Informazione


Torino sabato 21 aprile 2018

alle ore 10:30 presso il POLO DEL ‘900 – Sala didattica di Palazzo San Daniele, Via del Carmine 14

A.N.P.P.I.A..
In collaborazione con il Comitato di Coordinamento Regionale ANPI Piemonte – ANED – Ass. Naz. del Libero Pensiero G. Bruno,

Presenta,
nell’ambito delle celebrazioni del 25 aprile,
il libro di Davide Conti

“Gli uomini di Mussolini”

in cui l'Autore sulla base di documenti dell'Archivio di Stato descrive la carriera, nella Repubblica italiana fondata sulla Resistenza, di alcuni uomini di Mussolini coinvolti nelle cosiddette stragi di Stato.

Ne discutono con l’autore 

Chiara Acciarini (ANED nazionale)

Fulvio Grandinetti (ANPI Grugliasco)

Presiede e modera Bruno Segre ANPPIA



Ancora la continuità dello Stato italiano tra fascismo e repubblica: un libro di Davide Conti



Davide Conti: Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana, Einaudi

Risvolto
Alla fine della Seconda guerra mondiale molti tra i piú alti vertici militari delle Forze armate italiane avrebbero dovuto rispondere di crimini di guerra. Nessuno venne mai processato in Italia e all'estero. A salvarli furono gli equilibri della Guerra fredda e il decisivo appoggio degli alleati occidentali grazie a cui l'Italia eluse ogni forma di sanzione per i suoi militari. Diversi di loro furono reintegrati negli apparati dello Stato come questori, prefetti, responsabili dei servizi segreti e ministri della Repubblica e coinvolti nei principali eventi del dopoguerra: il referendum del 2 giugno; la strage di Portella della Ginestra; la riorganizzazione degli apparati di forza anticomunisti e la nascita dei gruppi coinvolti nel «golpe Borghese» e nel «golpe Sogno» del 1970 e 1974. Il loro reinserimento diede corpo a quella «continuità dello Stato» che rappresentò una pesante ipoteca sulla storia repubblicana. Attraverso documenti inediti, Conti ricostruisce vicende personali, profili militari, provvedimenti di grazia e nuove carriere nell'Italia democratica di alcuni dei principali funzionari del regime di Mussolini.

Nel corso degli ultimi anni la storiografia si è occupata approfonditamente dei crimini di guerra italiani all'estero durante il secondo conflitto mondiale e delle ragioni storiche e politiche che resero possibile una sostanziale impunità per i responsabili. Meno indagati sono stati i destini, le carriere e le funzioni svolte dai «presunti» (in quanto mai processati e perciò giuridicamente non ascrivibili nella categoria dei «colpevoli») criminali di guerra nella Repubblica democratica e antifascista. Le biografie pubbliche dei militari italiani qui rappresentate sono connesse da una comune provenienza: tutti operarono, con funzioni di alto profilo, in seno all'esercito o agli apparati di forza del fascismo nel quadro della disposizione della politica imperiale del regime, prima e durante la Seconda guerra mondiale. La gran parte di loro venne accusata, al termine del conflitto, da Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia e dagli angloamericani, di crimini di guerra. Nessuno venne mai processato in Italia o epurato, nessuno fu mai estradato all'estero o giudicato da tribunali internazionali, tutti furono reinseriti negli apparati dello Stato postfascista con ruoli di primo piano. Le loro biografie dunque rappresentano esempi significativi del complessivo processo di continuità dello Stato caratterizzato dalla reimmissione nei gangli istituzionali di un personale politico e militare non solo organico al Ventennio ma il cui nome, nella maggior parte dei casi, figurava nelle liste dei criminali di guerra delle Nazioni Unite.

Leggi anche qui


Una nuova Repubblica inquinata da presenze fasciste 
Storia del Novecento. Il volume di Davide Conti «Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana», attraverso una ricca ricerca di archivio ricostruisce le carriere di personaggi «rimossi» e mai epurati, che si sono reinventati identità pubbliche in democrazia 

Chiara Giorgi Manifesto 11.4.2017

Il volume di Davide Conti (Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana, Einaudi, pp.271, euro 30) torna a interrogare uno dei passaggi storici più appassionanti e controversi della storia italiana, così come a riattualizzare uno dei motivi «classici» della storiografia della seconda metà del secolo scorso. 
Attraverso una ricca ricerca archivistica, il libro ricostruisce le meno note carriere e funzioni svolte dai «presunti» (in quanto mai processati) «criminali di guerra» nel neonato contesto democratico. Si tratta di uomini che, organici al fascismo e operanti in seno alle sue strutture più repressive, non solo non vennero sottoposti a processo o epurati o estradati, ma soprattutto vennero reinseriti negli apparati dello Stato postfascista, diventando questori, prefetti, capi dei servizi segreti, ministri della nuova Repubblica. 
Le biografie prese in esame consentono di illuminare alcuni dei nodi più significativi della storia dell’immediato secondo dopoguerra e al contempo gettano una luce tanto inquietante, quanto significativa sulle vicende coeve e seguenti (dalla strage di Portella della Ginestra, alla riorganizzazione in senso anticomunista dei corpi di pubblica sicurezza tra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo, alle varie misure di sorveglianza e ordine pubblico adottate contro il movimento operaio e sfociate «nella repressione brutale e luttuosa dei conflitti sociali», ai golpe dei primi anni Settanta).
Sono dunque le vicissitudini di questo personale politico e militare a essere esemplificative, per quanto di certo non in modo assoluto e univoco, degli esiti «della transizione italiana sul piano della continuità degli apparati di forza dello Stato». 
La chiave di lettura utilizzata e suffragata da un prezioso materiale documentario è infatti quella ruotante attorno al paradigma della continuità dello Stato. E, non a caso, è uno dei memorabili lasciti di Claudio Pavone a essere posto in esergo del volume. Scriveva questi nel 1974: «La fascistizzazione dell’apparato burocratico non fu dunque» di parata, dal momento che «il fascismo, come forma storicamente sperimentata di potere borghese, non si esaurisce nei quadri del partito fascista, ma è un sistema di dominio di classe in cui proprio gli apparati amministrativi tradizionalmente autoritari hanno parte rilevante. Di parata va piuttosto definita, dato il fallimento dell’epurazione, la democratizzazione post-resistenziale». 
Da qui prende le mosse la ricostruzione di Conti, non trascurando l’importante contributo degli studi che da anni si concentrano sul fallimento del processo epurativo italiano, sul congelamento di alcuni istituti innovativi repubblicani, sul permanere di una certa cultura istituzionale (al pari della legislazione fascista) e contemporaneamente soffermandosi sui caratteri originali della «nazione repubblicana», sulle questioni di fondo relative al nesso nazionale-internazionale. 
Molto ampie sono le problematiche che riemergono. Innanzitutto, metodologicamente, torna a dimostrarsi produttivo lo studio di singoli percorsi biografici letti come manifestazione di quel più complessivo processo «caratterizzato dalla reimmissione e dal reimpiego nei gangli istituzionali di un personale» organico al Ventennio. A nulla valse infatti per questi uomini l’essere inseriti nelle liste «War Crimes» delle Nazioni Unite, dinnanzi alla scelta di far passare una linea basata sulla ragion di Stato, sul presunto supremo interesse nazionale o, come fu per i funzionari coloniali, sui valori della neutralità dell’amministrazione e sul principio della obbedienza gerarchica, invocati come giustificazione di comportamenti individuali specifici, peraltro a dispetto di quello che sarebbe stato il monito arendtiano sulla «banalità del male».
C’è di più, accanto alla ricostruzione di queste vicende personali e professionali (di cui quella del noto generale Roatta sembra essere l’epilogo più emblematico), Conti ripropone all’attenzione del pubblico una lettura ben consapevole e generale del contesto internazionale, politico e sociale dell’Italia di quel decisivo passaggio storico. Ne esce confermata la centralità degli equilibri internazionali, ovvero l’appartenenza all’area occidentale come legittimazione sia del permanere di determinati gruppi di comando (si pensi all’intreccio tra Democrazia cristiana e Stato), sia del rafforzamento delle classi dominanti, sia del mantenimento di rapporti sociali e di produzione dati. 
A lungo si è parlato per il caso italiano della prevalenza di un «modello militarizzato» volto a riprodurre le contrapposizioni internazionali, a depotenziare le istanze innovative provenienti a più livelli e presenti in molti principi della Costituzione, ad allontanare il pericolo di condizionamenti da parte di forze sociali organizzate. Modello peraltro capace di saldare determinate scelte fatte sul piano economico (l’opzione liberista nel permanere di una struttura di capitalismo di Stato) con la natura autoritaria dell’assetto politico (nella stessa forma assunta dalla «democrazia protetta»). Il contrasto che si diede tra amministrazione e politica democratica attesta quella che l’autore rievoca come la profonda rottura tra Stato e Resistenza. Piuttosto che con l’eredità del fascismo, cesura vi fu con le idee, l’orizzonte simbolico e l’ampio lascito resistenziale. 
Sempre più studi negli ultimi anni hanno approfondito il contesto della transizione tra fascismo e Repubblica, i soggetti coinvolti e le complesse dinamiche. Le categorie interpretative sono andate in tal senso arricchendosi, sotto il profilo economico, sociale, politico e giuridico. Punto fermo resta, tuttavia, la fecondità di ricerche come questa in grado di intrecciare la ricostruzione di singole vicende (biografiche e istituzionali) con l’analisi dei rapporti sociali (di classe).
Così come resta necessaria un’analisi storica volta a individuare i punti di tensione tra l’elemento formale (la stessa riorganizzazione dello Stato) e quello materiale (in relazione alle lotte dei soggetti in carne e ossa). Letture come queste mostrano come sia fondamentale, oggi più che mai, un progetto di reinvenzione della democrazia a partire dal potenziale trasformativo del conflitto/i e da pratiche politiche capaci di sfidare l’ordine costituito.



(italiano / english / srpskohrvatski)

Europske r&k partije o imperijalističkom napadu na Siriju

1) Sastanak europskih radničkih i komunističkih partija (SRP) / Statement of the Communist and Workers Parties of Europe condemning the escalation of the imperialist aggressiveness in Syria
2) I partiti comunisti europei condannano l’aggressione imperialista contro la Siria (Bruxelles, 11.4.2018)
3) Imperijalistički napad na Siriju (SRP)


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Sastanak europskih radničkih i komunističkih partija

U Bruxellesu je 11. 4. 2018. u zgradi Europskog parlamenta održan sastanak europskih radničkih i komunističkih partija u organizaciji delegacije Grčke komunističke partije u Europskom parlamentu. Tema sastanka bila je klasno orijentirana politička borba i suradnja sa sindikatima. Sudjelovala su 32 izlagača iz 27 zemalja: Austrija, Belgija, Bugarska, Velika Britanija, Hrvatska, Cipar, Finska, Francuska, Njemačka, Grčka, Mađarska, Irska, Italija, Latvija, Luksemburg, Norveška, Nizozemska, Poljska, Portugal, Rumunjska, Rusija, Srbija, Španjolska, Švedska, Švicarska, Turska i Ukrajina.

Socijalističku radničku partiju je predstavljala Vesna Konigsknecht. Naše izlaganje možete pročitati ovdje.

Suradnja Socijalističke radničke partije sa sindikatima u cilju jačanja klasne svijesti radnika, posebno mladih

 

Proces raspada SFRJ i osamostaljenja bivših republika u zasebne države obilježen je bujanjem nacionalizma i šovinizma. Proces osamostaljenja je završen, Hrvatska je međunarodno priznata država, članica UN-a i EU, nitko nas ne osporava niti ugrožava, ali dominacija nacionalnog i nacionalističkog ne prestaje, nego se namjerno održava. Time se pokušava spriječiti govor o klasnom karakteru našeg društva.. Zahvaljujući dominaciji nacionalnog nad klasnim, hrvatski radnici nisu svjesni da su klasa. Razvijanje klasne svijesti je prioritet kojem SRP posvećuje punu pažnju.

Počeli smo prije dvije godine projektom izrade Radničkog leksikona u kojem izraze s kojima se radnici susreću objašnjavamo iz perspektive interesa radničke klase. Cilj nije naš doprinos leksikografiji nego poticanje radnika da uvijek i o svemu razmišljaju iz perspektive vlastitog interesa, da osvijeste svoj klasni položaj. U tom procesu, suradnja sa sindikatima je od posebne važnosti.

Nažalost, odnos sa sindikatima je narušen. Paralelno s procesom osamostaljenja Hrvatske, tekao je proces reformiranja Saveza komunista u Socijaldemokratsku partiju. Po pitanju odnosa prema radništvu, SDP definitivno nije ljevica (dva puta su bili na vlasti, oba puta su mijenjali zakon o radu, oba puta na štetu radnika), ali je zadržao neke elemente lijevog svjetonazora (antifašizam, prava žena, itd.) pa ga šira javnost, uključujući sindikate, percipira kao lijevu stranku. Zato sindikati ne govore da je SDP izdao radništvo, nego kažu da je ljevica izdala radnike.

Suradnju sa sindikatima otežava i činjenica da druge lijeve stranke, pa tako i SRP, ne participiraju u vlasti pa ne mogu proizvesti učinak. Mi ne možemo ni jednim jedinim glasom utjecati na donošenje zakona i mjera kojima bi se štitili interesi radnika pa sindikati ne vide korist od suradnje s nama. U takvim okolnostima, obnavljanje i njegovanje odnosa sa sindikatima je dugotrajan i osjetljiv proces.

Prije nekoliko mjeseci smo organizirali tribinu „Problem revolucionarnog subjekta“ u cilju revitalizacije činjenice da je radnička klasa revolucionarni subjekt univerzalnog karaktera. Na tribinu smo pozvali predstavnika sindikata da čujemo njegovo mišljenje. Nismo čuli ono što smo željeli čuti. Radnicima je svejedno tko je ljevica, a tko desnica, važno im je tko bolje štiti njihove interese. Da bismo ih vratili lijevim idejama, moramo dokazati da je ljevica u zaštiti radničkih prava bolja od desnice.

Nedavno smo organizirali okrugli stol o dijalogu ljevice i sindikata. Predstavnici sindikata su ogorčeno govorili o reformiranju ljevice u Hrvatskoj, Europi i svijetu pri kojem se „usput zaboravilo na radnike“. Vraćanje povjerenja u ljevicu je od presudne važnosti, zato ćemo redovito pratiti sindikalne akcije, davati im podršku, promovirati ih i u njima sudjelovati, dolaziti na prosvjede i štrajkove koje organiziraju. Kao primjer navodim podršku koju smo nedavno dali radnicima jednog brodogradilišta koji se bore za očuvanje proizvodnje i radnih mjesta. Unatoč mjerama koje poduzimaju i njihovi sindikati i lokalna zajednica, sve ide u pravcu gašenja brodogradilišta, čime se nastavlja pogubni trend gašenja industrijske proizvodnje i pretvaranja Hrvatske u turističku destinaciju gdje vlasnici kapitala multipliciraju svoje profite, radnici pokrivaju uslužne djelatnosti, a građani gledaju preko ograde..

Poseban su problem mladi radnici. SRP snažno podržava ideju sindikata zaposlenika u hrvatskom školstvu koji radi na programu sindikalnog obrazovanja u srednjim školama, kako bi se učenici završnih razreda kroz nastavu upoznali s važnošću sindikalnog organiziranja. Sindikalno organiziranje je važan korak u razvoju klasne svijesti pa ćemo tu ideju promovirati i na tribini koju organiziramo povodom 200. obljetnice rođenja Karla Marxa. Tribina će se baviti pitanjem aktualnosti i relevantnosti marksizma danas i činjenicom da se kroz proces obrazovanja ne stječu nikakva znanja o eksploatatorskoj naravi kapitalizma, o suprotstavljenim interesima rada i kapitala, o potrebi i mogućnostima otpora, sve do promjene društvenog sustava. Na tribini će govoriti isključivo mladi ljudi, oni koji su vaninstitucionalnim kanalima saznali tko je Karl Marx, jer se kroz institucije i mainstream medije u Hrvatskoj to ne može saznati.

Suradnja sa sindikatima, klasno osvještavanje radnika i rad s mladima, to su osnovni pravci djelovanja SRP-a u narednom razdoblju.

Sljedećeg dana, 12. 4. 2018., održana je plenarna sjednica Europske komunističke inicijative na kojoj je usvojena izjava europskih komunističkih i radničkih partija kojom osuđujemo eskalaciju imperijalističke agresije na Siriju. Izjavu na engleskom jeziku i popis potpisnica možete pročitati ovdje.

Statement of the Communist and Workers Parties of Europe condemning the escalation of the imperialist aggressiveness in Syria

 

The communist and workers’ parties of Europe condemn the escalation of the imperialist aggressiveness and the sharpening of the situation in Syria and the broader region after the statement of D. Trump, President of the USA, on April 11th about bombarding Syria under the pretext of the use of chemical weapons, something that the USA have repeatedly done in the past. The danger of a generalized war increases.

The communist and workers’ parties express their internationalist solidarity to the people of Syria and the other peoples of the region, they call upon the working class, the people’s forces to reinforce the struggle against the imperialist interventions and wars, of the NATO, the USA and the EU.

Peoples must not shed their blood for the interests of the monopoly groups, the competition for the control of energy resources, the routes of transportation, the control of the markets and the distributions of spheres of influence.

Peoples have the right to live peacefully and have the power to claim a society free from wars, crises, poverty and exploitation.

 

Signing Parties

Communist Party of Albania

Party of Labour of Austria

Communist Party of Belgium

New Communist Party of Britain

Communist Party of Britain

Communist Party of Bulgaria

Socialist Workers Party of Croatia

AKEL (Cyprus)

Communist Party of Bohemia & Moravia

Communist Party in Denmark

Communist Party of the Workers of Finland

Revolutionary Communist Party of France

Revolutionary Party Communistes (France)

Communist Party of Greece

Hungarian Workers Party

Workers Party of Ireland

Communist Party (Italy)

Socialist Party of Latvia

Communist Party of Luxembourg

Communist Party of Malta

New Communist Party of the Netherlands

Communist Party of Norway

Communist Party of Poland

Romanian Socialist Party

Communist Party of the Russian Federation

Russian Communist Workers Party

Communist Party of the Soviet Union

New Communist Party of Yugoslavia

Communists of Serbia

Communist Party of the Peoples of Spain

Communist Party of Sweden

Swiss Labour Party

Communist Party of Turkey

Communist Party of Ukraine

Union of Communists of Ukraine

Nažalost, dva dana kasnije došlo je do besramne izravne agresije na Siriju, što smo najoštrije osudili.

Na marginama ovih sastanaka, naša je predstavnica imala i dva bilateralna susreta.

Susrela se s predstavnikom Švedske komunističke partije u cilju nastavka suradnje naših partija koja je započela susretom u Splitu i razmjenom pisama. Razgovaralo se o rastućem nacionalizmu, posebno među mladima (u obje zemlje) i o potrebi našeg snažnijeg angažmana u jačanju klasne svijesti radnika.

Drugi susret bio je s Kostasom Papadakisom, članom CK KKE i članom Europskog parlamenta. Razgovaralo se o stanju na Balkanu i o napetostima koje opterećuju neke zemlje u regiji. Zaključili smo da je posebno važno da radničke, socijalističke i komunističke partije regije usuglašavaju stavove i da na probleme reagiramo zajedničkim izjavama.

Vođeni su i vrlo zanimljivi neformalni razgovori s predstavnicima Srbije, Bugarske, Francuske, Rumunjske, Britanije… Sve sastanke i susrete u Bruxellesu ocjenjujemo kao izrazito dobre i poticajne.


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I partiti comunisti europei condannano l’aggressione imperialista contro la Siria

12 aprile 2018

La seguente dichiarazione comune è stata sottoscritta da 28 partiti comunisti d’Europa, riuniti in questi giorni all’European Communist Meeting di Bruxelles, contro la prospettiva di una nuova aggressione imperialista ai danni del popolo siriano.
“I Partiti Comunisti che si sono riuniti l’11 Aprile a Bruxelles condannano l’escalation dell’aggressività imperialista e lo sviluppo della situazione in Siria e nella regione, dopo l’annuncio del Presidente degli USA Donald Trump di nuovi bombardamenti in Siria con il pretesto dell’utilizzo di armi chimiche, che gli USA hanno già compiuto più volte in passato. Il pericolo di una guerra generalizzata è sempre più in crescita.
I Partiti Comunisti esprimono la loro solidarietà internazionalista al popolo siriano e agli altri popoli della regione e si rivolgono alla classe lavoratrice e alle forze popolari per rinforzare la lotta contro gli interventi imperialisti e le guerre. Contro la Nato, gli Usa e l’Unione Europea.
I popoli non devono versare nemmeno una goccia di sangue per gli interessi dei gruppi monopolistici, nel conflitto per il controllo delle risorse energetiche, per le vie di trasporto e per il controllo dei mercati e per la distribuzione delle sfere di influenza.
I popoli devono avere il diritto di vivere in pace e di pretendere una società libera dalle guerre, dalle crisi, dalla povertà e lo sfruttamento.”

 

Elenco dei partiti che hanno sottoscritto l’appello (in ordine alfabetico secondo la denominazione inglese del paese d’origine):
Partito del Lavoro d’Austria (PdA)
Partito Comunista di Bulgaria (KPB)
Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia (SRP)
Partito Progressista dei Lavoratori di Cipro (AKEL)
Partito Comunista dei Lavoratori di Finlandia (KT)
Partito Comunista Rivoluzionario di Francia (PCRF)
Partito Rivoluzionario dei Comunisti (Francia)
Partito Comunista di Grecia (KKE)
Partito dei Lavoratori Ungherese (Munkaspart)
Partito dei Lavoratori (Irlanda)
Partito Comunista (PC- Italia)
Partito Socialista di Lettonia (LSP)
Partito Comunista di Lussemburgo (KPL-PCL)
Partito Comunista di Norvegia (NKP)
Nuovo Partito Comunista dei Paesi Bassi (NPCN)
Partito Comunista di Polonia (KPP)
Partito Socialista Romeno (PSR)
Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF)
Partito Comunista Operaio Russo (RKRP)
Partito Comunista dell’Unione Sovietica (KPSS)
Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE)
Partito Comunista di Svezia (SKP)
Partito Svizzero del Lavoro (PdAS-PST)
Partito Comunista di Turchia (TKP)
Partito Comunista di Ucraina (KPU)
Unione dei Comunisti di Ucraina
Nuovo Partito Comunista Britannico (NCPB)
Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ)


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Imperijalistički napad na Siriju


Socijalistička radnička partija Hrvatske najoštrije osuđuje napade na položaje Sirijske vojske predvođene od strane SAD-a, Velike Britanije i Francuske. Nakon optužbe za navodno korištenje kemijskog oružja od strane Sirijske vojske u borbama za  oslobođenje od islamističkih bandi, jurišnici krupnog kapitala predvođeni Donaldom Trumpom izvršili su  raketiranje na suverenu i međunarodno priznatu zemlju Siriju. Očaj zbog činjenice da godine pokušaja rušenja predsjednika Bašara al Asada nisu urodile plodom i da je hrabra sirijska vojska, uz veliku pomoć Rusije, uspjela obraniti zemlju i osloboditi istu od krvoločnih bandi pod raznim imenima (kao „Umjerena opozicija, ISIL, Al-Nusra itd.) jedini je razlog napada na Siriju.

SRP Hrvatske također najoštrije osuđuje i slugansku „Hrvatsku vladu“ zbog podrške zločincima u ratu protiv Sirije. Podrška zločincima ih svrstava na stranu zločinaca i zato pozivamo sve miroljubive i progresivne snage da izraze osudu agresije i da pokažu hrvatskoj javnosti da ne podržavamo beskičmenjaštvo i sluganstvo ove Vlade.

Zaustavite agresiju na Siriju!

Živjela borba Sirijskog naroda protiv imperijalizma!

Smrt imperijalizmu – sloboda narodu!



[Nebojsa Malic ripercorre un quarto di secolo di forzature del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti e dei loro complici. Il passaggio jugoslavo, e bosniaco in particolare, è stato cruciale in questo percorso che ha infine portato alla cancellazione tout court dello stesso diritto internazionale, sostituito dall'esercizio arbitrario della violenza quando come e dove garba.]


From Srebrenica to Syria: How the US replaced the UN as ‘world police’


Published time: 14 Apr, 2018

After President Donald Trump tweeted “missiles are coming,” the US, UK and France launched airstrikes on Syria. There was no international investigation of the alleged chemical attack, or UN authorization. How did it come to this?
The US likes to present itself as the foremost guardian of the “rules-based international order,” blaming Russia and China for flouting these rules or seeking to change them. Yet in practice it is Washington and its allies that trample on the rules at nearly every occasion. Friday’s strikes are but one example.
Earlier this week, US envoy Nikki Haley told the UN Security Council that Washington intended to act in Syria “with or without” the UN. Russia’s Vassily Nebenzia responded with a reminder that the UN has all too often been used as a fig leaf for Western military adventurism. He specifically cited the example of Libya in 2011, when UNSC Resolution 1973 that authorized a “no-fly zone” was used by NATO as a license for regime change.
George W. Bush flouted the UN entirely in 2003, when he invaded Iraq after basically telling the Security Council he intended to do so no matter what. Before that, Bill Clinton launched NATO’s 78-day war against Yugoslavia in 1999, also without bothering with the UN.
Such behavior would’ve seemed unimaginable in 1991, when the US made sure to have full Chapter VII UN authority to drive Iraqi forces out of Kuwait. So what happened in those eight intervening years? For the answer to that, we must revisit the Bosnian War.
In early 1992, a political arrangement between Bosnia’s ethnic Serb, Croat and Muslim communities fell apart as Germany and the US backed the factions seeking independence. Open warfare broke out in March or April (depending on whom you ask) along ethnic and religious fault lines. Public relations firms in the West busily churned out accusations of “genocide” and “ethnic cleansing” to push narratives about the war. Newly inaugurated US President Bill Clinton believed a combination of airstrikes and weapons shipments to the Bosnian Muslims (“lift and strike”) to be the solution.
Over the next three years, NATO gradually took over the leading role in the former Yugoslavia from the UN through a series of steps, the justification for each being ostensibly humanitarian grounds. Many of the details of this creeping usurpation were described by Phillip Corwin, the American who served as the UN political officer in Bosnia in 1995, in his memoir ‘Dubious Mandate.’
The process began earlier, however. On April 16, 1993, the UN Security Council passed Resolution 819, establishing the town of Srebrenica in eastern Bosnia as a “safe area, free from any armed attack or any other hostile act.” The concept of “safe areas” was expanded on May 6, 1993, with Resolution 824 adding the cities of Sarajevo, Tuzla, Goražde and Bihać and the village of Žepa to the list. All were held by the Bosnian Muslims.
Aside from the thorny issue of openly siding with one of the factions in the war, the UN had a more practical problem: its mission in Bosnia (UNPROFOR) was in no way equipped to actually patrol or secure these areas, having been originally deployed to police the January 1992 armistice in the neighboring Croatia.
So the UN turned to NATO for enforcement. On April 12, 1993, NATO was asked to patrol the skies over Bosnia, enforcing the October 1992 resolution banning all military flights - ostensibly for humanitarian purposes. Operation Deny Flight served as NATO’s back door into the Bosnian War: the alliance’s first air engagement ever was in February 1994; the first-ever bombing mission followed in April.
Under US pressure, the Security Council passed Resolution 836 in June 1993, authorizing NATO to provide close air support for UNPROFOR upon request. Under the so-called “dual key” arrangement, any NATO strikes had to be authorized by civilian UN officials.
That requirement was removed in July 1995, after Bosnian Serb forces took Srebrenica and Žepa. Srebrenica would become identified with claims of “genocide,” but those would come later. At a conference in London on July 21, UN Secretary-General Boutros Boutros-Ghali gave the UN military commander, General Bernard Janvier, the direct authority to request NATO airstrikes.
On August 4, 1995, Croatia launched an all-out attack on Serb-inhabited regions protected under the 1992 peace deal. UN peacekeepers did nothing to stop the attack. No airstrikes were called in. Quite the contrary, on August 30, NATO launched Operation Deliberate Force against the Bosnian Serbs. Croatian and Bosnian Muslim forces launched their own offensive on the ground. In the course of the three-week operation, some 400 aircraft dropped over 1,000 bombs.
At that point it seemed perfectly normal that the US, not the UN, would oversee the peace talks in Dayton, Ohio that ultimately produced a peace agreement that somehow still survives to this day.
Even those who chafed at the reassertion of American power conceded, at least implicitly, its necessity,” wrote Richard Holbrooke, the US diplomat tasked with organizing the talks, in his 1998 memoir ‘To End A War.’ He also described US foreign policy after Dayton as “more assertive, more muscular.
The enforcer had thus usurped the roles of judge, jury, prosecutor and executioner. The UN did nothing in March 1999, when the US led NATO in attacking what was left of Yugoslavia and occupying Serbia’s province of Kosovo, in open violation of the US Constitution, NATO’s own charter, and that of the UN.
Only afterward was the world body brought in, to legitimize the occupation through UNSC Resolution 1244. Yet NATO did not care a whit that the resolution guaranteed Serbia’s sovereignty over the province and provided for the eventual return of Serbian security forces. Instead, Washington backed the 2008 declaration of independence by the ethnic Albanian provisional government and has pressured more countries to follow along ever since.
It is hardly surprising that almost all proposals for US intervention in Syria during the Obama administration focused on establishing “safe areas” and conducting airstrikes. Why change the script if it worked in Bosnia so well?
After Iraq, however, the rest of the world is not as willing to take anything at just the word of US media or Washington officials. Russia in particular insists on evidence over assertions, and points out its troops are fighting against terrorists in Syria at the request of the country’s legitimate government - unlike the US troops currently operating there.

Nebojsa Malic for RT




Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus aderisce ed invita ad aderire e partecipare al presidio che si terrà stasera a Milano, contro le politiche guerrafondaie e imperialiste basate su sfacciate menzogne che dal 1990 continuano ad essere promosse da NATO e Unione Europea.


Altre manifestazioni segnalate OGGI:

ROMA, dalle ore 11 davanti all'ambasciata statunitense, Via Veneto
Presidio di protesta 
Organizzato da Rete NO WAR

BOLOGNA, dalle ore 16 in Piazza del Nettuno
Stop bombardamenti sul Donbass
Organizzato da Comitato Ucraina Antifascista Bologna

GHEDI (BS), dalle ore 14.30 davanti alla base militare
Presidio di protesta

Segnaliamo anche per LUNEDI 16/4:

AREZZO, dalle ore 18 in Piazza Sant'Agostino
Presidio organizzato da Potere al Popolo



GIÙ LE MANI DALLA SIRIA!
SABATO 14 APRILE 2018 -  ORE 18.00
PRESIDIO-MANIFESTAZIONE
MILANO - PIAZZA SAN BABILA
 
“L’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.”
Costituzione della Repubblica Italiana - Art.11
 
Questo appello nasce dalla volontà dei soggetti promotori di mobilitarsi contro la politica di aggressione, condotta dalla NATO – USA in testa, che ha già provocato una violenta rottura degli equilibri in tutto il Medio Oriente, in parte del continente africano, in Europa.
 
Stiamo assistendo alla solita commedia, il cui copione è ben noto: ancora una volta con finanziamenti degli USA e, allo stesso tempo, mercenari, filonazisti, jihadisti, golpisti, consiglieri militari della NATO. Migliaia di morti civili sono il tragico risultato.
 
Come in Iraq, dove risultarono inesistenti le tanto declamate armi di distruzione di massa, anche in questa occasione si crea un pretesto per muovere guerra alla Siria. A Douma, liberata in queste ore dall’esercito arabo siriano, si sarebbero usate armi chimiche, causando perdite di vite umane tra i civili. Prima ancora di accertare se sia accaduto realmente, si vorrebbe lanciare un attacco missilistico sulla Siria. Un silenzio totale invece avvolge la tragedia dello Yemen, da più di due anni attaccato dall’Arabia Saudita con armi fornite dagli USA e, tra gli altri, anche dall’Italia. Come sempre due pesi e due misure.. 
 
Non è mai stato così alto il rischio di una guerra devastante tra la NATO, che potrebbe avere l’appoggio delle petromonarchie così come di Israele, e la Federazione Russa. La Siria infatti ha una storica amicizia con l’Unione Sovietica prima, con la Russia oggi; per questo ha chiesto il suo aiuto nella lotta contro i terroristi armati, addestrati e finanziati dagli USA, è evidente che in queste circostanze un attacco alla Siria equivale ad una dichiarazione di guerra alla Russia
  
Chiediamo l’impegno di quanti aderiranno a scendere in piazza prima che sia troppo tardi.
La prima vittima della guerra è la verità. 
La guerra è contro i lavoratori. Non un soldo per la guerra

Comitato contro la guerra – Milano  

PER INFO:
 
È IN CORSO LA RACCOLTA ADESIONIad ora sono pervenute: 
Centro di Iniziativa Proletaria Tagarelli
 – S.S. Giovanni (Milano), 
Marx21.it
,  
Sez. ANPI "Bassi - Viganò"
 - Milano, 
La Casa Rossa” - Milano, 
Comitato Lavoratori Precoci – Lavoro Giovani

Partito Comunista – Milano, 
Comitato Lavoro Milano, 
Ass.ne Italia-Cuba Circolo Celia SanchezMarilisa Vertì
- Parma, 
Ass.ne Italia-Cuba Circolo Arnaldo Cambiaghi - Milano, 
GiovaniComunisti 
Milano, 
Sez. ANPI Abbiategrasso "Giovanni Pesce"

L'Antidiplomatico
PCI
 federazione Milano, 

Scintilla
Ass.ne Italia-Cuba Circolo Camilo Cienfuegos
 (Abbiategrasso- Magenta MI), 
Circolo Vegetariano V.T.,
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus