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From:   geppinoaragno  @...
Date: July 23, 2007 7:01:38 PM GMT+02:00

Allego una notizia che ha dell'incredibile: nel direttivo dell'istituto della resistenza di Verona, il comune ha designato un neonazista, Andrea Miglioranzi. Nell'allegato un articolo che dice chi sia questo personaggio e poi la notizia della sua nomina. Falla conoscere, perché bisogna reagire.

Giuseppe Aragno


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Un «fascista» all'Istituto per la Resistenza di Verona

Massimo Franchi

Tre mesi di carcere per istigazione all'odio razziale, leader degli skinhead, dirigente della Fiamma Tricolore, membro del gruppo musicale "Gesta bellica", che come pezzi culto ha canzoni dedicate a Erik Priebke ("Il capitano") e a Rudolph Hess ("Vittima della democrazia"). Quale curriculum migliore per far parte dell'Istituto per la resistenza di Verona? La splendida idea di nominare il 35enne Andrea Miglioranzi («Fascista? Per me è un termine molto caro») come rappresentate del Comune all'ente fondato nel 1998 che ha tra i compiti quello di «raccogliere testimonianze di partigiani» è venuta alla maggioranza del consiglio comunale. Ancora elettrizzati dalla fresca nomina dopo l'elezione a sindaco dell'astro nascente della Lega Flavio Tosi (quello che come prima cosa ha cacciato gli «zingari» dalla città), i consiglieri della destra si sono sentiti di osare. Dovevano nominare due persone.

La prima è stata Lucia Canetti di Alleanza Nazionale. E già ci sarebbe di che discutere. Ma per secondo hanno scelto lui, «il camerata Miglioranzi». Uno che era già conosciuto nel mondo del "white power rock", ma è diventato ancora più famoso per essere il primo in Italia a finire in carcere per la legge Mancino sull'istigazione all'odio razziale. Nel 1996: tre componenti del gruppo (oltre a Miglioranzi, c'è il leader Alessandro Castorina, ora segretario provinciale della Fiamma Tricolore) organizzano un'aggressione nei confronti di uno "sharp" (skinheads di sinistra), reo di essere l'ispiratore di alcune iniziative musicali multietniche. Le minacce sono chiare: «A Verona queste cose non le vogliamo, se ci provi ancora sei morto». I picchiatori sono di Napoli, i mandanti si limitano ad osservare il pestaggio. Con entusiasmo. La Digos li arresta e, grazie all'applicazione della legge Mancino, scontano in carcere quasi tre mesi.

Qualcuno a Verona, città medaglia d'oro per la Resistenza, si è opposto. Oltre allo scultore e sopravvissuto ai campi di concentramento Vittore Bocchetta («Qui è peggio del periodo di Hitler, a Verona manca totalmente la memoria storica»), è la senatrice di Rifondazione Tiziana Valpiana a organizzare la protesta. «Io sono anche componente del direttivo dell'Istituto e posso promettere che Miglioranzi non varcherà mai la soglia della nostra sede. Mi impegno in nome dei miei parenti morti a Mathausen. La sua nomina è in spregio alla resistenza e già lunedì chiederò a Oscar Luigi Scalfaro, come presidente degli enti di ricerca sulla resistenza, di chiedere l'annullamento della nomina». La senatrice Valpiana, poi, dietro Miglioranzi vede la mano di Tosi. «Sono sicura che l'idea è sua. Il nuovo sindaco vuole mostrarsi come uomo forte, come nuovo Gentilini (l'ex sindaco di Treviso, ndr) e per farlo arriva a provocazioni come quella di nominare un fascista pregiudicato a custode della memoria dei partigiani».

E difatti il neo sindaco di Verona (accomunato a Miglioranzi per una condanna, ancora non definitiva, per lo stesso reato) non si nasconde. «Le nomine sono del Consiglio comunale, ma li avrei votati anch'io se fossi stato presente. I due consiglieri nominati sono sicuramente persone preparate, con idee politiche magari diverse. Ma sono convinto che possano portare un confronto positivo all'interno dell'Istituto, non per riscrivere la storia o per fare del revisionismo, ma per approfondire alcuni aspetti sui quali fino ad ora c'è stata minore sensibilità». Oltre a Tosi, a Miglioranzi è stata espressa solidarietà dal presidente veronese di An Massimo Giorgetti. «In democrazia funziona così, non capisco lo sconcerto. E poi mi pare che il dopoguerra sia finito da un pezzo», ha commentato stupito al "Corriere di Verona".

Insomma, Miglioranzi (e Canetti di An) potranno dimostrare che i partigiani stavano dalla parte sbagliata e che i giusti stavano vicino Verona, nella Repubblica Sociale di Salò. Miglioranzi potrà farlo canticchiando le canzoni del suo gruppo. Come "Feccia Rossa": "feccia rossa/nemica della civiltà/ bestia senza umanità/ la celtica croce vincerà". Oppure "8 settembre '43": "una data senza perché/ è giunta l'ora della viltà/ un altro marchio di infamità/ Ma io sono camicia nera/ nel mio cuore una fede sincera".


Pubblicato il: 21.07.07


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VERONA CONVEGNO

SABATO 4 MARZO 2006



Ore 16:00 presso la sala "Erminio Lucchi" piazzale Olimpia n.3 (di fronte alla tribuna ovest dello stadio Marcantonio Bentegodi)
- Introduzione a cura di Andrea Miglioranzi (Associazione culturale VFS),Giuseppe Trimeloni(Alternativa Antagonista)
Interverra':
PAOLO SIGNORELLI



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Allegato B

Seduta n. 872 del 7/3/2001

Pag. 36713

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INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento): 

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
con lettera ufficiale (protocollo n. 59 del 15 febbraio 2001), il presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, ha comunicato al signor Miglioranzi Andrea, uno dei leader del famigerato Veneto Fronte Skinheads, il riconoscimento del patrocinio ufficiale della regione Veneto per la sua iniziativa finalizzata alla formazione di un Osservatorio sulla giustizia;
il signor Miglioranzi è attualmente imputato per violazione della cosiddetta legge Mancino (decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 1993, n. 205) per istigazione all'odio razziale;
la suddetta iniziativa, volta alla eliminazione dalla legislazione italiana delle leggi Scelba e Mancino contro il razzismo e nazismo, ha visto il coinvolgimento di esponenti di Forza Nuova e di partiti della Casa delle Libertà e risulta essere improntata alla delegittimazione dell'azione preventiva e repressiva delle forze dell'ordine e della magistratura;
negli ultimi anni, le regioni del nord est italiano sono state teatro di episodi di cronaca e di manifestazioni di violenza a sfondo politico-razziale di cui si sono resi responsabili naziskin di lingua italiana, riconducibili a gruppi che hanno chiari collegamenti con il Fronte Veneto Skinheads e con Forza Nuova;
recentemente, il 24 febbraio 2001, Forza Nuova ha tenuto una manifestazione nella città di Trieste insieme ai neonazisti tedeschi dell'Npd contro la legge approvata dal Parlamento italiano per la tutela della minoranza slovena -:
quali le valutazioni del Governo con riferimento ai fatti sopra esposti e quali iniziative intenda assumere al fine di impedire che un'alta istituzione pubblica, quale una regione, possa offrire - quand'anche indirettamente - sostegno a gruppi eversivi che seminano l'odio razziale, in spregio della legislazione di civiltà che l'Italia si è data e ad iniziative tendenti a delegittimare l'azione delle istituzioni preposte al rispetto di tale legislazione. 

(2-02945)
«Mussi, Bonito, Schmid, Ruzzante, Soda, Peruzza, Manzato, Olivieri, Ruffino, Di Bisceglie, Buglio, Debiasio Calimani, Basso». 




(francais / english / deutsch)

More on John Laughland's book: 

Travesty: The Trial of Slobodan Milosevic and the Corruption of International Justice
with an Introduction by Ramsey Clark
Pluto Press, London 2007, 214 Seiten, 22 Euro, ISBN 0-7453-2635-8/


1) La corruption de la Justice internationale (review by Ed Herman)

2) The Milosevic trial: a travesty of justice (review by Tara McCormack)

3) Politische Selbstjustiz (review by C. Schuetz)

4) Ruanda Tribunal: Destroying the rule of law (J. Laughland)



Sul libro di John Laughland "Travesty", dedicato alla vergogna del processo politico contro Slobodan Milosevic, vedi anche:


a Review by A. Daniels (The Spectator)

a Review by E. Herman (ZMag)

J. Laughland: "The Srebrenica ruling punctures the false claims that underpin the doctrine of intervention" (The Guardian) 

Interview mit J. Laughland (www.german-foreign-policy.com)

Audio files



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(This text in the original english version:



La corruption de la Justice internationale

Ed Herman

L'excellent dernier ouvrage de John Laughland, “Travesty : The Trial of Slobodan Milosevic and the Corruption of International Justice”, est la quatrième étude critique réellement pertinente concernant les guerres des Balkans et ce qui s'y rapporte, dont je produise une critique dans Z Magazine.
 
Les trois précédentes étaient : Fools’ Crusade [Croisade d'Abrutis], de Diana Johnstone, paru en 2002 ; How America Gets Away With Murder [Comment l'Amérique Criminelle parvient à s'en tirer] de Michael Mandel (2004), et Media Cleansing: Dirty Reporting [Asceptisation des Médias : Reportage Sale], de Peter Brock (2005). Il n'est pas moins intéressant qu'inquiétant qu'aucun des principaux journaux ou magazines U.S. et notamment aucun journal de gauche ou libéral [au sens anglo-saxon du terme], (y compris The Nation, In These Times, The Progressive ou Mother Jones), n'ait publié de critique d'un seul de ces trois ouvrages, à l'exception de Z Magazine (ainsi que Swans et Monthly Review, qui publia plus tard une seconde version, plus complète, de la critique de l'ouvrage de Johnstone). Cela montre clairement combien la version officielle de l'histoire récente est fermement ancrée et défendue, au sujet des Balkans. Selon cette version, bien qu'intervenus trop tard et à contrecœur, Clinton, Blair et l'OTAN ont mené une guerre juste, pour arrêter le nettoyage ethnique et le génocide entrepris par les Serbes sous la férule de Milosevic, le monstre ayant finalement été traîné devant un tribunal légitime pour y répondre de ses crimes, dans l'intérêt de la justice. 

Cette version officielle fut promptement institutionnalisée, grâce à une intense campagne de propagande, orchestrée par les gouvernements croate et musulman-bosniaque (assistés d'entreprises américaines de relations publiques), par les USA et divers pays membres de l'OTAN [ndt : au premier rang desquels la France et l'Angleterre], par le Tribunal Pénal International pour l'ex-Yougoslavie (le TPIY), créé par l'OTAN – et pour l'OTAN – et par les médias occidentaux, lesquels ne tardèrent pas à se poser en co-belligérants dans le conflit. Ce collectif informel focalisa toute l'attention de l'opinion sur de nombreux récits et images de victimes (prises exclusivement du même côté) et faisant totalement abstraction du contexte réel. Au sujet de cette kyrielle de témoins victimes, Laughland note que “les plaintes sont enregistrées littéralement sans aucune référence au fait que les exactions dont il est question ont été commises au cours d'une bataille : On a fréquemment la sensation surréaliste d'entendre lire la description d'un homme qui en frappe un autre à moitié assommé, où l'on négligerait de préciser qu'il s'agit de violences infligées au cours d'un combat de boxe”. Mais un tel cortège de témoins, dont la défense eut aisément pu produire l'équivalent, pour peu qu'on lui en ait donné l'occasion – Milosevic présenta d'ailleurs vers le début de son procès, une vidéo de plusieurs heures montrant des victimes serbes sauvagement maltraitées – demeure particulièrement efficace pour diaboliser un sujet, et permettait en l'occurrence de produire massivement un public pleinement convaincu et prêt à tenir toute velléité de défense pour une “apologie de Milosevic”. 

Cette unanimité forgée de toute pièce se trouva renforcée par un véritable lobby d'institutions et de zélateurs, prêts à bondir sur tout déviant émettant la moindre réserve sur la nouvelle orthodoxie, comme sur ceux des médias qui, à de rares exceptions toléraient que la “vérité” puisse être mise en cause. Le refus de produire une critique sur ces ouvrages dissidents ou de considérer les questions qu'ils soulèvent atteste aussi de la profonde lâcheté des médias et de l'obscurantisme qu'ils s'imposent, en particulier les médias de gauche, pour lesquels il reste hors de question de remettre en cause une version officielle fausse de A à Z, comme en attestent sans la moindre équivoque les ouvrages précédemment cités, et comme Travesty vient le mettre une fois de plus en évidence. 

Si Laughland y concentre son analyse sur “La Corruption de la Justice Internationale”, telle qu'elle apparaît dans l'arrestation et le procès de Milosevic, il en vient pour ce faire à couvrir la plupart des aspects les plus indispensables à une véritable mise en lumière des guerres des Balkans permettant d'évaluer le rôle réel des différents protagonistes de ces conflits. Les mensonges institutionnalisés y sont balayés les uns après les autres. Concernant la “justice internationale” Laughland souligne le fait que le TPYI est un tribunal politique, dont les objectifs politiques sans équivoques vont à l'encontre des principes mêmes de l'état de droit. 

Ce tribunal politique fut principalement organisé par les Etats-Unis et la Grande-Bretagne, pays qui agressent en toute impunité qui bon leur semble, et qui s'efforcent du même coup de produire une fiction susceptible de légitimer et couvrir juridiquement et moralement leurs agressions. Dans cette optique, le TPYI a littéralement inversé les principes du tribunal de Nuremberg. Le tribunal de Nurembreg condamna jadis les responsables nazis pour avoir planifié et perpétré le “crime international suprême” d'agression. Le TPYI pour sa part ne mentionne même pas la notion de “crimes contre la paix” (bien qu'avec une kafkaïenne hypocrisie il prétende avoir précisément pour vocation de défendre la paix). Ainsi Laughland note-t-il que, “au lieu d'appliquer le droit international existant, le TPIY en prend ouvertement le contre-pied”. Les puissances dominantes entendant désormais pouvoir intervenir librement n'importe où, les nouveaux principes en vigueur sont littéralement un retour à ceux des nazis, balayant toute idée de frontières nationales. Pour Laughland, “le devoir de non-ingérence dans les affaires intérieures des Etats, réaffirmé au nombre des Principes de Nuremberg dans la Charte des Nations Unies, s'efforce d'institutionnaliser une théorie antifasciste des relations internationales. Or c'est précisément cette théorie que les alliés foulaient aux pieds en attaquant la Yougoslavie en 1999”. C'est aussi à cette théorie antifasciste que le TPYI et les défenseurs de l'interventionnisme humanitaire ont définitivement tourné le dos, ouvrant la porte à un impérialisme toujours plus agressif. 

Le TPIY ne fut fondé ni par application d'un décret ni par la signature d'un accord international (contrairement à la Cour Internationale de Justice), mais par simple décision d'une poignée de gouvernements qui dominent le Conseil de Sécurité [ndt : notamment trois membres permanents disposant d'un droit de veto sur toute décision du conseil ou projet de résolution] et qui, comme le montre Laughland, se plaçaient en l'occurrence au-dessus des prérogatives de ce Conseil (ce point se trouve aussi clairement mis en évidence dans un ouvrage remarquable mais politiquement incorrect et dédaigné de fait : Global Justice or Global Revenge? [Springer-Verlag Wien, 2003], de Hans Kochler). Le TPIY a aussi ouvertement affiché avoir pour objectif de permettre de poursuivre en justice un seul des belligérants d'un conflit, présumé coupable d'office avant tout procès. Les objectifs politiques étaient, soit disant, de ramener la paix en punissant les coupables, de façon à dissuader la récidive, mais aussi pour venir en aide aux victimes par ce que Laughland appelle “la vertu thérapeutique de l'obtention de condamnations”. Mais comment se montrer vraiment dissuasif tant que l'acquittement reste possible ? Laughland observe qu'en l'occurrence, “l'accent très lourdement mis sur les droits de la victime implique que 'rendre justice' équivaut à rendre un verdict de culpabilité. Cela revient en fait dangereusement à justifier la vengeance, ce que les défenseurs du droit pénal entendent précisément écarter”. “Dans le même temps, l'idée que de tels procès puissent avoir une fonction politique didactique renvoie aux 'procès d'agitation' qui aux premiers temps de la Russie soviétique visaient l'édification du prolétariat”. 

Laughland montre qu'en fait, à de nombreux niveaux, le TPIY fonctionne hors de toute légalité. Sa création ne relève d'aucune décision légale et l'on ne peut faire appel de ses décisions auprès d'aucune juridiction supérieure chargée de les contrôler. Les juges, généralement sans expérience et sélectionnés par des instances politiques, jugent par eux-mêmes. Laughland montre notamment que ces juges n'ont eu de cesse de modifier d'eux-mêmes les procédures sans qu'aucun de ces changements ait jamais été soumis à l'aval d'une autorité supérieure. Ces règles ont été foncièrement rendues flexibles pour produire des résultats précis – les juges arguant fièrement que le TPIY “ne tient aucun compte des formalités légales” et n'a nul besoin “de s'empêtrer dans des procédures restrictives émanant de l'ancien système de délibération par jury”. Les changements de procédures ont d'ailleurs systématiquement diminué les droits de la défense, pourtant dès le départ substantiellement réduits – Laughland cite notamment un avocat américain qui collabora à la rédaction des règles du TPIY en matière de dépositions [ou de preuves à charge], lequel reconnaît qu'elles visaient clairement “à réduire la possibilité de rejeter une accusation par faute de preuve”. 

Pour Laughland, le TPIY est une “instance accusatoire” [ndt : “prosecutorial organization” : une organisation dont la seule fonction est de faire condamner un présumé coupable ou un bouc émissaire. Littéralement “une machine à condamner”] dont “toute la philosophie et la structure reposent sur l'accusation”. C'est la raison pour laquelle ses juges ont accepté une à une toute une série de procédures qui portaient gravement atteinte aux droits de la défense, restreignant d'autant la perspective d'un procès équitable – notamment en acceptant les preuves par oui-dire, les témoins secrets [anonymes] ou les comparutions à huis clos (au procès Milosevic, 40 % des dépositions relevaient de ces deux dernières catégories). Selon les règles du TPIY, on peut même faire appel d'un acquittement pour qu'un accusé soit rejugé – “en d'autres termes, le TPIY peut faire incarcérer quelqu’un qu'il vient juste d'innocenter”. 

L'éclairage dévastateur que Laughland porte sur le procès de Milosevic et sa condamnation est une étude détaillée des notions d'abus de pouvoir, d'incompétence, fraude, faux et usage de faux dans un procès spectacle intenté à des fins politiques. La première inculpation, lancée au beau milieu des campagnes de bombardements de l'OTAN, le 27 mai 1999, fut le fruit d'une étroite collaboration entre le TPIY et les responsables U.S. et britanniques. Son objectif politique immédiat était parfaitement clair : éliminer toute possibilité d'un règlement négocié du conflit et détourner l'attention des bombardements d'infrastructures civiles par l'OTAN (crime de guerre au regard du droit international et circonstance aggravante au “crime international suprême” [l'agression militaire d'un pays souverain], tous deux commis précisément sous l'égide de cette institution supposée incarner le droit et défendre la paix !). L'enlèvement de Milosevic et son transfert à La Haye, qui suivirent cette condamnation, violaient ouvertement le droit yougoslave et les arrêts de ses tribunaux. L'attitude et les dispositions du TPIY et de l'OTAN à l'égard de l'état de droit étaient de fait absolument sans équivoque. 

Au départ, l'inculpation de Milosevic portait sur sa responsabilité dans des allégations de crimes de guerre commis au Kosovo. Mais Laughland souligne qu'aucune preuve ne venait étayer les véhémentes accusations de massacres et de génocide commis dans cette province. Les bombardements de l'OTAN ne semblaient pas en outre y avoir fait moins de victimes civiles que l'armée yougoslave. Limiter l'inculpation de Milosevic au seul Kosovo devenait alors d'autant plus problématique qu'il était difficile de justifier qu'il doive être poursuivi pour les crimes qui y avaient été commis, mais non les responsables de l'OTAN, ce que même l'avocat général du TPIY ne manqua pas de reconnaître. De sorte que deux ans après la première inculpation, mais après l'enlèvement de Milosevic et son transfert à La Haye, les chefs d'inculpation furent étendus aux crimes commis en Bosnie et en Croatie. C'était d'autant plus bancal que lorsqu'en 1995 Mladic et Karadzic avaient été inculpés pour les crimes commis en Bosnie, Milosevic avait été exempté de charge. Autre problème, les Serbes de Bosnie et de Croatie n'étaient plus sous l'autorité de la Serbie ou de Milosevic après la déclaration d'indépendance de la Bosnie et de la Croatie. Milosevic, qui s'efforçait de leur intimer de respecter les différents plans de paix de 1992-1995, leur était même constamment confronté (ce point est très largement documenté dans Balkan Odyssey, de Sir David Owen, autre ouvrage d'importance, mais qui eut d'autant moins de succès que ses démonstrations n'abondaient pas vraiment dans le sens de la ligne officielle). 

Ainsi, le procès était-il supposé venir confirmer l'accusation de “génocide” en faisant, après coup, de Milosevic le cerveau d'une “entreprise criminelle collective” visant à éliminer Croates et Musulmans à l'intérieur d'une “Grande Serbie”. Il fallait donc commencer par recueillir des preuves attestant de l'existence d'une telle “entreprise criminelle collective” et d'un projet de “Grande Serbie” en Bosnie et en Croatie, puis établir le lien avec Milosevic. Décréter premièrement la culpabilité puis rechercher les preuves était véritablement la règle de ce procès politique. Le procès était lancé alors qu'on en était encore qu'à rechercher des preuves. La plupart des dépositions n'étaient qu'une montagne d'allégations de témoignages directs concernant des allégations de crimes, dont une majorité n'était en fait de preuves constituées que de oui dires, et dont littéralement aucun ne permettait d'établir le moindre lien avec la supposée responsabilité de Milosevic en matière de prise de décision, contrairement à ce qui pouvait aisément être établi à l'encontre d'Izetbegovic, de Tujman ou de Bill Clinton. Laughland démontre d'une manière parfaitement convaincante que la durée interminable du procès n'est en aucun cas imputable à l'attitude de Milosevic (l'un des mensonges favoris de Marlise Simons et de l'ensemble des grands médias occidentaux), mais tenait précisément à ce qu'il s'agissait d'un procès politique – qui par définition exigeait une production massive de preuves – et à ce que le déroulement du procès, mal préparé et qui peinait à rendre plausible une accusation fabriquée de toutes pièces, versait progressivement au dossier tout ce qui pouvait palier l'impossibilité d'étayer réellement les accusations concernant la planification et les ordres de Milosevic et de son entourage politique, parmi une montagne de dépositions inutilisables de témoins des horreurs et des crimes de la guerre civile et de celle du Kosovo. 

L'un élément clé du procès fut cette accusation tardive d'implication de Milosevic dans une “entreprise criminelle collective” aux côtés des Serbes de Bosnie et de Croatie, visant à se débarrasser par la violence de tous les non-Serbes, dans le but d'ériger cette mythique “Grande Serbie”. Le concept d'entreprise criminelle collective n'existe ni dans le droit, ni même dans le statut du TPIY. Il a été improvisé à seule fin de pouvoir considérer comme coupable littéralement n'importe qui, n'importe où et n'importe quand. Est impliqué dans une entreprise criminelle collective quiconque fait quelque chose de mal avec quelqu'un d'autre, ou combat les mêmes adversaires que quelqu'un qui fait quelque chose de mal. Dès lors que vous faites cause commune, vous n'avez même pas besoin de savoir exactement ce que ce “quelqu'un d'autre” fait de son côté pour vous retrouver impliqué dans une “entreprise criminelle collective”. La décapante analyse de Laughland met littéralement en pièces cette doctrine si merveilleusement extensible et opportuniste. Le titre de son chapitre sur la question, “Que tout le monde soit déclaré coupable !”, reprend l'expression d'un avocat supporter du TPIY qui trouvait tout de même cette idée d'entreprise criminelle collective un peu énorme. Milosevic aurait probablement fini par être condamné sur la seule base de cette doctrine à épingler tout le monde. Évidemment elle colle encore mieux s'agissant de l'attaque collective et concertée de Clinton, Blair et de l'OTAN contre la Yougoslavie, ou du nettoyage ethnique des Serbes de la province croate de Krajina par des troupes croates soutenues par les USA, en août 1995. Simplement il n'y a personne pour les accuser d'être impliqués dans une entreprise criminelle collective, alors que nous, nous avons le TPIY qui règle leur compte à ceux qui sont dans le collimateur des USA et de l'OTAN ! 

Dans un excellent chapitre sur la Grande Serbie, Laughland montre (citant même le procureur Nice à ce sujet) que ce n'est pas Milosevic qui fut à l'origine du déclenchement des conflits des Balkans, qu'il n'était pas non plus ultra-nationaliste et que les dénonciations de ses discours de 1987 et 1989 reposaient sur de fausses accusations. Il montre aussi que son soutien aux Serbes de Bosnie était sporadique et principalement défensif [plutôt qu'offensif] et qu'il n'a jamais oeuvré à la création d'une Grande Serbie mais cherchait tout au plus à aider les Serbes à rester soudés au milieu d'une Yougoslavie en pleine désintégration. Au cours du plaidoyer de la défense, pendant le procès Milosevic, le leader du Parti Nationaliste Serbe, Vojislav Seselj, déclara que seul son parti ambitionnait la création d'une “Grande Serbie”. Partant du principe que les Croates et les Musulmans bosniaques étaient bel et bien des Serbes, mais de confessions différentes, son parti combattait pour les réunir au sein de la Serbie. Milosevic, de son côté, souhaitait seulement que les Serbes restés coincés dans les différentes régions arrachées à la Yougoslavie puissent au moins rejoindre la Serbie. À ce stade de l'argumentaire, le procureur Geoffrey Nice daigna reconnaître que Milosevic n'avait effectivement jamais oeuvré à la création d'une Grande Serbie mais seulement – selon les propres termes du procureur – à l'objectif “pragmatique” de “faire en sorte qu'il soit permis à tous les Serbes qui avaient vécu dans l'ex-Yougoslavie... de vivre dans le même pays”. Coup de tonnerre et consternation parmi les juges du tribunal ! L'accusation du TPIY, qui reposait intégralement sur cette idée de quête d'une Grande Serbie sous la férule implacable de Milosevic s'effondrait d'un bloc. Vous n'en avez jamais entendu parler ? Ce n'est pas très étonnant vu que le New York Times et les plus grands médias [occidentaux] n'en ont jamais lâché un traître mot, de même qu'ils ont toujours éludé la contradiction entre un Milosevic favorable à toute une série d'initiatives pour un règlement pacifique du conflit et son prétendu rôle d'agresseur obsédé par la création d'une Grande Serbie. 

Mais Travesty a bien plus de valeur encore qu'il ne me serait possible de lui en rendre justice, même sur les points dévoilés ici. C'est une recherche absolument brillante, qui devrait compter parmi les ouvrages à acquérir impérativement pour toute personne qui cherche réellement à y voir clair dans l'intrication complexe des enjeux et de ce “processus de balkanisation” des Balkans et de notre “intervention humanitaire”. Elle sera certainement bien utile pour mettre en pièces l'idée que les attaques de l'OTAN reposaient sur des principes éthiques qui imposaient qu'on se place au-dessus des notions de souveraineté et de droit international, mai elle montre surtout sans la moindre équivoque que le TPYI est réellement un tribunal politique, totalement hors-la-loi, et “une corruption de la justice internationale”. 

Comme le souligne Laughland (à l'instar de Johnstone ou de Mandel), les campagnes de l'OTAN et le rôle qu'a joué le TPIY en interférant activement dans ces campagnes, ont été extrêmement utiles pour préparer le terrain aux interventions militaires de Bush en Afghanistan, en Irak et probablement aussi en Iran. Ces campagnes ont été présentées à l'époque – et le sont encore aujourd'hui – comme des “guerres justes”, comme des “interventions humanitaires”. De sorte que ceux qui ont gobé le tissu de mensonges de la version officielle se sont montrés, au mieux, incapables de voir la continuité entre la politique de Clinton et celle de Bush, mais à fortiori de constater l'efficacité avec laquelle Clinton et des zélateurs de la “guerre juste” ont réduit à néant la protection qu'offrait la “théorie antifasciste des relations internationales”, seule protection des petits pays contre l'agression des Grandes Puissances et le basculement de tous dans la loi de la jungle. 

Trad. Dominique Arias 


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SPIKED

Tuesday 12 June 2007

The Milosevic trial: a travesty of justice

A new book shows how the international community undermined every legal principle in its desperate bid to convict the former Yugoslav leader.

Tara McCormack 


Travesty: The Trial of Slobodan Milosevic and the Corruption of International Justice by John Laughland

The vast majority of what passes for analysis of the Yugoslav break-up and wars, and later events such as the establishment of the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY), is marked by a blatant disregard for either evidence or accuracy. In stark contrast, John Laughland’s excellent book on the ICTY and the trial of Slobodan Milosevic is a powerful critique based upon a detailed analysis of both the procedures and rules governing the ICTY in general, and Milosevic’s trial in particular.

It is difficult to do justice to the utter arbitrary lawlessness of the ICTY. In the first place, the ICTY is not a court as is generally understood nor can it be compared to apparently similar bodies like the International Court of Justice. The ICTY is an explicitly prosecutorial institution, in which the Office of the Prosecutor is part of the Tribunal and is set up, in its own words, for the ‘sole purpose of prosecuting persons responsible for serious violations of international humanitarian law committed in the territory of the former Yugoslavia’.

Laughland shows us an institution staffed by judges who often have little experience of criminal law, let alone international criminal law. For example, American judge Gabrielle Kirk Macdonald was amazed to be asked to serve on the ICTY. When she protested that she did not know anything about international war crimes, she was told that that was immaterial and that she would learn. We can only speculate as to how much experience British judge Richard May (who presided over Milosevic’s trial) garnered in international criminal law and international relations from his experiences as a crown court judge on the Midland and Oxford Circuit. Other judges have been entirely without any kind of judicial experience but have been law professors, legal advisers or even, in the case of the Turkish judge, a diplomat.

Astonishing though this is, it is perhaps the least shocking aspect of the institution, when considering both the gravity of the charges laid against the defendants and the entirely novel nature of the Tribunal and its aims. The rules of procedure of the ICTY, for example, have been changed every three months since the ICTY was set up. Incredibly, the ICTY judges make the rules themselves, overturning the fundamental distinction between a judicial and a legislative role. ICTY judges are in essence making international law. Furthermore, the Tribunal is a pick and mix patchwork of the two main systems of law, the adversarial system and the inquisitorial system, overturning, as Laughland points out, the checks and balances inherent in each system.

The rules of procedure of the ICTY would have made Stalin blush. The processes of the ICTY are in effect a rejection of everything that differentiates law from arbitrary rule. Secret indictments are used, hearsay evidence is often permitted and the fundamental legal principle of ‘no crime without a law’ - ie, that an act should not be made a crime after the event - is overturned. Anonymous witnesses are commonplace, contravening the fundamental principle of criminal law that the accused has a right to know who the witness is and to cross-examine them. The ICTY also overturns the ‘double jeopardy’ principle, whereby one may not be tried for the same crime twice. The ICTY allows the prosecutor to appeal against the acquittal of a defendant who has been found innocent and to obtain their continued detention. These procedures contravene existing international conventions, such as the European Convention on Human Rights, and the ICTY’s own statute (1).

In order to prosecute Milosevic, the ICTY relied upon a legal principle which it had invented on the hoof, that of ‘joint criminal enterprise’. This concept does not appear in the ICTY statute nor anywhere else, nor even in the original ‘indictments’ of Milosevic. As I have argued previously on spiked, this novel principle essentially allows the ICTY to convict someone in the absence of any evidence whatsoever (2). Although the prosecution had originally issued three ‘indictments’ of Milosevic (regarding Croatia, Bosnia and Kosovo), this was then changed into a sort of ‘super’ indictment. Here, the prosecution attempted to make the political case that Milosevic had orchestrated a vast ‘joint criminal enterprise’, beginning in Croatia and concluding in Kosovo, to create a ‘Greater Serbia’. In keeping with the general ad hoc procedures of the ICTY, this idea of ‘Greater Serbia’ had not featured in the original separate indictments.

The idea of a ‘joint criminal enterprise’ was based primarily on BBC documentaries and misquoting Milosevic’s speeches. The prosecution’s own star witnesses - including employees of the Office of the Prosecutor - failed to offer any proof of such a conspiracy. The trial spent a lot of time listening to anonymous witnesses who could shed no light on who might have committed the alleged crimes or who could only offer hearsay evidence. Finally, after three years of the trial and to the shock even of the ICTY judges, the prosecutor, Geoffrey Nice, was forced to admit that Milosevic had never even used the words ‘Greater Serbia’. The decision to continue the trial after the resignation (on grounds of ill-health) of Judge May, the imposition of defence counsel on Milosevic against his will and, when Milosevic was ill, trial in absentia, are all aspects of what Laughland calls the fundamental lawlessness of the Tribunal. Milosevic’s death brought an end to the farce, which was surely a relief to those running the ICTY.

Laughland’s book is excellent for his critique and analysis of the ICTY and Milosevic’s trial in itself, but he also engages with broader shifts in post-Cold War international relations. For example, Laughland examines the erosion of the fundamental distinction between war and crime. The idea that war, as the act of a state, should be viewed in political rather than moral terms has increasingly been called into question in much post-Cold War security theory and international security policy. Laughland also highlights the dangerous implications of ethics and morality as a basis for international relations.

Laughland tackles some crucial theoretical questions. He argues, for example, that state sovereignty, as properly understood, clarifies and renders accountable the exercise of power (3). This is particularly problematic when the criminal justice system is detached from the state. As Laughland points out, the ICTY is in no way accountable to the people over whom it claims jurisdiction in the way that a normal legislative system, however bad, would be.

Laughland shows that the common argument that the ICTY is a continuation of Nuremberg and existing international law is false. In the first place, this ignores the central charge of Nuremberg, ‘aggressive war’ (as also codified in the UN Charter). Furthermore, Laughland points out a more important and crucial difference between Nuremberg and the ICTY: whilst the ICTY is established in the name of an unaccountable and non-existent ‘international community’ and international morality, the Nuremberg trials were grounded in the explicit assumption of sovereignty over Germany by the Allied powers. Nuremberg was a highly problematic entity. Nonetheless, the lines of both responsibility and accountability were clearly drawn at Nuremberg, something that cannot be said about the ICTY.

While there are some points on which I would disagree with him - for example, I don’t think there is an all-powerful, crusading and ideological supra-nationalism at work today - these are largely tangential to Laughland’s central argument. Travesty is a powerfully argued book based upon compelling analysis that should be widely read.

Tara McCormack is a doctoral student researching post-Cold War security theory at the University of Westminster.

Travesty: The Trial of Slobodan Milosevic and the Corruption of International Justice by John Laughland is published by Pluto Press. (Buy this book from Amazon(UK))


(1) See also: Sellars, Kirsten (2003) The Rise and Rise of Human Rights, (Stroud: Sutton) chapter 9, for an excellent discussion of the ICTY

(2) How did Srebrenica become a morality tale?, by Tara McCormack

(3) See also Bickerton, C, Cunliffe P, Gourevitch, A (2007), Politics Without Sovereignty, A Critique of Contemporary International Relations Theory (London: Routledge)


reprinted from: http://www.spiked-online.com/index.php?/site/article/3469/


=== 3 ===

Tageszeitung junge Welt - http://www.jungewelt.de/

26.03.2007 / Politisches Buch / Seite 15

  Politische Selbstjustiz


    John Laughland komplettiert mit seinem Buch die Literatur zum
    Milosevic-Prozeß

Cathrin Schütz

Mit dem Aggressionskrieg gegen Jugoslawien im Frühjahr 1999 behauptete die NATO, der Verfolgung von Kosovo-Albanern Einhalt gebieten zu wollen. Das Bündnis bombardierte ohne Mandat des UNO-Sicherheitsrats und berief sich statt dessen auf »universelle Menschenrechte«, die über der nationalen Souveränität und geltendem Völkerrecht ständen. Diese Argumente bemäntelten nur schlecht die schiere Ausübung von Selbstjustiz. Der britische Journalist John Laughland schreibt in seinem Buch »Travesty. The trial of Slobodan Milosevic and the corruption of International Justice« (»Travestie. Der Prozeß gegen Slobodan Milosevic und die Entstellung der internationalen Gerichtsbarkeit«) dazu: »Die Prinzipien der Nichteinmischung und Rechtsstaatlichkeit bilden das Herzstück des internationalen Systems, sie sind in der Charta der Vereinten Nationen festgehalten und basieren auf Jahrhunderten des angewandten Völkerrechts.« Dies war nicht die erste schwere Verletzung des Völkerrechts seit dem Ende des Kalten Krieges, doch »noch nie wurde ihm mit einer solch offenen Mißachtung begegnet«. Die tonangebenden Staatsoberhäupter ließen unverblümt verlauten, daß ihre Handlungen nicht durch geltende internationale Vereinbarungen beeinträchtigt werden und »juristische Formalitäten« ihnen nicht im Weg stehen sollten. Und so wurde der Krieg gegen Jugoslawien von Tony Blair über Vaclav Havel bis hin zur NATO selbst mit Kritik am Prinzip der Souveränität der Staaten begleitet.

      Politische Interessen

Laughland gewährt den Lesern einen Blick auf viele dunkle Machenschaften des Jugoslawien-Tribunals, die es in schweren Mißkredit zu bringen vermögen. Der Autor, der bereits in zahlreichen im Guardian veröffentlichten Artikeln massive Anschuldigungen gegen das Tribunal erhob, beschreibt, wie offensichtlich politische Interessen aus den Reihen der NATO-Staaten, allen voran der USA, zunächst die Einrichtung dieses Ad-hoc-Gerichts durchsetzten und seine Arbeitsweise bis heute steuern. Eine neue, vorgeblich humanitär orientierte internationale Gerichtsbarkeit dient den imperialistischen Staaten als Instrumentarium, um die Souveränität der Nationalstaaten auszuhebeln und sich selbst von allen völkerrechtlichen Beschränkungen zu befreien. Entgegen allem Gerede über den »gerechten Krieg«, der Menschenrecht über Staatsrecht stellen will, steht fest: »Selbst wenn eine moralische Rechtfertigung für den Krieg bestanden hätte, was nicht der Fall war, wäre er ohne formale Autorisierung nicht rechtskonform gewesen.« Was die Mehrheit der Linken, die den Kriegsführern im Falle Jugoslawien leider auf den Leim gegangen sind, noch immer nicht erkannt hat, wird von Laughland klar benannt: Die Aggression gegen Jugoslawien »bereitete den Boden für den Angriff auf den Irak 2003«.

Der Autor wendet sich zunächst dem Kosovo und den fabrizierten Horrordarstellungen über Verbrechen an der albanischen Bevölkerung durch serbische Sicherheitskräfte zu und widmet sich dann dem Tribunal und seinem Starangeklagten, Slobodan Milosevic. Die Geschichte des Jahrhundertprozesses erzählend, gelingt es Laughland, immer wieder Hintergründe und Tricks der Arbeitsweise des Tribunals offenzulegen. Dabei richtet er den Blick weit über das Verfahren gegen Milosevic hinaus. Der Leser erfährt, wie die personelle Besetzung des Tribunals nach politischen Krite­rien funktioniert. In seinen frühen Tagen wurde z. B. die Bewerbung eines Richters aus Rußland wegen einer möglichen »proserbischen Voreingenommenheit« abgelehnt. Gleichzeitig jedoch war das Tribunal mit zahlreichen Richtern aus muslimischen Ländern besetzt, die gerade in die Bewaffnung der bosnischen Muslime investierten. Die Richter, die über das Schicksal zahlreicher Menschen urteilen und mit ihren Entscheidungen nicht zuletzt das Völkerecht folgenschwer verändern, sind oft gar keine erfahrenen Richter; nicht selten sind sie bis zu ihrer Ernennung am Tribunal noch nie »Richter« gewesen. Viele waren Berufsdiplomaten, der Vorsitzende »Richter« im Milosevic-Prozeß, Patrick Robinson, agierte als Rechtsberater der jamaikanischen Regierung. Robinsons Vorgänger Richard May war zwar Richter an einem Bezirksgericht, aber auch aktives Mitglied von Blairs Labour Party. Laughland: »Es bedarf keiner Verschwörungstheorien, um zu erkennen, wer für den Tod Milosevics die Verantwortung trägt.« Es sind eben diese »Richter«, die dem ehemaligen jugoslawischen Präsidenten die erforderliche medizinische Behandlung, ja sogar nur eine Unterbrechung des Prozesses verweigerten. Das ist der tragische Höhepunkt der Rechtsverletzungen und -verdrehungen, des Mißbrauchs grundlegender Rechtsprinzipien, die man am Jugoslawien-Tribunal in Den Haag beobachten kann, seit dieses Gericht seine Arbeit vor fast 15 Jahren aufgenommen hat.

      Kompaktes Bild

Auch der an Jugoslawien interessierte Leser erfährt viel Neues in Laughlands Arbeit, die als drittes, das Tribunal kritisch beleuchtende Buch innerhalb eines Jahres erscheint. Im März 2006 gab der Zambon-Verlag mit »Die Zerstörung Jugoslawiens« die umfassende Verteidigungsrede von Milosevic heraus, in der dieser auf alle entscheidenden Aspekte des Balkan-Konfliktes eingeht und belegt, daß ausländische Regierungen, an erster Stelle Deutschland und die USA, halfen, das Land systematisch zu zerstören. Im Oktober 2006 folgte im Wiener Verlag ProMedia »Der Milosevic-Prozeß. Bericht eines Beobachters«. Dort schildert der ehemalige Deutsche-Welle-Korrespondent Germinal Civikov unfaßbar skurrile Episoden aus dem Alltag des Prozesses, die begreiflich machen, warum die bürgerlichen Medien das, was im Gerichtssaal zutage kam, verschwiegen. Laughlands Buch ergänzt diese beiden Dokumentationen durch eine fundierte Kritik an Rechtstheorie und -praxis des Jugoslawien-Tribunals. Wie eine Trilogie bieten die Bücher ein kompaktes Bild vom Prozeß gegen den jugoslawischen Expräsidenten und dessen Hintergründe. Das Buch hilft zu verstehen, wie unter der scheinbar fortschrittlichen Fahne einer internationalen Strafgerichtsbarkeit das Recht ins Mittelalter zurückversetzt wird.

/John Laughland: Travesty. The Trial of Slobodan Milosevic and the
Corruption of International Justice. Mit einem Vorwort von Ramsey Clark.
Pluto Press, London 2007, 214 Seiten, 22 Euro, ISBN 0-7453-2635-8/


=== 4 ===

Destroying the rule of law

  By John Laughland
  Jul/05/2006

On 16th June 2006, the Appeals Chamber of the International Criminal Tribunal for Rwanda issued a ruling which destroys at it most fundamental level the very concept of due process in a criminal trial. It ruled that the Trial Chambers must ‘take judicial notice’ of the ‘fact’ that ‘between 6th April 1994 and 17th July 1994 there was genocide in Rwanda against the Tutsi ethnic group.’

The goal if this decision is not to make the prosecution's job easier, instead it is designed to prevent the defence from presenting the overwhelming evidence now developed that there were many complex reasons for the events in Rwanda, but genocide is not one of them. This political purpose of the decision is stated outright in the press release when the Tribunal states that this decision by the Appeal Chamber should "silence the rejectionist camp".

Further, not only is the Appeal Chamber decision wrong on the facts, it is wrong in law as in no legal jurisdiction in the world is it possible for a court to take judicial notice of a "fact" which is disputed by one of the parties in the case.

Many opponents of the US-led war on terror rightly attack the US for committing abuses of due process, of which the prison camp at Guantánamo Bay has now become an anti-iconic symbol. The Americans are often attacked for disobeying ‘international law,’ in this case by denying to their prisoners on Cuba the right accorded prisoners of war by the Geneva Conventions. Few such opponents, however, disagree with the concept of ‘international law’ itself and instead believe that it embodies a superior morality than the narrow self-interest of nation-states. Recent developments in international law suggest, however, that this is not the case and that, on the contrary, international law is even more corrupt than national.

Ever since the end of the Cold War, there has been a tendency to ‘criminalise’ international relations and to bring the methods and philosophy of the criminal law into a legal structure which used to be based only on consent between sovereign states. Ever since President George H. W. Bush proclaimed the ‘new world order’ on 11th September 1990, and ever since the UN Security Council approved the First Gulf War and reproached Saddam Hussein’s regime for the way it was allegedly mistreating its Kurds and Shiites, international law has become increasingly coercive. This, indeed, was precisely what Bush Senior meant when he used that pregnant phrase. Prior to that, broadly speaking, international law had consisted only of the treaty agreements between states, while national sovereignty and the principle of non-interference in the internal affairs of states were considered the cornerstones of the international system.

The new approach to international law quickly led to important institutional changes at the international level, in particular to the creation of international criminal tribunals for Yugoslavia and Rwanda in 1993 and 1994. Although the new International Criminal Court, which was created in 1998 and whose jurisdiction may one day cover the whole planet, was not imposed by the Security Council in the way the ICTY and the ICTR were, it will doubtless draw on the practices of these two ad hoc tribunals. It is essential, therefore, to observe their practices to see whether a future regime of coercive ‘international law’ with universal reach would be desirable or dictatorial.

Two recent developments suggest it would be the latter. On 16th June 2006, the Appeals Chamber of the International Criminal Tribunal for Rwanda issued a ruling which destroys at it most fundamental level the very concept of due process in a criminal trial. It ruled that the Trial Chambers must ‘take judicial notice’ of the ‘fact’ that ‘between 6th April 1994 and 17th July 1994 there was genocide in Rwanda against the Tutsi ethnic group.’[1]  

Taking judicial notice of a fact is a recognised procedure in many jurisdictions. It is a rule in the law of evidence which allows a fact to be formally accepted by the court if its truth is so well known that it cannot be refuted. The rule is customarily used for matters which really are beyond dispute, such as the locations of streets in a court’s jurisdiction or the day of the week on a certain date. When a court takes judicial notice of such facts, the parties in the trial cannot contest them. Superior courts can instruct lower courts to take judicial notice of facts like federal laws and other government regulations.

It is obvious that this procedure is strictly limited to facts which are really not in dispute, and that it is intended to prevent defendants from wasting the court’s time by disputing everything. It has never been used to take as given the very thing which is at issue in the trial. The Rwanda Tribunal has therefore done something which does not exist in any civilised jurisdiction in the world. It has imposed mandatory judicial notice on the Trial Chambers of the ‘fact’ that genocide occurred in Rwanda in 1994, whereas many of those who are accused of committing genocide or of complicity in it are basing their defence on their denial that genocide occurred at all.

No wonder that, according to the official ICTR press release, the Office of the Prosecutor welcomed the ruling because it would ‘silence the “rejectionist” camp which has been disputing the occurrence of genocide’. The ruling does indeed remove at a stroke the central plank of the case of many defendants. The word ‘rejectionist’ is presumably intended to translate the French term ‘négationniste’ which refers to those who deny the Holocaust and therefore to tar defendants at the ICTY and their lawyers with the same brush. But the Appeals Chamber ruling goes to very heart of what criminal trials are all about. This is because ‘genocide’ has a specific meaning in international law, as formulated by the 1948 Genocide Convention and by the ICTR Statute itself.

That Statute defines genocide using the following words and phrases:

‘acts ... committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnical, racial or religious group, as such’ [including] ‘deliberately  inflicting on the group conditions of life calculated  to bring about its physical destruction in whole or in part,’ and ‘imposing measures intended  to prevent births within the group.’

In other words, the legal definition of genocide in international law contains repeated and crucial references to the all-important concept of mens rea . According to the statute, therefore, it should be impossible to be convicted of the crime of genocide without mens rea  being established. You cannot commit genocide by mistake. Yet the Appeals Chamber ruling says that mens rea  has been established, and it has required the Trial Chambers to take judicial notice of this ‘fact’ and therefore to treat it as established in all the trial pending before them.

All criminal trials turn on the question of mens rea  (guilty mind): once the actus reus  (guilty act) has been established, if it has, then the court must establish whether the defendant intended to commit the act or whether it was an accident or had some other cause. Only if mens rea  is established can a criminal conviction be obtained on the full charge. By ruling that Trial Chambers must take judicial notice of the ‘fact’ that genocide occurred, the Appeals Chamber of the Rwanda Tribunal is ruling as proven the very thing which criminal trials are supposed to establish and which, in this case, the defendants deny, namely that they desired or organised the events in question.

This ruling recalls but goes beyond a doctrine adopted in 2004 at the Rwanda tribunal’s sister court, the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, which has invented a doctrine of criminal liability known as ‘joint criminal enterprise.’ It uses this concept, which is so contentious that it is unconstitutional in many jurisdictions, in order to convict people of crimes when even the Tribunal accepts that they did not, in fact, commit them or that the proof is lacking to show that they did. The reasoning is that people can be convicted of crimes if they were associated with the actual perpetrators in a joint criminal enterprise. To be sure, all criminal jurisdictions recognise the criminal liability of aiding and abetting — the man who keeps a look out while his friend burgles a house is as guilty as the burglar himself — but the Yugoslav Tribunal casts the net of ‘joint criminal enterprise’ so widely that it allows convictions as primary perpetrators even for people who neither committed nor intended to commit the acts in question. On 19th March 2004 the Appeals Chamber ruled that

‘The third category of joint criminal enterprise ... does not require proof of intent to commit a crime...’.

In June of the same year, it specifically applied the same doctrine to genocide, in spite of the fact that its statute also defines the crime in the same way as the Rwanda Tribunal’s statute does.

In other words, international tribunals have abolished the very thing which criminal trials are supposed to be about. If you can be convicted of a crime as a primary perpetrator for something which you neither committed nor intended to commit, and if mens rea  can be ‘established’ by judicial ruling, then while it may be true that nation states sometimes abuse their criminal justice systems for political ends (such as when they lock up or execute enemies of the regime) the danger is even greater with international tribunals. Detached from any of the potentially moderating influences which exist in all national courts, such as popular pressure, culture or precedent, international tribunals are a law unto themselves. The collective professional belief of their officials and judges that they are engaged in forging a new and superior judicial order has led these two courts to tear up the established rules of civilised criminal justice systems, introducing into the heart of their systems measures which are the very hallmark of dictatorships.[2] 

[1]  ICTR Appeals Chamber takes Judicial Notice of Genocide in Rwanda

The Appeals Chamber of the International Criminal Tribunal for Rwanda on 16 June 2006 ruled that the Trial Chambers must take judicial notice of the following facts:

(i) The existence of Twa, Tutsi and Hutu as protected groups falling under the Genocide Convention;

(ii) The following state of affairs existed in Rwanda between 6 April 1994 to 17 July 1994: there were throughout Rwanda widespread or systematic attacks against a civilian population based on Tutsi ethnic identification.

During the attacks, some Rwandan citizens killed or caused serious bodily or mental harm to person[s] percei

(Message over 64 KB, truncated)

(italiano / english)

Ahtisaari’s Collusion With Albanian Mafia Confirmed 

1) Ahtisaari Bribed to Recommend Amputation of the Serbian Province

2) R.K. Kent - Kosovo: quello che può comprare il denaro a spese di un miglior interesse del paese


=== 1 ===

http://byzantinesacredart.com/blog/2007/06/bnd-slaves-and-millions.html

BND: White Slaves and Millions of Heroin Dollars for Ahtisaari’s Plan



Fifty Million Dollars and Up for Dismembering a Medium-Size Sovereign State


Former Finnish president and one of the world’s most respected living Nazis Martti Ahtisaari (i.e. Adolfsen) is a very busy man these days. Turkey — correctly noting Ahtisaari’s strong pro-Muslim bias, undoubtedly a result of historically sound and productive fascist/Muslim alliances — wants Ahtisaari to help them break into the EU. In Northern Ireland, where Ahtisaari was meddling before, he was appointed an “international advisor” to a reconciliation group.

Let’s hope they can afford the 70-year-old whore with a steep price list.

According to the June 21 article by the Banja Luka daily Fokus, titled “Albanian Mafia Bought Ahtisaari,” German Federal Intelligence Service BND (Bundesnachrichtendienst) has recently sent a report to the UN Secretary-General Ban Ki-moon revealing that Albanian separatists and terrorists in Serbian Kosovo-Metohija province have literally purchased Ahtisaari’s plan which suggests independence for the Serbian province and its severing from Serbia.

German Secret Service has found that 2 million Euros (2.68 million USD) have been transfered directly to Ahtisaari’s personal bank account, and that amounts of multi-million Euros were given to the UN envoy in cash on at least two occasions, totaling up to 40 million Euros (over 53 million U.S. dollars).

According to the Fokus’ source, the German BND Secret Service Brigadier Luke Neiman was directly appointed by the German government to designate part of the German Secret Service apparatus to the United Nations Mission in Kosovo, after the UN Secretary-General Ban Ki-moon requested such service. It was, therefore, the UN Secretary-General who received the detailed report about the corruption of his special envoy Martti Ahtisaari.

Reportedly, the BND agents have immediately discovered clear connection and regular contacts between the leading figures of Kosovo Albanian mafia, their subordinates and Martti Ahtisaari. The agents have also established that Ahtisaari has had frequent telephone communications with the Albanian billionaire, mafia boss living in Switzerland Behgjet Pacolli.


Price of the “Supervised Independence:” Two Million Via Bank, Four Coffers of Heroin Cash and Couple of White Slaves

One of the recorded conversations was pertaining to a transaction in the amount of 2 million Euros from the Swiss bank in Basel, the account No. 239700-93457-00097, protected as an offshore account under the code XS52-KOLER. The account owner is Exhet Boria, the right hand of the Albanian mafia boss. Two million Euros were transfered from this to the account No. 3459346699004533, code VOLANND, in the Cyprus bank. In order to withdraw the money from these accounts, all that was needed was to give the codes to a bank teller.

German Intelligence Service agents have made a note that on February 12, 2007, at 6:23 a.m., jeep with the registration plates PR-443-22CD, which belongs to the Kosovo Albanian provisional “government”, arrived in front of the UN Special Envoy Martti Ahtisaari’s building. Two men carrying two silver-color briefcases went in, handing the briefcases to Ahtisaari. A source in the building later confirmed that the briefcases were filled with cash and given to the UN envoy.

Twelve days later, at 5:44 p.m. the exact same thing took place, only this time it was Exhet Boria personally who exited the black Mercedes Benz with no plates, followed by the two bodyguards carrying two silver-color briefcases.

BND agents found that all four briefcases, later protected with the diplomatic labels, safely arrived to Finland without check-ups and were delivered to Martti Ahtisaari’s home address.

On the last day of February, at 11:47 p.m., German Secret Service agents made a note about the arrival of the KFOR (NATO troops stationed in Serbian Kosovo province, Kosovo FORce) jeep which brought two young women over, followed by Boria’s bodyguard. The girls were in Ahtisaari’s quarters until 5:17 a.m., when they were driven away by the same vehicle.


Posted by Svetlana on June 23, 2007 09:50 AM | Permalink


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http://byzantinesacredart.com/blog/2007/07/ahtisaari-bought.html 

July 10, 2007

Ahtisaari Bribed to Recommend Amputation of the Serbian Province


Global Information System: Ahtisaari Was Bribed

According to Tanjug, the German BND’s information that Kosovo Albanians representing an “interim government” in Pristina and Albanian mafia bribed the UN special envoy Martti Ahtisaari to recommend independence for the southern Serbian province is correct, the Global Information System (GIS), a Washington-based intelligence data service meant exclusively for governments, has said.

The data collected by the GIS for South-Eastern Europe was published in the GIS Defense and Foreign Affairs section in the form of analysis which President of the American Council for Kosovo-Metohija Jim Jatras on Tuesday presented at a news conference in Belgrade, adding that a full and transparent investigation was expected to follow.

A special analysis of the head of GIS South-Eastern Europe cited article by the Banja Luka (Republic of Srpska, Bosnia) magazine Fokus, which was the first to publish excerpts of the BND report to the UN Secretary General on June 21.

German Intelligence Agency had found that two million euros had been transferred to Ahtisaari’s private bank account and that several tens of million euro cash payments, believed to go up to 40 million euros (over 50 million USD), had been made to Ahtisaari personally on at least two occasions.

BND Report Includes Information About Corrupt Activities of Other Officials Involved in Kosovo Scheme

According to the Defense & Foreign Affairs Analysis report by the GIS Station Chief for South-East Europe (as quoted by Alan Peters, an Iran SME), “the GIS/Defense & Foreign Affairs station in south-eastern Europe has conducted research in the Balkans and from secure sources it was revealed that the BND report does indeed exist, and that the information contained is not ‘Serbian fiction’ but a reality.”

In addition, the GIS/Defense & Foreign Affairs sources “confirmed that the BND report also contained extensive additional information on the involvement in corrupt activities of other international community personalities involved in Kosovo.”

“As a result, it was understood that, under the pressure of the emerging information/facts, the UN was now considering promoting the partition of Kosovo, rather than adopting the Ahtisaari plan for granting complete independence to Kosovo,” concludes GIS Defense & Foreign Affairs analysis by the South-Eastern Europe station Chief, Valentine Spyroglou.

Artwork “Greed,” by H. dio Mendoza (USA)

Posted by Svetlana at 09:01 AM | Permalink | Comments (2) | TrackBacks (2)

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http://byzantinesacredart.com/blog/2007/07/ahtisaari-bought2.html 

July 15, 2007

Ahtisaari’s Collusion With Albanian Mafia Confirmed Beyond Doubt


U.S. State Department Unable to Deny Ahtisaari Corruption
Excerpt From July 13 Press Briefing

Mr. Lambros.

QUESTION: On Kosovo. Mr. Casey, Russia’s Foreign Minister Sergei Lavrov suggested today Martti Ahtisaari unfitness* to mediate further talks based on a bunch of reports that Albanian mafia bribed the UN Kosovo mediator, something which has been most* confirmed by Washington-based Global Information System, GIS, and Gregory Copely of Defense and Foreign Affairs Institute. Given the U.S. Government concern about corruption at the UN, should the U.S. Government be calling for an investigation into this matter? How do these allegations impact U.S. confidence in Ahtisaari’s fitness to mediate further talks in Kosovo?

MR. CASEY: Mr. Lambros, I think that the reports you’re referring to probably fall into the category of spurious [German Intelligence and GIS reports are “spurious”?!]. But look, Mr. Ahtisaari is a distinguished former head of government of Finland, a person with a tremendous amount of experience and a track record in working on these issues. He has the full confidence of the Secretary General who appointed him UN and certainly the plan that Mr. Ahtisaari put forward has the full endorsement of the United States as the basis for moving forward.

We’ve put forward a Security Council resolution with others that calls presently for a period of additional discussions among the parties prior to implementation of those recommendations. But again, I don’t see any reason why there should be any question about the work that he did. We very much appreciate and respect the efforts that he made. We believe that he came up with a good plan and one that’s in the best interests of the Kosovars, of the Serbian people and of the region as a whole.

QUESTION: One more on the same issue. According to reports, the UN Secretary General Ban Ki-moon already started an investigation about these payments, confirmed the existence by a report prepared for him by the German intelligence agency BND unit assigned to the UN mission in Kosovo. Any comment on it?

MR. CASEY: Mr. Lambros, you’re free to go ask the UN what investigations it has or hasn’t started. [...] If you’d like to pursue shadows, feel free to talk to the UN about it.

Far More Than “Shadows” — Gregory Copley: Ahtisaari’s Corruption Confirmed Beyond Doubt

In July 14 exclusive interview with Belgrade daily Vecernje novosti, the President of the International Strategic Studies Association Gregory Copley confirmed that everything published about Martti Ahtisaari being bribed by the Albanian mafia to propose independence for southern Serbian Kosovo province is correct.

“We have been investigating a number of corruption cases in the Balkans during the past 15 years. We have received a lot of information and heard rumors about corruption in the Martti Ahtisaari’s office, but we waited until we heard for the article published by the Banja Luka daily Fokus. That’s when we started our own investigation. Talking with the number of our sources, we confirmed that German Intelligence Service BND has indeed put this report together. Our report is created for the governments which are the only ones using the Global Information System. As far as I understand, it was leaked to the media,” said Copley.

Ahtisaari’s Anti-Serbian Bias Evident from the Start

QUESTION: Is the information about Ahtisaari being bribed reliable?

MR. COPLEY: First of all, we have seen the BND report. We then inquired with our sources if we can get an independent confirmation about the Ahtisaari corruption. Few intelligence sources from different states involved in Kosovo process were either suspecting or had evidence about Ahtisaari’s involvement with Albanian organized crime.

QUESTION: How long were you on Ahtisaari’s trail?

MR. COPLEY: We have been observing him ever since he was appointed a UN special envoy for Kosovo status, because we knew he came to that post after working for the International Crisis Group, established by the financier George Soros. We also knew that Soros, as well as the ICG, is firmly backing the independence of Kosovo province. This meant that Ahtisaari obviously wasn’t an impartial person for this position.

GIS Balkan Findings Considerably Different from the Picture Media Painted

QUESTION: Has any particular government ordered the investigation of the Ahtisaari case?

MR. COPLEY: Our association conducts independent investigations. We do not work for any particular government and that is why many governments trust our neutrality. We have conducted a large number of investigations pertaining to the Balkan events, the results of which were considerably different from the picture created by the media. This has made some of the governments skeptical, but most of them have now arrived at the position that our reports have been confirmed over time.

QUESTION: In your experience, how much could a revelation such as this one influence the concrete politics?

MR. COPLEY: We’ve had many requests for confirmation and for further information by the large number of governments and international organizations overseeing the Kosovo process.

QUESTION: From the Serbian Government?

MR. COPLEY: Not from the Serbian Government.

QUESTION: From the American Administration?

MR. COPLEY: All I’m going to say is — not from the Serbian Government, but from the large number of governments and the international organizations.

U.S. State Department Acts Like the Albanian Terrorists’ Agent

QUESTION: What do you expect now?

MR. COPLEY: We expect the United Nations to evaluate Ahtisaari’s position. Unfortunately, it seems that the UN Secretary General Ban Ki-moon lacks the guts to acknowledge the situation created by the [Albanian terrorist] KLA threats of renewed violence. I am disappointed with the fact that the new UN Secretary General has no courage to clean his own backyard. This shows that there is a lot of corruption within the UN that also existed during the Ban Ki-moon’s predecessor.

QUESTION: According to the Fokus article, it was the UN Secretary General that requested the investigation of Ahtisaari’s corruption?

MR. COPLEY: Soon after he requested the investigation, he demanded quick resolution of Kosovo issue and he failed to undertake clear steps to suspend Ahtisaari, or to examine his work. He was obviously shocked by the initial accusations, which German intelligence confirmed beyond any doubts. But it should also be taken into consideration that Ki-moon is right now under enormous pressure — not just from the KLA which threatens the entire region with violence, but from the U.S. State Department which acts like the KLA agent in promoting Kosovo independence.

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=== 2 ===

(riproduciamo di seguito una diversa traduzione del documento da noi già segnalato:

Kosovo: Sul miglior interesse nazionale che il denaro possa comprare (Prof. R. K. Kent) 

The original text: 
R.K. Kent: ON THE BEST NATIONAL INTERES THAT  MONEY CAN BUY

Sullo stesso tema:

Speaker: Determine truth about Ahtisaari 
Fifty Million Dollars and Up for Dismembering a Medium-Size Sovereign State
Albanska mafija kupila Ahtisarija


Kosovo: quello che può comprare il denaro a spese di un miglior interesse del paese


del Prof. R. K. Kent

Docente del Dipartimento di Storia dell’Università di Berkeley, California.


(Elaborazione e traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.

Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese sono in diffusione in questi giorni attraverso la lista JUGOINFO)


La stampa estera sottolinea come il Segretario Generale dell’ONU abbia ricevuto un rapporto dettagliato dal Servizio Informazioni Tedesco (BND). Ban Ki-moon stesso aveva richiesto che una sezione del BND venisse assegnata alla Missione ONU in Kosovo per sbrogliare la matassa di complessità che avviluppa questa Provincia della Serbia. Come è ampiamente noto, l’Inviato Speciale dell’ONU Martti Ahtisaari ha proposto di separare il Kosovo dalla Serbia, atto che avrebbe dato luogo ad un nuovo stato indipendente sulla base della preponderanza demografica Albanese.            

Se accolto, questo atto non solo avrebbe violato la stessa Risoluzione dell’ONU che dichiarava l’opposto. Avrebbe dato anche il via libera a simili pretese in Spagna ed in Francia, in Gran Bretagna (Scozia indipendente), così come avrebbe indotto un movimento Messico-Americano, (assecondato dal Messico e con l’appoggio dell’Unione degli Stati Latino-Americani) ad esigere che la California venga separata dagli Stati Uniti e a questa assegnato lo status di nazione indipendente e riconosciuta internazionalmente. Perché non riconoscere l’indipendenza del Texas, per non parlare di tanti altri candidati sul pianeta Terra? Ma queste proiezioni non sono di immediato interesse, specialmente quando contrastanti con una rivelazione sensazionale e dettagliata. La squadra del BND assegnata, comandata dal Generale di Brigata Luke Neiman, ha scoperto, senza molti sforzi, che il Signor Ahtisaari aveva frequenti contatti con il leaders separatisti Albanesi e aveva ricevuto ingenti somme di denaro per un valore equivalente a circa 53 milioni di dollari. I particolari sono elencati con teutonica precisione. 

Oltre a questo, sono state registrate conversazioni sui trasferimenti di denaro, su specifici conti e codici bancari in Svizzera e a Cipro, su sostanziose forniture di eroina, sul lenocinio di due donne bianche ridotte allo stato di schiavitù e su una visita alla residenza del Signor Ahtisaari ( alle ore 6.23 antimeridiane il 12 febbraio 2007) di una Jeep con targa PR-443-22CD, un veicolo appartenente al governo “provvisorio” Albanese a Pristina, capitale del Kosovo. Per giunta, sembra che il Signor Ahtisaari abbia qualche vecchio scheletro pro-Nazi nell’armadio e abbia coltivato un’inclinazione filo-Musulmana, derivata probabilmente dalle alleanze Nazi/Fasciste/Musulmane durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Senza conoscere le rivelazioni del BND, il presente autore aveva consigliato il precedente Segretario dell’ONU di congedare il Signor Ahtisaari senza indugio e di dare l’incarico a qualcuno che non fosse in ogni modo ammanicato con gli Albanesi o con i Serbi. Non ci sono dubbi che essendo il Signor Ahtisaari un ex capo di stato e “universalmente rispettato” internazionalmente, l’ex Segretario non aveva potuto farlo. Con la presente informativa dettagliata del BND, dovrebbe essere impossibile consentirgli di mantenere il suo posto o di accettare a priori il suo piano.                   

Non è un segreto che fonti Albanesi abbiano fatto donazioni a membri del nostro Congresso e che i beneficiari abbiano deciso in favore della separazione del Kosovo dalla Serbia e di consegnarlo alla maggioranza Albanese. Anche un ex Segretario di Stato, un ardente fautore di un Kosovo Albanese indipendente, possiede ora una compagnia di telecomunicazioni proprio in Kosovo. Non sembra risultare nulla di illegale nelle donazioni di fondi ai nostri Soloni a scopo campagna elettorale: gli effetti non si fanno sentire all’interno e quello che avviene all’estero, come risultato dell’azione dei nostri Legislatori filo-Albanesi, non ha alcun interesse, dal momento che nessuno nello specifico è responsabile. La politica della precedente Amministrazione nazionale potrebbe così essere riassunta: “Dare i Serbi in pasto ai desiderata Musulmani”, così questo avrebbe procurato favorevoli consensi in Medio Oriente. Il risultato è la nascita di Al-Q'uaida per via della Bosnia, e la Wahabyya in espansione fra i Musulmani Albanesi del Kosovo. Se noi, forse, possiamo essere scusati data la nostra veramente scarsa conoscenza della storia dei Balcani e sul contesto in cui questa storia si dipana, questo non vale per gli Europei Occidentali, che comunque si muovono ripetitivamente sempre sulla stessa direzione della politica estera degli USA. Gli Europei Occidentali sanno bene che i Serbi sono stati “i custodi delle porte” attraverso cui gli Ottomani tentavano di passare per conseguire la conquista dell’intera Europa Occidentale. La passata generazione di Europei ricorda anche che i Serbi hanno dato considerevoli contributi alle vittorie degli alleati nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, ma il nostro popolo non conosce nemmeno che una delle più piccole minoranze negli Stati Uniti, gli Americani di origine Serba, ha generato sette uomini che si sono meritati in entrambe le guerre la Medaglia d’Onore, il più alto riconoscimento del Congresso. La nostra opinione pubblica non conosce che i Serbi hanno salvato più di 300 piloti Americani abbattuti nella Seconda Guerra Mondiale, che quindi sono ritornati in servizio. Invece, siamo stati ben informati dal nostro Governo e dai mezzi di informazione di massa che “i Serbi” sono stati gli unici “aggressori” nella ex Jugoslavia e tutte le altre “tribù Jugoslave” sono state loro vittime, malgrado un evidente fratricidio tripartito, con la fondamentale assistenza dall’estero.  La realtà virtuale rimpiazza la realtà stessa. Tutto in nome di una certa ideologia geopolitica che ha incapsulato nella sua rete i più alti gradi politici e di pensiero nella mirifica convinzione che a noi è concesso mutare la natura umana e cambiare il mondo in permanenza.  

© Copyright R. K. Kent, Global Research, 2007

L’indirizzo url di questo articolo a: www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=6192




Gerechtigkeit für Slobodan Milosevic

1) KOMMENTAR und FLUGBLATT der Deutschen Sektion vom ICDSM

2) jungeWelt, 16.7.07: Milosevic-Komitee macht Druck

3) »Das Tribunal hat den Tod Milosevics zu verantworten«. Interview
mit Tiphaine Dickson

(an English version of the interview can be read here:
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/276 )


=== 1 ===

From: peter betscher
Subject: Gerechtigkeit für Slobodan Milosevic
Date: July 15, 2007 3:46:41 PM GMT+02:00

Liebe Freunde,

die juristische Sprecherin des ICDSM, Tiphaine Dickson, wollte am 14.
März 2006 in Den Haag auf einer Pressekonferenz dem Gesuch des
gesundheitlich angeschlagenen Slobodan Milosevic nach einem
Aufenthalt in einer Moskauer Spezialkinik Nachdruck verleihen,
nachdem sein Gesuch vom Haager „Tribunal“ abgelehnt worden war.
Die Petition wurde von ehemaligen Justizminister der USA, Ramsey
Clark und weiteren namhaften Politikern des russischen, tchechischen
und europäischen Parlament unterstützt.

Slobodan Milosevic wurde am 11. März 2006 tot in seiner Zelle im
Scheveninger Gefängnis gefunden. Die Untersuchung der Todesumstände
mit dem Ergebnis natürliche Todesursache wurde in Rekordzeit
abgeschlossen. Der Tod von Milosevic wirft aber viele Fragen auf, die
durch die Untersuchungskommision in eigener Sache nicht geklärt
wurden und die russischen Pathologen beanstandeten, dass sie keinen
Zugang zu den elementarsten Untersuchungsergebnissen der
holländischen Ärzte erhalten hätten. Auf der letzten
Pressekonferenz des ICDSM in Den Haag schloß Tiphaine Dickson mit
folgenden Worten ihre Ausführungen:

„Unsere Hoffnung ist, dass die Vertraulichkeit über alle
medizinischen Aufzeichnungen, Ärzteberichte, Medikationen , sowie
der ärztlichen Untersuchungsergebnisse aufgehoben wird und für eine
Untersuchung ausnahmslos zur Verfügung gestellt werden.

Wir werden in Kürze den Generalsekratär der UN, Kofi Annan,
ersuchen, die strafrechtliche Immunität von einigen Einzelpersonen,
die durch systematische Vernachlässigung, durch falsche oder
schlechte Behandlung, den Tod eines Mannes herbeigeführt haben, dem
selbst jetzt noch vorgeworfen wird für seinen Tod selbst
verantwortlich zu sein.

Wir hoffen und sind der festen Überzeugung, dass die Wahrheit ans
Licht kommen wird.“

Das Vorhaben gestaltete sich leider alles andere als einfach und
bedurfte längerer Vorbereitung. Weitere Informationen findet Ihr in
dem Flugblatt im Attachement. Für die nun notwendigen juristischen
und politischen Schritte zur Aufklärung der Todesumstände bitten wir
um Spenden auf das

Spendenkonto: Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V.
Bankverbindung: Swiss Post Postfinance, CH-3030 Bern
BIC (SWIFT): POFICHBE, IBAN: CH35 0900 0000 9198 2587 8

und Unterstützung. Um der Kampagne von Anfang an die notwendige
Breite zu geben, bitten wir Euch diese mail weiterzuverbreiten und
das Flugblatt im Attachement zu vervielfältigen und bei
Veranstaltungen und poltischen Treffen zu verteilen.

Voraussichtlich morgen wird in der Tageszeitung „junge Welt“ eine
Themenseite u.a. mit einem Interview mit Tiphaine Dickson erscheinen.

Vielen Dank! und solidarischen Grüße

Peter Betscher

Vereinigung für Internationale
Solidarität (VIS) e.V.


--- FLUGBLATT: https://www.cnj.it/MILOS/ICDSM/ICDSM-0706.doc ---

Keine Aufklärung des Todes von Slobodan Milošević:

22. Juni 2007
xy-ungelöst
Natürliche Todesursache?

Unterlassene Hilfeleistung?

Heimtückischer Mord?


Was wollen wir?

Wir finden uns nicht mit der Totschweigetaktik ab. Das
Internationale Komitee für die Verteidigung von Slobodan Milošević
verlangt eine rückhaltlose Aufklärung der Todesumstände durch
unabhängige Gutachter und die Offenlage aller medizinischen Dokumente.

Der 11. März 2006

Die Nachricht vom Tod des prominentesten Angeklagten des Anti-
Jugoslawien-Tribunals (ICTY) in Den Haag lautete in den Medien:
Slobodan Milošević wurde in seiner Zelle im Haager Gefängnis „tot
aufgefunden“. Vor einer Obduktion wussten sie bereits, dass jeder
Zweifel an einer „natürlichen Todesursache“ als verwerfliche
„Verschwörungstheorie“ zu gelten hat. Noch einer Tag zuvor ging
bei der Botschaft Russlands in den Niederlanden eine dringendes
schriftliches Ersuchen um Schutz ein, indem Milošević die
Befürchtung äußerte, im Gefängnis vergiftet zu werden.

Wem nützt ein toter Slobodan Milošević?

Der Tod befreite das „Tribunal“ aus einem ausweglosen Dilemma:
Milošević aufgrund der Beweislage nicht verurteilen zu können, aber
wegen des politischen Auftrags nicht freisprechen zu dürfen.
Hauptnutznießer ist die NATO, zu deren Aggressions-Legitimierung das
Sondertribunal unter Bruch der UN-Charta geschaffen wurde, Nutznießer
sind auch die Medien als „vierte Waffengattung“, die mit der
Propagandalüge von der „Alleinschuld der Serben“ zum Krieg
hetzten. Und die Milošević von Anfang an schuldig gesprochen hatten,
und an dieser Lüge auch nach seinem Tod ohne Schuldspruch festhalten.

Die „Untersuchung“

Die mit der Untersuchung beauftragte Kommission kam alsbald zum
Schluss und dem Ergebnis, dass eine natürliche Todesursache, nämlich
Herzinfarkt vorlag (Parker-Report, Mai 2006). Zumindest wurde darin
die „Selbstmord“-Spekulation zurückgewiesen, mit der die
Oberverschwörungstheoretikerin del Ponte hausieren ging. Aber: Keine
Erklärung gab es zu den im Blut gefundenen Spuren eines Medikaments
gegen Lepra und Tuberkulose, das die Wirkung blutdrucksenkender
Medikamente aufhebt, ebenso keine Aufklärung, warum eine defekte
Arterie nicht repariert wurde, und ob die zuvor abgelehnte Behandlung
im Bakuljew-Zentrum in Moskau hätte lebensrettend sein können.

Gutachter in eigener Sache

Diese Untersuchung, die mehr Fragen offenließ als beantwortete, wurde
von holländischen und anderen Ärzten des „Tribunals“
durchgeführt, die zum Teil bereits zuvor für die inadäquate
Behandlung und die Verweigerung von Verhandlungsunterbrechungen und
medizinischer Hilfe Verantwortung trugen, und sich nun einen
Freispruch in eigener Sache zusammenschrieben.

Widerspruch aus Moskau

Die russischen Pathologen stellten zwar den Herzinfarkt als
letztliche Todesursache nicht in Frage, bezweifelten aber dessen
natürliche Ursache. Sie beanstandeten, keinen Zugang zu den
elementaren Untersuchungsergebnissen der holländischen Ärzte
erhalten zu haben, ebenso keine Aufklärung über die Herkunft
gesundheitsgefährdender Medikamente, und sie stellten fest, dass
Milošević durch den Einsatz zweier Gefäßprothesen noch lange
hätte leben können. Für das „Tribunal“ und auch die UN schien
der Fall damit aber erledigt.

Protest der Familie

Wegen dieser Unklarheiten und Widersprüche schrieb am 17. Juli 2006
Marko Milošević an den „Tribunals“-Vizepräsidenten Parker sowie
die UN-Vollversammlung und den UN-Genralsekretär.
Darin wird der Vorwurf des Mordes erhoben, zumindest durch die
Verweigerung (am 24.02.2006) einer vorübergehenden Haftentlassung
zwecks Behandlung in einer Moskauer Herzspezialklinik.
Im Namen der Angehörigen wird die Übernahme der Verantwortung für
den Tod des Ehemanns und Vaters verlangt, der nach internationaler
Konvention der inhaftierenden Institution oblag, der ‚Parker-
Report’ wird als untauglicher Versuch bezeichnet, die
Verantwortlichen reinzuwaschen und freizusprechen. Der Brief endet
mit der Forderung nach umgehender Auflösung des Jugoslawien-
Sondertribunals in Den Haag.
Bis heute steht eine Reaktion aus, die Adressaten fanden nicht einmal
die Angehörigen einer Antwort würdig.

Wie soll es weiter gehen?

Das ICDSM und Juristen haben mit der Familie gründlich über die
Situation beraten. Ziel ist es, die volle Wahrheit über den Tod von
Slobodan Milošević zu Tage zu fördern und die Verantwortlichen zur
Rechenschaft ziehen zu können.
Hierzu sind juristische Anstrengungen auf internationaler und
nationaler Ebene notwendig, insbesondere müssen die absehbaren
Bemühungen der Gegenseite wirksam gekontert werden, die Aufklärung
durch ein Gestrüpp von Instanzen und Unzuständigkeiten zu verhindern.
Die Witwe Prof. Dr. Mira Marković hat auf Vorschlag des ICDSM die
kanadische Anwältin Tiphaine Dickson mit dieser Aufgabe betraut. Sie
war bereits früher als juristische Sprecherin des ICDSM tätig, und
hat umfangreiche Erfahrungen als Verteidigerin beim (ebenfalls
völkerrechtswidrigen) Ruanda-Sondertribunal gesammelt.
Die nötigen juristischen Schritte werden einen erheblichen
finanziellen Aufwand erfordern, da die diversen Instanzen ihre
Zuständigkeit ebenso wie eine Prozesskostenerstattung verweigern
werden.

Daher bitten wir Sie um Ihre Unterstützung in Form einer Spende!

Mit der – bis heute anhaltenden – Zerstörung Jugoslawiens begann
die Serie der „neuen Weltordnungskriege“, die immer weiter
eskaliert.
Wer nicht will, dass die NATO triumphiert, wer nicht will, dass die
Aggressoren die Geschichte schreiben, der sollte ein Interesse an der
Aufklärung der mysteriösen Todesumstände des früheren serbischen
und jugoslawischen Präsidenten haben.


Klaus Hartmann - Sprecher der deutschen Sektion des ICDSM

Cathrin Schütz - ehem. wissenschaftliche Mitarbeiterin im
Verteidigungsteam von Slobodan Milošević
Peter Betscher - Finanzbeauftragter der VIS



Spendenkonto: Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V.
Bankverbindung: Swiss Post Postfinance, CH-3030 Bern
BIC (SWIFT): POFICHBE, IBAN: CH35 0900 0000 9198 2587 8


International Committee to Defend Slobodan Milošević (ICDSM)
Internationales Komitee für die Verteidigung von Slobodan Milošević

Co-Präsidenten: Ramsey Clark (New York) – Prof. Dr. Velko Valkanov
(Sofia) – Sergej Barburin (Moskau)
Vorsitzender des Vorstandes: Klaus Hartmann (Offenbach am Main) –
Sekretär: Vladimir Kršljanin (Belgrad)

c/o Klaus Hartmann, Schillstraße 7, D-63067 Offenbach am Main, e-
mail: vorstand@..., URL: www.free-slobo.de


--- FLUGBLATT: https://www.cnj.it/MILOS/ICDSM/ICDSM-0706.doc ---


=== 2 ===

www.jungewelt.de - jungeWelt, 16.7.07

Milosevic-Komitee macht Druck

Die Stimmung in Serbien gegenüber dem Westen hat sich nicht
verbessert. Die offensichtlich einseitig pro-albanische Position von
USA und EU bei den Verhandlungen um die Zukunft des Kosovo und das
Haager Jugoslawien-Tribunal (ICTY) wirken wie Katalysatoren der
Abneigung gegen den Westen in breiten Teilen der Bevölkerung: der
unproportional hohe Anteil serbischer Gefangener und der Tod von
einem halben Dutzend Angeklagter. Der prominenteste von ihnen ist der
ehemalige jugoslawische Präsident Slobodan Milosevic, der am 11.
März 2006 tot in seiner Zelle aufgefunden wurde. Nun fordert das
Internationale Komitee für die Verteidigung von Slobodan Milo?evic
(ICDSM) eine unparteiische Untersuchung des Todesfalls.

Das ICDSM wurde am zweiten Jahrestag der NATO-Aggression gegen
Jugoslawien am 24. März 2001 in Berlin und Belgrad gegründet. Co-
Präsidenten sind Ramsey Clark (New York), Prof. Dr. Velko Valkanov
(Sofia) und Sergej Barburin (Moskau), Vorsitzender des Vorstandes ist
Klaus Hartmann (Offenbach am Main) und Sekretär Vladimir Krsljanin
(Belgrad). In Deutschland sind u. a. der ehemalige DDR-Botschafter in
Jugoslawien Ralph Hartmann, der Antifaschist Lorenz Knorr und der
Schauspieler Rolf Becker Unterstützer des Komitees.

Für die nun notwendigen juristischen und politischen Schritte zur
Aufklärung der Todesumstände bittet das Komitee um Unterstützung in
Form einer Spende: »Wer nicht will, daß die NATO triumphiert, wer
nicht will, daß die Aggressoren die Geschichte schreiben, der sollte
ein Interesse an der Aufklärung der mysteriösen Todesumstände des
früheren serbischen und jugoslawischen Präsidenten haben.«

Spendenkonto: Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V.,
Bankverbindung: Swiss Post Postfinance, CH-3030 Bern,
BIC (SWIFT): POFICHBE, IBAN: CH35 0900 0000 9198 2587 8

=== 3 ===

www.jungewelt.de - jungeWelt, 16.7.07

»Das Tribunal hat den Tod Milosevics zu verantworten«

War es Mord? Die Hinterbliebenen und das internationale
Solidaritätskomitee ICDSM fordern eine unparteiische Untersuchung der
Umstände, die zum Tod des jugoslawischen Ex-Präsidenten geführt
hatten. Interview mit Tiphaine Dickson

Interview: Cathrin Schütz

Die kanadische Rechtsanwältin Tiphaine Dickson ist juristische
Sprecherin des Internationalen Komitees zur Verteidigung von Slobodan
Milosevic (ICDSM). Vor einigen Tagen wurde sie von dessen Witwe Mira
Markovic mit der Aufklärung der Umstände, die zum Tod ihres Mannes
geführt hatten, beauftragt.

Sie vertreten Mira Markovic bei der Aufklärung der Todesumstände
ihres Mannes, der im März 2006 tot in seiner Gefängniszelle
aufgefunden wurde, während ihm vor dem Jugoslawien-Tribunal (ICTY) in
Den Haag der Prozeß gemacht wurde. Offiziell heißt es, Milosevic sei
an einer natürlichen Todesursache, einem Herzinfarkt, verstorben.

Bisher liegen zur Klärung der Todesumstände lediglich die Ergebnisse
eines »internen Untersuchungsausschusses« des ICTY vor, der von
Kevin Parker, selbst Richter am Tribunal, geleitet wurde. Der
sogenannte »Parker-Report«, um es auf den Punkt zu bringen,
entlastet das ICTY und schreibt Präsident Milosevic die Schuld für
seinen Tod zu. Der Bericht zeichnet sich durch erstaunlich schludrige
Beweisführung und einen Mangel an Logik aus. Ohne eine unabhängige
Untersuchung und die Hilfe außenstehender Experten war vielleicht
kein anderes Ergebnis zu erwarten.

Die Familie Milosevics mißtraut folglich der Untersuchung des
Tribunals?

Nun, Slobodan Milosevic wurde nicht nur die adäquate medizinische
Versorgung verwehrt, die er wiederholt beantragt hat, sondern auch
die Ursache seines Todes wurde nicht transparent und unparteiisch
untersucht. Die Angehörigen haben das Recht auf eine vollständige
Prüfung der Umstände, die mit seinem Tod in Verbindung stehen
können, und welche ihnen mit dem Parker-Report verwehrt wurde. Marko
Milosevic bezeichnete vor gut einem Jahr in einem offenen Brief an
Parker den Inhalt und die Ergebnisse der Untersuchung als
»inakzeptabel«. Zurecht kritisierte er, daß die Autopsie ohne die
Anwesenheit von unabhängigen Experten stattgefunden hat. Die Familie
äußert überzeugende Einwände bezüglich der Frage der
Legitimität, Objektivität und Korrektheit der ICTY-Untersuchung.
Neben all der inhaltlichen Unzulänglichkeiten der Expertise leide die
Kommission doch an einem Mangel an Objektivität. Nemo iudex in sua
causa. Niemand darf in seiner eigenen Sache richten.

Die gesundheitlichen Probleme Milosevics waren allseits bekannt.

Ohne Frage. Spezialisten hatten seinen Zustand schon Ende 2005 als
lebensbedrohlich bezeichnet. Seine Gesundheitsprobleme wurden breit
diskutiert, oft wurden dabei die Fakten verdreht, um in den
Blickwinkel der Medien zu passen, selbst wenn das zu eklatanten
Widersprüchen führte. Zum Beispiel wurde oft behauptet, Präsident
Milosevic würde Unwohlsein simulieren, wenn er mit »einschlägigen
Beweisen« der Ankläger konfrontiert würde. Doch es war genau zu
Beginn der Beweisaufnahme seiner Verteidigung, als es hieß, er sei
»zu krank«, um sich selbst zu verteidigen. Es ist anzunehmen, daß
in diesem Fall Krankheit kein Ausdruck der Angst vor Beweisen war,
zumindest nicht seitens Präsident Milosevic. Während die Presse
immer wieder die angebliche Verzögerungstaktik Milosevics durch
Krankheitssimulation beklagte, hat dieser sich auch schwer
angeschlagen selten beschwert. Er pochte auf sein Recht auf adäquate
Behandlung, doch konzentrierte sich voll auf seine Verteidigung.

Seitens der Angehörigen wurde wiederholt gar vom Mord an Slobodan
Milosevic gesprochen.

Marko Milosevic sagte, es sei unerheblich, ob sein Vater vergiftet
oder anders ermordet wurde. Sein Zustand war bekannt und die von ihm
beantragte notwendige medizinische Hilfe in Moskau wurde ihm versagt,
obwohl die kurz zuvor vom Tribunal geforderten Garantien der
Russischen Föderation, einem Mitglied des Sicherheitsrats, vorlagen.
All das wurde, so der Sohn, ganz offensichtlich bewußt ignoriert, mit
der Folge, daß Milosevic starb. In seinen Augen bedeutet das, daß
das Tribunal und jeder, der dafür verantwortlich war, den Tod seines
Vaters zu verantworten hat.

Würde er noch leben, wenn das Tribunal ihm die Behandlung ermöglicht
hätte?

Ich bezweifele stark, daß Präsident Milosevic im März 2006
gestorben wäre, wenn er sich der Therapie in der Bakulew-Klinik in
Moskau hätte unterziehen können.


QUALE BANDIERA PER IL KOSOVO?


Mercoledì scorso, il Gruppo di Contatto per i negoziati, in una riunione che vedeva la presenza dei principali responsabili politici incaricati della definizione dello status del Kosovo, ha annunciato l’apertura di un concorso internazionale per la creazione di una bandiera e degli emblemi del futuro Stato indipendente del Kosovo.

Il Gruppo di Contatto per i negoziati ha promosso una competizione internazionale, offrendo un premio di 10.000 euro al vincitore. Si pongono molte questioni: cosa deve rappresentare questa bandiera? Quali sono gli scogli da evitare? Come simboleggiare la multietnicità? Una sola cosa è certa: qualsiasi rappresentazione di un’aquila bicefala, che figura negli emblemi di Albania e Serbia, viene proibita. 
La Commissione creata dal Gruppo di Contatto ha dichiarato che la bandiera e l’emblema dovranno essere costituiti da un soggetto e da un assetto a colori semplici, senza motti o slogan. I criteri adottati stabiliscono che i simboli statuali dovranno essere « unici, originali, facilmente riconoscibili ed appropriati a riflettere il desiderio del popolo Kosovaro di integrazione con le istituzioni Europee ed Atlantiche ».

In una dichiarazione concessa dal Gruppo di Contatto, viene specificato con chiarezza che  « nessuna proposta dovrà ripresentare o assomigliare alla bandiera o all’emblema di un qualche altro Stato, di un partito politico, di un movimento o di una istituzione del Kosovo, ne’ implicare una stretta aderenza ad una comunità etnica particolare del  Kosovo ».

Allo stesso tempo, questa dichiarazione precisa che « non dovrà assolutamente essere utilizzato il simbolo dell’aquila, in quanto richiamerebbe il simbolo di altri Stati, così come le combinazioni dei colori rosso e nero o dei colori rosso, bianco e blu ». L’obbiettivo: distinguere la futura bandiera del Kosovo da quelle dei suoi due confinanti, l’Albania e la Serbia.                                                                

La bandiera dell’Albania rappresenta un’aquila bicefala nera su fondo rosso. La bandiera della Serbia è composta da tre campiture orizzontali rossa, bianca e blu, e il suo stemma araldico rappresenta un’aquila bicefala bianca. 

Formalmente, il Kosovo resta una Provincia della Serbia, anche se il 90% della sua popolazione risulta di origine etnica Albanese. L’ONU amministra il Kosovo dal 1999, data in cui la NATO ha cessato gli attacchi lanciati con lo scopo di bloccare la presunta pulizia etnica degli Albanesi del Kosovo da parte della Serbia. Il piano dell’ONU per l’indipendenza del Kosovo, abbozzato dall’inviato speciale Martti Ahtisaari, è bloccato dalla Russia, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, e respinto dalla Serbia. Secondo il piano Ahtisaari, la futura bandiera del Kosovo, così come il suo sigillo e il suo inno, dovranno riflettere il carattere multietnico del territorio. 

Qualsiasi persona che desidera partecipare a questa competizione è eleggibile. La persona, la cui proposta verrà ritenuta vincente, riceverà un premio di 10.000 euro, al secondo e al terzo premiati andranno rispettivamente 7.000 e 5.000 euro.


AGGIORNAMENTI:

Life in Kosovo Discusses Symbols (17 07 2007)

http://www.birn.eu.com/en/1/20/3646/ 

---

Fonte: Quel drapeau pour le Kosovo ?


Pubblicato sul sito BIRN giovedì 14 giugno 2007
Messo in diffusione da CdB venerdì 15 giugno 2007
Elaborazione e traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.
Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese sono in diffusione in questi giorni attraverso la lista JUGOINFO


(english / italiano)

Da dove viene il revanscismo pan-albanese

1) G. Clark: Alla Serbia è dovuta giustizia in Kosovo

2) "Reunification" of all Albanian lands "necessity" - Albanian paper


LINK:

Albanian Nazi troops in WW2 Launched a Wide Spread Terror Against Kosovo Serbs

by Carl Kosta Savich



Ulteriore documentazione sui retroscena storici della idea pan-albanese è raccolta alla pagina:



=== 1 ===

( Serbia owed justice in Kosovo - by GREGORY CLARK


Japan Times
2 luglio 2007

Alla Serbia è dovuta giustizia in Kosovo

di Gregory Clark

(Elaborazione e traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.

Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese sono in diffusione in questi giorni attraverso la lista JUGOINFO)

Gregory Clark è un ex funzionario del governo Australiano e attualmente è vice presidente della Akita International University.


Nessun commentatore ama apparire come un patito dei complotti. Ma se questa è la sorte di chi cerca di contestare le deformazioni implicate nel dipingere la Serbia come criminalmente colpevole riguardo al Kosovo e alla disgregazione della ex Jugoslavia, allora sia così. 
Andiamo indietro nel tempo, cominciamo dall’inizio. Quando la Germania Nazista ha tentato di occupare la Jugoslavia durante la Seconda Guerra Mondiale, le minoranze Croate e Musulmane hanno spalleggiato i Nazisti nella loro campagna contro la fondamentale resistenza Serba.   
Perfino i Nazisti avevano dichiarato di essere stati impressionati dalla brutalità con cui le forze Croate — i temibili Ustashia — si impegnavano a massacrare e a fare piazza pulita delle popolazioni Serbe di interi villaggi e addirittura di città. Il risultato è stato quello di quasi 1 milione di Serbi eliminati, molti di questi nel campo della morte Croato di Jasenovac, vale a dire che erano state eguagliate molte delle operazioni Naziste dell’Olocausto, per gradazione e atrocità.
Con la fine della guerra, sembrava inevitabile la vendetta Serba. Ma il comandante in capo della Resistenza Jugoslava, Tito, si adoperava per frenare le passioni, sostenendo per i Serbi il potere del governo centrale, mentre la nazione veniva divisa in regioni semi-autonome con popolazioni etnicamente mescolate.
Ma questo era stato un compromesso non facile, come io ho potuto rendermene conto sul campo nella ex Jugoslavia degli anni Sessanta, e anche nella lontana Australia ho potuto assistere ai frequenti attacchi da parte di recalcitranti elementi Ustashia contro missioni diplomatiche Jugoslave e contro la considerevole comunità di immigrati Serbi. 
 
Noi avevamo dato per scontato che, comunque avvenisse la disgregazione della Jugoslavia post-comunista, sarebbe risultato da stolti chiede che le consistenti minoranze Serbe in Croazia e in Bosnia avrebbero sottostato alle regole dei loro ex oppressori Croati e Musulmani filo Nazisti. Invece è prevalsa la stoltezza, grazie soprattutto alle pressioni esercitate dalla Germania, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, tutti alla ricerca di espandere ancor più la loro influenza in un’altra nazione ex comunista dell’Est Europeo.
In breve, è stato inevitabile il conseguente conflitto, con atrocità da tutte le parti. Ma i Serbi almeno potevano pretendere di stare soprattutto cercando di riguadagnare città e villaggi che avevano perso sotto il Nazismo.   
Molto è stato detto e fatto sugli ammazzamenti per vendetta da parte dei Serbi nel distretto Bosniaco di Srebrenica nel 1995. Ma non abbiamo mai visto alcuna menzione di omicidi di Serbi in tempo di guerra e dopo la guerra in quell’area, che aveva visto la popolazione Serba ridursi da un livello pre-bellico di più della metà a meno di un terzo di tutta la popolazione della zona. Nemmeno abbiamo trovato alcuna menzione delle atrocità di cui sono stati fatti oggetto centinaia di migliaia di Serbi che venivano espulsi dalla Croazia. 


Entriamo nel problema del Kosovo.

Per appoggiare la parte Musulmana durante il conflitto in Bosnia del 1992-1995, gli organi di intelligence Britannici e Statunitensi facevano ricorso allo straordinario reclutamento e all’addestramento di estremisti Islamici provenienti dalle guerre anti-Sovietiche degli anni Ottanta in Afghanistan.
Inoltre venivano forniti aiuti ed addestramento agli estremisti Musulmani Albanesi, che avevano costituito l’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA o UCK), per scatenare la guerriglia contro le comunità Serbe isolate. ( Questi fatti sospettati da vecchia data hanno avuto conferma dall’ex Ministro per l’Ambiente della Gran Bretagna, Michael Meacher, che li ha descritti di recente sul giornale The Guardian). 
Ancora più straordinario è stato il modo con cui i tentativi da parte dei Serbi per impedire o contrastare le aggressioni di questo KLA sono stati denunciati come “pulizia etnica” degli Albanesi del Kosovo (per ironia era stato il KLA ad inventare il termine, per diescrivere il suo piano di espulsione della minoranza Serba). 
Gli USA e la NATO, la North Atlantic Treaty Organization hanno dato luogo ai bombardamenti sulla Serbia, fino alla conseguente sua sottomissione non molto tempo dopo, anche se era stato il KLA, e non Belgrado, che aveva violato il cessate il fuoco del 1998 imposto dagli Stati Uniti.
 
La guerra propagandistica usata per giustificare la politica Occidentale relativa al Kosovo è stata inesorabile.
Ci è stato riferito che erano state ammazzate dai Serbi 500.000 persone di etnia Albanese (ora, quasi un miracolo, ci è stata fornita la cifra di circa 10.000).  
Molto veniva detto e fatto sul discorso tenuto nel 1989 dall’ex leader Jugoslavo Slobodan Milosevic, che avrebbe invocato “una pulizia etnica” per il Kosovo. Ma se si va a leggere veramente il discorso, si riscontra l’esatto opposto — che vi è un invito alla moderazione nel trattare con l’ostilità etnica Albanese nei confronti di una presenza politica Serba in modo legittimo. più rigida; l’idea che il 10% della popolazione Kosovara costituito dalla minoranza Serba avesse deliberatamente posto in atto l’espulsione della larga maggioranza di etnia Albanese era palesemente assurda fino dall’inizio. 
Ora questa assurdità è stata fatta passare in modo pesante dai commentatori Occidentali, cosiddetti obiettivi, portando come prova inconfutabile la fuga nel 1999 delle popolazioni di etnia Albanese verso il confine della Macedonia. Ma questa fuga è stata momentanea, ed era avvenuta dopo gli attacchi con bombardamenti della coalizione USA/NATO, non prima. Inoltre, molto di questo era solo una messa in scena. 
Quasi da nessuna parte abbiamo visto qualche menzione delle centinaia di migliaia di Serbi, Ebrei, Zingari Rom e Albanesi moderati che sono stati espulsi in via permanente dal Kosovo dagli estremisti ora al potere. Pertanto non si può pensare di essere infastiditi dalla resistenza di Belgrado e di Mosca all’indipendenza del Kosovo, dato che quasi certamente dovremo prendere atto che le residue minoranze etniche verrebbero ancor di più angariate. 

Le implicazioni per il futuro fanno spavento. La vittoria  della propaganda sulla questione del Kosovo appare avere persuaso i nostri artefici della politica Occidentale di non potere dire nulla di ciò che vogliono su alcun argomento e di fare assegnamento solo su una informazione distorta, e su un sistema dei media pigro o complice, per farla franca! 
L’ultimatum del 1999 dato a Belgrado sul Kosovo era un puro ricatto: o voi vi adeguate alle nostre richieste, non importa quanto irragionevoli, ( compresa la domanda di porre non solo il Kosovo, ma anche tutta la Serbia sotto occupazione militare della NATO), o noi usiamo la nostra forza aerea predominante per mandare in pezzi le vostre infrastrutture economiche e sociali. La successiva distruzione delle industrie della Serbia, compresa l’unica fabbrica di automobili, è stata vandalismo puro.
Perfino la disponibilità di Belgrado di accettare un Kosovo sotto il controllo di moderati di etnia Albanese è stata respinta, in favore degli estremisti Musulmani del KLA che gli USA hanno da tanto tempo appoggiato. Per ironia della sorte, molti di questi estremisti si sono attualmente uniti nella guerra santa, la jihad anti-USA di al-Qaida. 

Nel cinquantesimo Anniversario dell’inizio della loro unificazione, le potenze Europee si sono complimentate per il modo in cui hanno mantenuta l’Europa lontana dalla guerra, a partire dal 1945.
Però si sono dimenticate di sottolineare come avevano scatenato una guerra contro una nazione Europea, chiamata Serbia. 
La Serbia era stata la sola nazione Europea a resistere alla dominazione Nazista della Germania (le altre, o si erano arrese, o avevano collaborato). Per questo, la sua capitale, Belgrado, era stata ferocemente bombardata. La volta dopo che era stata bombardata avveniva per opera della NATO, che vedeva la partecipazione della Germania e di molte delle altre nazioni ex collaboratrici, questa volta per costringerla a sottomettersi a causa del Kosovo. Non desta meraviglia se i Serbi si dimostrano infuriati.    

Questo articolo a www.gregoryclark.net 

(Fonte: R. Rozoff via http://groups.yahoo.com/group/stopnato e http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo )


=== 2 ===

http://slobodan-milosevic.org/news/ballkan070207.htm

"Reunification" of all Albanian lands "necessity" - Albanian paper
BBC Monitoring Europe (Political) - July 3, 2007 Tuesday

Text of report by Albanian newspaper Ballkan on 2 July

[Commentary by Mona Agrigoro: "Slav and Greek Deceptions Are Being Refuted"]

In an interview with Swiss daily Neue Zurcher Zeitung, Macedonia's Slav Foreign Minister Antonio Milosovski said Macedonia had "resolved the Albanian question," whereas with the Oher [Ohrid] Accord it had found a model of integration "from which other multinational states could learn."

This cynical statement by a minister who sits at the head of a system that represses the colonized Albanian population clearly shows what an anti-Albanian strategy means.

Milosovski invented a false status for the Albanian population, which is considered a "minority" in this artificial colonialist state, shifting the stress from its true nature to a deceptive conception of it that justifies the rule of the Slav Macedonians over the Albanian population under the guise of its multinational nature.

History has shown that this sinister conception spells only death, repression, and state terrorism, which the Albanian population will never be made to accept, with the exception of some collaborationists who are awarded political positions in order the serve the Slav Macedonians, just as has happened in the past. The Front for the National Unification of Albanians [FBKSh] considers the Oher Accord a disaccord destined to failure. Life is showing with every passing day the failure of this accord, as is borne out by the following facts:

"The Oher Accord stipulated that one of the highest functions of the FYROM - the president, the Assembly speaker, or the prime minister - should go to the Albanians. This was not done. The Oher Accord also spoke about an amnesty for the fighters of the Kosova [Kosovo] Liberation Army [UCK in Albanian, KLA in English]. This was not done either. On the contrary, Macedonia's prisons today are full of former UCK fighters who were not persuaded to profess their loyalty to the colonial regime of the Macedonian Slavs.

Hence, the attempt to consider the Oher Accord "a model for other multinational states" is another attempt to deceive the international community. Ever since it came into force, this accord has been implemented only to the extent it suits the interests of the political parties of Macedonia's Slavs, as it is an accord geared to the establishment of a coalition between the Slav occupiers and the Albanian-speaking collaborationists, an accord from which the latter have received only political positions and financial benefits, not state power. Just as in the past, state power in Macedonia is in the hands of the colonizers of over 16,000 square kilometres of Albanian land. The Albanian question is a question of colonial occupation, which is still unresolved due to the occupation and colonization of Albanian territories by the Serbs, Macedonian Slavs, Greeks, and Montenegrins ever since Kosova, the Vardar Valley (now under Macedonia), the Presheve [Presevo] Valley (now under Serbia), the Northern Highlands (now under Montenegro), and Cameria (now under Greece) were invaded by Serbia and Greece in 1912.

It must also be stressed that the Macedonian state, in its essence, is an artificial colonial state that did not exist before 1947 and that was formed only to repartition (for the second time, following the partitioning in 1913) the territories of natural Albania.

Milosovski is just as ludicrous when he tries to separate the question of the Albanians of Kosova from that of the Albanians of Macedonia. There is no question of the Albanians of Macedonia, or the Albanians of Serbia, or the Albanians of Northern Highlands, or the Albanians of Greece, or the Albanians of Montenegro! There is only the question of the Albanians, as an indivisible nation whose liberation and reunification into a national Albanian state in the Balkans has become a necessity of the time if ever we want the Balkans to lose once for all time its powder keg appellation and if ever we want to have peace, security, and stability in Europe, which can be achieved only with the establishment of ethnic states, such as ethnic Albania, ethnic Bulgaria, ethnic Greece, and - why not? - ethnic Serbia.


Source: Ballkan, Tirana, in Albanian 2 Jul 07

Copyright 2007 British Broadcasting Corporation
Posted for Fair Use only.



( La prof.ssa Mira Markovic ha firmato recentemente una Delega
per rappresentanza legale all'avvocatessa canadese Tiphaine Dickson,
cosicchè si possa intraprendere una azione legale appropriata contro
il "Tribunale ad hoc" dell'Aia per la responsabilità della morte del
presidente Milosevic, avvenuta in circostanze oscure l'11 marzo 2006.
Il fatto che la signora Markovic abbia accordato la sua fiducia ad uno dei
membri più attivi dell'ICDSM impegna l'intero ICDSM in una rinnovata
attività di finanziamento allo scopo di coprire le spese di questo lavoro.
I versamenti vanno indirizzati a:

Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V.
BIC (SWIFT): POFICHBE
Banca: Swiss Post Postfinance, CH-3030 Bern
IBAN: CH35 0900 0000 9198 2587 8

Per maggiori informazioni si possono contattare:

Vladimir Krsljanin, ICDSM Secretary, auroraplan@...
tel. +381 62 423 915
o
Cathrin Schuetz, ICDSM Alternate Secretary, cschuetz1@...
tel. +49 1788 656 159

Sulla ripresa delle attività dell'ICDSM si veda anche la:

Lettera Aperta a Tadic e Kostunica
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/275 )



**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Sergei Baburin (Co-Chairmen),
Klaus Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin (Secretary),
Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine Dickson (Legal
Spokesperson), Cathrin Schuetz (Alternate Secretary)
**************************************************************
17 July 2007 Special Circular
**************************************************************
auroraplan@... tel. +381 62 423 915
**************************************************************
DEATH OF PRESIDENT MILOSEVIC IN THE ICTY CUSTODY WAS
THE PEAK OF CRIMINAL MISBEHAVIOUR OF THE ICTY.
THE SERBIAN AUTHORITIES DIDN'T TAKE ANY ACTION ON
THIS GROUND, BUT THE ICDSM WILL GO ON!
The current situation and the planned legal action are described in the
interview with Maitre Tiphaine Dickson below. This action will also
depend on your support!
V. Krsljanin


Tiphaine Dickson is a member of the Québec Bar, practicing primarily in
international criminal law. She was lead counsel in one of the first UN
genocide trials before the ICTR in Arusha, Tanzania. Maitre Dickson was
also Legal Spokesperson of the International Committee to Defend
Slobodan Milosevic (ICDSM) and she currently represents Mira Markovic.


Question:
Maitre Dickson, you are representing the wife of former Yugoslav president
Slobodan Milosevic, Mira Markovic, in a legal investigation regarding the
circumstances of his death in custody while he was standing trial before
the ICTY. The official version is that he died of a natural cause, namely by
a heart attack. What gives reason to doubt this information?

Maitre Dickson:
President Milosevic's death in custody was a disgrace. At minimum, that
shocking outcome deserved a thorough, serious, scientifically sound, and
above all, independent and impartial investigation. Instead, the ICTY,
which does not even explicitly guarantee the right to a trial by an
independent court, assigned one of its own judges, Kevin Parker, to head
an "internal inquiry". Slobodan Milosevic died only two weeks after the
ICTY Trial Chamber denied his request for provisional release, with guarantees
from the Russian Federation - a permanent member of the Security Council,
need it be added - for medical care at the Bakoulev Scientific Centre for
Cardiovascular Surgery in Moscow.

Question:
And this ICTY report is the basis for the official cause of death?

Maitre Dickson:
Yes. This so-called "Parker Report", in broad strokes, exonerates the
ICTY, and blames President Milosevic for his death. It does so with
surprising lapses in logic and shaky reasoning, but in fairness, without
a truly independent investigation, and without the benefit of outside
experts, perhaps not much more could have been expected.
However, President Milosevic's family does expect, and is entitled to, a
full accounting of circumstances surrounding his death, which was denied
to it by the Parker Report. Marko Milosevic made plain to Mr. Parker, in an
open letter drafted a year ago, that the content and conclusions of the
report were "unacceptable", and pointedly remarked that "the autopsy was
conducted without the presence of the independent expert team sent by
our family, even though we insisted on it", "that the Russian doctors were
denied the access to the body and the tissue samples", and that the family
was denied access to the blood samples. The family's letter also raised
persuasive objections to the legitimacy, objectivity, and propriety of the
ICTY investigating itself.

Question:
So in other words the ICTY, the same institution that denied Slobodan
Milosevic the needed treatment, judged the circumstances of which he
died.

Maitre Dickson:
It is difficult to comprehend that not only was Slobodan Milosevic not
granted the adequate medical care he had repeatedly requested, but
that the cause of his death was not investigated objectively or transparently.
Not even the questions put to the ICTY by the Russian Federation were
adequately addressed, according to Ambassador Churkin, speaking at the
5453rd meeting of the Security Council. It is therefore impossible to accept
the findings of the ICTY's internal inquiry, since beyond defects that can
be discerned in a superficial reading of the report, the panel suffers from
the fatal flaw of-at the very least-the appearance of partiality. Nemo judex
in sua causa. One cannot be the judge of one's own case.
Justice and minimal decency demand full disclosure of information
obtained by the "internal enquiry" to President Milosevic's family. The
findings, as they now stand, are unpersuasive, and a bereaved family is
entitled to know-without institutional interests being brought to bear-the truth
about their loved one's death in custody.

Question:
In your capacity as legal spokesperson of the International Committee to
Defend Slobodan Milosevic (ICDSM) you have met Milosevic on several
occasions in detention. You addressed the media in The Hague on the
day the case was terminated due to Milosevic's death.

Maitre Dickson:
I was, in fact, that very day scheduled to hold a press conference
supporting President Milosevic's appeal against the decision to deny
him provisional release to Moscow for a number of tests and likely
interventions that had been requested by specialists who had found his
condition to be life-threatening in late 2005. We were very concerned
about the deterioration of President Milosevic's health, and hoped that he
would rapidly receive the treatment he required to pursue his defense in
The Hague, and perhaps, to save his life. Unfortunately, my attendance
at The Hague on March 14th, 2006, followed his death by a few days.
I could only emphasize to the press that all medical data should be made
public, and expressed the hope that the Secretary-General of the United
Nations would accept to waive the civil and criminal immunity of any and
all UN employees and subcontractors responsible for President Milosevic's
death. It was a gruesome, shameful trip, one that was meant to support his
medical provisional release, and certainly not to take stock of his death.

Question:
So if he would have been granted the therapy he may still live?

Maitre Dickson:
Permit me to put it this way: I strongly doubt that had President
Milosevic been allowed to receive treatment at the Bakoulev Center
in Moscow, he would have died in March 2006, as he did.

Question:
Milosevic's family openly calls it murder.

Maitre Dickson:
Last year, Marko Milosevic expressed his outrage with the findings of
the Parker Report, and made the following comment:

"The question isn't whether or not my father was murdered or
poisoned. The point is that a former head of state, being held in UN
custody, was gravely ill and constantly complaining of his medical
condition. His health condition was assessed many times by medical
experts as dire. He was denied adequate (if any) medical treatment, and
then he died. At the same time those who denied him treatment were
undeniably aware of what the consequences would be. He asked for
provisional release to receive medical treatment. Dr. Shumilina warned
on November 6th (2005) that his condition was so critical that he could
die at any moment."

He went on to state:

"The guaranties had been granted, and the ICTY ignored all of it.
Obviously deliberately for they were aware of all the facts, both general
and subtle. So he died.
The Tribunal, and everyone in charge, has committed a deliberate
murder. They condemned him to death on February 24th when they
rejected his request for provisional release, ignoring everything: his
health condition, his rights, and the warnings of his doctors, which unlike
the jail physician hired by the ICTY, had both - unquestionable
competence and expertise, as well as his confidence. Ignoring even the
guarantees of The Russian Federation (by the explanation that those
guarantees lacked credibility, it seems that the Tribunal has given itself
the mandate to evaluate the credibility of even the Security Council's
permanent member states). The ruling handed down on February 24th
came into effect on March 11th. That is the fact and the truth. Any other
speculation is just evasive political manoeuvring. "

This is to say that all the facts about Slobodan Milosevic's medical
condition were known, and yet, with deliberation, no steps were taken to
ensure that he not die. In fact, the ICTY Trial Chamber denied-- in spite
of unambiguous recommendations from highly reputable specialists and
security guarantees from the Russian Federation-- a motion to permit him
to obtain the treatment he urgently required in Moscow.
What is now needed is complete and transparent disclosure of all medical
evidence-- including blood and tissue samples-- to examine the facts
without concern for institutional reputation or appearances. I am not surprised
by the family's characterization of Slobodan Milosevic's utterly shameful death
in custody as "murder". They are well placed to know how serious his
condition was, and how his attempts to obtain appropriate treatment were
thwarted, leading to the most irreparable consequence: he was found dead.
And as it stands there remain, despite the findings of the Parker Report,
too many unanswered questions for any family in similar circumstances not
to affirm that their loved one was murdered.

Question:
While the health problems of Milosevic were well known and led to several
adjournments of his trial, the media often complained about Milosevic's
alleged "tactics" to "disrupt" the process when talking about his illness.

Maitre Dickson:
President Milosevic's health problems were widely discussed, and
interestingly, the facts were often twisted to suit angles adopted by the
press, even when contradictions were glaring. For example, it was often
alleged that President Milosevic was feigning illness when confronting
"damning evidence" by the Prosecutor, and yet it was precisely when he
was set to begin his own presentation of evidence that it was suggested
that he was "too ill" to represent himself. Presumably, in the latter case,
illness would not be a result of fear of evidence, or at least not from the
standpoint of President Milosevic.
I think it important to point out how-despite undeniably serious medical
issues-President Milosevic, though firmly and consistently demanding the
respect of his right to adequate medical treatment, complained little, and
how industriously and efficiently he worked during the entire period of his
detention in The Hague. He was focused and was determined to
demonstrate - as he had stated on many occasions - that there had been
one war: a war against Yugoslavia. That he maintained composure and
dignity throughout the proceedings only heightens the dismay that he was
left to die without adequate medical treatment, and that his death was blamed
on him. His family understandably refuses to accept such a shocking state
of affairs, and frankly, anything called justice deserves infinitely more than
what they were offered. We are determined to bring to light all the facts about
this disgraceful and pointless death, for the sake of truth, and for justice, two
ideas that have been perverted enough.

A shorter version of the interview was published in the German daily Junge
Welt on Monday, July 16, 2007


DONATIONS for this legal action are most urgently needed!

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Vladimir Krsljanin, ICDSM Secretary, auroraplan@...
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FIDEL CASTRO SUL KOSOVO

(The English and German texts are readable at:

Fidel Castro on Kosovo and US tyranny

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5528

Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.

Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese sono in diffusione in questi giorni attraverso la lista JUGOINFO)



http://www.adnki.com/index_2Level_English.php

ADN Kronos International (Italy)
12 giugno 2007

Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”

Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”                          

Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.” 

Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania.
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!” 


http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D-
 
Prensa Latina
14 giugno 2007

Nuove riflessioni di Fidel Castro

Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush  per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo. 
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano: 

 In cerca di affetto”

Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.  
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi.
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri.                                                                                                                                                         In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.   
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema.
Vivere per vedere! Vedere per credere!
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia. 

Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento.
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di  bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita: 

“ Mosca, 13 giugno 2007. La Russia accusa l’Occidente di tenere incontri segreti relativi all’indipendenza del Kosovo. Secondo un comunicato rilasciato dal Ministro Russo per gli Affari Esteri, la Russia ha censurato le nazioni Occidentali che mercoledì si sono adoperate in segreto e unilateralmente per preparare l’indipendenza del Kosovo. Il portavoce del Ministero, Mikhail Kamynin, con riferimento all’incontro delle potenze Occidentali tenutosi a Parigi martedì, in assenza del governo di Mosca, ha puntato l’indice contro i colloqui segreti che hanno indotto a sospettare che sia stato preparato unilateralmente uno scenario per la sovranità del Kosovo. Kamynin ha continuato: ‘Questo comportamento è intollerabile. La Russia non è stata invitata all’incontro e questo risulta incompatibile con le dichiarazioni che andavano nel senso di una soluzione, in apparenza, di accomodato.' ”     





www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado - italia - 18-07-07 

Estratto della Dichiarazione alla Conferenza Regionale (sezione europea) del Consiglio Mondiale della Pace (WPC)

 

Zivadin Jovanovic, Presidente Forum Belgrado per un Mondo di Eguali, Bruxelles, 14 giugno 2007

 

Signor Presidente, eminenti delegati, compagni, amici cari,

 

mi sia prima di tutto concesso di portarvi i più sentiti complimenti da parte dei membri del Forum per un Mondo di Eguali di Belgrado e i sinceri ringraziamenti per l’invito a partecipare alla Conferenza Regionale (sezione europea) del Consiglio Mondiale della Pace, cosi come all’incontro del Segretariato.

 

Allo stesso modo vorrei congratularmi con la dirigenza del WPC, in particolare con l’Onorevole Thanassis Pafilis, Segretario generale del WPC e i membri del Parlamento europeo, con Iraklis Tsavdaridis, Segretario esecutivo, insieme con il sig. Rui Namorado Rosa, Presidente della Conferenza, per l’eccellente organizzazione di quest’importante evento.

 

E’ importante che questo tipo di conferenze siano tenute al Parlamento europeo: coloro i quali hanno idee giuste riguardo a pace, cooperazione e progresso per l’intera umanità, devono essere ascoltati da quelli che devono prendere le decisioni.

 

Ora, col vostro permesso, vorrei esporre due questioni: prima, le conseguenze a otto anni dall’aggressione NATO a guida USA contro la Serbia (RFY); la seconda, il futuro status della provincia serba del Kosovo e Metohija.

 

L’aggressione NATO fu scatenata senza alcuna giustificazione e senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quindi, l’uso della forza militare era privo di ogni legittimità. Durante i 78 giorni dell’aggressione, furono uccise tra le 3500 e 4000 persone, la maggior parte civili, inclusi bambini e disabili. Gli aggressori hanno usato armamenti proibiti come missili all’uranio impoverito, cluster bombs, bombe alla grafite, con conseguenze estremamente pericolose che dureranno decenni, secoli e alcune anche migliaia di anni. Il danno economico alla Serbia ammontava a oltre 100 miliardi di dollari USA. Quindi, l’aggressione NATO è stato un crimine contro l’umanità e la pace. Sfortunatamente, non è stato sanzionato come tale perché la magistratura internazionale non è indipendente, né imparziale.

 

L’aggressione NATO contro la Serbia (RFY), sebbene indirizzata duramente sulla Serbia e i cittadini serbi, nella sua essenza era una guerra contro l’Europa, alla quale l’Europa stessa stranamente partecipò. Era sul suolo europeo, ha distrutto persone e beni europei, ha avvelenato l’ambiente europeo lasciando destabilizzazione. In generale l’aggressione NATO del 1999 ha fatto regredire lo sviluppo e l’integrazione europea, inclusi gli accordi costituzionali.

 

L’aggressione è stata condotta in un’alleanza senza precedenti tra la NATO e un’organizzazione terroristica conosciuta come KLA (Kosovo Liberation Army o UCK, n.d.t.). Al tempo della costruzione dell’alleanza tra NATO e KLA, intorno alla fine del 1998, nessuno poteva supporre ciò che sarebbe accaduto l’11 settembre 2001, né gli attentati di Londra e Madrid e di altre città.

 

Così, una delle conseguenze dell’aggressione NATO è stata la radicalizzazione dell’elemento islamico, con una crescita della minaccia terroristica in Europa sud orientale e in tutto il continente. Ciò è in diretta correlazione con la diffusione del crimine organizzato internazionale, attraverso il traffico di droga, armi, esseri umani, ecc.

 

Nello stesso periodo siamo stati testimoni del potenziamento dei movimenti separatisti, cosa che ha condotto ad un’ulteriore frammentazione degli stati e alla proliferazione di quelli fantoccio. Dopo la distruzione della Repubblica Federale Serba di Yugoslavia (SFR) negli anni novanta, la stessa Repubblica Federale di Yugoslavia è stata divisa in due stati distinti, Serbia e Montenegro. Ora i paesi dell’occidente, in particolar modo USA, Gran Bretagna e Germania, sono impegnati nella divisione della Serbia tentando di imporre l’indipendenza del Kosovo e Metohija. L’ambasciatore tedesco a Belgrado ha pubblicamente minacciato: se il governo serbo rifiuta di accettare l’indipendenza del Kosovo e Metohija, l’Ungheria potrebbe reclamare la separazione della Vojvodina, i musulmani bosniaci la regione di Raska (Sangiaccato), gli albanesi tre distretti nel sud, e così via. E’ chiaro che gli stati fantoccio non possono essere sostenibili economicamente, né indipendenti, ma può risultare estremamente facile manipolarli. Questo, sicuramente, va contro gli interessi dei popoli della regione, contro la stabilizzazione ed è contrario al processo di integrazione in Europa.

 

La proliferazione degli stati fantoccio è stata accompagnata dalla moltiplicazione del numero di basi militari USA e NATO nell’Europa sud-orientale. Dopo l’aggressione NATO, nella regione ne sono state installate circa 15, inclusa la base “Bondsteel” in Kosovo e Metohija, considerata la più grande base americana del mondo. I governi di Bulgaria e Romania hanno accettato quattro basi NATO ciascuna. Considerate quelle in Grecia e Turchia, la regione dei Balcani risulta essere quella a più alta densità di basi militari straniere al mondo. Dopo la caduta del muro di Berlino, la NATO ha iniziato a trasferire parte delle forze militari dall’Europa centrale all’Europa sud-orientale. E’ quello di cui oggi ha bisogno questa regione? L’aggressione contro la Serbia del 1999 è soltanto una scusa per “correggere l’erronea decisione del generale Eisenhower durante la seconda Guerra Mondiale e collocare truppe americane (nei Balcani) con obiettivi strategici” (Willy Wimmer, lettera al cancelliere Gerhard Schroeder del 2 maggio 2000)?

 

Le basi NATO e USA nei Balcani sono parte integrante di una rete di basi in Europa (Germania, Ungheria). I piani per costruire le basi antimissili in Polonia e in Repubblica Ceca, le chiare intenzioni di avere basi NATO (USA) in Ucraina e Georgia, rientrano nel progetto strategico di creare una “linea di sicurezza” dal Mar Baltico all’Anatolia. Non è comunque chiaro quali pericoli stiano oggi fronteggiando USA ed Europa, da est e sud-est, che giustifichino la creazione di una tale vasta rete di basi senza precedenti, anche rispetto all’epoca della guerra fredda. La prevenzione del terrorismo internazionale non può essere la ragione, come il terrorismo non può essere combattuto, tanto meno sradicato, da un fronte di basi che va da nord-est a sud-est, né da sistemi missilistici intercontinentali. L’interpretazione più verosimile è che questa rete abbia a che fare con la strategia di accerchiamento della Russia, la regione del Mar Caspio, l’Asia centrale e il medio oriente. Capire il perché non dovrebbe essere difficile.

 

Dovrebbe essere notato che la diffusione di basi militari straniere coincide con la transizione, o processo di democratizzazione dei precedenti paesi socialisti basata sul modello di Washington. Questo modello, come insegna l’esperienza, include il generale l’indebolimento degli eserciti nazionali e il rafforzamento delle forze di polizia. È questo il “sistema di difesa comune”?

 

La Serbia è il paese con il più alto numero di rifugiati e trasferiti d’Europa. Più di 500.000 di loro non hanno possibilità di un libero e sicuro ritorno alle loro case in Croazia, Bosnia, o Kosovo e Metohija. Tutto quello che la Serbia ha ottenuto negli anni trascorsi sono state promesse, piani e programmi. Non molto più di questo. Per esempio, nel giugno 1999, quando l’UNMIK e la KFOR vennero per assicurare la sicurezza nella provincia, c’erano a Pristina circa 40.000 residenti serbi. Oggi, otto anni dopo, sono rimasti circa una centinaio di loro, quasi tutti anziani. Questa situazione è simile in quasi tutte le più grandi città.

 

All’epoca della preparazione dell’aggressione contro la Serbia (RFY), gli USA ottennero il sopporto e la partecipazione degli alleati europei lasciando intendere che questa sarebbe stata un’eccezione in cui la NATO avrebbe agito senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e fuori della zona d’influenza NATO, definita dall’atto fondativo dell’aprile 1949. Quasi immediatamente dopo l’aggressione gli USA rivendicavano, “ E’ chiaro che rappresenti un precedente che può essere invocato ogni volta, e sarà invocato”. Questo ha condotto all’invasione dei “volenterosi” in Iraq, anch’essa senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Iran ed altri stati sono sotto minaccia delle stesse modalità di attacco. È meritevole registrare queste tattiche, perché USA e Gran Bretagna stanno oggi rivendicando il fatto che l’indipendenza della provincia serba del Kosovo e Metohija sarebbe un’eccezione, un “caso unico”, e non un precedente. Cosa in realtà stanno cercando di fare è di ammorbidire il rifiuto e i dubbi di molti stati che ragionevolmente temono che il “caso dell’indipendenza del Kosovo” possa aprire il vaso di Pandora e trascinarsi dietro le pulsioni separatiste per tutta Europa e nel mondo.

 

Venendo ora al problema della provincia del Kosovo e Metohija dovrebbe essere notato che esso rappresenta un vecchio e profondamente radicato problema. La capitale medievale di stato serba era Prizren, la sede della Chiesa serba era a Pec. La grande maggioranza della popolazione era serba fino alla fine del XIX secolo. E’ vero, comunque, che dopo la conquista della Vecchia Serbia da parte dell’impero Ottomano, c’è stato un continuo processo di spinta dei serbi dal Kosovo e Metohija verso nord, e di insediamento degli albanesi. Questo processo è stato anche accelerato dall’Austria-Ungheria, dall’Italia fascista di Mussolini e dalla Germania nazista di Hitler. Ancora a cavallo tra il XIX e il XX secolo, i serbi rappresentavano metà della popolazione della provincia. Per non menzionare il fatto che tutta la topografia è rimasta, da allora fino ad oggi, in lingua serba, i più antichi monumenti culturali appartengono alla cultura serba, ecc. Notare questo, è necessario perché l’opinione pubblica in Europa e nel mondo ha acquisito l’erronea convinzione che i problemi nel Kosovo e Metohija siano sorti perché apparentemente Slobodan Milosevic abolì l’autonomia della provincia, praticò una massiccia violazione dei diritti umani degli albanesi, ecc. Tribunali in Germania, per esempio, non accettarono questa interpretazione.

 

Dopo che la provincia passò sotto il mandato dell’ONU, nel giugno 1999, il terrorismo e la pulizia etnica dei non-albanesi continuò. Approssimativamente 300.000 fra serbi e non-albanesi sono stati cacciati, 150 monasteri serbi medievali e chiese sono state distrutte, e circa 2500 persone assassinate, o scomparse. Nessuno è stato riconosciuto colpevole e imprigionato per chiari crimini terroristici. Oggi, otto anni dopo, la rimanente comunità serba nella provincia vive sotto la costante paura per la loro vita, senza libertà di movimento e senza gli altri diritti umani fondamentali. Molti di loro vivono in enclavi circondate da reti di filo spinato. I profughi, vittime della pulizia etnica, non possono fare ritorno alle loro case perché nessuno garantisce loro la sicurezza.

 

La maggior parte degli impegni della comunità internazionale sotto la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli standard di sicurezza, la legalità, i diritti umani, il libero e sicuro ritorno dei rifugiati e deportati, non sono stati attuati. La decisione dell’ONU che prevede il ritorno di un numero contenuto di esercito e polizia serbi nella provincia è attualmente ignorato, nonostante sia in logica relazione con le garanzie ONU sulla sovranità e integrità territoriale serba.

 

Sotto il mandato dell’ONU, con la sua presenza militare come KFOR e UNMIK come civile, la provincia è diventata un “paradiso sicuro” per ogni tipo di criminali e un trampolino per il terrorismo dell’estremismo islamico attraverso l’Europa. E’ inoltre diventata il luogo di maggiore concentrazione di armamenti illegali in Europa e forse nel mondo. Solo questo, tralasciando altri problemi, rappresenta una seria minaccia alla pace e alla stabilità. Nonostante ciò è ignorato.Il governo provvisorio è guidato da Agim Ceku, uno dei dirigenti del KLA, primo comandante d’artiglieria durante gli attacchi del 1995 in Croazia contro la popolazione civile serba, presente nelle liste Interpol dei ricercati per gravi crimini contro l’umanità. Ha rimpiazzato Ramus Haradinaj, altro leader del KLA, nel ruolo di provvisorio primo ministro, attualmente sotto processo al tribunale dell’Aja per le uccisioni di massa dei serbi e di altri civili nella provincia. Entrambi sono stati insediati da UNMIK e KFOR.

 

Per farla breve, la missione ONU, UNMIK e KFOR, a guida NATO, ha molto poco per essere accreditata e molto di più invece per essere considerata un fiasco.

 

Oggi, il problema del futuro status del Kosovo e Metohija è diventato uno dei temi scottanti nell’agenda delle più influenti organizzazioni e meeting internazionali: Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Summit dei G8, Summit Russia-USA, UE e OSCE.

 

L’aggressione NATO del 1999 è stata fermata dopo che tre importanti documenti sono stati negoziati in numerosi incontri con trattative molto complicate e finalmente adottati. Questi sono: il Documento di Belgrado Milosevic-Ahtisaari-Chernomyrdin del 3 giugno; l’Accordo di Kumanovo del 9 giugno; la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 10 giugno 1999. In tutti la comunità internazionale, inclusi i membri permanenti del CS dell’ONU, UE, NATO, OSCE, G8, avevano da un lato, oltre agli altri provvedimenti, unanimemente garantito il pieno e durevole rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità della Serbia (RFY), e dall’altro l’essenziale autonomia per lo status del Kosovo e Metohija.

 

Gli USA e la Gran Bretagna stanno tentando di omettere e anche di nascondere questi documenti e garanzie, nonostante essi fossero il perno della fine della guerra contro la Serbia (RFY) nel giugno 1999. Non dovrebbe essere tardi per mattere in risalto che questi accordi, approvati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, rimangono la base per la pace e la stabilità nella regione, oggi e in futuro. Queste potenze stanno provando oggi, in “ambito democratico” di ottenere, con manipolazioni e doppi giochi, più di quello che hanno conseguito otto anni fa attraverso un’aggressione militare senza precedenti. Contrari alle garanzie di sovranità e integrità territoriale della Serbia date al governo di Slobodan Milosevic, oggi sostengono che Milosevic aveva perso la provincia e che le attuali autorità “democratiche” in Serbia non hanno responsabilità per questo, e ci si aspetta solo che riconoscano formalmente questo fatto! O, almeno, che non si oppongano alla sottrazione forzosa del 15 percento del territorio della stato. Ancora, le stesse potenze hanno iniziato le negoziazioni di Vienna sul futuro status della provincia con Marti Ahtisaari come interlocutore delle Nazioni Unite. I colloqui sono durati circa un anno ma Marti Ahtisaari e il suo deputato austriaco Albert Rohan hanno speso molte energie in diversi problemi tranne che sul più importante, il futuro status della provincia. Ciononostante, hanno presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la proposta che il Kosovo e Metohija dovrebbe essere uno stato indipendente. Supervisionato ma indipendente!

 

I colloqui di Vienna sono stati concepiti come parte della tecnica di giustificazione mediatica del progetto di indipendenza. Questi colloqui sono stati progettati e diretti dal duo Ahtisaari-Rohan per mostrare all’opinione pubblica che le parti non concordano e per camuffare il modo di imporre la secessione del 15 percento del territorio dello stato serbo. In sostanza, i colloqui di Vienna sono stati la ripetizione, o la seconda parte, dei cosiddetti colloqui di Rambouillet all’inizio del 1999, che erano stati studiati per aprire la strada all’aggressione NATO, aggressione incominciata il 10 marzo 1999. E’ evidente che gli americani avevano promesso alla dirigenza del KLA l’indipendenza della provincia già nel 1988, e sulla base di questa promessa le forze del KLA hanno agito come corpo terrestre della NATO durante l’aggressione. Come altre rivelazioni nel frattempo confermate, tutto questo è stato parte del piano per far cadere il presidente Slobodan Milosevic, ritenuto un ostacolo alla strategia USA e NATO nella regione.

 

E’ divenuto chiaro che la destabilizzazione di Milosevic ed il cambio di potere in Serbia nell’ottobre del 2000 non ha mutato in meglio la politica anglo-americana verso la Serbia. Anzi l’opposto. Non accettano di confermare neanche con la “amichevole e democratica” dirigenza gli accordi presi con il nemico Milosevic, alla fine dell’aggressione del 1999. Un discreto numero di politici americani va ripetendo apertamente che è negli interessi americani creare uno “stato musulmano moderato (Kosovo) nel cuore dell’Europa”, cercando così di provare che gli USA sono amici dei musulmani nel mondo. Allo stesso modo, gli americani stanno lavorando sodo per rivedere gli Accordi di pace di Dayton-Parigi sulla Bosnia e imporre uno stato dominato dai musulmani. Praticamente la Serbia è trattata dagli USA come moneta di scambio per riconciliarsi col mondo musulmano. La Serbia rifiuta con indignazione questo trattamento. L’Europa è felice riguardo alla politica americana di installare un nuovo “stato musulmano moderato nel cuore dell’Europa”?

 

Nel portare avanti questo piano, gli anglo-americani comunque incontrano alcune difficoltà inaspettate, se non ostacoli insuperabili. La prima è la politica e il consenso nazionale dei serbi a rigettare qualsiasi proposta che porti alla divisione del territorio dello stato, al cambiamento dei confini internazionali, a ogni forma di indipendenza della provincia. Questa posizione è diventata parte integrante della Costituzione adottata con referendum nazionale. La seconda è il fermo atteggiamento della Russia in opposizione ad ogni proposta che non sia in accordo con i principi universali del diritto internazionale, con le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e con le istanze di entrambe le parti, Belgrado e Pristina. I paesi della regione e oltre, benché sotto la tremenda pressione di Washington per allinearsi, temono che supportando, o riconoscendo l’indipendenza della provincia contro il volere della Serbia, potrebbe realizzarsi un vero e proprio precedente per molti altri paesi che affrontano movimenti separatisti di minoranze. Tali movimenti sono attivi non solo nei Balcani e nelle cosiddette regioni post-sovietiche, ma anche in alcuni paesi membri dell’UE. Questo spiega perché sarebbe molto difficile assicurare il consenso all’interno dell’UE sull’imposizione della separazione della provincia dalla Serbia. Così lo status del Kosovo e Metohija potrebbe divenire un tema sensibile non solo nelle relazioni atlantiche, ma anche all’interno dell’UE stessa. Arricchire la discussione su sicurezza comune e politica estera!

 

Per neutralizzare le ovvie riserve e i rifiuti all’idea di un Kosovo e Metohija indipendente, i rappresentanti americani, incluso recentemente il presidente George Bush, stanno affermando che “il caso del Kosovo (indipendenza) è unico” e di conseguenza non può essere un precedente. Questo, comunque, difficilmente può convincere qualcuno. Ci sono così tanti casi “unici”. In aggiunta, tutti ricordano che l’amministrazione Clinton aveva già promesso ai suoi alleati europei che l’aggressione della NATO contro la Serbia (RFY) sarebbe stata “unica”, non un precedente, ma subito dopo lo divenne per l’aggressione contro l’Iraq. E’ anche usata per fermare il programma nucleare iraniano. Durante la sua recente visita in Albania e a Sofia, il presidente Bush, in tipico stile americano, ha pubblicamente offerto un accordo a Belgrado: accettazione dell’indipendenza del Kosovo in cambio dell’appoggio USA all’ingresso della Serbia nell’UE!

 

Quali dovrebbero essere gli elementi per una proposta ragionevole?

 

Primo, la proposta di Ahtisaari non è frutto di negoziati ma dettata da una posizione di forza. Viola i principi di base del diritto internazionale, i principi della Carta dell’ONU e il documento finale di Helsinki (OSCE) e la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (1999). Questa proposta comunque è stata rigettata da Serbia, Russia, Cina e altri paesi. Non può avere l’approvazione e il supporto del Gruppo di contatto, Consiglio di Sicurezza dell’ONU, OSCE, UE, Movimento dei Paesi non-allineati e altre organizzazioni. Perciò dovrebbe essere abbandonata. Reali e significative negoziazioni dovrebbero aprirsi tra il governo della Serbia e le istituzioni provvisorie nella provincia, sotto gli auspici dell’ONU, con l’obiettivo di ricercare una soluzione di compromesso, senza pregiudizi e limiti temporali artificiali.

 

Secondo, il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Serbia è fuori da ogni discussione e accordo. La struttura del futuro status della provincia consiste nell’autonomia e nell’autogoverno all’interno della Serbia, come previsto dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quanto a forma, sostanza e garanzie dell’autonomia, gli esempi e standard europei dovrebbero essere seriamente esaminati traendone il meglio per entrambe le parti, regolati e applicati (esempio del Sud Tirolo, Isole Aland, e altri). La provincia deve essere smilitarizzata.

 

Terzo, parallelamente con i negoziati, passi concreti devono essere fatti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per il ritorno libero e sicuro alle loro case dei circa 250.000 rifugiati. Ricostruzione delle case, monasteri e chiese distrutte, in cooperazione con le organizzazioni internazionali competenti ed eroganti.

 

Quarto, piena realizzazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (1999), incluso il ritorno di un numero limitato di esercito e polizia serbe nella provincia; questa risoluzione fu adottata sulla base di negoziazioni e riconosciuta della Serbia (FRY), quindi non può essere abolita, rimpiazzata né cambiata senza il consenso della Serbia.

 

Quinto, solo le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU basate su negoziati saranno considerate legali, valide e vincolanti per tutti. Ogni decisione o passo, sia unilaterale che multilaterale, che contravvenga ai principi di base del diritto internazionale, o alle concrete decisioni delle Nazioni Unite, come la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, saranno considerate nulle e non valide.

 

In chiusura, vorrei sottolineare che la soluzione sul futuro status del Kosovo e Metohija avrà sicuramente un impatto non solo sulla stabilità della Serbia e dei Balcani, ma sull’intera Europa e anche sul futuro delle relazioni globali. Vorrei che quest’impatto fosse positivo, in favore della pace, stabilità e progresso per tutti i popoli. Sarà così se la legge e la giustizia prevarranno sull’arroganza e l’imposizione. Vi ringrazio.

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia


ZUR KORRUPTION INTERNATIONALER STRAFJUSTIZ

Von Klaus von Raussendorff


Das Verfahren zum Lockerbie-Anschlag von 1988, das demnächst vor dem
Obersten Schottischen Gericht überprüft werden soll, ist ein frühes
Beispiel für den Einsatz internationaler Strafgerichtsbarkeit gegen
Länder, die sich gegen die USA und ihre Verbündeten unbotmäßig
verhalten. Sondertribunale z.B. gegen Jugoslawien, Ruanda, Irak und
jüngst Libanon (Syrien) etc. bedrohen nicht nur das friedliche
Zusammenleben der Völker. Auch ein eisernes Prinzip der liberalen
Demokratie bleibt dabei auf der Strecke: Die Gewaltentrennung
zwischen vollziehender Gewalt und Recht sprechender Gewalt.

Die "Grenzlinie zwischen einem unparteiischen Verfahren und
Siegerjustiz ist schnell überschritten, wenn das Erfordernis der
Unparteilichkeit keinen Rückhalt in einer institutionellen
Unabhängigkeit hat," meint Professor Hans Köchler. Eine solche
Unabhängigkeit sei bei keinem dieser Sondergerichte gegeben gewesen.
In einem Forschungspapier der International Progress Organisation 1)
kritisiert der österreichische Philosophieprofessor, Autor eines
Standardwerkes zum Thema 2) Status und Struktur dieser
Sondergerichte. Er zeigt, dass universelle Gerichtsbarkeit nicht
regionalisiert werden kann (ausgenommen wie beim Europäischen
Menschenrechtsgerichtshof des Europarats in einem permanenten
regionalen Organisationsrahmen).

Die Sondertribunale des UN-Sicherheitsrats für das ehemalige
Jugoslawien und Ruanda seien "von Anfang an nicht in der Lage
gewesen, ihre Glaubwürdigkeit als echte Gerichte zu begründen." Das
Internationale Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) in
Den Haag, vor dem der Prozess gegen Präsident Slobodan Milosevic bis
zu dessen ungeklärtem Tod in der Haft stattfand, habe "als ein
politisches Forum agiert und das Recht im wesentlichen für die Zwecke
einer Staatenkoalition benutzt, die politisch und militärisch im
ehemaligen Jugoslawien intervenierte." Die einzige Bestimmung der
Charta der UN, auf die sich der Sicherheitsrat bei seinem -
"rechtlich unhaltbaren" - Anspruch auf ein Mandat zur Schaffung
irgendwelcher Tribunale stützt, ist Art. 39. Dieser regelt
Zwangsmaßnahmen zur Wahrung von Frieden und Sicherheit. Er definiert
keine gerichtliche sondern eine politische Kompetenz. Die
Verwechslung und Vermischung der Ausübung exekutiver Gewalt durch den
Sicherheitsrate mit der Ausübung internationaler Strafgerichtsbarkeit
ist nach Auffassung von Köchler eine verhängnisvolle Fehlentwicklung.

Daher konnte auch das internationale Verbrechen des Lockerbie-
Anschlag vor einem regionalen - oder quasi-regionalen - Sondergericht
"nicht in einer glaubwürdigen und konsistenten Weise strafrechtlich
verfolgt werden." Formal handelte es sich um ein Vorhaben der
schottischen Justiz unter extraterritorialen Gegebenheiten auf
holländischem Boden vor einem Gericht, das als ein Sondergericht
gemäß einer Sicherheitsratsresolution nach Kapitel VII der UN-Charta
eingerichtet worden war. Die Regierungen der USA, Großbritanniens und
Libyens hatten sich nicht über die Auslegung der Montreal-Konvention
von 1971 zur Sicherheit der Zivilluftfahrt einigen können. "Wegen der
- fast unvermeidlichen - Politisierung des Verfahrens, die sich aus
dieser Konstellation ergab, produzierte das Verfahren wie auch das
Berufungsgericht höchst inkonsistente Urteile." Der Fall muss nun vor
dem Obersten Schottischen Gericht neu aufgerollt werden.

Der "Irakische Oberste Strafgerichtshof" ist ein weiteres
abschreckendes Beispiel. "Dieses Tribunal ist kein Gericht, weil es
auf Anordnung der Besatzungsmacht in Verletzung der Dritten Genfer
Konvention eingerichtet wurde." Als ein von den USA initiiertes
Sondergericht "soll es sich mit internationalen Verbrechen der Führer
eines besiegten Landes - oder Mitgliedern einer abgesetzten Regierung
- befassen". Dadurch gerate "die ganze Operation des Gerichtshofs
unter (direkte) Kontrolle der führenden Besatzungsmacht." Deren
"strategische Interessen" bestimmen die Erhebung von Beweisen, die
Auswahl der Verdächtigen, die Abfassung der Anklagen etc." (nicht zu
reden von der Ausbildung des Gerichtspersonals im Ausland durch
Experten der USA und Großbritanniens). Der "gemischt innenpolitisch-
regionale Rahmen" des Tribunals garantiere eine "fast totale
Kontrolle" der USA auf Grund der Invasion des Landes, für welche die
Führer der USA jedoch nicht vor einem unparteiischen internationalen
Gericht zur Verantwortung gezogen werden können. Denn der
Internationale Strafgerichtshof besitze keine autonome
Gerichtsbarkeit. Die USA könnten mit ihrem Veto im Sicherheitsrat
seine Befassung verhindern.

Ähnlich verhält es sich laut Professor Köchler mit der "ziemlich
erratischen Praxis universeller Gerichtsbarkeit durch die belgische
Justiz auf der Basis eines Gesetzes über Kriegsverbrechen von 1993."
Dass dieses von der außenpolitisch in Schwierigkeiten gebrachten
belgischen Regierung im Wege von Novellierungen ziemlich schnell
wieder erledigt worden sei, habe "dem naivsten Beobachter
internationaler Vorgänge gezeigt, dass die Anforderungen an eine
globale Justiz nicht mit den außenpolitischen Interessen eines
Nationalstaates vereinbar sind."

Der Internationale Strafgerichtshof in Den Haag könnte nach Meinung
von Professor Köchler vielleicht einmal "einen angemessenen
Verfahrensrahmen für die Ausübung einer universellen Gerichtsbarkeit
abgeben, wenn eines Tages die mächtigen Staaten, einschließlich aller
permanenten Mitglieder des Sicherheitsrates, dem Statut von Rom
beigetreten sein werden." Doch das Statut des IStGH räumt dem
Sicherheitsrat eine privilegierte Rolle ein. Dieser entscheidet, ob
Ermittlungen oder Anklagen dem IStGH zugewiesen oder entzogen werden.
Damit hat das höchste Exekutivorgan der UN die Kontrolle über die
Ausübung der Rechtsprechung des Gerichts. "Das bedeutet, das das
unerlässliche Erfordernis einer Gewaltentrennung nicht einmal im
Statut des IStGH erfüllt ist." Soweit Professor Köchler.

Das jüngste Internationale Tribunal, das der Sicherheitsrat am 30.
Mai zur Verfolgung der Verantwortlichen für die Ermordung des
ehemaligen libanesischen Ministerpräsidenten Rafik Hariri beschloss,
ähnelt auffällig dem Vorgehen gegen Libyen im Lockerbie-Fall. Auch im
Libanon geht es um einen spektakulären Terroranschlag. Auch hier sind
die politischen Nutznießer des Terrors die USA, Israel und ihre
libanesischen und andere Verbündeten. Auch hier soll ein arabisches
Land, Syrien, unter Druck gesetzt werden. Und auch hier arbeitete der
erste Ermittler, der Berliner Staatsanwalt Detlev Mehlis, mit
fragwürdigen Methoden und Behauptungen. Durch öffentliche spekulative
Behauptungen lenkte Mehlis den Verdacht auf Syrien. Auf sein Geheiß
wurden vier libanesische Generäle verhaftet, die bis heute ohne
konkrete Tatvorwürfe, geschweige denn eine Anklage ihrer Freiheit
beraubt werden. "Mehlis stand unter dem Einfluss einer bekannten
libanesischen Gruppe. Er war Opfer von Manipulationen bestimmter
Mitglieder dieser Gruppe und von Pressionen der USA." So ein intimer
Kenner der libanesischen Politik, der damalige französische
Kommandant der Friedenstruppe UNIFIL, General Alain Pellegrini, im
Interview mit der Hezbollah nahe stehenden Wochenzeitung Al Intiqad
v. 13. Juli. Mehlis Nachfolger, der Belgier Serge Brammertz sei
dagegen "ein erfahrener Mann, der fern von allen Pressionen und von
Politisierung arbeitet."

Wenn der Verwilderung der internationalen Strafjustiz auch
hauptsächlich dadurch Grenzen gesetzt werden, dass die betroffenen
Länder und Völker gegen die eigentliche Ursache dieser pseudo-
juristischen Barbarei, nämlich gegen die Kriege und Interventionen
der Großmächte, Widerstand leisten, so können und müssen doch auch
die Möglichkeiten genutzt werden, die in westlichen Ländern gegeben
sind. In der Tradition des "Russel Tribunal" von 1967 gegen den
Vietnam-Krieg entstanden Tribunale der zivilen Öffentlichkeit zum
Jugoslawien-Krieg und zum Irak Krieg. Sie haben Verantwortliche
namhaft gemacht und Kriegsverbrechen dokumentiert. So war es schon
heute möglich, Beweismaterial zu sammeln, damit bisher unbehelligte
Hauptkriegsverbrecher vielleicht eines Tages vor ordentlichen
Gerichten zur Verantwortung gezogen werden können. In Deutschland
wurde Strafanzeige gegen den ehemaligen US-Verteidigungsminister
Rumsfeld gestellt, sie scheiterte jedoch bisher an der NATO-
Bündnistreue der deutschen Justiz. Als während des Verfahrens gegen
Präsident Slobodan Milosevic Spendengelder für seine Verteidigung von
einer deutschen Oberfinanzdirektion und höheren politischen Instanzen
in missbräuchlicher Ausnutzung einer EU-Richtlinie beschlagnahmt
wurden, konnte der Eingriff gerichtlich abgewehrt werden. Immerhin
handelte es sich um einen schwerwiegenden Eingriff in das Grundrecht
auf Verteidigung vor Gericht. Wichtig ist auch die politische und
juristische Aufarbeitung der Rolle der Internationalen
Straftribunale. Zum ICTY gibt es auf der Webseite www.free-slobo.de
eine umfangreiche Dokumentation. Auch liegen inzwischen Bücher über
den Milosevic-Prozess von Cathrin Schütz, John Laughland und Germinal
Civikov vor. 3) Und der juristisch-politische Kampf gegen das
Tribunal muss auch deshalb weitergehen, weil dieses für den Tod von
Milosevic verantwortlich zu machen ist. Die Familie Milosevic fordert
mit Unterstützung des Internationalen Komitees für die Verteidigung
von Slobodan Milosevic Aufklärung der Todesumstände und Bestrafung
der Verantwortlichen (siehe: http://www.jungewelt.de/2007/07-16/047.php)

Schließlich ist zu betonen, dass die Korruption der internationalen
Strafjustiz auch als eine parallele Entwicklung zum innerstaatlichen
"Antiterrorkampf" zu sehen ist, der sich seit den Terroranschlägen in
den USA am 11. September 2001 immer mehr als ein enormes
Umorientierungs-, Umerziehungs- und Umgestaltungsprogramm erweist.
Eine zusammenfassende Übersicht über die "Sicherheitsmaßnahmen" der
letzten Zeit bietet der Rechtsanwalt und Publizist Rolf Gössner,
Präsident der Internationalen Liga für Menschenrechte, in seinem
jüngsten Buch 4). Anscheinend geht es um ein regelrechtes Programm
der Demontage hergebrachter Grundsätze des Völkerrechts, der
Menschen- und Bürgerrechte und des liberal-demokratischen
Rechtsstaates geht.


Anmerkungen:

1) Webseite der International Progress Organisation (I.P.O.) www.i-p-
o.org .

2) Hans Köchler, Global Justice or Global Revenge? International
Criminal Justice at the Crossroads, (Springer-Verlag) Wien, 2003.

3) Cathrin Schütz, Die NATO-Intervention in Jugoslawien -
Hintergründe, Nebenwirkungen und Folgen, (Braumüller Verlag, Ethnos
Bd.62 XII), Wien 2003; John Laughland, Travesty, The Trial of
Slobodan Milosevic and the Corruption of International Justice,
(Pluto) London, 2007; Germinal Civikov, Der Milosevic-Prozess -
Bericht eines Beobachters (Promedia) Wien 2006.

4) Rolf Gössner, Menschenrechte in Zeiten des Terrors -
Kollateralschäden an der ,Heimatfront', (konkret Literaturverlag),
Hamburg 2007


Quelle: Anti-Imperialistische Korrespondenz (AIKor) -
Informationsdienst der Vereinigung für Internationale Solidarität
(VIS) e.V.,
Redaktion: Klaus von Raussendorff
Postfach 210172, 53156 Bonn; Tel. & Fax: 0228 - 34.68.50;
AIKor-Infos können auf der Seite der AIKor http://www.aikor.de
unter "Info-Dienst der AIKor" runter geladen werden


Iniziative sulla condizione Rom nelle metropoli

1) ROMA 19 LUGLIO: MANIFESTAZIONE AL CAMPO DI CASTEL ROMANO
- ''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il degrado del campo rom di Castel Romano
- Background I :  ''Non siamo cani'': i rom si ribellano
- Background II : Caro Veltroni, perché vuoi mandar via i Rom da Roma? 

2) MILANO 23 LUGLIO: MANIFESTAZIONE A PIAZZA SCALA

3) VERSI DAL SILENZIO - antologia di poesie romanì


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(I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte...
La locandina della manifestazione si può scaricare anche dal nostro sito:


''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il  
degrado del campo rom di Castel Romano

E’ quella del pozzo del campo dove vivono circa 1000 persone, l’unica  
disponibile per il migliaio di persone, molti i bambini. “Alcuni dei  
nostri bambini si sono già ammalati di epatite”
  
ROMA - "Acqua non potabile”. In confezioni da due litri,  
imbottigliata e distribuita a Castel Romano, al chilometro 20 della  
via Pontina, a Roma. L'acqua è delle più torbide e sul fondo della  
bottiglia precipita il terriccio in sospensione. L"etichetta  
raccomanda: "solo uso esterno e fanghi”. E più sotto specifica:  
“Acqua non potabile distribuita un'ora al giorno a 1.500 persone”. E"  
l’acqua del pozzo del campo rom di Castel Romano. L’unica disponibile  
per il migliaio di persone, molti i bambini, ospitati nella struttura  
aperta nel settembre 2005. I rappresentanti della comunità Korahanè  
del campo, l’hanno imbottigliata e ne faranno omaggio alle autorità  
responsabili per denunciare la situazione di degrado del campo.  
“Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite, per aver  
bevuto quell’acqua”, dice Luigi, un trentenne residente nel campo,  
che aggiunge: “Come è possibile che, in Italia, mille persone siano  
tenute senza acqua potabile? Ho sempre lavorato, sono in Italia da  
vent’anni, come tanti altri. Eppure lo stato ci costringe ad essere  
nomadi”. I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte per “richiedere un  
intervento urgente da parte delle autorità teso al ripristino delle  
condizioni di vivibilità e sicurezza per le 1.000 persone che vi  
abitano”.
  
© Copyright Redattore Sociale

(la locandina della manifestazione del 19 luglio 2007 a Castel Romano si può scaricare anche dal nostro sito:

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''Non siamo cani'': i rom si ribellano ai patti di sicurezza di Amato e Veltroni

Prevedono il trasferimento di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dal raccordo anulare. Najo  
Adzovic: ''E' tempo di reagire'' . Dure critiche alle associazioni  
che gestiscono i campi

ROMA - Non siamo nomadi. Basta con i campi, vogliamo una casa. Le  
comunità rom di Roma si schierano contro i patti di sicurezza  
sottoscritti da Amato e Veltroni lo scorso maggio, e che prevedono il  
trasferimento in massa di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dall'autostrada del raccordo  
anulare. "E" tempo di reagire - dichiara Najo Adzovic (Campo Casilino  
900) - non possono deportarci e recintarci come cani”. Dure le  
critiche alle associazioni e cooperative che gestiscono i campi  
"Basta lucrare sulle nostre spalle ­ dice Graziano Alilovic (Campo La  
Barbuta) ­. Vogliamo case, non campi. Le associazioni ci dicano da  
che parte stanno”.

Quella del diritto alla casa è la prima delle richieste del  
coordinamento dei rom, riunitosi questa mattina all"università La  
Sapienza in un incontro con la stampa. “Chiediamo al sindaco case  
popolari”, dice Meo Hamidovic (Campo Castel Romano). Hamidovic vive  
al campo di Castel Romano dal 14 settembre 2005. Allora venne  
sgomberato il campo di vicolo Savini, a Ponte Marconi. Mille persone  
trasferite a Castel Romano, in quello che si annuncia come prototipo  
dei villaggi della solidarietà proposti dai patti di sicurezza  
firmati a maggio, a Roma, dal sindaco Walter Veltroni, da Enrico  
Gasbarra, Piero Marrazzo e dal Prefetto Serra - oltre al ministro  
Amato. Undici milioni di euro in tre anni dalla Regione Lazio,  
quattro milioni dal Comune di Roma e un ulteriore contributo da parte  
della Provincia di Roma, per rivedere l'assetto dei campi rom.  
Seimila persone ­ dichiara il professor Marco Brazzoduro (La  
Sapienza) - rischiano la “deportazione” in località periferiche e  
isolate, che saranno definite entro il 23 luglio.

Nel campo rom di Castel Romano vivono mille persone, confinate in 220  
container al confine tra Roma e Pomezia, nel mezzo della riserva  
naturale di Decima-Malafede. Il luogo è talmente isolato che per  
spegnere un incendio divampato nel campo due giorni fa, a nulla è  
servito la chiamata ai vigili del fuoco, che non sono riusciti a  
raggiungere la zona con le autobotti. Il campo è gestito dall’Arci,  
per una convenzione che ammonta a 750.000 euro annui. “Il villaggio  
non è attrezzato, siamo senza acqua potabile, non c’è un solo posto  
all’ombra per i nostri bambini”, si lamenta Hamidovic. L’unica  
distribuzione idrica, per due ore al giorno, è realizzata con acqua  
di pozzo non potabile e inquinata. “Alcuni dei nostri bambini si sono  
già ammalati di epatite, per aver bevuto quell’acqua”, dice un  
trentenne residente al campo. Il primo centro abitato dista 8 km dai  
container, e le scuole dove i bambini erano iscritti prima dello  
sgombero da vicolo Savini, distano 20 km. Molti hanno abbandonato gli  
studi. Anche perché, denuncia Hamidovic, le scuole del XII municipio  
rifiutano di accogliere i nostri figli.

I rom criticano anche l’atteggiamento securitario con cui si sentono  
giudicati. “La società dei gage (i non rom, ndr) porta  
all’annullamento dell’identità ­ dice Bruno Morelli -. I problemi di  
microcriminalità esistono, ma sono legati alle condizioni di miseria  
dei campi e non alla cultura”. Morelli si è quindi appellato ai  
media, perché diano voce alle istanze di “una minoranza etnica e  
linguistica mai riconosciuta in Italia” e sostengano la lotta dei rom  
contro i campi, “rimasti soltanto in Italia”. Intanto  
l’amministrazione capitolina va in direzione opposta. Lo scorso 8  
luglio, sono infatti arrivati a Roma i cinque funzionari prestati  
dalle forze dell’ordine romene. Rimarranno per tre mesi, per favorire  
l’identificazione dei rom. (gdg)
  
© Copyright Redattore Sociale h 16.48 17/07/2007

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Da Liberazione del 5/05/2007, pag. 1 (segue a pag. 15) 
 
Caro Veltroni, perché vuoi  mandar via i Rom da Roma? 
 
Gennaro Loffredo* 
 
Caro signor Sindaco Veltroni, 
leggendo su Repubblica di ieri venerdì 4 maggio 2007, l'articolo di G. Vitale sul "Patto di legalità", 
forte mi è venuto il desiderio di scriverLe. Mai avrei pensato che un uomo così attento alle 
tematiche dell'accoglienza, dell'integrazione e dell'inclusione sociale, contro il razzismo, dagli alti 
proclami culturali, potesse un giorno arrivare a realizzare uno dei punti più "qualificanti" del 
programma elettorale di Gianfranco Fini di qualche anno fa, quando si propose come candidato 
Sindaco per il Comune di Roma: i rom fuori dal raccordo anulare. Sono molto deluso, signor 
Sindaco. La sento sempre più distante in questo secondo mandato. Distante da me, dalla mia 
famiglia, dalle mie idee di società, da quello che più volte Le ho sentito dire con convinzione. 
Almeno così mi pareva. Io, maestro elementare, ho cominciato la mia esperienza lavorativa 
occupandomi dell'alfabetizzazione dei bambini/e rom del campo di Tor dei Cenci che frequentavano 
le scuole di Spinaceto. Ho continuato ad occuparmi di rom, appassionandomi sempre di più, anche 
quando sono approdato alla mia attuale scuola, la "Ex-Tor Carbone", nel quartiere Roma 70. Ho 
seguito i bambini/e del campo di Vicolo Savini e diverse loro famiglie. Vicolo Savini aveva, è vero, 
una parvenza molto simile ad un lager - unica via d'accesso e perimetro in cemento armato e filo 
spinato -, era, nonostante gli sforzi anche economici ma mai risolutivi, degradato e sovraffollato; 
ma era dentro la città. Invisibile - poiché via della Vasca Navale è nascosta agli sguardi di chi 
passa su Ponte Marconi - ma dentro la città. I bambini/e, frequentando ormai da anni le nostre 
scuole, si andavano sempre più integrando nel tessuto sociale del nostro Municipio, tirandosi dietro 
anche le famiglie. Feste di quartiere, compleanni di amici/che "gagé", continue visite al campo da 
parte di alunni/e con i papà, le mamme, gli/le insegnanti, genitori rom che partecipavano sempre 
più alle riunioni tra genitori a scuola... Insomma, anni di lavoro che raccoglievano gradualmente i 
primi frutti. Il risultato del nostro lavoro a scuola, come Lei saprà, si vede a distanza di tempo. 
Intorno ai rom di Vicolo Savini si era sviluppato, grazie anche alle politiche messe in atto da attenti 
amministratori del Municipio Roma XI, un tessuto sociale accogliente e solidale.  
Certo non si può dire che era tutto oro quello che luccicava; ma, d'altra parte, anche nei grandi 
eventi di "Veltronia" l'oro è solo in superficie! Bene... Ho preso parte al processo che avrebbe 
dovuto portare al superamento di Vicolo Savini. Va ricordato che furono i rom stessi a lanciare la 
campagna "Ultimo inverno a Vicolo Savini" ed intorno ad essa si sviluppò, a partire dalle scuole, 
una rete territoriale molto ampia che arrivò all'interlocuzione con i livelli istituzionali competenti. 
Come ben ricorderà, signor Sindaco, i bambini/e della mia scuola e non solo, Le inviarono un 
migliaio di lettere chiedendoLe di aiutare i loro compagni/e di classe a trovare una sistemazione 
più consona alla dignità di un essere umano. Si avviò un vero processo di partecipazione all'interno 
del quale i rom furono realmente protagonisti, se protagonista si può definire chi nulla possiede e 
che col cappello in mano chiede. Incontri dopo incontri presso l'assessorato della Milano, coordinati 
dal Dottor Alvaro, abile tecnico ed ottimo stratega della pubblica amministrazione capitolina, alcuni 
ufficiali altri per pochi. Promesse, impegni, fotografie di moduli abitativi...Ecco la " terra promessa 
"...I rom abboccano, accettano di spostarsi sulla Pontina, fuori dal raccordo, ritenendo di aver 
avuto sufficienti garanzie. Espressi pubblicamente la mia contrarietà esplicitando le mie perplessità 
ma rispettando tuttavia la decisione presa dai rappresentanti della comunità rom. Quello che si era 
perso di vista, a mio parere, erano i desiderata degli uomini e delle donne rom. I sogni dei loro 
bambini e dei ragazzi. Desiderata che erano venuti fuori da un'indagine fatta "in profondità" su un 
campione volontario di abitanti del campo, attraverso colloqui individuali, con lo strumento di 
questionari preparati e somministrati da esperti dell'Arci e dell'Università Roma Tre. Dati pubblicati 
e presentati in una iniziativa pubblica presso il Campidoglio dove, guarda un po' Signor Sindaco, 
non partecipò nessuno della Sua amministrazione. Sono passati tre anni dallo spostamento del 
campo sulla Pontina. Il risultato? Sempre meno bambini/e vanno a scuola, non c'è ancora l'acqua 
potabile, nessun tipo di vita sociale fuori dal campo, il negozio alimentare cui rifornirsi più vicino è 
a dieci chilometri, etnie che avrebbero voluto vivere separate convivono, non è stato " preparato " 
un tessuto sociale atto ad accogliere e disponibile ad integrarsi con portatori di cultura e tradizioni 
diverse dalle nostre. Bel risultato signor Sindaco. I rom fuori dal raccordo anulare. Ci credo che 
Alemanno applaude a questa decisione presa con il Prefetto Serra. E' nel loro dna - della destra 
intendo - non nel Suo. Ma le mutazioni genetiche, si sa, sono cosa dei nostri tempi. E' difficile 
gestire tutte le contraddizioni che attraversano una metropoli quale è Roma. E capisco che è 
difficile amministrarla. Pur tuttavia ritengo che, per Sua storia e formazione, Lei non può farlo 
come chiunque altro/a. Usi pure i teatri per spettacolarizzare la politica, ma scenda anche più 
spesso tra la gente, ne assuma i bisogni e metta al centro della sua attività gli ultimi: Lei sa chi 
sono. E' vero che c'è bisogno di maggiore legalità ma non serve un patto; serve più educazione 
alla legalità e forse la scuola, se ci si investisse maggiormente, potrebbe assumere un ruolo 
centrale.  
 
*maestro elementare 

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LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA

INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

ROM E SICUREZZA: E’ QUESTO IL VERO PROBLEMA DI MILANO?

 

Un’emergenza si è abbattuta sulla città e la provincia di Milano: l’invasione dei rom. Per rispondere a questa calamità presunta le amministrazioni comunali provvedono a sgomberi senza né capo né coda perché non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna in condizioni sempre più precarie.  
La scoperta che la sicurezza è un diritto dei cittadini e che la legge e la polizia devono intervenire per impedire sfruttamento e infrazioni del codice penale è la scoperta dell’acqua calda visto che la legge dovrebbe valere per tutti, rom e non rom. Ma soprattutto nasconde la cattiva coscienza di chi in questi anni ha lasciato crescere l’impunità in tutti i campi – dalle grandi speculazioni immobiliari all’evasione fiscale, alla mancata politica contro traffico e inquinamento -, costruendo le condizioni di una sensazione generale di insicurezza e frustrazione.
Una politica responsabile e degna di un Paese civile non insegue il malcontento e il pregiudizio ma costruisce le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica, sicura e rispettosa delle diverse culture, sconfiggendo gli imprenditori della paura, le forze politiche più reazionarie e razziste, che su questo terreno costruiscono le loro fortune elettorali.
Il problema va affrontato su diversi piani, assumendo l’obiettivo della convivenza tra cittadini che fanno parte della stessa comunità con una visione più generale del complesso problema dell’immigrazione. Ma c’è un piano che va affrontato immediatamente ed è quello che riguarda, in questo momento, le condizioni di vita di queste persone, uomini donne e bambini che cercano, come tutti, un angolo di pace, di serenità e di sicurezza sociale e per i quali si prospetta una vera e propria emergenza umanitaria. 
Per il superamento della politica dei campi nomadi, che diventano ghetti e come tutti i ghetti possibile fonte di degrado umano e sociale
Per una moratoria sugli sgomberi nella città di Milano e in Provincia,
Per la costituzione di tavoli di concertazione reale del Comune, della Provincia, della Regione,
Per un investimento sistematico sulle comunità per sviluppare professionalità in ambiti "imprenditoriali" e formare figure come i mediatori culturali,
Per contrastare il "razzismo istituzionale" e il trattamento discriminatorio nella pubblica amministrazione e nei servizi, vere e proprie violazioni dei diritti umani

 

LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA
INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

Con testimonianze di Renato Sarti, Bebo Storti,
messaggi di Dario Fo e Moni Ovadia letti da Dijana Pavlovic,
più musica rom  e altro

Al prefetto di Milano

Al consiglio comunale di Milano

Alla società civile di Milano

 


Il consiglio comunale di Milano ha deciso a larga maggioranza con la sola opposizione di cinque consiglieri della minoranza, di sgomberare i campi nomadi abusivi. Immediatamente la giunta comunale ha proceduto a sgomberi a tappeto senza predisporre nessun tipo di soluzione per centinaia di rom rumeni che si trovano ora in condizioni disperate determinando gravi situazioni di tensione come è avvenuto al campo di via Triboniano o, come dopo l’incendio del campo di via S. Dionigi, lasciando senza più nulla oltre duecento persone.

Le conseguenze di questa scelta destano grandissime preoccupazioni. Questi sgomberi non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna o, peggio ancora, a bivaccare nei parchi milanesi. Costretta a un nomadismo da tempo abbandonato perde le tracce di integrazione che si erano create - occasioni di lavoro, inserimento scolastico - una popolazione che ha lasciato il disastro della loro terra per cercare condizioni di vita e di lavoro dignitose nell’opulenta Lombardia e per questo sono disposti ad accettare condizioni che una società normalmente civile non dovrebbe consentire a nessuno.

Chi voleva, a parole, la sicurezza ora soffia sul fuoco 

genera una situazione di degrado umano e di conflitto;

legittima le azioni squadristiche contro i rom di leghisti e razzisti vari;

giustifica chi pensa che cittadini stranieri, persone e popoli abbiano meno diritti e più leggi speciali, secondo precedenti storici che hanno tragicamente segnato la storia umana;

infine abbandona a se stesse le molte associazioni e i volontari che  agiscono sul sociale e seguono i rom.

Noi crediamo che una politica responsabile e degna di un Paese civile non debba inseguire il malcontento, il disagio e anche il pregiudizio ma costruire le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica e rispettosa delle diverse culture.

Per questo chiediamo alle autorità prima di tutto di sospendere questa scelta dissennata che porta solo tensione, che si trovino nell’immediato soluzioni che rispettino la dignità e la condizione umana dei rom, infine che le aree vengano svuotate solo dopo aver trovato soluzioni abitative adeguate per tutti, avviando una politica concordata anche con i rom di processi di inserimento reale nel mondo lavorativo e sociale. 


(Message over 64 KB, truncated)

(Intellettuali di lingua albanese riunitisi a Tetovo - nell'odierna FYROM - hanno fatto appello per la unificazione in un unico Stato dei territori popolati da genti di lingua albanese. Nelle intenzioni dei nazionalisti pan-albanesi, infatti, la secessione kosovara non è altro che il preambolo per la disgregazione anche degli altri Stati limitrofi...)


http://www.javno.com/en/world/clanak.php?id=61069

Javno.com (Croatia)
July 10, 2007

Fighting For Kosovo Independence With Guns

Albanian intellectuals called for the unification of
all Albanians. They see Kosovo's independence as the
precursor of a national union.

Albanian intellectuals from Macedonia, Albania and
Kosovo gathered over the weekend in Tetovo and are
advocating the unification of all Albanians.

The representative of the Macedonian assembly Fazli
Veliu announced that he and the members of the former
so-called National Liberation Army would help the
Kosovo Liberation Army (UCK) to fight for Kosovo
independence with weapons if necessary, reports the
Macedonian press on Tuesday.

Reporting on writings in the media in the Albanian
language in Macedonia about the gathering of the
Albanian intellectuals that took place last weekend,
the Skopje daily newspaper Vreme writes that they
called for the unification of Albanians from all
regions and assessed that Kosovo’s independence was
only the precursor of national unification.

On Tuesday, the Skopje daily newspaper Dnevnik
reported the statement made by Fazli Veliu,
representative of the opposition party Democratic
Union for Integration in Macedonia’s parliament and
president of the [National Liberation Army] veterans’
association ONA, which had started an armed conflict
with Macedonian defense forces in 2001, saying that,
along with the Kosovo UCK, he would fight for Kosovo’s
independence.

“If the resolution of the Kosovo issue keeps being
postponed,” Veliu threatened, “very soon, we will join
UCK soldiers, first at big protests in order to
internationalize the issue and then, if necessary, we
will win Kosovo’s independence with weapons.”

He thinks that he would have to gather all 10,000 ONA
members who fought in Macedonia in 2001, writes
Dnevnik. 


Source: R. Rozoff through http://groups.yahoo.com/group/stopnato