Informazione


Chi e come fa scoppiare la Terza Guerra Mondiale 

1) Bombe sulla Siria. Israele, stato terrorista che con gli Usa avvicina la guerra mondiale (G. Cremaschi)
2) Attacco chimico a Douma: l’OMS di Ginevra contraddetta dall’ufficio locale dell’ONU in Siria (e dalla Mezzaluna)! (M. Correggia)


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Bombe sulla Siria. Israele, stato terrorista che con gli Usa avvicina la guerra mondiale

di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo), 9 aprile 2018

Solo Israele può bombardare una base militare di uno stato sovrano confinante e farla franca. E, prima delle bombe contro la Siria, ci sono state le stragi di manifestanti palestinesi, anche queste totalmente impunite. Israele è esente da qualsiasi legge e principio sui diritti umani. 

L’Israele di Netanyahu è il primo stato terrorista, il più pericoloso stato canaglia mondiale. Perché con le sue armi atomiche e con il suo porsi al di sopra di qualsiasi regola si è impadronito del bottone con il quale si può scatenare la terza guerra mondiale. 

Quel pulsante lo ha in condominio con il suo primo protettore, gli USA di Trump. Che ora puntualmente si inventano un attacco chimico del governo siriano contro i ribelli un fuga. Una montatura ridicola, se non altro perché non si capisce in base a quale scelta autolesionista il governo siriano dovrebbe usare i gas DOPO aver vinto la guerra. 

Chi ha prodotto questa fakenews deve essere il fratello scemo degli imbroglioni londinesi del gas nervino. Ma nonostante questo, ora Trump minaccia rappresaglie ed soliti servi europei, guidati da Macron, gli vanno dietro. 

Attenzione, perché quando uno Stato si considera al di sopra di qualsiasi legge e un altro usa qualsiasi balla pur di mostrare i muscoli, prima o poi il patatrac può succedere. Bisogna svegliare la nostra opinione pubblica addormentata e rincitrullita dallo scontro sul nulla dei principali leader politici. Che su questo precipitare della crisi internazionale tacciono tutti. 

Ehi avete capito che ci avviciniamo sempre più alla guerra? 

I governi terroristi di Israele e degli USA sono un pericolo terribile per tutti noi e vanno fermati nel nome del futuro dell’umanità.



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ATTACCO CHIMICO A DOUMA: L’OMS DI GINEVRA CONTRADDETTA DALL’UFFICIO LOCALE DELL’ONU IN SIRIA (E DALLA MEZZALUNA) !

Marinella Correggia, 11 aprile 2018

Non è la prima volta che all’ONU la mano destra non sa cosa fa la sinistra, ma alle soglie di una possibile guerra devastante, le agenzie onusiane dovrebbero fare più attenzione alle loro dichiarazioni, che rischiano di legittimare le follie di Trump, Macron, Erdogan e Asse delle guerre assortito. Ecco cos’ha fatto l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) 

Atto primo. 

Ad alcuni giorni dal presunto attacco con armi chimiche a Douma, denunciato con vari video da ONG mediche pro-opposizione armata (fra cui la Syrian-American Medical Society, l’UOSSM e i White Helmets), l’11 aprile 2018 il vice-direttore generale per le emergenze dell’OMS, Peter Salama (australiano), ha pensato bene di dare credibilità a queste fonti davvero dubbie. E in un comunicato [ http://www.who.int/mediacentre/news/statements/2018/chemical-attacks-syria/en/ ] che non appare (più?) sulla prima pagina del sito  ma che è stato rilanciato da tutti i media a livello planetario, Salama ha dichiarato: “Secondo i partner dell’Health Cluster, a Douma 500 persone sono state accolte da centri medici durante i bombardamenti, con sintomi di esposizione ad agenti chimici altamente tossici, fra cui irritazione delle mucose , problemi respiratori, disturbi del sistema nervoso centrale. (…) Oltre 70 persone che si trovavano in un sotterraneo sarebbero decedute, 43 di loro con sintomi da esposizione ad agenti chimici tossici. Sarebbero state colpite anche due strutture mediche. (…) L’OMS, indignata per queste immagini orrende e le notizie che arrivano da Douma, chiede un accesso senza restrizioni all’area per recare aiuto ai colpiti e valutare l’impatto sanitario (…)”. 

Dunque, l’OMS non ha personale sul posto. La sua fonte è questo Health Cluster, nel gergo onusiano un insieme di attori medici o per i diritti umani, sia ONU che ONG. In occasione di altre denunce (per la serie: 100 ospedali bombardati), l’ufficio stampa dell’OMS ci aveva risposto vagamente che le sue fonti nelle aree controllate dall’opposizione erano “partner locali”… Ovviamente, organizzazioni accreditate dai gruppi armati. Rimane la domanda: qual è la fonte dell’OMS in questa occasione?

Atto secondo. 

Poche ore dopo, il luogotenente generale della Federazione russa Victor Poznikhir ha tenuto un briefing [ http://pda.mil.ru/pda/news_main.htm?id=12170864@egNews ] nel quale, oltre a spiegare che i militari russi continuano a lavorare per il rilascio di ostaggi detenuti dal gruppo Jaysh al Islam (Esercito dell’islam) a Ghouta,  e che già 60.000 residenti sono tornati a casa, ha spiegato quanto segue (nostra traduzione dal russo con google): “Attualmente, i residenti della Ghouta orientale ricevono la necessaria assistenza umanitaria, sia attraverso l'ONU che attraverso il Centro russo per la riconciliazione delle parti in guerra. (…)  Gruppi armati illegali che operano nell'est Ghouta hanno ripetutamente tentato di organizzare provocazioni con il presunto uso di sostanze chimiche tossiche  per accusare le truppe del governo siriano di usare armi chimiche. (…) Un esempio è la scoperta del 3 marzo in uno dei tunnel sotterranei della città di Khazram, un laboratorio di militanti per la fornitura di munizioni per la produzione artigianale con sostanze velenose. Dall'inizio dell'operazione umanitaria nell'Est Ghouta, i terroristi non sono stati in grado di organizzare alcun cosiddetto "attacco chimico" contro i civili. Ma il 7 aprile, è stato fatto l'ultimo tentativo di fabbricare false prove del presunto uso da parte delle autorità siriane di sostanze velenose nell'est Ghouta.  (…) Il 9 aprile, specialisti militari russi nel campo delle radiazioni, difesa chimica e biologica, così come medici militari sono arrivati ​​direttamente sul sito del presunto incidente filmato dagli Elmetti bianchi. (…) Esaminando i pazienti e intervistando il personale medico hanno scoperto che nessuna delle vittime con sintomi di sostanze avvelenanti come il sarin e il cloro è stata ammessa all'istituto medico. (…) Lo staff medico e gli abitanti locali non hanno informazioni sui possibili luoghi della loro sepoltura. A questo proposito, le dichiarazioni rese oggi a Ginevra dal rappresentante dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'australiano Peter Salama, sulle presunte 500 vittime di sostanze tossiche nella Duma, sono di estrema preoccupazione. Nelle ultime ore abbiamo contattato i rappresentanti della Mezzaluna Rossa siriana e l'ufficio locale del coordinatore delle Nazioni Unite in Siria, che partecipano attivamente alle operazioni umanitarie nell'Est Ghouta per localizzare queste vittime. Nessuno di loro ha riscontri circa le denunce espresse dal rappresentante dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Se i rappresentanti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità vogliono davvero capire questa situazione, li invitiamo nella Ghouta Orientale e siamo pronti a fornire sicurezza e tutte le condizioni per il lavoro. Nonostante i numerosi appelli dalla Russia, la dirigenza dell’OMS non ha fornito alcuna informazione o spiegazione su questo problema. Pertanto, tali dichiarazioni irresponsabili da parte di un alto rappresentante dell'Organizzazione Mondiale della Sanità non solo screditano l'organizzazione, ma contribuiscono anche a un nuovo ciclo di escalation della situazione con conseguenze difficili da prevedere, per la popolazione siriana in primo luogo. A differenza dell'OMS, il 10 aprile l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha preso la decisione formale di inviare una missione speciale alla città di Douma per condurre un'indagine obiettiva. Da parte nostra, riaffermiamo la nostra disponibilità a garantire la piena sicurezza degli specialisti OPCW nella città della Duma e di creare tutte le condizioni per la loro attività di ispezione”. Il militare russo ha ricordato che diversi gruppi hanno deposto le armi nel quadro del lavoro del Centro russo per la riconciliazione, precisando poi: “La situazione nella città di Raqqa rimane preoccupante. Invece di dichiarare di voler lanciare attacchi missilistici contro la Siria, gli Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi nella ricostruzione della città in rovina e fornire assistenza alla popolazione”. 




Con questa "amarena" (višnjica) numero 1000 concludiamo la fortunata serie dolceamara, che negli anni ha vantato innumerevoli pallide imitazioni. Diciamo la parola "fine" innanzitutto perché abbiamo fatto cifra tonda: sono 1000 "amarene", che a loro volta hanno fatto seguito a 206 "ciliegine" andate tutte di traverso quel tetro 3 ottobre dell'anno 2000. Terminiamo qui però anche perché, alla vigilia della Terza Guerra Mondiale, da tempo le vergogne altrui hanno smesso di farci ridere. (a cura di Italo Slavo)


GLI ERRORI DEL PASSATO


Massimo D'Alema contesta errori passati della "sinistra", chiamando in causa anche Blair e Schroeder. Omette però di spiegare quale sia stato l'errore più grande e più grave: quello cioè che fu commesso proprio con i suoi due sodali...


Si vedano:

Il voto italiano è il punto di rottura della crisi europea (di Massimo D'Alema, su Il Manifesto del 10.04.2018 – editoriale del prossimo numero della rivista Italianieuropei)
https://ilmanifesto.it/il-voto-italiano-e-il-punto-di-rottura-della-crisi-europea/

La scoperta dell’acqua calda (di Franco Astengo, 10 aprile 2018)
http://contropiano.org/news/politica-news/2018/04/10/la-scoperta-dellacqua-calda-0102729

AMARCORD:

[JUGOINFO] Visnjica broj 1 (Coordinamento "La Jugoslavia Vivrà", 5 ottobre 2000)

Ciliegina numero 206 TRIS (Coordinamento Romano per la Jugoslavia, 1 ottobre 2000)





Il Direttivo del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus comunica la adesione alla iniziativa promossa dal Comitato "Fermiamo le ruote dell’occupazione!", di cui si riporta di seguito l'Appello di convocazione:


FERMIAMO LE RUOTE DELL’OCCUPAZIONE SIONISTA.
ISRAELE MAGLIA NERA!

No allo sport-washing delle barbarie sioniste contro il Popolo Palestinese!
No alla partenza del Giro d’Italia 2018 in Israele!
Il Giro d'Italia del 2018 inizierà con le prime tre tappe da Israele: partenza da Gerusalemme il 4 maggio, seconda tappa Haifa /Tel Aviv, la terza tappa attraverserà il Naqab (Negev).

Come spiegare la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme?
La ragione ufficiale riguarda la volontà di dedicare questa edizione del Giro alla memoria di Gino Bartali, il cui nome è stato impresso sul muro dei “Giusti tra le Nazioni” per aver salvato diverse centinaia di ebrei italiani dalle persecuzioni nazifasciste. Vista, però, la mancanza di tappe che in qualche modo potessero ricondursi alla vita del ciclista e l’assenza di questo argomento nella pubblicistica del Giro, appare da subito evidente che questa motivazione è un pretesto. Il vero motivo è un altro: la volontà da parte del governo italiano di omaggiare le politiche di Israele e indirettamente quelle degli USA, al fine di cementare l’intesa tra questi paesi imperialisti nello scacchiere della guerra mediorientale. Trump, infatti, due mesi fa ha riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele, prevedendo lo spostamento dell’ambasciata americana proprio il prossimo mese di maggio: con questa decisione si calpesta la Risoluzione ONU n. 181 che dichiara la città di Gerusalemme “corpus separatum” sotto amministrazione delle Nazioni Unite.
La scelta vergognosa di far partire il Giro d’Italia da Gerusalemme legittima di fatto il progetto israeliano di colonizzazione/insediamento della Palestina e occulta i crimini che Israele quotidianamente commette contro la popolazione Palestinese. Nel silenzio dell’informazione internazionale, Israele attua politiche di ampliamento di colonie, espropria acqua e terra, impedisce la produzione di beni, il libero movimento delle persone e delle cose con blocchi e muri, arresta e trattiene in carcere, senza motivo, bambini e adulti, demolisce case e assassina chi si vuole opporre alle violenze dell’occupazione. Più di due milioni di palestinesi della striscia di Gaza vivono da 11 anni sotto assedio senza acqua, elettricità, servizi sanitari, sotto attacchi armati israeliani che hanno fatto migliaia di vittime tra donne uomini e bambini: crimini contro i diritti universali che si affermano nel silenzio totale della comunità internazionale. Crimini che i colonizzatori chiamano “diritto a difendersi” mentre nella pratica si traducono nel “diritto ad occupare” e nel “diritto di sterminio”. Violenze che, è facile prevedere, il Giro d'Italia non solo non mostrerà, ma si propone di celare per ricostruire una facciata democratica a Israele. 
Da diversi anni è consolidata la pratica di far partire grandi tappe sportive dall’estero per ragioni principalmente economiche: uno Stato o una città pagano gli organizzatori del Giro per ospitare l’evento. L’aspetto che contraddistingue la decisione di quest’anno, però, è che la scelta è soprattutto dettata da una volontà politica e solo successivamente economica. Quest’operazione di pulizia d’ immagine, che ha già coinvolto altre manifestazioni culturali e sportive, fa parte di una strategia, Brand Israel, per la quale il governo israeliano ha stanziato sostanziose risorse finanziarie. Israele infatti ha pagato, o meglio investito, 4 milioni alla Rizzoli-Corriere della Sera (gli organizzatori della corsa) per ospitare la partenza del Giro d’Italia. Non un impegno economico per una manifestazione sportiva, quale è il Giro d’Italia, ma un’occasione per sostenere e occultare le politiche criminali che lo Stato sionista sta attuando. Al Giro d’Italia parteciperà una squadra israeliana invitata dagli organizzatori della gara; ciclisti pagati profumatamente, basti pensare ai 2,4 milioni di dollari investiti da Israele per accaparrarsi il campione del Tour de France Chris Froome.
La stessa immagine di Bartali viene strumentalizzata e piegata ai fini propagandistici israeliani, perché ancora una volta si strumentalizza il crimine della Shoah per legittimare l'occupazione della Palestina e si affibbia l'infamante etichetta di antisemiti ai solidali con la Resistenza Palestinese. Un lavaggio dei cervelli che parte dalle parole stesse, visto che “semita” indica infatti l'appartenenza ad un gruppo linguistico del Medio Oriente (che comprende tanto l'arabo quanto l'ebraico), mentre il “sionismo” è l'ideologia politica fondante dello stato colonialista d'Israele, basata su una dottrina razzista, di separazione e supremazia degli ebrei. Noi rigettiamo questa strumentalizzazione!
Gli organizzatori e la politica italiana hanno trasformato una manifestazione sportiva, che dovrebbe essere simbolo di pace e fratellanza, in una vetrina di propaganda per lo Stato sionista che ha preteso anche la ristampa sia della pubblicistica che della planimetria ufficiale, visto che veniva riportata “Gerusalemme Ovest” come località di partenza del Giro, contrariamente a quanto propagandato su Gerusalemme capitale dello “Stato ebraico”. Israele ha preteso il cambiamento a seguito di una spiegazione assolutamente politica da parte dei ministri dello Sport, del Turismo e delle Questioni Strategiche: "Gerusalemme è la capitale di Israele: non vi sono Est e Ovest […] nella misura in cui nel sito del Giro non sarà cambiata la definizione che qualifica come punto di partenza 'West Jerusalem', il governo israeliano non parteciperà all'iniziativa". Prontamente gli organizzatori si sono scusati ribadendo che non era nelle loro volontà contrariare il partner sionista ed hanno rimosso questa dicitura da ogni materiale legato al Giro d'Italia. Complimenti! Ancora una volta l’Italia si conforma alla propaganda sionista: persino i libri di testo scolastici riportano la falsa informazione secondo cui Gerusalemme è la capitale di Israele.
La data stabilita per l’inizio della corsa ciclistica, inoltre, non sembra proprio casuale: essa cade a 70 anni dalla Nakba (“catastrofe” per il Popolo Palestinese), cioè l’inizio dell’occupazione della Palestina; un’ occasione per Israele e i suoi alleati di festeggiare la nascita dello stato sionista e la conseguente espulsione dei palestinesi dalla loro terra. 
Costruire la solidarietà con il popolo palestinese passa necessariamente in Italia con la denuncia e la contestazione dei legami tra l’Italia e Israele: fatti di interessi economici, scambi culturali, gemellaggi accademici e collaborazioni militari. Israele è l'avamposto colonialista delle potenze della Nato in Medio Oriente ed è parte del sistema capitalista e imperialista mondiale che immiserisce e sfrutta i popoli. Con la sua sperimentata e sistematica oppressione verso il Popolo Palestinese, è un modello repressivo e reazionario per le classi dominanti di tutto il mondo: anche qui in Italia , dove le conquiste dei lavoratori vengono cancellate, le masse popolari sono sempre più immiserite e si fomenta la guerra razziale e religiosa tra poveri per farci credere che i nemici siano gli immigrati e non gli sfruttatori e i capitalisti. Un modello anche per la politica estera, visto le oltre trenta missioni militari all'estero, dal Niger all'Afghanistan, che rivelano come la vocazione colonialista sia all'ordine del giorno per lo stato italiano, nella corsa mondiale alla predazione e spartizione delle risorse e dei mercati. 
Noi non ci stiamo, non vogliamo chiudere gli occhi e lasciare che una manifestazione sportiva/culturale diventi occasione per Israele di presentarsi come paese democratico e ripulisca la sua immagine di paese criminale. Le violenze sioniste israeliane non si giustificano con “diritto a difendersi”; Israele occupa una terra che è di diritto dei Palestinesi. 
Per questo invitiamo tutte le associazioni, i movimenti, i singoli e le realtà territoriali a costruire insieme una mobilitazione che porti, in occasione delle tappe del Giro d’Italia previste in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, i contenuti della solidarietà con il Popolo Palestinese e la contrarietà alle logiche di guerra che uniscono il governo italiano a quello israeliano. Inoltre la tappa del 18 maggio in Veneto sarà dedicata anche alla Prima Guerra Mondiale, una guerra che, come avvenuto negli ultimi anni, non sarà ricordata dalle istituzioni per quello che è stata, il sanguinoso massacro dei popoli per gli interessi delle potenze imperialiste, ma sarà occasione di glorificazione del passato bellico per valorizzare l’interventismo di oggi sui vari fronti di guerra aperti nel mondo. 
 
Comitato del Nord-Est Freniamo le ruote dell’occupazione!
 
Per info e adesioni: freniamoisraele.nordest@...
 
Aderiscono:
Comitato BDS Trieste, Fronte Palestina-Padova, Assemblea Antifascista Bassanese, Tuttinpiedi Mestre, alcuni Palestinesi del Nord-Est, Comunità Palestinese del Veneto, C.C.B. Collettivo Comunista Broz, Oltre il Mare, L' Altra Europa Laboratorio Venezia, Ass. Restiamo umani con Vik - Venezia, Centro Sociale La Resistenza Ferrara, Associazione Immigrati di Pordenone, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus


--- Sulla strumentalizzazione sionista del Giro d'Italia si vedano anche:

Fermare la vergogna del Giro d’Italia che parte da Israele (Sergio Cararo)

Non macchiate di sangue palestinese la maglia rosa! (Giorgio Cremaschi)


--- Tra le altre iniziative segnalate:

Roma 14 aprile 2018: Convegno sui prigionieri palestinesi


--- Sulla attuale situazione in Palestina si vedano:

7 Aprile 2018, Manifestazioni nella Striscia di Gaza, Israele uccide 10 palestinesi e ne ferisce 1354

Su "Il Foglio" Camillo Langone incita i cecchini a sparare e fare strage



[Iniziative e testi del SPR – Partito Socialista dei Lavoratori della Croazia – sulla dialettica tra sinistra e sindacato]

SRP o dijalektici izmedju ljevici i sindikatu

1) Okrugli stol o dijalogu ljevice i sindikata
2) Sindikati kao akteri postizbornih promjena u RH (Pavle Vukčević)
3) Hrvatskom je lako vladati kad „boluju” sindikati (Pavle Vukčević)


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DIJALOG LJEVICE I SINDIKATA (SRP, 2 mar 2018)
Okrugli stol o dijalogu ljevice i sindikata održan je 28. 2. 2018. u prostoru Tribine grada Zagreba. Govorili su (abecednim redom): Tomislav Kiš iz Novog sindikata, Ana Milićević Pezelj iz SSSH, Željko Stipić iz sindikata Preporod i Jagoda Milidrag Šmid iz Nove ljevice. Predstavnica SRP-a Vesna Konigsknecht je obavljala i funkciju moderatorice...

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DIJALOG LJEVICE I SINDIKATA


Okrugli stol o dijalogu ljevice i sindikata održan je 28. 2. 2018. u prostoru Tribine grada Zagreba. Govorili su (abecednim redom): Tomislav Kiš iz Novog sindikata, Ana Milićević Pezelj iz SSSH, Željko Stipić iz sindikata Preporod i Jagoda Milidrag Šmid iz Nove ljevice. Predstavnica SRP-a Vesna Konigsknecht je obavljala i funkciju moderatorice. Bila je najavljena i Karolina Leaković iz SDP-a, ali se, nažalost, nije na vrijeme vratila s puta.

Okrugli stol je započeo s definicijama: što je sindikat, što je ljevica (za razliku od desnice), u kojoj mjeri opće definicije odgovaraju stanju u Hrvatskoj i gdje se otvara prostor za dijalog i suradnju.

Sindikati su organizacije kroz koje se radnici bore da očuvaju ili povećaju plaće, naknade ili uvjete rada, itd., ali se mogu uključivati i u šire političke i društvene procese. U nekim su zemljama tijesno povezani s političkim strankama i u suradnji s njima, koristeći svoj organizacijski potencijal, promiču one mjere i zakone koji koriste njihovim članovima ili radnicima općenito.

S druge strane, zaštita radnika i njihovih prava bi trebala biti jedno od temeljnih opredjeljenja socijalističkih i socijaldemokratskih stranaka. Tako je to po definiciji, a kakvo je stanje u Hrvatskoj? Zakon o radu se dva puta mijenjao, oba puta na štetu radnika i oba puta kad je na vlasti bila socijaldemokratska stranka.

Naši sindikati zato zaziru od političkih stranaka, naglašavajući da njihovi članovi mogu biti i desničari i ljevičari. Ako hrvatska ljevica želi bolju suradnju sa sindikatima, prvo treba dokazati da je u zaštiti radničkih prava bolja od desnice. Po definiciji bi to trebala biti. Jedan od osnovnih kriterija razlikovanja ljevice i desnice je odnos prema idealu jednakosti. Desnica uvijek teži hijerarhiji (netko zaslužuje više prava zato što je pripadnik određene nacije ili vjere ili zato što je pametniji ili sposobniji). Ljevica pak teži ujednačavanju (uzimati onima koji su iznad prosjeka, da bi se dalo onima ispod prosjeka, u ekonomskom ili bilo kojem drugom smislu).

Upravo zato što se ljevica zalaže za ekonomsku i socijalnu solidarnost i pravednost, suradnja između ljevice i sindikata bi trebala biti prirodna i logična. Nažalost, socijaldemokratska stranka koja je bila na vlasti nije poštivala ni svoje proklamirane vrijednosti ni ugovor koji je potpisala sa sindikatom, nego je donosila zakone na štetu radnika. One stranke ljevice koje ne participiraju u vlasti imaju ograničen prostor djelovanja. Podrška neparlamentarnih lijevih stranaka sindikalnim aktivnostima nije upitna, ali nema težinu, ne može proizvesti učinak.

Spomenuti su neki projekti kojima „ljevica koja to jeste“ daje punu podršku. SSSH je svojevremeno krenuo s inicijativom da prilikom zapošljavanja, pored kadrovika, razgovor s radnikom obavi i sindikalni povjerenik kako bi novoprimljeni radnik odmah dobio informaciju ne samo o svojim radnim obavezama i plaći, nego i o svojim pravima, odnosno o zaštiti koja mu može biti pružena.  Sindikat Preporod radi na programu sindikalnog obrazovanja u srednjim školama kako bi se učenici završnih razreda kroz nastavu upoznali s važnošću sindikalnog organiziranja. Politička akademija „Novo društvo“ je ciklus predavanja i radionica 2015.. godine posvetila suradnji sa sindikatima. Sve dok ne sudjeluje u vlasti, ljevica ne može utjecati na donošenje zakona i mjera kojima bi se štitili interesi radnika, može samo podržavati ovakve projekte, promovirati ih i u njima sudjelovati.

Da bi mogla provoditi svoje politike, politička stranka mora doći na vlast, građani na izborima moraju glasati za tu stranku i te politike. Zašto bi ljudi koji žive od svog rada glasali za ljevicu? Glasat će samo ako ih ljevica uvjeri da će štititi njihove interese. S obzirom na loša iskustva sa SDP-om, to neće biti lako. Zato „ljevica koja to jeste“ treba obnoviti dijalog sa sindikatima i njegovati ga, uključivati se u one projekte u kojima može pokazati svoju spremnost da u suradnji sa sindikatima štiti interese ljudi koji žive od svog rada.


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SINDIKATI KAO AKTERI POSTIZBORNIH PROMJENA U RH


 

Moć i nemoć sindikata u RH

 

Socijalni rebus u RH praktički se pretvara u pitanje: je li moguće stvaranje socijalne i političke koalicije koja bi bila i većinska i reformska?

Najkraći mogući odgovor je da se, bar na kraći rok, ne može očekivati stvaranje takve koalicije.Ono što je, u najboljem slučaju moguće i vjerojatno, jest sporo, mukotrpno i u velikoj mjeri nesigurno i iznuđeno, polureformsko kretanje.

Sfera politike očito ima svoju autonomnu logiku čiji će se smisao u velikoj mjeri iscrpljivati u interesnim igrama i računicama oko vlasti.

U njezinom žarištu nisu ključna socijalno-ekonomska pitanja i to ne zato što ih stranke ne žele kapitalizirati, nego što postoji čitav niz pitanja koja je prethodno potrebno raščistiti.

Logično bi bilo da sindikati, zato što predstavljaju jednu, istina ne odveć homogenu stranu socijalnog polja -interesne sfere rada, prvi naprave iskorak ka uspostavljanju tolerantnog dijaloga, suradnje i umijeća postizanja konsenzusa.

Zajednički nastup sindikata prijeko je potreban, prije svega u zaštiti materijalnog položaja, radnih uvjeta i osnovnih sindikalnih sloboda.

Demokratizacija radnog zakonodavstva i zahtjev za djelotvornom socijalnom politikom ciljevi su oko kojih je moguća suradnja i programski udaljenih sindikata.

Solidarnost i suradnja u obrani osnovnih interesa jačaju pregovaračku poziciju sindikata, a da pritom ne dovode u pitanje samostalnost svakog od sindikata i pozitivne stimulativne učinke konkurencije za podršku zaposlenih. Time se stvaraju uvjeti da nakon razdoblja polarizacije – praćenog rastućim sukobima i nastojanjem da se kritikom suparničke središnjice dodatno identificira i ojača vlastita pozicija i pridobije članstvo – u odnosima među sindikatima prevladaju metode konzultacije, usaglašavanja i koordinacije djelovanja.

Usvajanje principa reprezentativnosti sindikata i zajedničkog sudjelovanja u kolektivnom pregovaranju i radu tripartitnih organa, ili bar većinskog sindikata da tijekom pregovora konzultira predstavnike drugih sindikata, pridonijelo bi prevladavanju uzajamnih konzultacija.

Poduzimanjem koraka prema stvaranju unije autonomnih i demokratskih sindikata stvorili bi se preduvjeti za postupnu izmjenu stanja u kojemu sindikati, razjedinjeni i nedovoljno programski profilirani, nisu bili zanemariva, ali ni objektivno pretjerana relevantna snaga.

Uzajamno približavanje i trajnija suradnja mogući su samo u mjeri u kojoj će doći do otklanjanja raznih oblika „nelojalne konkurencije“ između sindikata i izjednačavanja uvjeta za slobodno i ravnopravno sindikalno organiziranje i djelovanje.

U otvorenom unutarsindikalnom i ukupnom društvenom dijalogu, najprije je potrebno odgovoriti na pitanje: može li se (pre)živjeti po starome ili su privatizacija i prateći procesi makroekonomske stabilizacije neka vrsta bolnog, ali i neizbježnog kritičnog reza u oboljelo privredno i društveno tkivo?

Sindikati bi trebali pronaći odgovor na dvojbu kako da u složenoj i interesno uvjetovanoj igri troškova, rizika i (eventualnih) dobiti od privatizacije zaposleni ne plate čitavi ceh – mada nisu daleko od toga.

Mogu li se sindikati (kao socijalni partneri) i kojim sve sredstvima izboriti za djelotvorno jamčenje osnovnih radnih i sindikalnih prava, stvaranje sigurnosne socijalne mreže i politike (re)upošljavanja kao pretpostavke prihvatljive privatizacije?

Istodobno treba raščistiti i s dvojbom-jesu li sindikati dovoljno učinili na širenju znanja i svijesti o nužnosti i izazovima promjena i imaju li oni dovoljno volje, snage i potencijala.

Proces privatizacije, praćen prekomjernim protekcionizmom, otežao je uvjete djelovanja sindikata, lišio ih dijela članstva i ostavio ih bez dobrog dijela organizacijske strukture i veza.

Jedno od pitanja na koje sindikati trebaju imati odgovor: kako u uvjetima egzistencijalne nesigurnosti prevladati raširenu maniru zadovoljavanja mrvicama s kapital-stola i sudioništva u preljevenju kapitala u tekuću potrošnju?

Može li se učiniti djelatnom svijest da se odgađanjem promjena samo uvećava njihova cijena? Kako privoljeti vlastito članstvo da u logičnu međusobnu vezu dovede činjenicu da je preraspodjela već izvršena, da je „njihova“ imovina već tuđe vlasništvo, da je obezvrijeđena i da nije ostalo „bog zna što“ za privatizaciju, uz svijest da su krivci za takvo stanje upravo oni koji pričaju priču o zaštiti nacionalnih interesa?

Ako, dakle, svaka „privatizacija“ nije nužna ni pravedna, ni ekonomski djelotvorna, odnosno sama po sebi nipošto nije svemoćni čarobni štapić – neka vrsta moderne panaceje – postavlja se pitanje mogu li sindikati ostvariti jedinstvo i izvršiti značajan pritisak usmjeren k prihvaćanju javne transparentne normativno uređene obavezne i oročene privatizacije?

Vjeruje li, recimo, itko u sindikatima i izvan njih iskreno u ekonomsku racionalnost radničkog akcionarstva, odnosno u sposobnost radnika da osiguraju tržišni kapital koji nedostaje, modernu tehnologiju i znanja o ekonomskom poslovanju? Trebalo bi razbiti iluziju da oni, poglavito u uvjetima kakvi jesu, a još će dugo potrajati, mogu razvojno produktivno uravnotežiti svoje interese kao zaposleni i kao (većinski) akcionari i upravljači. Čak i u slučaju postizanja unutarsindikalne suglasnosti oko ciljeva i metoda, postavlja se pitanje mogu li sindikati prinuditi svoje socijalne partnere na postizanje pakta o promjenama socijalnog pakta koji ne bi bio kao do sada jednostrani akt kapitulacije i odricanja, moratorij na upotrebu štrajkova i prosvjeda, nego zaista sporazum o uzajamnim jamstvima i podjeli odgovornosti? Imaju li sindikati u tom poslu socijalne i političke saveznike i izvan ograničenog kruga stručne i naučne javnosti, profesionalnih udruženja i civilnih inicijativa?

Mogu li oni prosvjedima i štrajkovima prinuditi državu i poslodavce na odgovorno ponašanje i poštivanje dogovorenoga?

Naravno, moguća su i mnoga druga pitanja.Privatizacija je tako, među ostalim, i značajno moralno pitanje. Opravdan je zahtjev za oduzimanje nezakonito stečene imovine. Time se otvaraju i pitanja izvodljivosti i mjere ekonomske (ne)opravdanosti takvih poteza. U tom kontekstu, neizvjesna je i sudbina zahtjeva da se neisplaćene zakonite zarade zaposlenih pretvore u njihov poduzetnički ulog. Još brojniji i raznovrsniji su odgovori na te dileme i izazove.

Sindikati i drugi politički akteri mogu birati različite strategije i ulazak u različite međusobne aranžmane. Nijedan od njih nije socijalno – razvojno neutralan i svaki od njih ima svoju cijenu. Sindikati mogu, a to i rade, odabrati i zadržati „strategiju noja“, zabadanje glave u pijesak, tj. nečinjenja i iščekivanja da netko „dovede stvari na svoje mjesto“. Unutar sindikata dosta je jaka ona struja koja smatra da prethodna pitanja i nisu pitanja za sindikat, tj. da sindikat samo mora inzistirati na poštivanju radnih i sindikalnih prava u korištenju legalnih sredstava za njihovu obranu. Ne vidi se ili se, iz najčešće prozaičnih razloga, ne želi vidjeti da ograničavanje na promjenu legalističke „mirnodopske“ revindikativne strategije, u uvjetima akutne krize i neravnoteže moći, samo vodi u daljnju marginalizaciju. Višestruko potvrđeno pravilo moći uči da oni koji se ne izbore za (ravnopravno) sudjelovanje u igri neće biti ni pitani, odnosno snosit će posljedice njezina neželjenog ishoda.

Sindikati su pred velikim izazovom iz jednostavnog raloga što su stvorene objektivne pretpostavke za demokratsku transformaciju koja je, istini za volju, praćena sporim i mukotrpnim promjenama u sadržaju svijesti i ponašanja većine zaposlenih i stanovništva. Kao rezultat golemog nezadovoljstva postojećim stanjem, većina zaposlenih (konačno) pokazuje spremnost da neposredno učestvuje u širim socijalnim prosvjedima koji nadilaze štrajkove s klasičnim revindikativnim zahtjevima.

Povijest radničkih štrajkova u Hrvatskoj 1991. – 2011. godine pokazuje da uporni, na kratak rok djelotvorni, prosvjedi završe fijaskom ako ne predstavljaju dio artikuliranog širokog i trajnog pokreta za temeljne društvene promjene.

Opredjeljenje za promjene u svijesti većine praćeno je strahom od:

  1. rastuće bijede i nezaposlenosti, siromaštva , otuđenosti, eksploatacije i dramatičnog zaostajanja u procesu tranzicije, obračuna lobija i klanova bliskih vlasti oko raspodjela monopola – rente, konvertiranja političke u ekonomsku moć, politički korumpiranog kriminaliziranoga djelovanja (novih) ekonomskih moćnika, itd.
  2. nepostojanje elementarne suglasnosti interesa i volje -odsutnost temeljnoga, socijalnog i političkog konsenzusa oko osnovnih sadržaja neophodnih promjena kao i redoslijed i tempo njihova ostvarivanja
  3. činjenica da sindikati nisu igrali aktivniju i samostalniju ulogu, odnosno predstavljali su nemoćnoga, razjedinjenoga i dezorijentiranoga statistu na društvenoj pozornici.

Krajnji cilj promjena, za većinu zaposlenih, jest društvo socijalne sigurnosti, solidarnosti i umjerene (ne)jednakosti, odnosno socijalno-tržišna privreda koja kombinira visoku efikasnost, sigurnost i zaposlenost.

Pitanje je kako će sindikati razriješiti nejedinstvenost zaposlenih koja se kreće od opredjeljenja za suodlučivanje i suupravljanje zaposlenih, vlasnika i menadžera, onih koji prihvaćaju samoupravljanje, odnosno stav da bi bilo bolje da zaposleni biraju direktore, i onih zaposlenih koji su za punu sindikalizaciju moći zaposlenih, odnosno onih koji prihvaćaju stav da upravljanje treba prepustiti vlasnicima i menadžerima, a zastupanje prava i interesa zaposlenih povjeriti sindikatima u procesu kolektivnog pregovaranja. Različita, nedovoljno kristalizirana i nedovoljno stabilizirana, uvjerenja i stavovi o poželjnosti i efikasnosti participacije zaposlenih u upravljanju, ponajprije su plod međudjelovanja realnog položaja i interesa pojedinaca i skupina i njhove šire demokratske i političke orijentacije.

Sindikati su pred velikim ispitom i izazovom. Oni trebaju prijeći Rubikon promjena – pokazati veliku zrelost i umijeće (re)kombiniranja naizgled kontradiktornih neposrednih parcijalnih interesa i dugoročnog općeg interesa..

Po cijeni žestokih unutarnjih rasprava, rascijepa i bolne (samo)evolucije, oni moraju proći kroz svojevrsnu katarzu. U suprotnom, sindikati će izgubiti još jednu, ovaj put, čini se, i konačnu, bitku i (p)ostati samo puki demokratski ornament i dekor.

 

doc. dr. sc. Pavle Vukčević


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HRVATSKOM JE LAKO VLADATI KAD „BOLUJU” SINDIKATI


Socijalistička radnička partija Hrvatske – Gradska organizacija Split, polazeći od ovog programskog opredjeljenja „socijalizam 21 stoljeća“.izvornih teorijskih spoznaja Marxa, socijalizma i samoupravljanja, kao procesa oslobađanja čovjeka od najamnih odnosa, polazi od pretpostavki da u R. Hrvatskoj nije moguće stvaranje socijalne i političke koalicije koja bi bila i većinska i reformska. Sfera politike u R. Hrvatskoj ima svoju totalitarističku i autokratsku logiku obrane „robovlasničkog“ kapitalizma – Imperiju Srama.

Sindikati ne igraju aktivnu ulogu (ne djeluju); statisti su na (ne)društvenoj pozornici. Uključuju se sporo (ili nikako), kalkulantski, kukavički, opsjednuti nacionalističkom frazeologijom i sebičnim interesima sindikalne birokracije; ne žele, a tko zna da li i znaju – da je zajednički nastup sindikata prijeko potreban, prije i iznad svega, u zaštiti materijalnog položaja radnih uvjeta i osnovnih sindikalnih sloboda stvaralaca materijalnih, znanstvenih i duhovnih vrednota..

Polazeći od navedenoga, postavlja se pitanje: “vjeruje li itko u sindikate (u ćlanstvu) i izvan njih u Hrvatskoj; u vladi, političkim partijama, robovlasničkom kapitalizmu, korumpiranim institucijama?”

Iskreno, vjeruje li itko od radnika da u uvjetima kakvi jesu (a to će potrajati u nedogled i biti sve gore i gore), očekuje li da će putem sindikalne borbe moći bitno utjecati na promjene položaja u kojem se sada nalaze i u kojem će se i ubuduće nalaziti?

Čak i u slučaju postizanja unutarsindikalne suglasnosti oko ciljeva i metoda djelovanja, postavlja se pitanje mogu li sindikati prinuditi svoje socijalne partnere na postizanje konzensusa o promjenama socijalnog pakta koji ne bi bio, kao do sada, jednostrani akt kapitulacije i odricanja, moratorij na uporabu štrajkova i prosvjeda, nego zaista sporazum o uzajamnim jamstvima i podjeli odgovornosti.

Unutar sindikata (rukovodstava) izuzetno je jaka ona struja koja je oboljela od nacionalizma i koja smatra da se treba ponašati po “strategiji noja”, odnosno očekivanja i nečinjenja; “drugi će stvari dovesti na svoje mjesto”. Rezultat krajnje nepovoljne društvene klime, kulminiranje krize (ekonomske, socijalne, duhovne, moralne, etičke, zakonodavne), razvlašćivanje zaposlenih i delegitimiranje ideje samoupravljanja i socijalizma, polazne su osnove za djelovanje sindikata. Kao rezultat ogromnog nezadovoljstva postojećim stanjem, većina zaposlenih (konačno) pokazuju spremnost da neposredno sudjeluju u širim socijalnim prosvjedima koji nadilaze štrajkove s klasičnim revindikativnim zahtjevima (napušta se obrana nacionalističkog ponosa), dočim ne treba izgubiti iz vida i činjenicu (koja odgovara vladi) da prilićan broj zaposlenih (naroćito u državnim institucijama) čine oslonac totalitarnoj i autoritarnoj vlasti i njenim rješenjima.

Sindikati su pred velikim povijesnim ispitom i izazovom. Trebaju prijeći “Rubicon promjena” – pokazati veliku zrelost i umjeće – (re)kombiniranje naizgled kontradiktornih, neposrednih parcijalnih interesa i dugoročnog općeg interesa, a po cijeni žestokih unutarnjih raspri, rascjepa i bolne (samo)revolucije. Moraju proći kroz svojevrsnu katarzu. U suprotnom, sindikati će izgubiti još jednu, ovaj put, čini se, konačnu bitku i (p)ostati samo puki demokratski ornament i dekor.

Socijalistička radnička partija Hrvatske smatra da je ponašanje rukovodstva sindikata u R. Hrvatskoj neprimjereno i neprihvatljivo kada je riječ o obrani prava koja proizilaze iz sfere rada i u suprotnosti su sa programskim načelima suvremenog sindikalnog organiziranja.

 

Dr. Sc. Pavle Vukčević