80 a pezzi) in Kosovo e Metohija
si vedano ad esempio le pagine
http://www.serbia-info.com/news/2000-01/17/16783.html
http://www.decani.yunet.com/

*** Assassinato un altro kosovaro-albanese iscritto al Partito
Socialista
Serbo; Attacco terrorista UCK fuori dal Kosovo; L'UCK figlio dei servizi
segreti statunitensi, tedeschi e britannici (Tanjug 18/1/00)

*** Un missile contro il vescovo Artemije; tolte le barricate dei serbi
tra Pristina e Skoplje; vari "incidenti"; gravi danni alla chiesa di
Cernica
per una bomba (FreeB92, 16-23/1/00)

*** Due giovani feriti mentre guidano la macchina (AP 20/1/00)

*** Sterminata una famiglia di slavi musulmani ("Il Manifesto" 13/01/00)

*** Tre articoli di Renzo Tassotti sulla violenza razzista che continua
indisturbata, da "Il manifesto"

*** L'UCK cerca la provocazione per "sfondare" in Serbia centrale
("Il Manifesto", 19/1/00)

*** La RF di Jugoslavia nonostante tutto ancora fa appello al
Consiglio di sicurezza dell'ONU per fermare il genocidio (AFP 21/1/00)

*** Il sergente USA assassino non era da solo (stopnato@...)


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MURDER OF ETHNIC ALBANIAN LOYAL TO SERBIAN CONSTITUTION
VRANJE, SERBIA, January 18 (Tanjug) - The Vice President of the local
branch of the Socialist Party of Serbia (SPS) Chemalj Mustafi, who is
also
the principle of a local elementary school, was killed on Monday morning
on
a country road linking the villages of Djordjevac and Muhovac, near
Bujanovac, close to Vranje in southern Serbia, an area outside KFOR and
UNMIK-administered territory, Vranje District Prosecutor Milan Bozilovic
said on Tuesday.
Mustafi was killed in a wood close to the village and about 60
machinegun
cartridges were found on the crime scene.
The unarmed victim was a teacher in the Djordjevac school and the
principle of the Muhovac school.
The police said that the investigation was underway and that it is
believed that the crime may have been committed by ethnic Albanian
terrorists.

ARMED ATTACK ON POLICE CHECKPOINT IN SERBIAN TOWN OF VRANJE
VRANJE, SERBIA, January 18 (Tanjug) - Mortar fire was opened on Monday
night at a police checkpoint in the village of Konculj, near Bujanovac,
close to Vranje in southern Serbia, Vranje District Public Prosecutor
Milan
Bozilovic said on Tuesday.
Several mortars were fired from the direction of the village of Dobrosin
but, luckily, no one was hurt.
The police said that it is believed the attack was carried out by ethnic
Albanian bandits and terrorists.

KLA TRAINED BY CIA, BND, SAS
BUCHAREST, January 18 (Tanjug) - The ethnic Albanian terrorist
organisation calling itself Kosovo Liberation Army (KLA) was trained for
action by the United States' CIA, Germany's BND and Britain's SAS,
Romania's Ziua newspaper said quoting several sources as saying.
The paper quoted the sources as saying also that Agim Ceku, commander of
the so-called Kosovo Protection Corps, was on the list of war crimes
indictees by the International Criminal Tribunal in The Hague.
The fact that the paper is of rightist orientation and backs the United
States gives additional weight to the item on KLA's activity and,
according
to some Romanian analysts, either signals that some power-wielders are
changing their attitude towards Ceku and his followers or that these
power-wielders have arrived at the conclusion that there is no point in
betting on a losing horse.
The paper pointed to the well-known fact that Ceku had been trained by
U.S. reserve generals at the Military Professional Resources company.
The
company had signed a deal with the Croatian Defence Ministry in 1994.
The
paper said that the company had signed another deal with Croatia at a
later
stage as well as with KLA.
Ziua said that, in 1991, Ceku, who was then captain in the Yugoslav
People's Army (JNA), had deserted from JNA and joined Croatian
paramilitary
forces.
Ceku was one of the persons who had organised the first attack on JNA
barracks in Gospic on September 18, 1991. After seizing the barracks,
Ceku
and his followers had abducted and killed 156 most prominent Serbs in
Gospic and burned their bodies.
Ceku also took part in the massacre of 87 Serb civilians in the Medak
pocket.
He also 'distinguished' himself in the Croatian Army's Operation Storm
that triggered an exodus of about 300,000 Serb refugees who had been
forced
to flee their homes in Banija, Kordun and Lika.

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From: http://www.freeb92.net/

Orahovac Albanians throw missiles at Bishop Artemije (23/1/00)

KOSOVO, Sunday - Several hundred Albanians from Orahovac threw stones
and
assorted missiles at the car transporting Bishop Artemije through
Orahovac
yesterday. The angry crowd carried placards accusing Artemije of war
crimes
in Kosovo. Bishop Artemije consequently cancelled the meeting he had
scheduled with Albanians in the town.

Blockade of main road from Pristina to Skoplje brought to an end
(22/1/00)

KOSOVO, Saturday - Citizens from the village of Caglavica brought an end
to
their blockade of the main road from Pristina to Skoplje today after
reaching
agreement with KFOR. KFOR promised to provide the village with greater
security and to control all movements in and out of the village. Serbs
had
blocked this road in protest at a previous mortar attack where one
building
in the village was destroyed.

Kosovo incidents (20/1/00)

KOSOVSKA MITROVICA, Thursday - Two eighteen-year-old Serbs are in the
Kosovska Mitrovica hospital following a hand grenade explosion in the
northern part of the town. Their condition is reported to be stable.
Witnesses say that the grenade was thrown by a group of Albanian youths
who
had earlier been throwing fireworks at the two boys.

In Kosovo Polje an explosive device was thrown at the house of a local
Serb.
The attackers fled through back streets and were not apprehended. There
were
no casualties in the incident.

A United Nations civilian police patrol has been missing since yesterday
afternoon. The mine disposal patrol, one Canadian and one Swedish
officer was
last seen on the Pristina-Skopje road south of Urosevac early yesterday
afternoon. An investigation has so far achieved no results.

A former Kosovo Liberation Army commander for Suva Reka, Ilijas Kadoli
was
arrested today after an argument with the town's UN administrator,
Robert
Valenz. Kadoli has been designated by former KLA leader Hashim Taqi as
vice
president of the Municipal Council in the Temporary Kosovo Government.
He was
arrested after allegedly physically attacking Valenz and threatening to
kill
him.

Orthodox Church in Cernica severely damaged in explosion (15/1/00)

KOSOVO, Saturday - The Serbian Orthodox Church of Saint Ilija in the
village
of Cernica near Gnjilane suffered severe damage in an explosion late
last
night, Beta reports today. A large amount of explosives were planted in
the
church grounds and the ensuing explosion destroyed half of the church as
well
as three Serb houses nearby. American KFOR soldiers whose check point is
situated 70 meters from the church did not allow local Serbs to visit
the
explosion site until late this morning. The village of Cernica is
currently
populated by 450 Serbs and 3,000 Albanians.

Radoje Ristic was severely beaten near the Serbian Orthodox Church in
Gnjilane and Srdjan Miletic shot in Lipljane last night, radio amateurs
reported today. Miletic was transferred to Kosovo Polje hospital where
he
underwent surgery performed by Russian KFOR surgeons.

Members of the KFOR multi national brigade West discovered two male
bodies
north of Djakovica last night, KFOR stated today. The identity of the
two
bodies has not been released and the military police are carrying out an
investigation into the incident.

===

STOP NATO: ¡NO PASARAN! - HTTP://WWW.STOPNATO.HOME-PAGE.ORG

Two Serbs Hurt in Kosovo Blast
KOSOVSKA MITROVICA, Yugoslavia (AP) -- Ethnic Albanians driving through
the Serb part of Kosovska Mitrovica today threw a grenade at a group of
Serb teen-agers, injuring two, witnesses said.
The youths were playing basketball on the street of the ethnically
divided city when a car appeared. They stopped the vehicle and asked the
strangers inside what they were doing in the area, one youth said.
When the teen-agers realized the people in the car were ethnic
Albanians, the car sped off, with the youths in pursuit.
As they drove away, the ethnic Albanians tossed a grenade, which
exploded and injured two 18-year-olds, the youth said. One was slightly
injured and the other was taken to a nearby hospital.
Serbia's state-run Tanjug news agency said doctors were fighting to save
the hospitalized teen-ager's life. The agency also cited unofficial
reports that two suspects were apprehended in connection with the
attack.
NATO peacekeepers and the U.N. police soon sealed off the street, Tanjug
said.
Kosovska Mitrovica, about 22 miles northwest of the Kosovo capital of
Pristina, is divided by the Ibar River into Serb and ethnic
Albanian-controlled parts. U.N. peacekeepers enforce a tense division of
the city.

===

"Il manifesto" del 13 Gennaio 2000:

KOSOVO

STERMINATA UNA FAMIGLIA DI SLAVI MUSULMANI

Padre, madre, figlia e nonna di 70 anni. Sono stati ritrovati tutti in
un
lago di sangue nella loro casa a Prizren, uccisi da un commando albanese
nelle prime ore dell'alba, martedì scorso. La notizia del massacro è
stata
divulgata soltanto ieri. La polizia dice di ignorare il motivo di tanta
ferocia. Eppure è noto che anche i "bosniak", i serbi islamizzati che
parlano slavo, sono nel mirino degli ex Uck, da loro accusati assieme a
rom
e altre minoranze di essere stati "collaborazionisti" dei serbi nei mesi
della guerra civile e negli anni dell'apartheid imposto dal regime di
Milosevic. E si sa, l'Uck non è mai stata tenera verso i
"collaborazionisti", anche albanesi, tra le vittime preferite dei suoi
agguati fin dall'inizio della sua storia.

"E' un crimine irreparabile contro una famiglia, contro la comunità
nazionale dei bosniak e contro il Kosovo. Se il Kosovo tollererà la
violenza, agli occhi del mondo saremo un fallimento", ha commentato il
fatto di sangue il plenipotenziario dell'Onu, Bernard Kouchner. Il quale
però non si scompone affatto a governare il Kosovo con l'assistenza di
una
sola entia, l'albanese, in particolare reclutando nel nuovo personale
politico falchi dell'Uck, i quali hanno da sempre predicato le virtù di
un
Kosovo esclusivamente albanese.

Da Roma il ministri degli esteri italiano, Lamberto Dini, e quello della
difesa tedesco Rudolf Scharping hanno espresso "preoccupazione" per il
livello della violenza in Kosovo, ma al tempo stesso hanno lodato
l'"efficienza" dimostrata dai peacekeeper della Nato - ora comandati da
un
generale tedesco.

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"Il manifesto" del 30 Dicembre 1999:

KOSOVO/PROFUGHI

"I medici e i paramedici serbi cacciati dagli ospedali"

Parla Nebojsa Brankovic primario del reparto di ginecologia, ospedale di
Pristina

- RENZO TASSOTTI* - NIS

N el reparto di neonatologia annesso alla clinica ginecologica del
centro
clinico di Pristina sono morti 20 bambini nati prematuri, surriscaldati
nelle loro incubatrici a causa della criminale imperizia del personale
medico e paramedico neo-arrivato nell'ospedale dopo l'ingresso in Kosovo
dei militi dell'Uck e della K-for. E' successo che le persone addette
alla
cura dei prematuri hanno collocato il termostato delle incubatrici a 40
gradi invece che ai normali 37,5". A denunciare questo tragico
avvenimento
è Nebojsa Brankovic, primario anestesiologo del reparto di ginecologia
dell'ospedale di Pristina, ora riparato a Nis con decine di migliaia di
profughi. "Questo è potuto succedere perché quando le forze dell'Uck
hanno
preso possesso della città - ci dice - sono arrivati nell'ospedale un
insieme di medici e paramedici albanesi che nessuno aveva mai visto
prima.
Io parlo solo per quello che riguarda il mio ramo, l'anestesiologia. Ho
saputo da infermiere albanesi che conosco bene, e che hanno potuto
rimanere
nel nosocomio, che sono arrivati nuovi medici che si fregiano del titolo
di
anestesiologo e che non avevano idea di cosa fare davanti a un paziente
e
dovevano chiedere ragguagli alle infermiere più esperte. Ho saputo che
sono
arrivate nuove infermiere che non sapevano neanche che cosa fosse un
laringoscopio. In chirurgia il mio amico Hajdini Sokol, di origine
libanese, forse il miglior anestesiologo di tutto il Kosovo, ha detto
che è
stato cacciato dall'ospedale e che al suo posto si è installata una
persona
di Urosevac che nessuno aveva mai visto prima negli ambienti degli
anestesiologi; tenuto presente che gli anestesiologi del Kosovo si
conoscono tutti di persona, sembra che questa persona prima non sia
stata
altro che un aumski ratnik (un guerriero di bosco) che ha fatto carriera
nelle file dell'Uck e che quindi 'automaticamente', una volta arrivato a
Pristina, ha avuto diritto a un posto dirigenziale. Sokol adesso lavora
per
qualche organizzazione di aiuto umanitario. Nel reparto di chirurgia è
stato espulso con lui anche tutto il rimanente personale albanese,
medico e
paramedico, colpevole solo del fatto di essere stato precedentemente
stipendiato dal ministero della sanità di Belgrado".

In armi nelle corsie

"Non si deve pensare - continua concitatamente il chirurgo Brankovic -
che
queste espulsioni siano avvenute tramite una lettera di licenziamento. I
nuovi chirurghi si sono presentati in ospedale armati, e accompagnati da
altri militi armati. Hanno preteso di entrare subito con i vestiti
sporchi
e le scarpe nelle sale operatorie e nei reparti di terapia intensiva. Le
infermiere che hanno cercato di impedire loro l'ingresso sono state
picchiate. i nuovi venuti hanno loro detto che loro sono dottori e che
le
infermiere non hanno diritto di dare loro degli ordini. Nessuno sa in
realtà dove questa gente si sia laureata e specializzata, perché negli
ambienti medici ddel Kosovo essi sono completamente sconosciuti, e
sospetto, visti i tragici risultati, che queste persone non abbiano
veramente una laurea in medicina". Ma cosa è accaduto, chiedo, al
personale
sanitario serbo? "I medici e i paramedici non albanesi - risponde - sono
stati, nel corso di questa 'invasione', minacciati di morte nei loro
ambulatori e nelle corsie. Il direttore della clinica chirurgica Andrija
Tomanovic, serbo, è stato rapito ed è scomparso. Così è scomparso anche
uno
stomatologo noto a tutta Pristina, Dragan Todorovski, di origine
macedone.
Noi, sanitari dell'ospedale di Pristina, pensavamo che il personale
difficilmente sostituibile dell'ospedale avrebbe potuto rimanere a
lavorare
indipendentemente dalla etnia di appartenenza, perché pensavamo che
fosse
di primaria importanza che l'ospedale funzionasse, e non chi ci
lavorava,
ma l'arrivo degli aumski ratnici dell'Uck ha stravolto ogni logica di
buonsenso. I militari della Kfor-Nato americani che avevano promesso di
proteggere il centro clinico non hanno adempiuto alla loro promessa e
così
nel centro clinico hanno potuto entrare centinaia di persone armate,
sotto
l'occhio benevolo dei militi americani. Il risultato di queste
'sostituzioni' lo si vede non solo dal caso agghiacciante dei 20 bambini
prematuri, ma anche dall'aumento del tasso di mortalità che si registra
nel
nosocomio a causa dell'asepsi approssimativa che si pratica nelle sale
di
intervento e della non conoscenza dell'uso dei macchinari".

La strage di Orahovac

Poi Neboijsa Brankovic denuncia con forza: "E' per me un mistero che la
comunità europea possa continuare a considerare l'Uck come una
formazione
dotata di una qualche forma di liceità giurisdizionale accettando
addirittura la sua trasformazione in forza di polizia. L'Uck è composto
da
assassini che hanno sistematicamente aperto il fuoco contro persone
disarmate, come è successo per mesi sulla strada per Pristina, dove
hanno
sparato su tutti i veicoli che passavano, uccidendo senza distinzione
serbi, albanesi, turchi, rom, ecc. Ad Orahovac ha occupato la città per
un
giorno. Quella volta gli aumski ratnici hanno ucciso a sangue freddo
tutti
i medici e le infermiere che si trovavano nel Dom Zdravlja (centro
ambulatoriale)".

Ma quando è accduto quest'ultimo, sanguinoso episodio? "Questo è
successo
in una fase dell'operazione-Kosovo nella quale il ruolo dell'Uck era
quello
di far salire il livello di violenza - continua Brankovic - in modo da
giustificare poi la trappola dei cosiddetti accordi di Rambouillet. I
media
occidentali non hanno fatto allora menzione di questi fatti, mentre
quasi
tutti hanno dato pieno fiato alle trombe mediatiche per la montatura
della
strage di Racak. Ora vorrei che questi giornalisti venissero da me.
Racconterei che ci sono molte persone che conosco che sono state uccise
a
sangue freddo nelle strade di Pristina: Zlatko Brankovic, Zoran
Aranbulovic, Ratka Mitic - una mia vicina di casa di 60 anni, che era in
compagnia del nipote, un bambino, quando è stata lapidata, mentre il
bambino è scappato. I soldati americani che hanno assistito al
linciaggio
non si sono mossi, nemmeno per arrestare gli assassini. Ratka Mitic è
stata
seppellita a Nis perché chiunque entra nel cimitero ortodosso di
Pristina
viene assassinato. Pristina è adesso un posto misero e triste, mentre è
sempre stata una città multietnica, nonostante gli odi etnici, Milosevic
e
il governo parallelo di Rugova, e mi meraviglio quando Bernard Kouchner
dice che 'Pristina non è mai stata una città multietnica'. Certo può
dire
quello che vuole con il suo apparato d'informazione. Ma è una vergogna
che
un collega con così tante responsabilità, possa mentire in questo modo.
Mio
padre parla turco, ebraico, serbo e albanese, tanto che giornalisti
turchi
venuti a Pristina pensavano che fosse turco, e poi si sono meravigliati
sapendo che era serbo. Nella nostra strada si alternavano case di
turchi,
serbi, ebrei, e albanesi, e adesso arriva uno a dire che Pristina non è
mai
stata una citta multietnica".

"Kouchner sbaglia"

"Bisogna tenere presente - insiste, quasi con rabbia - che le comunità
turche hanno potuto, dopo il ritiro dell'impero ottomano, rimanere in
Serbia e in Kosovo proprio perché la cultura di queste regioni è sempre
stata impostata su un principio multietnico di convivenza; parlo di una
apertura culturale che fa parte della quotidianità delle persone
cosiddette
comuni per le quali, in Serbia come in Bosnia e in Kosovo, era naturale
che
il vicino di casa non andasse a sentire la messa, ma andasse magari
nella
jamija (la moschea) o nella sinagoga o nella chiesa ortodossa, e questa
apertura è sempre stata antitetica alle grandi manovre di nazionalismi,
stati ed eserciti, che hanno sempre influito in modo devastante su un
tessuto intrecciato di relazioni umane tra persone appartenenti a
diverse
tradizioni, imponendo violentemente inimicizie e partizioni. Mentre le
parole di Bernard Kouchner giustificano alla fine ideologicamente le
scorrerie etniche dell'Uck".

"E il contingente americano Kfor - ribadisce e accusa - non solo spesso
protegge le azioni di pulizia etnica, ma vi partecipa anche
attivamente".
E, per farmi toccare con mano questa realtà, Nebojsa Brankovic mi porta
a
conoscere un altro profugo, Srcan Dundevic.

Soldati Usa complici

"Nel nostro villaggio sono arrivati di notte - mi dice subito appena
c'incontriamo nel campo di Nis - hanno ucciso una donna e tre uomini e
poi
hanno cominciato a spargere benzina e a dare fuoco. Hanno bruciato tutto
quello che era serbo, comprese le stalle con gli animali, che sono
bruciati
tra le fiamme, hanno buttato olio bruciato di trattore nei pozzi, in
modo
da avvelenarli per sempre. Poi i soldati americani ci hanno raggruppati
e
ci hanno intimato di andarcene. Sono tornato indietro il giorno dopo per
vedere cosa era rimasto della mia casa. Lì mi hanno arrestato gli
americani, mi hanno legato e mi hanno picchiato, minacciando di
frantumarmi
le ossa con i calci del fucili. Dopo tre giorni mi hanno lasciato andare
dicendomi che se fossi ritornato mi avrebbero ucciso".

Due settimane fa il rappresentante dell'Onu in Italia, Staffan De
Mistura,
ha deciso unilateralmente di ammainare la bandiera dell'Onu
sull'ospedale
di Mitrovica, la città divisa in due, dove restano i pochi serbi rimasti
in
Kosovo; al nosocomio sono stati anche tagliati tutti i fondi
internazionali. La motivazione? Perché i medici serbi si rifiutano di
accettare 20 medici albanesi nell'ospedale e l'impianto è
sottoutilizzato.
I medici serbi hanno motivato il loro atteggiamento con l'esclusione del
personale sanitario serbo dalle altre strutture di Mitrovica e da tutto
il
Kosovo e hanno chiesto a Staffan De Mistura - che si è trincerato dietro
un
"io non posso riscrivere la storia" - di tagliare i fondi Onu anche agli
altri ospedali kosovari da dove sono stati cacciati i medici serbi e
soprattutto a quello di Pristina dove è stata fatta, denunciano,
"davvero
pulizia etnico-sanitaria". Se è vero quello che abbiamo raccontato in
questo articolo, forse l'Onu non può riscrivere la storia, ma di certo
può
intervenire in modo meno unilaterale sul dramma degli "orrori di pace"
che
in Kosovo si sono capovolti, stavolta contro i serbi.

*Neuropsichiatra

---

"Il manifesto" del 19 Dicembre 1999:

I profughi che non esistono

Viaggio tra i serbi e i rom cacciati dal Kosovo per le "vendette"
dell'Uck

- RENZO TASSOTTI* - NIS

L' ingresso in Kosovo dei guerriglieri dell'Uck a fianco delle forze
armate
mandate dalla comunità internazionale ha fatto sì che l'odio etnico si
scagliasse questa volta contro tutte le etnie non albanesi che
popolavano
la regione prima della catastrofe di Rambouillet. Soprattutto nella
campagna, lontano dagli occhi indiscreti dei giornalisti e dei militari
della K-for (l'esercito della Nato), bande di armati albanesi e kosovari
hanno compiuto rastrellamenti, saccheggiando e bruciando le case e i
villaggi abitati da serbi, montenegrini e rom.

La semplice non appartenenza alla etnia albanese era motivo sufficiente
per
lo scatenarsi della violenza, e questo accadeva senza riguardo per il
fatto
che le persone in questione avessero o meno in qualche modo favorito le
azioni dell'esercito jugoslavo. Dice Svetlana Ajapi, rifugiata rom:
"Sono
arrivati altri albanesi, non i nostri vicini Ne naae komaije. Hanno
minacciato con le armi, abbiamo avuto appena il tempo di riempire una
borsa
e di andarcene". Nei Balcani il komaija è quasi come un parente, e
quello a
cui si lasciano le chiavi di casa quando si va in viaggio; e così, in
Kosovo come in Bosnia, bande di armati, ciechi di fronte a questo
tessuto
umano di relazioni tra persone che condividono uno spazio che è il
teatro
dello svolgersi della loro vita, sono venuti da fuori per distruggerlo,
obbedendo ai diktat dei nuovi tribalismi imposti dall'alto, creando
l'odio
etnico dal nulla, tramite la violenza.

Violenza "psicologica"

Così a Mustafa Kastati, kosovaro di 17 anni, paziente nefropatico,
espulso
senza motivo dall'ospedale di Tirana (il cui reparto di nefrologia è
stato
costruito a spese dell'Aied, Associazione italiana emodializzati)
avevamo
trovato la possibilità di emodializzarsi nel centro clinico di Nis, dove
sarebbe stato accolto come un qualsiasi altro cittadino jugoslavo. Ma il
ragazzo qui non è potuto venire, per paura delle rappresaglie che l'Uck
avrebbe compiuto contro la sua famiglia, a causa del fatto che aveva
"collaborato" con i serbi.

Nei grossi centri come Pristina, la violenza è stata molto piu sottile e
"psicologica". Si è verificata, per esempio, una serie di strani
omicidi,
come quello di Zlatoje Gligorijevi, un pediatra serbo conosciuto da
tutti
per la sua gentilezza e la sua correttezza, e per essere una persona del
tutto estranea a qualsiasi forma di settarismo etnico o ideologico, e
ucciso nel suo studio proprio per questo, perché tutti i non albanesi
che
lo conoscevano potessero pensare che se avevano ammazzato lui, allora
potevano ammazzare qualsiasi altro di loro.

Solo nelle regioni di Nis, Vranje e Zajear ci sono 43351 rifugiati dal
Kosovo, a cui si devono aggiungere 1031 profughi dalla Croazia e dalla
Bosnia-Erzegovina, che ancora vivono nei campi. L'amministrazione
jugoslava
ha parzialmente risolto l'emergenza dell'ondata di profughi
serbo-kosovari
smistandoli in alberghi, appartamenti vuoti, ecc. Però c'è ancora un
enorme
numero di persone - specialmente di etnia rom - che ancora vivono nei
campi
all'aperto, dentro cantieri abbandonati, oppure sotto un ponte.

Nel "cantiere" di Kuraumlija

Quando sono arrivato a Kuraumlija (Vranje) mi hanno indicato un cantiere
abbandonato, con le occhiaie vuote delle finestre annerite come quelle
di
una casa bruciata. Appena ci avviciniamo viene fuori, come dal nulla,
una
marea di bambini e ragazzini scarmigliati e vocianti, con i più piccoli
a
piedi nudi nel fango (nonostante la temperatura di appena cinque gradi,
il
vento e la pioggia battente). Sembrava una scena da dopo-bomba.

Il mio accompagnatore, Nebojaa Brankovi - anestesiologo dell'ospedale di
Pristina - un profugo che adesso lavora per una organizzazione
umanitaria,
mi guida all'interno aprendosi un varco tra i detriti, gli escrementi e
il
fango. Nel grosso cantiere vivono una ventina di famiglie di 10-15
membri
ciascuna e con età che vanno da un mese a 60 anni. Vengo ricevuto da
alcuni
di loro in una piccola stanza, con una coperta al posto della porta e
un'altra al posto della finestra (i più fortunati hanno trovato un telo
di
nylon), l'interno buio e incredibilmente pulito e curato, mentre sui
muri
neri per il fumo luccicano immagini di icone ortodosse - madonne dalla
pelle scura come loro - che fanno uno strano effetto.

Mi fanno vedere il loro cubo: farina cotta e acqua. Emira mi mostra la
ferita di striscio di suo figlio di appena cinque anni, e i fori del
proiettile che a lei ha trapassato la gamba: "Gli aiptari (i kosovari)
erano tutto attorno, ma noi non li vedevamo. Hanno sparato dal bosco. Da
quando mi hanno sparato sono pazza e non ho più paura di dire quello che
penso: noi siamo sempre stati con la Jugoslavia, perché la Jugoslavia ci
ha
abbandonati così?". Qualcuno parla un po' di italiano: "Io lavorato
Saronno, Saronno molto brava gente".

Questa gente è arrivata a Kuraumlija portando con sé pochissime cose. La
città è una delle più povere della già povera Serbia del sud (in
confronto
al ricco Kosovo, che si trova immediatamente piu a sud), la crisi
economica
iniziata nel '92 qui ha colpito durissimo. Questo posto non ha niente da
offrire a chi non ha niente.

Pericolo di epidemie

Per queste persone la catastrofe è imminente, perché le condizioni
igieniche sono al limite della sopravvivenza, l'alimentazione è
inadeguata,
l'acqua manca, e per il fumo che respirano bruciando, per scaldarsi,
tutto
quello che trovano di combustibile, e per l'impossibilità di cambiarsi i
vestiti bagnati. La tubercolosi e le malattie parassitarie possono
diffondersi rapidamente a causa del fatto che dormono ammassati per
proteggersi dal freddo. L'epatite, il colera e altre forme di
dissenteria
non si sono ancora sviluppati solo perché, nonostante le condizioni in
cui
vive, questa gente riesce a mantenere una forma di vita incredibilmente
pulita. Il rischio più grave e imminente è rappresentato dal freddo: le
temperature di questi giorni sono incredibilmente alte per la stagione,
ma
da un momento all'altro l'anticiclone russo potrebbe abbassare la
temperatura di molto sotto lo zero, provocando amputazioni e morti per
assideramento, soprattutto tra i più anziani e i più piccoli.

Sebbene queste persone vivano in questo cantiere da sei mesi, la loro
capacità di reagire, la disponibilità ad andare in qualunque posto pur
di
sopravvivere è una cosa davvero difficile da comprendere per chi viene
da
una società dove tutto è "garantito", dominata dal consumismo e dall'
abbondanza, ma anche minata dall'apatia e dalla depressione. Accanto al
problema rappresentato da quest'ultima ondata di profughi, esiste qui da
sette anni il problema dei rifugiati provenienti dalla Croazia e dalla
Bosnia-Erzegovina. Uno di questi campi è stato allestito - lontano da
occhi
indiscreti, e sconosciuto agli stessi serbi - nel villaggio di Selova,
un
piccolo paese formato dalle famiglie delle maestranze addette alla
manutenzione di una diga.

I profughi, che un tempo erano integrati in città come Rijeka, Knin o
Sarajevo, adesso vivono da cinque o sette anni in un gruppo di
prefabbricati costruito non lontano dal paese. Qui non mancano un tetto
di
eternit, il cibo o i servizi igienici, ma manca tutto il resto e
soprattutto manca una prospettiva di vita. Dopo svariati anni di
confino,
queste persone sono spente, alienate, emarginate, sradicate da tutto un
sistema di prospettive, relazioni e interessi, ma anche di illusioni e
di
speranze che danno senso alla vita.

I problemi dei bambini

Parcheggiamo la macchina davanti a un prefabbricato che dovrebbe
costituire
la sede delle attivita comunitarie. Non ci accoglie l'assalto di un'orda
di
piccoli diavoletti vocianti, come nel campo precedente, ma i bambini e i
ragazzini arrivano alla spicciolata, zitti, imbacuccati nelle giacche a
vento, senza un grido o un moto di curiosità. Entriamo nella sala
destinata
ai bambini. Ci sono tre panche di legno, un armadio, un tavolo da
ping-pong
e un televisore che non funziona. Il freddo è intenso, si tirano fuori
dei
fogli e delle matite colorate e i bambini si mettono a disegnare in
piedi
attorno al tavolo da ping-pong. Abbiamo portato una radio e qualcuno ha
una
cassetta con canzoni che piacciono agli adolescenti (tipo Baglioni)
cantate
in serbo o in croato. Slavica Parli, la persona che mi ha condotto lì e
che
lavora in un programma di assistenza gestito dall'Ics italiano insieme
alla
Croce rossa jugoslava, mi dice che questi bambini non reagiscono,
qualunque
cosa tu gli porti, non mostrano interessamento né per un pallone nuovo,

per i pupazzi, né per le bambole.

Mi dice degli enormi problemi di queste piccole comunità isolate: un
elevato numero di divorzi, relazioni consanguinee. Poi mi racconta del
bar
del vicino paese, dove le ragazzine vivono le loro prime esperienze
amorose
con gli operai della diga - tutta gente sposata - spesso all'insegna
della
prostituzione.

Mi parla di come persone perfettamente integrate nel tessuto sociale
della
lontana Bosnia o Croazia al tempo della grande Jugoslavia siano state
scaraventate sotto i tetti di questi prefabbricati dalle esigenze di
pulizia etnica di neo-inventati nazionalismi etnici. Là, dove i mesi e
gli
anni passano vuoti, in condizioni di vita aberranti, in grado di
alienare
l'identità stessa di queste persone.

Crisi economica e sociale

La Jugoslavia vive dal '92 una crisi economica e sociale ormai
cronicizzata, che da una parte ha ridotto la popolazione che potremmo
definire "normale" - e che costituisce la stragrande maggioranza - a
condizioni di pura sopravvivenza, e dall'altra ha fatto enormemente
arricchire - come effetto delle sanzioni economiche - bande di
affaristi,
intrallazzatori di vario genere e contrabbandieri, figure che si trovano
a
metà strada tra quella del manager e quella del mafioso.

Sarebbe bene che in Italia si smettesse di finanziare la mafia albanese
con
l'invio di centinaia di containers e si appoggi un centro come l'Ics
(Centro italiano di solidarietà), che ha delle basi in Jugoslavia, dove
gestisce direttamente l'assistenza ai profughi.

*Neuropsichiatra

---

"Il manifesto" del 5 Gennaio 2000:

EX JUGOSLAVIA L'IMPOSSIBILE "PACE"

Una donna tra gli orrori della pulizia etnica

Drammatica testimonianza raccolta in un campo profughi dove vivono i
serbi
fuggiti dal Kosovo

- RENZO TASSOTTI * - NIS (Serbia)

Q uella che segue è la testimonianza di una donna serba scampata con i
tre
figli alla pulizia etnica svoltasi l'estate scorsa in Kosovo. La
registrazione è stata racolta nel campo profughi di Bujanovac, nei
pressi
della frontiera tra Serbia e Kosovo. Una frontiera che ormai i serbi
possono attraversare solo a rischio della vita. Ci sono infatti delle
postazioni dell'Uck sulla strada Bujanovac-Pristina che sparano dal
bosco
sulle macchine che individuano come appartenenti ai serbi. Un clima
feroce,
denunciato anche dal "Wall Street Journal" con un lungo reportage di
Robert
Block, il 20 dicembre scorso.

La testimonianza raccolta è quella di Svetlana Zlatanovic - che viveva
con
il marito Milan e tre figli, Vladimir (14 anni), Ljiljiana (10) e Zoran
(5
anni, bambino asmatico) a Urosevac nella zona controllata dagli
americani
(i nomi, naturalmente, non sono quelli veri).

"Io abitavo in un quartiere dove la nostra era l'unica famiglia serba.
Gia
da molti anni avevamo ricevuto dimostrazioni di ostilità da parte di
molte
persone, tranne che dai nostri vicini di casa e dalle persone che ci
conoscevano bene. Quelli dell'Uck sono arrivati alle 10 di sera del 14
luglio, mercoledì. Si è presentata alla porta gente in borghese, non
mascherata, e che non avevo mai visto; sono uscita a parlare fuori dalla
porta perche Milan e i bambini erano gia a letto e non volevo
disturbarli.
Quando sono uscita ho visto che c'erano 15 persone armate che avevano
circondato la casa. Ho cercato aiuto da una vicina che ha avertito tutti
gli altri; tutti i vicini sono usciti, ma è stato loro intimato di
rientrare in casa sotto la minaccia delle armi.

"Hanno voluto sapere se Milan aveva fatto il militare, se c'e stato
qualcuno della mia famiglia nella milizia o nell'esercito e altre cose
simili, sotto la minaccia di bruciare immediatamente la casa. Sono poi
entrati con la forza: io ho cercato di impedirlo, ma il rumore della
colluttazione ha fatto scendere Milan. Anche a lui hanno fatto le stesse
domande, minacciandolo con il coltello alla gola, poi lo hanno portato
via.
Alcuni di loro sono rimsti in casa continuando a minacciarmi. Dopo un
po',
riportano Milan e lui mi dice che devono continuare ad interrogarmi
perché
hanno scoperto che ho un cugino nella milizia - cosa non vera.

"Questa volta ci caricano sulle macchine con le mani legate e ci portano
fuori per 7 chilometri, dopodiché di dicono di scendere e di continuare
a
piedi mentre loro ci seguono con i fari puntati su di noi. Era un posto
pieno di gente armata - ogni 50 metri c'era un gruppo di persone armate
di
kalashnikov. Dico loro che se ci hanno portato lì per ucciderci, ci
uccidessero subito: ma loro ci caricano di nuovo in macchina e ci
portano
in un altro villaggio (Staro Selo); qui hanno portato via Milan, poi in
molti mi hanno violentata, per quattro ore, facendomi tutto quello che
era
possibile farmi".

Il racconto di Svetlana è estremamente lucido - il suo distacco si vela
di
ua punta di disprezzo quando, senza alcuna reticenza, descrive i
particolari di quello che ha subito.

"Dopo avermi violentata, mi hanno preso tutto quello che avevo di valore
e
mi hanno detto che se volevo rivedere mio marito vivo dovevo trovare
loro
1000 marchi". Svetlana a questo punto è stata ancora picchiata e
minacciata
perché pare che avesse ancora avuto il coraggio di fronteggiarli: "'To
su
velike pare', questi sono molti soldi e mio marito e disoccupato da due
anni" - "Se non hai 1000 marchi allora daccene 500" - "Poi arriva un
altro
che dice che bastano 300 marchi - dico che ho solo 250 marchi e che
posso
dargliene solo 200 perché ho bisogno di comprare le medicine del
bambino,
ma prima voglio vedere mio marito. Mi portano da lui e possiamo parlare
per
alcuni minuti, aveva il viso sfigurato dalle botte. Poi ci legano di
nuovo,
ci caricano sulle macchine e ci riportano davanti alla casa - quindi
portano di nuovo via Milan. Sono entrata in casa, ed è stato il momento
peggiore quando ho visto i miei tre bambini che piangevano e mi
chiedevano
dove era papà".

Svetlana, che finora aveva mostrato una lucidità impressionante, a
questo
punto è travolta dalla commozione. "L'uomo mi dice 'adesso ci dai subito
250 marchi altrimenti partono le teste dei tuoi figli'. Ho dato loro
tutto
quello che avevo, i 250 marchi e anche i soldi che avevamo ricavato
dalla
vendita di un terreno e che non erano ancora stati toccati - ho avuto il
terrore che violentassero anche la bambina - poi se ne sono andati
dicendoci che dovevamo restare in casa finche non avessimo ricevuto
l'ordine di andarcene".

Alcune ore dopo sono arrivati i militari americani della K-for,
dicendole
che il marito era morto e che dovevano andarsene immediatamente. "Sono
andata nella piazza di Urosevac, davanti al municipio: non avevamo soldi
e
non sapevamo dove andare. Si è avvicinata una donna americana che lavora
per l'Unicef (di cui non sappiamo il nome), mi ha chiesto - per mezzo
della
traduttrice albanese - perché i bambini dormivano per terra. Questa
donna
ci ha molto aiutati quando ha saputo la nostra storia, ci ha dato da
mangiare e ci ha fatto raggiungere la scuola elementare dove altri 50
serbi
aspettavano un passaggio per la frontiera".

Adesso prende la parola Goran, il figlio maggiore di Svetlana. "Ci hanno
portati alla scuola elementare di Urosevac 'Branko Radievic' dove siamo
rimasti diversi giorni. A un certo punto è arrivato un autobus carico di
profughi - soprattutto persone anziane. Erano rimasti una settimana
all'aperto, senza ragione, nei pressi della stazione ferroviaria; c'era
una
donna anziana a cui avevano cavato gli occhi con il coltello (aveva una
benda insanguinata intorno alla testa) - ad altri avevano spezzato le
gambe
o le braccia a bastonate e non potevano camminare; tutti avevano i visi
sfigurati dalle botte, era gente affamata e anche quelli che non avevano
ferite gravi erano talmente stremati che non riuscivano neanche parlare.
Dopo alcuni giorni abbiamo potuto raggiungere tutti insieme la frontiera
serba dove ci ha raccolti iil nostro esercito che ha mandato i feriti in
ospedale e a noi ci ha fatto raggiungere il motel dove adesso viviamo".

I fatti sono stati confermati da altri scampati da Urosevac.

Svetlana, sola nella piazza con i tre bambini, si trovava in una
situazione
di grave e imminente pericolo in quanto, come accaduto a molti altri
serbi,
potevano essere in qualunque momento, e da chiuque, lapidati, sgozzati o
uccisi a botte. Svetlana si è decisa a raccontare la sua esperienza solo
perché suo marito non c'è piu. In una cultura patriarcale come quella
dei
balcani meridionali una donna non riconosce mai di essere stata
violentata,
per proteggere la sua vita coniugale e l'onore della sua famiglia.
Perciò
questa è una delle poche testimonianze che narrano delle violenze
sessuali
subite dalle donne serbe (in Kosovo come in Bosnia) durante le
operazioni
di pulizia etnica.

* (neuropsichiatra)

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Da "Il manifesto" del 19 Gennaio 2000:

IN SERBIA
GRANATE SULLA POLIZIA VICINO AL KOSOVO

Continuano gli attacchi contro postazioni della polizia e civili serbi
nei
villaggi della Serbia meridionale, abitati da una consistente minoranza
albanese e dove la guerriglia (ex) Uck sembra aver concentrato le
proprie
attività. Martedì è toccato a un chek-point della polizia nei pressi di
Bujanovac, a 10 km dalla provincia kosovara, a essere bersagliato da
colpi
di mortaio. Le autorità non lamentano alcun ferito.

E' stato intanto trasferito nella base tedesca di Mannheim, il sergente
dei
parà Usa Frank Ronghi, accusato dell'omicidio di una bimba albanese di
11
anni, il cui corpo era stato trovato giovedì scorso vicino a Vitina, nel
Kosovo orientale.

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STOP NATO: ¡NO PASARAN! - HTTP://WWW.STOPNATO.HOME-PAGE.ORG

Belgrade Demands Security Council Meeting To Halt 'Genocide'
BELGRADE, Jan 21, 2000 -- (Agence France Presse) Yugoslavia demanded
Thursday that the U.N. Security Council meet in urgent session to take
measures to halt "genocide" of non-Albanians in Kosovo, the state news
agency Tanjug reported.
Deputy Foreign Minister Miroslav Milosevic told foreign diplomats in
Belgrade that his government was asking for the meeting under Resolution
1244, which ended the conflict in Kosovo and 11 weeks of NATO bombing of
Yugoslavia, the agency said.
The resolution defined the conditions for the deployment of the
Alliance-led peacekeeping force, KFOR, and administration of the
province by the U.N. mission, UNMIK.
"In the last eight months, U.N. resolution 1244 has not been applied and
KFOR and UNMIK, violate, in major part deliberately, its basic
dispositions," Milosevic said.
Such violations were mostly related to breaches of the "sovereignty and
territorial integrity of Yugoslavia," Milosevic added.
He estimated that the KFOR and UNMIK were "entirely responsible for the
deteriorating and dangerous development of the situation in Kosovo ...
where attacks by (ethnic) Albanian terrorists have multiplied since the
deployment of the U.N. forces."
"The Federal Republic of Yugoslavia has asked for an urgent session of
the U.N. Security Council, asking the council to undertake without delay
measures in accordance with the U.N. Charter and the obligations
contained within Resolution 1244 in order to prevent the continuation of
genocide against the non-Albanian population in Kosovo," he said.
Milosevic said that 739 people, mostly Serbs, had been killed, 611
kidnapped and 688 reported missing in 3,688 terrorist acts since June
12,1999, when the international force was deployed.
Last November, the Yugoslav government delivered a document to the U.N.
Security council in which it has demanded a return of Belgrade's
military and police forces to Kosovo, urging the U.N. to end the
"terror" committed against the non-Albanian population in Kosovo.
According to the U.N. resolution, a return of "certain" number of
Belgrade forces to the province is foreseen, but the exact date for this
has not been set. ((c) 2000 Agence France Presse)
© 1995-2000 European Internet Network Inc.

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STOP NATO: ¡NO PASARAN! - HTTP://WWW.STOPNATO.HOME-PAGE.ORG

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US soldiers lured the Albanian
girl into a trap offering her food

January 19, 2000

Brussels, January 18th -
The murder of an
eleven-year-old Albanian
girl in Vitina met with
great publicity in Brussels
media, which today,
quoting the "Kovo Sot"
Albanian daily, reported on a severe accusation
of the US soldiers' behaviour in Kosovo.

"The US soldiers tricked the girl. They gave
her food.
That is why she consented to go down to
the basement", father of the murdered girl,
Hamdija Sabiju, told the
Albanian daily.

His words were conveyed by Brussels media, reporting
on the crime in Vitina committed by a US KFOR
soldier.

Father's statement represents a serious accusation,
because it reveals the background of the entire
"incident" and points to the fact that there was
a number
of other US soldiers, who cooperated with Ronghi, the
US soldier accused of raping and murdering the girl.

At the same time, this confirms that it was not an
isolated incident involving a sick person, as
KFOR and
US command are trying to explain it, as well as
the fact
that this girl Merita was not the only one, who,
persuaded with food and other "presents", went down
into basements.

The US soldier Ronghi, accused of raping and
murdering of the eleven-year-old Albanian girl, was
moved to the military prison in Manheim on Sunday.
Actually, he was taken away from the scene of
the crime
only a few hours after he was accused of committing a
crime, reported the media in Brussels.



--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
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