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da "IL MANIFESTO" del 9 aprile 2005

KAROL WOJTYLA: Tutte le guerre dell'ultimo papa

di TOMMASO DI FRANCESCO

Appena è terminata la lunga, teatrale liturgia del saluto per l'ultima
volta in terra, in piazza S. Pietro, al papa globale Giovanni Paolo
II, un'altra «liturgia» non smetteva di lavorare, recitando la sua
parte. Migliaia e migliaia di militari hanno continuato a vigilare
sulla cerimonia e in una città blindata che ha visto all'opera agenti
dei servizi segreti di tutto il mondo, tiratori scelti, navi da guerra
allertate nei porti, spazio aereo chiuso pattugliato da bombardieri.
Non era certo l'eco di un temuto attentato al papa, visto che il
seggio è, ancora per pochi giorni, vacante. E' stato invece il segno,
tutto terreno, della reale rappresentazione del mondo nel quale ci è
dato vivere. Era l'ombra imperante della guerra. Così come
inverosimile invece era il recinto che faceva tutti eguali i potenti e
i governi della terra. Mentre le contrapposizioni del mondo, mal
sopite davanti all'essenziale bara in cipresso del papa, erano solo
nascoste dalla scelta del rituale: elencare il potere terreno sulla
base dell'alfabeto.

Quando tra alcuni giorni il conclave annuncerà il «gaudio» del nome di
un altro papa, allora si capirà che Karol Wojtyla è stato davvero
l'ultimo papa. Non certo nel senso della progressione numerica e
temporale. In quello profondo della inimitabilità e irriproducibilità
insieme della sua esperienza e della sua autorità.

Si è detto che questo papa ha fatto crollare il comunismo, i regimi
dell'Est, quello che insomma più correttamente abbiamo chiamato
«socialismo reale». Poco si è riflettuto sul principio d'autorità
derivato al papa proprio dal crollo di quel sistema che, è bene
ribadirlo, è precipitato nel baratro delle sue contraddizioni. Basta
ricordare che nel 1972 gli operai in rivolta in Polonia contro il
«loro» potere socialista a Danzica e Stettino sventolavano ancora
bandiere rosse e cantavano l'Internazionale, poco prima che la polizia
di regime sparasse sulla folla. Il sindacato Solidarnosc e il ruolo
politico della Chiesa nascono da questa sconfitta precedente. E un
pontefice non a caso venuto dall'Est, non poteva non esserne il primo
interlocutore ed essere quindi investito di questa eredità che, con la
caduta del Muro di Berlino prima e la fine dell'Unione sovietica poi,
di fatto cambiava la faccia della terra.

La conquista dell'est. E dei Balcani

Ma l'interrogativo profondo è chiedersi ora come Wojtyla ha speso
subito il bene prezioso dell'autorità derivatagli dalla fine di quel
mondo, proprio interagendo con quel processo. Se vogliamo rispondere
onestamente non possiamo non riconoscere che il papa globale è stato,
nell'occasione, parziale, nazionalista, ossequiente al «Cesare» di
turno, revisionista storico e co-responsabile di secessioni che hanno
alimento guerre sanguinose. E' stato un papa con le mani sporche di
sangue. Come potremmo definire altrimenti il ruolo del Vaticano
all'inizio del disastro dei Balcani nel 1991?

I governi europei uniti avevano deciso alla fine di quell'infausto
anno, di comune accordo, che di fronte alle pericolose secessioni che
si annunciavano in tutto l'est, si sarebbero dovute riconoscere solo
quelle che avvenivano «democraticamente, non in modo unilaterale,
senza il ricorso alla violenza e nel rispetto delle minoranze
interne». Solo dopo pochi giorni la Germania e il Vaticano riconobbero
l'indipendenza dalla Jugoslavia della Slovenia e della Croazia,
nonostante che si fossero autoproclamate indipendenti con la violenza,
nel disprezzo delle minoranze e sulla base dei princìpi etnici della
slovenicità e della croaticità, ben fissati nei primi articoli delle
rispettive costituzioni. Che fine avrebbero fatto in non sloveni -
mentre la Slovenia stato indipendente tagliava la Jugoslavia dal resto
dell'Europa - e in non croati nella cattolicissima Croazia, Wojtyla
non se lo chiese o se se lo chiese pensò ad un nodo facilmente
districabile. Quel nodo intanto veniva «sciolto» con lo scatenarsi di
una guerra nazionalistica da tempo preparata e da tutti, serbi, croati
e musulmani. Mentre ancora esisteva una Federazione jugoslava, con le
sue istituzioni, il suo esercito, il suo governo con tanto di sede
all'Onu. Fu l'innesco della guerra in Bosnia-Erzegovina, lì dove tutte
le etnie erano rappresentate quasi in una piccola Jugoslavia, con il
massacro dell'assedio di Sarajevo, ma anche con la strage di Mostar.
Era tornata la guerra in Europa, per la prima volta dopo la Seconda
guerra mondiale. Certo per responsabilità dei nazionalismi (alimentati
anche dall'esterno) e dei limiti della costituzione jugoslava, ma è
bene sottolineare che non sarebbe stato possibile senza la
deflagrazione dei riconoscimenti internazionali delle indipendenze
autoproclamate sulla base di identità etniche, grazie al ruolo della
Germania forte allora della riunificazione, e al suggello del
rappresentante in terra del dio cattolico, al secolo il polacco Karol
Wojtila. Era così tanto amato dai croati quel papa, quanto era odiato
dai serbi e dai musulmani. Apostolicamente il papa andò a Sarajevo nel
1997 alla fine della guerra ed accadde che, insieme alla curiosità di
una città sostanzialmente laica e moderna che aveva sopportato un
feroce assedio, e alla presenza mal sopportata di tanti cattolici
arrivati per l'occasione, ci fu un tentativo di uccidere il papa - una
potente carica di esplosivo sotto un ponte, qualcosa di più deleterio
degli spari di Ali Agca. Sventato all'ultimo momento grazie alla
scoperta di un complotto, così misterioso che nei mesi successivi
furono uccisi capi dei servizi, vice-ministri, e pezzi del governo di
Sarajevo vennero defenestrati dagli americani e dalla Nato. Eppure -
ecco il punto - il papa, accettando il nuovo principio dell'«ingerenza
umanitaria» aveva dato il suo benestare al bombardamento della Nato
delle postazioni serbe che circondavano Sarajevo ad agosto-settembre
1995. Fu l'ingresso della Nato nei Balcani, la prima trasformazione da
patto militare difensivo ad azione armata offensiva. E invece lo
stesso papa aveva taciuto su Mostar, sui massacri che le
cattolicissime milizie croate compivano a danno dei serbi e dei musulmani.

Fu proprio nell'occasione del viaggio a Sarajevo, alla fine di quella
guerra - ma può mai finire una stagione che riporta la guerra in
Europa - che il papa si domandò se era stato fatto tutto il possibile
per evitare quella guerra. Non poteva rispondersi pubblicamente,
riconoscendo di avere avuto le mani insanguinate. Da quel che
sappiamo, pronunciò solo un enfatico ma significativo: «Che abbiamo
fatto..!».

Una Via Crucis tra i conflitti

Si parla tanto di Via Crucis. E' proprio da allora che Giovanni Paolo
II ha cominciato, solo cominciato, sulla guerra una sorta di road-map
dolorosa, un viatico insieme autocritico da inverare, volta a volta
però, o con il rifiuto secco e netto o con il silenzio assenso - come
era del resto accaduto per la prima guerra del Golfo nel 1990-91 e
poi, più ambiguamente, per la sanguinosa avventura militare in Somalia
nel 1993-1994. Una Via Crucis, ma restando fedele allo spirito di
conquista delle sue prime iniziative verso l'Est negli anni Novanta. A
partire dalla nomina in Russia di 11 vescovi in regioni dove il
cattolicesimo era a dir poco improbabile, appena venne ammainata sul
Cremino la bandiera rossa, così compromettendo per sempre il rapporto
con la chiesa ortodossa; oppure con il suggello dato al revisionismo
storico, quando beatificò nel 1998 la figura del cardinale Alojs
Stepinac che aveva benedetto il regime nazi-fascista di Ante Pavelic
in Croazia; o ancora, più recentemente nel 2000, quando beatificò
sacerdoti in Slovacchia demonizzando il comunismo, ma semplicemente
tacendo sulle responsabilità della Chiesa che aveva visto il vescovo
Josef Tiso, la massima autorità ecclesiale slovacca negli anni
Quaranta, governare il paese ed allearsi con Hitler - e dei 90mila
ebrei slovacchi non si salvò nessuno.

Una Via Crucis che, da allora in poi, ha portato questo papa ad essere
strenuamente contrario ad ogni guerra o presunta ingerenza umanitaria,
e limpidamente facitore del messaggio della «pace attraverso la pace».
E' accaduto nel 1999 con la guerra «buona», «umanitaria», quella che
ha visto protagonista il centrosinistra mondiale al governo in Europa
e negli Stati uniti con Bill Clinton, scatenare una guerra impari
contro la piccola Jugoslavia. Allora il papa non si limitò a ricordare
che c'era ancora la possibilità di trattare e a insistere che nulla
sarebbe stato risolto ma anzi aggravato. Lanciò una campagna mediatica
per denunciare il sangue degli innocenti ch si stava versando. Non
possiamo dimenticare le prime pagine dell'Osservatore romano
dell'aprile 1999 che denunciavano i sanguinosi «effetti collaterali»
sui civili in Serbia e in Kosovo prodotti dai raid aerei della Nato e
vantati da ineffabili premier occidentali che si sono ben guardati dal
riflettere poi sui risultati drammatici di quella guerra.

Così all'annuncio del conclave capiremo che è morto l'ultimo papa.
L'ultimo capace di passare dalla dimensione trionfale a quella
agonale. Il papa sconfitto che voleva portare l'est e il resto del
mondo nell'ecumene e lo ha invece portato nel mercato. Che lascia un
pianeta più diseguale e misero, più senza speranze di come l'aveva
incontrato. Che si esalta nel suo testamento per la guerra nucleare
evitata con la fine della guerra fredda, mentre ogni stato costruisce
ora la sua atomica. L'ultimo però ad essersi opposto alla guerra di
civiltà contro il mondo arabo scatenata dai neocon americani e
post-moderni con l'avventura della guerra all'Iraq nel 2003 che non è
apparsa al mondo musulmano come guerra di religione solo grazie al no
del papa. Bush ieri l'ha pianto e preventivamente seppellito.

A music show by the Norwegian KFOR?

(francais / english)

[ "Milosevic, sei figlio di un cane... E tu, Milos Obilic, figlio di
puttana... Lanceremo bombe sui serbi ovunque essi si nascondano..."
Ecco alcuni dei versi di una canzone cantata in un video-clip
realizzato dal battaglione norvegese della KFOR (sic). Evidentemente
le truppe dei paesi della NATO che occupano il territorio del
Kosovo-Metohija non stanno lì semplicemente per garantire la
secessione prossima ventura della provincia su basi etno-razziali,
bensi' anche allo scopo di sostenere, persino con strumenti
"artistici", la "propaganda culturale" guerrafondaia a sostegno
dell'estremismo pan-albanese e contro la convivenza tra le varie
comunità nazionali. (a cura di IS) ]

1. Une chanson de très mauvais goût (AFP, 20 mai)
2. Letter To Norwegian Embassy, 5-17-05 (T. Jankovic)
3. Scandalous move by Norwegian KFOR (Blic, May 17, 2005)


=== 1 ===

Une chanson de très mauvais goût

AFP, 20 mai

Tension politique entre Oslo et Belgrade après une parodie
politico-satirique de soldats norvégiens

BELGRADE Un vidéo-clip, réalisé sur un air des Beach Boys par des
soldats norvégiens de la Force de paix au Kosovo, a provoqué un
malaise diplomatique entre la Norvège et la Serbie tout en alimentant
les critiques contre les forces de l'Otan dans la province. Le clip de
trois minutes montre des soldats norvégiens de la Force de l'Otan au
Kosovo (Kfor) chantant leur propre version de «Kokomo », un des grands
succès des désormais mythiques «garçons de la plage ».

«Kokomo » revisitée, devenue une satire des interventions
internationales au Kosovo ou au Rwanda, a été largement diffusée dans
les Balkans grâce à internet.

«Somalie, Grenade, sauvons le Koweït, on a foiré au Rwanda, embargo en
Irak », chantent les militaires, passablement débraillés en ajoutant :
«Au Kosovo nous allons botter quelques derrières et nous verrons
comment ça va. Et après on ne sait pas. Bonne chance Kosovo ». La
plaisanterie n'a pas été du goût du gouvernement serbe, en particulier
l'évocation de «méchants Serbes » et les allusions à l'oppression
exercée dans le passé par Belgrade sur les Albanais du Kosovo.


« Quelque part au delà des mers il y a un endroit appelé Kosovo. C'est
vraiment là où ne veut pas aller si l'on n'est pas Albanais...
Milosevic, tu es un fils de chienne », chantent les soldats. «Nous
protégeons les droits de l'homme (...) nous lâcherons des bombes
partout où les méchants Serbes se cachent », indique un autre couplet.
Dès que la télévision serbe l'a diffusé, le vidéo-clip a provoqué un
malaise entre Belgrade et Oslo, et l'ambassadeur de Norvège à Belgrade
a du présenter des excuses.

« J'espère sincèrement que cet incident ne perturbera pas la profonde
et ancienne amitié entre nos deux pays », a-t-il dit en promettant
qu'une enquête serait ouverte. Auparavant, les autorités serbes
n'avaient pas caché leur mécontentement. « De telles initiatives ne
font que conforter l'opinion serbe selon laquelle ni la sécurité, ni
les droits de l'homme ni la multiethnicité ne sont respectés au Kosovo
», avait fulminé Slobodan Samardzic, conseiller du Premier ministre
serbe, Vojislav Kostunica.

L'Otan a déployé quelque 18.000 soldats au Kosovo afin de maintenir la
paix entre les Albanais qui, largement majoritaires, réclament
l'indépendance et la minorité Serbes qui souhaite que le Kosovo
demeure une province de Serbie. Le Kosovo est administré par l'Onu
depuis la fin de la guerre en juin 1999. Belgrade reproche
régulièrement à l'Otan de ne pas garantir la sécurité des Serbes qui
redoutent d'être attaqués par des extrémistes albanais comme ils l'ont
été en mars de l'année dernière lors de violentes émeutes.

Mais l'Etat-major de la Kfor n'a pas apprécié non plus les talents de
chanteurs des soldats norvégiens. « Leur conduite et les paroles de la
chanson sont indignes de l'Otan et la Kfor », a indiqué l'Etat-major
dans un communiqué. « Cette blague inadmissible ne doit pas cacher le
haut niveau professionnel et d'impartialité des soldats de la Kfor qui
tous les jours travaillent à l'instauration d'un environnement sûr au
Kosovo », a-t-il ajouté.

En revanche, auprès des Albanais du Kosovo, le vidéo-clip a fait un
véritable tabac. « Il montre avant tout que les soldats internationaux
au Kosovo ne sont pas des machines mais des êtres humains avec leurs
propres sentiments et leurs opinions sur la réalité. Je ne le trouve
pas offensant mais instructif », a dit Arif Muharremi, responsable de
la rubrique artistique du quotidien Express.


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alerte_otan-unsubscribe@...

Pour retrouver les messages précédemment envoyés :
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages


=== 2 ===

Embassy of Norway Tika Jankovic
The Honorable Ambassador 6083 Loma Prieta Drive
2720 34th Street, NW San Jose, CA 95123
Washington, DC 20008-2714 T:( 408 ) 435-3450
T: (202 ) 333-6000 F: (408 ) 224-0420
F: (202 ) 337-0870

Copies: Permanent Mission of Norway
to the UN
Missions to the UN
International News Outlets
US Congress and Senate
The White House

May 17, 2005

Your Excellency,

I would like to bring to your attention and care an ugly and
reprehensible incident that occurred in Kosovo the other day,
involving a unit of the Norwegian contingent of KFOR.

As you may have already heard a group of exhilarated, looking and
sounding like being drugged, Norwegian soldiers, were depicted in a TV
spot dancing on a huge military transporter with glee while singing
anti-Serb ethnic and racial slurs. The lyric like : " We will toss
bombs at the bad Serb boys wherever they happen to hide.." and "You,
Milos Obilic, son of a bitch.." (Milos Obilic is a Serbian hero, slain
in the historic Battle of Kosovo against the invading Ottoman Turks on
June 28, 1389) has been fashioned into a music spot by the KFOR
"musical artists" to an American ensemble "Beach Boys" theme and
distributed on Internet.

I am urging you to immediately notify your government of this
unforgivable act of such a crass and to the Serbs humiliating and
painful racial attack by the Norwegian soldiers, unbecoming to any
civilized person anywhere in the world, including Kosovo and the
international military and civilian forces charged with the
responsibility for peace and protection o human rights in this Serbian
province of Kosovo and Metohija ( It is incorrectly referred to as
"Kosovo" only!). If you, and your government, ignore this horrific
incident, and do not take a serious investigation into it and bring
the perpetrators to justice, the world will rightfully deem this act
as being tacitly approved of by the Norwegian authorities. Your
respectful and freedom loving people do not deserve a besmirched image
of the nation of savages because of the condemning behavior of a bunch
of unruly Norwegian soldiers in a foreign country and under the UN banner.

In the anticipation of your favorable reply,
I remain faithfully yours,

Tika Jankovic

SOURCE: http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/


=== 3 ===

Scandalous move by Norwegian KFOR
Blic - May 17, 2005

Norwegian KFOR soldiers are dancing in untidy uniforms. They are in
Kosovo, on a personnel carrier. Everything would be o.k., but let us
hear what they are singing: 'We shall drop bombs wherever bad Serb
guys are hiding' and 'Obilic Milos, you son of a bitch'. This song has
a musical spot directed by KFOR members and is on Internet. It is in
the rhythm of a famous hit of the 'Beach Boys'.

'KFOR is not leading anti-Serb policy. That is by no means the policy
of NATO mission in Kosovo. We are working on the case of Norwegian
soldiers and the matter will be investigated', on of KFOR spokesman
said for 'Blic'.

In a way the spot can be understood as ironical stance that young
soldiers have regarding not only Kosovo, but the whole NATO mission
throughout the world. Although the message can be 'why on earth are we
going there' and the soldiers do not mention Kosovo only but other
area of crisis in the world, this is not the first case that KFOR
soldiers in Kosovo and Metohija have gone beyond their competencies.
After March violence in Kosovo in 2004, KFOR soldiers opened a café in
the churchyard of burnt St. Sava Church in southern Mitrovica. A
French priest, without asking anybody took with him the holy bones
from the destroyed Devic Monastery.

'The song by Norwegian soldiers is unacceptable behavior that hurts
the historic feelings of our people. Such relation towards the history
of a nation is to say the least absence of culture', Oliver Ivanovic,
one of Kosovo Serbs leaders says for 'Blic'.

Norwegian soldiers were stationed in Kosovo Polje and then were
transferred. Today they are almost not present in Kosovo and Metohija.


SOURCE: http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/

DALLA PARTE DI CUBA

1. NOTA STAMPA DELL'AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI CUBA IN ITALIA
(23/5/2005)
2. L'ITALIA E CUBA. REALTA' E STRUMENTALIZZAZIONI (Radio Città Aperta)
3. Le " relazioni pericolose" tra Reporter Sans Frontieres e la Cia
(di Thierry Meyssan)
4. Una alleanza tra radicali e Mussolini sostiene i gruppi della
destra filo-Usa a Cuba

5. Intervento pronunciato dal presidente Fidel Castro all'inizio della
Marcia del Popolo Combattente contro il Terrorismo


=== 1 ===

NOTA STAMPA DELL'AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI CUBA IN ITALIA

In base alle norme internazionali ed agli accordi bilaterali, nessun
cittadino può entrare nel territorio di un altro Stato senza aver
previamente ottenuto un visto, qualunque sia il motivo del viaggio:
per turismo, per lavoro, per studio o anche per ragioni di salute.

Naturalmente, la Repubblica di Cuba ha un proprio regolamento
migratorio assistito dagli strumenti giuridici che il paese si é dato.

Recentemente, gli organi di stampa italiani Corriere della Sera e La
Repubblica, entrambi al corrente dei regolamenti esistenti nel nostro
paese concernenti lo svolgimento dell'attività giornalistica da parte
di professionisti stranieri, hanno mandato a Cuba dei loro inviati
provvisti soltanto di tessera turistica con la deliberata intenzione
di violare i suddetti regolamenti, come é stato ampiamente dimostrato
dal modo di agire di tali inviati nel territorio nazionale cubano
dove, fin dal primo momento, essi hanno svolto attività giornalistica.
Nessuno dei due inviati rimpatriati aveva chiesto il corrispondente
visto per l'ingresso nella Repubblica di Cuba.

Di conseguenza, le autorità cubane competenti hanno proceduto ad agire
in base alle leggi vigenti che regolano l'esercizio dell'attività
della stampa estera a Cuba.

Entrambi gli organi di stampa, nel violare le leggi di un altro Stato
e in aperta provocazione verso le nostre autorità, hanno con ciò dato
dimostrazione di un atteggiamento irresponsabile. Per quanto riguarda
il Corriere della Sera, il caso é ancora più grave dato che tale
quotidiano aveva ricevuto un chiaro segnale secondo cui le autorità
cubane non avrebbero permesso l'ingresso nel paese di un inviato che
non avesse presentato neanche la richiesta diaccredito, come occorso
in una precedente occasione, quando un altro giornalista dello stesso
organo di stampa era stato reimbarcato.

Il trattamento informativo dato a tali fatti ha scatenato una nuova
campagna contro Cuba, facendo intendere all'opinione pubblica che era
stato impedito a due giornalisti l'esercizio della loro professione,
mentre si é taciuto sui veri motivi che hanno provocato il loro
rimpatrio, e cioè la violazione delle leggi del nostro paese. E'
inoltre passato sotto silenzio il comportamento disonesto,
manipolatore e poco obiettivo che, come in tante altre occasioni,
viene applicato contro Cuba dai mezzi di informazione.

A differenza di quanto sopra segnalato, organi di stampa italiani (tra
cui un importante canale televisivo) che, nel rispetto dei regolamenti
vigenti, hanno fatto richiesta di inviare un loro gruppo per svolgere
attività giornalistica in questo periodo, hanno ottenuto
l'autorizzazione ed il relativo visto. Ciò pone in evidenza
chiaramente la nostra disponibilità ad accogliere e a lasciar lavorare
ogni professionista che agisca seriamente rispettando le istituzioni e
le leggi cubane.

Roma, 23 maggio 2005


=== 2 ===

L'ITALIA E CUBA. REALTA' E STRUMENTALIZZAZIONI

La campagna contro Cuba ridà spazio allo squadrismo fascista. Il flop
dei radicali. I due pesi e due misure del governo italiano. Cosa farà
l'Unione Europea?

In questi ultimi giorni, le relazioni tra l'Italia e Cuba hanno
subito una escalation ampiamente prevista ma non per questo meno violenta.

La natura della Conferenza dei gruppi anticastristi a l'Avana

- Una parte del mondo politico e giornalistico italiano aveva deciso
di sostenere apertamente l'Assemblea per la promozione della società
civile a Cuba messa in campo il 20 maggio dai gruppi anticastristi
cubani più legati all'amministrazione Bush. Nonostante le vistose
dissociazioni di altri esponenti del "dissenso", preoccupati della
deriva estremistica della conferenza, dell'appoggio dei gruppi
paramilitari di Miami e dell'appiattimento sulle posizioni USA
dell'evento, alcune forze politiche e giornali italiani non hanno
esitato ad appiattirsi in modo piuttosto miope quanto strumentale con
l'operazione messa in cantiere dall'amministrazione Bush contro Cuba,

Il Corriere della Sera si è prestato ad una operazione politica degli
Stati Uniti

- Alcuni quotidiani italiani - in particolare il Corriere della Sera e
la Repubblica - avevano deciso di forzare la situazione inviando per
vie traverse e non ufficiali dei giornalisti che potessero seguire la
conferenza a l'Avana. La scelta dei due quotidiani ha privato i
colleghi espulsi della copertura legale necessaria a poter svolgere il
loro lavoro nel quadro di relazioni "normali". Se da un lato a Cuba
viene ancora impedito dalla politica degli USA e della miopia europea
di poter essere un paese "normale", dall'altro la neutralità
professionale del giornalista viene meno quando si presta -
consapevolmente o meno - ad una imboscata politica. Non è successo
solo a Cuba. Succede ripetutamente all'aereoporto Ben Gurion di Tel
Aviv (dal quale si viene espulsi sue due piedi se l'obiettivo del
viaggio non è consono alle esigenze di sicurezza della autorità
israeliane) ma succede anche nelle strade e nelle piazze del nostro
paese quando i funzionari dell'oridne pubblico sempre più spesso non
sembrano affatto "rispettosi" dei nostri tesserini da giornalisti
individuando nei soggetti più l'attivista politico che l'operatore
dell'informazione (non è accaduto solo a Genova nel 2001, accade più
frequentemente di quanto si immagini).
Che il Corriere della Sera abbia scelto di partecipare all'imboscata
politica del 20 maggio a Cuba, lo dimostra l'allestimento preventivo
delle prime due pagine del giornale di sabato 21 sull'avvenimento.
Tanta "sensibilità" alla situazione di Cuba non è affatto casuale. La
direzione del Corriere aveva predisposto il giornale ad una funzione
politica anticubana. L'espulsione del collega Battistini è stata solo
un incidente che ha arricchito una cronaca ed un posizianamento
politico-editoriale già predisposto in anticipo. A questo punto la
deriva filo statunitense del Corriere della Sera, dovrebbe cominciare
a preoccupare il nostro paese un pò più della vicenda Battistini.

Il flop della manifestazione del Partito Radicale

- A Roma e a Milano, per il 20 maggio erano state annunciate
manifestazioni sotto l'ambasciata e il consolato cubani sia da parte
del Partito Radicale sia dai "neo" fascisti di Azione Giovani (il
"post" è stato ormai superato dal brusco ritorno alle origini di AN).
Queste manifestazioni si sono rivelate un clamoroso flop in quanto
oscurate dalle contromanifestazioni in solidarietà con Cuba avvenute a
Roma, Milano e Firenze e da una sovraesposizione mediatica assai
maggiore data al caso Battistini. Ma il fallimento delle
manifestazioni dei Radicali e dei fascisti non sta solo nel loro
oscuramento. Essi hanno infatti dovuto misurarsi con la realtà
rappresentata da un movimento di solidarietà con Cuba estremamente
deciso, liberato dalla logica eurocentrista e profondamente connesso
con i movimenti sociali a livello internazionale che, nel mondo e in
modo particolare in America Latina, hanno una percezione assai diversa
di Cuba e su Cuba di quanta se ne possa avere in Europa. La
contromanifestazione di solidarietà con Cuba organizzata all'ultimo
momento sotto l'Ambasciata, ha sovrastato, allontanato e interdetto
quella dei radicali che si sono dovuti tenere a distanza dall'entrata
dell'ambasciata davanti alla quale campeggiavano invece gli striscioni
contro il blocco USA, per la libertà dei cinque patrioti cubani e
cartelli di solidarietà con Cuba.

- La campagna contro Cuba ha ridato spazio anche allo squadrismo fascista

I fascisti hanno provocato ancora una volta una gazzarra davanti
l'ambasciata cubana con un blitz non autorizzato che ha potuto godere
dell'inerzia delle forze dell'ordine. Iniziativa e modalità queste
impensabili davanti a qualsiasi ambasciata straniera. Se
all'Ambasciata USA o israeliana qualcuno avesse cercato di fare
altrettanto, sarebbe stato oggetto di una repressione immediata e
feroce sia da parte delle forze dell'ordine sia da parte della
sicurezza dell'ambasciata. I fascisti hanno invece dovuito subire solo
degli spruzzi d'acqua da un pompa da giardinaggio e l'affronto di tre
attivisti tre (italiani) del Comitato 28 giugno che li hanno
contrastati apertamente davanti al cancello dell'ambasciata. La
reazione dei fascisti è stata la più tradizionale calci e insulti
contro uno tre attivisti che aveva buttato via il loro volantino.
Anche in questo caso le forze dell'ordine hanno lasciato fare i
fascisti per poi intervenire contro gli esponenti del Comitato 28
giugno identificandoli per "disturbo a manifestazione non autorizzata"
?! Un paradosso: una manifestazione non autorizzata e aggressiva
contro una sede diplomatica non solo non viene fermata dalle forze
dell'ordine ma non può nemmeno essere disturbata.
Verrebbe da chiedersi cosa accadrebbe se qualcuno cercasse di
generalizzare questa modalità di manifestazione all'ambasciata USA di
via Veneto.

Le ripercussioni diplomatiche nei rapporti tra Italia e Cuba. Due pesi
e due misure?

Il Ministro degli Esteri Fini, è stato estremamente tempestivo nel
condannare Cuba per l'espulsione di Battistini. Mentre i suoi ragazzi
attaccavano l'ambasciata Cubana a Roma, il ministro non poteva essere
da meno. Non ricordiamo alcun intervento del Ministero degli Esteri
quando nel 2002 furono espulsi all'areoporto di Tel Aviv Luciana
Castellina, Vittorio Agnoletto ed altri esponenti dei movimenti
italiani che intendevano recarsi in Palestina devastata dai carri
armati di Sharon. Nè quando due giovani ricercatori italiani
provenienti dal Chiapas furono espulsi dagli USA qualche anno fa.
Insomma la manifestazione muscolare del Ministro Fini non sfugge al
mefitico schema dei due pesi e delle due misure nè, ed è ancora
peggio, ad un servilismo verso gli Stati Uniti che sembra contagiare
anche qualche pezzo del centro-sinistra ma che incontra la crescente
ostilità dell'opinione pubblica italiana ed europea.

Cosa farà l'Unione Europea?

A giugno l'Unione Europea dovrà aggiornare la sua posizione comune
adottata contro Cuba. E' probabile che un vasto arco di governi e
forze politiche europee sfrutterà l'occasione per accentuare le
sanzioni contro Cuba ed appiattirsi ancora un pò di più
sull'escalation dell'amministrazione Bush contro l'isola. Potrebbero
però sottovalutare due questioni:
1) i loro interlocutori tra i gruppi del "dissenso" cubano (Osvaldo
Payà, Manuel Cuesta Morua) si sono dissociati dalla conferenza
dell'Avana e si ritroveranno in balìa dei gruppi estremisti
filostatunitensi
2) Cuba sta dimostrando di poter fare a meno dell'Unione Europea. Le
relazioni con il resto dell'America Latina, con la Cina, con l'India
cominciano a rappresentare una alternativa reale al ricatto degli USA
e dell'Unione Europea.

Le relazioni internazionali sembrano orientate verso un maggiore
policentrismo che sta logorando il monopolio mondiale delle vecchie e
nuove potenze coloniali...e imperialiste. Forse un altro mondo sta
diventando più possibile di qualche anno fa.

di Redazione - www.radiocittaperta.it


=== 3 ===

Le " relazioni pericolose" tra Reporter Sans Frontieres e la Cia

di Thierry Meyssan*

Reporters sans frontières gode, in Francia, di un onorevole
reputazione, mentre i media latino americani l'accusano di essere
assoldato dalla NED/CIA. L'associazione raccoglie più di 2 milioni di
euro all'anno grazie al pubblico francese che contribuisce
economicamente ad aiutare i giornalisti oppressi nel mondo. In realtà,
solo il 7% del budget totale di RSF è destinato alla sua missione
principale. La vera attività dell'associazione, da quando ha firmato
un contratto con la fucina d'Otto Reich, si è trasformata in lotta ai
regimi progressisti latino-americani (Cuba, Haïti, Venezuela).
Durante il processo alla Havana, nel 2003, Nestor Baguer ha
pubblicamente chiamato in causa Robert Ménard , e l'ha accusato di
collusione con i servizi segreti statunitensi. Nello stesso periodo,
reporters Sans Frontières (RSF), di cui M. Ménard è il direttore
esecutivo, ha condotto una campagna contro il governo cubano e lo ha
anche accusato di imprigionare giornalisti dissidenti.

Da allora, la polemica non ha smesso di inasprirsi fino a quando la
giornalista statunitense Diana Barathona, del Northern California
Media Guild, facesse un passo in più avanti accusando Reporters Sans
Frontières di essere finanziato dalla NED/CIA e di scrivere i suoi
rapporti sotto l'influenza dell'amministrazione Bush.
Robert Ménard, direttore di Reporters sans Frontières<

Abbiamo ritrasmesso questa controversa sul nostro sito spagnolo, Red
Voltaire, e rimpiangiamo di averlo fatto senza sfumature. Difatti,
l'indagine del nostro corrispondente canadese Jean-Guy Allard, e le
altre verificazioni del nostro comitato francese, dimostra che il
finanziamento diretto di RSF dalla NED/CIA è aneddotico e recente, in
modo tale che non abbia potuto influenzare la sua attività. Intanto ci
scusiamo nei confronti di RSF. Rimpiangiamo, tanto più che questo
errore nasconde fatti davvero sorprendenti.

Inizialmente fondata per mandare reporters a testimoniare dell'azione
d'ONG umanitarie, Reporters Sans Frontières si è evoluto per diventare
un'organizzazione internazionale di sostegno ai giornalisti repressi.
L'associazione è stata riconosciuta d'utilità pubblica dal decreto del
Primo ministro Alain Juppé, il 19 settembre del 1995. Questa posizione
le ha permesso di accedere più facilmente ai finanziamenti pubblici
che rappresentano, negli ultimi conti pubblicati [1] 778 000 euro.
Provengono dai servizi del Primo ministro francese degli Affari
Esterni, dall'Agenzia intergovernativa della francofonia, dalla
commissione europea, dall'OSCE e dall'UNESCO. RSF può anche contare
sul mecenate privato (FNAC,CFAO, Hewlett Packard, Fondation Hachette,
Fondation EDF etc.) per circa 285 000 euro. Tuttavia, la maggior parte
del budget proviene dalla generosità del pubblico, in particolare per
la vendita dell'album annuale per la libertà della stampa e altre
operazioni speciali ossia 2 125 000 euro su un budget totale di 3 474
122 euro.

Ora, l'attività concreta di Reporters sans frontières è molto distante
da ciò che i donatori credono finanziare. Il fondo d'assistenza ai
giornalisti oppressi, vale a dire il pagamento della parcella degli
avvocati che difendono i giornalisti oppressi, il sostegno materiale
alle loro famiglie, lo sviluppo delle Case dei giornalisti, tutto ciò
che rappresenta il cuore dell'attività ufficiale e la ragione della
generosità del pubblico riceve solo … il 7% del budget generale ! Sì,
avete letto proprio bene : per 1 euro dato per i giornalisti oppressi,
solo 7 centesimi arrivano a destinazione.

Dove va a finire il resto?

La vera attività di Reporters sans Frontières è di condurre campagne
politiche con bersagli ben determinati. Sarebbero legittimi se, come
la Fondazione Soros [2], non strumentalizzassero la libertà della
stampa al punto di evocarlo per giustificare gravi violazioni del
diritto internazionale. A titolo di esempio, RSF si è congratulato del
rapimento del presidente costituzionale d'Haïti da parte delle Forze
speciali statunitensi appoggiate da una logistica francese [3], in
quanto Jean-Bertrand Aristide sarebbe stato un "predatore della
libertà della stampa"; un qualificativo sostenuto da una visione
troncata di avvenimenti che mirava a far passare il presidente
haïtiano per il responsabile dei crimini di giornalisti. È giocoforza
osservare che Reporters sans Frontière sosteneva tramite i media
un'operazione nella quale il governo francese si era smarrito, mentre
lo stesso governo francese sovvenzionava l'associazione.

Il carattere ideologico delle campagne di Reporters sans Frontières
mette l'associazione a volte in ridicolo. Così l'associazione si è
indignata del progetto di legge venezuelano mirando a sottomettere i
media al diritto generale, ma non si è preoccupata del ruolo del
magnate dell'audiovisivo Gustavo Cisneros e dei suoi canali TV nel
tentativo del colpo di stato militare per destituire il presidente
costituzionale Hugo Chavez [4].

Alla fine, è a proposito di Cuba che la polemica si è cristallizzata,
tanto è vero che RSF ha fatto del regime castriste l'asso principale
delle sue campagne. Secondo l'associazione, i 21 giornalisti
imprigionati sull'isola sarebbero stati accusati abusivamente di
spionaggio a favore degli stati Uniti e sarebbero in realtà vittime
della repressione governativa. Per lottare contro questo governo, RSF
ha organizzato diverse manifestazioni, tra le quali quella del 14
aprile 2003 davanti all'Ambasciata di Cuba a Parigi la quale è andata
a finire male. Nel suo entusiasmo, l'associazione ha ugualmente
disturbato la sessione della Commissione dei diritti dell'Uomo, alla
sede dell'ONU a Ginevra.
I suoi militanti avevano preso da parte la presidenza libica della
Commissione e molestato anche dei diplomatici. Di conseguenza, RSF è
stato sospeso per un anno del suo stato d'osservatore al Consiglio
economico e sociale (Ecosoc) dell'ONU. Robert Ménard ha stigmatizzato
le derive della commissione perché secondo lui, la violazione dei
diritti dell'uomo si trova nelle mani di specialisti.
Però le sanzioni contro RSF sono state votate dagli Stati
perfettamente democratici come l'Africa del Sud, il Brasile, Il Benino.

Interrogato via telefono, Robert Ménard ricusa le allegazioni secondo
le quali RSF sarebbe stato comprato grazie ai soldi della NED/CIA [5]
per condurre una campagna contro Cuba. Spiega che l'associazione ha
richiesto una sovvenzione all'Agenzia statunitense per aiutare i
giornalisti oppressi in Africa e che alla fine ha ricevuto solo 40 000
dollari à metà gennaio 2005. Di cui atto.

Proseguendo la discussione, M. Ménard ricusa anche le accuse del
nostro collaboratore Jean-Guy Allard, d'altronde giornalista
all'agenzia nazionale Granma Internacional. Nella sua opera, il
Dossier Robert Ménard. Perché RSF si accanisce contro Cuba, questo
ultimo riporta i legami personali stretti che il direttore esecutivo
dell'associazione mantiene con gli ambienti di estrema destra
anticastriste a Miami, e in particolare con Nancy Pérez Crespo.
Alzando la voce, ci accusa di proiettare dei presupposti ideologici
sulle cose, mentre la sua associazione e lui stesso si sottopongono
alla più grande neutralità. Poi, ci accusa di accordare credito alla
"propaganda comunista" (sic).

Dopo verificazione, Robert Ménard frequenta davvero l'estrema destra
di Miami e RSF è finanziata dal lobby anticastriste per condurre una
campagna contro Cuba. Nel 2002, RSF ha firmato un contratto con il
Center for a Free Cuba e i cui termini non sono conosciuti. Al termine
di questo contratto, ha ricevuto una prima sovvenzione di 24 970 euro
e poi è stata aumentata e ha raggiunto il 59 201 euro nel 2003.
L'importo del 2004 non è ancora conosciuto.

Il Center for a Free Cuba è un'organizzazione creata per rovesciare la
rivoluzione cubana e riportare al potere il regime di Battista [6]. È
presieduta dal padrone dei Rhum Bacardi, diretta dal vecchio
terrorista Frank Calzon, e articolata a una fucina della CIA, la
Freedom House [7].

Il contratto firmato con il Center for a Free Cuba è stato negoziato
nel 2001 con il responsabile allora dell'organizzazione : Otto Reich,
il campione della contro-rivoluzione in tutta l'America latina[8]. Lo
stesso Otto Reich, diventato vice segretario di Stato per l'emisfero
occidentale, fu l'organizzatore del colpo di stato fallito contro il
presidente eletto Hugo Chavez ;poi, diventato capro espiatorio
speciale del presidente Bush, soprintese l'operazione di rapimento del
presidente Jean-Bertrand Aristide.

RSF: il 7 % di sostegno ai giornalisti oppressi e il 93 % di
propaganda imperialista statunitense.

* Thierry Meyssan, Giornalista e scrittore, presidente del Réseau
Voltaire. www.reseauvoltaire.net

Fonte: www.contropiano.org


=== 4 ===

Una alleanza tra radicali e Mussolini sostiene i gruppi della destra
filo-Usa a Cuba
Con loro una manciata di reazionari polacchi e di "amerikani" europei


Venerdì 20 maggio alle ore 18 davanti all'Ambasciata di Cuba a Roma
(in via Licinia 7) si terrà una manifestazione in sostegno
dell'"Assemblea per la promozione della società civile a Cuba" che in
quelle stesse ore si svolgerà all'Avana. Quella di Roma è una delle
manifestazioni promosse in questo senso dal Partito Radicale che si
terranno davanti alle ambasciate o ai consolati di Cuba anche a
Milano, Madrid, Barcellona, Bruxelles e Parigi. La mobilitazione
voluta dai radicali fa seguito alla conferenza organizzata da Marco
Pannella che si è tenuta il 27 aprile scorso al Parlamento Europeo,
alla richiesta di visto già avanzata da 17 Parlamentari europei di
potere partecipare ai lavori dell'incontro dell'Avana e alle adesioni
di alcuni parlamentari italiani .

L'Assemblea per promuovere la società civile a Cuba è organizzata da
tre militanti per la democrazia e la libertà, militanti anche
radicali, vittime loro stessi di condanne e detenzione per motivi
politici e reati di opinione: Martha Beatriz Roque Corbello, Felix
Bonne Carcassés e René Gomez Manzano.

I deputati europei che hanno richiesto il visto per l'Avana sono:
Emma BONINO, radicale, italiana, già Commissaria europea; Philip
BUSHILL-MATTHEWS, conservatore, inglese; Pilar del CASTILLO VERA,
popolare, già Ministra spagnola; Ryszard CZARNECKI, gruppo misto, già
Ministro polacco; Christofer FJELLNER, popolare svedese; András GYÜRK,
popolare, ungherese; Milan HORÁČEK, verde, tedesco; Jules MAATEN,
liberale, olandese; Edward Mc MILLAN-SCOTT, conservatore, inglese,
Vice Presidente del PE; Alessandra MUSSOLINI, gruppo misto, italiana;
Miroslav OUZKÝ, popolare, ceko, Vice Presidente del PE; Marco
PANNELLA, radicale, italiano; Jacek PROTASIEWICZ, popolare, polacco;
Zuzana ROITHOVA, popolare, già Ministra ceka; Libor ROUCEK,
socialista, già portavoce del Governo ceko; Leopold Jozef RUTOWICZ,
gruppo misto, polacco; Boguslaw SONIK, popolare, polacco.

I parlamentari italiani che, ad oggi, hanno sottoscritto un messaggio
da inviare agli organizzatori all'Avana sono:
ON. ROBERTO GIACHETTI –MARGHERITA; ON. DARIO RIVOLTA – FI; ON. LUIGI
RAMPONI – AN; ON. GUSTAVO SELVA – AN; SEN. FORLANI ALESSANDRO – UDC;
SEN. LUCIO MALAN – FI; SEN. GUGLIELMO CASTAGNETTI – FI; SEN. ENRICO
MORANDO – DS; ON. CARLA MAZZUCA –UDEUR;
SEN. NATALE D'AMICO – MARGHERITA.

Fonte: www.contropiano.org


=== 5 ===

Da: "associazionediamiciziaitaliacuba"
Data: Sab 21 Mag 2005 19:31:37 Europe/Rome
A: associazionediamiciziaitaliacuba @yahoogroups. com
Oggetto: [associazionediamiciziaitaliacuba] L'intervento pronunciato
dal presidente Fidel Castro

L'Avana. 17 Maggio 2005

L'intervento pronunciato dal presidente Fidel Castro all'inizio della
Marcia del Popolo Combattente contro il Terrorismo

Compatrioti:

Dal 10 ottobre 1868 fino ad oggi, per 137 anni, il popolo di Cuba ha
lottato per la sua indipendenza, contro il colonialismo spagnolo
prima e contro la politica espansionistica e imperialista dei
governanti degli Stati Uniti poi.
Il 1º gennaio 1959 raggiungemmo per la prima volta la completa
sovranità politica. Il governo della nazione cominciò a venire
esercitato totalmente dallo stesso popolo cubano, che spazzò via la
sanguinosa tirannia imposta dall'estero. Da allora questo nobile ed
eroico popolo non ha smesso di lottare un solo giorno, difendendo il
suo diritto allo sviluppo, alla giustizia, alla pace ed alla libertà.
A causa di questa così giusta e irrinunciabile aspirazione, il nostro
paese è stato oggetto della più prolungata guerra economica della
storia e di un'incessante e feroce campagna terroristica che dura già
da più di 45 anni.
Uno dei primi e più cruenti atti di questo tipo fu l'esplosione della
nave "La Coubre" nel porto dell'Avana, che costò 101 vite e centinaia
di feriti.
L'invasione della Baia dei Porci, tentata il 17 aprile 1961 da una
forza militare organizzata, addestrata ed equipaggiata dal governo
degli Stati Uniti, venne preceduta da un attacco aereo a sorpresa e a
tradimento, con aerei da bombardamento nordamericani che portavano
insegne della
Forza Aerea cubana. Le truppe di invasione entrarono nel nostro
territorio scortate, custodite e accompagnate da unità navali, aeree
e da truppe degli Stati Uniti, i quali speravano che i mercenari
acquisissero il controllo di almeno una piccola parte di territorio
per sbarcare allo scopo di sostenere, con la complicità dell'OSA, un
governo provvisorio, che non ebbe nemmeno il tempo di decollare da un
aeroporto in Florida.
Nello stesso tempo, fin dai primi anni del trionfo, il territorio
nazionale venne disseminato in lungo e in largo di gruppi armati che
assassinarono contadini, operai, maestri e alfabetizzatori;
bruciarono
case e distrussero centri agricoli e industriali. Atti di sabotaggio
con fosforo vivo ed esplosivi vennero compiuti contro la popolazione
e l'economia del paese.
I nostri porti, le navi mercantili e da pesca furono oggetto di
costanti attacchi. Le attrezzature e il personale diplomatico
all'estero furono vittime di attentati compiuti con esplosivi e armi
da fuoco.
Funzionari diplomatici vennero uccisi, fatti sparire o mutilati.
Aerei per il trasporto di passeggeri saltarono in aria prima del
decollo o in pieno volo, come quello di Barbados il 6 ottobre 1976,
strapieno di passeggeri, i cui resti irrecuperabili andarono a finire
nel fondo del mare, a centinaia di metri di profondità.
Malattie che danneggiavano la vita degli esseri umani o di animali
domestici e piante destinate all'alimentazione del popolo, vennero
introdotte più di una volta nel paese.
Queste azioni furono ideate dai governi e dai servizi speciali degli
Stati Uniti. E i loro autori vennero addestrati tra questi.
Il terrorismo, nel senso più moderno e drammatico del termine,
praticato con l'ausilio di sofisticati mezzi tecnici e con esplosivi
di grande potenza, venne creato e sviluppato dagli stessi governanti
degli Stati Uniti per distruggere la nostra Rivoluzione, e non è
cessato un istante in più più di quattro decenni, dentro e fuori
l'Isola.
Orlando Bosch e Posada Carriles, i più sanguinari esponenti del
terrorismo imperialista contro il nostro popolo, hanno compiuto
decine di atroci azioni in numerosi paesi dell'emisfero, includendo
il territorio degli Stati Uniti. Migliaia di cubani hanno perso la
vita o sono rimasti mutilati in seguito a queste vili e abominevoli
azioni.
Le stesse istituzioni e servizi nordamericani che addestrarono i
terroristi di origine cubana, come è noto addestrarono anche
accuratamente gli autori del brutale attacco contro le Torri Gemelle
di
New York l'11 settembre 2001, nel quale migliaia di nordamericani
hanno perso la vita.
Posada Carriles non solo partecipò insieme a Bosh (allora capo del
CORU, organizzazione creata dalla CIA) alla distruzione dell'aereo
della `Cubana', ma per molti anni organizzò decine di piani di
attentati alla vita dei più alti dirigenti della Rivoluzione Cubana,
e fece scoppiare numerose bombe in alberghi turistici a Cuba. Intanto
Orlando Bosch, apparentemente fuggiasco dalle autorità nordamericane,
partecipò, assieme ai corpi repressivi di Augusto Pinochet, al
sequestro e
all'assassinio di importanti personalità cilene come Carlos Prats e
Orlando Letelier, o alla scomparsa di numerosi combattenti
antifascisti in Cile, e perfino al sequestro e all'uccisione di
diplomatici cubani. Dalla stessa prigione venezuelana (Bosch) ordinò
ai suoi sicari la realizzazione di piani terroristici. Questi
tenebrosi personaggi agirono sempre agli ordini dei governi e dei
servizi speciali degli Stati Uniti, o furono (e sono stati)
illegalmente scagionati da ogni accusa ed esonerati da ogni
punizione, com'è il caso del perdono concesso a Bosch dal presidente
George Bush (padre), o tollerata la loro presenza per settimane
intere in territorio nordamericano, come ha fatto l'attuale
Presidente degli Stati Uniti con Posada Carriles, fatto che
costituisce una flagrante violazione alle stesse leggi del paese da
parte di coloro che hanno la massima responsabilità di proteggere il
popolo
nordamericano dagli attacchi terroristici.
Tutti i misfatti di Posada Carriles, comprese le bombe negli hotel
dell'Avana e i piani di attentati, vennero finanziati dai governi
degli Stati Uniti per mezzo della famigerata Fondazione Nazionale
Cubano Americana, fin da quando Reagan e da Bush la crearono nel
1981. Mai prima si era agito con tanto inganno e ipocrisia.
Questa non è una marcia contro il popolo degli Stati Uniti, come
abbiamo detto prima e ripetiamo oggi. È una marcia contro il
terrorismo, a favore della vita e della pace del nostro popolo e del
popolo fratello degli Stati Uniti, nei cui valori etici abbiamo
fiducia.
Abbasso il terrorismo! Abbasso le dottrine e i metodi nazi! Abbasso
il genocidio! Abbasso le menzogne. Evviva la solidarietà, la
fratellanza e la pace tra i popoli! Abbasso le menzogne! Evviva la
verità! Avanti, valorosi soldati dalle nobili idee, sprezzanti di
ogni timore, noncuranti dell'immenso potere dell'avversario,
sprezzanti del pericolo, perchè l'umanità ha sete di giustizia!

FONTE: http://it.groups.yahoo.com/group/associazionediamiciziaitaliacuba/

La seguente recensione di ?Italiani senza onore?, di Costantino Di Sante,
è apparsa sull'ultimo numero de L'ERNESTO (2/2005 - per l'indice vai a:
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=4 )

Stefano G. Azzarà

I crimini italiani in Jugoslavia e il paradigma antifascista

E? probabile che l?idea di un?egemonia marxista sulla cultura italiana del
secondo dopoguerra sia stata niente più di una leggenda alla quale, per autocompiacimento,
molti di noi hanno finito per credere. Per tanti aspetti, la storia della
reale incidenza del materialismo storico sul mondo delle lettere e delle
arti, dell?università e della ricerca, dell?intellettualità in senso lato
del nostro Paese, andrebbe scritta per intero. Andrebbe fatta, in altre parole,
un?accurata ricognizione di tipo gramsciano, capace di mettere in questione
anche e in primo luogo gli stessi ceti intellettuali ? per così dire - ?di
sinistra? e di mostrarne le reali radici culturali e la reale collocazione
nell?ambito della lotta ideologica. Tuttavia, tra tanti dubbi una cosa sembra
certa: in Italia, e più in generale anche in ambito internazionale, è esistita
una salda ?egemonia? del paradigma antifascista di interpretazione delle
vicende storiche della Seconda guerra mondiale e, per analogia, dell?intera
storia del Novecento che ne è seguita. Non soltanto nel campo degli studi
storiografici, proprio questa impostazione, molto più che ogni fondato e
consapevole riferimento al marxismo, è stata la cifra dell?appartenenza e
del riconoscimento culturale ?di sinistra?.
Se si guarda appena al di sotto della superficie e delle stanche retoriche
celebrative, non è difficile vedere come tale impostazione ? che pure ha
avuto una sua nobile legittimità e ha consentito al PCI di incontrare numerosi
?compagni di strada? - sia oggi a pezzi e difficilmente possa essere ricostruita,
se mai fosse utile farlo. L?offensiva culturale delle classi dominanti, a
lungo inosservata o sottovalutata, si è soffermata infatti in particolar
modo proprio sulla sua destrutturazione. Il prevalere di una classe nei rapporti
di forza tra i grandi raggruppamenti sociali (e i simultanei riaggiustamenti
nell?ambito dei rapporti tra le nazioni) si consolida dando vita gradualmente
ad una mentalità diffusa e non è affatto vero che le visioni del mondo passino
in maniera lineare, nella loro formazione, dall?alta cultura al senso comune
? dalla storiografia accademica alla cultura di massa. I meccanismi dell?egemonia
sono più complessi ed ogni livello di produzione ed elaborazione delle forme
di coscienza è intrecciato ad ogni altro. Ripetiamo cose già dette: siamo
di fronte ad un passaggio d?epoca, ad un fenomeno di portata mondiale che
ha a che fare con una sconfitta storica di fase e che, in quanto ristruttura
la realtà nel suo complesso, ristruttura anche le forme di coscienza, ciò
che oggi è in voga chiamare ?il simbolico?, ?l?immaginario?.
Tuttavia l?Italia, che ha sempre avuto un ruolo geopolitico del tutto peculiare,
è stata anche un laboratorio di sperimentazione ?geoculturale?. Esiste da
molto tempo nel nostro Paese un revisionismo storiografico che ha certamente
fatto il suo lavoro di scavo: pensiamo a Renzo De Felice e alla sua scuola,
oppure alla rivista ?Nuova Storia Contemporanea?. In questo campo, però,
si può dire che gli sforzi di gran lunga maggiori verso una radicale revisione
del paradigma antifascista siano da attribuire in primo luogo proprio alla
stessa sinistra culturale sconfitta. Non si tratta affatto di un paradosso:
anche per via della pochezza della storiografia conservatrice - a lungo ancorata
ad un impresentabile nostalgismo repubblichino, oltre che del tutto priva
della minima credibilità metodologica e scientifica -, il revisionismo storiografico
in Italia è un fenomeno pressoché interamente ?di sinistra?. Impossibile
spiegare qua come esso sia al tempo stesso una forma di elaborazione del
lutto e una strategia di sopravvivenza, per alcuni influenti gruppi sociali
e accademici. Basti dire, per citare diversi campi di intervento, che è ben
più efficace un Pansa che mille Petacco; un Mieli che mille Perfetti; un
Violante che mille Tremaglia.
Esiste poi la cultura di massa in senso lato, nella quale la capacità di
controllo delle classi dominanti - a partire dalla proprietà dei mezzi di
produzione dell?informazione e dello spettacolo, nonché dalla presenza di
un ceto effficiente di ?intellettuali organici? -, è più diretta, come più
immediata è la capacità di costruzione dell?immaginario collettivo. E? quanto
dimostra, ad esempio, l?operazione mediatica di falsificazione della memoria
nazionale orchestrata negli ultimi anni attorno alla questione delle foibe.
Un prodotto culturale ?militante? come lo sceneggiato trasmesso dalla televisione
pubblica Il cuore nel pozzo, per citare un titolo, è emblematico di una precisa
strategia politico-comunicativa ad ampio raggio, che andrebbe studiata accuratamente
in tutti i suoi risvolti.
Di fronte a questa offensiva culturale organica ed articolata, appare persino
controproducente impegnarsi in una difesa di retroguardia del paradigma antifascista
così come lo abbiamo conosciuto e praticato sinora. Qual è infatti il nuovo
uso che oggi se ne fa? Scrive Pierluigi Battista, a proposito della guerra
in Iraq, che gli «?insorti? iracheni che si oppongono con le armi del terrore
al nuovo governo di Baghdad» vanno definiti «non guerriglieri, o terroristi,
o ?resistenti?? ma ?fascisti?, semplicemente e brutalmente ?fascisti?» (?Corriere
della sera?, 7 febbraio 2005). Se anche per Fassino i veri «resistenti» sono
«gli iracheni che si sono recati alle urne» e non quelli che combattono gli
americani, è chiaro che risulta sconvolta «l?attitudine politico-culturale
sin qui dominante», tanto da «ribaltare persino il senso delle vecchie analogie
storiche». Il giornalista ha ragione: con questa semplice definizione, si
sancisce «il tracollo di un quadro concettuale» e si ottiene un «cambio di
prospettiva» che riguarda sì l?Iraq ma riguarda ancor di più l?interpretazione
generale delle vicende storico-politiche del secolo alle nostre spalle e
di quello appena iniziato. Qualcosa è cambiato per sempre: conclusa la Guerra
Fredda, il paradigma antifascista ha perduto il suo senso originario e ne
ha assunto - come si vede nell?uso che ne fanno non solo Battista e Fassino
ma soprattutto Bush e il ?Weekly Standard? - uno nuovo. Un senso del tutto
interno al liberalismo trionfante e del tutto funzionale alla legittimazione
dell?offensiva ?internazionalista? degli Stati Uniti, nella sua versione
umanitaria prima, in quella neoconservatrice dopo. Difendere acriticamente
questo paradigma, significa purtroppo ? ferme restando le buone intenzioni
- essere culturalmente subalterni a tale offensiva.
Intendiamo forse dire che bisogna piegarsi all?egemonia del revisionismo
storico e cessare di essere antifascisti? Esattamente il contrario. Essere
?antifascisti? alla maniera di Bush significa però oggi sposare l?ideologia
dell?universalismo liberaldemocratico statunitense, per la quale il ?terrorismo?
e la guerriglia attuali, come il nazifascismo e lo stesso comunismo di ieri,
si confondono l?uno nell?altro in quella notte nera che porta il nome di
totalitarismo. E? atto elementare di resistenza culturale, allora, prendere
atto dei cambiamenti semantici avvenuti e contrapporre offensiva ad offensiva,
operando consapevolmente una diversa ed autonoma ?revisione? delle categorie
e dei paradigmi storiografici sinora utilizzati e ridefinendo integralmente,
in chiave storico-materialistica, lo stesso antifascismo, per capire cosa
esso oggi e per noi debba significare.
Il materiale per una rilettura di questo tipo è immenso. La storiografia
legata al PCI ? ad un partito che doveva giustamente presentarsi come l?erede
della storia e della cultura nazionale ? aveva un interesse particolare nello
studio e nella valorizzazione della Resistenza come movimento di liberazione
popolare e di costruzione dell?unità del Paese, un fenomeno tutto interno
alla storia italiana e quasi un completamento dell?impresa risorgimentale.
In tal modo, però, essa ha finito per dedicare meno energie sia all?analisi
di determinati aspetti del regime fascista, sia alle guerre condotte dagli
italiani in Africa prima, nel quadro del conflitto mondiale poi. Allo stesso
modo, esigenze realpolitiche legate alla Guerra Fredda hanno dissuaso questa
storiografia dall?indagare a dovere sia sulle stragi tedesche in Italia,
sia sui bombardamenti alleati, sia su quell?occupazione americana dalla quale
è scaturito lo status semi-coloniale che il nostro Paese ha avuto nel dopoguerra
e tuttora mantiene. Soprattutto, però, il paradigma antifascista e la conseguente
vulgata ?resistenziale? hanno impedito di cogliere adeguatamente la complessità
delle diverse dimensioni e dei diversi conflitti che si sono intrecciati
nella Seconda guerra mondiale. In essa era in gioco principalmente l?ordinamento
eurocentrico della Terra. Affermatosi in cinquecento anni di colonialismo
ed imperialismo, il primato europeo era stato messo in discussione sia da
quella «guerra fratricida dei bianchi» (Spengler) in cui si era risolta la
Grande Guerra, sia dal risveglio dei popoli colonizzati. L?ondata di lotte
per la liberazione nazionale e l?indipendenza prima e dopo il 1939 ? strettamente
connesse con la rivoluzione d?Ottobre ?, va intesa come un movimento di Resistenza
internazionale che costituisce il contesto della stessa Resistenza europea
e italiana. Il nazifascismo è infatti essenzialmente il tentativo di restaurare
in nuove vesti, su scala planetaria e persino nel continente europeo, l?ordine
coloniale e razziale che il vecchio imperialismo inglese e francese non era
più in grado di mantenere. A questa dinamica si andava intrecciando, poi,
la presenza del progetto egemonistico statunitense: una nuova forma di imperialismo
non territoriale che, consolidatasi già dalla fine del XIX secolo, troverà
proprio nel corso della Seconda guerra mondiale la possibilità di insediarsi
anche nella piattaforma europea.
Non è possibile approfondire questo discorso in questa sede, ma i nodi storici
da affrontare non mancano: si tratta di lavorare consapevolmente nella direzione
di un?integrale rilettura del Novecento, della quale da anni si avverte l?esigenza
ma che troppo poco viene ancora concretamente praticata. Basti dire che,
se quello che abbiamo delineato è un significato possibile del nazifascismo,
anche il significato dell?antifascismo deve per noi cambiare, con tutte le
conseguenze che ciò comporta per la nostra collocazione politica rispetto
alla persistenza e al rilancio odierni del progetto coloniale occidentale
nella sua versione ?postmoderna? statunitense. Proprio in questa direzione
ci sembra che fornisca un notevole contributo il libro, a cura di Costantino
Di Sante, Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati
1941-1951 (ombre corte, Verona 2005). Già da tempo gli studi di Angelo Del
Boca sulla guerra italiana in Africa orientale hanno definitivamente smantellato
il mito montanelliano del ?buon soldato? italiano ? propenso a fraternizzare
con le popolazioni civili ed incapace di qualunque eccesso -, mostrando invece
la sistematicità di una guerra coloniale, di sterminio e razziale, condotta
con metodi brutali e del tutto interna alla tradizione dell?imperialismo
occidentale. E? quanto Di Sante comincia a fare, ora, per le operazioni militari
italiane sul fronte slavo, raccogliendo in questo libro una gran mole di
importante materiale documentario, che si rivela indispensabile per comprendere
il contesto delle successive vicende legate alle foibe.
«Soldati d?Italia, combattenti nel Montenegro!» - recitava l?appello del
Governatore militare del Montenegro, Generale d?Armata Alessandro Pirzio
Biroli - «La guerra che qui conducete non è separata dalla grande guerra
che divampa in tutto il mondo» (82-3). Essa si inserisce per intero in un
disegno di vasta portata, perché è parte integrante di quella strategia imperialista
di costruzione di un Nuovo Ordine Europeo di cui l?Asse si è fatto portatore.
Questa guerra ha però bisogno, come tutte le guerre, di costruirsi un un
passato immaginario e di elaborare un?immagine del nemico. Ecco che alle
truppe italiane, impegnate a portare «la millenaria civiltà di Roma», risponde
allora, «con l?aggressione vile e subdola», un nemico particolare: gli eterni
slavi «presuntuosi, incostanti e vendicativi che conservano nell?animo le
stesse stigmate delle antiche orde asiatiche». Sì, gli Slavi, barbari e selvaggi,
«rifiutano la nostra civiltà romana nel nome della falce e martello»; essi
«odiano la nostra superiorità di razza e di ideali, per la stessa ragione
che spinge il Male contro il Bene». Essi sono «barbari briganti» che il «fertile
sangue latino» deve «punire secondo le leggi incorruttibili della giustizia».
Ed ecco allora che scatta l?invito esplicito alla guerra di sterminio: «bisogna
che per ogni compagno caduto paghino con la vita dieci ribelli». Una guerra
di sterminio che diventa ben presto guerra totale, indifferente a distinguere
il nemico in armi dalla popolazione civile, come nella tradizione consueta
delle conquiste coloniali: «Ricordate che il nemico è dappertutto; il passante
che incontrate e che vi saluta, la donna alla quale vi avvicinate, il padrone
di casa che vi ospita, l?albergatore che vi vende un bicchiere di vino».
«Odiate questo popolo», dunque; «esso è quel medesimo popolo contro il quale
abbiamo combattuto per secoli sulle sponde dell?Adriatico», per cui «ammazzate,
fucilate, incendiate e distruggete questo popolo!».
Sono direttive prontamente rispettate, come mostra la documentazione raccolta
dalla commissione sui crimini di guerra italiani istituita dal governo jugoslavo.
Rappresaglie, rastrellamenti, violenze e stupri, incendi di interi villaggi,
violazione sistematica di ogni convenzione internazionale di guerra, razzizzazione
integrale dei popoli slavi e, in determinate fasi, tentativi sistematici
di cancellarli come tali: questo è il contesto al di fuori del quale non
si comprende nulla della guerra di liberazione e unificazione nazionale condotta
dai partigiani titini. «La politica italiana di espansione nei Balcani»,
dice Di Sante, «venne contraddistinta da inaudite violenze, che non furono
episodi isolati o eccessi di singoli, ma componenti essenziali della strategia
di dominio territoriale dell?Italia fascista» (11). Alla fine della guerra,
il tentativo jugoslavo di ottenere giustizia attraverso la consegna dei criminali
di guerra italiani, inchiodati da innumerevoli prove, darà però il via ad
una precisa strategia della «rimozione» e dell?«oblio» da parte italiana.
Sin dall?inizio, le autorità militari italiane e lo stesso governo si impegneranno
a minimizzare gli eventi, a distorcerli e falsificarli, sino a ricondurli
a limitati ?eccessi? di singoli. In questa strategia difensiva, inoltre,
«la maggior parte delle violenze e degli ?eccessi? erano stati commessi?
in risposta alle ?barbare sevizie? subite dai soldati italiani ad opera dei
?ribelli comunisti?», mentre « la responsabilità delle efferatezze più gravi
risultava quasi sempre addossata ai tedeschi», oppure «agli ustasa», ma soprattutto
« alle lotte intestine tra le popolazioni locali». Al contrario, «venivano
evidenziate le gesta di ?umanità ed aiuto? prestate agli abitanti delle zone
sotto il controllo dfelle autorità fasciste» (20). Già allora, le responsabilità
vengono dunque completamente ribaltate sui ?barbari? slavi e in particolare
sulle formazioni partigiane titine, secondo una precisa strategia che è possibile
ancora oggi vedere all?opera nel dibattito sulle foibe. In questo modo, le
autorità italiane riusciranno efficacemente a prendere tempo fino ad insabbiare
del tutto la vicenda, sebbene tutto ciò comportasse la rinuncia a processare
i criminali di guerra tedeschi responsabili delle stragi in Italia.
Dopo i numerosi libri usciti di recente sulla questione delle foibe, il libro
curato da Di Sante sui crimini italiani in Jugoslavia è un?importante eccezione
che va in controtendenza. Immenso è però il lavoro ancora da fare nello studio
di un secolo, il Novecento, che troppo in fretta si cerca di dimenticare
senza averlo nemmeno compreso sino in fondo. L?apertura di molti importantissimi
archivi ? in Russia come negli Stati Uniti e nel nostro stesso Paese - offre
adesso alla storiografia un materiale prezioso, che integrerà e modificherà
inevitabilmente la nostra conoscenza del passato recente dell?Europa. Sull?interpretazione
di questo materiale si gioca una partita culturale e politica cruciale, quella
della costruzione di una nuova memoria e di una nuova egemonia. Non è il
caso di lasciare l?iniziativa all?avversario.



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www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado -
italia - 08-05-05


FORUM di BELGRADO per un mondo di eguali

Belgrado, 22. aprile 2005.

FESTEGGIAMENTi per i 60 ANNI DALLA VITTORIA SUL FASCISMO

Il Forum di BELGRADO per un mondo di eguali, esiste e funziona ormai
da cinque anni nella sua forma di associazione indipendente,
non-partitica, di cittadini senza scopi di lucro. In questo periodo
ha pubblicato una ventina dei libri dei suoi soci - accademici,
professori universitari, personaggi pubblici, diplomatici, avvocati,
industriali, analisti geo-strategici... I temi dei libri sono dedicati
ai problemi più rilevanti del mondo politico ed economico, della
sicurezza nazionale, affari esteri.

Inoltre, il Forum ha finora organizzato circa 40 tavole rotonde,
dibattiti e conferenze. Ha instaurato la collaborazione con molte
associazioni simili nel paese, in Europa ed in tutto il mondo.

L'anniversario dei cinque anni d'esistenza e lavoro del Forum è stato
festeggiato sabato, 23. aprile 2005. nell'aula magna Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di Belgrado.

In tale occasione si è tenuta l'Assemblea del Forum e la celebrazione
del sessantesimo anniversario della vittoria sul fascismo, di cui
parlerà l'accademico Mihajlo Marković.

Vladislav Jovanović, ex-ministro degli esteri della Jugoslavia e
rappresentante permanente della SRJ presso l'ONU, presenteranno il
tema "Kosovo e Metohija : soluzioni e prospettive".


FORUM di BELGRADO per un mondo di eguali

Belgrado, 12. aprile 2005.

Presso FORUM belgradese il 12. aprile è stato presentato il libro "La
Strategia della politica estera di Serbia e Montenegro". Si tratta di
una raccolta degli studi presentati alla Tavola rotonda del 27.
Novembre 2004. a Belgrado, organizzata dal FORUM di BELGRADO.

Durante la presentazione del libro, erano presenti una decina di
giornalisti nazionali e stranieri, che hanno intervistato gli autori
dei testi pubblicati nel libro: Vladislav Jovanović, prof. Oskar
Kovač, prof. Radovan Radinović, Stanislav Stojanović e Živadin Jovanović.

Negli interventi si è rilevato che il nostro paese, malgrado si trovi
nella posizione internazionale più scomoda che mai, possiede una
potenzialità reale di partnership e una posizione geo-strategica
rilevante, che possono entrambi essere valorizzati nel piano
regionale, europeo e internazionale.

Partendo da questi fatti, è stato posto in rilievo che la strategia
della politica estera dell'unione di Serbia e Montenegro, dovrebbe
basarsi sulle seguenti premesse:

- che non sia accettato di essere ritenuti un paese ed un popolo
"sconfitto", come viene fatto passare attraverso le politiche di
condizionamento e minacce di nuovo isolamento;

- che si sviluppi un approccio positivo nei confronti del mondo
sviluppato e processi di integrazione, cercando di farne parte a
condizioni paritarie;

- nello sviluppo dei rapporti con mondo estero dobbiamo fare
attenzione alle due posizioni estreme: una di confronto, l'altra di
capitolazione;

- sul rispetto coerente della propria indipendenza e integrità
territoriale: nei rapporti con altri paesi e istituzioni mondiali,
occorre insistere sul rispetto rigoroso dell'uguaglianza, reciprocità
e dignità del nostro paese.

Nel caso in cui i rapporti con altri paesi ed istituzioni
internazionali fossero costruiti sulle suddette premesse, il nostro
paese potrebbe contare di guadagnarsi un posto onorevole nei rapporti
internazionali, che gli appartiene.

E' stato indicato che la Serbia e Montenegro, nelle circostanze di
divisione delle sfere d'interesse e nell'integrazione della politica
estera e militare delle principali potenze, debba avere una propria
strategia che corrisponde ai propri interessi nazionali.

Alcuni paesi si sono inseriti nelle integrazioni economiche, militari
e politiche regionali, per motivi di prevenzione. Il peggio di tutto è
non stare da nessuna parte. Colui che non sta in alcuna entità, per
definizione, è gravemente discriminato.

Serbia e Montenegro, però, non devono affrettarsi a far parte
dell'Unione Europea ad ogni costo. Innanzi tutto, per motivi
economici, non lo dovrebbero fare. Dall'altro canto, l'entrata
nell'Unione Europea può essere una necessità di Serbia e Montenegro e
perciò bisogna affrontare le trattative, insistendo su un trattamento
paritario e sulla difesa degli interessi nazionali prioritari. In
tutto ciò, occorrerà fare la massima attenzione in particolare al
rispetto dell'integrità territoriale, vuol dire che l'unione statale
dovrebbe inserirsi nell'UE com'è attualmente, cioè comprendente la
regione autonoma del Kosovo e Metohija.

E' stato messo in rilievo che il nostro paese dovrebbe valorizzare la
propria posizione geo-strategica in forma conveniente ai propri
interessi vitali. Dovrebbe avere rapporti normalizzati con i vicini,
con i grandi centri di potere, rimanendo stabile al proprio interno.
Nel caso contrario, questa posizione geo-strategica può essere e
prevalentemente così come è oggi, una ulteriore causa aggiuntiva per
altre gravi pressioni e minacce, perfino per quella di altra violenza
e minacce agli interessi statali e nazionali.

Il rapporto nei confronti dei sistemi euro-atlantici è una delle
principali questioni della politica estera e interna. L'appartenenza
alla NATO, per molte ragioni, non è nell'interesse del nostro stato,
perciò non si deve includere nelle nostre priorità di politica estera
e quelle di sicurezza. Data la posizione geo-strategica del nostro
paese, una politica di neutralità attiva sarebbe il suo migliore
interesse.

Indicando il carattere inconsueto dell'Unione di Serbia e Montenegro,
di cui si afferma che per molti versi sia "poco definita" oppure
"non-perfezionata" come stato, è data una valutazione che sussistono
pochi elementi di strategia comune di politica estera. Quello che è
presentato dai nostri rappresentanti politici attuali, è, nei fatti,
una politica creata altrove, condotta altrove, e per mezzo di
"bastone e carota", in altre parole per mezzo di costanti ricatti ed
ultimatum. Se anche si parlasse di una strategia in comune, in ogni
caso, quest'elemento di politica unitaria della Serbia e Montenegro
viene sempre meno, perfino nelle questioni cruciali di politica estera
e di sicurezza. Perciò, il comportamento dell'attuale Ministro degli
Affari Esteri in quest'Unione, non sorprende, per il fatto che è stato
distaccato da tutte le istituzioni statali e perfino dal governo
serbo, di cui il suo partito fa parte come partner nella coalizione.
Lui conduce una politica privata, denigrando soventemente nel mondo
gli organi ufficiali della Serbia, mentre in questo governo nessuno
pone la questione della sua responsabilità.

Nella conferenza è stato criticato il comportamento di una parte di
alti rappresentanti della Serbia e Montenegro, la cui prassi
quotidiana è di promuovere le idee dei loro interlocutori esteri come
proprie, particolarmente di NATO, USA, Gran Bretagna e Tribunale
d'Aia, dandogli l'attributo di nostri "interessi nazionali e statali".
Questi politici diffondono disfattismo, un complesso di colpevolezza e
sindrome d'incapacità, da tanti anni. Per costoro, i Serbi sono
colpevoli per le guerre civili in Croazia e Bosnia-Erzegovina. I Serbi
sarebbero criminali e responsabili per la questione dei diritti umani
degli Albanesi in Kosovo e Metohija, "il regime di Slobodan Milošević"
sarebbe responsabile per l'aggressione NATO del 1999, e per le vittime
provocate dalle bombe all'uranio e alla graffite.

Questa diffusione di disfattismo e del complesso di colpevolezza, è
effettuata in piena coscienza ed è pianificata. Fa parte del lavaggio
dei cervelli, della "catarsi", con il fine di cancellazione del
"vecchio", "ormai superato" sistema dei valori, e per "l'avanzamento"
del "nuovo", inteso come "europeo", "mondiale"; il tutto effettuato
per scopi neocolonialisti. Questi elementi rappresentano i pilastri e
la condizione con cui l'oligarchia si tiene al potere, imponendo alla
popolazione ed ai giovani innanzi tutto, l'insicurezza, facendogli
diminuire la fiducia in sè stessi, corrompendo le coscienze.

Questa politica d'idolatria nei confronti di tutto quello che è
straniero, una politica di distruzione sistematica dell'identità
nazionale e spirituale serba, ha delle conseguenze devastanti,
difficili da eliminare, anche se si avesse la volontà di farlo. Le
conseguenze di questa politica si sono rispecchiate in maniera
direttamente negativa sulla posizione e reputazione mondiale di Serbia
e Montenegro, soprattutto della Serbia, che dimostra un'incapacità di
protezione degli aspetti d'interesse vitale nazionali, al livello
internazionale, in particolare per ciò che riguarda il Kosovo e Metohija.

Per quanto concerne la situazione del Kosovo e Metohija, è stato
sottolineato che l'obbligo prioritario della nostra diplomazia sia di
ribadire in tutte le occasioni l'obbligo della comunità
internazionale di garantire il rigoroso rispetto ed una coerente
realizzazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1244
(del 1999), in cui si garantisce l'integrità territoriale della Serbia
e Montenegro, e gli Accordi di Kumanovo.

Non sussistono delle condizioni o delle possibilità, con cui o per le
quali la Serbia dovrebbe, facendo parte dell'Unione di Serbia e
Montenegro, accettare una qualsiasi forma d'indipendenza del Kosovo e
Metohija, fosse essa "condizionata", incondizionata, fattiva, formale
o qualsiasi altra, al posto di una "autonomia concreta".

FORUM di BELGRADO per un mondo di eguali


A cura del Forum di Belgrado, Italia
(Traduzione di Dragomir Kovacevic)

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/resoconto.htm


P A R T I G I A N I !
Una iniziativa internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo

RESOCONTO DEL CONVEGNO SVOLTOSI A ROMA IL 7-8 MAGGIO 2005

1. Motivazioni ed adesioni
2. Gli interventi
3. I documenti video
4. Un antifascismo inattuale??
5. Le iniziative successive


L'incontro internazionale PARTIGIANI! si è tenuto a Roma, nell'arco di una
giornata e mezzo, presso la Casa delle Culture in Trastevere, con la
partecipazione
di ospiti provenienti da varie regioni d'Italia e dall'estero. In merito
hanno riferito organi di stampa di vari paesi - ad esempio i croati "Novi
List" e "La Voce del Popolo", di Rijeka/Fiume, e la Radiotelevisione della
Repubblica di Albania. In qualità di promotori dell'iniziativa proviamo a
raccontarla qui, abbozzando anche se possibile un provvisorio bilancio dal
lato politico.


1. MOTIVAZIONI ED ADESIONI

Avevamo deciso di cogliere l'occasione del 60.mo anniversario della
Liberazione
per organizzare, con il contributo di tutti i soggetti interessati e
sensibili,
una iniziativa di testimonianza e di informazione incentrata sul carattere
internazionale ed internazionalista della lotta partigiana in Europa
(1941-1945).
Una iniziativa senza precedenti nel panorama italiano e non solo italiano,
dai contenuti non rituali, dunque piuttosto ambiziosa. Allo scopo ci siamo
avvalsi di svariati contatti esistenti tra le nostre organizzazioni
promotrici
e realtà antifasciste di numerosi paesi.


Inizialmente promosso da Radio Città Aperta (RCA), Coordinamento Nazionale
per la Jugoslavia (CNJ), Gruppo Atei Materialisti Dialettici (GAMADI), e
Rivista Contropiano, l'appello per PARTIGIANI! ha catalizzato via via
numerose
adesioni e contributi. Hanno aderito alcune sezioni dell'ANPI e comitati
antifascisti, organizzazioni internazionaliste e contro la guerra, gruppi
comunisti e realtà culturali, partiti politici come il greco KKE e lo
jugoslavo
NKPJ. E poi: storici di prestigio come Angelo Del Boca e Nicola
Tranfaglia,
molti ex combattenti e dirigenti partigiani - si pensi a Giovanni Pesce,
a Leon Landini, a Ferdinando De Leoni o a Ettore Bonavolta -, ed
ancora riviste
e case editrici, artisti, e persino corali quali il Coro delle Mondine di
Novi (Modena) ed il Coro Partigiano "Pinko Tomazic" (Trieste).
Tra i messaggi di adesione e di saluto ricordiamo alcuni tra i più
significativi,
pervenuti dal Pôle de Reinassance Communiste en France, dal Coro
Partigiano
Triestino, dal partigiano Nerino Gobbo "Gino", dal Comitato Antifascista
di Oleggio (Novara), dall'Associazione Rom e Sinti "Aven Amentza", e dal
Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia, al cui rappresentante è stato
negato
il visto dal Consolato italiano a Belgrado.

Nel corso della "due giorni" sono intervenuti anche rappresentanti del
popolo
palestinese, di quello cubano e di quello della Repubblica Popolare
Democratica
di Corea. Hanno preso la parola in particolare Bassam Saleh per la
comunità
palestinese del Lazio e Maria Fierro per Italia-Cuba. Della vicenda
coreana
è stato ricordato il legame strettissimo con la lotta di liberazione dal
nazifascismo in Europa: proprio 60 anni fa, infatti, la Corea si liberava
dal giogo del Giappone pagando un prezzo terribile in termini di vite
umane
e di distruzioni. Ma dopo pochissimi anni, l'aggressione statunitense
costringeva
il popolo coreano ad impegnarsi in una nuova guerra di Liberazione,
insieme
drammatica ed eroica, che purtroppo non può dirsi ancora terminata.

Con l'iniziativa PARTIGIANI! abbiamo provato a superare l'angusta
dimensione
nazionale in cui per decenni è stata sostanzialmente confinata la memoria
dell'epopea partigiana. Un "confinamento" dovuto a tante ragioni: un certo
opportunismo "patriottardo", la strumentalizzazione della memoria per
interessi
nazionali e specifici, differenziazioni ideologiche (quali quelle tra i
movimenti
comunisti dei vari paesi, che oggi appaiono fortemente anacronistiche), o
persino semplice ignoranza delle vicende storiche.

Nel nostro paese, ad esempio, l'enfatizzazione della funzione della
Resistenza
come liberatrice del territorio dall'occupante tedesco e "fondatrice"
della
Repubblica antifascista ha indotto in passato a trascurare le vicende
drammatiche
eppure allo stesso tempo gloriose dei partigiani italiani mobilitati
all'estero,
e quelle dei partigiani provenienti da altri paesi che hanno immolato le
loro vite per liberare il suolo italiano. Analogamente in altri paesi: si
pensi ad esempio alla Francia, dove la Liberazione è stata forse
soprattutto
il frutto del sacrificio di militanti di origine non-francese, tra cui
moltissimi
italiani, la cui vicenda è pressochè ignorata da entrambi i lati del
confine.


Non si è trattato solo quindi una "analisi comparativa" delle varie
Resistenze,
ma anche una analisi del loro reciproco intrecciarsi, legarsi e
potenziarsi
a vicenda: una analisi del loro carattere internazionale ed
internazionalista.
Una analisi possibile solo liberando il dibattito politico e storiografico
sulla Resistenza da censure, falsificazioni, rimozioni ed omissioni che
sussistono
ed anzi purtroppo si acuiscono, in questa triste fase segnata a livello
internazionale
dal revanscismo di quelli che la II Guerra Mondiale l'hanno persa sul
campo,
ma vorrebbero trasformare quella sconfitta militare e morale di allora in
una vittoria politica dell'oggi, da conseguire "a tavolino", in maniera
storiograficamente
disonesta ed eticamente indegna.



2. GLI INTERVENTI

Dopo l'apertura formale della iniziativa da parte di Miriam Pellegrini
Ferri,
già partigiana di Giustizia e Libertà ed ora presidentessa del G.A.MA.DI.,
sulla Resistenza italiana hanno parlato Spartaco Ferri, che combattè in
Appennino
e fu imprigionato, e Rita Roda, con una riflessione sulla lotta partigiana
vista dai giovani di oggi.
Franco Alunni, autore di una importante testimonianza scritta, ha
ricordato
i fatti di Porta San Paolo, avvenuti a Roma subito dopo l'8 settembre
1943.

In gran parte incentrato sulla Resistenza a Roma anche l'intervento di
Ferdinando
De Leoni - già presidente dell'ANPI regionale del Lazio -, che ha però
allargato
la riflessione, con vis polemica ed inevitabile amarezza, sulla scandalosa
situazione italiana attuale.
Come ricordare il sacrificio dei partigiani, si è chiesto De Leoni, se
oggi
sono gli eredi del fascismo al governo?


La successiva sessione ha trattato delle vicende simmetriche dei
partigiani
sulle due sponde del mare Adriatico.

Di Giuseppe Maras, che fu comandante della Divisione Garibaldi che
inquadrava
molte migliaia di italiani combattenti contro il nazifascismo in
Jugoslavia
dopo l'8 settembre 1943, è ricorso il 12 maggio 2005 il terzo anniversario
della scomparsa. Nel corso del convegno, attraverso il ricordo del figlio
Armando ed avvalendosi anche di una efficace testimonianza
audio/video, "Pino"
è sembrato presente, quasi impegnato a discutere insieme a noi del senso
delle sue battaglie. Di Maras, nelle parole del figlio, è emerso un
ritratto
inedito, intimo, dell'uomo e del padre oltrechè dell'eroe, un ritratto che
ha commosso molti dei presenti alla iniziativa, che lo conobbero
personalmente.


Un altro partigiano italiano della Divisione Garibaldi è stato ricordato
da Ivan Pavicevac: si tratta di Ovidio Gardini, che fu attivo divulgatore
della memoria e dei valori della pace e fratellanza fra i popoli fino agli
ultimi momenti della sua vita, come attestato da alcune lettere e
documenti
audio presentati nel corso della iniziativa.

Nel cortometraggio "Teska breda", recentissima realizzazione a cura di
Tamara
e Boris Bellone e di Piera Tacchino, è contenuta invece la testimonianza
di 'Vinko' Giuglar, oggi anziano contadino della Val di Susa, che nel
1943,
ritrovatosi al seguito dell'esercito occupante italiano in Jugoslavia, fu
fatto prigioniero dai tedeschi. Dopo essere riuscito a sfuggire ai campi
di prigionia ed ai lavori forzati, si unì ai partigiani di Tito entrando
direttamente nella Terza Brigata Dalmatinska e partecipando alla
liberazione
di Knin.

Una storia simmetrica è quella dei partigiani jugoslavi in Italia:
generalmente
ex internati nei lager per slavi sul territorio italiano, dopo la caduta
del fascismo furono liberati e si unirono alla lotta sulla nostra
penisola,
svolgendo in numerose occasioni un ruolo-guida, di vera e propria
direzione
militare - ad esempio in Appennino, tra Lazio, Umbria e Marche.

Alessandra Kersevan, storica ed editrice friulana, autrice di
significativi
testi sulle vicende al confine orientale, ha parlato dei campi di
concentramento
per slavi sul territorio italiano, ed in particolare del campo di Gonars,
sul quale ha pubblicato di recente un testo ben documentato, fornendo
dettagli
che hanno lasciato profondamente impressionata la platea.

Si è entrati a questo punto nel vivo della discussione sulla Resistenza
jugoslava.
Vitomir Grbac, giornalista e scrittore fiumano, autore di "Bijela
Smrt" (La
morte bianca) ha raccontato del sacrificio dei partigiani della marcia di
Matic Poljana (Istria). Grbac era allora, con i suoi 16 anni, tra i
più giovani
combattenti nella Divisione di Tito. Nel suo libro descrive la marcia
nella
Lika, durante la quale morirono assiderati una quindicina di partigiani.
Alla marcia partecipava anche Antonija-Tonica Dovecar, una giovane incinta
di 7 mesi, che fu portata in salvo e che dopo poche settimane diede alla
luce il piccolo Ratimir (significativo il suo nome: "è nato in guerra, e
che viva nella pace"). Il memoriale di "Matic Poljana" è stato
recentemente
cambiato di nome dalle autorità revisioniste ed anticomuniste della
Croazia.
Tonkica è ancora viva: più anziana di Grbac, ma ancora lucida. Il piccolo
Ratimir, sorridente con la "titovka" bianca in testa all'età di 2-3 anni
nella foto pubblicata nel libro, oggi professore alla Facoltà di
navigazione
a Portoroz in Slovenia, era anch'egli presente in sala!

Giacomo Scotti, nel corso di un intervento molto atteso, ha svelato
particolari
meno noti della Resistenza sul confine orientale; rivelando tra
l'altro che
i primi resistenti italiani in verità non furono quelli che dopo l'8
settembre
1943 presero le armi contro il nazifascismo: bensì quelli che, in Istria
e Venezia Giulia, al fianco degli slavi ed inquadrati nelle loro
formazioni,
già nel 1941 partecipavano ad azioni antifasciste.
Scotti, storico, giornalista e scrittore, autore di numerosissimi lavori
dalla saggistica alla poesia, rappresenta oggi quasi la "memoria vivente"
degli italiani di Jugoslavia: cioè di quella comunità che dopo il 1945 è
rimasta lì per contribuire alla costruzione di una società diversa e più
giusta, avendo come vessillo il tricolore bianco-rosso-e-verde con la
stella
rossa al centro - proprio il vessillo cioè dei partigiani della Garibaldi.
Impegnato negli ultimi anni tra l'altro a chiarire le vicende delle
"foibe"
facendo luce sulle esagerazioni e sulla disinformazione in merito, Scotti
ha recentemente subito pesanti intimidazioni dalla destra al governo
in Italia.
Le minacce dei fascisti non sono purtroppo una novità per lui: in passato
fu pesantemente attaccato anche dall'estrema destra croata, quella di
Franjo
Tudjman, per averne denunciato i crimini (si veda anche il suo libro
"Operazione
Tempesta").


Ancora in merito al problema del revisionismo storico, e sulla crescente
opera di diffamazione della Resistenza da parte di destre revansciste
e sinistre
opportuniste insieme, è seguito l'intervento di Claudia Cernigoi,
redattrice
del notiziario triestino La Nuova Alabarda ed autrice di testi di ricerca
storica quali "Operazione foibe, tra storia e mito". Eloquente il titolo
dell'intervento - "Attacco alla resistenza, riscrittura della storia" -
pervenuto
in forma scritta a causa di una indisposizione dell'ultimora dell'autrice.


Ne è seguito un dibattito, nel corso del quale è stato denunciato il falso
mito degli "italiani brava gente", e l'impunità della quale ha goduto la
classe dirigente italiana già implicata con il nazifascismo e responsabile
di crimini di guerra. Si è rimarcata la necessità di operare una netta
distinzione,
all'interno di ogni popolo e comunità nazionale, tra collaborazionisti del
nazifascismo e suoi oppositori - schieramenti spesso distinguibili
semplicemente
per la diversa condizione sociale. La guerra di Liberazione non fu tra le
nazionalità in quanto tali, bensì piuttosto tra le classi: quelle agiate
e possidenti da una parte, collaborazioniste o che comunque trassero
profitto
dal potere nazifascista, e quelle subalterne dall'altra, impegnate in una
lotta unitaria, internazionale ed internazionalista appunto, contro
l'oppressione,
nazionale e sociale, che ha sempre caratterizzato tutte le forme di
fascismo.


La giornata della domenica si è aperta con una sessione sulla Resistenza
in Albania. Essa è stata condotta da Miriam Pellegrini Ferri, grande
conoscitrice
di quel paese, che ha letto alcuni documenti sul contributo in quella
lotta
degli italiani, in gran parte inquadrati nella Brigata Gramsci ma non
solo.

Di grande spessore l'intervento di Xhemil Frasheri, veterano della LANÇ -
Movimento Antifascista di Liberazione Nazionale albanese - e tuttora
lucidissimo
critico della deriva filo-imperialista e fascistoide della odierna
Repubblica
di Albania. Storico e saggista, già docente di storia contemporanea
all'Università
di Tirana e collaboratore dell'Accademia delle Scienze di Albania fino ai
primi anni Novanta, Frasheri ha sottolineato in particolare il ruolo dei
comunisti guidati da Enver Hoxha nella guerra vittoriosa prima, e nella
ricostruzione
e modernizzazione del paese poi. L'Albania usciva infatti dal conflitto in
drammatiche condizioni di distruzione e di arretratezza sociale, a causa
di secoli di regime feudale.
È intervenuto dopo di lui Hulusi Hako, anch'egli veterano della LANÇ, che
ha tra l'altro stigmatizzato le difficoltà frapposte oggi alla libera
circolazione
in Europa, richiamando dunque la condizione drammatica dei lavoratori
immigrati
in Italia.


Di grandissimo interesse infine la sessione sulla Resistenza greca,
animata
da un prezioso intervento di Dora Moscou, responsabile del Dipartimento di
Storia del KKE (partito comunista di Grecia). La vicenda dei
partigiani greci
fu diversa e più drammatica di quella dei partigiani di tanti altri paesi
europei, ed è tuttora poco nota per il suo carattere politicamente
"scomodo".

Dopo il tracollo dell'invasore italiano - che si era reso responsabile di
gravi crimini, tra i quali centinaia di migliaia di morti per una carestia
che si sarebbe potuta evitare -, la Grecia fu sotto il tallone tedesco; e
dopo la cacciata dei tedeschi, i partigiani furono aggrediti, bombardati
ed infine massacrati a decine di migliaia dalle truppe inglesi e dai
settori
reazionari monarchici, che usarono ogni mezzo (fino alle
decapitazioni) per
impedire che la Grecia entrasse nell'orbita sovietica. La guerra
civile terminò
nel 1947, e nei decenni successivi nel paese una democrazia di facciata si
alternò ai regimi fascisti filo-NATO dei "colonnelli". Una storia amara e
scandalosa, che in Occidente non viene narrata.



3. I DOCUMENTI VIDEO

La due-giorni di dibattito è stata accompagnata da alcune altre proiezioni
significative, oltre a quelle già citate.
Innanzitutto il film "La Villeggiatura", di Marco Leto (con A. Celi, A.M.
Merli, R. Herlitzka, Italia 1973), che racconta la vicenda del professor
Franco Rossini - ispirato alla figura di Carlo Rosselli - al confino
in un'isola
del Sud. Resi già difficili dalla diversa estrazione sociale, i rapporti
tra Rossini e gli altri confinati sembrano guastarsi ancora di più quando
il professore, che dispone di soldi, può prendersi in affitto una villa e
chiamare presso di sé i familiari. Ma quando un altro confinato, il
comunista
Scagnetti, muore assassinato in una finta rissa, egli si schiera
decisamente
con i proletari ed evade con alcuni di loro dall'isola... Un film che
sviluppa
dunque la tematica dei rapporti sociali e del conflitto di classe nel
percorso
resistenziale.
Se ne è parlato direttamente con Adalberto Maria Merli, attore
protagonista
del film, che ha ricordato anche, amaramente, la difficile vicenda di
questa
pellicola, la cui circolazione fu in tutti i modi boicottata in Italia
subito
dopo l'uscita e che a tutt'oggi è stata proiettata troppo poco, nonostante
ad esempio abbia vinto all'epoca il più prestigioso premio della critica
francese.

Altro film proiettato a latere del dibattito è stato "Ne okreci se sine"
("Non voltarti figlio"), di Branko Bauer (RFS di Jugoslavia, 1956), nella
versione originale in serbocroato corredata da sottotitoli in italiano a
cura della sezione piemontese del Coordinamento Nazionale per la
Jugoslavia.
A questi ultimi ci si può rivolgere anche per gli altri video, e per
alcuni
dei più famosi film della cinematografia jugoslava, dei quali si
stanno curando
le versioni sottotitolate in italiano per facilitarne la circolazione nel
nostro paese. "Non voltarti figlio" è ambientato in Croazia nel 1941-1944:
ambientato in una Zagabria resa agghiacciante dalla violenza razzista
ustascia,
narra di un padre che, sfuggito all'internamento nel campo di sterminio di
Jasenovac, cerca di recuperare il giovanissimo figlio ai valori della
fratellanza
e della libertà, facendolo passare insieme a sé con i partigiani. Un film
emozionante, in grado anche di chiarire, a noi oggi, gli aspetti
"politicamente
scomodi" e dunque rimossi della storia jugoslava contemporanea.


Sui crimini italiani in Grecia è stato proiettata parte di un lungo video
inedito, a cura di Piera Tacchino, che raccoglie le testimonianze di
anziani
protagonisti e storici greci.

Sempre ai crimini italiani nelle zone di occupazione è dedicato il
documentario
"Fascist Legacy" ("L'eredità fascista") di Ken Kirby, del quale per
ragioni
di tempo sono stati proiettati solo alcuni estratti. Prodotto dalla BBC,
il documentario racconta e documenta i crimini di guerra italiani nei
Balcani
ed in Africa, e il loro successivo insabbiamento. Se ne è discusso con
Massimo
Sani, curatore di una edizione italiana che la RAI non ha mai trasmesso:
la RAI ha preferito infatti seppellire il nastro in qualche cassetto per
non turbare le cattive coscienze nazionali. La seconda parte del
video, che
meriterà di essere proiettata a Roma in qualche prossima occasione, spiega
d'altronde proprio le modalità e le ragioni di questa opera di
insabbiamento,
che ha consentito ai criminali di guerra italiani di uscire indenni e,
talvolta,
persino di riciclarsi e trovare nuovamente un ruolo ed un posto come
classe
dirigente nell'Italia del dopoguerra.


4. UN ANTIFASCISMO INATTUALE??

Appare paradossale dover spiegare quale sia l'opportunità di organizzare
iniziative dedicate al 60.mo anniversario della Liberazione. Tuttavia,
purtroppo,
la condizione oggettiva, storica e politica, nella quale ci troviamo è
davvero
anomala, e ci impone dunque di ribadire cose che sarebbero scontate.
Persino
nel corso del processo di costruzione di PARTIGIANI! abbiamo rilevato
atteggiamenti
timorosi, quasi regnasse un malessere, addirittura una diffidenza verso la
tematica resistenziale "in se". Come se, a tanti decenni dallo svolgimento
dei fatti e mentre tanti temi urgentissimi e gravi premono sulle nostre
coscienze
civili, l'antifascismo "in senso stretto" non bastasse più a se stesso, ed
avesse bisogno di essere completamente ridefinito.
Ci hanno obiettato infatti: celebrare la Resistenza va bene, ma essa "va
attualizzata"; è inutile fare antifascismo "d'antan"; bisogna evitare
l'"eurocentrismo",
bisogna collocare quella Resistenza europea di 60 anni fa nell'ambito
delle
tante resistenze (al plurale) dei popoli, prima durante e dopo la II
Guerra
Mondiale, in ogni continente, a cominciare ovviamente da quei popoli che
hanno combattuto e combattono adesso fondamentali lotte di liberazione dal
colonialismo e dall'imperialismo.

Come è evidente dal resoconto degli interventi al convegno, anche queste
problematiche sono state ben presenti; allo stesso tempo però abbiamo
dovuto
e voluto evitare ogni tentazione "tuttologica", che avrebbe distolto
necessariamente
la nostra attenzione dal 60.mo anniversario della Liberazione. Ci
chiediamo
da cosa nasca in effetti questo "desiderio di fuga", questa tendenza a
volgere
lo sguardo altrove, verso un antifascismo inteso solo "in senso lato",
come
se l'antifascismo storico, l'"antifascismo in senso stretto", quello
vittorioso
in Europa nel 1941-1945, quello su cui (almeno sulla carta) sono state
fondate
le istituzioni ed il vivere comune di paesi come il nostro, non avesse più
molto da dire.

Certo, il ricordo di quelle vicende del 1941-1945 non può limitarsi al
puro
rito celebrativo o al freddo approfondimento storiografico: attitudini
queste
che, entrambe, rischiano davvero di relegare la Resistenza in un cassetto
della memoria, in uno spazio anacronistico che non avrebbe più nulla a che
fare con il presente. Ma sarebbe ben strano se quell'antifascismo "in
senso
stretto" non avesse più niente da dirci proprio oggi, mentre la
Costituzione
antifascista della nostra Repubblica viene umiliata e stravolta, a
cominciare
dal suo Articolo 11, e mentre soldati italiani sono impegnati nella
occupazione
militare di alcuni dei territori che furono occupati anche allora, sotto
il nazifascismo - si pensi ai Balcani - e tentazioni neocolonialiste
muovono
tutto l'Occidente.

Come cartina di tornasole, guardiamo all'attitudine della controparte
verso
quel passato: guardiamo ad esempio all'andamento delle cerimonie ufficiali
per il 60.mo, guardiamo a Mosca, alle polemiche di questi giorni, al fatto
che nei paesi Baltici vengono autorizzate le cerimonie dei veterani delle
SS, e la storia viene ovunque riscritta, ribaltandola. Di seguito alcuni
titoli dal principale quotidiano tedesco, la Frankfurter Allgemeine
Zeitung,
del 6 maggio 2005: "Bush rispetta il boicottaggio dei baltici" (con
riferimento
alla non partecipazione di questi alle celebrazioni di Mosca). "Il 9
maggio
portò una nuova occupazione" (intendendo l'aggregazione all'Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche). Ed ancora titoli ambigui sulle
"maggiori
pulizie etniche del XX secolo", intendendo quelle presunte a danno dei
tedeschi
dopo il 1945... Il 9 maggio sarebbe infatti per la Germania "il giorno
della
sua più grande catastrofe... il giorno della sua morte": questa l'opinione
dei portavoce del complesso militare-industriale germanico, anno 2005.

Ecco che cosa è diventata l'Europa negli ultimi anni, ecco chi è che
la governa:
innanzitutto in casa nostra, dove una classe politica compromessa con il
fascismo è oggi al potere. E poi guardiamo appena fuori dalla finestra, ad
esempio nei Balcani, dove hanno ripreso il potere quei settori (ustascia
croati, cetnici serbi, islamisti bosniaci, balisti albanesi) che
avendo perso
la II Guerra Mondiale speravamo fossero finiti per sempre
nell'immondezzaio
della storia.
Infine, guardiamo al modo in cui vengono ridefiniti i confini interni ed
esterni del nostro continente.
Proprio oggi, dunque, mentre settori revanscisti ed imperialisti invertono
in Europa gli esiti della II Guerra Mondiale, ritroviamo pienamente il
senso
di quella lotta internazionale ed internazionalista che fu dei partigiani.


La paura di parlare della Resistenza - la Resistenza al singolare, quella
europea di 60 anni fa - va invece a braccetto con certe smanie di
rimozione
del Novecento, con i tentativi di dimenticarne la storia per cancellarne
le conquiste.

Qualche decennio fa nessuno si sarebbe mai sognato di dover spiegare,
quasi
fosse una eccezionale scoperta, che non furono certo i partigiani a
macchiarsi
di crimini contro l'umanità, bensì che l'odio nazionale e l'odio
etnico erano
coltivati regolarmente tra le fila dei nazifascisti, avvezzi per intima
ispirazione
ideologica a combattere guerre nazionalistiche e praticare pulizie
etniche.
Ad ispirare la lotta dei partigiani era al contrario un desiderio di
giustizia,
di fratellanza e di pace fra i popoli. Curioso doverlo ribadire. Ma
non possiamo
fare altrimenti: dobbiamo infatti constatare che gli attacchi di stampo
revisionista,
provenienti purtroppo non solo da destra, mirati ad infangare o comunque
a gettare nell'oblio la lotta eroica dei partigiani contro il
nazifascismo,
sono incessanti.

Negli ultimi mesi, alcuni progetti di legge presentati dalla destra al
governo,
hanno inteso addirittura equiparare i partigiani a chi ha militato nelle
formazioni collaborazioniste dei fascisti e dei nazisti - questi ultimi,
dunque, al servizio dell'occupante straniero: altro che "patrioti"!

Ma particolarmente insistenti sono state ultimamente proprio le campagne
di disinformazione con le quali si è cercato di negare il carattere
multinazionale
ed internazionalista della Resistenza, dipingendo i partigiani come bande
di violenti impegnati in aggressioni contro questa o quella nazionalità o,
addirittura, in "pulizie etniche". Assai discutibile e tendenziosa ci
è apparsa
ad esempio l'istituzione per l'Italia di una specifica "Giornata della
Memoria
delle vittime dell'Esodo e delle Foibe" (10 febbraio). Riteniamo poi
ingiustificabile
la trasmissione in TV, tra assurdi programmi dedicati a riabilitare figure
irrimediabilmente compromesse col fascismo (a partire dai familiari
del duce),
di fiction con le quali vengono diffuse concezioni bugiarde e razziste
sulla
guerra di Liberazione sul confine orientale ("Il cuore nel pozzo"). Ed
inopportune
o insufficienti sono le prese di posizione in proposito di esponenti
democratici
e della sinistra, anche comunista: tutti ricordiamo viceversa, purtroppo,
le parole di qualche leader opportunista, ex-comunista, sui "ragazzi
di Salò",
sull'"espansionismo slavo" ed i "territori perduti", o sulla
"angelizzazione
della Resistenza".

I fatti storici che abbiamo ricordato e documentato nel nostro convegno,
ed in primo luogo l'impegno comune, fianco a fianco, di combattenti di
diversa
origine nazionale sui vari fronti della Guerra di Liberazione, sbugiardano
le tesi revisioniste, ma ci impongono anche di interrogarci sulla
drammatica
degenerazione politica e culturale del presente.


5. LE INIZIATIVE SUCCESSIVE

Nell'intervento di chiusura della iniziativa, Sergio Cararo (per Radio
Città
Aperta) ha posto un quesito doloroso eppure inevitabile. A questi compagni
che hanno combattuto, ed ai quali va la nostra ammirazione e persino
invidia
per avere partecipato a tante battaglie vittoriose, auguriamo di
vivere altri
cento anni. Ma non possiamo non porci oggi il problema di come tenere viva
la sensibilità antifascista per il futuro, di come coinvolgere le nuove
generazioni.
Una legge biologica destina infatti queste donne e questi uomini che hanno
combattuto a lasciarci, e resta il problema di quale eredità trasmettere,
e come. La generosa domanda di impegno politico dei giovani trova, sul
"mercato"
politico reale, gli sbocchi ed i mezzi che trova, non altri: la risposta
al quesito non può essere altro, dunque, che una risposta in termini
politici
ed organizzativi, tutti ovviamente da precisare.

Alessandro Hobel, intervenendo a nome dell'Archivio Storico del Movimento
Operaio e del centro Culturale La Città del Sole di Napoli, ha
invitato tutti
quelli che hanno contribuito a costruire l'iniziativa PARTIGIANI! ad
intenderla
come un punto di partenza per un lavoro di testimonianza e di
in/formazione
da protrarre nel tempo, coinvolgendo le realtà attive a livello locale e
gli studenti.

Le iniziative incentrate sul carattere internazionale ed internazionalista
della Resistenza, nel 60.mo anniversario della Liberazione, non sono state
molte. Si è trattato di solito evidentemente di omaggi resi a
luoghi-simbolo,
quali i monumenti ai caduti nelle zone di confine, o tributi resi da
realtà
istituzionali o para-istituzionali.
Nel nostro caso, a partire da una esigenza tutta spontanea e senza alcun
sostegno di tipo istituzionale, siamo riusciti a mobilitare per un giorno
e mezzo una sala-teatro nel centro di Roma, stimolando e raccogliendo
numerose
testimonianze che restano disponibili, e potranno innanzitutto
motivare tante
simili iniziative nel futuro. Iniziative per le quali non sarà certo
necessario
attendere qualche prossimo anniversario: anzi, è proprio l'attualità
urgente
di certi temi, interni ed internazionali, a richiedere che i valori della
lotta partigiana siamo riproposti continuamente.

Una prima iniziativa "gemella" di PARTIGIANI! si è svolta subito dopo, il
lunedi 9 maggio, a Bussoleno (Torino), con il patrocinio del Comune.
Intitolata
"La Resistenza: dentro e fuori i confini", essa ha visto intervenire
Giacomo
Scotti, Fulvio Perini (sindacalista) ed Ugo Berga (ANPI).
Noi rimaniamo a disposizione per ogni contatto, contributo ed idea che
vogliate
farci pervenire. E mettiamo ovviamente a disposizione tutte le
testimonianze
ed i materiali che abbiamo raccolto. Per entrare in contatto con noi:

P A R T I G I A N I !
https://www.cnj.it/PARTIGIANI
Una iniziativa internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo
Per contatti: PARTIGIANI! c/o RCA/CNJ,
Via di Casal Bruciato 27, I-00159 Roma
partigiani7maggio @ tiscali.it - FAX +39-06-43589503


(a cura di A. Martocchia per il Comitato organizzatore)

LINKS articoli 19--23/5/2005
SOURCE: http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/

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From: "Darkita"
To: yugoslaviainfo @ yahoogroups.com
Subject: [yugoslaviainfo] Selected articles (May 19, 2005)


Enemies bought, friends sold (by John Laughland)
http://www.guardian.co.uk/print/0,3858,5196836-103677,00.html

ZNet Germany: Interview; Noam Chomsky: State and Corp.
http://www.zmag.org/content/print_article.cfm?itemID=7885%c2%a7ionID=10


Current Headlines
http://www.serbianna.com/


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Macedonian Press Agency (Greece)
http://www.mpa.gr/index.html?page=english

MakFax (FYRM)
http://www.makfax.com.mk/look/agencija/izdanje.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=1&NrIssue=107

B92 News
http://www.b92.net/english/news/index.php?order=priority


Croatian government rejects allegations from proposed amended indictment
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H5181632.4yc


Unfinished Business:

Seized KLA Documents Speak of Campaign of Intimidation (by Andy Wilcoxson)
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg051805.htm

Back to Kosovo: Bush to Finish Clinton Intervention (by Nebojsa Malic)
http://antiwar.com/malic/

Monthly report to the UN on the operations of the Kosovo Force
http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/N05/340/18/PDF/N0534018.pdf?OpenElement

Kosovo: Current and Future Status

-Public Remarks by the Rev. Irinej Dobrijevic
http://news.serbianunity.net/bydate/2005/May_18/2.html?w=p

-R. Nicholas Burns, Under Secretary for Political Affairs
Statement before the House Committee on International Relations
http://www.state.gov/p/2005/46471.htm

Balkan Crisis Report No. 556: Focus on Serbs and Kosovo
http://www.iwpr.net/balkans_index1.html


Police Replace Army in Securing Macedonia's North Border (by Zoran
Nikolovski)
http://www.setimes.com/cocoon/setimes/xhtml/en_GB/features/setimes/features/2005/05/18/feature-02?print=yes


Macedonia Looks For Support on Name Issue, as Top Leaders Spar
http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=534


British-Croatian Business Network holds Forum on Croatia's EU prospects
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/gospodarstvo/H5181753.4ya

A letter from Croatia
http://www.bhhrg.org/LatestNews.asp?ArticleID=62

High Expectations (by Ivan Vatahov)
http://www.sofiaecho.com/article/poverty-and-the-eu-path/id_11315/catid_23

German Constitution does not recognise Polish border
http://www.freenations.freeuk.com/news-2005-05-18.html

A tale of two Europes (by Ian Traynor)
http://www.guardian.co.uk/print/0,3858,5195559-105806,00.html


Bosnia: Police official pressed to resign, after accusing authorities
of al-Qaeda links
http://www.adnki.com/index_2Level.php?cat=Terrorism&loid=8.0.166077959&par=0

Spanish minister refutes claims that terrorists were trained in Bosnia
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H5181720.4yc


Southeast Europe NATO/Euro-Atlantic Integrated, Tapped For Afghan War
Troops
http://www.mia.com.mk/ang/glavnavest/lastvest.asp?vest=\Refresh1\170-1705.htm

The Changing Face of NATO (by Krzysztof Sidor)
http://www.warsawvoice.pl/index.phtml?pg=druk&a=8507

NATO to Russia: these bases should go
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NTV Mir: FSB head: Russia faces loss of influence
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Russian FM: The strong are not popular
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Oil conflict in Ukraine (by Yulia Yurova)
http://en.rian.ru/analysis/20050518/40376245.html


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'Guardian of human rights'
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From: "Darkita"
To: yugoslaviainfo @ yahoogroups.com
Subject: [yugoslaviainfo] Selected articles (May 20, 2005)


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Will the Media Tell Before We Stop Them? (by Duncan Campbell)
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A spring morning in the autumn of America (by Fred Goldstein)
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Pope: Balkans need reconciliation, Christianity
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Germany is accused of racism as 50,000 Roma are deported (by D. Howden
& E. Kuehnen)
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RTRS: "Hang the Serbs from the willow trees"
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ICTY Chief Prosecutor expects fugitive general in the Hague very soon
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H5192094.4yc

OSCE and ICTY agree on monitoring of war crimes trials conducted by
local courts
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H5191991.4yc


No Executions at Racak and Izbica (by Andy Wilcoxson)
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg051905.htm

Reuters: UN prosecutor opposes release for Kosovo ex-PM
http://www.balkanpeace.org/hed/archive/may05/hed7029.shtml

2005, a "year of decision" for Kosovo's final status:

-Crying for Standards (by Marek Antoni Nowicki)
http://www.tol.cz/look/TOL/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=4&NrIssue=116&NrSection=2&NrArticle=14049

-Serbian President Senior Advisor: Serbian Democracy's Deal for
Kosovo and Metohija
http://www.kosovo.com/news/archive/2005/May_19/1.html

-Testimony of Former Ambassador of Greece & Member of the
International Commission
on the Balkans
http://www.kosovo.com/news/archive/2005/May_19/2.html

-Testimony of Vice President and Director for Peace and Stability
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http://www.usip.org/aboutus/congress/testimony/2005/0518_serwer.html

RFE/RL: UN Envoy lauds Washington hopes for Kosovo independence talks
in months (by Robert McMahon)
http://www.reliefweb.int/rw/RWB.NSF/db900SID/RMOI-6CK3GP?OpenDocument&rc=4&cc=scm

Kosovo red carpet demands are beyond reality
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?pf=1&id=12226&url=%2Fvesti%2Fvest.php%3Fpf%3D1%26id%3D12226

Dnevnik: Dramatic turnabout in Kosovo: Firstly status, border
afterward! (by Igor K)
http://kosovareport.blogspot.com/2005/05/macedonian-report-notes-dramatic.html


Greek American Organizations' Policy Statement on the FYRM
http://www.hellenicnews.com/readnews.html?newsid=3461&lang=US


Foreign ministry spokesman: Greek-US relations "maturing"
http://www.ana.gr/anaweb/user/showplain?maindoc=2932897&service=8

Dnevnik: Rumsfeld Issued Orders to Prepare Krivolak for NATO Training
Center
http://www.realitymacedonia.org.mk/web/news_page.asp?nid=3766

US Guided-Missile Destroyer Big Success in Black Sea Engagements
http://www.news.navy.mil/search/display.asp?story_id=18394


President: Romania paid for other countries' 'freedom' (by Alecsandra
Iancu)
http://www.daily-news.ro/print_preview.php?idarticle=11116

Bush Signals, 'New Revolutions' on the Way (by Mirza Cetinkaya)
http://www.zaman.com/include/yazdir.php?bl=international&alt=&trh=20050520&hn=19751

Belarus becomes likeliest candidate for another bloody revolution
http://english.pravda.ru/printed.html?news_id=15504

Russian Foreign Ministry objects to the export of democracy
http://english.pravda.ru/printed.html?news_id=15497


Exchange of empires (by Timothy Garton Ash)
http://www.guardian.co.uk/print/0,3858,5196902-103677,00.html

Seize the opportunity to act in light of the circumstance
http://english.peopledaily.com.cn/200505/20/print20050520_186106.html

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From: "Darkita"
To: yugoslaviainfo @ yahoogroups.com
Subject: [yugoslaviainfo] Selected articles (May 21, 2005)


The Others

"Allah loveth those who are just" (by Mary Mostert)
http://www.renewamerica.us/columns/mostert/050518

"Culture becomes a source of a new geopolitical strategy of
development because it is a mirror of each country's identity"
http://www.setimes.com/cocoon/setimes/xhtml/en_GB/features/setimes/features/2005/05/20/feature-03?print=yes

Bulgarian President: Balkan is Not the Other Europe
http://www.novinite.com/newsletter/print.php?id=47906


THE GLOBAL TYRANNY

Macedonian Press Agency (Greece)
http://www.mpa.gr/index.html?page=english

MakFax (FYRM)
http://www.makfax.com.mk/look/agencija/izdanje.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=1&NrIssue=109

B92 News
http://www.b92.net/english/news/index.php?order=priority


1995 Operation Storm was (not) a criminal enterprise
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H5202422.4yc

Crimes and Misdemeanors (by B. Stavrova & R. Alagjozovski)
http://www.tol.cz/look/TOL/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=4&NrIssue=116&NrSection=4&NrArticle=14051


Wages of Servitude
http://grayfalcon.blogspot.com/2005/05/wages-of-servitude.html

Empire Takes Charge
http://grayfalcon.blogspot.com/2005/05/empire-takes-charge.html

Bush unveils plans for US colonial office (by Bill Van Auken)
http://www.wsws.org/articles/2005/may2005/bush-m21_prn.shtml


Radio 'Free' Europe/Radio 'Liberty': On the Horizon
http://news.serbianunity.net/bydate/2005/May_20/25.html?w=p

Broad Autonomy Vs Independence (by Dusan Batakovic)
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200505_556_4_eng.txt

Joint State With Albanians Would be a Disaster (by Ivan Ahel)
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200505_556_5_eng.txt


"Cyprus Republic" (by Selcuk Gultasli)
http://www.zaman.com/include/yazdir.php?bl=international&alt=&trh=20050521&hn=19770

Partnership and cooperation on issues of mutual interest
http://www.ana.gr/anaweb/user/showplain?maindoc=2938167&maindocimg=2937742&service=6


2001-2005: Macedonia Handed Over To NATO
http://www.mia.com.mk/ang/Vest.asp?vest=\1\Copy%20of%20MO%20Manasievski%20prezentac.htm

A Model of Reform? (by Jiri Sedivy)
http://www.tol.cz/look/TOL/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=4&NrIssue=116&NrSection=2&NrArticle=14053

Combined Endeavor 2005: An 'exercise that connects nations' (by C.
Coon & T. Boyd)
http://www.estripes.com/article.asp?section=104&article=29204


CE Summit Plots Overthrow Of Belarus Government (by Tatoul Hakobian)
http://www.azg.am/?lang=EN&num=2005052002

An era of change
http://www.messenger.com.ge/issues/0865_may_20_2005/opinion_0865.htm


'Connecting People' (by Zoran Nikolovski)
http://www.setimes.com/cocoon/setimes/xhtml/en_GB/features/setimes/features/2005/05/20/feature-02?print=yes

100% 'Crude' Connection (by Adam Porter)
http://english.aljazeera.net/NR/exeres/AC9B68BD-9853-494D-AB7D-A5EF74C46694.htm

Priorities
http://www.japantimes.co.jp/cgi-bin/makeprfy.pl5?nn20050520a3.htm


US Versus China In Central Asia
http://en.rian.ru/world/20050520/40387545.html


Washington threatens North Korea, Iran while expanding US arsenal (by
Joseph Kay)
http://www.wsws.org/articles/2005/may2005/nucl-m21_prn.shtml

====================

From: "Darkita"
To: yugoslaviainfo @ yahoogroups.com
Subject: [yugoslaviainfo] Selected articles (May 22, 2005)


'Winning the Peace' in The Balkans

24 sata: USA tailored "Storm" using Sanader as a Middleman
http://www.slobodan-milosevic.org/news/24sata051605.htm

Ten Years After Dayton (by R. Nicholas Burns)
http://www.state.gov/p/2005/46548.htm#un


THE GLOBAL TYRANNY

IDIVIDI (FYRM)
http://www.idividi.com.mk/English

B92 News
http://www.b92.net/english/news/index.php?order=priority


EBRD President invites foreign investors to invest in Serbia
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?pf=1&id=12344&url=%2Fvesti%2Fvest.php%3Fpf%3D1%26id%3D12344

EU says 'no' to Bosnia membership talks (by Anes Alic)
http://www.isn.ethz.ch/news/sw/details.cfm?id=11329


Text of a Letter from the President to the Speaker of the House of
Representatives and the President Pro Tempore of the Senate
http://www.whitehouse.gov/news/releases/2005/05/print/20050520-8.html

AP: NATO Killers: Greeks Oppose NATO Naval Display In Crete (by Miron
Varouhakis)
http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_politics_5803_21/05/2005_56559


Moldovan Parliament to work out special status for Transnistria
http://www.infotag.md/inews/39637/

Moldova Demands Western 'Serious Interference' In Transdniester
http://www.infotag.md/inews/39571/

Asian Tribune; Bulgaria, Romania and the Changing Structure of the
Black Sea's Geopolitics (by Federico Bordonaro)
http://groups.yahoo.com/group/decani2/message/887

Good Lord, never again let Georgia ask Russia for anything (by Petr
Romanov)
http://english.pravda.ru/printed.html?news_id=15509


aa: "Clash of civilizations"
http://www.zaman.com/include/yazdir.php?bl=international&alt=&trh=20050522&hn=19809

How to Exit the Tunnel of Fear? (by Ali H. Aslan)
http://www.zaman.com/include/yazdir.php?bl=columnists&alt=&trh=20050522&hn=19745


==================

From: "Darkita"
To: yugoslaviainfo @ yahoogroups.com
Subject: [yugoslaviainfo] Selected articles (May 23, 2005)


Idaho Observer: "Nuke the evil scum, it worked in 1945!" (by Amy
Worthington)
http://www.thetruthseeker.co.uk/print.asp?ID=3127


THE GLOBAL TYRANNY


MakFax (FYRM)
http://www.makfax.com.mk/look/agencija/izdanje.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=1&NrIssue=112

B92 News
http://www.b92.net/english/news/index.php?order=priority


Serbian PM: Kosovo-Metohija's multiethnicity must be preserved
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?pf=1&id=12402&url=%2Fvesti%2Fvest.php%3Fpf%3D1%26id%3D12402

Interview: James Bissett: Terrorism and Separatism in the Balkans (by
Boba Borojevic)
http://www.serbianna.com/columns/borojevic/020.shtml

AA: Turkish PM: Kirkuk Should Not Be Under Control Of Any Ethnic Group
http://www.turkishpress.com/news.asp?id=42508


"Cultural Corridors in South-East Europe -
Common Past and Shared Heritage - a Key to Future Partnership"
http://www.ana.gr/anaweb/user/showplain?maindoc=2940351&service=8


Creating investment friendly climate is Serbian government's strategic
goal
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?pf=1&id=12383&url=%2Fvesti%2Fvest.php%3Fpf%3D1%26id%3D12383

Discussing challenges (by Ivan Vatahov)
http://www.sofiaecho.com/article/discussing-challenges/id_11366/catid_23

Reuters: Anxious Turkey awaits EU votes (by Paul Taylor)
http://www.dawn.com/2005/05/23/int8.htm

Saying no to a European constitution (by Vaiju Naravane)
http://www.hindu.com/2005/05/23/stories/2005052305881100.htm


Oil Pipeline Of The Millenium: Kazakh Oil To Flow To Europe Via Caucasus
http://en.rian.ru/world/20050522/40396120.html

Karimov escapes regime change as America pursues the 'great game' (by
Trevor Royle)
http://www.sundayherald.com/print49893


China Ready To Counter US's Weaponization Of Space
http://news.xinhuanet.com/english/2005-05/23/content_2990285.htm

[ En francais:
La Constitution contribue-t-elle à faire de l'Union européenne une
"contre-puissance" face aux Etats-Unis ?
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/message/681
Par Diana Johnstone voir aussi: La Constitution et la guerre
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2005-04-23%2016:31:13&log=invites
]

Da: "rifondazione.paris"
Data: Lun 23 Mag 2005 09:54:51 Europe/Rome
A: "info_prc_paris" <info_prc_paris @yahoogroups. com>
Oggetto: [info_prc_paris] D. Johnstone sulla Costituzione Europea ed
il rapporto USA-UE


(di Diana Johnstone vedi anche: La Costituzione e la guerra
http://it.groups.yahoo.com/group/info_prc_paris/message/641 )

La Costituzione contribuisce a fare dell'Unione europea una
"contro-potenza" di fronte agli Stati Uniti?

Di Diana Johnstone

Alla questione: "quale è la più potente delle argomentazioni
a favore del SI?", François Bayrou risponde: "Il mondo è
dominato dalla potenza americana, che è oggetto di
concorrenza dalla potenza cinese. Vogliamo accettare la
sovranità di questi imperi, ed il loro modello di società? O
vogliamo contare anche noi, per difendere i nostri valori?
(...) Tutti gli avversari dell'idea europea sognano di
vederci votare NO, gli ambienti neoconservatori americani, i
conservatori britannici antieuropei, la destra estrema
europea e la sinistra estrema, Le Pen e Besancenot."

Dominique Strauss-Kahn è ancora più chiara: "C'è bisogno del
trattato costituzionale europeo per contrastare l'egemonismo
americano".

Sotto una forma o sotto un'altra, quest'argomentazione
ritorna costantemente nelle difese ed illustrazioni del SI.
L'idea alla base è che questa Costituzione è la condizione
necessaria (e forse anche sufficiente) perché l'Unione
europea si affermi come "contro-potenza" di fronte agli
Stati Uniti.

Vorrei mostrare che quest'argomentazione è falsa nelle sue
premesse ed a maggior ragione nelle sue conclusioni. Allo
stesso tempo, vorrei sottolineare ciò che appare sincero in
quest'argomentazione, cioè il suo significato profondo nello
spirito di quasi tutta la classe politica francese. Poiché
non si tratta qui di una menzogna volgare ma piuttosto
dell'espressione di una grande confusione per quanto
riguarda "l'idea europea".

Innanzitutto, si possono individuare due premesse errate: a)
questa Costituzione rafforza l'Ue come contro-potenza, e
quindi: b) gli egemonisti americani sperano di vedere i
francesi votare NO. Dunque il SI sarebbe, in un certo qual
modo, una dichiarazione sottile d'indipendenza dell'Europa
rispetto all'egemonia di oltre Atlantico.

La prima premessa è contraddetta dal testo anche di questa
Costituzione. Poiché i "valori" espressi ribadiscono i
"valori" neoliberali che sono attualmente quelli della
superpotenza americana. Peggio ancora, questa Costituzione
va molto più lontano di quella degli Stati Uniti in questa
direzione. La parte III riprende la politica neoliberale già
presente nei trattati da Maastricht, pietrificandola di
fatto in una "Costituzione" il cui emendamento esige
l'unanimità. Contrariamente agli Stati Uniti, che conservano
la possibilità di cambiare politica economica in modo
pragmatico, ad esempio stimolando la crescita con i
disavanzi di bilancio, l'Unione europea vuole chiudersi in
un giogo neoliberale il cui scopo principale dichiarato -
attirare gli investimenti produttivi per creare impieghi -
non cessa di allontanarsi.

La Costituzione proposta lega l'Unione europea alla NATO -
strumento della sovranità statunitense sull'Europa - ed
anche alla sua crociata attuale: la "lotta contro il
terrorismo". Cosa potrebbe dunque sperare più di Washington?
Che l'Europa ed i suoi Stati membri siano completamente
privati di qualsiasi possibilità di definire e perseguire
una politica estera indipendente chiara ed efficace! Ebbene,
questa Costituzione risponde anche a questo desiderio,
costringendo tutti gli Stati ad accordarsi su di una
politica estera decisa all'unanimità. La ricetta perfetta
dell'impotenza. Eccetto per quelli che, come il Regno Unito,
sceglierebbero di seguire gli Stati Uniti a tutti i costi.

La lezione della guerra

Alcuni sostengono che gli Stati Uniti sarebbero ostili alla
costruzione europea. In realtà, dalla seconda guerra
mondiale, gli Stati Uniti hanno costantemente sostenuto
l'unificazione europea così come si è sviluppata, cioè come
un grande mercato economicamente aperto e politicamente
inoffensivo. Economia forte e politica debole vanno insieme
(si potrebbe stabilire un parallelo rispetto al blocco
sovietico del dopo-guerra, dove l'economia socialista doveva
cancellare le differenze politiche, ma è un altro
argomento). È l'idea secondo la quale, per evitare di
ricominciare le guerre del 1914-18 e 1939-45 che avevano
rovinato le grandi potenze capitalistiche del continente,
occorre innanzitutto legare insieme l'essenziale delle
industrie tedesche e francese perché diventino troppo
strettamente legate per opporsi una all'altra.
Quest'unificazione economica comporterebbe allora
inevitabilmente una unificazione politica che va nello
stesso senso di una pacificazione. Per garantire questo,
l'angelo custode di oltre Atlantico legherebbe le forze
militari dei vecchi belligeranti in una sola alleanza sotto
la sua direzione. Tutto ciò andava nello stesso senso:
quello di un rilascio dell'antagonismo della "coppia"
franco-tedesca, presunta incapace di gestire i suoi
contenziosi senza finire nella guerra e nel genocidio.

Si tratta di un'esagerazione? Non realmente. Questa visione
dell'Europa la cui irresponsabilità bellicosa cronica
esigerebbe un freno ed una tutela americana è quella che
prevale nella rappresentazione del continente fatta dai mass
media e nella concezione di un grande numero di dirigenti
politici negli Stati Uniti. Se non lo dicono molto, tuttavia
lo pensano. D'altra parte, è ovvio che lo stesso pensiero è
lungi dall'essere assente nei mass media e nella classe
politica del vecchio continente.

Quest'interpretazione dell'incapacità degli europei di
comportarsi decorosamente al di fuori da una cornice
americana si riassume in una parola: "Auschwitz". È la
parola chiave dell'egemonia ideologica americana in Europa,
basata su di una mitizzazione della seconda guerra mondiale
ridotta alla sola liberazione degli ebrei dai loro boia da
parte degli Anglo-Americani. Perché, di fronte all'Europa
genocida, gli Stati Uniti appaiono come innocenti, dunque
degni di assumere la direzione morale dell'Europa affetta da
un peccato imperdonabile. Come del resto il mondo intero.
Gli europei atlantisti, liberali più sinceri, credono che
questo doppio laccio - Unione europea economica e politica,
tutela statunitense riguardo alla sicurezza - è il solo
mezzo per garantire la pace e la prosperità dei loro paesi.

Per quanto riguarda la pace, ciò sarebbe più probabile se
gli Stati Uniti avessero tratto la stessa lezione dalle due
guerre mondiali che hanno tratto la maggior parte dei
tedeschi, francesi ed italiani, i quali, avendo sofferto per
le distruzioni, le occupazioni straniere e le sconfitte,
hanno voluto infine rinunciare alla guerra. Questo vale
anche per i Russi che, sebbene vincitori, subirono le più
grandi perdite materiali ed umane.

Il problema è che, per gli Stati Uniti, la lezione non è per
niente la stessa. Nella mitologia americana (nonchè
britannica) la seconda guerra mondiale fu la "buona guerra"
con la quale il bene ha schiacciato il male, tramite la
potenza militare degli Stati Uniti, con la benedizione di un
dio interconfessionale. E sono pronti a ricominciare.

Una contraddizione pericolosa risiede nel fatto che questa
Europa pacificata dai suoi eccessi guerrieri si crede al
sicuro quando affida la direzione dei suoi affari militari,
tramite la NATO, a questa grande potenza d'origine europea
che non ha rinunciato alla guerra proprio per niente. Così,
paradossalmente, questa Europa che non vuole più farsi la
guerra in casa si appresta, senza averne coscienza, a essere
trascinata in guerre senza fine contro il resto del mondo.

Questo non è il solo risultato infelice del riferimento
fatto agli Stati Uniti dall'Europa occidentale dopo il 1945.
Una visione idealizzata degli Stati Uniti predomina
l'immaginario europeo da sessanta anni. L'anti-americanismo
minoritario e sporadico non cambia nulla; l'influenza del
cinema, della musica, del modo di vita americani è più forte
in ogni paese europeo che non quella dei suoi vicini del
continente. I mass media di ogni paese dell'Ue danno più
posto all'attualità degli Stati Uniti che a quelle degli
altri stati membri, mentre l'inglese guadagna terreno e lo
studio delle altre lingue europee va a rotoli. Inoltre ciò
che collega gli europei non è una "cultura europea" (da
costruire) quanto piuttosto i riverberi della cultura
americana vista a distanza.

Un mimetismo analogo influisce sulla costruzione europea.
Gli Stati Uniti sono il modello di una federazione (o
confederazione, secondo le convinzioni) abbastanza collegata
e prosperosa da "pesare nel mondo". È a questo punto che
emerge la principale ambiguità dell'ambizione dichiarata
degli atlantisti, che vogliono rafforzare l'Europa perché
sia, dicono, capace di fare fronte alle altre grandi
potenze, ed in particolare agli Stati Uniti.

Il condominio imperiale

Cosa vogliono esprimere coloro che dichiarano che la
principale argomentazione a favore del SI sarebbe di
permettere all'Europa di tenere testa alla superpotenza
americana? Se ci si riferisce ai testi - in particolare
l'articolo I-41 che lega la politica di difesa alla NATO -
questa dichiarazione potrebbe essere liquidata come una
semplice contro-verità. Tuttavia, è forse più utile assumere
che la maggior parte di quelli che lo dicono non mentiscono
ma hanno un'idea particolare in testa, e tentare così di
comprendere la base di quest'idea.

In effetti, mi sembra che gli atlantisti che difendono la
Costituzione per rafforzare l'Ue di fronte agli USA
immaginano una vera rivalità tra i due, ma una rivalità
all'interno di uno stesso sistema socioeconomico e
geostrategico: un sistema che chiamo il condominio imperiale
(CI, anche conosciuto sotto il nome di "Comunità
internazionale"). Questa CI rappresenterebbe una soluzione
al problema posto dalle guerre tra potenze imperialiste che
hanno condotto al disastro del 1914-18. Si tratta di
collegare queste potenze imperialiste sotto l'egemonia degli
Stati Uniti per promuovere gli stessi "valori ed interessi"
ovunque nel mondo.

Questi "valori" sono i "diritti dell'uomo" che si sono
sviluppati in tempi relativamente recenti nei paesi ricchi.
Si tratta in generale innanzitutto più di libertà di
comportamento che di diritti reali rispetto alle necessità
della vita (prodotti alimentari, alloggio, sanità, lavoro,
istruzione). Questi diritti principalmente individuali sono
compatibili con le società liberali avanzate dove il tenore
di vita elevato permette di superare la "guerra di tutti
contro tutti" per la sopravvivenza. In sé, essi sono
incontestabilmente auspicabili per la felicità umana. Il
problema si verifica quando il riferimento a questi diritti
serve a rafforzare la buona coscienza dei ricchi quando
vogliono ingerirsi negli affari dei meno fortunati.

Nel sistema capitalista avanzato, gli interessi sono simili
nel senso che "la libertà" è centrale, ma, per la
precisione, si tratta soprattutto della libertà del capitale
finanziario di investire ovunque, e così determinare la
forma materiale e sociale delle società. Essendo questo
sistema, per natura, competitivo, è inevitabile che la
concorrenza esista al suo interno, tra le unità che lo
compongono. L'"indipendenza" che raccomandano gli atlantisti
non è nulla di diverso in fondo dal livello d'efficacia
competitiva che deve possedere l'Europa per proseguire
questa concorrenza con gli Stati Uniti pur restandovi
strettamente legata. Non si tratta mai di proseguire una
politica - che sia economica o geopolitica -
fondamentalmente diversa da quella degli USA.

Questa rivalità all'interno esiste già, ma i nostri
dirigenti ne parlano molto poco o in modo quasi codificato
dinanzi al loro pubblico. Così si perseguono politiche la
cui vera ragione, i fondamenti ed i risultati non sono
pubblicamente valutati né discussi.

Prendiamo un esempio: gli allargamenti affrettati dell'Ue
verso i paesi dell'Est appartengono a questa politica di
rivalità con gli Stati Uniti che non viene chiamata con il
suo nome. I pro- europei non hanno cessato di osservare che
sarebbe stato necessario innanzitutto "approfondire" l'Ue
prima di allargarla. Si tratta di buon senso: si può
rovinare tutto andando troppo rapidamente. Si sono già visti
i danni causati alla Germania dalla propria riunificazione
affrettata, ma si può considerarla come un caso distinto.
Per i paesi baltici, e adesso per la Romania e la Bulgaria
(e forse un domani per l'Ucraina e la Georgia), questa fuga
in avanti segue una logica diversa. Si potrebbe immaginare
che si tratti di rivalità con la Russia. Alcuni di questi
paesi (in particolare i paesi baltici) sembrano credersi
permanentemente minacciati dalla Russia, nonostante il
ritiro volontario e pacifico di questa. Ma i dirigenti
occidentali sanno bene che la Russia non è una minaccia.
Effettivamente, l'allargamento dell'Ue verso l'Est soddisfa
molto più le necessità della rivalità con gli Stati Uniti,
la cui influenza in questi paesi è già predominante e si
rafforza con la estensione della NATO. L'allargamento verso
la Turchia segue una logica simile.

L'ironia della storia è che l'Ue si trova così costretta ad
una corsa per l'influenza con gli Stati Uniti proprio quando
(attraverso la Costituzione) intende ribadire il suo
attaccamento ad un'alleanza atlantica completamente dominata
da Washington. L'allargamento verso i paesi dell'Est può,
certamente, contribuire a rafforzare l'influenza dei paesi
dell'Europa occidentale, ma al prezzo di un indebolimento
dell'indipendenza dell'Europa rispetto agli Stati Uniti.

Si osserva un fenomeno simile con il ruolo attivo (benché
secondario) giocato dall'Ue nelle "rivoluzioni" arancioni ed
altre, completamente teleguidate e generosamente finanziate
da Washington.

Queste "rivoluzioni" mirano chiaramente a sottoporre le
economie di questi paesi al capitale straniero tramite
dirigenti più fedeli agli Stati Uniti (dove la maggior parte
di questi hanno ricevuto la loro formazione) che non al loro
popolo. Tutto ciò - con la provocazione costante verso la
Russia che implica - è veramente nell'interesse dell'Ue e
dei suoi popoli? Ci si potrebbe almeno chiedere questo. Ma,
su queste questioni, il dibattito pubblico non esiste.

La "lezione dei Balcani"

La confusione che regna nella definizione di una politica
europea "d'indipendenza" raggiunge il suo massimo con la
cosiddetta "lezione dei Balcani". Il cliché dominante è bene
espresso da Henri de Bresson su Le Monde, quando questi
scrive a proposito della politica estera e di sicurezza
contenuta nella Costituzione: "Traendo la lezione dalle
guerre dei Balcani, che essi non hanno potuto impedire ed
alle quali hanno potuto porre fine soltanto con l'intervento
degli Stati Uniti, gli europei si dotano di uno strumento
che fornisce una credibilità nuova alla loro azione esterna.
È un grande passo."

Assolutamente tutto, in quest'analisi, è falso. Non insisto
sul fatto che l'attaccamento alla NATO è un vizio di
partenza di questo "strumento che fornisce una credibilità
nuova alla loro azione esterna". L'errore è allo stesso
tempo più profondo e molto rivelatore.

Innanzitutto, non è, come ci si ostina a ripetere, la
debolezza militare dell'Europa la responsabile del suo
fallimento nei Balcani. È piuttosto la sua debolezza
politica. L'Ue non ha mai bene analizzato né compreso le
cause del dramma jugoslavo. Non ha mai sviluppato - come
avrebbe potuto e dovuto fare - un programma chiaro verso
tutta la Jugoslavia per evitare le guerre di secessione. Ed
una volta che il peggio si è verificato, è stata incapace di
elaborare una politica suscettibile di portare la pace - che
avrebbe contrastato gli sforzi di Washington per evitare
ogni pace che non fosse quella americana (vedere a questo
riguardo le memorie di David Owen).

Questa debolezza era legata alla mancanza d'unità tra gli
Stati membri dell'Ue - ma più ancora alla volontà di
nascondere questa assenza d'unità dando l'impressione di
un'unità che non esisteva! Così la posizione della Germania
a favore di secessioni non negoziate - una posizione che
rendeva la guerra civile inevitabile - era respinta
all'inizio, e giustamente, da parte di tutti gli altri Stati
membri dell'Ue, soprattutto da parte della Francia, dal
Regno Unito, ed anche da parte di diplomatici tedeschi in
forza a Belgrado. Ma precisamente a causa della prossimità
della firma del trattato di Maastricht, e poiché non era
opportuno rivelare al mondo le sue divisioni, il buon senso
di questa maggioranza ha capitolato dinanzi al desiderio del
governo tedesco di uccidere il suo vecchio nemico, la
Jugoslavia, a profitto dell'indipendenza dei suoi vecchi
clienti, la Croazia e la Slovenia. E successivamente, tutti
i dirigenti - in particolare francesi - che avevano avuto
ragione, hanno cercato di giustificare una decisione
tragicamente sbagliata.

E non è tutto. Si è anche cercato di nascondere al pubblico
le rivalità sorde tra potenze - soprattutto tra gli Stati
Uniti e la Germania - per attirare i vari secessionisti
nella loro sfera d'influenza. In una grande manifestazione
d'unità occidentale in gran parte fittizia, la NATO ha
devastato nel 1999 quanto restava della Jugoslavia. Fino ad
oggi, nulla è stato realmente risolto, ma non se ne parla
più. È una situazione classica: i potenti regolano le loro
rivalità facendo pagare il conto ai deboli.

Quest'esempio dovrebbe far riflettere. Invece, viene
mistificato e travestito per giustificare una politica
militare che permetterà certamente "di agire", ma con gli
stessi pochi principi, poca serietà intellettuale e poca
visione del futuro che ha avuto l'Europa al momento della
crisi jugoslava. Una forza militare senza cervello, non è
precisamente ciò che viene rimproverato all'amministrazione
Bush? Una potenza militare, dunque, ma per che fare? Per
seguire che?

A queste questioni determinanti, la Costituzione ed i suoi
partigiani non offrono alcuna risposta chiara. A parte, come
diceva quel grandissimo umorista che era il generale di
Gaulle, il gridare: "l'Europa! L'Europa!".


FONTE: lista gestita da membri del Comitato di sorveglianza
NATO - http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/
Trad. a cura del Circolo PRC di Parigi


===

Notiziario del Circolo PRC "25 Aprile" Parigi

Per contatti: rifondazione. paris@libertysurf. fr
Sito WEB: http://rifondazione75.samizdat.net

Per iscriverti o annullare l'iscrizione a questo gruppo, manda una
mail all'indirizzo: info_prc_paris-[un]Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.

Foibe: una mistificazione storica

1. Presentazione del libro SCAMPATI O NO di Pol Vice (Kappa Vu)

2. INTERVENTO di Claudia Cernigoi al convegno PARTIGIANI! (Roma 7
maggio 2005)

NOTA IMPORTANTE: diversamente da quanto precedentemente indicato, il
testo di Giacomo Scotti sulle foibe istriane messo in circolazione
alcuni giorni fa (
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4399 ) NON È
il testo dell'intervento al convegno PARTIGIANI! bensì un testo
diverso, consegnato da Scotti a margine della iniziativa. Ci scusiamo
per l'equivoco.


=== 1 ===

www.resistenze.org - segnalazioni resistenti - libri - 18-05-05

Pol Vice: Scampati o No. I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba


Diciamo subito che "SCAMPATI o NO" non è un (altro) saggio sulla
storia delle foibe e degli infoibati.

E' invece una denuncia puntuale,rigorosamente documentata, non solo e
non tanto dell'uso politico di quella storia, quanto delle palesi
contraffazioni sulla cui base è stata costruita e diffusa la leggenda
delle foibe. "Sovrapposta" alla storia, continuamente alimentata da un
gruppo ben determinato di manipolatori dell'informazione negli
ambienti degli esuli giuliano ­ dalmati, e a partire dal 1991 (data
non casuale) diffusa a livello nazionale con mezzi sempre più potenti,
tale leggenda è diventata ormai luogo comune nella cosiddetta opinione
pubblica, sull'onda del dilagante revisionismo storico,con
l'autorevole avallo anche di alcuni fra gli studiosi più seri.
La tesi specifica qui sostenuta, sempre più evidente man mano che
l'autore ci accompagna alla sua scoperta nel difficile percorso di
analisi comparata dei testi documentari, è che le "testimonianze
dirette di chi si salvò dopo essere stato gettato nella foiba"
dimostrano senza alcun dubbio una sola cosa: la loro completa
inattendibilità.

Introdotto da un prologo (narrante) che inquadra nel contesto
dell'epoca la figura (peraltro piuttosto misteriosa) del primo
protagonista, il discorso poi affronta i vari temi della storia
organizzando opportunamente i riferimenti alle numerose fonti
documentarie, per non disperdere l'attenzione del lettore fra le
diverse e confuse ipotesi di ricostruzione dei fatti, che continuano a
sovrapporsi ed intrecciarsi, in un groviglio "solo apparentemente
casuale", fino alle inevitabili conclusioni (con tanto di premio) per
chi riesca a trovare un finale coerente alla storia che, da
documentaria, si è via via trasformata in un thrilling con finale
aperto, appunto.

In appendice, oltre ad illuminanti schede personali dei protagonisti e
dei loro interpreti (in gran parte basate su preziose informazioni
fornite da C. Cernigoi), anche alcune note di commento testuale e
storico su altri interessanti documenti collegati alla operazione foibe.

Pol Vice
SCAMPATI O NO
I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba
Edizioni Kappa Vu 2005 - collana Resistenza storica
Prezzo di copertina: 9.50 Euro


=== 2 ===

Claudia Cernigoi

INTERVENTO PER IL CONVEGNO "PARTIGIANI!", ROMA 7/5/05

È in atto ormai da diversi anni uníoperazione di riscrittura della
storia delle vicende della seconda guerra mondiale, operazione non
solo italiana ma europea, il cui scopo finale Ë líequiparazione delle
due cosiddette ìideologieî del Ventesimo secolo, fascismo e comunismo
(gli artefici di questa rilettura storica evidentemente non
considerano che esistono anche altre ìideologieî nÈ che non Ë
possibile semplificare cosÏ categoricamente i due fenomeni),
classificate ambedue come ìtotalitarismiî che hanno causato lutti e
sofferenze in eguale maniera e per questo devono venire condannate e
rimosse dalla societ‡ cosiddetta ìdemocraticaî, allíinterno della
quale dovrebbe avere quindi diritto di cittadinanza soltanto quella
ìideologiaî (che perÚ, chiss‡ perchÈ, non viene mai considerata tale),
cioË il liberismo capitalista, che governa ormai quasi uniformemente
tutti i paesi del cosiddetto blocco occidentale.

Per la riuscita di questo obiettivo di condanna del ìcomunismoî Ë
fondamentale líoperazione alla quale stiamo assistendo da tempo, e che
ha avuto una recrudescenza a livello nazionale negli ultimi mesi,
líoperazione di criminalizzazione della Resistenza di classe, cioË
quella che si ispirava a valori di sinistra e non accettava il
riciclaggio nei Comitati di Liberazione di ìvecchi arnesiî del
fascismo o di militari che comunque avevano operato perfettamente
inquadrati sotto il regime fascista. In questo contesto di
criminalizzazione della Resistenza si inserisce anche la
riabilitazione dei combattenti repubblichini di SalÚ, dove il
risultato finale Ë la parificazione delle due componenti in una logica
di ìopposti estremismiî.

Rientra in questa logica di equiparazione anche líistituzione della
ìGiornata del ricordo delle foibe e dellíesodoî, da celebrare il 10
febbraio, richiesta a gran voce dalle organizzazioni della destra
nostalgica e nazionalista (ma poi approvata acriticamente da quasi
tutto il centrosinistra) subito dopo líistituzione della ìGiornata
della memoriaî del 27 gennaio, dedicata questa alle vittime del
genocidio nazista.

Questíanno, nellíambito delle celebrazioni della ìGiornata del ricordo
delle foibe e dellíesodoî, si Ë scatenata a livello politico e
mediatico una potente campagna di denigrazione della Resistenza,
soprattutto di quella jugoslava per i presunti ìcrimini delle foibeî
(ricordiamo líorribile fiction falsificatrice della storia prodotta
dalla televisione di stato su suggerimento del ministro Gasparri,
nella quale i partigiani ìslaviî sono rappresentati come barbari
animati unicamente da feroce livore antiitaliano), ma che si Ë poi
allargata anche alla Resistenza italiana, con la ripresa della
propaganda sul cosiddetto ìtriangolo rossoî e delle altre esecuzioni
sommarie che sono avvenute alla fine del conflitto, senza considerare
che, pur deprecabili a livello morale, tali avvenimenti non
rappresentano altro che una fatale conseguenza del comportamento
criminale dei regimi nazifascisti che gettarono líEuropa in un baratro
di violenza e devastazione.

Nel mio intervento vorrei stigmatizzare la cosiddetta ìquestione delle
foibeî, che Ë stata un poí il punto di partenza di questa campagna di
denigrazione della Resistenza nel suo insieme. Mentre a Trieste ed in
genere nelle regioni del Nordest la destra nazionalfascista ha sempre
tirato fuori le ìfoibeî come uno dei propri cavalli di battaglia per
propagandare líanticomunisno e líodio etnico e politico controla
Jugoslavia, Ë solo negli ultimi anni che il fenomeno Ë esploso a
livello nazionale, coinvolgendo nella non comprensione del fenomeno,
anche esponenti della sinistra, arrivando addirittura alle posizioni
estreme della dirigenza di Rifondazione comunista, che, pur non
conoscendo assolutamente líentit‡ dei fatti, si Ë arrogata il diritto
di condannare senza appellola Resistenzajugoslava ed i partigiani
italiani che con essa hanno collaborato, per dei presunti ìcriminiî
dei quali non solo non vi Ë prova, ma che dalle risultanze storiche
risultano addirittura non avvenuti.

Il problema Ë che di ìfoibeî si Ë parlato finora molto, ma a livello
di mera propaganda. Per decenni si Ë parlato di ìmigliaia di infoibati
sol perchÈ italianiî, senza che i propagandisti esibissero le prove di
questo loro dire. Per decenni i propagandisti hanno scritto e
riscritto sempre le stesse cose, citandosi líun líaltro e non
producendo alcun documento ad avvalorare quanto da loro asserito: e si
Ë giunti, nel corso degli ultimi cinque anni, al fatto che questo ìsi
diceî senza alcun valore storico sia stato avvalorato anche da storici
considerati ìseriî e ìprofessionaliî, in quanto facenti parte degli
Istituti storici della Resistenza.

Qui vorrei aprire una parentesi per citare i triestini Raoul Pupo e
Roberto Spazzali, che hanno dato alle stampe nel 2003 un libretto dal
titolo ìFoibeî edito da Bruno Mondadori, redatto, stando a quanto
sostenuto dagli stessi autori, in previsione di un suo uso negli
istituti scolastici, nel quale vengono riproposte acriticamente le
stesse affermazioni che per decenni erano state patrimonio della
propaganda nazionalfascista, avallando testimonianze che non hanno
fondamento di verit‡ e dando addirittura interpretazioni del tutto
personali e fuorvianti a documenti díarchivio che in realt‡
asseriscono líesatto contrario di quanto sostengono i due storici. Ma
su questo particolare tornerÚ pi˘ avanti.

In seguito a questa escalation mediatica, abbiamo deciso di
riproporre, in forma ampliata e corretta delle precedenti
imprecisioni, lo studio che avevo pubblicato nel 1997, ìOperazione
foibe a Triesteî, che metteva in luce gli aspetti pi˘ eclatanti della
propaganda sulle foibe nel dopoguerra, rispetto agli avvenimenti
triestini del maggio 1945: innanzitutto in merito alla quantificazione
dei presunti ìinfoibatiî (che a Trieste non furono ìmigliaiaî, ma
cinquecento e per la maggior parte non furono uccisi nelle ìfoibeî, ma
morirono in campi di prigionia per militari oppure furono condannati a
morte dopo essere stati processati per crimini di guerra), ma anche
sulle ìqualificheî di questi, stante che le vittime delle esecuzioni
sommarie e gli arrestati e giustiziati erano in gran parte
appartenenti a forze armate collaborazioniste oppure collaborazionisti
ìciviliî. Un capitolo a parte era stato dedicato al monumento
nazionale noto come ìfoiba di Basovizzaî (un vecchio pozzo di miniera
abbandonato), dove sia la propaganda, sia la motivazione ufficiale per
dichiararlo monumento asseriscono che vi siano state gettate
ìmigliaiaî o ìcentinaiaî di vittime. In realt‡, stando ai documenti
che avevo pubblicato gi‡ allíepoca e che sono poi stati integrati con
altri nella nuova edizione del libro, appare chiaramente che non solo
non vi sono testimoni oculari delle presunte esecuzioni sul posto, ma
che il pozzo era stato esplorato e svuotato pi˘ volte nel dopoguerra,
dopo essere stato usato spesso come discarica, e che nel corso di
tutte queste esplorazioni erano stati recuperati pochi corpi,
presumibilmente di militari germanici e quindi non di ìinfoibati sol
perchÈ italianiî.

Per comprendere a quale punto sia arrivato il livello di
disinformazione sullíargomento, va detto che, per quanto concerne le
testimonianze su questi mai avvenuti ìinfoibamentiî, viene spesso
citato un rapporto redatto da un anonimo ìinformatoreî angloamericano
che si firma ìSourceî, il quale avrebbe intervistato due sacerdoti che
avrebbero ìassistitoî alle esecuzioni. Il commento introduttivo a
questo documento che appare nel libro ìFoibeî di Pupo e Spazzali Ë il
seguente:

< Va sottolineato che dal testo si puÚ evincere sia che alcuni degli
infoibati erano ancora vivi quando vennero gettati nel pozzo, sia che
a Basovizza vennero fucilati anche coloro che non erano stati
condannati a morte >.

PerÚ se leggiamo il rapporto, non comprendiamo assolutamente come i
due storici arrivino ad ìevincereî un tanto:

< Il 2 maggio egli (don Scek, n.d.a.) andÚ a Basovizza (...) mentre
era lÏ aveva visto in un campo nelle vicinanze circa 150 civili ìche
erano riconoscibili dalle loro facce quali membri della Questuraî. La
gente del luogo voleva far giustizia in modo sommario ma gli ufficiali
della IV Armata erano contrari. Queste persone furono interrogate e
processate alla presenza di tutta la popolazione che le accusÚ (...)
Quasi tutti furono condannati a morte. (...) Tutti i 150 civili furono
fucilati in massa da un gruppo di partigiani, e poi, poichÈ non
cíerano bare, i corpi furono gettati nella foiba di Basovizza >. A
questo punto vogliamo evidenziare una successiva affermazione
attribuita al sacerdote, che viene invece regolarmente omessa da
coloro (storici e no) che citano il rapporto: < quando Source chiese a
don Scek se era stato presente allíesecuzione o aveva sentito gli
spari questi rispose che non era stato presente nÈ aveva sentito gli
spari >.

Quindi secondo il rapporto di ìSourceî don Scek fu testimone oculare
sÏ, ma dei processi e non degli infoibamenti. Inoltre, nonostante
questo rapporto venga costantemente presentato come la prova degli
infoibamenti a Basovizza, se andiamo a verificare quanti ìmembri della
Questuraî sono scomparsi nel corso dei ìquaranta giorniî di
amministrazione jugoslava, arriviamo ad un totale di circa 150 nomi,
della maggior parte dei quali si sa come e dove sono morti (fucilati a
Lubiana, recuperati da altre foibe, morti in prigionia).

Questo Ë un chiaro esempio di come i documenti storici possono venire
manipolati a seconda della teoria che si vuole dimostrare: quello che
a mio parere risulta inaccettabile in questo caso, Ë che questa
operazione sia fatta non tanto da propagandisti quanto da due storici
considerati ìseriî e preparati e che vengono spesso intervistati ed
invitati a tenere conferenze sullíargomento.

Nella seconda edizione del libro, che si intitola ìOperazione foibe
tra storia e mitoî, ho ampliato lo studio anche agli avvenimenti
dellíIstria del settembre í43, dove la vulgata parla di ìmigliaia di
infoibati sol perchÈ italianiî. Nel periodo, dopo che líarmistizio
dellí8 settembre aveva lasciato allo sbando líesercito italiano e le
sue stesse istituzioni, in alcune zone dellíIstria, nel corso di una
rivolta popolare furono uccise sommariamente circa quattrocento
persone, per lo pi˘ dirigenti ed esponenti del Fascio, squadristi,
possidenti, alcuni carabinieri e poliziotti. La cifra risulta sia dai
recuperi effettuati alcuni mesi dopo (dopo che líesercito nazifascista
ebbe ripreso il controllo dellíintera zona, al prezzo del massacro di
tredicimila ñ dicono le cronache dellíepoca, che forse riportano cifre
esagerate ñ istriani: ma forse, visto che questi erano per lo pi˘ di
etnia slovena e croata, non hanno diritto di cittadinanza tra le
vittime dellíIstria, secondo propagandisti e storici di regime?), sia
dai diversi necrologi apparsi sui giornali dellíepoca, nei quali
vengono inoltre evidenziati i ruoli rivestiti dalle varie vittime di
questa jacquerie.

Quanto agli ìinfoibatiî del 1945, bisogna dire che anche qui le cifre
sono sempre state esagerate: da Trieste scomparvero, nel corso dei
quaranta giorni di amministrazione jugoslava, meno di cinquecento
persone; da Gorizia circa 550, considerando in questo contesto tutti
coloro che furono arrestati da forze armate jugoslave (quindi
militari, che essendo prigionieri di guerra dovevano venire internati
in campi lontani dal posto dove erano stati catturati, ma anche
collaborazionisti che furono poi inviati per lo pi˘ a Lubiana per
essere processati) e non fecero ritorno, sia perchÈ morti nei campi,
sia perchÈ processati e condannati a morte; ma anche le vittime di
vendette personali e di esecuzioni sommarie, per le quali furono
celebrati diversi processi nel dopoguerra. E dei recuperi dalle
ìfoibeî triestine e goriziane effettuati tra il 1945 ed il 1948
risultano riesumati circa 450 corpi, la maggior parte dei quali erano
militari (per lo pi˘ germanici, ma anche partigiani) morti nel corso
della guerra, e soltanto per cinque di queste ìfoibeî, per un totale
di una quarantina di vittime, si puÚ parlare di esecuzioni sommarie,
compiute nel maggio 1945 o da singoli per vendetta personale, oppure,
nel caso della ìfoiba Plutoneî, da un gruppo di criminali comuni che
si erano infiltrati nelle formazioni partigiane e che derubarono ed
uccisero 18 persone.

Come si puÚ in questo contesto parlare di un unico ìfenomeno foibeî,
come pretendono oggi i propagandisti anche di sinistra? Come abbiamo
potuto vedere, si trattÚ di una serie di ìfenomeniî, il cui minimo
comune denominatore puÚ essere soltanto la guerra: perchÈ queste
esecuzioni si svolsero durante o subito dopo la guerra, una guerra che
non era stata iniziata certamente dai partigiani, nÈ dal popolo
jugoslavo, e che era stata preceduta, nella Venezia Giulia, da
ventíanni di fascismo che aveva negato ogni diritto ai popoli sloveno
e croato, che pure vivevano in quelle zone da sempre, persino il
diritto di parlare e pregare e nella propria lingua, e che aveva
ferocemente represso gli oppositori politici ed aveva commesso crimini
orribili nel corso dellíoccupazione della ìprovincia di Lubianaî,
aggredita senza alcuna dichiarazione di guerra.

PerÚ accomunare le vendette dei singoli o le condanne a morte eseguite
in Jugoslavia dopo la fine della guerra a tutti i crimini commessi
dallíesercito fascista occupante non Ë assolutamente accettabile, nÈ
da un punto di vista storiografico nÈ da un punto di vista politico:
nÈ Ë accettabile, a mio parere, trinciare giudizi di tipo moralistico,
perchÈ se Ë vero che oggidÏ Ë giusto essere contrari alla guerra ed
alla violenza e condannare tutti questi fenomeni di violenza, tale
giudizio nostro dovrebbe essere sospeso per quanto riguarda i
combattenti del movimento di liberazione dellíepoca, perchÈ noi siamo
vissuti in uníepoca di relativa pace e non abbiamo mai dovuto patire
quello che hanno patito i resistenti, i morti come i sopravvissuti.
Non possiamo noi oggi ergerci a giudici del comportamento di questi
combattenti: avranno anche sbagliato coloro che alla fine si sono
fatta giustizia da soli, perÚ non sta a noi giudicarli.

NÈ Ë possibile liquidare come ìviolenza di statoî e quindi condannare
per questo líallora costituendo stato jugoslavo, il fatto che delle
persone siano state arrestate, giudicate e condannate a morte, senza
entrare nel merito dei processi che furono celebrati e del ruolo che
avevano svolto questi condannati, perchÈ ricordiamo che nel dopoguerra
la pena di morte non esistÈ soltanto in Jugoslavia.

Ed in ogni caso non Ë accettabile che carnefici e vittime vengano
giudicati con gli stessi pesi e misure, per cui oggi si vogliono
parificare i combattenti di SalÚ ai combattenti partigiani ed erigere
monumenti alle vittime di tutti i totalitarismi.

» inoltre inaccettabile la manovra che si sta svolgendo a Trieste che
vuole delegittimare tutti coloro che combatterono con líEsercito di
Liberazione Jugoslavo, compresi i partigiani triestini (italiani e
sloveni) che facevano riferimento alla Osvobodilna Fronta ñ Fronte di
Liberazione ed ai nuclei di Unit‡ Operaia ñ Delavska Enotnost ed ai
GAP, asserendo che il 1∞ maggio 1945, quando líEsercito di Liberazione
arrivÚ a Trieste coadiuvato dallo sforzo insurrezionale delle altre
forze collegate presenti in citt‡, questa non fu una vera liberazione,
perchÈ portÚ alla ìoccupazione titinaî della citt‡, mentre la ìveraî
insurrezione sarebbe stata quella (subito rientrata per carenza di
forze) del CLN triestino collegato alla Osoppo e non aderente al
CLNAI, che aveva cercato allíultimo momento di riciclare formazioni
collaborazioniste per scongiurare líannessione di Trieste alla
Jugoslavia ed in previsione dellíarrivo degli angloamericani. Quel CLN
che, secondo le parole di uno dei suoi attuali esponenti, sarebbe
rimasto in clandestinit‡ fino al 1954 per lottare per líitalianit‡ di
Trieste (ricordiamo che Trieste fu amministrata dagli angloamericani
fino al 1954); e che avrebbe lottato con le armi che venivano
segretamente passate dallíItalia tramite la struttura Gladio (questo
almeno Ë quanto risulta da incartamenti dellíinchiesta di Carlo
Mastelloni su Argo 16): ed Ë questo lo stesso CLN nel quale operato si
identifica uno storico come Raoul Pupo.

Questi sono fatti molto gravi, forse ancora pi˘ gravi
dellíequiparazione tra fascisti e comunisti, tra repubblichini e
partigiani, tra carnefici e vittime. Sono pi˘ gravi perchÈ legittimano
un sistema che si dice democratico ma ha basato la propria continuit‡
su strutture occulte armate che al momento giusto hanno operato
violentemente, senza voltarsi indietro se rimanevano sul terreno delle
vittime innocenti. E sono questi i fatti che bisogna mettere in
evidenza ed ai quali opporci, se vogliamo che democrazia sia una cosa
concreta e non solo una parola che legittima il capitalismo e non la
libert‡ di opinione.

http://www.resistenze.org/sito/os/mo/osmo5e15.htm
www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 15-05-05

A Mosca! a Mosca!

di Mauro Gemma


Com'era largamente prevedibile, la vittoria della "rivoluzione
arancione" in Ucraina (e quella "a metà" della "rivoluzione dei
tulipani" in Kirghizia (1) ) ha dato ulteriore impulso all'offensiva
imperialista nello spazio post-sovietico, dissipando ogni dubbio sui
reali obiettivi della campagna avviata dall'amministrazione Bush, a
sostegno dell'esportazione dei "valori della democrazia occidentale"
negli stati dell'ex URSS: da un lato, il definitivo assoggettamento
degli stati della CSI agli interessi economici e geopolitici della
massima potenza imperialista, e, dall'altro, il totale disinnesco
delle capacità competitive della Federazione Russa, attraverso
l'assalto diretto al potere politico, da realizzarsi probabilmente
addirittura (come molti segnali lascerebbero ad intendere) con
l'estromissione dello stesso attuale gruppo dirigente di Mosca.

All'inizio di aprile, il nuovo leader ucraino Juschenko ha suggellato
il proprio trionfo, con una serie di viaggi in Occidente e, in
particolare, negli USA, dove, al termine di una serie di incontri con
il presidente americano, ha avuto modo di esplicitare, con chiarezza
inequivocabile, la funzione che gli viene attribuita dai padroni
occidentali del suo paese. Basta leggere il testo del comunicato
congiunto, rilasciato al termine della sua visita:
"Impegniamo anche le nostre nazioni a sostenere insieme le
trasformazioni, la democrazia, la tolleranza e il rispetto reciproco
in tutti i paesi, attraverso il regolamento pacifico dei conflitti in
Georgia e Moldavia e la promozione della libertà in paesi come la
Bielorussia e Cuba".

Accomunando Bielorussia e Cuba, il nemico storico nel "cortile di
casa" USA, Juschenko lascia chiaramente intendere quali saranno le
direttrici della politica estera dell'Ucraina "rivoluzionaria", che
nutre velleità di leadership regionale nell'ambito della nuova
alleanza. Scrive l'intellettuale marxista russo Dmitrij Jakushev:
"Le continue dichiarazioni di Juschenko in merito al fatto che
l'Ucraina è pronta a diventare leader regionale, vale a dire il
principale gendarme locale, fanno presagire enormi sciagure a tutti i
vicini, nonché allo stesso popolo dell'Ucraina…La politica estera (di
Juschenko) porterà a un duro confronto con la Russia e la Bielorussia,
fino alla creazione di alleanze militari, prima di tutto con la
Georgia e la Moldavia, dirette contro la Russia e le repubbliche ad
essa amiche della Transdnistria, dell'Abkhazia e dell'Ossezia" (2).

A distanza di pochissime settimane dall'incontro Bush-Juschenko, c'è
stato, alla fine di aprile, il viaggio del Segretario di Stato USA
Condoleeza Rice a Mosca. In quell'occasione, abbandonata completamente
ogni ipocrisia diplomatica, la dirigente USA, senza perifrasi, ha
inteso esprimere con brutalità le finalità della sua visita,
provocando, tra l'altro, una durissima reazione della controparte
russa. Incontrando nella stessa capitale russa, in aperto spregio di
ogni etichetta, gli esponenti della tanto insignificante quanto
prepotente opposizione "democratica" bielorussa e assicurando il
proprio contributo morale e materiale (è di questi giorni uno
stanziamento americano di decine di milioni di dollari a sostegno
dell' "offensiva democratica" in Bielorussia), la responsabile della
politica estera USA ha addirittura indicato precise scadenze temporali
(le elezioni del 2006) alla nuova tappa della scalata aggressiva
indirizzata al rovesciamento di quello che è attualmente considerato
il principale alleato della Russia nell'ambito della Confederazione
degli Stati Indipendenti e il più conseguente sostenitore delle
esigenze di integrazione economica, politica e militare dello spazio
ex sovietico: il presidente Aleksandr Lukashenko.

Abbattuto l'ultimo bastione della CSI, che con ostinazione si oppone
ai progetti di espansione della NATO verso est, alle armate
dell'Occidente non si frapporrebbe più alcun ostacolo in direzione di
Mosca. In tal modo, dopo l'ingresso di tutti i paesi dell'Europa
orientale e baltica nell'alleanza nord-atlantica e il definitivo
sbilanciamento in senso filo-occidentale dell'Ucraina, la Russia
verrebbe a trovarsi completamente sguarnita sul versante europeo, con
una virtuale "linea del fronte" fissata a poche centinaia di
chilometri dalla capitale federale.

Certo, il cammino verso Minsk, potrebbe rivelarsi più difficile del
previsto. La Bielorussia non è certo un qualsiasi paese della CSI. In
Bielorussia, il consenso attorno alle scelte operate negli ultimi anni
da Lukashenko pare, secondo le testimonianze più obiettive, ben più
vasto di quanto non cerchino di far credere le operazioni
propagandistiche occidentali (3)che, in generale, parlano della
presenza di un oppressivo regime dittatoriale. A tal proposito vale la
pena citare l'analista russo Jurij Krupnov che, intendendo smentire le
argomentazioni largamente utilizzate per giustificare il pressing in
corso ai danni della Bielorussia, osserva:
"La repubblica di Belarus rappresenta attualmente il leader indiscusso
nello spazio dell'ex URSS. Persino coloro che non amano il regime
politico in Bielorussia o il suo presidente, non possono negare
l'evidenza. A differenza di tutte le altre ex repubbliche dell'URSS,
la Bielorussia sotto la direzione di Lukashenko è stata in grado di
conservare le realizzazioni del periodo sovietico e di avviare una
prudente e assennata ristrutturazione dell'economia e del sistema
sociale. L'anno scorso l'economia della Bielorussia è rientrata nei
parametri raggiunti dalla Bielorussia sovietica del 1990 (nella
Federazione Russa si pensa di realizzare tale obiettivo nel giro di
dieci, quindici anni). La quota delle esportazioni di macchinari e
tecnologie e il PIL superano di alcune volte gli analoghi indicatori
della Federazione Russa. Nella repubblica è stata conservata
interamente la rete delle strutture sanitarie e degli istituti
scolastici e vengono sostenute con la massima cura le infrastrutture
di base (…) Nella repubblica è assente qualsiasi scontro nella sfera
civile, etno-nazionale o religiosa, la gente vive dignitosamente e
dispone di un lavoro…" (4).

A qualcuno questa analisi potrà anche sembrare eccessivamente
ottimistica. Ma una cosa è certa. Se tale quadro corrispondesse a
verità e se il consenso plebiscitario di cui apparentemente ha goduto
Lukashenko in questi anni tra i settori meno privilegiati della
popolazione, in particolare nelle campagne, non rappresentasse solo
un'operazione di propaganda di regime, allora il tentativo di
estromettere la dirigenza bielorussa potrebbe non essere una
passeggiata e l'intera Europa rischierebbe di trovarsi di fronte a
scenari imprevisti e drammatici, a causa del probabile coinvolgimento
diretto in una nuova impresa di Washington. D'altronde anche la Russia
non sembra certo intenzionata a "scaricare" con leggerezza l'ultimo
alleato sicuro che le rimane (con il quale è vincolata da un patto di
"Unione", che dovrebbe sfociare nell'unificazione tra i due paesi),
come testimoniano le più recenti prese di posizione dello stesso
presidente Putin. L'alleanza è stata consolidata in un recente
incontro tra Putin e Lukashenko a Soci, sul Mar Nero, al punto che il
leader bielorusso, anche per sottolineare l'avvicinamento oggettivo in
corso tra i due paesi, ha voluto ringraziare pubblicamente le autorità
russe "per il sostegno senza precedenti che ci stanno accordando
nell'arena internazionale" (5).

Del resto, la Rice non ha mancato di accompagnare sempre i suoi
attacchi alla Bielorussia con una serrata polemica nei confronti della
stessa amministrazione russa, lasciando chiaramente intendere chi è il
vero bersaglio strategico della "campagna d'oriente" di Washington.
Confortata dal sostegno del solito coro di associazioni umanitarie
("Reporters sans frontières" le ha indirizzato una "lettera aperta"
per chiedere un suo pesante intervento), il cui compito sembra essere
sostanzialmente quello di offrire giustificazioni etiche ad ogni
iniziativa aggressiva dell'imperialismo, si è esibita nella solita
sequela di recriminazioni in merito alla "regressione della democrazia
in Russia", alla "persecuzione" del malversatore Khodorkovskij
(definito "prigioniero politico del Cremlino") e alla "concentrazione
eccessiva di poteri nelle mani di Putin". In questo caso, la Rice, più
prosaicamente, aveva a mente la decisione che, in quei giorni, Putin
aveva assunto di incaricare il governo russo dell'elaborazione, entro
il 1 novembre prossimo, di un disegno di legge volto a limitare
l'accesso dei potenziali investitori stranieri ai settori e alle
infrastrutture legati alla sicurezza nazionale, all'industria per la
difesa e ai monopoli naturali, e della preparazione di una lista di
giacimenti strategici, il cui sfruttamento verrebbe concesso
esclusivamente a compagnie nazionali.

In seguito, le intenzioni aggressive nei confronti di Minsk sono state
confermate dallo stesso presidente Bush durante il suo ultimo viaggio
europeo. Ma Bush non si è limitato a questo. Evocando gli spettri
della guerra fredda, Bush ha azzardato una provocazione senza
precedenti nei confronti dell'interlocutore russo, impegnato nei
preparativi delle celebrazioni della vittoria contro il nazi-fascismo.
Bush, parlando a Riga, di fronte ad interlocutori che non esitano a
riabilitare il passato nazista delle dirigenze baltiche, quasi
accusando di viltà il suo predecessore Roosevelt per non avere avviato
la guerra contro l'Unione Sovietica, è arrivato al punto di definire
"un errore" persino il patto di Yalta concluso dalle potenze
vincitrici della seconda guerra mondiale, dando evidentemente ad
intendere che oggi egli non esclude affatto la possibilità di
riprendere la guerra allora interrotta, per assestare un colpo
definitivo allo storico nemico.
"Siamo alla sostanza di una dichiarazione di guerra con l'obiettivo di
un impero mondiale. Il disegno annunciato è questo. Finita la guerra
fredda si stanno mettendo le premesse per un'azione di conquista", ha
giustamente fatto notare, in un suo editoriale, Valentino Parlato(6).

Non è poi certo casuale che Bush abbia concluso il suo giro di visite
proprio a Tbilisi, capitale della Georgia uscita dalla prima delle
"rivoluzioni colorate", la cosiddetta "rivoluzione delle rose".
Con Saakashvili, al di là dei discorsi di circostanza sulle "conquiste
democratiche" del nuovo governo del disastrato paese caucasico (di
fronte ad una folla in realtà di molto inferiore alle aspettative, a
testimonianza di quanto stiano "sbollendo" gli ardori "rivoluzionari"
della prima ora), il presidente USA ha definito i particolari della
stretta cooperazione in corso tra i due paesi, in vista dell'ormai
quasi certo ingresso di Tbilisi nei ranghi della NATO. Lo ha
confermato il 10 maggio davanti ai giornalisti di tutto il mondo
convenuti nella capitale georgiana. Per rendere più rapidi i tempi
dell'integrazione nei meccanismi dell'alleanza nord-atlantica, qualche
settimana prima della visita di Bush, il parlamento georgiano aveva
chiesto al governo un pronunciamento unilaterale in merito al ritiro
integrale delle truppe russe che stazionano nelle due basi di Batumi,
sul Mar Nero, e Akhalkalaki, al confine con l'Armenia, già a partire
dal gennaio del 2006, nel caso non venga raggiunto un accordo a
riguardo con Mosca, che, invece, ha annunciato di avere in programma
la chiusura delle installazione entro un lasso di tempo non inferiore
a 11 anni. Una vera e propria provocazione, quella delle autorità
georgiane, che non ha mancato di aumentare il già incandescente clima
delle relazioni tra i due stati e che si è aggiunta alla mancata
presenza di Saakashvili alle celebrazioni di Mosca.

La visita di Bush, che non poteva che assumere il significato di
ulteriore sfacciato atto di sfida nei confronti di Putin, si proponeva
in realtà di ottenere assicurazioni circa il grado di realizzazione
degli obiettivi stabiliti dal cosiddetto "Piano di azione individuale
per il partneriato" (IPAP), in base al quale la Georgia si è impegnata
solennemente a modernizzare il proprio apparato militare, in linea con
i requisiti richiesti per l'adesione all'alleanza nord-atlantica. Dal
2002 al 2004 gli USA hanno stanziato 64 milioni di dollari per
progetti di assistenza militare e hanno inviato oltre 200 esperti per
addestrare l'esercito georgiano (i cui effettivi dovrebbero passare da
16.000 a 23.000 unità) destinato oggi prevalentemente a supportare le
forze USA, impegnate in vari scenari bellici, a cominciare da quello
iracheno (tra l'altro, proprio nel momento in cui assistiamo al ritiro
dei soldati di altri paesi), ma che, domani, potrebbe costituire un
agguerrito contingente sul fronte del Caucaso, in funzione anti-russa,
finalmente in grado di risolvere alla radice lo spinoso problema delle
repubbliche separatiste, amiche di Mosca, dell'Abkhazia e dell'Ossezia
del Sud. Non è, inoltre, un mistero che il versante georgiano della
catena caucasica costituisce ormai da anni il retroterra logistico
delle attività militari del terrorismo ceceno, che, a differenza di
quanto sostengono alcuni propagandisti dei "diritti umani", che
invocano irresponsabilmente un massiccio coinvolgimento dell'Occidente
a fianco della "resistenza cecena" e lamentano il "silenzio" della
"comunità internazionale", gode del massiccio sostegno di apparati
politici e militari negli USA, in Europa e in Turchia, nonché delle
oligarchie russe (7).

C'è da dire che, al pressing americano sulla Russia, si aggiunge
naturalmente quello rappresentato dall'intensificazione delle attività
del variegato fronte interno, coordinato dai gruppi oligarchici
estromessi da Putin, che non nasconde certamente la propria intenzione
di rimuovere dal potere, in un modo o nell'altro, il presidente e gli
uomini a lui più vicini. A tal proposito, appaiono di un certo
interesse i probabili, inquietanti futuri scenari descritti in un
articolo di Mikhail Cernov, giornalista dell'agenzia RBC. Vi si
possono leggere considerazioni di questo tenore:
"Un tentativo di estromettere dal potere il presidente della Russia
Vladimir Putin verrà realizzato entro la primavera del 2008. Di ciò è
convinta la maggior parte degli esperti, indipendentemente dalle
personali simpatie politiche…I giocatori cominciano a puntare.
Recentemente ha fatto così il proprietario del gruppo "Menatep" Leonid
Nevslin. Egli ha dichiarato che sosterrà l'ex primo ministro Kasjanov
(estromesso da Putin e definito "Juschenko russo", si è autocandidato
alla presidenza). "Se avrà bisogno di aiuto, naturalmente, siamo
pronti"…Gli oligarchi hanno detto "pora" ("è arrivato il momento",
slogan della "rivoluzione arancione" di Kiev), "occorre passare
all'azione" e sono passati all'azione". Cernov sottolinea come,
attraverso il finanziamento di movimenti politici di destra e di
sinistra e facendo leva su ambienti della stessa amministrazione
presidenziale e del partito di governo "Russia Unitaria" (e "non è
neppure escluso che alla guida delle sinistre possa venirsi a trovare
lo stesso Mikhail Khodorkovskij, che ha avuto modo di meditare in
carcere sugli errori commessi dagli oligarchi russi"), si intenda
"sferrare un attacco simultaneo da entrambi i fianchi…L'obiettivo dei
processi avviati è la ristrutturazione dello spettro politico russo,
la creazione di un sistema che possa rappresentare uno strumento
efficace per l'ulteriore destabilizzazione della nave "Stato Russia"
fino al punto di farla affondare…Tale schema potrebbe funzionare molto
efficacemente: una parte si occuperebbe della lotta parlamentare,
mentre i "reparti combattenti" scenderebbero dietro a parole d'ordine
incitanti al rovesciamento del potere nei "maydan" (il luogo simbolo
della "rivoluzione arancione" ucraina) di Mosca e di San Pietroburgo" (8).

Se quanto denuncia Cernov fosse vero, non ci vuole molta fantasia per
immaginare quale alternativa a Putin si stia preparando. Non certo,
dunque, un impetuoso sviluppo dei processi democratici e una
fuoruscita "da sinistra" (oltretutto, in presenza di un movimento
comunista ed operaio ai suoi minimi storici, incapace di iniziativa di
massa, e solcato da profonde divisioni), ma, piuttosto, la rivincita
della "borghesia compradora" e il probabile avvento alla direzione del
paese di uno "Juschenko russo" (non importa se Kasjanov o altri),
l'interruzione drastica dei processi di riappropriazione da parte
dello stato delle risorse strategiche, la fine di una politica estera
indipendente che contribuisca a fare da contrappeso all'egemonia USA,
e il conseguente veloce assorbimento negli ingranaggi delle alleanze
occidentali. La ripresa, insomma, del corso filo-occidentale e
perfettamente funzionale agli interessi imperialistici avviato con la
vittoria controrivoluzionaria dell'agosto del 1991, proseguito per
quasi un decennio con tenacia (ed esiti disastrosi) dal "clan Eltsin"
e interrotto con la penosa uscita di scena del suo capofila e
l'affermazione della politica "nazionalista" di Putin (non priva di
richiami non solo strumentali al passato della potenza sovietica, la
cui caduta è stata proprio da lui definita "la più grande tragedia
geopolitica del XX secolo"), tesa a riaffermare un ruolo di primo
piano per la Russia nell'ambito di una dimensione "multipolare" delle
relazioni internazionali.


Per tutte queste ragioni, ci permettiamo allora di dubitare che
l'insieme del movimento antimperialista mondiale possa trarre qualche
utile da simili sviluppi della situazione.



NOTE

(1) Del parziale fallimento della "rivoluzione dei tulipani", condotta
con dovizia di mezzi e di personale forniti dall'amministrazione e
dalle fondazioni USA, che ha portato alla destituzione del presidente
kirghiso Askar Akayev, sembra convinto lo studioso cubano Rodolfo
Humpierre Alvarez del Centro di Studi Europei, quando afferma che:
"esistono ragioni per pensare che tale strategia (dell'Amministrazione
USA) questa volta ha presentato serie lacune, in ragione delle quali i
risultati non sono stati gli stessi degli esperimenti precedenti (…)
Non esistono i presupposti politico-ideologici, né tanto meno
religiosi (…) Non si pone il dilemma "a favore della Russia o
dell'Occidente" (…). Bakiev (il presidente provvisorio) ha confermato
il proposito non solo di mantenere, ma anche di sviluppare le buone
relazioni con la Russia e ha sollecitato aiuto materiale (…) La Russia
ha promesso ed ha iniziato immediatamente ad inviare aiuti (…)
Possiamo affermare che le incertezze derivanti dalla futura evoluzione
degli avvenimenti in Kirghizia, sommate alle reiterate assicurazioni
date dalle nuove autorità circa il mantenimento e lo sviluppo dei
legami con la Russia, fanno registrare al momento differenze
sostanziali rispetto a quanto è avvenuto nelle altre "rivoluzioni dei
colori" attuate nello spazio postsovietico (…)"
"La Kirghizia come parte della Teoria del Domino",
http://www.cubasocialista.cu ,aprile 2005
La versione italiana in
www.resistenze.org - popoli resistenti – kirghisia – 06-05-05

(2) http://left.ru/2005/7/yakushev124.phtml
La traduzione della seconda parte dell'articolo di Dmitrij Jakushev,
con il titolo "Juschenko negli USA", in
http://www.resistenze.org/ - popoli resistenti – russia –27-04-05

(3) Va segnalato il particolare attivismo delle varie ONG
"umanitarie", religiose, ecc. (compresi gruppi organizzati italiani)
che, dopo avere operato in Serbia, Ucraina, Georgia e Kirghizia, oggi
stanno convergendo massicciamente in Bielorussia.

(4) Jurij Krupnov, "Perché la Bielorussia non diventerà la
Kirghizia?", http://www.contrtv.ru/common/1110/

(5) http://left.ru/2005/7/yakushev124.phtml

(6) "Il Manifesto", 10 maggio 2005
C'è da dire che altri esponenti della "sinistra alternativa" non
sembrano prendere nemmeno in considerazione la lucida analisi
formulata dal giornalista del "Manifesto". E' il caso, ad esempio, di
Salvatore Cannavò ("Liberazione", 10 maggio 2005) che, a dispetto
dell'evidenza e sottovalutando le velleità egemoniche ed
espansioniste, con tratti fascisti, dell'attuale amministrazione USA,
appare persuaso che all'ultimo insidioso attacco di Bush alla Russia
possano solo " seguire accordi e mediazioni che permettano ai due
progetti di rimanere complementari e di non scornarsi troppo".

(7) Sull'entità del massiccio sostegno americano e occidentale al
terrorismo ceceno: John Laughland, "The Cechens' American friends",
The Guardian, September 8 2004,
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,1299318,00.html

(8) Mikhail Cernov, "Come cercheranno di rovesciare Putin",
http://www.contrtv.ru/common/1091
La traduzione in italiano in
www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 03-05-05

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4291/1/51/

Il ritorno del Bottone Bianco

20.05.2005 - Sono tornati. La band più famosa dell'ex Jugoslavia
suonerà nuovamente insieme. In giugno saranno a Sarajevo, Zagabria e
Belgrado. E' già partita la corsa ai biglietti. "Il bottone è come la
bicicletta, una volta che si impara ad andare non si dimentica", così
ha descritto Goran Bregovic - leader della band - questa nuova avventura

Di Mirella Vukota

E' l'evento musicale dell'ultimo decennio nelle Repubbliche della
ex-Jugoslavia, i Bijelo Dugme (Bottone bianco), la più famosa rock
band in ex-Jugoslavia di tutti i tempi, si sono riuniti ed hanno
programmato tre concerti, a Sarajevo, a Zagabria ed a Belgrado. Lo
stadio Kosevo nella capitale bosniaca, lo stadio Maksimir a Zagabria e
l'Ippodromo belgradese risuoneranno della loro musica nel mese di
giugno. La band ha confermato le date dei concerti in due conferenze
stampa tenutesi a metà aprile a Sarajevo e Zagabria. Naturalmente il
breve tour inizierà nella loro culla, nella loro città natale,
Sarajevo, il prossimo 15 giugno, si sposteranno poi in Croazia il 22
ed infine nella capitale serba il 28.

La ri-unificazione dei dugmici (bottoncini) è stata fortemente voluta
dal loro ex manager, Radoslav Raka Maric. Negli anni nella band sono
entrati nuovi componenti e suoneranno in concerto tutti quelli che
hanno risposto all'invito. Vi saranno tre cantanti, Zeljko Bebek,
Mladen Vojicica Tifa e Alen Islamovic. Tutti e tre molto conosciuti.
Ciascun vocalist durante il concerto canterà le proprie canzoni. Vi
sarà poi Goran Bregovic alla chitarra, Zoran Redzic al basso, Milic
Vukasinovic alla batteria e Lazo Ristovski e Vlado Pravdic alla tastiera.

I Bijelo Dugme hanno iniziato a riscontrare successo alla metà degli
anni '70 ed in pochi anni hanno raggiunto il grande pubblico. Scontato
dire che la maggior parte dei loro fans hanno oramai superato la
trentina, ma molte delle loro canzoni sono divenute dei "classici"
molto conosciuti anche tra le generazioni più giovani. Canzoni come
Djurdjevdan, Napile se ulice, Tako ti je mala kad ljubi bosanac,
Selma, Lipe cvatu, Ruzica si bila sono solo alcune dei loro hit che
ancor oggi si possono trovare nelle memorie dei lettori MP3 delle
ragazze e dei ragazzi dei Balcani. Naturalmente attualmente sono altre
le star, ma la loro nomea durerà a lungo come quella dei Bijelo Dugme?

I Bijelo Dugme si sono costituiti nel 1974. Nel novembre dello stesso
anno sono usciti con il loro primo album Kad bi' bio bijelo Dugme (Se
fossi un bottone bianco). Agli inizi suonavano in città e villaggi nei
pressi di Sarajevo. Zeljko Bebek, il primo cantante, nonostante avesse
una moglie ed un figlio a carico lasciò il lavoro per concentrarsi
completamente sui Bijelo Dugme. In poco tempo arrivò il successo e
divennero una delle band più amate nella ex Jugoslavia.

I Bijelo Dugme
Il leader dei Bijelo Dugme, Goran Bregovic, è senza dubbio il più
conosciuto anche a livello internazionale. La sua musica ci è
familiare soprattutto grazie alle colonne sonore composte per i film
del regista sarajevese Emir Kosturica: Il tempo dei gitani, Arizona
Dream e Underground, quest'ultimo Palma d'Oro al Festival di Cannes
nel 1995. Tra le altre produzioni di Bregovic vi è l'antologia
Ederlezi che raccoglie le sue canzoni più famose. Nella musica di
Bregovic le melodie gitane e tradizionali dei Balcani incontrano suoni
high-tech ed un ritmo irregolare. L'incontro tra la melanconia ed
un'irresistibile energia positiva è il suo aspetto più affascinante.
Nonostante Bregovic non sia di origini gitane a volte è stato definito
il più grande gitano tra i gitani, per l'abilità di "rubare" musica
tradizionale e trasformarla in brani di successo mondiale.

Bregovic ha abbandonato il rock ed i Bijelo Dugme nella metà degli
anni '80. Non è più apparso in pubblico sino al 1995 quando ha avviato
un tour in Grecia e Svezia accompagnato da un gruppo zigano, un coro
bulgaro e l'orchestra sinfonica di Belgrado. Da allora si è affrancato
dalla definizione di "compositore della musica dei film di Kusturica".
La sua fama attraversa i confini statali e le barriere etniche ed è
apprezzata da un pubblico molto variegato. Naturalmente ai suoi
concerti all'estero non mancano mai emigrati originari della ex
Jugoslavia.

In molti sembrano aver accolto la ricostituzione dei Bijelo Dugme con
forte gioia e sono in trepida attesa delle tre date. Potremmo
definirli dei "fan dormienti", rapidissimi a "riattivarsi". E' già
partita la caccia ai biglietti anche se ancora non ve ne sono a
disposizione. Ma vi sono anche voci contro ciò che viene percepito
come una rinascita dello "jugoslavismo". Ci si chiede: perché proprio
adesso? Dov'erano durante al guerra? Non sono pochi quelli che
considerano questo "jugoslavismo" una vera e propria disgrazia ora che
le varie Repubbliche hanno intrapreso strade differenti e si sono
liberate dal "giogo" yugoslavo e sono del tutto allergici al motto
"fratellanza ed unità" che imperversava sotto Tito.

Goran Bregovic, da leader dei Bijelo Dugme, si è assunto l'incarico di
spiegare questo ritorno: " "Dugme je kao voznja biciklom: Jednom
naucis, i nikad ne zaboravis" . Il "bottone" è come andare in
bicicletta: una volta che impari non di dimentichi mai come si fa.

Lo si può veramente dire. Una volta che i fans hanno imparato le loro
canzoni non se le sono più dimenticati. Anche se sono passati oramai
15 anni dall'ultima volta che i Bijelo Dugme sono saliti su di un
palco non vi è dubbio che il pubblico canterà a memoria le loro
canzoni proprio come accadeva negli anni '70, '80 e '90.

Uno dei principali siti sui Bijelo Dugme: http://www.bijelodugme.net/

THE REHABILITATION OF CHETNIKS BY THE US IMPERIALISTS AND THEIR
SERBIAN LACKEYS

(english / srpskohrvatski / italiano)

1. Serbian Government celebrates the defeat!
(Young Communist League of Yugoslavia SKOJ / NKPJ)

The Government in Serbia has accepted the absurd, shameless and
incivilized Law of balancing the rights of chetnik and partisans...
This isn't surprising because we know that the government is the ideal
heir of the forces that lost the war - chetniks!

2. Da Tito a Draža, con gli USA
(L. Zanoni, da Osservatorio Balcani)

Nell'anno del 60mo anniversario della vittoria sulle forze
nazifasciste, lo stato serbo finanzia la festa dei cetnici, mentre gli
USA consegnano la medaglia d'onore alla figlia di Draza Mihailovic,
capo dei cetnici... Gli organizzatori [della cerimonia di Ravna Gora]
di fronte al dilemma, hanno tolto la bandiera serba e al suo posto
hanno issato quella statunitense...

3. SAD ipak odlikovao vođu četnika Dražu Mihailovića
(Novi List, HR)

Beogradski dnevnik »Blic« jučer je objavio da je uručenje odličja
odgođeno, ali vijest se pokazala netočnom...

SEE ALSO / VEDI ANCHE:

THE DRAZA MIHAILOVIC TRIAL (1946)

http://trial-mihailovic-1946.chiffonrouge.org

The website http://www.draza-mihailovic.net which was publishing on
the web the trancript of the 1946 TRIAL of Mihailovic and 11 other
traitors has been hacked and is out of reach...

SERBIA 2004-2005: I CETNICI AL POTERE
"Cetnicima isto sto i partizanima"

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4118

La destra al potere in Serbia, su iniziativa del Ministro degli Esteri
Vuk Draskovic, ha fatto passare una legge che equipara nei diritti i
partigiani ai cetnici. Il Partito Socialista della Serbia e' stato tra
i pochissimi a votare contro la nuova legge...


=== 1 ===

Serbian Government celebrates the defeat!

The Government celebrates the defeat!
Since the collapse of the Socialistic Federal Republic of Yugoslavia,
especially after the reforms in 2000, attempts have been frequent to
falsify the past with making the merit out of treason and showing
traitors as the saviors of the nation.
The Government in Serbia has accepted the absurd, shameless and
incivilized Law of balancing the rights of chetnik and partisans, in
which the supporters of Draza Mihailovic are shown as heroes.
Nowadays, the government emphasizes with pride that it will sponsor
the celebration of the War against Fascism in Ravna Gora, the place
which is related to Draza Mihailovic.
In that place, the chetnik movement will be praised, the treason and
collaboration.
This isn't surprising because we know that the government is the ideal
heir of the forces that lost the war - chetniks!

There are hundreds of irrefutable proves from Yugoslav, Soviet,
American, British and German sources regarding the collaboration of
chetniks with Hitler's and Italian's occupants, and with the Quisling
gangs of Nedic and Ljotic. There are thousands of unverified proves of
brutal mass and individual crimes of chetnik against armless people,
patriots, partisans and their sympathizers. Also, thousands of
documents regarding meetings, agreements and joint actions against
partisans, weapon aid, ammunition, clothes, footwear and food have
been preserved. Moreover, documents on aiding the chetnik forces by
Germans, Italians, supporters of Nedic and Ljotic, have also been
preserved as proves.

Since the agreement in the August 1941., the Germans fully equipped
and paid 72 chetnik offices and 7.963 troops of chetnik duke Kosta
Peæanac, as well as three thousand members of a formation under the
direct order of Draza Mihailovic.
For their cooperation with the Wehrmach and against the People's
Liberation Struggle Forces, Hitler handed the Iron Cross medal to
chetnik duke Pavle Djurisic.

On the 12th of September 1944, the king Petar II. had called to all
Chetniks to "join the People's
Liberation Struggle Forces under Marshall Tito", under the pressure of
Allied forces, who owned many proves of cooperation of the Chetniks
with the occupants. King Petar II. sais in the note: "Everyone who
relies on the enemy on the behalf of its people and future, and those
who will not reply to this call, will not succeed to liberate
themselves from the proves of treason neither in front of the people
nor of the history."
Petar II. condemns "the attempts of justifying the cooperation with
the enemy, causing the strife inside the people in the worst moments
of its history".

The strong anti-fascist Partisan movement consisted of more than 800
000 members, while other 14 nations, apart from the USSR, had 1 275
000 fighters. It destroyed more than 447 000 enemy soldiers, the
highest number after the USSR. The Partisan movement with the aid from
the Red Army defeated the
enemy in 1944.-1945. Then, the chetnik forces escaped to the West,
together with the enemy.

There have also been individuals and smaller chetnik formations that
opposed to the occupant, but such acts were against the policy and
collaboration of chetnik movement led by Draza Mihailovic.

The Chetniks forces weren't mentioned as anti-fascist forces in any of
the conferences of the allied countries, while at the same time, there
have been resolutions of collaboration and aiding the People's
Liberation Struggle Forces as the only true anti-fascist force in
Yugoslavia.

The history will throw the resolutions of the Serbian Assembly into
the shameless grave of the past, in which the treason gets the reward
which should be given to anti-fascism.


Kubik Marijan, International secretary of Young Communist League of
Yugoslavia SKOJ - youth organization of the New Communist Party of
Yugoslavia NKPJ

Source: http://groups.yahoo.com/group/ml-yu/ . English text reviewed
by AM for the CNJ/JUGOINFO.


=== 2 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4276/1/51/

[vai al sito originale per vedere le significative vignette e
copertine dei giornali]

Da Tito a Draža, con gli USA

16.05.2005 [Luka Zanoni] Finiti i tempi delle celebrazioni di Tito e
dei partigiani, nell'anno del 60mo anniversario della vittoria sulle
forze nazifasciste, lo stato serbo finanzia la festa dei cetnici,
mentre gli USA consegnano la medaglia d'onore alla figlia di Draza
Mihailovic, capo dei cetnici


Bisogna riconoscere la genialità di Predrag Koraksic, in arte Corax,
noto disegnatore di satira a fumetti e quotidianamente presente sulle
pagine di molta stampa belgradese. Il suo stile è fenomenale, con
pochi colpi di pennello e di inchiostro riesce a dire molto di più di
quanto si possa fare con un lungo articolo. La vignetta qui accanto,
pubblicata sull'ultimo numero del settimanale belgradese "Vreme", è
più che eloquente e sarebbe sufficiente a spiegare il titolo di queste
poche righe. Tuttavia, nonostante la bravura di Corax e trattandosi di
satira politica, è necessario avere un'idea del contesto grazie al
quale la vignetta in questione può strapparci un sorriso a denti
stretti, così tipico della satira. Vediamo, quindi, di spiegare con
poche parole cosa ha ben sintetizzato Corax, perché si tratta di una
notizia che ha avuto risonanza ben oltre la Serbia.

A sinistra, nel fumetto, compare Josip Broz Tito in uniforme, al quale
l'attuale ministro degli esteri nonché presidente del Partito per il
rinnovamento serbo (SPO), di orientamento monarchico, Vuk Draskovic
strappa delle medaglie e le consegna allo "zio Sam" che le fissa al
petto di Dragoljub Draza Mihailovic, capo del movimento dei Cetnici,
corpo armato del re durante la II Guerra mondiale.

Ora la vignetta è un po' più chiara, ma mancano ancora alcuni elementi
per capirla fino in fondo. Andiamo con ordine. Il 9 maggio, giornata
mondiale di celebrazione per la vittoria sulle forze nazifasciste,
l'amministrazione americana consegna, nei locali dell'ambasciata degli
USA, la medaglia al merito alla nipote di Draza Mihailovic. Come
confermato dai giornalisti, lontano da sguardi indiscreti, a Gordana
Mihailovic viene consegnata la medaglia della Legion of Merit, la più
alta onorificenza degli USA. L'altisonante titolo era stato attribuito
post mortem a Draza Mihailovic, dal presidente americano Henry Truman
nel 1948, per aver salvato 500 piloti dell'aviazione americana i cui
arei erano caduti sulla Serbia, nel 1944.

La notizia, nonostante la discrezione della cerimonia ufficiale, pare
voluta dalla stessa nipote di Draza Mihailovic, non ha tardato a
suscitare reazioni. I media ne parlano, senza dimenticare che il 21
dicembre 2004 il parlamento serbo, mediante procedura accelerata e su
proposta del partito del ministro degli interni, l'SPO di Vuk
Draskovic, aveva per legge equiparato i cetnici di Mihailovic ai
partigiani di Tito, considerati entrambi componente attiva nella lotta
all'antifascismo. Una legge adottata con 176 voti a favore, 24
contrari e una manciata di astenuti.

Che la storia e la storiografia abbiano dei tempi lunghi per accertare
i fatti e per fornire delle interpretazioni che possano vantare il
diritto alla verità, è risaputo, ma a distanza di oltre mezzo secolo è
piuttosto noto che il movimento dei cetnici fosse, durante la II
Guerra mondiale, impegnato più che altro nella lotta contro i
partigiani che non contro i nazifascisti, anzi non sono pochi gli
storici che li qualificano come collaboratori di questi ultimi.

Ad ogni modo la notizia desta un certo malumore anche oltre frontiera.
In particolare nelle vicine Croazia e Bosnia Erzegovina, memori dei
crimini commessi dai cetnici di Mihailovic. Il settimanale croato
"Feral Tribune" dedica la copertina alla vicenda, mentre il
settimanale di Sarajevo DANI, non solo vi dedica la copertina, ma
pubblica un articolo, un editoriale e un'intervista con uno storico
americano esperto di questioni balcaniche.

Lo storico Robert J. Donia, nell'intervista non nasconde il suo
stupore e dice "Sono rimasto scioccato e deluso quando la medaglia è
stata consegnata, dopo così tanto tempo, questo è il momento peggiore
per farlo", facendo ovvio riferimento alla celebrazione del 60mo
della vittoria sul nazifascismo.

Dal canto suo l'ambasciatore americano a Belgrado, Michael Polt,
intervistato dall'emittente belgradese B92, si difende dicendo che la
medaglia è stata consegnata, quasi mezzo secolo dopo, alla nipote di
Draza Mihailovic solo perché è stata richiesta dalla Serbia, e che con
tale gesto non si vuole entrare nel merito delle questioni che sono
accadute durante la guerra, ma semplicemente ringraziare i cetnici
per il salvataggio di 500 piloti dell'aviazione statunitense.

Resta comunque poco chiaro perché proprio adesso sia stata consegnata
la medaglia, dal momento che – come scrive Emir Suljagic sulle colonne
di DANI – da anni molti appartenenti al movimento dei cetnici
chiedono agli USA la consegna della medaglia d'onore.

Intervistato dal settimanale "Feral Tribune", Zarko Korac, già
vicepresidente del governo serbo e presidente del Partito
socialdemocratico - tra i pochi partiti ad opporsi alla legge che ha
equiparato i cetnici ai partigiani [insieme al Partito Socialista che
fu di Milosevic: si noti la "rimozione" di questo particolare
cruciale, ndCNJ] - ritiene che la Serbia dal 2000 (anno dell'uscita di
scena di Slobodan Milosevic) sta cercando di mettere in mostra il
movimento dei cetnici come antifascista. Aggiungendo che "è mia
impressione che in Serbia sia in atto un forte tentativo di
reinterpretazione della storia, ed è forte la pressione delle forze
filo-cetniche. È significativo che i sondaggi mostrino come la maggior
parte dei cittadini sia a favore di tutto questo".

Che questa non sia solo opinione di Korac, lo si evince dal fatto che
il 15 maggio, il consueto e annuale incontro del movimento cetnico a
Ravna Gora, quest'anno sia finito sotto il budget statale. Un
anniversario introdotto dal leader del SPO, Vuk Draskovic, nel 1990
per commemorare la venuta, il 13 maggio 1941, del generale Draza
Mihailovic a Ravna Gora, un luogo di montagna tra le città di Cacak,
Valjevo e Uzice, non lontano da Kragujevac. Anniversario fino ad ora
finanziato dal SPO di Draskovic [grazie ai soldi che questo ha sempre
percepito dai paesi della NATO, ndCNJ].

A fronte dei cambiamenti in atto, il 10 maggio l'emittente B92 batte
le prime righe della notizia con queste parole: "Dopo 60 anni di
finanziamenti col budget statale delle manifestazioni partigiane, il
Governo della Serbia quest'anno pagherà la festa dell'avvento dei
cetnici". La notizia è sulle pagine di tutti i quotidiani nazionali.
Ma ancora non è noto quanti soldi lo stato ha stanziato per l'evento,
al quale era prevista la partecipazione di rappresentanti stranieri e
locali.

La cosa è andata diversamente. La manifestazione cetnica si è spaccata
in due: il sabato hanno festeggiato circa diecimila persone, in
disaccordo coi vertici del partito SPO, e fondatori di un nuovo
partito l'SDPO (Movimento democratico serbo per il rinnovamento), tra
cui Vojislav Mihailovic, il nipote del generale cetnico e Velimir
Ilic, leader del partito di governo Nova Srbija e ministro degli
investimenti del governo in carica. Mentre la domenica, coi soldi
dello stato alla manifestazione hanno partecipato circa 15.000
cosiddetti ravnogorci, oltre al ministro della cultura del governo
serbo, Dragan Kojadinovic, il ministro per la diaspora, Vojislav
Vukcevic, e Vuk Draskovic, questa volta in qualità di ministro degli
esteri. Nessun altro funzionario dello stato ha preso parte alla
manifestazione e dei promessi e tanto attesi partecipanti stranieri
nemmeno l'ombra.

Ma c'è un fatto relativo alla manifestazione che può fungere da
conclusione a questa storia. Come scrivono i quotidiani serbi,
all'inizio delle celebrazioni, mentre si stavano issando le bandiere
degli USA, della Francia, della Gran Bretagna e della Serbia, qualcuno
ha avuto la ben pensata di andare ad abbattere con un paio di colpi
d'ascia la staffa della bandiera a stelle e strisce, facendola cadere
nel fango. Secondo quanto riporta il quotidiano "Glas Javnosti",
qualcuno ha poi cercato di profanare ulteriormente la bandiera oramai
a terra, ma alcuni veterani di vecchia data glielo hanno impedito
dicendo "vuoi che ci bombardino di nuovo". Sicché gli organizzatori di
fronte al dilemma, hanno tolto la bandiera serba e al suo posto hanno
issato quella statunitense.


=== 3 ===

http://www.novilist.hr/Default.asp?WCI=Rubrike&WCU=285928582863285D2863285A28582858285D286328962897289E286328632859285C285928602859285928632863286328582863C

Novi List (Rijeka), Utorak, 10.5.2005.

JUČER U BEOGRADU KĆERI OSUĐENOG RATNOG ZLOČINCA URUČENO NAJVIŠE
ODLIČJE KOJE SAD DODJELJUJU STRANCIMA

SAD ipak odlikovao vođu četnika Dražu Mihailovića

Beogradski dnevnik »Blic« jučer je objavio da je uručenje odličja
odgođeno, ali vijest se pokazala netočnom. Mihailovićevi vojnici
spasili oko 500 američkih zrakoplovaca

BEOGRAD/ZAGREB – Unatoč prosvjedima iz Hrvatske, BiH, ali i Srbije,
potomcima četničkog vođe Draže Mihailovića jučer je u Beogradu uručen
Orden za zasluge (Legion of merit), najviše američko odličje za
strance, kojim je američki predsjednik Harry Truman 1948. posthumno
odlikovao zloglasnoga ratnog zločinca s Ravne Gore, kojega su četnici
devedesetih smatrali svojim nenadmašnim uzorom.
Američki ratni veterani taj su orden u Beogradu uručili
Mihailovićevoj kćeri Gordani »u povodu 60. obljetnice pobjede nad
fašizmom«, objavio je Srpski pokret obnove (SPO) Vuka Draškovića na
svojoj Internet stranici www.spo.org.yu. Beogradski dnevnik »Blic«
jučer je objavio kako je dodjela odgođena na neodređeno vrijeme, ali
ta se vijest tijekom dana pokazala netočnom.
Truman je, tvrdi SPO u toj vijesti, Mihailovića odlikovao »na
preporuku legendarnog američkog ratnog komandanta Dwighta
Eisenhowera«. Učinjeno je to zato što su Mihailovićevi vojnici spasili
oko 500 američkih zrakoplovaca čije su letjelice 1944. nad Srbijom
srušili Nijemci.

Clinton ignorirao zahtjev

Građanski odbor za ljudska prava (GOLJP) iz Zagreba, kao i dio
nevladinih organizacija u BiH i Srbiji pokušale su spriječiti tu
dodjelu podastirući američkim veleposlanstvima i javnosti dokaze o
genocidnim zločinima Mihailovićevih četnika za koje je njihov
zapovjednik znao, ali se čini da ti prosvjedi nisu urodili plodom.
»Neki naši susjedi poduzeli su neshvatljivu kampanju da SAD odustanu
od predaje odlikovanja. Sličnom kampanjom spriječena je i inicijativa
američkih ratnih veterana i mnogih američkih kongresmena da se
generalu Mihailoviću podigne spomenik u Washingtonu«, stoji u
priopćenju SPO-a objavljenom na Internetu.
Zahtjev za uručenjem odličja poslije više od pedeset godina prošle
je godine američkome državnome tajniku Colinu Powellu uputio
predsjednik SPO-a Vuk Drašković, sadašnji ministar vanjskih poslova
Srbije i Crne Gore. Time je ponovio svoj zahtjev iz 1992., kada ga je
predsjednik Bill Clinton ignorirao.

Hoće li Washington reagirati na tvrdnje SPO-a

»Povijesna istina više se ne smije prikrivati ni prekrajati. Draža
Mihailović je prvi gerilac protiv nacizma u tada porobljenoj Europi.
Odbio je priznati kapitulaciju jugoslavenske vojske u travanjskom ratu
1941., a 13. svibnja iste godine s Ravne Gore svim jugoslavenskim
patriotima uputio je poziv na ustanak. Bio je komandant legalne vojske
u otadžbini i ratni vojni ministar legalne jugoslavenske vlade u
izbjeglištvu. Njegov doprinos pobjedi saveznika je golem, kao što je
neprocjenjiva i generalova uloga u obrani srpskog naroda od genocida u
tadašnjoj nacističkoj hrvatskoj državi«, piše u priopćenju koje je SPO
jučer objavio na internetu. Bit će zanimljivo vidjeti hoće li SAD
reagirati na te tvrdnje SPO-a. Isto tako, zanimljiv je podatak da SAD
nije odlikovao sina Draže Mihailovića, koji je od 1942. bio – Titov
partizan.
Draža Mihailović osuđen je kao četnički zapovjednik i izdajnik i
pogubljen 17. srpnja 1946. u Beogradu a ni danas se ne zna gdje je
pokopan.

Boris PAVELIĆ, Bojana OPRIJAN ILIĆ

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Zoran Pusić: Vlada treba protestirati u Washingtonu

Ako je odličje doista uručeno, Hrvatska treba nepristrano i
argumentirano protestirati američkoj vladi, reakcija je Zorana Pusića,
predsjednika GOLJP-a, jednoga od rijetkih koji su se u Hrvatskoj
pobunili protiv ove povijesne nepravde. »Citirali smo ne komunističke,
nego četničke dokumente iz kojih je jasno da je Mihailović znao da su
njegovi vojnici »postupili po naređenju« i pobili 8.000 žena, staraca
i djece. Ako to radite, ne morate se zvati fašistom da biste to bili«,
kazao nam je Pusić.
Po njemu, »Amerikanci su uistinu izabrali nesretan trenutak« za
dodjelu toga priznanja. »Odgovornog za masovne ratne zločine ne možete
proizvesti u antifašista, iako se prvih nekoliko ratnih mjeseci jest
suprotstavio silama Osovine. Ne treba zaboraviti da je Mihailović
odbio ponudu partizana da bude vrhovni komandant ako pokrenu
zajedničku borbu. On jest pokrenuo ustanak, ali nije jedini koji je
promijenio mišljenje«, komentira Pusić. »Dodjela odličja ide na dušu
Amerikancima koji su se dali zavesti, ali i SPO-u koji je od početka
zagovarao pročetničku politiku, prešućujući četničke zločine«.

Jakić: SAD trebaju objasniti političku poruku dodjele

»Činjenica da je američko odlikovanje vođi četničkoga pokreta
Draži Mihailoviću, neospornom savezniku fašizma i nacizma, predano
upravo na dan 60. obljetnice pobjede nad fašizimom, u najmanju ruku
izaziva iznenađenje«, izjavio je jučer za naš list savjetnik
predsjednika Republike za vanjsku politiku Tomislav Jakić. »Teško je
oteti se dojmu da ta činjenica nosi i određenu političku poruku. Stvar
je SAD-a kako će tu poruku objasniti, s obzirom na to da je SAD bio
jedan od vodećih članica antifašističke koalicije«, kazao je Jakić.