Informazione


INIZIATIVE SEGNALATE

1) Ronchi (Go) 14/6: DI COS'È IL NOME UN NOME?
2) Brescia 21/6: F E S T A Z A S T A V A 2 0 1 4
3) Trieste/Trst 26/6: LIPA, reading musicale per commemorare una strage
4) È uscito il nuovo numero della rivista MARX 21


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sabato 14 giugno

Giornata della cultura resistente
area feste Selz di Ronchi (Go) via Monte Cosich
dalle 16.30 alle 19.00 

Convegno storico, sociale e culturale:
DI COS'È IL NOME UN NOME?
con l'adesione di ANPI, ANED, Istituto di studi storici Gasparini, SKRD Jadro, circolo Arci Curiel San Canzian, circolo culturale e sportivo dell'Olmo; in collaborazione con la libreria la Linea d'Ombra di Ronchi e la casa editrice Kappa Vu

• Introduce e modera Luca Meneghesso
• Boris Pahor Proiezione video-intervista realizzata per il convegno
• Maurizio Puntin: La Ronchi “plurilinguistica” dei secoli passati
• Marco Barone: Ronchi “dei partigiani” le ragioni di una proposta
• Alessandra Kersevan: L'invenzione del nome “Venezia Giulia”
• Piero Purini: Costruzione della Nazione. I cambiamenti nelle denominazioni delle località dall'unità d'Italia al secondo dopoguerra.
• Wu Ming 1: Nomi tossici e Grande guerra
• Dibattito
Segue rinfresco con proposta di alcuni canti della tradizione sociale e politica di fine Ottocento - inizio Novecento, introdotti da brevi spiegazioni contestualizzanti il brano.

Dalle 21.00 alle 23.00 presentazione del nuovo libro del Collettivo WU MING “l'Armata dei Sonnambuli” con la presenza di WU MING1


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F E S T A Z A S T A V A 2 0 1 4

 L’ Associazione Zastava - Brescia invita  la gente amante della pace e della solidarietà alla annuale  cena  che si terrà
S A B A T O 2 1 G I U G N O 2 0 1 4
Presso la Casa del Popolo di Urago Mella, via Risorgimento, 18 - BRESCIA

LA SCELTA DI QUESTO RISTORANTE, GESTITO DALLA ASSOCIAZIONE “ ARCIMBOLDO “,

E’ DOVUTA ALLA OTTIMA QUALITA’ DEI SUOI PIATTI OLTRECHE’ ALL’ ATMOSFERA PIACEVOLE OFFERTA DA UN AMBIENTE AMICO DEI VALORI DELLA PACE E DELLA SOLIDARIETÀ CHE ISPIRANO LE NOSTRE ATTIVITÁ.

Il ritrovo è previsto per le ore 20.00 Il costo della cena è di 20 €

PIACEVOLI MUSICHE ACCOMPAGNERANNO LA SERATA

A causa del numero limitato dei posti ( 70 ), è necessario prenotare entro il 15 giugno, telefonando a uno dei seguenti numeri :

        - Alfredo -             030/2703114 - 347/2259942
Maria Grazia - 030/2312135 - 328/6460306
- Riccardo -          030/2793551 - 347/3224436
IN CASO DI BEL TEMPO STABILE, LA CENA POTRÀ TENERSI IN GIARDINO.
 In chiusura della serata avverrà l’ estrazione dei biglietti vincenti della nostra sottoscrizione a premi.
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GRAN PARTE DELLA SERBIA E’ STATA COLPITA DA UNA GRANDE ALLUVIONE CHE HA CAUSATO IMMENSI DANNI A COSE E PERSONE.
LA NOSTRA ASSOCIAZIONE, ASSIEME ALLE ALTRE CHE DA ANNI OPERANO IN FAVORE DELLE FAMIGLIE SERBE IN GRAVE DIFFICOLTA’ A CAUSA DEI BOMBARDAMENTI NATO DEL 1999, SI STA ADOPERANDO PER AIUTARE A SUPERARE ANCHE QUESTA CALAMITA’ CHE AGGIUNGE UN SERIO COLPO ALLE MAGRE ECONOMIE DELLE FASCE SOCIALI PIU’ DEBOLI E PER QUESTO, L’ INTERO RICAVATO DELLA SERATA SARA’ UTILIZZATO PER RICOSTRUIRE LE STRUTTURE SOCIALI DISTRUTTE.
Nel corso della serata verrà presentato e sottoposto all’ approvazione degli associati il bilancio consuntivo 2013.

http://digilander.iol.it/zastavabrescia/ mail : zastavabrescia@... fb: www.facebook.com/ZASTAVABRESCIA




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Comunicato Stampa - Lipa di Giuseppe Vergara - 26 giugno 2014


con cortese preghiera di diffusione
 
Lipa, un reading musicale per commemorare una strage
 
Giovedì 26 giugno 2014 alle 21.00 presso la Basilica di San Silvestro in Piazza San Silvestro a Trieste si replicherà lo spettacolo Lipa di Giuseppe Vergara.
Gli attori Tiziana Bertoli, Luca Giustolisi, Katia Monaco e Stefano Vattovani leggeranno ed interpreteranno il testo di Vergara con l’accompagnamento musicale dei Bachibaflax, la band di nove elementi diretta da Marco Vilevich autore anche della colonna sonora dello spettacolo. 
All’interno delle mura della più antica chiesa della città, che sorge accanto alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, si potrà ascoltare la storia del paese di Lipa che il 30 aprile del 1944 fu raso al suolo da un rastrellamento nazifascista trasformatosi in una strage di innocenti civili. 269 persone furono trucidate quel triste giorno, 121 di loro erano bambini, gli altri anziani e donne. Un episodio poco conosciuto anche a Trieste che dista solo una sessantina di km dal paesino croato. L’intento dello spettacolo è quello di far conoscere questa triste vicenda attraverso un testo che intreccia il linguaggio storico a quello narrativo, grazie alla forma del reading musicale, per uno spettacolo della durata di quasi due ore. L’entrata sarà ad offerta libera.
 
Per maggiori informazioni e per la visione di contributi video, quali trailer e spezzoni dello spettacolo, è attiva la pagina Facebook  "Lipa" disponibile anche per chi non è iscritto al Social Network.
 
http://www.facebook.com/lipa1944
 
per contatti e prenotazione posti
gvergar64@...


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Da: MARX VENTUNO <marxventuno.rivista@...>
Oggetto: nuovo numero della rivista “Marxventuno”
Data: 03 giugno 2014 07:41:47 CEST
A: undisclosed-recipients:;


È uscito il nuovo numero della rivista “Marxventuno”:

numero doppio, 1-2 del 2014 (euro 12).


La rivista Marxventuno può essere spedita a richiesta. Scrivere a marxventuno.rivista@...

 

Il n. 1-2 del 2014 consta di 164 pagine, con un corposo supplemento sulla crisi ucraina, introdotto dall’esemplare analisi di Manlio Dinucci sull’espansione della Nato ad Est e la strategia usamericana verso (e contro) la Russia e verso (e anche contro) gli alleati subalterni della Ue.

Accanto ad articoli che analizzano i precedenti e le dinamiche del colpo di stato a Kiev (si veda il documentatissimo articolo di Bensaada), la pesante ingerenza occidentale, il ruolo della destra neonazista e delle sue formazioni militari armate, nonché l’attacco ideologico del revisionismo storico all’esperienza dell’Ucraina sovietica (cui risponde documentatamente la storica marxista Annie Lacroix-Riz) vi è una sezione dedicata ai comunisti ucraini, alla loro linea politica (cfr. l’art. di L. Marino), alla loro azione in questi ultimi mesi, fino all’insorgenza del Sud-est russofono (si veda l’articolo di Pettinari).

Segnaliamo la corposa cronologia sull’Ucraina post-sovietica, con una dettagliata sezione sugli eventi da novembre a fine aprile. Abbiamo ritenuto con ciò di fornire ai lettori uno strumento per una corretta comprensione dei processi in corso (similmente fu fatto nel numero speciale di settembre-ottobre 2013 dedicato alle “riforme costituzionali”).

Nel fascicolo si affronta anche il contemporaneo esplodere di un tentativo di “rivoluzione colorata” in Venezuela (cfr. art di Lamattina) per riportare sotto il controllo imperialista la repubblica bolivariana e se ne propone una lettura contestuale.

La riflessione di Alessandro Leoni sulla “fase post-sovietica”, pur elaborata nell’agosto scorso a ridosso del possibile acuirsi della crisi siriana, mantiene tutta la sua pregnanza alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina.

Per la preparazione della parte speciale sull’Ucraina prezioso è stato il supporto del sito dell’associazione Marx XXI (www.marx21.it) e del suo direttore Mauro Gemma, con un’imponente pubblicazione di documenti tradotti dall’originale, nonché del profilo Facebook “Con l’Ucraina antifascista”:

(https://www.facebook.com/ucrainaantifascista).

 

La crisi ucraina, che riporta la guerra in Europa, rivela sempre più chiaramente la portata mondiale dei processi in corso, che solo una visione provinciale di una certa sinistra in Italia si ostina a non cogliere o a rimuovere. Altrove, nella Repubblica Popolare Cinese, si organizzano invece Forum sulla grande crisi capitalistica e sulle prospettive del socialismo nel mondo. Il IV Forum mondiale del socialismo, tenutosi a Pechino a fine ottobre 2013, rappresenta un notevole contributo di analisi economico-sociale e politica che l’Accademia cinese delle scienze sociali (che pubblica da tre anni in inglese la rivista internazionale International critical Thought, cfr. scheda in quarta di copertina) e il PCC apportano al movimento comunista e operaio internazionale, nella ricerca, pur tra le diversità e differenze presenti, di punti forti di convergenza per un nuovo “rinascimento socialista”. La crisi capitalistica, infatti, apre un’intera fase storica che può condurre a vittorie decisive del proletariato o ad amare disfatte. I comunisti sono di fron­te al compito storico della transizione al nuovo ordine sociale. Se ne dà nel fascicolo un ampio resoconto (A. Catone), insieme con la pubblicazione del discorso introduttivo del presidente dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali Wang Weiguang.

 

Il quadro delle questioni internazionali è arricchito, inoltre, da un’analisi delle politiche del Partido dos Trabalhadores brasiliano (cfr. M. A. da Silva) e da report su iniziative di solidarietà con la causa della liberazione del popolo palestinese (O. Terracini, M. Musolino).

 

Sul piano interno, il fascicolo propone, insieme con un’analisi giuridico-istituzionale del “caso ILVA” e degli embrioni di stato neo-corporativo che le soluzioni legislative adottate per esso adombrano (cfr. gli articoli di D’Albergo e Bucci), un report sul convegno dell’associazione “Futura umanità” dedicato a “Togliatti e la Costituzione”, insieme con la pubblicazione di alcune relazioni in esso presentate (A. Hoebel, P. Ciofi, presidente dell’associazione “Futura umanità”): questione quanto mai attuale in questa fase di accelerati tentativi di ulteriore stravolgimento dell’impianto costituzionale.

 

La riaffermazione dei valori della Costituzione repubblicana, l’indisponibilità a vanificare i diritti da essa contemplati e la superiorità della Carta costituzionale rispetto a qualunque trattato internazionale costituiscono uno dei punti fondamentali del documento sulle “Idee e programma dei comunisti italiani per le elezioni europee”, che la rivista propone a mo’ di editoriale. In esso sono sintetizzate diverse questioni che anche il piccolo lavoro di analisi ed elaborazione di questa rivista ha contribuito a definire: il carattere regressivo, oligar­chico, antidemocratico e imperialista del­l’Unione Europea; la centralità del settore pubblico dell’economia per una programmazione democratica; la netta opposizione alle politiche di Ue e Nato; la necessità di rafforzare i legami tra i partiti comunisti, i movimenti anticapitalisti, antimperialisti e progressisti insieme con quella – nonostante le grandi difficoltà e le occasioni perse (si veda in proposito l’articolo di Bruno Steri, direttore della rivista “Essere comunisti” – di unire in Italia i comunisti su basi di affinità politica, programmatica, ideale e di collocazione internazionalista in un unico partito comunista, che si ispiri alla migliore tradizione del PCI, attualizzandola, bandendo ogni settarismo e subalternità.

Per ricostruire il soggetto politico comunista, fondamentale è l’attività di formazione politica marxista e comunista (si riporta qui l’esperienza della scuola “Gramsci” di Ancona”, diretta da R. Giacomini), di elaborazione culturale per l’analisi del presente e per riappropriarsi della storia dei comunisti (nella rivista vi è una breve scheda del volume curato da A. Hoebel e M. Albeltaro, “Novant’anni dopo Livorno. Il Pci nella storia d’Italia”, frutto di due convegni promossi nel 2011 dall’Associazione Marx XXI). È importante che si sviluppino associazioni e una rete di associazioni che promuovano e favoriscano il dialogo e l’elaborazione collettiva, terreno su cui è nata l’associazione Marx XXI, di cui si propone un ampio programma di attività (cfr. l’art. di Hoebel e Pellegrini), come anche riviste quali “Gramsci oggi”, che ha compiuto 10 anni (cfr. l’art. del suo direttore Giai-Levra).

La rivista “Marxventuno” continuerà nei prossimi fascicoli ad ospitare interventi e riflessioni, come anche report di esperienze di associazioni e riviste marxiste e comuniste, per favorire il dialogo e la costruzione dell’intellettuale collettivo, del soggetto politico comunista.

 

Ai lettori, a quanti trovano di una qualche utilità il nostro lavoro volto alla ricostruzione del soggetto politico comunista, fornendo strumenti per la lettura critica della realtà, insieme con l’elaborazione di indicazioni programmatiche, chiediamo di sostenerci con proposte di pubblicazione, articoli, suggerimenti, critiche. E chiediamo anche – last but not least – un contributo concreto, abbonandosi o rinnovando l’abbonamento, condizione essenziale perché si possa continuare in questa impresa.

 

Andrea Catone

 

Indice e abstracts

 

Comunisti in Europa uniti per la pace, il lavoro e la solidarietà internazionale

Idee e programma dei comunisti italiani per le elezioni europee

 

Manlio Dinucci - La vera posta in gioco nella crisi ucraina

L’Ucraina è una pedina fondamentale nel piano Usa di espansione a est, cominciato con l’in­globamento nella Nato di paesi dell’ex patto di Varsavia, dell’ex URSS e dell’ex Jugoslavia e corredato più di recente dal­l’in­stal­lazione di basi e forze militari a ridosso della Russia.

 

Mauro Gemma - L’Ucraina, l’Unione europea e la NATO

Quanto accade in Ucraina non è circoscrivibile alle vicende di quella repubblica ex sovietica. È parte di un piano organico elaborato da tempo dagli USA, dalla Nato, dai gruppi dominanti della Ue volto a destabilizzare, rovesciare e poi annettere, anche in Europa, quei paesi e governi che non accettano la tutela euro-atlantica

 

Federico La Mattina - Imperialismo occidentale e golpismo reazionario in Venezuela e Ucraina

In Venezuela la destra neofascista sta provando ad abbattere il legittimo governo di Maduro, con il supporto delle oligarchie economiche e mediatiche e degli USA. In Ucraina USA e NATO hanno supportato un golpe nazionalista, diretto da forze nazionaliste e neonaziste. Occorre lottare per lo smntellamento della nato e delle basi USA in territorio europeo.

 

Ahmed Bensaada - Ucraina: anatomia di un colpo di stato

Il cambio di governo in Ucraina è stato presentato come legittimo ed espressione della volontà popolare. Ma il golpe neonazista, ampiamente sostenuto dalle potenze imperialiste, non è che un tentativo di isolare la Russia e limitarne la crescente importanza nelle que­stioni internazionali.

 

Chiara Stella Smaldino - Il fumo nero di Kiev

Con il golpe del 22 febbraio, avvenuto con il benestare e il sostegno delle potenze imperialiste occidentali, salgono al potere uomini politici che si rifanno esplicitamente al Terzo Reich, per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale

 

Annie Lacroix-Riz - Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo“europeo”

Una scarsità di raccolti, dipendente, in parte da fenomeni naturali, in parte dall’ostilità dei Kulaki, fornisce recentemente l’occasione al Parlamento Europeo di accusare l’URSS di “Holodomor”, un genocidio programmato nei confronti della popolazione ucraina, con cifre superiori a quelle dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.

 

Flavio Pettinari - La sollevazione dell’Ucraina sud-orientale

La richiesta di un referendum per uno stato federale che rispetti i diritti delle minoranze e il rifiuto dell’accordo di associazione alla ue sono alla base della sollevazione, con marcati caratteri antifascisti, dell’Ucraina sud-orientale

 

Luigi Marino - La linea politica del Partito comunista d’Ucraina

Nato nel luglio del 1918, Il PCU ha avuto un’importanza fondamentale nella storia dell’URSS sino all’illegale sua proibizione nel 1991. Riorganizzatosi nel ’93, Mantenendo fermo l’obiettivo del socialismo, ha varato un programma minimo: contro il presidenzialismo, per l’intervento pubblico e la pianificazione in economia, contro l’imperialismo e la NATO.

I comunisti nella crisi ucraina. Documenti

 

Cronologia dell’Ucraina post-sovietica

 

Novant’anni dopo Livorno. Il Pci nella storia d’Italia. Breve scheda e indice

 

Andrea Catone - Il IV Forum mondiale del Socialismo a Pechino

Il IV Forum mondiale del socialismo, tenutosi a Pechino a fine ottobre 2013, rappresenta un notevole contributo di analisi economico-sociale e politica che l’Accademia cinese delle scienze sociali e il PCC apportano al movimento comunista e operaio internazionale, nella ricerca, pur tra le diversità e differenze presenti, di punti forti di convergenza per un nuovo “rinascimento socialista”.

 

Wang Weiguang - Le promettenti prospettive del marxismo e del socialismo nel mondo

Il processo storico mondiale mostra, con la grande crisi attuale, la natura decadente del capitalismo e l’i­nevitabile vittoria del socialismo, che però non sarà facile, né realizzabile in breve tempo. Bisogna intensificare lo studio su a) l’esperienza storica del socialismo in URSS e le cause della sua sconfitta; b) i nuovi aspetti del capitalismo. Il socialismo con caratteristiche cinesi mostra, di fronte alla crisi finanziaria internazionale, la sua vitalità.

 

Alessandro Leoni - L’epoca presente come “fase post-sovietica”

La realtà della Russia post-sovietica va interpretata in tutta la sua novità al fine di mutare i parametri fin ad oggi utilizzati dalle forze alternative/rivoluzionarie per definire le proprie linee guida politico-programmatiche.

 

Salvatore d’Albergo - Ilva: dalla crisi di Taranto ai privilegi dei Riva

Lo schermo dell’“interesse strategico nazionale”, sia se adoperato in modo surrettizio (come nel caso “Alitalia”), sia se anteposto in modo ostentato (come nel caso Ilva), non può essere utilizzato come una sorta di spot idoneo a legittimare violazioni crescenti di norme costituzionali ancora formalmente in vigore, come gli artt. 41 e 43 della Costituzione.

 

Gaetano Bucci, Salvatore D’Albergo - L’Ilva e gli embrioni di uno Stato neo-corporativo

Nella vicenda dell’Ilva, si deve osservare come la normativa adottata dal Governo per disciplinare un settore produttivo ritenuto enfaticamente di “in­teresse strategico nazionale”, risulti “an­ti­de­mo­cra­tica” ed “antisociale” perché contrasta con l’im­po­sta­zione e con le finalità della Costituzione.

 

Bruno Steri - Il congresso del Prc: un’occasione persa

Il congresso del Prc tenutosi a dicembre 2013 a Perugia non fa fare concreti passi in avanti a questioni vitali quali il processo di unificazione dal basso dei comunisti e la costituzione di un polo (o fronte) della sinistra di alternativa, formula che invece, in altri contesti europei, ha consentito ai comunisti di mantenere la propria identità politico-organizzativa in sintonia con la storia e la specifica esperienza politica dei diversi Paesi

 

Marcos Aurélio da Silva - Sulla strada del riformismo: il Brasile sotto i governi del PT

I governi del PT in Brasile, succeduti al regime dittatoriale e oppressivo dei militari, hanno operato per sanare le piaghe economiche del paese. Mentre parte della sinistra, considerando alcuni aspetti negativi come caratteri dominanti, si lancia in una critica feroce, l'autore ritiene, sulla base di una concezione dialettica della trasformazione sociale ispirata a Lenin e Gramsci, che le scelte economiche del PT vadano inquadrate in un processo progressivo.

 

Ornella Terracini - Mai complici di Israele

Intervento tenuto in occasione della ma­ni­fe­sta­zio­ne contro il vertice Letta-Netanyahu (2-12-2013), in cui si legge un bilancio complessivo e sentito delle iniziative a cui l’autrice ha preso parte, accompagnato da considerazioni sul­l’oc­cu­pazione sionista in Palestina e sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

 

Maurizio Musolino - Per non dimenticare… il diritto al ritorno

Resoconto del viaggio dei 17 membri della delegazione del Comitato “Per non dimenticare… Il diritto al ritorno” a Gaza, agli inizi di gennaio. Un viaggio motivato dal­­l’e­si­genza di rafforzare la solidarietà ai profughi palestinesi ed il lavoro internazionale per il loro diritto a tornare nella loro terra.

 

Francesco Valerio Della Croce - La cultura togliattiana nella Costituzione del ’48

Report sul convegno “Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro”, organizzato a Roma l’8 novembre 2003 da “Futura Umanità, associazione per la storia e la memoria del PCI”.

 

Alexander Höbel - Togliatti, la “democrazia di tipo nuovo”, la Costituente. Un’elaborazione di lunga durata

La linea della democrazia progressiva, cioè della costruzione di una democrazia organizzata, articolata, partecipata, è per Togliatti uno dei cardini dell'avvicinamento al socialismo. L’importanza del contributo togliattiano a questo tema sta nel fatto che esso si lega alla sua battaglia per l’Assemblea costituente e per una Costituzione che non si limiti a codificare gli assetti esistenti, ma che sia un programma per il futuro.

 

Paolo Ciofi - Togliatti e la via costituzionale per la trasformazione della società: democrazia e socialismo

La strategia di Palmiro Togliatti, il rivoluzionario costituente, ponendo i comunisti alla testa della guerra di liberazione e cementando l’unità dei partiti antifascisti, consentì di liquidare la monarchia e il fascismo e aprì la strada alla Costituzione del ’48 che mette  il lavoro a fondamento del patto tra gli italiani e che è il vero progetto per cambiare l’Italia e l’Europa.

 

Ruggero Giacomini - La scuola di formazione Gramsci

Tradizionalmente importante e molto curata nelle scuole di partito del PCI, la formazione è stata completamente trascurata dagli anni ’80. La Scuola di formazione politica Antonio Gramsci,sorta su iniziativa del Pdci-Marche e di Marx XXI vuole dare un segnale di inversione di tendenza e si propone di irrobustire la conoscenza e la coscienza dei militanti comunisti e della sinistra, specialmente dei più giovani.

 

Rolando Giai-Levra - La rivista “Antonio Gramsci oggi” compie dieci anni

Incoraggiante bilancio di 10 anni di attività e prospettive future della rivista digitale politico-culturale Antonio Gramsci oggi, sorta a Milano nel 2003 su iniziativa di un gruppo di compagni per aprire un dibattito sull’unità dei comunisti e sul possibile fronte della Sinistra.

 

Alexander Höbel, Paola Pellegrini - Rilanciare e rafforzare l’associazione Marx XXI

Bilancio e direttrici di un vasto programma di attività dell’associazione politico-culturale Marx XXI, fondata nel 2010 con l’obiettivo di produrre elaborazioni, studi e programmi che, sul piano teorico e culturale, ponessero le basi per il lavoro politico teso alla riunificazione in Italia delle forze che si richiamano al marxismo e al comunismo, nel quadro di un confronto con il complesso delle tendenze culturali e politiche anticapitaliste, progressive e democratiche a livello nazionale ed internazionale.

 

La rivista International critical Thought

 

ABBONAMENTO ANNUALE ORDINARIO: 30 EURO

ANNUALE ESTERO POSTA PRIORITARIA: 65 EURO

ANNUALE SOSTENITORE 80 EURO (O PIÙ)

 

PER STUDENTI, CASSINTEGRATI, ESODATI, DISOCCUPATI: 20 EURO.

 

 

SI PUÒ EFFETTUARE IL VERSAMENTO:

 

- SUL C/C POSTALE N. 001014700429  INTESTATO A: MARXVENTUNO EDIZIONI, II STRADA PRIVATA BORRELLI, N. 34, BARI

 

- TRAMITE BONIFICO BANCARIO:

IBAN: IT97 W076 0104 0000 0101 4700 429

 

- ON LINE DAL SITO WWW.MARX21.IT:

HTTP://WWW.MARX21.IT/COMPONENT/CONTENT/ARTICLE/32-LA-RIVISTA-MARXVENTUNO/549-CAMPAGNA-ABBONAMENTI-2012.HTML







Evropsko glasanje i perspektive komunista prema PdCI

1) Povodom iskustva Belgije (Fausto Sorini)
2) Prva analiza italijanskog glasanja (Cesare Procaccini)
3) Neke početne razmatranja na europskim izborima (Fausto Sorini)

(prevod: Jasna Tkalec)


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(il testo originale, in lingua italiana:
Sulle prospettive dei comunisti in Italia: spunti dall'esperienza del Belgio
di Fausto Sorini, segreteria nazionale PdCI, responsabile esteri - 30 Maggio 2014

O perspektivama komunista u Italiji: povodom iskustva Belgije

Fausto Sorini, nacionalni sekretar PdCi (Paartije Talijanskih Komunista) za vanska pitanja

Pozivam sve drugarice i drugove da vrlo pažljivo pročitaju ovaj članak [http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/24144-brillante-successo-elettorale-del-partito-del-lavoro-del-belgio.html] i da prouče iskustva PTB (Radničke partije Belgije).

Ta malena lenjinistička partija imala je do prije nekoliko godina samo nekoliko hiljada članova i na nacionalnim izborima dobijala je manje od 1% glasova. Zahvaljujući inteligentnom i strpljivom radu, koji se nije osvrtao na izbornu logiku, kao ni na političke i institucionalne prodore, za svega nekoliko godina uspjela je ne samo pojačati vlastitu društvenu ukorijenjenost, već postati partija koja raspolaže sa kadrovima i sa aktivistima, umnožila je članstvo (na kvantitativnoj i selektivnoj osnovi, najvećim dijelom radi se o aktivnim članovima): na kraju je postigla nevjerojatne rezulate, koje ni sama nije očekivala; prešla je izborni prag od 5% glasova i u nacionalni parlament uvela 4 komunistička zastupnika.

Treba proučiti to iskustvo ne kopirajući ga doslovno, već iz njega crpeći one aspekte koji su općeprimjenjivi i u našem kontekstu, a ono je sigurno korisno, gledajući na velike teškoće na koje komunisti nailaze u našoj zemlji, u cilju da se odrupremo konkretnim primjerima razornim likvidatorskim tendencijama.

Iskustvo male (ali sve manje male...) Belgijeske Partije rada (PTB) i to lenjinističke pokazuje, između ostalog, koliko je neutemeljena likvidatorska teza, koja se danas širi na sve strane u debeti koja se vodi na talijanskoj ljevici, a prema kojoj u najrazvijenijim kapitalističkim zemljama (kakve su Italija i Belgija...) navodno nema više objektivno mjesta za postojanje male i revolucionarne komunističke partije sastavljene od kadrova i od aktivista, koji čvrsto politički i ideološki uz nju pristaju, prihvataju organizaciju lenjinističkog tipa sa znatnim utjecajem na mase , koji je itekako društveno koristan (to jest ne predstavlja isključivo grupice ili ostatak izvjesnog političkog iskustva).

Belgijsko iskustvo predstavlja, između ostalog, sjajnu negaciju takvih likvidatorskih težnji.



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(il testo originale, in lingua italiana:
In Europa crescono i comunisti. Prima analisi del voto italiano
di Cesare Procaccini, segretario nazionale PdCI - 26 Maggio 2014


Cesare Procaccini, nacionalni sekretar Pdci (Partije talijuanskih komunista), piše:

Rezultat evropskog glasanja, kojeg treba analizirati mirno i sa svim konačnim podacima, pokazuje napredovanje antievropskih i nacionalističkih snaga. Gromoglasan, ali ne i neočekivan, jest uspjeh francuskogFront national i ostalih partija ekstremne desnice, počevši od Grčke, do Španije i Cipra.

U Italiji snažnu pobjedu Pd (Partito democratico –Demokratske partije) treba više pripisati ogromnoj popularnosti Renzija (bez podcijenjivanja učinka obećanih 80 Eura povišice) nego upravo evropskim usmjerenjima, budući da Italija plaća jako visoku cijenu politici Evropske Unije. Taj rezultat ipak odbacuje i to metlom ljevičarsku manjinu, koja postoji unutar te partije.

Grillo, koji ima ipak još mnogo uspjeha, sa svojim zadnjih blesavim izjavama o „narodnim sudovima“ upravo se svojski potrudio da izgubi (od posljednjih izbora dva miliona glasova). Ne treba zapostaviti, na kraju krajeva, ni poraz partije Forza Italia (Berlusconijeva stranka prim. prev.) sa prelivanjem glasova u Pd (Demokratsku partiju).

Rezultat od 4% glasova, koji je dobio Tsipras, kojem ne treba zaboraviti da je izjavio da ine želi ići s Pdci (Partijom talijanskih komunista) jest rezultat koji bi mogao biti bolji da je bolje uspio povećati i proširiti jedinstvo ljevice u Italiji i u Evropi, krenuvši od pojačanja Evropske ljevice (Gue- gauche EU). Pred tim opredjeljenjima, pogrešnim svakako, reakcija Partije talijanskih komunista bila je racionalna i hladna, sa pogledom koji je gledao dalje od izbornih rezultata, i nije se zatvorio u vlastitu ljusku zbog teške diskriminacije, koju je doživio, održavajući otovrenom diskusiju sa najnaprednijim kandidatima liste Tsipras. Ovom prilikom želim zahvaliti svima onima, koji su potpisali naš programski manifest, izražavajući nadu da će se upravo na tim temama sljedećih tjedana nastaviti važan zajednički rad.

Jasno je da će se definitivno moći odlučiti, kad se bude vidjelo tko je izabran, no analiza rezultata ne može nas navesti da podcijenimo velik neizlazak na izbore i vrlo jako personaliziranje politike. Što se tiče naše zemlje, i bez kandidata vodili smo autonomnu izbornu kampanju, sa snažnim optuživanjem državnog udara u Ukrajini, ne preskačući teme koje se odnose na rad i na tematiku, koju su drugi podcijenili, antifašizma. Svim drugaricima i drugovima, koji su bez ekonomskih sredstava, ali s oduševljenjem i požrtvovanjem vodili kampanju ne štedeći sebe, veliko hvala. Isto tako treba izraziti zahvalnost na teritorijima, gdje su bili i administrativni izbori, drugovima iz Partije talijanskih komunista, koji su se borili za socijalna prava radnika.

Evidentno je, da i izvan liste Tsipras, nema alternative za budućnost komunista i općenito za budućnost ljevice, osim pristupanjem stvaranju širokog jedinstvenog fronta lijevih snaga na socijalnom i političkom planu, čija će osnovica biti svijet rada i radnih prava, u kojem će komunisti biti prisutni sa svojim autonomnim radom i doprinosom, koji će biti jači i više strukturiran od onog drugih političkih subjekata u igri. Moramo na nov i još neispitan način otvoriti „pitanje komunista u Italiji“. Treba nam jedinstveni front, koji će biti sposoban u borbi da uspostavi odnos sa onim dijelom populacije talijanske ljevice (ma kako oni danas bili politički locirani) koji će umijeti ponuditi radnicima, kao i mladima onu političku obalu i onu opciju, koje danas nema te bi bilo kratkovidno smatrati, da je ona jedino sadržana u rezultatima liste Tsipras.


=== 3 ===

(il testo originale, in lingua italiana:

Alcune prime considerazioni sul voto europeo
di Fausto Sorini, segreteria nazionale PdCI, responsabile esteri - 27 Maggio 2014

Fausto Sorini, zadužen za vanjska pitanja PdCI (Partije talijanskih komunista), piše:


Očekujući dublju analizu glasanja za novi Evropski parlament kazao bih da se zasad mogu izvući sljedeći zaključci:

  • Od 800 miliona ljudi, koji predstavljaju ukupno Evropski kontinent, više od 500 miliona žive u zemljama što čine Evropsku Uniju (koja nije nipošto cijela Evropa). Od njih 400 miliona ima pravo glasa, a od tih je svega 43% izišlo pred biračke kutije (oko 170 miliona otprilike): jednaki postotak je glasao na evropskim izborima i 2009, sa danas vrhuncima neizlaska u Slovačkoj 13% i najvećeg izlaska u Italiji od 59% (izuzetak je Belgija sa 90%, gdje je izlazak na glasanje obavezan, odnosno u toj zemlji neizlazak na glasanje podliježe sankcijama).


  • Uzimajući u obzir bijele glasačke listiće ili one nevažeće, činjenica je, da gotova trećina „važećih“ listića pripada ili krajnjoj desnici ili krajnjoj ljevici, što ukazuje na radikalno kritičan odnos prema ovoj sakatoj „Evropi“, kapitalističkoj, liberističkoj i atlantskoj, kakva je danas Evropska Zajednica; zato nije pretjerano ustvrditi da bar 3 građanina Evropske Zajednice, od njih 4, takvu zajednicu osjećaju tuđom i neprijateljskom (i u tome su potpuno u pravu).


-Zabrinjava iz niza razloga, koji se odnose i na stanje ljevice u Evropi (u izvjesnim slučajevima i na komuniste),da zbog njene slabe ukorijenjenosti i zato što ona više nije alternativa sistemu, već je politikanstka, udaljena kako od radnika tako i od mladih, koji su tu pred njom svojim živim tijelom, to izražavaje nezadovoljstva narodnih masa i nelagode najsiromašnijih slojeva društva, najteže pogođenih kapitalističkom krizom, biva iskorišteno od populističkih fomacija ekstremne desnice, u pojedinim slučajevima otvoreno fašističkih ili filonacističkih. Najteži slučaj predstavlja Francuska, gdje je antisocijalna i militarističkapolitika Socijalističke partije Hollandea, potpuno podložne vodećim euro-atlanskim usmjerenjima, kao i cijeli niz poteškoća i podjela na lijevom frontu kao i podijela među komunistima, koje potječu od davnih vremena (iako još nisu toliko teške i komplicirane kao u Italiji...), ostavio ogroman prostor jednoj fašistoidnoj političkoj formaciji, kakav je Front national, koji se danas postavlja tako kao da želi postati pokretač politike u jednoj od ključnih zemalja evropskog i svjetskog konteksta.


- Ima i situacija gdje,- nasuprot navedenom primjeru -, kao što je to slučaj u Portugalu, ali na izvjestan način i u Grčkoj i na Cipru, fundamentalni i najborbeniji dio socijalnog nezadovoljstva okreću prema sebi i organiziraju solidarne i vrlo odlučne komunističke partije, koje su suštinski dio borbene i masovne ljevice, počevši od sindikata; u tim su zemljama sindikati klasni i pored toga vrlo jaki i uopće nisu podložni onima, koji se slažu sa sistemom i na taj način oni umanjuju i zadržavaju napredovanje reakcionarnog populizma, dok najborbeniji dio svijeta rada kao i svijeta mladih nalazi u tim partijama pozitivan i napredan izlaz za vlastitu socijalnu nelagodu.



-U toj općoj slici ističe se suštinska stabilnost i još veće jačanje partija, koje dominiraju u Njemačkoj (Narodna i Spd) kao i vodstvo gospođe Merkel, unutar „velike koalicije“ (koja predstavlja shemu bipolarnih vlada Evropske Unije, koje smo već vidjeli u prošlosti i koje ćemo izgleda vidjeti i u godinama koje dolaze): to je primjer novog njemačkog imperijalizma, koji je u isto vrijeme solidaran, a ujedno i u kompeticiji sa američkim imperijalizmom; on raspolaže nesumnjivim koliko i zabrinjavajućim društvenim pristankom, štoi obuhvaća i široke mase stanovništva, i što želi biti pokretačem jedne Evropske Unije sve više germanocentrističke, što vlada nad drugim zemljama i nad drugim narodima euro-zone, na prešutan, ali vrlo agresivan način, i koja je– uz SAD – sukrivac ponovnog rađanja neonacizma i to u zemlji, koja je ključna za evropsku ravnotežu i za odnose Istok-Zapad i za zemlje kao što je Ukrajina.


- Što se tiče Italije, nju je daleko lakše pročitati, unutar njene negativnosti:

- ističe se veliki uspjeh Renzija, koji je izvrsno uspio pobijediti u natjecanju s Grillom kao i sa Berlusconijem. Unutarnja lijeva manjina PD-a (Demokratske partije) ispala je tim uspjehom masakrirna. Posljedice svegta toga su vrlo ngativne, kako za zemlju tako i za cijelu talijansku ljevicu. I to će se vrlo brzo pokazati, nakon početne opijenosti.


-ListaTsipras jedva jedvice je prešla izborni prag (s nekoliko hiljada glasova), ali ne uspijeva utjecati, na značajan način, i zbog izborne ogrničenosti i zbog politikanstva, kojim je prožeta, niti na izbornu masu ljevice PD (Demokratske partije) niti na Grillov pokret zvan 5 zvijezda. Izbile su kao hegemone odnosno kao vodeće njezine unutarnje najumjerenije komponente, što je bilo i predvidivo, na planu zastupanja u Evropskom parlamentu.

To neka posluži kao pouka onima, koji su, kao Rifondazione comunista (Ponovno osnovani komunisti) ili drugi slični, mislili da će imati koristi i da će za njih biti neka predsnost, ukoliko se bude diskriminirao jedan dio komunista.

Neka nam bude dopušteno istaći, sa malo ironije (i samoironije) da je glas jednog dijela tradicionalnih glasača komunista bio apsolutnopresudan u postizanju kvoruma za izborni prag. Ovo nije sud, nego kostatacija. A to je bilo moguće jer je upravljačka grupacija naše partije reagirala hladno i politički racionalno i gledajući dalje od izbornih rezultata i zaboravljajući na tešku diskriminaciju, kojom smo postali objektom, budući da su nas prisilno izbacili iz izbornog natjecanja i zato smo se osobno založili da se članstvo ponaša odgovorno i da se izbjegne mogući neizlazak na izbore, kao i to, da postanemo žrtve podcjenjivanja.

Nadilazeći rezultat iste Tsipras , nema alternative za budućnost komunista i za talijansku klasnu ljevicu, osim stvaranja jedinstvenog fronta sa svim snagama ljevice u društvu i u politici, i to fronta koji će imati vlastito utemeljenje u protoganističkoj ulozi, koja se pridaje svijetu rada, u kojem će komunisti biti prisutni svojom vlastitom partijom, koju treba potpuno iznova izgraditi. Radi se o jedinstvenom frontu socijalne borbe, ujedinjene sa sindikalnom i poolitičkom borbom. I to borbe koje će umijeti ponuditi radnicima kao i mladima u našoj zemlji onu političku obalu, koju čitavu tek moramo izgraditi. I za koju bi bilo kratkovidno smatrati da lista Tsipras (sa svim svojim ishodišnim ograničenjima) predstavlja izvjesno najavljivanje.







LA NUOVA RIVOLUZIONARIA FASE DELLA POLITICA ITALIANA


«Per un po’ di anni sono stata … la Madonna del Presepe vivente del mio paese… Sono stata la prima chierichetta femmina nella storia della parrocchia dei santi Ippolito e Cassiano. Pensa tu che record! E sono stata catechista per cinque anni». Ha inoltre partecipato a due giornate mondiali della gioventù wojtyliana.

(Maria Elena Boschi, Ministro per le Riforme costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento del Governo Renzi. 




http://www.wsws.org/en/articles/2014/06/09/fasc-j09.html

Nationalism and fascism in Ukraine: A historical overview

Part one

By Konrad Kreft and Clara Weiss 
9 June 2014

This is the first part of a two-part article.


The Western media is seeking to downplay the prominent role of fascists in the new Ukrainian government. Several of the regime’s ministries are headed by members of the far-right Svoboda party, and the militias of the neo-fascist Right Sector are active in violently repressing resistance in the east of the country.

Both Svoboda and Right Sector played a crucial role in the February 22 coup in Kiev, which was strongly backed by Berlin and Washington. This is no coincidence. The close collaboration of Germany and the US with Ukrainian fascists has a long history, reaching back over the last hundred years.

The roots of Ukrainian nationalism

In contrast to many other European countries, there has never been a strong bourgeois national movement in Ukraine. Ukraine has been divided between Poland and Russia since the late Middle Ages. After the carve-up of Poland at the end of the eighteenth century, Ukraine became part of the Russian Empire. Only a section of what is now western Ukraine was integrated into the Hapsburg Empire.

The weakness of the Ukrainian national movement was due on the one hand to the country’s economic backwardness and lack of a strong middle class. Significant industrialisation occurred only in the era of the Soviet Union. On the other hand, a large proportion of the urban population consisted of Russians, Germans and Jews, while the rural population was mainly Ukrainian.

When bourgeois forces finally erected a Ukrainian nation-state, following the 1917 February Revolution’s overthrow of the tsar in Russia, they were immediately confronted with a revolutionary working class. The Bolsheviks, who seized power in Russia in October, received powerful support from the workers of Ukraine. Ever since then, bourgeois nationalism in Ukraine has been characterised by virulent anti-communism, pogroms against revolutionary workers and Jews, and attempts to win the support of imperialist powers.

The Social Democratic-dominated Rada (parliament), which proclaimed Ukraine’s independence in January 1918, tried to reach an agreement with Germany. After the Treaty of Brest-Litovsk, however, the Soviet government was forced to cede Ukraine to Germany. When German troops marched into the country, the military dispensed with the Rada and established a dictatorship under Hetman (pre-eminent military commander) Pavlo Skoropadskyi, a landowner and former tsarist general. Skoropadskyi proceeded to make Kiev a rallying point for extreme right-wing and anti-Semitic politicians and military officers from all over Russia. (See: Anti-Semitism and the Russian Revolution: Part two)

Germany’s defeat in the First World War led to its forced retreat from Ukraine. Bloody battles engulfed Ukraine during the ensuing civil war in Russia. Supported by Western powers on Ukrainian soil in its fight against the Soviet government, the volunteer army under General Denikin committed horrific crimes and organised anti-Jewish pogroms. An estimated 50,000 Jews were murdered by the Whites in the second half of 1919 alone.

Symon Petliura, one the many Social Democrats who became nationalists, headed a directorate that took power in Kiev. This body also sought the backing of the Western powers in its war against the Soviet government and was responsible for the murder of more than 30,000 Jews. Both Petliura and Stepan Bandera, who emerged later as a leading figure, are regarded as role models by present-day Ukrainian nationalists.

Lenin advocated self-determination for Ukraine, and this democratic demand played a crucial role in winning the oppressed Ukrainian workers and peasants to the side of the Bolsheviks, who eventually won the civil war in 1921. In 1922, the Ukrainian Soviet Socialist Republic officially became part of the newly formed Soviet Union. However, western Ukraine remained under Polish rule.

Genuine independence from imperialism and development of national culture were possible in Ukraine only during the early years of the Soviet Union. These advances emerged from Lenin and Trotsky’s nationalities policy, which conceded to the nations within the Soviet confederation a comprehensive right to self-determination. The oppression of nationalities, as was common in the tsarist empire, was decisively rejected by the Bolsheviks.

The cultural life and material living standards of the Ukrainian masses underwent a dramatic improvement in the 1920s. The illiteracy rate declined sharply, as educational institutions and universities were established throughout the country. The Ukrainian language and culture were widely promoted, and this greatly stimulated intellectual life. As Leon Trotsky wrote in 1939, thanks to this policy, Soviet Ukraine became extremely attractive to the workers, peasants and revolutionary intelligentsia of western Ukraine, which remained enslaved by Poland.

However, the rise of the Stalinist bureaucracy brought an end to this nationalities policy. Lenin had attacked Stalin because of his centralist and bureaucratic tendencies in relation to the Georgian and Ukrainian questions. But after Lenin’s death, Stalin became increasingly ruthless in his attacks on non-Russian nationalities.

“The bureaucracy strangled and plundered the people within Great Russia, too,” wrote Trotsky in 1939. “But in the Ukraine matters were further complicated by the massacre of national hopes. Nowhere did restrictions, purges, repressions and in general all forms of bureaucratic hooliganism assume such murderous sweep as they did in the Ukraine in the struggle against the powerful, deeply-rooted longings of the Ukrainian masses for greater freedom and independence.” [1]

The Ukrainian peasants were particularly affected by the forced collectivisation of the late 1920s and early 1930s. Approximately 3.3 million people fell victim to this policy.

The devastating consequences of the nationalist polities of the Stalinist bureaucracy strengthened “nationalist underground groups… which were led by fanatical anti-Communists, successors of Petliura’s supporters and forerunners of Bandera’s people,” writes Vadim Rogovin in his book Stalin’s War Communism. [2]

Stalin’s murderous policies of repression played into the hands of Ukrainian nationalists and fascists, who agitated in the western parts of the divided Ukraine and collaborated with Hitler when he invaded the Soviet Union in 1941. Despite the crimes of Stalinism, however, the great majority of Ukrainians fought in the Red Army to defend the Soviet Union.

The crimes of the Ukrainian fascists in World War II

Among the most significant organisations that collaborated with the Nazis was the Organisation of Ukrainian Nationalists (OUN). Its members were recruited mainly from veterans of the Civil War who had fought on the side of Petliura against the Bolsheviks.

During the 1930s, the OUN carried out numerous terrorist attacks in Ukraine, Poland, Romania and Czechoslovakia. Its ideological head was Dmytro Dontsov (1883-1973), who became one of the leading ideologues of the Ukrainian extreme right-wing through his journalistic activities, among which were Ukrainian translations of Mussolini’s Dottrina del Fascismo ( The Doctrine of Fascism ) and excerpts from Adolf Hitler’s Mein Kampf .

Dontsov had earlier developed his thesis of “amorality.” According to historian Frank Golczewski, this asserted the obligation “to collaborate with every enemy of Great Russia, regardless of their own political goals.” It “created an ideological justification for the subsequent collaboration with the Germans” and the lineup of Ukrainian nationalists behind the United States during the Cold War. [3]

In 1940, the OUN split into the Bandera (B) and Melnyk (M) factions, which bitterly fought each other. Bandera’s more extreme group was able to attract more followers than Melnyk’s. It began by establishing Ukrainian militia (the Roland and Nightingale Legions) on German-occupied territory in Poland which, in league with the Wehrmacht (German army), invaded the Soviet Union in June 1941.

After the withdrawal of the Red Army from areas conquered by the Germans, the legions and special militias acted as auxiliary troops in countless massacres of Jews. Following the entry of the OUN-B into Lviv on June 29, 1941, the Bandera militias (Nightingale Legion) unleashed murderous pogroms against the Jews lasting several days. Ukrainian militia continued massacring Jews in Ternopil, Stanislau (today Ivano-Fankisk) and other places. Documentary evidence relating to the first few days of the Wehrmacht’s advance reveals that about 140 pogroms were perpetrated in western Ukraine, in which 13,000 to 35,000 Jews were murdered. [4]

On June 30, 1941, Bandera and his deputy head of the OUN-B, Yaroslav Stetsko, proclaimed the independence of Ukraine in Lviv. Stepan Lenkavski, the OUN-B government’s director of propaganda, openly advocated the physical extermination of Ukrainian Jewry.

The Nazis used their Ukrainian collaborators to commit murders and acts of brutality that were too disturbing even for the SS units. For example, SS task force 4a in Ukraine confined itself to “the shooting of adults while commanding its Ukrainian helpers to shoot [the] children.” [5]

Dealing with Ukrainian and other collaborators in the Soviet Union was a controversial issue in the Nazi leadership. While Alfred Rosenberg, one of the main Nazis responsible for the Holocaust, urged greater involvement of local fascist forces, Hitler opposed the nationalists’ so-called independence projects. On Hitler’s orders, the OUN-B leaders were eventually arrested and the Ukrainian legions disarmed and relocated.

From 1942, the Ukrainian militia served the Third Reich in the “anti-partisan campaign” in Belarus, in the “security service,” and as armed personnel in concentration camps. Bandera and Stetsko remained in custody in Sachsenhausen concentration camp until September 1944.

When Hitler’s armies went into retreat after their defeat at Stalingrad, members of the OUN legions returned to Ukraine and formed the Ukrainian Insurgent Army (UPA) in 1943. Immediately after his release by the German authorities, Bandera headed back to Ukraine to lead the UPA.

The UPA was supplied with German weapons and attempted to implement an extensive ethnic cleansing program in order to create the conditions for an ethnically pure Ukrainian state. In 1943 and 1944, the UPA organised massacres that claimed the lives of 90,000 Poles and thousands of Jews. It also brutally terrorised, tortured and executed Ukrainian peasants and workers who wanted to join the Soviet Union. The UPA went on to kill some 20,000 Ukrainians before the insurrection was completely crushed in 1953.

To be continued

Notes

[1] Leon Trotsky, “Problem of the Ukraine,” Trotsky Internet Archive 

[2] Vadim Rogovin: Stalins Kriegskommunismus, Essen 2006, p. 377

[3] Frank Golczewski: Die ukrainische Emigration, (Hrsg.): Geschichte der Ukraine, Göttingen 1993, p. 236

[4] Per Anders Rudling: “The Return of the Ukrainian Far Right. The Case of VO Svoboda,” in: Ruth Wodak, John E. Richardson (ed.): Analyzing Fascist Discourse: European Fascism in Talk and Text, London 2013, pp. 228-255. The article is accessible online.

[5] Quoted in Christopher Simpson: Blowback. America’s Recruitment of Nazis and Its Effects on the Cold War, London 1988, p. 25




Nationalism and fascism in Ukraine: A historical overview

Part two

By Konrad Kreft and Clara Weiss 
10 June 2014

This is the second of a two-part article. Part one was posted June 9.


The Ukrainian fascists during the Cold War

Immediately after World War II, the American secret service and military began recruiting high-ranking Nazis and Nazi collaborators for the ideological, political and military struggle against the Soviet Union. Fascists and war criminals from Germany and Eastern Europe who had been directly involved in the Holocaust and the murder of millions of Soviet civilians were utilized for covert activities by the US intelligence agencies or worked for propaganda outlets like Radio Free Europe.

According to Harry Rositzke, who was responsible at the CIA for secret operations inside the Soviet Union, “any bastard” was good “as long as he’s anti-Communist.” [6] The network that the CIA built up in the 1940s and 1950s in Eastern Europe and the Soviet Union rested heavily on the web of Nazi collaborators.

A key role was played by Reinhard Gehlen, who had led Hitler’s military intelligence service on the Eastern Front and later became the first president of West Germany’s Federal Intelligence Agency (BND), responsible for foreign intelligence operations. From 1946, he worked for Washington and was able to utilise his old contacts among Ukrainian collaborators, within the anti-Soviet army of Russian General Vlasov, and within other Nazi networks.

The CIA’s first large-scale projects to destabilise the Soviet Union included intervention in the Ukrainian civil war. The predecessor to the CIA, the OSS, together with the British Secret Intelligence Service (SIS), had already supplied the underground war being waged by the Ukrainian Insurgent Army (UPA) and the Organisation of Ukrainian Nationalists-Bandera (OUN-B) with materiel and logistics before the end of the world war. As well as military training, this included the parachute drop of agents into Soviet and Polish territory. [7] The guerrilla war in Ukraine became the prototype for similar operations by the CIA throughout the world during the Cold War.

The most important UPA liaison officer for the CIA was Mykola Lebed, whom American military intelligence had described in 1946 as a “well known sadist and collaborator of the Germans.” [8] In 1949, the CIA sponsored his entry into the United States and covered up his war crimes. In emigration, he led the OUN-Z, a split-off from Bandera’s arm of the OUN, which was funded by the United States. He provided the contact between the US and the UPA fighters.

After 1953, Lebed was involved in the management of the émigré publishing house Prolog, financed by the CIA, which disseminated nationalist, anticommunist and historically revisionist literature. From 1945 to 1975, Prolog also published material in Munich depicting the Ukrainian fascists as freedom fighters against communism and either denying or varnishing their participation in war crimes.

Since 1943, the UPA has worked on the myth of the “democratic freedom fighter” to make itself acceptable as an ally of American imperialism. The standard lie runs: the OUN/UPA fought for democracy against both the Nazis and the communists.

The Swedish historian Per Anders Rudling writes of the propaganda of the fascistic Ukrainian diaspora: “The line between scholarship and diaspora politics was often blurred, as nationalist scholars combined propaganda and activism with scholarly work. Lebed’s circle never condemned the crimes or the mass murders of the OUN, let alone admitted that they had taken place. On the contrary, it made denial, obfuscation, and white-washing of the wartime activities of the OUN and the UPA a central aspect of its intellectual activities.” [9]

For years, “The main conduits for smuggling” literature produced by the Western secret services “into Soviet Ukraine and Lviv in Western Ukraine were through Poland and Czechoslovakia.” [10]

When Polish-born Zbigniew Brzezinski became President Jimmy Carter’s national security adviser, the US increased its funding for anti-Soviet Ukrainian propaganda. In addition to literature and radio broadcasts, videocassettes were produced.

Under President Reagan, the strategy of destabilising the Soviet Union by boosting the nationalities question was intensified. The CIA produced material that was addressed to different ethnic groups in the Soviet Union and encouraged separatist-nationalist tendencies. In 1983, President Reagan received OUN-B leader and war criminal Yaroslav Stetsko at the White House, pledging, “Your struggle is our struggle. Your dream is our dream.” [11]

According to the Ukrainian nationalist historian Taras Kuzio, Prolog was able to produce $3.5 million worth of propaganda in the Soviet Ukraine thanks to the financial support of the US. This paid for publications and the use of new technologies, which, according to Kuzio, “had a great impact upon sustaining and increasing anti-regime activities and opposition groups in the late 1980s in the final push towards Ukrainian independence.” [12]

In West Germany, the BND, in which countless former Nazis were active, supported exiled nationalists in their anti-Soviet work. In Munich, where the BND is headquartered, a Ukrainian émigré centre was established after the war that distributed propaganda literature. Bandera and Stetsko, the two most important OUN-B leaders, also lived there under false names. In October 1959, Bandera was uncovered by the Soviet KGB and murdered in Munich. Stetsko, the exiled leader of the OUN-B, lived there until his death in 1986.

Many academics have covered up Western cooperation with Ukrainian fascists. During the 1950s, many books were published about the Second World War concealing the role of collaborators in Ukraine and Eastern Europe, or glorifying them. The media, too, largely kept quiet.

In his 1988 book Blowback: America‘s Recruitment of Nazis and Its Effects on the Cold War, American journalist Christopher Simpson, who uncovered the network of old Nazis in the service of the CIA, noted:

“Until recently, the US media usually could be counted on to maintain a discreet silence about émigré leaders with Nazi backgrounds accused of working for the CIA. According to declassified records obtained through the Freedom of Information Act, several mass media organizations in this country—at times working in direct concert with the CIA—became instrumental in promoting Cold War myths transforming certain exiled Nazi collaborators of World War II into ‘freedom fighters’ and heroes of the renewed struggle against communism.” [13]

Today’s war propaganda glorifying the fascists in Ukraine as model democrats and freedom fighters stands in this tradition.

The rise of Svoboda after 1991

After independence in 1991, Ukraine, like the rest of the former Soviet Union, saw far-right groups springing up like mushrooms. These ultra-right forces were encouraged by the imperialist powers and the Ukrainian state.

A systematic rehabilitation of the OUN and UPA began in the 1990s. In 1997, under the second Ukrainian president, Leonid Kuchma, a government commission on the OUN and UPA was established in which prominent historians participated. The reports produced by the commission in 2000 and 2005 whitewashed the role of the fascists, especially the OUN-B.

The commission’s objective was the ideological preparation of a law giving veterans of the Red Army and the OUN/UPA equal status. The breakthrough in the rehabilitation of these forces followed under President Viktor Yushchenko, who came to power in 2004 as a result of the Western-backed “Orange Revolution.” He then passed the law giving them the imprimatur of the state.

Svoboda supported Yushchenko in the “Orange Revolution.” Its chairman, Oleh Tyahnybok, elected as an independent parliamentary deputy, joined Yushchenko’s bloc Nasha Ukraina (Our Ukraine) and became a member of the parliamentary budget committee.

At that time, Tyahnybok said of the UPA/OUN-B veterans: “You fought against Moskali (a derogatory term for Russians), Germans, Yids and other scum… You are feared by the Mafia of the Moskali-Yids in the Ukraine the most.” This speech can be found on YouTube.

As a result of public pressure, Yushchenko’s bloc was unable to keep Tyahnybok and expelled him the same year. However, criminal charges for incitement were rejected.

Tyahnybok’s party was formed in 1991 under the name Social-National Party of Ukraine (SNPU) through the merger of various right-wing groups and student bodies. It renamed itself Svoboda (freedom) shortly before the Orange Revolution.

Immediately after he took office, Yushchenko began a broad-based campaign to rehabilitate the Ukrainian fascists and their collaboration with the Nazis. In July 2005, he founded an “Institute of National Remembrance,” committed the Ukrainian secret service SBU (once part of the KGB) to carry out propaganda, and supported the establishment of a Museum of the Former Soviet Occupation. As the director of the institute, he appointed Volodomyr Viatrovych, who as an ultranationalist activist was also director of the Centre for Research of the Liberation Movement, an institution of OUN-B successors. [14]

Several OUN and UPA fighters and nationalist leaders like Symon Petliura were officially honoured, with the state producing special stamps and commemorative coins bearing their portraits.

During his last year in power, Yushchenko ensured that the mass media, such as Channel 5, gave Svoboda a disproportionate amount of coverage. Tyahnybok and party ideologist Yuriy Mykhalchyshyn appeared on popular talk shows such as “Velyka polityka” (Big Politics) and “Shuster Live.” Especially following Svoboda’s electoral success in western Ukraine in 2009, the party achieved widespread media coverage. [15]

Yushchenko had monuments built in Lviv and Ternopil to commemorate war criminal Stepan Bandera, whom he declared to be a hero of Ukraine just days before the end of his presidency in 2010. After protests from Poland and the EU, the new president, Viktor Yanukovych, rescinded this honour, as well as that for the fascist Roman Shukhevych.

Swedish historian Per Anders Rudling described the ideological climate in 2013 with the words: “The hegemonic nationalist narrative is reflected also in academia, where the line between ‘legitimate’ scholarship and ultra-nationalist propaganda often is blurred. Mainstream book stores often carry Holocaust denial and anti-Semitic literature, some of which finds its way into the academic mainstream.” [16]

The Yushchenko regime’s collaboration with fascists was not limited to Svoboda. The openly anti-Semitic Congress of Ukrainian Nationalists (KUN), founded in 1992 as the successor organisation to the OUN with the participation of Stetsko’s widow Slava, joined Yushchenko’s bloc Our Ukraine in 2002 and remained in parliament until 2012. Party Chairman Svarytsh was in the first government of Yulia Tymoshenko and was justice minister in 2006 in Yanukovych’s anti-crisis alliance.

Under these conditions, Svoboda was able to triple its membership between 2004 and 2010, according to its own figures. Nonetheless, the party performed only modestly in elections. In the 2007 parliamentary elections, Svoboda won 0.78 percent of the vote, and in presidential elections in 2009, 1.43 percent.

By contrast, its vote in regional elections in western Ukraine was significantly higher. In local elections in 2010, the party achieved between 20 and 30 percent of the vote in eastern Galicia, and won 5.2 percent nationally. Since then, Svoboda’s stronghold has been the city of Lviv, where the OUN-B proclaimed the short-lived independent Ukraine in 1941.

In parliamentary elections in October 2012, which had the lowest turnout (58 percent) since independence, Svoboda entered the Verkhovna Rada (parliament) as the fourth-largest party, with 10.45 percent of the vote. Its highest vote percentages came from western Ukraine, with totals of between 30 and 40 percent in three administrative regions. On the other hand, the party barely achieved 1 percent in eastern Ukraine. In Lviv, Svoboda achieved more than 50 percent and in Kiev it was the second strongest party.

Svoboda leaves no doubt about its fascist orientation and its glorification of the Nazis. On 29 January 2011, on the occasion of a memorial event for the battle of Kruty in 1918, the party organised a large torchlight procession with autonomous right-wing groups and Nazi symbols.

On 28 April 2011, it celebrated the 68th anniversary of the establishment of the Galician division of the Waffen-SS. Along the route of the march, placards proclaimed “the pride of our nation.” The participants, with party ideologist Mykhalchyshyn at their head, chanted, “One race, one nation, one fatherland,” and hailed Bandera, Melnyk and Shukhevych as heroes of Ukraine.

On 30 June 2011, Svoboda commemorated the 70th anniversary of Germany’s invasion of the Soviet Union, as well as Stetsko’s renewal of the Ukrainian nation, in a people’s festival, where mock fighters appeared in SS uniforms.

In addition, Svoboda opened several restaurants in Lviv. In the dining room of one, an oversized portrait of Bandera was hung and jokes about Poles and Jews could be found on the toilet walls. Dishes on offer included “Hands up” (in German) and “battle serenade.” Local ultra-right football fans described Lviv on their banners as “Bandera town.” Streets in Lviv have been named after Nazi collaborators by Svoboda city councillors.

The young party ideologist Yuri Mykhalchyshyn, born in Lviv in 1982, founded a right-wing think tank in 2005 that he first named after Josef Goebbels and later Ernst Jünger. In his writings, he openly refers to the “heroic” legacy of fascists like Evgen Konovalets, Stepan Bandera and Horst Wessel. He has described the Holocaust as a “bright episode in European civilisation.”

The government and media’s hailing of fascism, which in Ukraine claimed millions of victims, has been met with disgust and opposition by large sections of the population. By contrast, the Western powers portrayed the Yushchenko regime, which pressed for the ideological and political rehabilitation of fascism, as a model democracy. At the same time, Svoboda and the right-wing paramilitary Right Sector received support from Western intelligence services and parties.

Svoboda maintains close ties to the far-right German NPD (National Democratic Party), which was described by judges in 2003 as a “state organisation” because its leadership was full of secret service operatives. In May 2004, the NPD welcomed a Svoboda delegation on a friendly visit to the state parliament in Dresden. The Christian Democratic Union-aligned Konrad Adenauer Foundation also provided Svoboda with a platform. The foundation invited Svoboda members to conferences and seminars on the lessons of the 2012 elections. At the time, Yanukovych had just been reelected.

The US Republican Party also has decades-long connections with Ukrainian fascists. The American government invested large sums of money in the preparation of the coup against Yanukovych. Victoria Nuland, US undersecretary of state for Europe, stated that Washington had “invested” around $5 billion in political projects in Ukraine over the past two decades.

On May 9, the government-aligned Russian newspaper Izvestia reported that a Right Sector member had flown to Washington at the end of April for talks with the US administration. Nuland offered Right Sector $5-$10 million to give up its weapons and transform itself into a party. But Dmytro Yarosh, leader of Right Sector, rejected the offer.

The strong support from Western governments for Ukrainian fascists is directed not only against workers in Ukraine, but against workers around the world. Berlin and Washington have deliberately built up fascist forces in Ukraine and are now using them to impose social attacks on the working class and prepare for a major war with Russia.


[PHOTOS: 

1. Nazi Lt. General Reinhard Gehlen

2. Mykola Lebed

3. Stetsko meeting with Vice President Bush in 1983 ]


Notes

[6] Cited by Simpson, 1988, p. 159

[7] Taras Kuzio: US support for Ukraine’s liberation during the Cold War: a study of Prolog Research and Publishing Corporation, in Communist and Post-Communist Studies, no. 45, 2012, p. 53

[8] Simpson 1988, p. 166

[9] Per Anders Rudling: The OUN, the UPA and the Holocaust: A study in the manufacturing of historical myths, in the Carl Beck Papers in Russian & Eastern European Studies, no. 2107 (2011), p. 19. The article is accessibleonline.

[10] Kuzio, 2012, p. 56

[11] Russ Bellant: Old Nazis, the New Right and the Republican Party, Boston 1991, p. 72

[12] Kuzio 2012, p. 61

[13] Simpson 1988, p. 5

[14] Rudling 2013, p. 230

[15] Ibid ., p. 244

[16] Ibid ., p. 231





http://www.workers.org/articles/2014/06/08/nadja-tesich/

Nadja Tesich

By Sara Flounders on June 8, 2014

Political activist, author, poet and filmmaker Nadja Tesich was born in Užice, Serbia, Yugoslavia, in 1939 and died Feb. 20 in New York City. She lived her life outspoken and full of righteous rage at the enormous destruction of U.S. wars and the glaring injustice and inequality that surrounded her. She felt collective pain personally, even physically, and identified with defenseless people targeted on the other side of the world or someone passing her on a busy street.

Nadja came to all events wearing always a splash of red — whether a red beret, red scarf or red jacket, or bearing red carnations. She loved Cuba and often said it was the only place she felt she could breathe.

At a memorial for Nadja on May 29, her family, friends and political comrades expressed the rainbow of ways she touched them. We remember her for her political activism, starting from defending the National Liberation Front of Vietnam in the 1960s.

From the beginning days of the International Action Center, Nadja was part of IAC life. She had fought against U.S. wars in Vietnam, coups in Congo, Chile and Greece; she was active in the mass demonstrations against the Iraq War in 1991 and again in 2003.

Nadja was even more intense in our common work attempting to defend her homeland, Yugoslavia, from an unrelenting assault by the imperialist governments of Western Europe and the United States. Tragically for most of the peoples of the Balkans, these years ended with the imposed disintegration of a once-sovereign socialist country into a half-dozen mini-states, now neocolonies of the NATO powers. At meetings, teach-ins and major rallies on Yugoslavia, Nadja was a driving force and a tortured soul of everything we did.

Tesich, whose family emigrated from Yugoslavia to the U.S. when she was a young teenager, has had four novels published: “Shadow Partisan” in 1996, “Native Land” in 1998, “To Die in Chicago” in 2010 and “Far from Vietnam” in 2012.

It is particularly striking to read “Shadow Partisan” and “To Die in Chicago” one after the other. The novels contrast on a close and personal level a hopeful coming-of-age in newly socialist Yugoslavia in the late 1940s with a cleareyed immigrant’s view of U.S. racism and a consumer-driven society without a future in the 1950s.

While studying in Paris in the 1960s, she worked in film as an actor and assistant to Eric Rohmer for the documentary, “Nadja in Paris.” She taught film at Brooklyn College in New York.

We should end with Nadja speaking in her own words, from her chapter in one of the IAC’s books, “NATO in the Balkans”:

“I was born in Serbia and have returned there every year, and I have also lived in France and in New York City most of my adult life. And most of my adult life, as a participant and as observer, I have opposed U.S. aggressions, murders, embargoes, wars. Some hidden, others less so.

Everything the U.S. does elsewhere — chaos and destabilization — it does equally at home. … It’s an amoral, mechanical monster whose heart is the beat of Wall Street. Up and down it goes. More and more it needs and it’s never enough. … Still it can be resisted. I remain optimistic. Machines break, after all.”

She often signed her messages “For our struggles now and for tomorrows that will sing!”

Nadja is survived by her son, Stefan; her sister-in-law, Rebecca; her grandchildren, Cole and Kaia;, her niece, Amy; and her many comrades in the struggle for peace, justice and socialism.

Nadja Tesich ¡Presente!

This article was adapted from IAC co-director Sara Flounder’s presentation at the memorial on May 29.





(srpskohrvatski / italiano)

Annie Lacrox-Riz sulla Unione Europea e il D-Day

1) Jaces-Marie Bourget: MEDIOKRITETI KAO OSNIVAČI EVROPSKE UNIJE
2) Annie Lacroix-Riz: LO SBARCO DEL 6 GIUGNO 1944 DAL MITO ODIERNO ALLA REALTÀ STORICA


=== 1 ===

(il testo seguente è disponibile in lingua italiana alla URL:

I mediocri fondatori dell'Unione Europea

en francais:

Les piètres fondateurs de l’Europe, ces héros que nous célébrons, scrutin européen oblige )

Mediokriteti kao osnivači Evropske Unije

Jaces-Marie Bourget

16/5/2014


Annie Lacroix-Riz podsjeća na Erica Hobsbawma, engleskog gorostasa historije, specijaliziranog za pitanje nacija i za nacionalizam. Tako je na primjer 1994 taj znanstvenik napisao „Kratko stoljeće“, knjigu koja vas zakucava za svoje istine, kao Arhimed u času kad je povikao „Eureka“! Za Hobsbawma XX stoljeće nije trajalo stotinu godina, već jedva 75 godina, od 1914 do 1991. Prije „Velikog rata“ svoje je vrijeme završavalo XIX stoljeće, gazeći po nogama stoljeća koje je nastupalo, a nakon „Zaljevskog rata“ na vrata je već kucalo XXI stoljeće. Engleski se historičar ljuti na kalendare, iako ima vlastiti način da ih ažurira. A što je bilo stom knjigom, koju uvijek treba držati u putnoj torbi, u slučaju da se treba ići na put? U Francuskoj ništa. Trebalo je čekati na prijevod u Monde diplomatique, da taj list upozna publiku sa Hobsbawmovim esejom. U Parizu, klika koja se bavi objavljivanjem knjiga sa područja historije nije imala petlje da objelodani taj britanski pogled, kojeg su odbacili, jer ga je napisao jedan marksist, dakle netko iz „predhistorije“ i neizostavno saučesnik gulaga.

Annie Lacroix-Riz proživljava slično ružno iskustvo unutar jedne „zajednice“, koja je samu sebe svela na tračarenje, a radi se o našim službenim historičarima, što svoja djela pišu u direktnom prijenosu televizije, sjedeći na koljenima Bernard Henri Lévyja. Oni su najčešće u prošlosti bili sjekire Komunističke partije Francuske (PCF) i kao svi konvertiti, pretvorili su se u Savanarole. Tim gore, jer ova povijesna istraživačica ima dobru reputaciju na ostatku planete i kod Anglosaksonaca, ima je čak i među vlastitim vrlo reakcionarnim kolegama. To što ti istraživači cijene jest radna sposobnost te gospođe, koja se hrani po kojim sedvičem u arhivima i na kraju u njima i prespava. Ona čita sve i sva na svim jezicima i sa Lacroix-Riz ulazimo u brutalnost činjenica: njeni navodi čine od njezinih čitalaca svjedoke historije.

Upravo je objavila knjigu o kojoj, budite u to sasvim sigurni, nećete nikada ništa čuti, a naziv joj je: „Aux origines du carcan européen (1900-1960“)/(„Izvor evropskih vratnih željeznih veriga (1900-1960)“/, izdanje kuće Le temps des Cirises.

U ovo vrijeme izbora njene riječi imaju izvjesnog smisla. Podsjetimo se na zahtjev, koji opravdava Evropsku Uniju kao dokaz: „Evropa je sredstvo za izbjegavanje rata“... U izvjesnim rečenicama Lacroix-Riz ga ponavlja i to podsjećajući na ratove u Jugoslaviji, na nasilne podjele i na današnju dramu Ukrajine. Povod je uvijek isti: kako bi potakle i promovirale vlastite interese Sjedinjene Države nastavljaju koristiti Evropu kao sredstvo. Ovoga puta u obračunu s Rusojom.

Rad francuske historičarke ide sve do izvorišta ovo sheme, do onog što bi se moglo nazvati „Euroamerikom“. Jer su klice još u ljusci ove današnje Evrope postojale mnogo prije stisaka ruku između De Gaullea ili Mitteranda i njemačkih kancelara.

Na kraju knjige bilanca istraživanje je: Evropa nije ništa drugo do redanje oportunih dogovora između velikih financijskih grupacija Njemačke i Francuske, dok su SAD imale ulogu čuvara uvažavanja sklopljenog bračnog ugovora. U početku radilo se o prikrivanoj idili, u najbrutalnijoj fazi rata 1914 godine. Sukob, koji je pobio ljude, doveo je do procvata industrije. Tako, podsjeća nas Lacroix-Riz, u augustu mjesecu 1914, kad su Nijemci ušli u Brey, došlo je do tajnog dogovora da se „ne bombardiraju“ postrojenja odnosno fabrike gospodina De Wandela. Golemi plakati sa natpisima „treba sačuvati“ bili su obješeni da se neka bitanga ne bi usudila oštetiti sveto vlasništvo te familije. Drugi primjer vrlo srdačnog sporazuma bila je onaj Henry Galla i njegovog kemijskog trusta Ugine. Taj je, preko svoje fabrike u švicarskom mjestu na rijeci Lonza, prodavao sve svoje električne proizvode i nužne kemijske artikle Njemačkoj, kako bi ova proizvodila strašno oružje kao cijanimid. Među poduzećima i za vrijeme rata vladao je mir.

Kao demonstracija te prekogranične strategije može poslužiti izostanak ratificiranja Versailleskog mira. Taj mir, koji je bio akt prestanka rata iz 1914 i koji je stavljao Njemačku pod teške sankcije, Sjedinjene Države su vrlo marljivo sabotirale, jer su se bojale „imperijalizma“ Francuske, koja bi bila isuviše jaka i isuviše laička. Dana 13 novembra Raymond Poincaré morao je popustiti pritiscima Washingtona. Dogovor je glasio ovako: vi ćete se povući iz Ruhra, prihvatit ćete dolazak jednog Komiteta američkih stručnjaka i financijaša, a mi ćemo prestati špekulirati i ometati vaš franak. Državni sekretar Hugues je predstavio taj ultimatum u ime bankara JP Morgana, a radi se o istoj banci, koja se danas nalazi u izvorištu svjetske financijske krize. U tom prekooceanskom ukazu /ediktu/proznaje se sakrivena ruka, koja će malo po malo napraviti i ispuniti unutarnjim sadržajem Evropu, koju poznajemo.

Evo jedne angdote. Mjeseca augusta 1928 , kad je Eaymod Poincaré predložio Gustavu Stresemannu, njemačkom ministru vanjskih poslova (koji je godine 1923 kratko vrijeme bio i kancelar) da naprave „zajednički front“ protiv „američke religije u odnosu na novac i protiv boljševičke opasnosti“, ovaj je to odbio. Za Lacroix-Riz Stresemann je jedan od „otaca Evrope“, zacijelo jako slabo poznat, on je pedala banaka sa Wall Street i uprvo pedala JP Morgana ili Younga. Godine 1925, u vrijeme potpisivanja ugovora u Locarnu, koji iscrtava ponovo granice posljeratne Evrope, baš tog Sresemanna predlaže Washngton kao velikog arhitekta, dok Aristide Briand i Francuska moraju spustiti vlastite guzove na rub ponuđene hoklice.

Stresemann će potpisati nešto što on u tajnosti smatra za „komad papira ukrašen izvjesnim brojem maraka“. Vlada Reicha je već potpisala tajne ugovore sa stranim nacionalistima, koji su joj skloni. Stresemann zna da je taj ugovor od samog svog rođenja prevaziđen, ali ipak, kad Hitler bude pokucao na vrata „Locarno“ će ostati sveta riječ u govorima političke desnice, bit će sinonim mira, iako je ustvari bio samo maska nacizma.

Gubitak francuske kontrole nad područjem Ruhra je tada prilika za potpisivanjem istinskog mira, mira za poslove. I tu se rađa „Međunarodni sporazum o čeliku“, koja će stvoriti „Pool ugljen-čelik“ a to znači našu Evropu, što su je ostvarile banke. Njemačka je prema dogovoru dobila 40,45% od Sporazuma, a Francuska 31,8%: rat je završen, jedan drugi rat sada može otpočeti. I taj drugi rat je došao. Godine 1943 Sjedinjene Države i Engleska stavljaju na papir „monetarni status“, koji mora stupiti na snagu po završetku ratnog konflikta. Pobjednik, Sjedinjene Države, „nametnut će državama, koje budu sudjelovale odustajanje od dijela vlastitog suvereniteta, kako bi održale fiksnim monetarni paritet“. Ta je želja upotrijebila dosta vremena da dočeka vlastito ostvarenje, ali sa ulogom koju danas igraju agencije za davanje obavjesti o rejtingu /rating/ te s obvezom, koja prisiljava Ujedinjene države Evrope da traže zajmove iskljčivo na privatnom tržištu, taj se plan napokon ostvaruje i respektira.

Dana 12 jula 1947 započela je u Parizu „Konferencija šesnaestorice“. Nacistički topovi su još bili vrući, kad su se Njemačka i Sjedinjene Države rasplakale nad sudbinom Ruhra. Tako da na margini Konferencije, Anglo-Amerikanci i Nijemci održvaju paralelne sastanke, kako bi ogulili kožu francuskim željama. No ovog puta barem Pariz se drži čvrsto. Izvan sebe od bijesa Amerikanci šaljuposebnog emisara da „ponovo napiše opći izvještaj sa Konferencije“. I da taj izvještaj bude razuman. Naročito su važne 6 točaka, koje je izdiktirao Clayton, državni sekretar za trgovinu. Te točke rezimiraju trgovinski i financijski program cijelog svijeta, dakle i Evrope, i to iz Washingtona. Sjedinjene Države zahtijevaju stvaranje izvjesne „trajne evropske organizacije, čiji će zadatak biti nadgledanje izvršenja evropskog programa“. Ta će naredba ugledati svjetlo pod nazivom organizacija za Evropsku Ekonomsku Kooperaciju (OECE), koja će biti anticipacija „naše“ Evrope. I Charles Henri Spaak , prvi predsjednik OECE je samo kancelar, koji primijenjuje ono što Amerikanci naređuju.

Što se tiče „očeva Evrope“, heroja koje danas slavimo glasanjem za Evropu, treba čitati ono što piše Lacroix-Riz, ukoliko ne želimo biti njezini sinovi. Jean Monnet? Bio je proglašen nesposobnim za vojnu službu 1914, a trgovao je alkoholnim pićima u vrijeme prohibicije, osnivač je Bancaamercana u San Francisku, bio je savjetnik Čang-Kaj-Šeka za račun Ameikanaca. Zatim se našao u Londonu 1940 godine te odbio da pristane uz Slobodnu Francusku, kako bi postao, 1943, Roosveltov izaslanik kod generala Girauda...Evo čovjeka idealnog profila za stvaranje slobodne Evrope. U toj porodičnoj igri, hoćete li još jednog „oca“ Evrope? Evo vam Robert Schuman, još jedna današnja ikona. U ljeto 1940 glasao je da se sva vlast dadne Pétainu, a kao nagradu za to, prihvatio je ulazak u njegovu vladu. Nakon rata Schuman je bio stavljen u status pokajanja, što je za katolika vrlo dobra praksa. Poslije, zaboravivši na prošlost, gurat će i navijati za kapitalističku Euro-Ameriku, kršćansku i takvu, koja će se razvijati u natkrivenim gredicama plastenika NATO-a.

Prije /i posloije/ „evropskog“ glasanja od 25 maja, treba pročitati „Aux origines du carcan européen“ /Porijeklo vratnih željeznih veriga Evrope/, jernakon te knjige kralj ostaje gol. Oni koji su, kao i François Hollande, uvjereni da „napustiti Evropu znači napustiti historiju“ moći će se uvjeriti kako predsjednik Francuske govori istinu, jer zaista treba napustiti historiju, koju ispisuju američki bankari.


(prijevod: Jasna Tkalec)



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(le texte original en langue francaise:

ou https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7999 
Le débarquement du 6 juin 1944 du mythe d’aujourd’hui à la réalité historique )


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 04-06-14 - n. 501

Lo sbarco del 6 giugno 1944 dal mito odierno alla realtà storica

Annie Lacroix-Riz * | lafauteadiderot.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Giugno 2014

Il trionfo del mito della liberazione americana dell'Europa

Nel giugno 2004, all'epoca del 60° anniversario (e primo decennale celebrato nel XXI secolo) dello sbarco alleato in Normandia, alla domanda "Quale è, secondo voi, la nazione che più ha contribuito alla disfatta della Germania", l'Ifop [Institut français d'opinion publique, agenzia francese di indagini statistiche e di mercato, ndt] diffuse una risposta rigorosamente inversa da quella raccolta nel maggio 1945: cioè rispettivamente 58 e 20% per gli Stati uniti e 20 e 57% per l'Urss [1]. Tra la primavera e l'estate 2004 c'èra stato un martellamento sul fatto che i soldati americani avevano, dal 6 giugno 1944 al 8 maggio 1945, attraversato l'Europa "occidentale" per restituirle l'indipendenza e la libertà rubata dall'occupante tedesco e minacciata dall'avanzata dell'Armata rossa verso ovest. Sul ruolo dell'Urss, vittima di questa "tanto spettacolare [inversione di percentuali] nel tempo" [2], non ci furono domande. Il 2014 (e il 70°) promette anche di peggio nella rispettiva presentazione degli "Alleati" della Seconda guerra mondiale, con sullo sfondo le invettive contro l'annessionismo russo in Ucraina e altrove [3].

La leggenda è cresciuta con l'espansione americana sul continente europeo, pianificata da Washington sin dal 1942 e portata a compimento con l'aiuto del Vaticano, tutore delle zone cattoliche e amministratore, prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, della "sfera di influenza occidentale" [4]. Condotta in compagnia e in concorrenza con la Rft (poi con la Germania riunificata), questa spinta verso est ha preso un ritmo sfrenato dalla caduta del Muro di Berlino (1989): ha polverizzato gli "obiettivi di guerra" che Mosca aveva rivendicato nel luglio 1941 e raggiunto nel 1944 (recupero del territorio al 1939-1940) e nel 1945 (acquisizione di una sfera di influenza che riprendesse il vecchio "cordone sanitario" dell'Europa centrale e orientale, vecchia via germanica di invasione della Russia) [5]. Il progetto americano avanzava così rapidamente che Armand Bérard, diplomatico a Vichy e, dopo la Liberazione, consigliere d'ambasciata a Washington (dicembre 1944) e Bonn (agosto 1949), nel febbraio 1952 predisse che: "i collaboratori del Cancelliere [Adenauer] considerano in generale che il giorno in cui l'America sarà in grado di mettere in fila una forza superiore, l'Urss si presterà ad abbandonare i territori dell'Europa centrale e orientale che attualmente domina" [6]. Le premonizioni, allora sconcertanti, della "Cassandra" Bérard, sono nel maggio-giugno 2014 superate: l'antica Urss, ridotta alla Russia dal 1991, è minacciata alla sua porta ucraina.

L'egemonia ideologica "occidentale" che accompagna questo Drang nach Osten [Spinta verso Est] è stata assecondata dal tempo trascorso dalla Seconda guerra mondiale. Prima della Débâcle, "l'opinione francese" si era fatta "ingannare dalle campagne ideologiche" che avevano trasformato l'Urss in lupo e il Reich in agnello. La grande stampa, proprietà del capitale finanziario, l'aveva persuasa che l'abbandono dell'alleato cecoslovacco avrebbe preservato una pace duratura. "Una tale annessione sarà e può essere solamente il preludio di una guerra che diventerà inevitabile e, terminati gli orrori di questa, la Francia correrà il rischio più grande di conoscere la disfatta, lo smembramento e la vassalizzazione di ciò che rimarrà del territorio nazionale come stato in apparenza indipendente", aveva avvertito, due settimane prima di Monaco, un'altra Cassandra dell'alto Stato maggiore dell'esercito [7]. Ingannata e tradita dalle sue élite, "la Francia conobbe il destino annunciato ma i suoi operai e impiegati, subendo il 50% del taglio dei salari reali e perdendo 10-12 kg di peso tra il 1940 e il 1944, si lasciarono meno "ingannare dalle campagne ideologiche".

Percepirono la realtà militare certo più tardi rispetto "gli ambienti bene informati ", ma, in numero crescente col passare dei mesi, seguirono sugli atlanti o le carte della stampa collaborazionista l'evoluzione del "fronte est". Compresero che l'Urss, che richiedeva invano dal luglio 1941 l'apertura di un secondo fronte ad ovest che alleggerisse il suo martirio, portava da sola il peso della guerra. L'"entusiasmo" che suscitò in loro la notizia dello sbarco anglo-americano in nord Africa (8 novembre 1942), si era "spento" nella primavera successiva: "Oggi tutte le speranze sono rivolte alla Russia, i cui successi riempiono di gioia la popolazione tutta intera […] Ogni propaganda del partito comunista è diventata inutile […] il troppo facile confronto tra l'inspiegabile inattività degli uni e l'eroica azione degli altri preparano giorni difficili a coloro che si inquietano per il pericolo bolscevico", affermava un rapporto dell'aprile 1943 destinato al gaullista Bcra [Bureau Central de Renseignements et d'Action, il servizio informazioni francese, ndt] [8].

Se abbindolare le generazioni che avevano conservato il ricordo del conflitto era una questione complessa, l'esercizio è oggi divenuto agevole. Alla progressiva scomparsa dei suoi testimoni e attori, si è aggiunto il cedimento del movimento operaio radicale. Il Pcf, "partito dei fucilati", ha informato largamente e per molto tempo, ben al di là dei suoi ranghi, sulle realtà di questa guerra. Argomento che tratta meno volentieri in casa propria, sulla sua stampa, essa stessa in via di sparizione, battendo addirittura sulle colpe di un passato "stalinista" contemporaneo alla sua Resistenza. L'ideologia dominante, sbarazzatasi di un serio ostacolo, ha conquistato l'egemonia su questo come sugli altri campi. I circoli accademici non si oppongono più (addirittura associandosi) all'intossicazione scatenata sulla stampa scritta e audiovisiva o al cinema [9]. Pertanto, i preparativi e gli obiettivi del 6 giugno 1944 non sono chiariti dal film "Salvate il soldato Ryan" né dal lungo documentario "Apocalypse".

La Pax Americana vista da Armand Bérard nel luglio 1941

E' ben prima del "tornante" di Stalingrado (gennaio-febbraio 1943) che le élite francesi compresero le conseguenze americane della situazione militare nata dalla "resistenza […] feroce del soldato russo". Lo testimonia il rapporto datato metà luglio 1941 che il generale Paul Doyen, presidente della delegazione francese alla Commissione tedesca di armistizio di Wiesbaden, fece redigere dal suo collaboratore diplomatico Armand Bérard [10]:

1. Il Blitzkrieg era morto. "L'andamento dalle operazioni" contraddiceva le previsioni dei "dirigenti [del] III Reich [che…] non avevano previsto una resistenza tanto feroce del soldato russo, un fanatismo tanto appassionato della popolazione, una guerriglia tanto estenuante nelle retrovie, delle perdite tanto serie, un così tanto spazio davanti all'invasore, delle difficoltà tanto considerevoli di rifornimento e di comunicazioni. Le gigantesche battaglie di carri armati e aerei, la necessità, in assenza di vagoni a scartamento adatto, di assicurare i trasporti lungo strade dissestate per parecchie centinaia di chilometri comportano, per l'esercito tedesco, un consumo di materiale e di benzina che rischiano di diminuire pericolosamente le scorte insostituibili di carburanti e di gomma. Sappiamo che lo Stato maggiore tedesco ha predisposto riserve di benzina per tre mesi. Occorre che una campagna di tre mesi gli permetta di sottomettere il comunismo sovietico, di ristabilire l'ordine in Russia sotto un regime nuovo, di porre sotto sfruttamento tutte le ricchezze naturali del paese, in particolare i giacimenti del Caucaso. Tuttavia, senza preoccuparsi di ciò che mangerà domani, il russo incendia con il lancia-fiamme i suoi raccolti, fa saltare in aria i suoi villaggi, distrugge il suo materiale rotabile, sabota le sue aziende".

2. Il rischio di una disfatta tedesca (lungamente descritto da Bérard), costringeva i padroni della Francia a schierare un altro protettore all'imperialismo "continentale" scelto dopo la "Riconciliazione" degli anni 1920. Una tale svolta si rivelerà impossibile "nei mesi a venire", con il passaggio ineluttabile dall'egemonia tedesca a quella americana. Perché "gli Stati uniti, gia usciti soli vincitori dalla guerra del 1918, otterranno ancor di più dal conflitto attuale. Il loro potere economico, la loro alta civiltà, il numero della loro popolazione, la loro influenza crescente su tutti i continenti, l'indebolimento degli stati europei che potevano rivaleggiare con loro fa sì che, qualunque cosa accada, il mondo dovrà, nei prossimi decenni, sottoporsi alla volontà degli Stati uniti" [11]. Bérard scorgeva dunque fin dal luglio 1941 il futuro vincitore militare sovietico - che il Vaticano identificò chiaramente poco dopo [12] -, comprendeva che andava esaurendosi la guerra di attrito tedesca, del "solo vincitore ", per "potenza economica", che avrebbe praticato, in questa guerra come nella precedente, la "strategia periferica".

"Strategia periferica" e Pax americana contro l'Urss

Gli Stati uniti, non avendo mai subito l'occupazione straniera, né alcuna distruzione dopo la sottomissione del Sud agricolo (schiavistico) al Nord industriale, avevano relegato il loro esercito permanente a missioni tanto spietate quanto agevoli, prima di (ed eventualmente da) l'era imperialistica: liquidazione delle popolazioni indigene, sottomissione dei vicini deboli (il"cortile" latino-americano) e repressione interna. Per l'espansione imperiale, la consegna del cantore dell'imperialismo Alfred Mahan - sviluppare illimitatamente la Marina -, si era arricchita sotto i suoi successori delle stesse prescrizioni per l'aviazione [13]. Ma la modestia delle loro forze armate terrestri ne decretava l'inadeguatezza in un conflitto europeo. Una volta acquisita la vittoria per interposto paese, fornitore della "carne da cannone" (canon fodder), le forze americane si sarebbero dispiegate più tardi, come a partire dalla primavera 1918, sul territorio da controllare: sarebbero dunque partite dalle basi aeronavali straniere, quelle in Africa settentrionale che si aggiungevano dal novembre 1942 a quelle britanniche [14].

La Triplice intesa (Francia, Inghilterra, Russia) nel 1914 aveva condiviso l'impegno militare, spostatosi alla fine, visto il ritiro russo, soprattutto sulla Francia. E questa volta se lo sarebbe assunto l'Urss da sola, questa volta in una guerra americana che, secondo lo studio segreto del dicembre 1942 del Comitato dei capi di Stato maggiore congiunti (Joint Chiefs of Staff, JCS) si dava per regola di "ignorare le considerazioni di sovranità nazionale" dei paesi stranieri. Nel 1942-1943, il JCS: 1) sul conflitto in corso (e il precedente) giunse alla conclusione che la prossima guerra avrebbe avuto come spina dorsale i bombardieri strategici americani e che, semplice "strumento della politica americana, un esercito internazionale" incaricato di compiti subalterni (terrestri) avrebbe "internazionalizzato e legittimato la potenza americana"; e 2) innalzò l'interminabile e universale elenco delle basi nel dopoguerra, colonie degli "alleati" comprese (JCS 570). Niente avrebbe reso possibile il "tollerare delle restrizioni alla nostra capacità di far sostare e operare l'aereo militare nei e sopra certi territori sotto sovranità straniera", sentenziava il generale Henry Arnold, capo di Stato maggiore dell'Aviazione, nel novembre 1943 [15].

La "Guerra fredda" che trasforma l'Urss in "orco sovietico" [16] avrebbe disgiunto le confessioni sulla tattica che subordina l'utilizzo della "carne da cannone" degli alleati (momentanei), dagli obiettivi dei "bombardamenti strategici americani". Nel maggio 1949, firmato il Patto atlantico (4 aprile), Clarence Cannon, presidente della commissione delle Finanze della Camera dei rappresentanti (House Committee on Appropriations), glorificò i molto costosi "bombardieri terrestri pesanti capaci di trasportare la bomba atomica, che in tre settimane avrebbero polverizzato tutti i centri militari sovietici" e si rallegrò del "contributo che possono portare i nostri alleati […] inviando i giovani necessari ad occupare il territorio nemico dopo che l'avremo demoralizzato e annientato con i nostri attacchi aerei. […] Abbiamo seguito un piano simile durante l'ultima guerra" [17].

Gli storici americani Michael Sherry e Martin Sherwin lo hanno mostrato: era l'Urss, strumento militare della vittoria, il bersaglio simultaneo delle future guerre di conquista - e non il Reich, ufficialmente designato come nemico "delle Nazioni unite" [18]. Si comprende il perché leggendo William Appleman Williams, uno dei fondatori della "scuola revisionista" (progressista) americana. La sua tesi sulle "relazioni americano-russe dal 1781 al 1947" (1952) ha dimostrato che l'imperialismo americano non sopportava alcuna limitazione della sua sfera di influenzamondiale, che la "Guerra fredda", nata nel 1917 e non nel 1945-1947, aveva fondamenti non ideologici ma economici, e che la russofobia americana datava dall'epoca imperialista [19]. "L'intesa [russo-americana] vile e informale […] si era infranta sui diritti di passaggio delle ferrovie [russe] della Manciuria meridionale e dell'est cinese tra il 1895 e 1912". I sovietici ebbero in più l'audacia di sfruttare da sé la loro caverna di Ali Baba, sottraendo ai capitali americani il loro immenso territorio (22 milioni di kmq). Ecco ciò che generò "la continuità, da Theodore Roosevelt e John Hay a Franklin Roosevelt passando per Wilson, Hugues e Hoover, della politica americana in Estremo oriente" [20] - ma anche in Africa e in Europa, altri campi privilegiati "di una divisione e ripartizione del mondo" [21] americana rinnovata senza sosta dal 1880-1890.

Washington pretendeva di operare questa "divisione-ripartizione" a suo esclusivo beneficio, ragione fondamentale per la quale Roosevelt mise il veto a ogni discussione in tempo di guerra con Stalin e Churchill sulla ripartizione delle "zone di influenza". La cessazione delle ostilità gli avrebbe assicurato la vittoria militare a costi zero, visto lo stato pietoso del suo grande rivale russo, devastato dall'assalto tedesco [22]. Nel febbraio-marzo 1944, il miliardario Harriman, ambasciatore a Mosca dal 1943, faceva riferimento a due rapporti dei servizi "russi" del Dipartimento di stato ("Alcuni aspetti della politica sovietica attuale " e "La Russia e l'Europa orientale") per ritenere che l'Urss, "impoverita dalla guerra e a caccia della nostra assistenza economica […] una delle nostre principali leve per orientare un'azione politica compatibile ai nostri principi", non avrebbe avuto neanche la forza di sconfinare nell'Europa dell'est, di lì a poco americana. Si sarebbe accontentata per il dopoguerra di una promessa americana di aiuti, cosa che avrebbe permesso "di evitarci la creazione di una sfera di influenza dell'Unione sovietica sull'Europa orientale e i Balcani" [23]. Previsione da cui traspare un ottimismo eccessivo, visto che l'Urss non ha mai rinunciato ad assicurarsene una.

La Pax Americana nella parte francese della zona di influenza

I piani di pace sinarchici

Questa "leva" finanziaria era, tanto all'ovest che ad est, "una delle armi più efficaci a nostra disposizione per influire sugli avvenimenti politici europei nella direzione da noi desiderata" [24].

In vista di questa Pax americana, l'alta finanza sinarchica, cuore dell'imperialismo francese particolarmente rappresentato oltremare - Lemaigre-Dubreuil, capo degli olii Lesieur (e di società petrolifere), il presidente della banca di Indocina Paul Baudouin, ultimo ministro degli Affari esteri di Reynaud e primo di Pétain, ecc. -, negoziò, più attivamente dal secondo semestre 1941, col finanziere Robert Murphy, delegato speciale di Roosevelt in nord Africa. Futuro primo consigliere del governatore militare della zona di occupazione americana in Germania e uno dei capi dei servizi informazione, dall'Office of Strategic Services (OSS) di guerra alla Central Intelligence Agency del 1947, Murphy si era installato ad Algeri nel dicembre 1940. Questo cattolico integralista preparava lo sbarco degli Stati uniti in Africa settentrionale, trampolino verso l'occupazione dell'Europa, che sarebbe cominciata dal territorio francese quando l'Urss si apprestava a superare le sue frontiere del 1940-1941 per liberare i paesi occupati [25]. Queste trattative segrete furono tenute in zona non occupata, nell'"impero", tramite i "neutrali" filo-hitleriani Salazar e Franco, sensibili alle sirene americane, agli svizzeri e agli svedesi, e tramite il Vaticano, tanto preoccupato del 1917-1918 da assicurare una pace dolce al Reich vinto. Prolungati fino alla fine della guerra, inclusero sin dal 1942 dei piani di "ribaltamento dei fronti ", contro l'Urss, che trapelarono prima della capitolazione tedesca [26] ma non ebbero pieno effetto che dopo l'8-9 maggio 1945.

Trattando di affari economici immediati (in Africa settentrionale) e futuri (metropolitani e coloniali per il dopo-Liberazione), coi grandi sinarchici, Washington contava anche su di questi per escludere De Gaulle, ugualmente odiato delle due parti. In nessun caso perché fosse una sorta di dittatore militare insopportabile, conformemente a una duratura leggenda, al grande democratico Roosevelt. De Gaulle era sgradito solamente perché, per reazionario che fosse o fu, traeva la sua popolarità e la sua forza dalla Resistenza interna (soprattutto comunista): è a questo titolo che avrebbe intralciato il dominio totale degli Stati uniti, mentre una "Vichy senza Vichy" avrebbe offerto dei partner vilipesi dal popolo, dunque docili "perinde ac cadaver"[come cadaveri] alle disposizioni americane. Questa formula americana, alla fine destinata all'insuccesso visto il rapporto di forze generali e francesi, ebbe dunque per eroi successivi, dal 1941 al 1943, i cagoulards [terroristi di fede fascista, ndt] vichysti Weygand, Darlan poi Giraud, campioni riconosciuti della dittatura militare [27], così rappresentativi dei gusti di Washington per gli stranieri conquistati alla libertà dei suoi capitali e all'installazione delle sue basi aeronavali [28].

Spaventati dall'esito della battaglia di Stalingrado, gli stessi finanzieri francesi inviarono subito a Roma il loro devoto Emmanuel Suhard, strumento dal 1926 dei loro piani di liquidazione della Repubblica. Il cardinale-arcivescovo (di Reims) fu il Cagoule che nell'aprile 1940 aveva opportunamente liquidato il suo predecessore Verdier, chiamato a Parigi in maggio appena dopo l'invasione tedesca (del 10 maggio): i suoi mandanti e Paul Reynaud, complice dell' imminente putsch Pétain-Laval, lo spedirono a Madrid il 15 maggio, via Franco, a imbastire le trattative di "Pace" (capitolazione) col Reich [29]. Suhard fu dunque di nuovo incaricato di preparare, in vista della Pax americana, le trattative col nuovo tutore: doveva chiedere a Pio XII di porre "a Washington", via Myron Taylor, ex presidente dell'US Steel e dall'estate 1939 rappresentante personale di Roosevelt "vicino al papa", la seguente domanda: "Se le truppe americane saranno costrette a penetrare in Francia, il governo di Washington si impegna a che l'occupazione americana sia totale quanto l'occupazione tedesca?", all'esclusione di ogni altra "occupazione straniera (sovietica). Washington rispose che gli Stati uniti si sarebbero disinteressati della futura forma del governo della Francia e che si impegnavano a non lasciare che il comunismo si insediasse nel paese" [30]. La borghesia, notava un informatore del Bcra a fine luglio 1943, "non credendo più alla vittoria tedesca, conta […] sull'America per evitare il bolscevismo. Aspetta lo sbarco anglo-americano con impazienza, ogni ritardo gli appare come una sorta di tradimento". Questo ritornello fu cantato fino alla messa in opera dell'operazione "Overlord" [31].

… contro le speranze popolari

Al "borghese francese [che aveva] sempre considerato il soldato americano o britannico come naturalmente al suo servizio nel caso di una vittoria bolscevica", le RG [Renseignements généraux, servizio informazioni della Polizia nazionale, ndt] opponevano dal febbraio 1943 "il proletariato", che esultava: "i timori di vedere la sua vittoria sottratta dall'alta finanza internazionale si smorzano con la caduta di Stalingrado e l'avanzata generale dei sovietici" [32]. Da questo lato, al rancore contro l'inoperosità militare degli anglosassoni contro l'Asse si aggiunse la collera provocata dalla loro guerra aerea contro i civili, quelli delle "Nazioni unite" compresi. I "bombardamenti strategici americani", ininterrotti dal 1942, colpivano le popolazioni ma risparmiavano i Konzerne [complessi industriali] partner, IG Farben in testa come riportava a novembre "un industriale svedese molto importante e in strette relazioni con [il gigante chimico], di ritorno da un viaggio d'affari in Germania": a Francoforte, "le fabbriche non hanno sofferto", a Ludwigshafen "i danni sono insignificanti ", a Leverkusen "le fabbriche dell'IG Farben […] non sono state bombardate" [33].

Niente cambiò fino al 1944, quando un lungo rapporto di marzo sui "bombardamenti dell'aviazione anglo-americana e le reazioni della popolazione francese" denunciò gli effetti di questi "raid omicidi ed inefficaci": dal 1943 l'indignazione gonfiava tanto che scuoteva la base del controllo americano imminente del territorio. Dal settembre 1943 si erano intensificati gli attacchi contro la periferia di Parigi, dove le bombe erano "gettate a caso, senza scopo preciso e senza la minima preoccupazione di risparmiare delle vite umane". Quindi era toccato a Nantes, Strasburgo, La Bocca, Annecy, poi Tolone, che aveva "portato al colmo la collera degli operai contro gli anglosassoni": sempre le stesse morti operaie e poco o niente gli obiettivi industriali colpiti. Le operazioni preservavano sempre l'economia di guerra tedesca, come se gli anglosassoni "temessero di vedere finire troppo rapidamente la guerra". Così troneggiavano intatti gli altiforni la cui distruzione avrebbe paralizzato immediatamente le industrie della trasformazione, smettendo di funzionare per mancanza di materie prime". Si diffondeva "un'opinione molto pericolosa […] in certe parti della popolazione operaia che è stata colpita duramente dai raid. Ed è che i capitalisti anglosassoni non sono dispiaciuti di eliminare dei concorrenti commerciali e, allo stesso tempo, di decimare la classe operaia, di sprofondarla in uno stato di sconforto e di miseria che dopo la guerra gli renderà più difficile portare le sue rivendicazioni sociali. Sarebbe vano nascondere che l'opinione francese si è, da qualche tempo, raffreddata considerevolmente al riguardo degli anglo-americani" che indietreggiano sempre davanti "allo sbarco promesso […]. La Francia soffre indicibilmente […] Le forze vive del paese si esauriscono a una cadenza che si accelera di giorno in giorno, e la fiducia negli alleati prende una curva discendente. […] Istruiti dalla crudele realtà dei fatti, la maggior parte degli operai ripone oramai tutte le sue speranze nella Russia, il cui esercito è, a loro avviso, l'unico che possa superare in un futuro prossimo la resistenza dei tedeschi" [34].

È dunque in un'atmosfera di rancore contro questi "alleati" tanto benevoli con il Reich, prima e dopo il 1918, che ebbe luogo il loro sbarco del 6 giugno 1944. Collera e sovietofilia popolari si mantennero, dando al PCF un'eco che inquietava l'incombente stato gollista: "lo sbarco ha tolto alla sua propaganda una parte della forza di penetrazione", ma "il tempo abbastanza lungo impiegato dagli eserciti anglo-americani a sbarcare sul suolo francese è stato sfruttato per dimostrare che solo l'esercito russo era in grado di lottare efficacemente contro i nazisti. Le morti provocate dai bombardamenti e i dolori che suscitano servono anche da elementi favorevoli a una propaganda che pretende che i russi si battano secondo i metodi tradizionali e non se la prendano con la popolazione civile" [35].

Il deficit di simpatia registrata nella parte iniziale della sfera di influenza americana si mantenne tra la Liberazione di Parigi e la fine della guerra in Europa, come attestano i sondaggi dell'Ifop del dopo-Liberazione parigina ("dal 28 agosto al 2 settembre 1944") e dal maggio 1945 nazionale [36]. Fu un dopoguerra, lo si è detto, all'inizio progressivamente, poi brutalmente oppressivo. E' quindi di grande significato ricordare:

che dopo la battaglia delle Ardenne (dicembre 1944-gennaio 1945), la sola importante lanciata dagli anglosassoni contro le truppe tedesche (9.000 morti americani) [37], l'alto-comando della Wehrmacht trattò febbrilmente la resa "agli eserciti anglo-americani e il trasporto delle forze ad est";

che, a fine marzo 1945, "26 divisioni tedesche rimanevano sul fronte occidentale", al solo scopo di evacuare "verso ovest" dai porti del nord, "contro 170 divisioni sul fronte est" che combatterono accanitamente fino al 9 maggio (data della liberazione di Praga) [38];

che il liberatore americano che grazie alla guerra aveva raddoppiato il suo reddito nazionale, aveva perso sui fronti del Pacifico e dell'Europa 290.000 soldati dal dicembre 1941 all'agosto 1945 [39]: cioè gli effettivi sovietici morti nelle ultime settimane della caduta di Berlino, e 1% del totale delle morti sovietiche della "Grande guerra patriottica", intorno a 30 milioni su 50.

Dal 6 giugno 1944 al 9 maggio 1945, Washington finì di mettere a posto tutto o quasi per ristabilire il cordone sanitario che i rivali imperialisti inglesi e francesi avevano costruito nel 1919 e per trasformare in bestia nera il paese più caro ai popoli d'Europa (quello francese incluso). La leggenda della "Guerra fredda" meriterebbe le stesse correzioni di quella dell'esclusiva liberazione americana dell'Europa [40].

Note

[1] Frédéric Dabi, «1938-1944 : Des accords de Munich à la libération de Paris ou l'aube des sondages d'opinion en France», février 2012, http://www.revuepolitique.fr/1938-1944-laube-des-sondages-dopinion-en-france/, chiffres extraits du tableau, p. 5. Total inférieur à 100 : 3 autres données : Angleterre; 3 pays; sans avis.

[2] Ibid., p. 4.

[3] Campagne si délirante qu'un journal électronique lié aux États-Unis a le 2 mai 2014 a prôné quelque pudeur sur l'équation CIA-démocratie http://www.huffingtonpost.fr/charles-grandjean/liberte-democratie-armes-desinformation-massive-ukraine_b_5252155.html

[4] Annie Lacroix-Riz, Le Vatican, l'Europe et le Reich 1914-1944, Paris, Armand Colin, 2010 (2e édition), passim.

[5] Lynn E. Davis, The Cold War begins […] 1941-1945, Princeton, Princeton UP, 1974; Lloyd Gardner, Spheres of influence […], 1938-1945, Chicago, Ivan R. Dee, 1993; Geoffrey Roberts, Stalin's Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London: Yale University Press, 2006, traduction chez Delga, septembre 2014.

[6] Tél. 1450-1467 de Bérard, Bonn, 18 février 1952, Europe généralités 1949-1955, 22, CED, archives du ministère des Affaires étrangères (MAE).

[7] Note État-major, anonyme, 15 septembre 1938 (modèle et papier des notes Gamelin), N 579, Service historique de l'armée de terre (SHAT).

[8] Moral de la région parisienne, note reçue le 22 avril 1943, F1a, 3743, Archives nationales (AN).

[9] Lacroix-Riz, L'histoire contemporaine toujours sous influence, Paris, Delga-Le temps des cerises, 2012.

[10] Revendication de paternité, t. 1 de ses mémoires, Un ambassadeur se souvient. Au temps du danger allemand, Paris, Plon, 1976, p. 458, vraisemblable, vu sa correspondance du MAE.

[11] Rapport 556/EM/S au général Koeltz, Wiesbaden, 16 juillet 1941, W3, 210 (Laval), AN.

[12] Les difficultés «des Allemands» nous menacent, se lamenta fin août Tardini, troisième personnage de la secrétairerie d'État du Vatican, d'une issue «telle que Staline serait appelé à organiser la paix de concert avec Churchill et Roosevelt», entretien avec Léon Bérard, lettre Bérard, Rome-Saint-Siège, 4 septembre 1941, Vichy-Europe, 551, archives du ministère des Affaires étrangères (MAE).

[13] Michael Sherry, Preparation for the next war, American Plans for postwar defense, 1941-1945, New Haven, Yale University Press, 1977, chap. 1, dont p. 39.

[14] Exemples français et scandinave (naguère fief britannique), Lacroix-Riz, «Le Maghreb: allusions et silences de la chronologie Chauvel», La Revue d'Histoire Maghrébine, Tunis, février 2007, p. 39-48; Les Protectorats d'Afrique du Nord entre la France et Washington du débarquement à l'indépendance 1942-1956, Paris, L'Harmattan, 1988, chap. 1; «L'entrée de la Scandinavie dans le Pacte atlantique (1943-1949): une indispensable "révision déchirante"», guerres mondiales et conflits contemporains (gmcc), 5 articles, 1988-1994, liste, http://www.historiographie.info/cv.html.

[15] Sherry, Preparation, p. 39-47 (citations éparses).

[16] Sarcasme de l'ambassadeur américain H. Freeman Matthews, ancien directeur du bureau des Affaires européennes, dépêche de Dampierre n° 1068, Stockholm, 23 novembre 1948, Europe Généralités 1944-1949, 43, MAE.

[17] Tél. Bonnet n° 944-1947, Washington, 10 mai 1949, Europe généralités 1944-1949, 27, MAE, voir Lacroix-Riz, «L'entrée de la Scandinavie», gmcc, n° 173, 1994, p. 150-151 (150-168).

[18] Martin Sherwin, A world destroyed. The atomic bomb and the Grand Alliance, Alfred a Knopf, New York, 1975; Sherry Michael, Preparation; The rise of American Air Power: the creation of Armageddon, New Haven, Yale University Press, 1987; In the shadow of war : the US since the 1930's, New Haven, Yale University Press, 1995.

[19] Williams, Ph.D., American Russian Relations, 1781-1947, New York, Rinehart & Co., 1952, et The Tragedy of American Diplomacy, Dell Publishing C°, New York, 1972 (2e éd).

[20] Richard W. Van Alstyne, recension d'American Russian Relations, The Journal of Asian Studies, vol. 12, n° 3, 1953, p. 311.

[21] Lénine, L'impérialisme, stade suprême du capitalisme, Essai de vulgarisation, Paris, Le Temps des cerises, 2001 (1e édition, 1917), p. 172. Souligné dans le texte.

[22] Élément clé de l'analyse révisionniste, dont Gardner, Spheres of influence, essentiel.

[23] Tél. 861.01/2320 de Harriman, Moscou, 13 mars 1944, Foreign Relations of the United States 1944, IV, Europe, p 951 (en ligne).

[24] Ibid.

[25] Lacroix-Riz, «Politique et intérêts ultra-marins de la synarchie entre Blitzkrieg et Pax Americana, 1939-1944», in Hubert Bonin et al., Les entreprises et l'outre-mer français pendant la Seconde Guerre mondiale, Pessac, MSHA, 2010, p. 59-77; «Le Maghreb: allusions et silences de la chronologie Chauvel», La Revue d'Histoire Maghrébine, Tunis, février 2007, p. 39-48.

[26] Dont la capitulation de l'armée Kesselring d'Italie, opération Sunrise négociée en mars-avril 1945 par Allen Dulles, chef de l'OSS-Europe en poste à Berne, avec Karl Wolff, «chef de l'état-major personnel de Himmler» responsable de «l'assassinat de 300 000 juifs», qui ulcéra Moscou. Lacroix-Riz, Le Vatican, chap. 10, dont p. 562-563, et Industriels et banquiers français sous l'Occupation, Paris, Armand Colin, 2013, chap. 9.

[27] Jean-Baptiste Duroselle, L'Abîme 1939-1945, Paris, Imprimerie nationale, 1982, passim; Lacroix-Riz, «Quand les Américains voulaient gouverner la France», Le Monde diplomatique, mai 2003, p. 19; Industriels, chap. 9.

[28] David F Schmitz, Thank God, they're on our side. The US and right wing dictatorships, 1921-1965, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1999.

[29] Index Suhard Lacroix-Riz, Le choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, et De Munich à Vichy, l'assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2010 (2e édition) et 2008.

[30] LIBE/9/14, 5 février 1943 (visite récente), F1a, 3784, AN. Taylor, Vatican, chap. 9-11 et index.

[31] Information d'octobre, reçue le 26 décembre 1943, F1a, 3958, AN, et Industriels, chap. 9.

[32] Lettre n° 740 du commissaire des RG au préfet de Melun, 13 février 1943, F7, 14904, AN.

[33] Renseignement 3271, arrivé le 17 février 1943, Alger-Londres, 278, MAE.

[34] Informations du 15 mai, diffusées les 5 et 9 juin 1944, F1a, 3864 et 3846, AN.

[35] Information du 13 juin, diffusée le 20 juillet 1944, «le PC à Grenoble», F1a, 3889, AN.

[36] M. Dabi, directeur du département Opinion de l'Ifop, phare de l'ignorance régnant en 2012 sur l'histoire de la Deuxième Guerre mondiale, déplore le résultat de 1944 : «une très nette majorité (61%) considèrent que l'URSS est la nation qui a le plus contribué à la défaite allemande alors que les États-Unis et l'Angleterre, pourtant libérateurs du territoire national [fin août 1944??], ne recueillent respectivement que 29,3% et 11,5%», «1938-1944», p. 4, souligné par moi.

[37] Jacques Mordal, Dictionnaire de la Seconde Guerre mondiale, Paris, Larousse, 1979, t. 1, p. 109-114.

[38] Gabriel Kolko, The Politics of War. The World and the United States Foreign Policy, 1943-1945, New York, Random House, 1969, chap. 13-14.

[39] Pertes «militaires uniquement», Pieter Lagrou, «Les guerres, la mort et le deuil : bilan chiffré de la Seconde Guerre mondiale», in Stéphane Audoin-Rouzeau et al., dir., La violence de guerre 1914-1945, Bruxelles, Complexe, 2002, p. 322 (313-327).

[40] Bibliographie, Jacques Pauwels, Le Mythe de la bonne guerre : les USA et la Seconde Guerre mondiale, Bruxelles, Éditions Aden, 2012, 2e édition; Lacroix-Riz, Aux origines du carcan européen, 1900-1960. La France sous influence allemande et américaine, Paris, Delga-Le temps des cerises, 2014.

* Professore emerito di storia contemporanea, università Paris VII-Denis Diderot 





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Siamo stati abituati negli ultimi anni alla strumentalizzazione del sentimento femminista a fini di propaganda bellica: basti pensare alle notizie false sugli stupri di massa pianificati, o "etnici", in Bosnia, fatte circolare dall'allora Ministro degli Esteri bosniaco-musulmano Haris Silajdzic per sabotare la Conferenza di Pace di Ginevra (1993). La più recente versione del "femminismo di guerra" è la prostituzione delle FEMEN, gruppo di donne ucraine che si spogliano davanti agli obiettivi delle agenzie di stampa occidentali esibendo messaggi di odio. Due casi dovrebbero destare più sconcerto degli altri: (1) a Odessa il 2 maggio scorso, una di queste mercenarie si è fatta immortalare in aria di sfida mentre alle sue spalle i suoi camerati bruciavano vive decine di persone dentro la Casa dei Sindacati ( http://donneinrosso.wordpress.com/2014/05/18/femen-un-travestimento-firmato-imperialismo/ ); (2) al Museo delle Cere di Parigi il 5 giugno scorso la statua di cera di Vladimir Putin è stata accoltellata con goduria da una signora seminuda che non gradiva la presenza del presidente russo alle celebrazioni per il D-Day ( http://www.krone.at/Welt/Femen-Aktivistin_attackiert_Putin-Wachsfigur-Barbusiger_Anschlag-Story-407097 ). Gli articoli di seguito consentono maggiori approfondimenti su questo fenomeno per nulla spontaneo delle "spogliarelliste con l'elmetto". (a cura di Italo Slavo)

1) Femen: un travestimento firmato imperialismo (18/5/2014)
2) Il Pdci sul documentario sulle Femen presentato al Biografilm Festival (7/6/2014)
3) Com'è che le ragazze a seno nudo di Femen prendono mille euro al dì? (15/3/2013)
4) Femen: rivelazioni veramente scandalose (22/9/2012)


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http://donneinrosso.wordpress.com/2014/05/18/femen-un-travestimento-firmato-imperialismo/

Femen: un travestimento firmato imperialismo

Pubblicato su  18 maggio 2014 da Donne in rosso

di Milena Fiore

Nei mesi scorsi il gruppo Femen, accreditato in Occidente come gruppo femminista all’avanguardia della lotta contro il patriarcato e il fascismo (sono servite a legittimarle alcune azioni dimostrative contro il Fronte nazionale in Francia), è stato parte attiva del movimento contro il governo ucraino, sfociato nel colpo di Stato fascistoide di piazza Majdan. Altrettanto mediatiche sono state le loro performance contro l’immagine del presidente Jankovic: performance caratterizzate non solo da una volgarità estrema ma da un vero e proprio imbarbarimento della lotta politica, segnate da quella umiliazione del nemico che abbiamo già visto nelle foto – certo più drammatiche – di Guantanamo e Abu Ghraib  (per vedere le immagini clicca qui…). Si tratta di metodi e forme di lotta che sono lontani anni luce dalle pratiche del movimento delle donne e che condanniamo sia come femministe che come antifasciste.

A questo proposito. particolare ribrezzo suscita la foto di una componente del gruppo in posa a Odessa, davanti alla sede del sindacato in fiamme, mentre decine di antifascisti venivano arsi vivi e massacrati.

Pensiamo che davanti a queste finte realtà “radical”, che servono ad accreditare a sinistra gruppi apertamente al servizio dell’imperialismo, occorra tenere sveglio il senso critico e denunciare appropriazioni indebite del patrimonio del femminismo e dell’antifascismo da parte di chi ne fa un uso solo strumentale finalizzato a ben altri scopi.

Dalla pagina facebook Premio Goebbels per la disinformazione (https://www.facebook.com/premiogoebbels):

“Le #Femen vengono dipinte in occidente come un gruppo di femministe coraggiose che sfoggiano le loro forme per combattere il maschilismo e l’oppressione patriarcale. In Francia e in altri paesi UE si sono spacciate anche per “antifasciste”, dopo aver protestato contro alcuni raduni del Fronte Nazionale e di altri gruppi di estrema destra. In realtà, in Ucraina, il loro paese d’origine, sono forti e provati i contatti che legano il gruppo fondatore delle Femen ai gruppi neonazisti Svoboda e Right Sector. La foto in alto è stata scattata ad Odessa, durante il rogo nazista contro la Casa dei Sindacati, in cui hanno perso la vita decine, forse centinaia, di persone. Quelle in basso, invece, ritraggono le Femen accanto ad esponenti di Svoboda.”

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http://pdcibologna.blogspot.it/2014/06/il-pdci-sul-documentario-sulle-femen.html

sabato 7 giugno 2014

Il Pdci sul documentario sulle Femen presentato al Biografilm Festival

Arriva oggi a Bologna, all'interno del Biografilm Festival, il film sulle Femen, un collettivo femminista ucraino, molto pubblicizzato da tutti i media.
Il Pdci mette in guardia lavoratori e studenti da questo mezzo di propaganda politica al servizio di interessi euro-atlantici.

Il curriculum delle Femen mostra ormai anche ai più disinformati di  quali sostegni internazionali disponga questo gruppo. Solo un silenzio colpevole dei grandi media impedisce che queste informazioni siano rese disponibili al grande pubblico.
 
Come documenta il sito Marx 21 (di cui alleghiamo i link alla fine) queste attiviste vengono pagate1'000 euro al mese (il triplo di quello che prende un lavoratore ucraino), organizzano proteste a Parigi che costano 1'000 euro al giorno a testa. I finanziamenti sembrano arrivare dal miliardario tedesco Helmut Geier, dall’imprenditrice tedesca Beate Schober e dall’uomo d'affari americano Jed Sunden.
 
Negli ultimi mesi si sono caratterizzate per il sostegno al colpo di stato in Ucraina messo in atto dai nazi-fascisti presenti in Piazza Maydan e dalla loro presenza a Odessa, dove i nazisti hanno bruciato vive decine di persone dentro la Casa dei Sindacati (dopo aver struprato le donne).
 
Ci permettiamo un'ultima osservazione. Il documentario si intitola "L'Ucraina non è un bordello". Non possiamo che osservare che l'Ucraina lo è diventata quando le conquiste del socialismo sono state gettate via dai nuovi padroni di Kiev, i grandi capitalisti, per i quali tutto è una merce da vendere e da comprare, compreso il corpo e la dignità di donne gettate sul lastrico dalla contro rivoluzione dell''89.



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http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/21943-come-che-le-ragazze-a-seno-nudo-di-femen-prendono-mille-euro-al-di.html

Com'è che le ragazze a seno nudo di Femen prendono mille euro al dì?

di Luigi De Biase | da il Foglio
del 15 marzo 2013

L’ultima azione è stata martedì all’ingresso di San Pietro e c’è voluta la polizia per fermare le ragazze di Femen, il gruppo che protesta ormai da tempo senza vestiti in ogni grande città d’Europa. In Vaticano erano in due, si sono tolte le magliette, hanno mostrato la scritta “No more Pope” stampata sulla pancia e si sono messe a sventolare un fumogeno color porpora: un vigile ha cercato di coprirle con il giaccone e lo sforzo è stato vano, così è servito qualche agente per convincerle a salire su una camionetta con maniere un po’ meno galanti. Non è la prima volta che le Femen si spogliano a Roma, lo hanno fatto nel 2011 per chiedere la fine del governo Berlusconi e sono tornate adesso che il Conclave si riunisce per eleggere il Papa, insomma, non si può dire che siano a corto di senso della notizia. A Parigi, la città che ospita il loro “centro d’addestramento”, le ragazze sono trattate come le celebrità, come una piccola avanguardia del femminismo chic, e forse è per questo che il proprietario di un teatro nel quartiere del Goutte d’Or ha deciso di ospitarle senza chiedere un euro d’affitto (Goutte d’Or non è il posto in cui passare un weekend romantico, ma è sempre meglio di niente).
In Ucraina, il paese in cui le Femen sono nate, hanno un’opinione diversa. Lo scorso autunno una reporter del canale tv 1+1 s’è arruolata nel gruppetto per un mese e ha trovato notizie interessanti (per farlo s’è dovuta immedesimare, ha anche partecipato a qualche azione senza reggiseno, come ha poi raccontato alle telecamere). Una riguarda gli interessi del gruppo: a quanto sembra l’attività delle Femen è ben retribuita, ogni dimostrante ha uno stipendio di mille euro al mese e chi lavora nella sede di Kiev arriva a 2.500 (il salario medio in Ucraina non supera i 500 euro). Le spese a Parigi sarebbero più alte, si parla di mille euro al giorno per ogni ragazza, e la reporter di 1+1 dice di avere le idee chiare anche sull’origine di quella fortuna: Femen avrebbe rapporti solidi con un uomo d’affari americano con molti interessi a Kiev, un certo Jed Sunden, e con due ricconi tedeschi.

In effetti il gruppo è ben organizzato, ha punti d’appoggio in tutta Europa e si pensa che presto ne avrà anche in Canada, negli Stati Uniti, in Brasile e in Israele. La prima protesta è stata nel 2008 ed era contro la prostituzione giovanile, ma in poco tempo le Femen hanno cominciato a occuparsi di politica, di fede e persino di economia, prima in Ucraina e poi all’estero. Il problema è che nessuno ha mai capito bene quale sia il punto delle loro azioni (una volta hanno rincorso il patriarca russo sulla pista dell’aeroporto di Kiev). A volte i loro annunci somigliano un po’ ai messaggi dei ribelli ceceni: cinque anni fa c’erano soltanto tre studentesse ucraine, Anna, Oksana e Inna, nel giro di due anni le attiviste sono diventate 320, “venti in topless e trecento completamente vestite”, come diceva una nota del gruppo, ma lo scorso autunno le tre ambasciatrici hanno annunciato di avere un esercito con oltre cento militanti pronte a togliersi i vestiti da Londra a Roma in nome della libertà. E’ così che Femen è diventato il club femminista più influente d’Europa, almeno sul piano dell’immagine. La loro società ha una pagina Facebook con migliaia di contatti, un account su Twitter, un sito internet in tre lingue diverse: lì si trovano filmati, interviste, magliette (25 euro), colori per il corpo (un kit 70 euro), felpe, tazze e cappelli (dai 20 ai 60 euro). Il 7 marzo, alla vigilia della giornata delle donne, un libro con la storia di Femen è arrivato sugli scaffali delle librerie francesi e ci sono state feste e brindisi al teatro di Goutte d’Or. Naturalmente esistono anche i problemi, gli arresti, le denunce e le minacce, soprattutto per le proteste in Ucraina, in Russia e in Bielorussia. Ma quando le cose si mettono male, c’è sempre qualcuno pronto a chiamarle “dissidenti”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO


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http://italian.ruvr.ru/2012_09_22/FEMEN-rivelazioni-veramente-scandalose/

FEMEN: rivelazioni veramente scandalose

Vladimir Sinelnikov

22 settembre 2012

Una giornalista di un canale televisivo ucraino è riuscita ad infiltrarsi nel controverso movimento femminista FEMEN.

La ragazza è entrata a far parte dell'organizzazione, dichiarandosi convinta sostenitrice delle loro idee e partecipava personalmente alle azioni di protesta in topless, registrando il tutto con una telecamera nascosta. Si è scoperto che dietro gli ideali di emancipazione femminile in realtà ci sono finanziatori dell’Europa e degli Stati Uniti.
Per smascherare FEMEN la giovane giornalista si è dovuta “sacrificare” partecipando alle loro azioni in topless. Per settimane era stata addestrata per come tenere un comportamento aggressivo e come attrarre l'attenzione dei giornalisti fingendo di essere una vittima innocente del “sistema sessista”. Cosa più importante le è stato insegnato come mostrare davanti la telecamera il suo seno.
Il debutto in topless della giornalista è avvenuto a Parigi dove FEMEN aveva recentemente aperto un nuovo ufficio di rappresentanza. Alcune attiviste hanno organizzato una manifestazione nel loro stile mostrando il seno davanti il centro culturale islamico parigino. La giornalista era terrorizzata, respirava l’odio della gente che sentiva derisa la propria fede:
L'azione dimostrativa si sta svolgendo presso un centro culturale islamico e riteniamo che la folla sia pronta ad assalirci, ci salvano solo le telecamere dei giornalisti.
Il viaggio a Parigi è stato pagato direttamente dal movimento FEMEN alla giornalista. I biglietti d’aereo, le camere d'albergo, il taxi e i pasti erano stati quantificati in 1.000 euro al giorno, a parte ma sempre a “costo zero” le spese per gli estetisti e la cosmetica.
Inoltre si è scoperto che le attiviste di FEMEN sono pagate almeno un migliaio di dollari al mese, quasi tre volte il salario medio ucraino. Inoltre il personale a Kiev guadagna circa 2.000 dollari al mese mentre quello della sede parigina diverse migliaia di euro al mese.
Chi così generosamente finanzia questo movimento e quale sia lo sponsor che pubblicizzano le ragazze mostrando il loro seno, rimane avvolto nella nebbia, come si suol dire “mistero della fede”. Si possono solo fare delle ipotesi. La giornalista suggerisce che alcune note persone si sono incontrate con le leader del movimento. Si tratta del miliardario tedesco Helmut Geier, l’imprenditrice tedesca Beate Schober e l’uomo d'affari americano Jed Sunden. L’ultimo sponsor delle FEMEN forse è Wikipedia.




Débarquement en Normandie

1) Le débarquement du 6 juin 1944 du mythe d’aujourd’hui à la réalité historique (Annie Lacroix-Riz)
2) 6 juin 44 : ce qu’on ne vous dira pas (Michel Collon)


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Le débarquement du 6 juin 1944 du mythe d’aujourd’hui à la réalité historique

Par Annie Lacroix-Riz, historienne

Le triomphe du mythe de la libération américaine de l’Europe

En juin 2004, lors du 60e anniversaire (et premier décennal célébré au XXIe siècle) du « débarquement allié » en Normandie, à la question« Quelle est, selon vous, la nation qui a le plus contribué à la défaite de l’Allemagne » l’Ifop afficha une réponse strictement inverse de celle collectée en mai 1945 : soit respectivement pour les États-Unis, 58 et 20%, et pour l’URSS, 20 et 57% [1]. Du printemps à l’été 2004 avait été martelé que les soldats américains avaient, du 6 juin 1944 au 8 mai 1945, sillonné l’Europe « occidentale » pour lui rendre l’indépendance et la liberté que lui avait ravies l’occupant allemand et que menaçait l’avancée de l’armée rouge vers l’Ouest. Du rôle de l’URSS, victime de cette « très spectaculaire [inversion des pourcentages] avec le temps » [2], il ne fut pas question. Le (70e) cru 2014 promet pire sur la présentation respective des « Alliés » de Deuxième Guerre mondiale, sur fond d’invectives contre l’annexionnisme russe en Ukraine et ailleurs [3].

La légende a progressé avec l’expansion américaine sur le continent européen planifiée à Washington depuis 1942 et mise en œuvre avec l’aide du Vatican, tuteur des zones catholiques et administrateur, avant, pendant et après la Deuxième Guerre mondiale de la « sphère d’influence “occidentale” » [4]. Conduite en compagnie de et en concurrence avec la RFA (puis l’Allemagne réunifiée), cette poussée vers l’Est a pris un rythme effréné depuis la « chute du Mur de Berlin » (1989) : elle a pulvérisé les « buts de guerre » que Moscou avait revendiqués en juillet 1941 et atteints en 1944 (récupération du territoire de 1939-1940) et 1945 (acquisition d’une sphère d’influence recouvrant l’ancien « cordon sanitaire » d’Europe centrale et orientale, vieille voie germanique d’invasion de la Russie) [5]. Le projet américain avançait si vite qu’Armand Bérard, diplomate en poste à Vichy et, après la Libération, conseiller d’ambassade à Washington (décembre 1944) puis à Bonn (août 1949), prédit en février 1952 : « les collaborateurs du Chancelier [Adenauer] considèrent en général que le jour où l’Amérique sera en mesure de mettre en ligne une force supérieure, l’URSS se prêtera à un règlement dans lequel elle abandonnera les territoires d’Europe Centrale et Orientale qu’elle domine actuellement. » [6] Les prémonitions, alors effarantes, de Bérard-Cassandre, sont en mai-juin 2014 dépassées : l’ancienne URSS, réduite à la Russie depuis 1991, est menacée à sa porte ukrainienne.

L’hégémonie idéologique « occidentale » accompagnant ce Drang nach Osten a été secondée par le temps écoulé depuis la Deuxième Guerre mondiale. Avant la Débâcle, « l’opinion française » s’était fait « dindonn[er] par les campagnes “idéologiques” » transformant l’URSS en loup et le Reich en agneau. La grande presse, propriété du capital financier, l’avait persuadée que l’abandon de l’alliée tchécoslovaque lui vaudrait préservation durable de la paix. « Une telle annexion sera et ne peut être qu’une préface à une guerre qui deviendra inévitable, et au bout des horreurs de laquelle la France courra le plus grand risque de connaître la défaite, le démembrement et la vassalisation de ce qui subsistera du territoire national comme État en apparence indépendant », avait averti, deux semaines avant Munich, une autre Cassandre du haut État-major de l’armée [7]. Trompée et trahie par ses élites, « la France » connut le destin prévu mais ses ouvriers et employés, subissant 50% de baisse des salaires réels et perdant 10-12 kg entre 1940 et 1944, se laissèrent moins« dindonn[er] par les campagnes “idéologiques” ».

Ils perçurent certes les réalités militaires plus tard que « les milieux bien informés », mais, en nombre croissant au fil des mois, ils suivirent sur les atlas ou les cartes de la presse collaborationniste l’évolution du « front de l’Est ». Ils comprirent que l’URSS, qui réclamait en vain depuis juillet 1941 l’ouverture, à l’Ouest, d’un « second front » allégeant son martyre, portait seule le poids de la guerre. L’« enthousiasme » que suscita en eux la nouvelle du débarquement anglo-américain en Afrique du Nord (8 novembre 1942) était « éteint » au printemps suivant : « Aujourd’hui tous les espoirs sont tournés vers la Russie dont les succès remplissent de joie la population tout entière […] Toute propagande du parti communiste est devenue inutile […] la comparaison trop facile entre l’inaction inexplicable des uns et l’héroïque activité des autres prépare des jours pénibles à ceux qui s’inquiètent du péril bolchevique », trancha un rapport d’avril 1943 destiné au BCRA gaulliste [8].

Si duper les générations qui avaient conservé le souvenir du conflit était délicat, l’exercice est aujourd’hui devenu aisé. À la disparition progressive de ses témoins et acteurs s’est ajouté l’effondrement du mouvement ouvrier radical. Le PCF, « parti des fusillés », a longtemps informé largement, bien au-delà de ses rangs, sur les réalités de cette guerre. Ce qui en demeure en traite moins volontiers dans sa presse, elle-même en voie de disparition, voire bat sa coulpe sur le passé « stalinien » contemporain de sa Résistance. L’idéologie dominante, débarrassée d’un sérieux obstacle, a conquis l’hégémonie sur ce terrain comme sur les autres. La sphère académique n’oppose plus rien (voire s’associe) à l’intoxication déchaînée dans la presse écrite et audiovisuelle ou le cinéma [9]. Or, les préparatifs et objectifs du 6 juin 1944 ne sont éclairés ni par le film Il faut sauver le soldat Ryan ni par le long documentaire Apocalypse.

La Pax Americana vue par Armand Bérard en juillet 1941

C’est bien avant le « tournant » de Stalingrad (janvier-février 1943) que les élites françaises saisirent les conséquences américaines de la situation militaire née de la « résistance […] farouche du soldat russe ». En témoigne le rapport daté de la mi-juillet 1941 que le général Paul Doyen, président de la délégation française à la Commission allemande d’armistice de Wiesbaden, fit rédiger par son collaborateur diplomatique Armand Bérard [10] :

1° Le Blitzkrieg était mort. « Le tour pris par les opérations » contredisait le pronostic des « dirigeants [du] IIIème Reich [qui…] n’avaient pas prévu une résistance aussi farouche du soldat russe, un fanatisme aussi passionné de la population, une guérilla aussi épuisante sur les arrières, des pertes aussi sérieuses, un vide aussi complet devant l’envahisseur, des difficultés aussi considérables de ravitaillement et de communications.

Les batailles gigantesques de tanks et d’avions, la nécessité, en l’absence de wagons à écartement convenable, d’assurer par des routes défoncées des transports de plusieurs centaines de kilomètres entraînent, pour l’Armée allemande, une usure de matériel et une dépense d’essence qui risquent de diminuer dangereusement ses stocks irremplaçables de carburants et de caoutchouc. Nous savons que l’État-Major allemand a constitué trois mois de réserves d’essence. II faut qu’une campagne de trois mois lui permette de réduire à merci le communisme soviétique, de rétablir l’ordre en Russie sous un régime nouveau, de remettre en exploitation toutes les richesses naturelles du pays et en particulier les gisements, du Caucase. Cependant, sans souci de sa nourriture de demain, le Russe incendie au lance-flamme ses récoltes, fait sauter ses villages, détruit son matériel roulant, sabote ses exploitations ».

2° Le risque d’une défaite allemande (longuement détaillé par Bérard) contraignait les maîtres de la France à rallier un autre protecteur que l’impérialisme « continental » choisi depuis la « Réconciliation » des années 1920. Un tel tournant s’avérant impossible « dans les mois à venir », on passerait avec doigté de l’hégémonie allemande à l’américaine, inéluctable. Car « déjà les États-Unis sont sortis seuls vainqueurs de la guerre de 1918 : ils en sortiront plus encore du conflit actuel. Leur puissance économique, leur haute civilisation, le chiffre de leur population, leur influence croissante sur tous les continents, l’affaiblissement des États européens qui pouvaient rivaliser avec eux font que, quoi qu’il arrive, le monde devra, dans les prochaines décades, se soumettre à la volonté des États-Unis. » [11] Bérard distinguait donc dès juillet 1941 le futur vainqueur militaire soviétique – que le Vatican identifia clairement peu après [12] ‑, que la guerre d’attrition allemande épuiserait, du « seul vainqueur », par « puissance économique », qui pratiquerait dans cette guerre comme dans la précédente la « stratégie périphérique ».

« Stratégie périphérique » et Pax Americana contre l’URSS

Les États-Unis, n’ayant jamais souffert d’occupation étrangère ni d’aucune destruction depuis la soumission du Sud agricole (esclavagiste) au Nord industriel, avaient cantonné leur armée permanente à des missions aussi impitoyables qu’aisées, avant (et éventuellement depuis) l’ère impérialiste : liquidation des populations indigènes, soumission de voisins faibles (« l’arrière-cour » latino-américaine) et répression intérieure. Pour l’expansion impériale, la consigne du chantre de l’impérialisme Alfred Mahan ‑ développer indéfiniment la Marine ‑, s’était enrichie sous ses successeurs des mêmes prescriptions concernant l’aviation [13]. Mais la modestie de leurs forces armées terrestresdictait leur incapacité dans un conflit européen. Victoire une fois acquise par pays interposé, fournisseur de la « chair à canon » (« canon fodder »), des forces américaines tardivement déployées investiraient, comme à partir du printemps 1918, le territoire à contrôler : désormais, ce serait à partir de bases aéronavales étrangères, celles d’Afrique du Nord s’ajoutant depuis novembre 1942 aux britanniques [14].

L’Entente tripartite (France, Angleterre, Russie) s’était en 1914 partagé le rôle militaire, finalement dévolu, vu le retrait russe, à la France surtout. C’est l’URSS seule qui l’assumerait cette fois dans une guerre américaine qui, selon l’étude secrète de décembre 1942 du Comité des chefs d’États-majors interarmées (Joint Chiefs of Staff, JCS), se fixait pour norme d’« ignorer les considérations de souveraineté nationale » des pays étrangers. En 1942-1943, le JCS 1° tira du conflit en cours (et du précédent) la conclusion que la prochaine guerre aurait « pour épine dorsale les bombardiers stratégiques américains » et que, simple « instrument de la politique américaine, une armée internationale » chargée des tâches subalternes (terrestres) « internationaliserait et légitimerait la puissance américaine » ; et 2° dressa l’interminable liste des bases d’après-guerre sillonnant l’univers, colonies des « alliés » comprises (JCS 570) : rien ne pourrait nous conduire à « tolérer des restrictions à notre capacité à faire stationner et opérer l’avion militaire dans et au-dessus de certains territoires sous souveraineté étrangère », trancha le général Henry Arnold, chef d’état-major de l’Air, en novembre 1943 [15].

La « Guerre froide » transformant l’URSS en « ogre soviétique » [16] débriderait les aveux sur la tactique subordonnant l’usage de la « chair à canon » des alliés (momentanés) aux objectifs des « bombardements stratégiques américains ». En mai 1949, Pacte atlantique signé (le 4 avril), Clarence Cannon, président de la commission des Finances de la Chambre des Représentants (House Committee on Appropriations) glorifia les fort coûteux « bombardiers terrestres de grand raid capables de transporter la bombe atomique qui “en trois semaines auraient pulvérisé tous les centres militaires soviétiques” » et se félicita de la « contribution » qu’apporteraient nos « alliés […] en envoyant les jeunes gens nécessaires pour occuper le territoire ennemi après que nous l’aurons démoralisé et anéanti par nos attaques aériennes. […] Nous avons suivi un tel plan pendant la dernière guerre » [17].

Les historiens américains Michael Sherry et Martin Sherwin l’ont montré : c’est l’URSS, instrument militaire de la victoire, qui était la cible simultanée des futures guerres de conquête – et non le Reich, officiellement désigné comme ennemi « des Nations unies » [18]. On comprend pourquoi en lisant William Appleman Williams, un des fondateurs de « l’école révisionniste » (progressiste) américaine. Sa thèse sur « les relations américano-russes de 1781 à 1947 » (1952) a démontré que l’impérialisme américain ne supportait aucune limitation à sa sphère d’influence mondiale, que la « Guerre froide », née en 1917 et non en 1945-1947, avait des fondements non idéologiques mais économiques, et que la russophobie américaine datait de l’ère impérialiste [19]. « L’entente [russo-américaine] lâche et informelle […] s’était rompue sur les droits de passage des chemins de fer [russes] de Mandchourie méridionale et de l’Est chinois entre 1895 et 1912 ». Les Soviets eurent au surplus l’audace d’exploiter eux-mêmes leur caverne d’Ali Baba, soustrayant aux capitaux américains leur immense territoire (22 millions de km2). Voilà ce qui généra « la continuité, de Theodore Roosevelt et John Hay à Franklin Roosevelt en passant par Wilson, Hugues et Hoover, de la politique américaine en Extrême-Orient » [20] ‑ mais aussi en Afrique et en Europe, autres champs privilégiés « d’un partage et d’un repartage du monde » [21] américains renouvelés sans répit depuis 1880-1890.

Washington prétendait opérer ce « partage-repartage » à son bénéfice exclusif, raison fondamentale pour laquelle Roosevelt mit son veto à toute discussion en temps de guerre avec Staline et Churchill sur la répartition des « zones d’influence ». L’arrêt des armes lui assurerait la victoire militaire à coût nul, vu l’état pitoyable de son grand rival russe, ravagé par l’assaut allemand [22]. En février-mars 1944, le milliardaire Harriman, ambassadeur à Moscou depuis 1943, s’accordait avec deux rapports des services « russes » du Département d’État (« Certains aspects de la politique soviétique actuelle » et « La Russie et l’Europe orientale ») pour penser que l’URSS, « appauvrie par la guerre et à l’affût de notre assistance économique […,] un de nos principaux leviers pour orienter une action politique compatible avec nos principes », n’aurait même pas la force d’empiéter sur l’Est de l’Europe bientôt américaine. Elle se contenterait pour l’après-guerre d’une promesse d’aide américaine, ce qui nous permettrait « d’éviter le développement d’une sphère d’influence de l’Union Soviétique sur l’Europe orientale et les Balkans » [23]. Pronostic manifestant un optimisme excessif, l’URSS n’ayant pas renoncé à s’en ménager une.

La Pax Americana dans le tronçon français de la zone d’influence

Les plans de paix synarchique…

Ce « levier » financier était, tant à l’Ouest qu’à l’Est, « une des armes les plus efficaces à notre disposition pour influer sur les événements politiques européens dans la direction que nous désirons » [24].

En vue de cette Pax Americana, la haute finance synarchique, cœur de l’impérialisme français particulièrement représenté outre-mer – Lemaigre-Dubreuil, chef des huiles Lesieur (et de sociétés pétrolières), le président de la banque d’Indochine Paul Baudouin, dernier ministre des Affaires étrangères de Reynaud et premier de Pétain, etc. –, négocia, plus activement depuis le second semestre 1941, avec le financier Robert Murphy, délégué spécial de Roosevelt en Afrique du Nord. Futur premier conseiller du gouverneur militaire de la zone d’occupation américaine en Allemagne et un des chefs des services de renseignements, de l’Office of Strategic Services (OSS) de guerre à la Central Intelligence Agency de 1947, il s’était installé à Alger en décembre 1940. Ce catholique intégriste y préparait le débarquement des États-Unis en Afrique du Nord, tremplin vers l’occupation de l’Europe qui commencerait par le territoire français quand l’URSS s’apprêterait à franchir ses frontières de 1940-1941 pour libérer les pays occupés [25]. Ces pourparlers secrets furent tenus en zone non occupée, dans « l’empire », via les « neutres », des pro-hitlériens Salazar et Franco, sensibles aux sirènes américaines, aux Suisses et aux Suédois, et via le Vatican, aussi soucieux qu’en 1917-1918 d’assurer une paix douce au Reich vaincu. Prolongés jusqu’à la fin de la guerre, ils inclurent dès 1942 des plans de « retournement des fronts », contre l’URSS, qui percèrent avant la capitulation allemande [26] mais n’eurent plein effet qu’après les 8-9 mai 1945.

Traitant d’affaires économiques immédiates (en Afrique du Nord) et futures (métropolitaines et coloniales pour l’après-Libération) avec les grands synarques, Washington comptait aussi sur eux pour évincer de Gaulle, également haï des deux parties. En aucun cas parce qu’il était une sorte de dictateur militaire insupportable, conformément à une durable légende, au grand démocrate Roosevelt. De Gaulle déplaisait seulement parce que, si réactionnaire qu’il eût été ou fût, il tirait sa popularité et sa force de la Résistance intérieure (surtout communiste) : c’est à ce titre qu’il entraverait la mainmise totale des États-Unis, alors qu’un « Vichy sans Vichy » offrirait des partenaires honnis du peuple, donc aussi dociles « perinde ac cadaver » aux injonctions américaines qu’ils l’étaient aux ordres allemands. Cette formule américaine, finalement vouée à l’échec vu le rapport de forces général et français, eut donc pour héros successifs, de 1941 à 1943, les cagoulards vichystes Weygand, Darlan puis Giraud, champions avérés de dictature militaire [27], si représentatifs du goût de Washington pour les étrangers acquis à la liberté de ses capitaux et à l’installation de ses bases aéronavales [28].

On ne s’efforçait pas d’esquiver de Gaulle pour subir les Soviets : épouvantés par l’issue de la bataille de Stalingrad, les mêmes financiers français dépêchèrent aussitôt à Rome leur tout dévoué Emmanuel Suhard, instrument depuis 1926 de leurs plans de liquidation de la République. Le cardinal-archevêque (de Reims) avait été, la Cagoule ayant opportunément en avril 1940 liquidé son prédécesseur Verdier, nommé à Paris en mai juste après l’invasion allemande (du 10 mai) : ses mandants et Paul Reynaud, complice du putsch Pétain-Laval imminent, l’envoyèrent amorcer à Madrid le 15 mai, via Franco, les tractations de « Paix » (capitulation) avec le Reich [29]. Suhard fut donc à nouveau chargé de préparer, en vue de la Pax Americana, les pourparlers avec le nouveau tuteur : il devait demander à Pie XII de poser « à Washington », via Myron Taylor, ancien président de l’US Steel et depuis l’été 1939 « représentant personnel » de Roosevelt « auprès du pape », « la question suivante : “Si les troupes américaines sont amenées à pénétrer en France, le gouvernement de Washington s’engage-t-il à ce que l’occupation américaine soit aussi totale que l’occupation allemande  ?” », à l’exclusion de toute « autre occupation étrangère (soviétique). Washington a répondu que les États-Unis se désintéresseraient de la forme future du gouvernement de la France et qu’ils s’engageaient à ne pas laisser le communisme s’installer dans le pays » [30]. La bourgeoisie, nota un informateur du BCRA fin juillet 1943, « ne croyant plus à la victoire allemande, compte […] sur l’Amérique pour lui éviter le bolchevisme. Elle attend le débarquement anglo-américain avec impatience, tout retard lui apparaissant comme une sorte de trahison ». Ce refrain fut chanté jusqu’à la mise en œuvre de l’opération « Overlord » [31].

… contre les espérances populaires

Au « bourgeois français [qui avait] toujours considéré le soldat américain ou britannique comme devant être naturellement à son service au cas d’une victoire bolchevique », les RG opposaient depuis février 1943 « le prolétariat », qui exultait : « les craintes de voir “sa” victoire escamotée par la haute finance internationale s’estompent avec la chute de Stalingrad et l’avance générale des soviets » [32]. De ce côté, à la rancœur contre l’inaction militaire des Anglo-Saxons contre l’Axe s’ajouta la colère provoquée par leur guerre aérienne contre les civils, ceux des « Nations unies » compris. Les « bombardements stratégiques américains », ininterrompus depuis 1942, frappaient les populations mais épargnaient les Konzerne partenaires, IG Farben en tête comme le rapporta en novembre « un très important industriel suédois en relations étroites avec [le géant chimique], retour d’un voyage d’affaires en Allemagne » : à Francfort, « les usines n’ont pas souffert », à Ludwigshafen, « les dégâts sont insignifiants », à Leverkusen, « les usines de l’IG Farben […] n’ont pas été bombardées » [33].

Rien ne changea jusqu’en 1944, où un long rapport de mars sur « les bombardements de l’aviation anglo-américaine et les réactions de la population française » exposa les effets de « ces raids meurtriers et inopérants » : l’indignation enflait tant depuis 1943 qu’elle ébranlait l’assise du contrôle américain imminent du territoire. Depuis septembre 1943 s’étaient intensifiées les attaques contre la banlieue de Paris, où les bombes étaient comme « jetées au hasard, sans but précis, et sans le moindre souci d’épargner des vies humaines ». Nantes avait suivi, Strasbourg, La Bocca, Annecy, puis Toulon, qui avait « mis le comble à la colère des ouvriers contre les Anglo-Saxons » : toujours les mêmes morts ouvriers et peu ou pas d’objectifs industriels touchés. Les opérations préservaient toujours l’économie de guerre allemande, comme si les Anglo-Saxons « craignaient de voir finir la guerre trop vite ». Ainsi trônaient intacts les hauts-fourneaux, dont la« destruction paralyserait immédiatement les industries de transformation, qui cesseraient de fonctionner faute de matières premières ». Se répandait « une opinion très dangereuse […] dans certaines parties de la population ouvrière qui a été durement frappée par les raids. C’est que les capitalistes anglo-saxons ne sont pas mécontents d’éliminer des concurrents commerciaux, et en même temps de décimer la classe ouvrière, de la plonger dans un état de détresse et de misère qui lui rendra plus difficile après la guerre la présentation de ses revendications sociales. Il serait vain de dissimuler que l’opinion française est, depuis quelque temps, considérablement refroidie à l’égard des Anglo-Américains », qui reculent toujours devant « le débarquement promis […]. La France souffre indiciblement […] Les forces vives du pays s’épuisent à une cadence qui s’accélère de jour en jour, et la confiance dans les alliés prend une courbe descendante. […] Instruits par la cruelle réalité des faits, la plupart des ouvriers portent désormais tous leurs espoirs vers la Russie, dont l’armée est, à leur avis, la seule qui puisse venir à bout dans un délai prochain de la résistance des Allemands » [34].

C’est donc dans une atmosphère de rancœur contre ces « alliés » aussi bienveillants pour le Reich qu’avant et après 1918 qu’eut lieu leur débarquement du 6 juin 1944. Colère et soviétophilie populaires persistèrent, donnant au PCF un écho qui inquiétait l’État gaulliste imminent : « le débarquement a enlevé à sa propagande une part de sa force de pénétration », mais « le temps assez long qu’ont mis les armées anglo-américaines à débarquer sur le sol français a été exploité pour démontrer que seule l’armée russe était en mesure de lutter efficacement contre les nazis. Les morts provoquées par les bombardements et les douleurs qu’elles suscitent servent également d’éléments favorables à une propagande qui prétend que les Russes se battent suivant les méthodes traditionnelles et ne s’en prennent point à la population civile » [35].

Le déficit de sympathie enregistré dans ce morceau initial de la sphère d’influence américaine se maintint entre la Libération de Paris et la fin de la guerre en Europe, comme l’attestent les sondages de l’Ifop d’après-Libération, parisien (« du 28 août au 2 septembre 1944 ») et de mai 1945, national (déjà cité) [36]. Il fut après-guerre, on l’a dit, d’abord progressivement, puis brutalement comblé. Il n’est donc plus grand monde pour rappeler qu’après la bataille des Ardennes (décembre 1944-janvier 1945), seuls combats importants livrés par les Anglo-Saxons contre des troupes allemandes (9 000 morts américains) [37], le haut-commandement de la Wehrmacht négocia fébrilement sa reddition « aux armées anglo-américaines et le report des forces à l’Est » ; 
que, fin mars 1945, « 26 divisions allemandes demeuraient sur le front occidental », à seule fin d’évacuation « vers l’Ouest » par les ports du Nord, « contre 170 divisions sur le front de l’Est », qui combattirent farouchement jusqu’au 9 mai (date de la libération de Prague) [38] ; 
que le libérateur américain, qui avait doublé à la faveur de la guerre son revenu national, avait sur les fronts du Pacifique et d’Europe perdu 290 000 soldats de décembre 1941 à août 1945 [39] : soit l’effectif soviétique tombé dans les dernières semaines de la chute de Berlin, et 1% du total des morts soviétiques de la « Grande guerre patriotique », près de 30 millions sur 50.

Du 6 juin 1944 au 9 mai 1945, Washington acheva de mettre en place tout ou presque pour rétablir le « cordon sanitaire » que les rivaux impérialistes anglais et français avaient édifié en 1919 ; et pour transformer en bête noire le pays le plus chéri des peuples d’Europe (français inclus). La légende de la « Guerre froide » mériterait les mêmes correctifs que celle de l’exclusive libération américaine de l’Europe [40].

Autres textes concernant le travail d’Annie Lacroix-Riz sur La faute à Diderot : 
-  Industriels et banquiers français sous l’occupation
-  Vichy et l’assassinat de la République 
-  La pologne dans la stratégie extérieure de la France (octobre 38-août 39)

Notes :

[1] Frédéric Dabi, « 1938-1944 : Des accords de Munich à la libération de Paris ou l’aube des sondages d’opinion en France », février 2012,http://www.revuepolitique.fr/1938-1..., chiffres extraits du tableau, p. 5. Total inférieur à 100 : 3 autres données : Angleterre ; 3 pays ; sans avis.

[2] Ibid., p. 4.

[3] Campagne si délirante qu’un journal électronique lié aux États-Unis a le 2 mai 2014 a prôné quelque pudeur sur l’équation CIA-démocratie http://www.huffingtonpost.fr/charle...

[4] Annie Lacroix-Riz, Le Vatican, l’Europe et le Reich 1914-1944, Paris, Armand Colin, 2010 (2e édition), passim.

[5] Lynn E. Davis, The Cold War begins […] 1941-1945, Princeton, Princeton UP, 1974 ; Lloyd Gardner, Spheres of influence […], 1938-1945, Chicago, Ivan R. Dee, 1993 ; Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars : From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London : Yale University Press, 2006, traduction chez Delga, septembre 2014.

[6] Tél. 1450-1467 de Bérard, Bonn, 18 février 1952, Europe généralités 1949-1955, 22, CED, archives du ministère des Affaires étrangères (MAE).

[7] Note État-major, anonyme, 15 septembre 1938 (modèle et papier des notes Gamelin), N 579, Service historique de l’armée de terre (SHAT).

[8] Moral de la région parisienne, note reçue le 22 avril 1943, F1a, 3743, Archives nationales (AN).

[9] Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Paris, Delga-Le temps des cerises, 2012.

[10] Revendication de paternité, t. 1 de ses mémoires, Un ambassadeur se souvient. Au temps du danger allemand, Paris, Plon, 1976, p. 458, vraisemblable, vu sa correspondance du MAE.

[11] Rapport 556/EM/S au général Koeltz, Wiesbaden, 16 juillet 1941, W3, 210 (Laval), AN.

[12] Les difficultés « des Allemands » nous menacent, se lamenta fin août Tardini, troisième personnage de la secrétairerie d’État du Vatican, d’une issue « telle que Staline serait appelé à organiser la paix de concert avec Churchill et Roosevelt », entretien avec Léon Bérard, lettre Bérard, Rome-Saint-Siège, 4 septembre 1941, Vichy-Europe, 551, archives du ministère des Affaires étrangères (MAE).

[13] Michael Sherry, Preparation for the next war, American Plans for postwar defense, 1941-1945, New Haven, Yale University Press, 1977, chap. 1, dont p. 39.

[14] Exemples français et scandinave (naguère fief britannique), Lacroix-Riz, Le Maghreb : allusions et silences de la chronologie Chauvel, La Revue d’Histoire Maghrébine, Tunis, février 2007, p. 39-48 ; Les Protectorats d’Afrique du Nord entre la France et Washington du débarquement à l’indépendance 1942-1956, Paris, L’Harmattan, 1988, chap. 1 ; « L’entrée de la Scandinavie dans le Pacte atlantique (1943-1949) : une indispensable “révision déchirante” », guerres mondiales et conflits contemporains (gmcc), 5 articles, 1988-1994, liste,http://www.historiographie.info/cv.html.

[15] Sherry, Preparation, p. 39-47 (citations éparses).

[16] Sarcasme de l’ambassadeur américain H. Freeman Matthews, ancien directeur du bureau des Affaires européennes, dépêche de Dampierre n° 1068, Stockholm, 23 novembre 1948, Europe Généralités 1944-1949, 43, MAE.

[17] Tél. Bonnet n° 944-1947, Washington, 10 mai 1949, Europe généralités 1944-1949, 27, MAE, voir Lacroix-Riz, « L’entrée de la Scandinavie », gmcc, n° 173, 1994, p. 150-151 (150-168).

[18] Martin Sherwin, A world destroyed. The atomic bomb and the Grand Alliance, Alfred a Knopf, New York, 1975 ; Sherry Michael,Preparation ; The rise of American Air Power : the creation of Armageddon, New Haven, Yale University Press, 1987 ; In the shadow of war : the US since the 1930’s, New Haven, Yale University Press, 1995.

[19] Williams, Ph.D., American Russian Relations, 1781-1947, New York, Rinehart & Co., 1952, et The Tragedy of American Diplomacy, Dell Publishing C°, New York, 1972 (2e éd).

[20] Richard W. Van Alstyne, recension d’American Russian Relations, The Journal of Asian Studies, vol. 12, n° 3, 1953, p. 311.

[21] Lénine, L’impérialisme, stade suprême du capitalisme, Essai de vulgarisation, Paris, Le Temps des cerises, 2001 (1e édition, 1917), p. 172. Souligné dans le texte.

[22] Élément clé de l’analyse révisionniste, dont Gardner, Spheres of influence, essentiel.

[23] Tél. 861.01/2320 de Harriman, Moscou, 13 mars 1944, Foreign Relations of the United States 1944, IV, Europe, p 951 (en ligne).

[24Ibid.

[25] Lacroix-Riz, Politique et intérêts ultra-marins de la synarchie entre Blitzkrieg et Pax Americana, 1939-1944, in Hubert Bonin et al., Les entreprises et l’outre-mer français pendant la Seconde Guerre mondiale, Pessac, MSHA, 2010, p. 59-77 ; Le Maghreb : allusions et silences de la chronologie Chauvel , La Revue d’Histoire Maghrébine, Tunis, février 2007, p. 39-48.

[26] Dont la capitulation de l’armée Kesselring d’Italie, opération Sunrise négociée en mars-avril 1945 par Allen Dulles, chef de l’OSS-Europe en poste à Berne, avec Karl Wolff, « chef de l’état-major personnel de Himmler » responsable de « l’assassinat de 300 000 juifs », qui ulcéra Moscou. Lacroix-Riz, Le Vatican, chap. 10, dont p. 562-563, et Industriels et banquiers français sous l’Occupation, Paris, Armand Colin, 2013, chap. 9.

[27] Jean-Baptiste Duroselle, L’Abîme 1939-1945, Paris, Imprimerie nationale, 1982, passim ; Lacroix-Riz,  Quand les Américains voulaient gouverner la FranceLe Monde diplomatique, mai 2003, p. 19 ; Industriels..., chap. 9.

[28] David F Schmitz, Thank God, they’re on our side. The US and right wing dictatorships, 1921-1965, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1999.

[29] Index Suhard Lacroix-Riz, Le choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2010 (2e édition) et 2008.

[30] LIBE/9/14, 5 février 1943 (visite récente), F1a, 3784, AN. Taylor, Vatican, chap. 9-11 et index.

[31] Information d’octobre, reçue le 26 décembre 1943, F1a, 3958, AN, et Industriels, chap. 9.

[32] Lettre n° 740 du commissaire des RG au préfet de Melun, 13 février 1943, F7, 14904, AN.

[33] Renseignement 3271, arrivé le 17 février 1943, Alger-Londres, 278, MAE.

[34] Informations du 15 mai, diffusées les 5 et 9 juin 1944, F1a, 3864 et 3846, AN.

[35] Information du 13 juin, diffusée le 20 juillet 1944, « le PC à Grenoble », F1a, 3889, AN.

[36] M. Dabi, directeur du département Opinion de l’Ifop, phare de l’ignorance régnant en 2012 sur l’histoire de la Deuxième Guerre mondiale, déplore le résultat de 1944 : « une très nette majorité (61%) considèrent que l’URSS est la nation qui a le plus contribué à la défaite allemande alors que les États-Unis et l’Angleterre, pourtant libérateurs du territoire national [fin août 1944 ??], ne recueillent respectivement que 29,3% et 11,5% », « 1938-1944 », p. 4, souligné par moi.

[37] Jacques Mordal, Dictionnaire de la Seconde Guerre mondiale, Paris, Larousse, 1979, t. 1, p. 109-114.

[38] Gabriel Kolko, The Politics of War. The World and the United States Foreign Policy, 1943-1945, New York, Random House, 1969, chap. 13-14.

[39] Pertes « militaires uniquement », Pieter Lagrou, Les guerres, la mort et le deuil : bilan chiffré de la Seconde Guerre mondiale, in Stéphane Audoin-Rouzeau et al., dir., La violence de guerre 1914-1

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(In english: The Revival of the Movement of Non-Aligned Countries
By Samir Amin - Global Research, May 27, 2014


http://www.resistenze.org/sito/os/mo/osmoee25-014545.htm
www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 25-05-14 - n. 500

La rinascita del Movimento dei Paesi non allineati e degli internazionalisti nell'era transnazionale

Intervista a Samir Amin in occasione della Conferenza ministeriale del Movimento dei Paesi non allineati (Algeri, 26-29 maggio 2014)

Samir Amin* | pambazuka.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19/05/2014

Qual è la natura della sfida con cui si confrontano oggi i paesi del Movimento dei Paesi non allineati, a 60 anni dalla sua nascita, in questo mondo molto cambiato?

Viviamo in un sistema di mondializzazione squilibrata, iniqua e ingiusta. Agli uni, tutti i diritti d'accesso alle risorse del pianeta per il loro uso e persino spreco, esclusivi. Agli altri l'obbligo di accettare quest'ordine e di adattarsi alle sue esigenze, rinunciando al proprio sviluppo, finanche ai diritti elementari all'alimentazione, all'istruzione e alla salute, alla vita stessa, per ampi segmenti dei propri popoli - i nostri.

Quest'ordine ingiusto è definito "mondializzazione" o "globalizzazione".

Dovremmo anche accettare che le potenze beneficiarie di quest'ordine mondiale ingiusto, soprattutto gli Stati uniti e l'Unione europea, associati militari nella NATO, avrebbero il diritto di intervenire con la forza armata per fare rispettare i loro diritti abusivi di accedere all'uso - o al saccheggio - delle nostre ricchezze. Lo fanno con pretesti diversi - la guerra preventiva contro il terrorismo, evocata quando gli conviene. Lo fanno prendendo a pretesto la liberazione dei nostri popoli da dittatori sanguinari. Ma i fatti dimostrano che né in Iraq, né in Libia, ad esempio, il loro intervento ha permesso di restaurare la democrazia. Questi interventi hanno semplicemente distrutto gli stati e le loro società. Non hanno aperto la via al progresso e alla democrazia, ma l'hanno chiusa.

Il nostro movimento potrebbe dunque essere definito Movimento dei paesi non allineati alla globalizzazione.

Mi spiego: non siamo avversari di tutte le forme di mondializzazione. Siamo avversari di questa forma ingiusta di mondializzazione, di cui siamo vittime.

Quali risposte possono dare a questa sfida i Paesi non allineati?

Le risposte che vogliamo dare a questa sfida sono semplici da formulare nei loro grandi principi.

Abbiamo il diritto di scegliere il nostro percorso di sviluppo. Le potenze che erano e rimangono beneficiarie dell'ordine esistente devono accettare di adeguarsi alle esigenze del nostro sviluppo. L'adeguamento deve essere reciproco, non unilaterale. Non spetta ai deboli adeguarsi alle esigenze dei forti. Al contrario, è dai forti che si deve esigere che si regolino alle necessità dei deboli. Il principio del diritto è concepito per questo, per correggere le ingiustizie e non per perpetuarle. Abbiamo dunque il diritto di attuare i nostri progetti sovrani di sviluppo. Quello che i fautori della globalizzazione in atto, ci rifiutano.

I nostri progetti sovrani di sviluppo devono essere concepiti per permettere alle nostre nazioni e stati di industrializzarsi come loro intendono, con strutture giuridiche e sociali a loro scelta, che permettono quindi di raggiungere e sviluppare da noi stessi le tecnologie moderne. Devono essere concepiti per garantire la nostra sovranità alimentare e permettere a tutti gli strati dei nostri popoli di essere i beneficiari dello sviluppo, ponendo termine ai processi d'impoverimento in corso.

L'attuazione dei nostri progetti sovrani esige la riconquista della sovranità finanziaria. Non spetta a noi di adattarci al saccheggio finanziario a maggior profitto delle banche delle potenze economiche dominanti. Il sistema finanziario mondiale deve essere costretto a adattarsi a quella che è la nostra sovranità.

Spetta a noi definire insieme le vie e i mezzi di sviluppo della nostra cooperazione Sud-Sud che possano facilitare il successo dei nostri progetti sovrani di sviluppo.

Il Mpna, che rappresenta l'organizzazione internazionale più importante (117 paesi) dopo l'Onu, può influenzare le decisioni della Comunità internazionale?

Il nostro movimento può e deve agire nell'ambito dell'Onu per ricostruire i propri diritti, ridicolizzati dall'ordine della ingiusta globalizzazione. Attualmente, una auto-proclamata "Comunità internazionale" si è sostituita all'Onu. I media delle potenze dominanti non cessano di ripetere: "La Comunità internazionale pensa questo o quello, decide questo o quello". Osservando più da vicino, si scopre che la "Comunità internazionale" invocata è costituita da Stati uniti, Unione europea e due o tre paesi selezionati con cura dai primi, come ad esempio l'Arabia Saudita o il Qatar. C'è un insulto più grave ai nostri popoli che questa auto-proclamazione? Cina, Algeria, Egitto, Senegal, Angola, Venezuela, Brasile, Thailandia, Russia, Costa Rica e tanti altri non esistono più. Non hanno più il diritto di far sentire la loro voce nella Comunità internazionale.

Sì, portiamo la grande responsabilità all'interno dell'ONU, dove costituiamo un gruppo numerico importante, di esigere il ripristino dei diritti delle Nazioni unite, la sola cornice accettabile per l'espressione della Comunità internazionale.

60 anni dopo la loro creazione, i blocchi che esistevano all'epoca sono scomparsi. Il Mpna ha ancora una ragion d'essere?

Possiamo gettare uno sguardo sul nostro passato, che ci offre una bella lezione di ciò che siamo stati e che dovremmo essere nuovamente. Il Movimento dei non allineati si è costituito nel 1960, sulla via aperta dalla conferenza di Bandung nel 1955, per affermare i diritti dei nostri popoli e delle nazioni dell'Asia e dell'Africa, allora non ancora riconosciute come degne di essere partner alla pari nella ricostruzione dell'ordine mondiale.

Il nostro movimento non è stato il sottoprodotto del conflitto fra le due principali potenze dell'epoca - Stati uniti e Urss - e "della guerra fredda", come provano a farci credere. Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, l'Asia e l'Africa erano ancora in gran parte sottoposte all'odioso colonialismo. I nostri popoli erano impegnati in lotte potenti per la riconquista dell'indipendenza, con mezzi pacifici o con la guerra di liberazione se occorreva.

Avendo riconquistato la nostra indipendenza e restaurato l'esistenza dei nostri stati, ci siamo trovati in conflitto con l'ordine mondiale che si voleva imporre all'epoca. Il nostro Movimento dei paesi non allineati ha allora proclamato il diritto di scegliere i percorsi del nostro sviluppo, ha attuato questo diritto e ha forzato le potenze dell'epoca a regolarsi alle esigenze del nostro sviluppo.

Alcune potenze dell'epoca lo accettarono, altre no. Le potenze occidentali - gli Stati uniti e i paesi di quella che diventerà l'Unione europea, già associati dal 1949 alla NATO - non hanno mai nascosto la loro ostilità ai nostri progetti di sviluppo indipendente. Li hanno combattuti con tutti i mezzi a loro disposizione. Altre potenze, l'Urss in primo luogo, hanno scelto verso di noi un'altra strada. Hanno accettato e a volte anche sostenuto le posizioni del Movimento dei paesi non allineati. La potenza militare dell'Urss dell'epoca ha pertanto limitato le possibilità d'aggressione dei nostalgici del colonialismo e dei difensori sempre entusiasti dell'ordinamento internazionale ingiusto.

Possiamo dunque dire che anche se il mondo di oggi non è più quello del 1960 - constatazione di un'evidenza banale - il Movimento dei non allineati, era già 60 anni fa un movimento dei non allineati alla globalizzazione che gli si voleva imporre all'epoca.

Qualcos'altro da aggiungere?

Attendo molto la Conferenza ministeriale del Movimento dei paesi non allineati, prevista ad Algeri dal 26 al 29 maggio prossimo. È la nostra Conferenza, quella dei nostri popoli e dei nostri stati. Che si facciano avanzare le nostre posizioni per il ripristino dell'uguale diritto di tutti gli stati di contribuire alla ricostruzione di una mondializzazione giusta. Auguro loro un buon successo.

* Samir Amin è direttore del Forum mondiale del Terzo Mondo


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Algeria: conferenza Movimento paesi non allineati "preparatoria" a summit in Venezuela

Algeri, 26 mag 16:14 - (Agenzia Nova) - La 17ma conferenza del Movimento dei non allineati iniziata oggi al Palazzo delle Nazioni di Algeri sarà “preparatoria” al vertice dei capi di Stato del movimento che si terrà in Venezuela nel 2015 e sarà incentrata su “tutti i conflitti e le questioni di interesse comune”. Lo ha detto chiarito oggi il direttore generale degli Affari politici e di sicurezza del ministero degli Esteri algerino, Taus Ferroukhi, precisando che il vertice in corso ad Algeri produrrà “un documento finale” nel quale confluiranno tutti i dibattiti avviati durante il summit, cui partecipano circa 80 ministri degli Esteri. Gli argomenti toccati saranno “lo sviluppo sostenibile, l’ambiente, il terrorismo, i conflitti, i traffici di droga, la criminalità organizzata internazionale, i diritti delle donne, lo Stato di diritti, gli embarghi e le interferenze di potenze esterne negli affari interni dei paesi”, ha spiegato la funzionaria algerina. (Ala)


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Evo Morales ha inaugurato vertice del Movimento dei Non-Allineati

28 mayo, 2014

Il presidente della Bolivia, Evo Morales, il Mercoledì ha inaugurato il vertice ministeriale XVII Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM) ha tenuto nella città di Algeri, capitale dell’Algeria, e dove le questioni legate al terrorismo, organizzata transfrontaliera criminalità sarà affrontato, razzismo e islamofobia in alcuni paesi europei.
Secondo il ministro degli Esteri algerino Ramtan Lamamra, nei giorni 28 e 29 maggio porterà almeno 80 ministri provenienti da diversi paesi e leader delle organizzazioni regionali del NAM.
La presenza del capo dello Stato boliviano Morales risponde attualmente presiede il Gruppo dei 77 + Cina, forum internazionale il cui vertice si terrà nella città di Santa Cruz (Bolivia centrale) il 14 e 15 giugno prossimo.
L’incontro ha evidenziato l’assistenza del Ministro degli Affari Esteri del Venezuela, Elias Jaua, che usano l’occasione per denunciare le interferenze degli Stati Uniti negli affari interni del suo paese, proprio come ha fatto all’interno dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur).
Infatti, l’evento servirà anche per avviare i preparativi per la prossima riunione ministeriale che si terrà a Caracas, capitale del Venezuela, il prossimo anno 2015.
NAM è stato concepito in mezzo al crollo del sistema coloniale e la lotta di liberazione dei popoli di Africa, Asia, America Latina e in altre regioni del mondo, così come durante il culmine della Guerra Fredda che indirettamente affrontato l’Unione Sovietica e negli Stati Uniti.NAM è fattore essenziale per il processo di decolonizzazione, poi, ha portato al raggiungimento di libertà e indipendenza di molti paesi e popoli, e la formazione di decine di nuovi Stati sovrani. Anche storicamente ha svolto un ruolo chiave nel mantenimento della pace mondiale.
Gli obiettivi del forum composto da 120 paesi includono il supporto per l’autodeterminazione, l’indipendenza nazionale, la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati e non aderenza ai patti militari multilaterali.


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Dacic partecipa alla conferenza dei Paesi non allineati in Algeria

28. 05. 2014. - 17:54 -- MRS

Il primo vice premier, nonché il Ministro degli Esteri della Serbia Ivica Dacic partecipa alla conferenza ministeriale dei Paesi non allineati che si tiene in Algeria. Durante la conferenza, che durerà due giorni, Dacic avrà una serie di incontri bilaterali. È stato annunciato che Dacic parlerà con il Ministro per le risorse idriche dell’Algeria Hosin Nesib, il quale è il copresidente della conferenza. Il capo della diplomazia serba ha confermato che alla riunione avrà lo status di osservatore, perché la Serbia non è membro del Movimento dei non allineati.

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Venerdì, 30 Maggio 2014 23:22

Iran: Zarif incontra premier algerino e ministro esteri serbo

ALGERI (IRNA) – Ieri, prima della conclusione della 17esima riunione ministeriale dei Paesi Non Allineati, il Ministro degli Esteri iraniano Zarif ha avuto colloqui con altre autorità presenti al summit.
La delegazione iraniana, presidente di turno del NAM, che ha ricevuto oltre 50 richieste di incontri, aveva informato dai giorni precedenti di non poterle esaudire tutte. Giovedì Zarif ha incontrato il premier algerino, Abdulmalik Silal, con la quale ha parlato di sviluppo di relazioni bilaterali precisando che Teheran non pone limiti all'ampliamento dei rapporti con Algeri. Dal canto suo Silal ha espresso compiacimento per la vicinanza tra Iran e Algeria sul tema della lotta all'estremismo ed al terrorismo. Nell'incontro con il collega serbo Ivica Dacic, invece, il nucleare e l'accordo finale con il 5+1 e' stato al centro della discussione. Il capo della diplomazia serba si e' augurato che in futuro i due paesi possano stabilire relazioni più ampie e collaborare in più settori.


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La riunione dei Non Allineati affronta gli attacchi al Venezuela e a Cuba


Prensa Latina 28.5 - Il blocco a Cuba e le aggressioni contro il Venezuela da parte degli Stati Uniti e la crisi nella Palestina occupata sono tra i temi del programma della riunione dei Ministri degli Esteri del Movimento Non Allineati (MNOAL) che è iniziato oggi ad Algeri. La delegazione di Cuba presenterà di nuovo il caso del blocco economico degli Stati Uniti e respinto in decine di occasioni dall'ONU, mentre il Ministro degli Esteri venezuelano, Elías Jaua, ha annunciato che parlerà delle aggressioni di Washington contro il Governo costituzionale del presidente Nicolás Maduro.





Aggiornamento alluvione in Jugoslavia

1) Aggiornamento solidarietà - CONTRIBUISCI ANCHE TU!
2) Alluvioni in Serbia, i morti salgono a 51 (Stefano Giantin / Il Piccolo 30/5/2014)

Altre informazioni sull'alluvione e le iniziative di solidarietà:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/poplava2014.htm


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Aggiornamento solidarietà - CONTRIBUISCI ANCHE TU!

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS invita a partecipare allo sforzo internazionale in atto per le vittime delle devastanti inondazioni verificatesi in Serbia, Bosnia e Croazia, aderendo alla iniziativa coordinata dalla ONLUS Non Bombe Ma Solo Caramelle vale a dire che: 

<< la nostra rete di piccole associazioni unisca le proprie forze e intervenga con alcuni progetti mirati in aree rurali nella ricostruzione di spazi pubblici devastati, quali scuole o ambulatori pubblici. (…) Proponiamo che siano i nostri tradizionali referenti nei Balcani a fornirci le indicazioni dei progetti che potremo realizzare, >>

progetti tra i quali sceglieremo in base all'ammontare dei fondi raccolti e privilegiando quelle aree di destinazione (non necessariamente della Rep. di Serbia, ma ad es. anche della Bosnia-Erzegovina) che meno stanno beneficiando degli interventi "istituzionali" già in corso.
Oltre a NBMSC e CNJ hanno già aderito anche le associazioni ABC Solidarietà e Pace di Roma e Zastava di Brescia.

Il conto corrente di riferimento per ricevere i contributi è quello di Non Bombe ma Solo Caramelle ONLUS:
IBAN:  IT18E0892802202010000021816
Suggeriamo di indicare nel versamento la seguente causale: Erogazione liberale per emergenza alluvione (seguito dal nome e cognome).
I fondi eventualmente inviati con analoga causale a CNJ-onlus saranno girati sul conto di NBMSC-onlus.
Raccomandiamo di conservare copia cartacea del bonifico effettuato perchè questi versamenti sono deducibili dalla dichiarazione dei redditi.

Non Bombe Ma Solo Caramelle ci comunica che in questo modo sono stati già raccolti più di 4mila euro. Inoltre, il Comune di San Giorgio di Nogaro informa che metterà a disposizione 1000 euro per un intervento mirato in una scuola.

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Altri aggiornamenti dalla ONLUS Non Bombe Ma Solo Caramelle (Trieste, 1 giugno 2014):

(…) Stiamo collaborando con la Comunita’ Serba Ortodossa di Trieste, che fino ad ora e’ riuscita a spedire otto camion da 80 metri cubi ciascuno, inviando materiale di tutti i tipi (cibo, prodotti per l’igiene personale e la disinfezione, letti, materassi, vestiario, scarpe, giocattoli). Questi materiali sono stati inviati ai centri di raccolta istituiti dai governi di Serbia e Bosnia.
Sono stati anche raccolti a Trieste circa 25.000 euro.
Anche il denaro raccolto sara’ distribuito in parte in Serbia e in parte in Bosnia.

Le stime dei danni economici in Serbia e Bosnia sono catastrofiche: si possono calcolare in maniera approssimativa in 1,5-2 miliardi di euro per la Serbia (7% del Pil) e in 1,3 miliardi di euro per la Bosnia (circa 10%).

(…) Venerdi’ 30 maggio e’ partito da Trieste un convoglio di quattro furgoni (con persone di cui abbiamo la piu’ completa fiducia) per la distribuzione di aiuti nei paesi piu’ isolati e danneggiati in Bosnia e Repubblica serba di Bosnia. Questo convoglio ha ricevuto l’autorizzazione anche per la distribuzione di medicinali e noi abbiamo contribuito con quelle poche medicine che avevamo ancora a disposizione, cinque scatoloni che non eravamo riusciti a portare con noi a Kragujevac nel nostro viaggio di inizio aprile scorso.
Questo convoglio tornera’ a Trieste domani 2 giugno e il viaggio sara’ replicato venerdi’ prossimo 6 giugno.
Per quel viaggio contribuiremo con molti medicinali: ieri ce ne sono arrivati da Torino 3 metri cubi raccolti dalla associazione degli adottanti di quella citta’ insieme a quasi 2 metri cubi di materiale scolastico, e martedi’ prossimo ce ne saranno consegnati 18 scatoloni che ci sono stati spediti dalla ONLUS Le Medicine di Grottaferrata.

(fonte: Gilberto Vlaic)


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http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2014/05/30/news/alluvioni-in-serbia-i-morti-salgono-a-51-1.9320628

Alluvioni in Serbia, i morti salgono a 51

Il premier Vucic stila il bilancio e stronca le polemiche ma Obrenovac resta allagata. Due arresti per gli allarmismi sul web

di Stefano Giantin

BELGRADO. Ci sono voluti giorni, perché ancora dovevano essere compiute le autopsie sui corpi recuperati. Ma alla fine il bilancio praticamente definitivo della tragedia delle inondazioni in Serbia è arrivato. Ed è un bilancio di vite umane pesante, quello letto dal premier di Belgrado, Aleksandar Vucic, ieri pomeriggio al Parlamento serbo durante un “question time” straordinario. Vucic ha spiegato che solo in Serbia ventiquattro sono i morti annegati durante l’alluvione, in gran parte a Obrenovac, tra cui un pompiere. Ventisei - la singolare distinzione fatta poi dal leader serbo -, sono invece le persone decedute «per cause naturali» nelle aree colpite dal disastro. Una persona è invece perita per uno smottamento del terreno. In tutto, 51 vittime accertate, mentre quattro rimangono ancora “missing”.
«Speriamo che questa sia la cifra finale», ha auspicato il primo ministro serbo. Qualche dubbio rimane, dato che «l’otto per cento» della superficie di Obrenovac, la città più colpita in Serbia, rimane ancora allagata. Obrenovac dove solo una sirena d’allarme avrebbe funzionato nella notte del disastro, ha informato Vucic, ma in città i soccorritori sono intervenuti «entro 90 minuti» dall’innalzamento del livello dell’acqua, la puntualizzazione. Il premier ha difeso a spada tratta l’opera delle autorità prima e durante l’emergenza. «Nessuno può dire che non abbiamo dato tutto», ha ribadito. La situazione era tale che ci siamo comportati nel migliore dei modi, tenuto conto delle dimensioni della catastrofe, ha ripetuto, rispondendo alla ridda di accuse sulla gestione dell’emergenza, in particolare a Obrenovac, municipalità il cui presidente, Miroslav Cuckovic, incolpato da più parti di non aver ordinato in tempo l’evacuazione, è stato ascoltato ieri per sette ore dalla polizia.
E dubbi e polemiche ha sollevato sempre ieri in Serbia la notizia della detenzione di tre persone denunciate per aver «causato panico» via Facebook. Avevano nei loro post parlato di centinaia di vittime a Obrenovac. I tre sono stati poi rilasciati, ma il procedimento contro di loro andrà avanti. Mercoledì l’Osce, criticata per questo da Vucic, aveva espresso preoccupazione per le presunte interferenze delle autorità sui media online e sul dibattito pubblico via web.
Rimane fermo invece a 24 il bilancio, ancora ufficioso, delle vittime in Bosnia, colpita da alluvioni «di proporzioni bibliche» che hanno creato «i maggiori danni» al Paese «dal tempo della guerra», ha ricordato Kristalina Georgieva, commissario Ue alla cooperazione internazionale. Bosnia dove, in collaborazione con la Banca mondiale, l’Onu e l’Unione europea, è iniziata finalmente la conta più precisa dei danni. Per ora valgono le cifre, seppur approssimative, rese note dal Consiglio dei ministri bosniaco, che ha parlato di 100mila alloggi danneggiati in misura diversa, 20mila abitazioni allagate, 40mila evacuati, almeno 2.600 persone la cui casa è andata irrimediabilmente distrutta, 2mila le frane e gli smottamenti, un migliaio solo nell’area di Tuzla. Numeri che fanno intuire le proporzioni del disastro.
Un disastro anche economico. Si possono calcolare in maniera approssimativa in 1,5-2 miliardi di euro per la Serbia (7% del Pil) e in 1,3 miliardi di euro per la Bosnia (circa 10%) i danni causati dall’alluvione, ha fatto sapere sempre ieri la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Da non dimenticare poi la Croazia, due morti, 15mila sfollati. Nazioni in difficoltà che vanno aiutate con donazioni, come auspicato ieri da Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. E con uomini e mezzi. Così, una colonna composta da 30 volontari, 4 funzionari e 11 mezzi della Protezione civile del Fvg e 2 veicoli con 6 volontari del Molise è partita ieri da Palmanova alla volta di Bijeljina, in Bosnia. «Voi - ha detto l’assessore regionale alla Protezione civile, Paolo Panontin - rappresentate l’Italia in una terra che ha richiesto il nostro intervento. Con il consueto orgoglio e le elevate capacità operative che contraddistinguono la Protezione civile del nostro Paese sarete in grado di aiutare le migliaia di persone in difficoltà», in una delle tante aree dei Balcani martoriate dalle alluvioni.

30 maggio 2014





I mediocri (e basta) dell'Unione Europea

1) I mediocri fondatori dell'Unione Europea (Jacques-Marie Bourget)
2) La Nato spinge l’Ue nella nuova guerra fredda (Manlio Dinucci)


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www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 25-05-14 - n. 500

I mediocri fondatori dell'Unione Europea

Jacques-Marie Bourget | resistir.info - afrique-asie.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

16/05/2014

Annie Lacroix-Riz fa pensare ad Eric Hobsbawm, il gigante inglese della storia, specialista delle nazioni e del nazionalismo. Ad esempio, nel 1994 questo scienziato scrisse "Il Secolo breve", un libro che vi inchioda alla verità, come Archimede nell'istante in cui grida "Eureka". Per Hobsbawm, il XX secolo non è durato cento anni ma appena 75, dal 1914 al 1991. Prima della "Grande guerra", il XIX secolo finiva il suo tempo calpestando il subentrante e dopo la "Guerra del Golfo", il XXI stava già bussando. Lo storico inglese se la prende con i calendari, anche se ha il suo modo di aggiornarli. E che ne è stato di questo libro da tenersi sempre in valigia in caso di partenza? In Francia niente. C'è voluta una traduzione di Le Monde Diplomatique per rendere disponibile il saggio di Hobsbawm. A Parigi, la cricca che cura la pubblicazione dei libri di storia non se la sentiva di riportare il punto di vista del britannico, da loro scartato poiché marxista, dunque "preistorico" e inevitabilmente complice dei gulag.

Annie Lacroix-Riz vive uguale disavventura nel seno stesso di una "comunità" ridotta al chiacchericcio, quella dei nostri storici ufficiali che scrivono le loro opere in diretta televisiva, seduti sulle ginocchia di Bernard Henri Lévy. In generale hanno un passato di duri militanti del PCF e come tutti i convertiti, sono diventati dei Savonarola. Tanto peggio, la ricercatrice ha una buona reputazione nel resto del pianeta e presso gli anglosassoni, anche fra i suoi colleghi più reazionari. Ciò che questi ricercatori apprezzano è la capacità di lavoro di questa signora, che mangia un tramezzino negli archivi e finisce anche per dormirci. Legge tutto in tutte le lingue, con Lacroix-Riz entriamo nella brutalità dei fatti, le sue citazioni fanno dei lettori i testimoni della storia. 

Ha appena pubblicato un libro di cui, siatene in certi, non sentirete parlare mai: "Aux origines du carcan européen (1900-1960)" [Alle origini della soggezione europea (1900-1960)], edizioni Le Temps des Cerises. In questo periodo di votazioni, le sue parole hanno un senso. Richiamiamo alla mente il postulato che giustifica l'Unione come una prova: "L'Europa è il mezzo per evitare la guerra"… In alcune frasi, Lacroix-Riz lo riprende rievocando le guerre jugoslave, le divisioni violente e il dramma esemplare dell'Ucraina di oggi. Il movente è sempre lo stesso: per promuovere i loro interessi, gli Stati Uniti continuano ad utilizzare l'Europa come uno strumento. Questa volta per combattere la Russia. 

Il lavoro della storica francese risale alla fonte di questo schema, di quella che si potrebbe chiamare "Euramerica". Perché il germe o l'uovo di questa Europa odierna precede di molto le strette di mano di De Gaulle o Mitterrand coi cancellieri tedeschi. Al termine del libro, il bilancio delle ricerche: l'Europa non è niente altro che una successione di opportune intese tra i grandi gruppi finanziari tedeschi e francesi, con gli Stati Uniti che badano al rispetto del contratto matrimoniale. All'inizio è un idillio nascosto, nella fase più brutale della guerra del 1914. Un conflitto che avrebbe ucciso gli uomini, ma fatto prosperare l'industria. Così, ci ricorda Lacroix-Riz, nell'agosto 1914, dopo l'entrata dei tedeschi a Briey, fu preso un accordo segreto per "non bombardare" gli stabilimenti del signor De Wendel. Cartelloni con scritto "da proteggere" furono affissi affinché nessun furfante potesse danneggiare il sacro patrimonio di questa famiglia. Altro esempio di intesa molto cordiale fu quello di Henry Gall e del suo trust chimico Ugine. Questi, tramite la sua fabbrica svizzera di Lonza, fornirà tutta la sua produzione elettrica e i prodotti chimici necessari alla Germania per fabbricare armi terribili come la cianammide. Tra le imprese, durante la guerra continua la pace. 

Altra dimostrazione di questa strategia transfrontaliera, è l'invalidazione del trattato di Versailles. Quest'ultimo, che metteva fine alla guerra del 1914 e costringeva la Germania alle sanzioni, fu accuratamente sabotato dagli Stati Uniti che temevano "l'imperialismo" di una Francia troppo forte e troppo laica. Il 13 novembre 1923, Raymond Poincaré è costretto a cedere alle pressioni di Washington. L'accordo è il seguente: vi ritirate dalla Ruhr, accettate un Comitato di esperti e di finanzieri americani, e noi cessiamo di speculare contro il vostro franco. E' il Segretario di Stato Hugues a presentare l'ultimatum in nome del banchiere JP Morgan, la stessa banca che oggi troviamo all'origine della crisi finanziaria mondiale. In questo ukase [editto] di oltre Atlantico, si ritrova la mano nascosta che, poco a poco, plasmerà l'Europa così come la conosciamo. 

Ecco un aneddoto. Nell'agosto 1928, quando Raymond Poincaré propone a Gustav Stresemann, il ministro degli Esteri tedesco (che nel 1923 fu per breve tempo cancelliere), di fare "fronte comune" contro "la religione americana del denaro e i pericoli del bolscevismo", questi rifiuta. Per Lacroix-Riz, Stresemann è un "padre dell'Europa" decisamente misconosciuto, la pedina delle banche di Wall Street e proprio di JP Morgan o Young. Nel 1925, all'epoca della firma del patto di Locarno, che ridisegna l'Europa dopo la guerra, è lo stesso Stresemann ad essere proposto da Washington come grande architetto, mentre Aristide Briand e la Francia poggiano le natiche sul bordo di uno strapuntino. Stresemann firma ciò che egli segretamente considera un "pezzo di carta ornato di numerosi francobolli". Il governo del Reich ha già firmato degli accordi segreti coi nazionalisti stranieri amici. Stresemann sa che questo patto è superato sin dalla nascita, tuttavia, quando Hitler busserà alla porta, "Locarno" resterà parola sacra nei discorsi della destra politica, un sinonimo di pace mentre è soltanto una maschera del nazismo. 

La perdita del controllo francese sulla Ruhr è allora occasione per firmare la vera pace, quella degli affari. E' la nascita della "Intesa internazionale dell'acciaio" che darà il "Pool carbone-acciaio", vale a dire la nostra Europa realizzata nelle banche. La Germania ottiene il 40,45% dell'Intesa, la Francia il 31,8%: la guerra è finita e un'altra può cominciare. E questa arriva. Nel 1943, Stati Uniti e Inghilterra mettono a punto lo "statuto monetario", che dovrà entrare in vigore alla fine del conflitto. Il vincitore, gli Stati Uniti, "imporrà alle nazioni aderenti l'abbandono di una parte della loro sovranità per fissare le parità monetarie". Questo auspicio ha impiegato un po' di tempo per realizzarsi, ma col ruolo giocato oggi dalle agenzie di notazione [rating] e con l'obbligo che hanno gli Stati dell'Europa di chiedere prestiti solamente sul mercato privato, il piano è finalmente rispettato. 

Il 12 luglio 1947 si apre a Parigi la "Conferenza dei sedici". I cannoni nazisti sono ancora caldi quando Germania e Stati Uniti piangono di nuovo sul destino della Ruhr. Cosicché, a margine della Conferenza, anglo-americani e tedeschi tengono riunioni parallele per fare la pelle ai desiderata della Francia. Per una volta, Parigi tiene botta. Furiosi, gli americani mandano un emissario per "riscrivere il rapporto generale della Conferenza". Con buonsenso. In particolare, sono sei i punti dettati da Clayton, il Segretario di Stato al Commercio. Riassumono il programma commerciale e finanziario mondiale, dunque europeo, di Washington. Gli Stati Uniti esigono l'istituzione di una "organizzazione europea permanente incaricata di esaminare l'esecuzione del programma europeo". Questo dispositivo sarà l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), che anticipa la "nostra" Europa. E Charles-Henri Spaak, primo presidente dell'OECE, è solamente un cancelliere che applica le consegne americane. 

In quanto ai "padri dell'Europa", gli eroi che oggi celebriamo nelle votazioni europee, è indispensabile leggere Lacroix-Riz se non si vuole esserne i figli. Jean Monnet? Dapprima riformato nel 1914, commerciante di alcolici durante il proibizionismo, fondatore della Bancamerica a San Francisco, consigliare di Tchang Kai-Chek per il conto degli americani. Poi, a Londra nel 1940, Monnet rifiuta di aderire alla Francia Libera per diventare, nel 1943, l'inviato di Roosevelt presso il generale Giraud… Ecco un uomo dal profilo ideale per mettere in piedi un'Europa libera. In questo gioco di famiglia, volete un altro "padre"? Eccovi Robert Schuman, un'altra icona. Un dettaglio della vita dell'eroe basta a qualificarlo. Nell'estate 1940, vota i pieni poteri a Pétain e come premio accetta di far parte del suo governo. Dopo la guerra, Schuman sarà messo in penitenza, che è una prassi ordinaria per un tale buon cattolico. Poi, dimenticato il passato, spingerà per una Euro-America capitalista, cristiana che si sviluppi sotto la serra della NATO. 

Prima [e dopo] le votazioni "europee" del 25 maggio, va letto "Aux origines du carcan européen"", un libro che lascia il re nudo. Quelli che, come François Hollande, sono convinti che "Lasciare l'Europa è lasciare la storia", potranno costatare che il presidente dice la verità, in quanto va abbandonata una storia scritta dai banchieri americani.


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http://ilmanifesto.it/la-nato-spinge-lue-nella-nuova-guerra-fredda/

Ucraina. La riunione dei ministri della difesa Nato a Bruxelles

La Nato spinge l’Ue nella nuova guerra fredda

Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 23.5.2014

Silen­zio politico-mediatico sulla riu­nione Nato dei mini­stri della difesa svol­tasi a Bru­xel­les il 21–22 mag­gio. Eppure non si è trat­tato di un incon­tro di rou­tine, ma di un ver­tice che ha enun­ciato una nuova stra­te­gia che con­di­zio­nerà il futuro dell’Europa. Basti pen­sare che 23 dei 28 paesi della Ue sono allo stesso tempo mem­bri della Nato: le deci­sioni prese nell’Alleanza, sotto indi­scussa lea­der­ship sta­tu­ni­tense, ine­vi­ta­bil­mente deter­mi­nano gli indi­rizzi dell’Unione europea.

È stato il gene­rale Usa Phi­lip Breed­love – il Coman­dante supremo alleato in Europa, nomi­nato come sem­pre dal pre­si­dente degli Stati uniti – a enun­ciare il punto di svolta: «Siamo alla deci­sione cru­ciale di come affron­tare, nel lungo periodo, un vicino aggres­sivo». Ossia la Rus­sia, accu­sata di vio­lare il prin­ci­pio del rispetto delle fron­tiere nazio­nali in Europa, desta­bi­liz­zando l’Ucraina come stato sovrano e minac­ciando i paesi della regione orien­tale della Nato. La pre­dica viene dal pul­pito di una alleanza mili­tare che ha demo­lito con la guerra la Jugo­sla­via, fino a sepa­rare anche il Kosovo dalla Ser­bia; che si è estesa a est, inglo­bando tutti i paesi dell’ex Patto di Var­sa­via, due della ex Jugo­sla­via e tre dell’ex Urss; che è pene­trata in Ucraina, assu­mendo il con­trollo di posi­zioni chiave nelle forze armate e adde­strando i gruppi neo­na­zi­sti usati nel putch di Kiev.

Signi­fi­ca­tivo è che alla riu­nione dei capi di stato mag­giore dei paesi Nato, il 21 mag­gio a Bru­xel­les, abbia par­te­ci­pato anche il gene­rale Mykhallo Kutsyn, nuovo capo di stato mag­giore ucraino. E il segre­ta­rio gene­rale della Nato Rasmus­sen, a Sko­pje, ha assi­cu­rato che «la porta dell’Alleanza rimane aperta a nuovi mem­bri», come la Mace­do­nia, la Geor­gia e natu­ral­mente l’Ucraina. Con­ti­nua dun­que l’espansione a est. La Nato, avverte il Coman­dante supremo in Europa, deve intra­pren­dere un «adat­ta­mento stra­te­gico per affron­tare l’uso da parte russa di improv­vise eser­ci­ta­zioni, ciber-attività e ope­ra­zioni coperte».

Ciò «costerà denaro, tempo e sforzo». Il primo passo con­si­ste nell’ulteriore aumento della spesa mili­tare, già oggi supe­riore ai 1000 miliardi di dol­lari annui: a tal fine il segre­ta­rio Usa alla difesa Chuck Hagel ha annun­ciato un incon­tro, dei mini­stri di difesa e finanze, il cui scopo è spin­gere gli alleati euro­pei ad accre­scere la spesa mili­tare.
Lo sce­na­rio dell’«adattamento stra­te­gico» Nato va oltre l’Europa, esten­den­dosi alla regione Asia-Pacifico. Qui – sulla scia degli accordi russo-cinesi, che vani­fi­cano le san­zioni occi­den­tali con­tro la Rus­sia apren­dole nuovi sboc­chi com­mer­ciali a est – si pre­fi­gura una unione eco­no­mica eura­sia­tica in grado di con­tro­bi­lan­ciare quella Usa-Ue, che Washing­ton vuole raf­for­zare con la part­ner­ship tran­sa­tlan­tica per il com­mer­cio e gli investimenti.

Gli accordi siglati a Pechino non si limi­tano al gas, ma riguar­dano anche set­tori ad alta tec­no­lo­gia. È in fase di stu­dio il pro­getto di un aereo di linea che, pro­dotto da una joint ven­ture russo-cinese, farebbe con­cor­renza ai Boeing Usa e all’europea Air­bus. Un altro pro­getto riguarda la costru­zione di un super-elicottero in grado di tra­spor­tare un carico di 15 tonnellate.

La que­stione di fondo, igno­rata nella cam­pa­gna delle ele­zioni euro­pee, è se l’Ue debba seguire gli Usa nell’«adattamento stra­te­gico» della Nato che porta a un nuovo con­fronto Ovest-Est non meno peri­co­loso e costoso di quello della guerra fredda, oppure debba svin­co­larsi per intra­pren­dere un cam­mino costrut­tivo respin­gendo l’idea di get­tare la spada sul piatto della bilan­cia, accre­scendo la spesa mili­tare, per con­ser­vare un van­tag­gio che l’Occidente vede sem­pre più diminuire.

L’unico segnale che viene dalla Ue è un insulto all’intelligenza: la Com­mis­sione euro­pea ha deciso che, dal 2014, nel cal­colo del pil la spesa per sistemi d’arma sia con­si­de­rata non una spesa ma un inve­sti­mento per la sicu­rezza del paese. Per aumen­tare il pil dell’Italia inve­stiamo dun­que negli F-35.




(deutsch / english)

Who is Petro Poroshenko

1) Billionaire oligarch declared winner in Ukraine elections (T. Gaist / WSWS)
2) Die Restauration der Oligarchen (IV) (GFP)


Auch lesenswert:


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http://www.wsws.org/en/articles/2014/05/26/ukra-m26.html

Billionaire oligarch declared winner in Ukraine elections


By Thomas Gaist 
26 May 2014


Oligarch Petro Poroshenko was declared the winner of presidential elections held in Ukraine on Sunday. According to exit polls, the billionaire pro-European Union “chocolate king” had about 56 percent of the vote, far ahead of fellow oligarch and former prime minister, Yulia Tymoshenko.

The aim of the poll was to provide a semblance of political legitimacy to the right-wing regime installed three months ago with US and EU support, and backed by fascistic forces. Wide sections of the population boycotted the elections, particularly in the east and the south, where many polling stations were closed. The poll was conducted under conditions of mounting violence and intimidation directed at opponents of the Kiev government.

While the Ukrainian regime and its supporters declared the election a great success, turnout was low, at only 55 percent across the country.

In an effort to guide the election, the Obama administration sent observers, led by former Secretary of State Madeleine Albright. On Friday, a US Navy missile cruiser arrived in the Black Sea, underscoring the active involvement of US military and intelligence agencies in the country.

US President Barack Obama quickly declared the election a success, calling it an “important step forward in the efforts of the Ukrainian government to unify the country”—a reference to the new government’s hostility to the separatist and pro-Russian movements in the east, where the population is majority-Russian speaking.

In the weeks preceding the election, Poroshenko emerged as the consensus candidate among forces in the Ukrainian ruling class favoring closer relations with the EU and the imposition of deep austerity measures against the working class. He received the endorsement of former boxing champion Vitali Klitschko, who was elected mayor of Kiev.

Poroshenko is a veteran political operator in Ukraine who served for five years as the head of the Council of Ukraine’s National Bank. He is the owner of the Roshen Confectionary Corporation, with a net worth of some $1.3 billion, and was also a chief financial supporter of the 2004 western-backed “Orange Revolution.”

Poroshenko’s task will be to continue the integration of Ukraine into the EU, the issue that made previous President Victor Yanukovych a target of US and German imperialism. Poroshenko has vowed to complete an economic and political association agreement with the EU initiated in March, committing the country to harsh austerity measures in the guise of “reforms.” Signing the second part of the agreement was deliberately put off until after the polls so that the unpopular measures it mandates would not become an election issue.

Before casting his ballot, Poroshenko stressed the importance of fostering “a very good investment climate” in Ukraine, and adopting “all the necessary things to attract business.”

While saying that stability in Ukraine requires some sort of dialogue with Russia, Poroshenko also insisted that he does not recognize the annexation of Crimea by Russia or the independence of the eastern provides of Donetsk and Lugansk, which have declared themselves to be autonomous.

The second-place position in the election went to Yulia Tymoshenko, the billionaire natural gas oligarch, who received about 13 percent of the vote according to preliminary results. Tymoshenko, whose 7 year-prison sentence was commuted in the wake of the US-backed February putsch, responded to Poroshenko’s victory by calling for national unity and for a referendum on Ukraine’s accession to NATO.

In the weeks preceding the poll, Right Sector forces beat, intimidated and killed members of the Borotba (“Struggle”) group and the Communist Party of Ukraine (KPU). Oleg Tsarev, of Yanukovych’s Party of the Regions, was beaten by right-wing forces as well. Both Tsarev and the KPU candidate withdrew from the elections and called for a boycott.

While the new regime has relied on fascistic forces as the shock troops of the “revolution” and to terrorize political opposition, popular support for these groups is very low, in both the east and the west. Svoboda Party leader Oleg Tyahnybok received only 1.3 percent of the vote, and Right Sector head Dmitry Yarosh received 1.1 percent.

The election was held under deepening civil war conditions, particularly in the east. The sham character of the election was exposed by the mass boycott by millions in the industrial and largely Russian-speaking sections of the country. There were also reports of separatist forces taking control of ballots or shutting down polling stations.

The Ukrainian Central Elections Commission found that turnout in the Donetsk region was barely more than 12 percent. According to sources cited by Ria Novosti, elections did not take place at all in 23 of Donetsk’s cities.

Even as the elections have proceeded, these areas have been subjected to occupation and bombardment by regime forces. Video footage surfaced on Friday showing Ukrainian ultranationalist forces attacking Ukrainian regulars who had refused to fire on civilians and separatist groups. Clashes were still occurring near Slavyansk on Saturday, with an Italian journalist and his Russian colleague killed in the crossfire.

Prime Minister Arsieniy Yatsenyuk made clear that repression against the population in the east, where hostility to the quasi-fascist regime in Kiev is especially strong, will continue in the days ahead. “I would like to assure our compatriots in Donetsk and Luhansk regions, who will be prevented from coming to the polling stations by the war waged against Ukraine: The criminals don't have much time left to terrorize your land.”

Fearing that the increasingly explosive situation in Ukraine may catalyze an upsurge of opposition against his own government, Russian President Vladimir Putin has responded to the elections with a number of conciliatory statements.

Putin declared that he is prepared to work with whoever wins the election, despite what he described as “chaos and full blown civil war.”

Putin signaled his desire to forge a compromise with US imperialism and de-escalate the crisis. “Despite our varying, maybe diametrically non-overlapping approaches in assessing critical situations, we nevertheless continue cooperation,” Putin said. “They [the US] have not suspended military cargo transit to and from Afghanistan via our territory, because it is convenient for them. As a matter of fact, we have not refused it, either,” he added.



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The same article in English:
The Restoration of the Oligarchs (IV) (GFP 2014/05/26)

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Die Restauration der Oligarchen (IV)
 
26.05.2014
BERLIN/KIEW
 
(Eigener Bericht) - Mit der Wahl von Petro Poroschenko zum künftigen Präsidenten der Ukraine nähert sich die Restauration der ukrainischen Oligarchen unter deutsch-amerikanischer Hegemonie ihrem Abschluss. Poroschenko ist mit einem Vermögen von angeblich gut 1,6 Milliarden US-Dollar der vermutlich siebtreichste Mann des Landes; er kontrolliert mehrere ukrainische Konzerne. Schon vor ihm sind andere Oligarchen in dem prowestlich gewendeten Land in Amt und Würden gekommen. So zählen die Gouverneure der ökonomisch bedeutenden Oblaste Donezk und Dnipropetrowsk zu den reichsten Ukrainern. Einen weiteren Oligarchen, dem enge Beziehungen zu Wladimir Putin nachgesagt werden, hat Poroschenko vor der Wahl in Wien konsultiert; der Mann darf die Stadt wegen eines US-Haftbefehls nicht verlassen. Die Absprachen mit ihm, die mutmaßlich auch die Wahl in der Ukraine betrafen, werden geheimgehalten. Rinat Achmetow hingegen, der reichste Ukrainer, macht sich inzwischen unverzichtbar, indem er Schritte zur Stabilisierung der Ostukraine ergreift - in Abstimmung mit Berlin. Im prowestlich gewendeten Kiew enthält die sich nun wieder festigende Oligarchen-Dominanz, gegen die die ersten Majdan-Proteste Sturm liefen, zusätzlich ein Element faschistischer Herrschaft.

Konzernimperium mit TV-Kanal

Der künftige ukrainische Präsident Petro Poroschenko rangiert auf der Forbes-Liste der reichsten Oligarchen des Landes zur Zeit auf Platz sieben; sein Vermögen wird auf gegenwärtig 1,6 Milliarden US-Dollar geschätzt. Kern seines Konzernimperiums ist die Firma Ukrprominvest, in der er seine Unternehmen gebündelt hat. Das wohl bekannteste von ihnen ist der Süßwarenkonzern Roshen, der zu den 20 größten der Branche weltweit gehört; er soll allein rund 10.000 Personen beschäftigen. Zu Ukrprominvest gehört zudem die Bohdan Corporation, eines der größten Automobil- und LKW-Werke des Landes. Mit Leninska Kuznya ist Poroschenko auch in der Schiffs- und Rüstungsbranche aktiv. Eine herausragende Rolle in seinem Konzernimperium spielt der Fernsehsender "Kanal 5", der sowohl während der "Orangenen Revolution" 2004/05 als auch während der Unruhen im Winter 2013/14 bei einem breiten Publikum für die Positionen der prowestlichen Kräfte warb.

Flexible Karriere

Poroschenko wird im Vergleich zu anderen ukrainischen Oligarchen eine ungewöhnliche politische Flexibilität nachgesagt. Nach ersten Aktivitäten im Rahmen der Vereinigten Sozialdemokratischen Partei der Ukraine schlug er sich 2002 auf die Seite des späteren prowestlichen Präsidenten Wiktor Juschtschenko, mit dem ihm enge persönliche Beziehungen verbanden; Juschtschenko ist unter anderem Patenonkel seiner Töchter. Entsprechend begann Poroschenkos politischer Aufstieg nach Juschtschenkos Amtsantritt 2005: Im Februar des Jahres wurde er Vorsitzender des Nationalen Sicherheits- und Verteidigungsrats, verlor diesen Posten allerdings nach exzessiven Streitigkeiten mit Julia Timoschenko bereits im September 2005. Im Oktober 2009 - er hatte sich wieder mit Timoschenko ausgesöhnt - übernahm er das Amt des Außenministers, das er bis März 2010 behielt. Unter dem im Februar dieses Jahres gestürzten Wiktor Janukowitsch wirkte Poroschenko von März bis Dezember 2012 als Wirtschaftsminister. Die in der Ukraine durchaus anzutreffende Auffassung, "er habe vielleicht als Wirtschaftsminister seine Autobranche ein wenig zu sehr begünstigt" [1], erklärt er selbstverständlich für unzutreffend. Allerdings konnte er, sollten die Forbes-Schätzungen bezüglich seines Vermögens zutreffen, seinen Reichtum im Verlauf von Janukowitschs Amtszeit erheblich mehren. Poroschenko bemüht sich seit geraumer Zeit um enge Kontakte in die EU: Er gehört dem Advisory Council des EU-Think-Tanks European Policy Centre an, zu dessen stetigen Kooperationspartnern die Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) gehört.

125 Millionen Dollar Kaution

Die bevorstehende Übernahme des Präsidentenamtes durch Poroschenko ist der vorläufig letzte Schritt in der Restauration der ukrainischen Oligarchen. Bereits im März hatte das Kiewer Umsturzregime den Oligarchen Serhij Taruta zum Gouverneur der Oblast Donezk ernannt; mit einem Vermögen von angeblich rund 650 Millionen US-Dollar soll Taruta auf der ukrainischen Millionärs-Rangliste auf Platz 17 stehen. Auf Platz zwei oder drei - die Schätzungen schwanken - befindet sich Ihor Kolomojskij [2], der neue Gouverneur der Oblast Dnipropetrowsk, dessen Kreisen zudem Finanzminister Oleksandr Schlapak zugerechnet wird. Donezk und Dnipropetrowsk zählen zu den ökonomisch bedeutendsten Regionen der Ukraine. Zu den mächtigsten ukrainischen Oligarchen gehört zudem Dmytro Firtasch, den Poroschenko und sein Parteigänger Witali Klitschko Anfang April zu Absprachen geheimgehaltenen Inhalts trafen. Firtasch soll im Rahmen seiner Erdgasgeschäfte Kontakt zu Russlands Präsident Wladimir Putin gepflegt haben. Derzeit sitzt er in Wien wegen eines US-Haftbefehls fest; er konnte sich allerdings mit einer Kaution von 125 Millionen US-Dollar aus der Haft freikaufen.

Geschickt laviert

Seinen Einfluss hat sich mittlerweile auch Rinat Achmetow sichern können, der reichste Oligarch der Ukraine. Geschickt lavierend, hat er zunächst - so heißt es - Teile der Protestbewegung in der Ostukraine unterstützt, um der Forderung nach größerer Autonomie der Regionen ("Föderalisierung") und damit nach stärkerem Einfluss der tatsächlichen regionalen Machthaber, also der Oligarchen, Nachdruck zu verleihen. Zweimal ist er mit Außenminister Steinmeier zusammengetroffen; nach dem zweiten Treffen hieß es, er sei bezüglich der von Berlin erwünschten Schritte zur Stabilisierung der Ukraine "konkreter" geworden (german-foreign-policy.com berichtete [3]). Tatsächlich begann er damals, aus seinen Betrieben - er kontrolliert Unternehmen mit insgesamt 300.000 Arbeitern - Ordnertrupps zu rekrutieren und offen gegen separatistische Aktivitäten zu mobilisieren. Wer - wie Berlin - den Osten der Ukraine unter Kontrolle bekommen will, kommt an ihm unmöglich vorbei.

Ein deutsches Hilfsprogramm

Das dürfte auch auf Maßnahmen zutreffen, die der künftige Präsident Poroschenko bei seinem Berlin-Besuch am 7. Mai mit der deutschen Kanzlerin und ihrem Außenminister besprochen hat. In seinem "Führungsstab" sei zu hören, bei den Verhandlungen sei es um "ein deutsches Hilfsprogramm für das Donbass" gegangen, "um Arbeitsplätze zu schaffen und das schlechte Image der EU in dieser Region zu verbessern", wird berichtet: "Die Deutschen hätten zugesagt, die Idee zu unterstützen."[4]

Das faschistische Element

Während die Berliner Arrangements mit den ukrainischen Oligarchen Gestalt annehmen, zeichnet sich ab, dass deren Dominanz im prowestlich gewendeten Kiew ein zusätzliches Element enthält - ein Element faschistischer Herrschaft: An der Regierung ist nach wie vor die faschistische Partei Swoboda beteiligt; der faschistische Pravyj Sektor ("Rechter Sektor") nimmt am bewaffneten Kampf gegen russlandorientierte Kräfte in der Ostukraine teil. Die gut zehn Prozent, die Swoboda bei den Wahlen 2012 erzielen konnte, teilen sich im extrem rechten Spektrum etwas anders auf: Während Swoboda ersten Prognosen zufolge nur bei 1,5 Prozent und der Pravyj Sektor nur bei gut einem Prozent der Stimmen liegen, erhielt Oleh Lyaschko von der extrem rechten Radikalen Partei mehr als acht Prozent. Lyaschko hat sich im März einen Namen gemacht, als er einen Funktionär der Partei des gestürzten Präsidenten Janukowitsch überfiel und schwer misshandelte.
[1] Konrad Schuller: Der Mann auf dem Bagger. Frankfurter Allgemeine Zeitung 20.05.2014.
[2] S. dazu Die Restauration der Oligarchen (II).
[3] S. dazu Die Restauration der Oligarchen (III).
[4] Konrad Schuller: Der Mann auf dem Bagger. Frankfurter Allgemeine Zeitung 20.05.2014.