Informazione

Ancora sugli sloveni, razza di inguaribili infoibatori

Rispetto alla polemica che avevamo segnalato (vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3170 ), accesa
da una quarantina di parlamentari neoirredentisti italiani, in merito
ad una pagina web satirica del giornale Mladina sulle "foibe" (vedi:
http://www.mladina.si/projekti/igre/fojba2000/ ), ci e' giunta la
informazione che riportiamo di seguito.
Si tratta evidentemente di una tempesta in un bicchier d'acqua e di una
polemica strumentale, pretestuosa, ma non innocente perche' va
inquadrata nella campagna di stampa attorno alla proclamazione, in
Italia, di una giornata nazionale contro la barbarie slava (il 10
febbraio d'ogni anno).
Si noti bene:
1. la pagina "incriminata" sul sito di Mladina esiste da quattro anni
(copyright 2000), e solo adesso qualcuno ha deciso di fare uno scandalo;
2. nel gioco online le "vittime designate" non sono italiani ne'
civili, bensi' (a scelta) collaborazionisti dei nazisti ("domobrani")
oppure partigiani, oppure entrambe le categorie - in ogni caso,
sloveni, e in divisa !
Cioe', nel gioco, sloveni si divertono ad infoibare sloveni...

Si tratta dunque di una satira, certo pesante, ma tutta interna a
polemiche in merito al revisionismo politico ed alla memoria storica
slovena. Gli italiani non c'entrano niente, ed il Ministro Stanca, con
la sua iniziativa, dimostra di non capire assolutamente un tubo e di
essere accecato dal suo proprio nazionalismo.

(a cura di Italo Slavo)

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http://www.webmasterpoint.org/risorse/articolo.asp?id=4392

Web, Stanca chiede oscuramente del videogame online "Fojbe 2000"

Il ministro Lucio Stanca oggi ha sollecitato il governo di Lubiana per
chiedere la chisura su un sito online del link ad un videogame dal
titolo "Foibe 2000".
Lo riferisce una nota del ministero dell'Innovazione e le tecnologie,
spiegando che in concomitanza con la Giornata della Memoria, dedicata
proprio alle migliaia di vittime delle Foibe, e aderendo anche alla
richiesta di una quarantina di deputati di An, il ministro ha chiesto
alla Farnesina di attivare i canali diplomatici perché le autorità
slovene oscurino "l'offensivo e vergognoso gioco di abilità che,
riproducendo il diffuso videogame 'Tetris', incita a gettare il maggior
numero di persone nelle foibe".
Stanca --continua la nota -- ha auspicato inoltre che "il governo di
Lubiana aderisca prontamente a questa richiesta per evitare che una
vicenda drammatica come quella delle foibe, di cui la nostra storia non
si è ancora pienamente appropriata, possa essere ulteriormente
banalizzata con un ignobile videogioco che costituisce, attraverso
l'enorme propagazione della Rete, una istigazione alla violenza e
all'odio tra popoli".
Il link al gioco si trova nel sito della testata slovena on line
"Mladina".

Fonte: Routers
Articolo di: Marcello Tansini pubblicato il 11/02/04 alle ore 20.25.00

NAZISTI ROCK

http://www.exju.org/comments/640_0_1_0_C/

si dirà ‘peloso’ in altre regioni d’italia come sinonimo di equivoco e
ambiguo? bene, io leggo drago hedl sempre con un certo distacco, perché
trovo il suo stile pelosetto. mi sbaglierò, mi sembra che le sue
posizioni in merito alle varie croatitudini e croatizzazioni coatte non
siano molto chiare. sarà che sono abituata alle mie opinioni a muso
duro, sarà che il mio desiderio di sbraitare indignazione quando vedo
saluti romani e bandiere con svastiche è più rumoroso del suo aplomb
professionale, chissà. questa settimana hedl racconta, dalle pagine di
iwpr
[http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200402_479_1_eng.txt]
com’è sua consuetudine, della nuova destra croata che parrebbe aver
preso le distanze dal merdaio ustascia, dopo un decennio di
incondizionata protezione. pare che hedl interpreti come segnale
positivo il fatto che alcuni membri della chiesa cattolicissima croata
abbiano espresso una severa reprimenda nei confronti del celebre
cantante-di-destra marko ‘thompson’ perkovic
[http://www.thompson.hr/index.php%5d, che se ne va in giro per il paese
strimpellando ritornelli in onore dei campi di concentramento e
riempiendo gli stadi
[http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2662] a botte di heil hitler.
al clero cattolico di zagabria, che sta imparando dai fratellini
vaticani che le sozzerie si fanno ma non si espongono mai in pubblico,
la rockstar con il suo inno alle glorie di jasenovac
[http://www.exju.org/comments/291_0_1_0_C/%5d non è piaciuta, o hanno
fatto finta che fosse loro antipatica. c’è pure una petizioncina
[http://www.stop-thompson.cjb.net/%5d in rete, da parte di una fettina di
società civile che domanda alla casa discografica il ritiro del cd del
nazi-menestrello. certo, un passo avanti: un passo di formica, nel caso
si stia giocando a un-due-tre-stella. mi chiedo se hedl afferri cosa
intendo se parlo di paradosso, parola che pare non essergli famigliare:
è come se a sanremo vincesse il gruppo rock "i camerati" cantando la
canzone "vadano al forno i giudei tra-la-la" e noi definissimo un
notevole passo avanti verso la democrazia lo sdegno del solo cardinal
tonini. (Babsi Jones)

---

Sullo stesso argomento vedi anche /
SEE ALSO / ISTO GLEDAJ:

Croatian president, Justice minister comment on popular fascist song
http://news.serbianunity.net/bydate/2004/January_23/28.html

Crkva protiv ustaških pesama (BLIC, Beograd, 26.01.2004.)
http://www.blic.co.yu/arhiva/2004-01-26/strane/svet.htm

Fascio, fascino, fassino


1. Premessa
2. Lettere a "Liberazione"
3. La Camera inventa la giornata del ricordo
4. Foibe. Rizzo: i DS rispettino chi e' ancora antifascista
5. Intervista di Armando Cossutta al Corsera


1. Premessa


In seguito alla virata neo-irredentista e nazionalista degli esponenti
DS (vedi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3167
) si e' scatenato un coro acceso di proteste, del quale cerchiamo di
dare conto in questo messaggio.

Preme sottolineare che tutto e' cominciato con le infami dichiarazioni
di Fassino, il quale in una conferenza stampa pubblica a Trieste lo
scorso 5 febbraio ha detto testualmente che l'aggressione fascista alla
Jugoslavia non poté giustificare né la perdita dei territori [SIC] né
l'esodo degli istriani. Nella lettera inviata alla federazione degli
esuli, distribuita nel corso della conferenza stampa, così invece si
legge: "il PCI sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze
dell'espansionismo slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era
manifestato in comportamenti e linguaggi propri delle contese
territoriali e nazionalistiche presenti da decenni in quelle terre".

Nazionalismo revanscista, dunque, nel riferimento alle terre
ingiustamente perdute, oltreche' scandaloso revisionismo storico,
quello di Fassino, secondo il quale il PCI sbagliò a vedere la vicenda
come una lotta tra destra e sinistra, perché andrebbe invece letta come
una delle manifestazioni di quel nazionalismo pericoloso che ha
prodotto tante sofferenze in questa parte dell'Europa e che torna a
risorgere ogni tanto come s'è visto nel decennio scorso nei Balcani...
Un altro riferimento scandaloso, razzistico e depistante, questo alla
recente guerra fratricida ed imperialista in Jugoslavia, guerra alla
quale Fassino ha peraltro partecipato attivamente da esponente del
governo D'Alema nel 1999.

Dopo avere dato spettacolo in questa maniera scandalosa a Trieste, gli
esponenti del nazionalismo italiano di marca diessina hanno coronato
l'opera votando in Parlamento a favore della istituzione di una
"giornata della memoria" slavofoba ed irredentista.

(a cura di Italo Slavo)


2. Lettere a "Liberazione"


da "Liberazione", 10/2/2004:

L'Istria? Fassino parli con i partigiani
Io che in Jugoslavia ho combatturto...

Caro Curzi, sono veramente addolorato e avvilito per la posizione
assunta da Fassino sull'Istria. Vorrei che compagni come te facessero
sentire la loro voce. Io ho da un pezzo passato gli ottantanni e sono
davvero troppo stanco e non oso telefonare all'"Unità" dalla mia casa
di riposo, perché ho la voce poco chiara e ho paura che mi prendano per
un vecchio rincitrullito. Ho combattuto in Jugoslavia prima col Regio
esercito, poi dopo l'8 settembre dalla parte giusta, con la mia
divisione Garibaldi. So quindi valutare il male che noi italiani
abbiamo fatto a quelle genti. Per fortuna ci siamo riscattati con la
Resistenza, ma ora i nostri dirigenti, anzi i politici di tutti i
colori, vorrebbero farci vergognare sostenendo cose non vere. Ma
Fassino, quando era nel Pci non ha parlato mai con i compagni di
Trieste? Non ha mai letto nulla sulla violenza del fascismo contro gli
slavi? Caro Curzi, tu che ancora hai potere e capacità di farti sentire
grida la verità.

Umberto Rosa Verbania

Fiume o morte!

Caro direttore, cerco ogni giorno di seguire su Internet "Liberazione"
e "l'Unità", mentre compro "Il Corriere" e "la Repubblica" che qui si
vendono come sai normalmente. L'Italia, purtroppo anche quella di
sinistra, mi sembra dominata da una smania di revisionismo e
rivendicazionismo territoriale: vogliamo tornare a Fiume? Vogliamo fare
autocritica per aver giustiziato Mussolini?

Adolfo Melis (Francia) via e-mail

Ho passato il pomeriggio della domenica a leggere o rileggere tutto
quello che avevo sottomano sulla occupazione italiana delle terre
dell'altra sponda dell'Adriatico. Ho anche trovato delle lettere di
condannati a morte dal Tribunale speciale fascista negli anni intorno
al 1930. Suggerisco a Fassino, e a tutti coloro che con eccessiva
disinvoltura sembrano scoprire all'improvviso il dolore e il dramma di
quelle terribili pagine di storia pure tanto recente, di studiare un
po' meglio i fatti. (a. c.)


da "Liberazione", 11/2/2004:

Le responsabilità del fascismo

Caro Curzi, il governo e parte dell'opposizione hanno deciso di
dedicare la giornata del 10 febbraio alla memoria dell'esodo degli
italiani dall'Istria e da Fiume dopo la seconda guerra mondiale. Io
sono nipote di esuli fiumani che hanno vissuto in prima persona quel
drammatico evento e voglio testimoniare le enormi responsabilità
dell'Italia fascista in quei fatti. Mio nonno e mio zio hanno
assaggiato la deportazione in Germania dopo essere stati arrestati a
Fiume dalle milizie fasciste con l'accusa di appartenere alla "razza
slava". Molti italiani di Fiume e dell'Istria, infatti, erano
considerati dal regime una razza ibrida. E' bene non dimenticare la
campagna di odio e di intolleranza che il fascismo ha alimentato contro
gli slavi.

Alexis Paulinich Cremona

Italiani dell'Istria e opportunisti nostrani

Signor direttore, che schifo questo piangere, dopo oltre mezzo secolo,
sugli italiani dell'Istria. L'opportunismo politico degli ex-post mai
comunisti (oggi bianchi come le margherite) fa da coro agli ex-post mai
fascisti (oggi dipinti di azzurro). Si scoprono le tombe, ma non si
levano i morti, altrimenti poveri Fassino, Fini, eccetera.

Oreste Belli via e-mail


3. La Camera inventa la giornata del ricordo


da "Liberazione", 12/2/2004

Foibe, il giorno senza memoria

No, non ricordano proprio. La cartolina del "giorno del ricordo" ritrae
gli onorevoli di Alleanza nazionale in festa. Anche Francesco Storace
brinda, sia pure a distanza, con i colleghi amici/nemici di partito.
Succede che le vittime delle foibe saranno ricordate come «solo un
governo di destra può fare», parola del presidente del Lazio. La Camera
approva a larga maggioranza la proposta di legge che istituisce, per il
10 febbraio, il "giorno del ricordo". «Abbiamo costretto la sinistra a
fare i conti con la storia e spero che al Senato si faccia presto ad
approvare definitivamente la legge - dice ancora Storace - Anche perché
ci sono altre cose di cui chiedere conto...». L'Ulivo unito sì no forse
risfodera l'ormai celebre senso di responsabilità. Che tristezza.

An, che considera questo provvedimento una vittoria politica, dà il
via libera ai suoi parlamentari. Roberto Menia conclude la
dichiarazione di voto tra le lacrime (anche i nazional alleati
piangono): «L'Italia compie un gesto di riconciliazione e di giustizia.
Saldiamo un debito che abbiamo, un tributo agli infoibati». Solo quelli
italiani naturalmente, perché la memoria della destra è assai
selettiva. Franco Anedda è felice, felice, felice. Così felice che
cambierebbe la camicia nera con una rosa. Che cosa è la storia? «Felice
per i congiunti delle vittime delle foibe, felice perché questo è
l'ennesimo atto di pacificazione e felice per Menia che ha portato
avanti fortemente questa battaglia. Ma ciò che veramente mi soddisfa è
l'applauso finale con la quale la camera quasi all'unanimità ha accolto
il risultato delle votazioni». Piero Fassino si lascia trasportare
dall'emozione: «Noi non compiamo nessuna abiura, non siamo in contrasto
con la nostra identità che si fonda sui valori di libertà, pace e
democrazia». Ugo Intini dello Sdi è d'accordo con il segretario dei Ds,
e questa è una notizia (brutta, ndr). «Oggi non ci divide più il
passato, ma ci uniscono il presente e il futuro». Mah. Un risultato
«positivo» anche per Marco Boato del gruppo misto, che definisce il
voto di questa legge «un fatto storico da parte di tutto il Parlamento
italiano». Un fatto storico. Per Ettore Rosato della Margherita è
«importante che il dolore e il rispetto di quei fatti venga tenuto
presente dal Parlamento». Tiziana Valpiana spiega il no di Rifondazione
comunista. «Sulle Foibe - dice - si tenta un'interpretazione storica
distorta in chiave prevalentemente anticomunista». «Ci eravamo
predisposti ad un atteggiamento di confronto, sia pure critico, sulle
proposte e sulle modalità con cui si chiedeva un riconoscimento ai
parenti delle vittime degli infoibati - aggiunge Franco Giordano - Ciò
qualora il provvedimento avesse avuto quale oggetto solo il
riconoscimento ai parenti aprendo, per questa via, una luce su errori
ed orrori prodotti in Venezia Giulia tra la guerra e il primo
dopoguerra, ma le proposte emendative cambiano la natura del
provvedimento». Bersaglio centrato.

I voti a favore sono stati 502, 15 quelli contrari, e 4 gli astenuti.
Contro hanno votato Rifondazione comunista e i Comunisti italiani.
Favorevoli, invece, tutti gli altri gruppi parlamentari. Il
provvedimento, che dovrà passare al vaglio del Senato per il via libera
definitivo, istituisce per il 10 febbraio il giorno del ricordo. Una
pacificazione senza memoria, e a senso unico. (f. n.) 


4. FOIBE. RIZZO: I DS RISPETTINO CHI È ANCORA ANTIFASCISTA


dal sito www.comunisti-italiani.it

Ufficio stampa
Roma, 9 febbraio 2004

La scelta delle destre e dei Ds di proclamare il 10 febbraio come
seconda giornata della memoria suscita non pochi
interrogativi. Ci interroghiamo sul fatto che questo non
rappresenti una negazione dell'unicità della Shoa
rappresentata dalla giornata della memoria del 27
gennaio. Ma quello che stupisce di più è ciò che ha
detto Fassino a Trieste per i suoi giudizi liquidatori
nei confronti della politica del Pci sposando le tesi estreme della
destra anticomunista, con una banalizzazione del passato
degna del linguaggio della guerra fredda. La condanna di
Fassino è per tutti: Togliatti, Longo, Vidali,
Berlinguer, Natta e per tutti i comunisti triestini e
friulani che, per decenni, hanno lavorato per superare
le antiche contrapposizioni e creare in quelle zone
condizioni di pace e convivenza.
Iniziative, come queste tendono ad eccitare e dividere
gli animi. Non sono quindi di nessuna utilità. Ai Ds, ed
in particolare al loro segretario piemontese Marcenaro
che offende il presidente partigiano Armando Cossutta,
chiediamo solo maggior rispetto per chi resta
orgogliosamente comunista e coerentemente antifascista.


5. Intervista di Armando Cossutta al Corsera


dal sito www.comunisti-italiani.it

"Cari Fassino e Violante, io a Togliatti dedicherei ancora
una via"

Marco Cianca
Roma, 10 febbraio 2004

Un vecchio comunista togliattiano. Armando Cossutta, 78 anni, ha
il pregio della coerenza. Non rinnega e non rivede alcunché.
Anzi, accusa i dirigenti Ds di "inaccettabile revisionismo
storico" e di "vera e propria abiura". Il pubblico
atto di contrizione per la tragedia delle foibe e dell'esodo
dall'Istria proprio non gli va giù. E' stata la goccia
che ha fatto traboccare il vaso. L'ultimo capitolo di
un'opera di demonizzazione del Pci e del "Migliore" che,
a suo dire, porta acqua solo al mulino della destra.

"Ha cominciato Luciano Violante - argomenta - con le sue
affermazioni sulla Repubblica di Salò".

Violante ha invitato a capire per quale ragione migliaia di ragazzi
e ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono con
Salò. Perché lo critica? I morti, partigiani o
repubblichini, sono tutti uguali e tutti meritano
rispetto. Altrimenti il nostro Paese non riuscirà mai ad
avere una memoria condivisa.

"Il rispetto per i morti è assoluto. Ma non si possono
confondere i carnefici con le vittime. Lo ritengo un grave errore,
storico e politico. Quei ragazzi fucilavano, facevano i
rastrellamenti, portavano via intere famiglie. Ed erano
al servizio di un'occupazione straniera, quella nazista.
Non era in corso una guerra civile ma una guerra di
liberazione".

Eppure gli storici ormai concordano nel dire che fu anche guerra
civile.

"No. E' una tesi fortemente contestata. La guerra civile avviene
all'interno di una medesima società, non quando c'è
un occupante straniero, in questo caso la Germania nazista. E da
un punto di vista storico la guerra di liberazione ha ridato
onore all'Italia".

Ma anche ragionando così non si possono condannare all'oblio
l'orrore delle foibe e la tragedia degli esuli istriani. E in
questo senso Violante e Fassino riconoscono gli errori
del Pci.

"Ho avuto una grande tristezza, un dolore particolare, un'amara
sorpresa nel vedere le loro dichiarazioni che rivelano mancanza
di documentazione e di conoscenza. Mio padre era
triestino e nella mia famiglia c'erano persone che
furono travolte da quella tragedia".

E allora perché non ritiene giusto ricordare le foibe?

"Le foibe sono esecrande. Su questo non ho dubbi, nessuno può
avere dubbi. Ma tutto deve essere collocato in una dimensione
storica. Non si può dire solo un pezzo della verità. Non
si può dimenticare la colonizzazione di quelle terre
voluta da Mussolini. Furono cambiati, italianizzati, i
cognomi delle persone e i nomi delle località. Fu
persino insediato a Lubiana un vicerè italiano. Non si
possono dimenticare gli eccidi di slavi compiuti dagli
ustascia e dai fascisti alleati dei tedeschi. E spero
che Fassino e Violante abbiano scorso le memorie di Dimitrov,
segretario generale dell'Internazionale comunista che era stata
sciolta nel '43 ma di fatto agiva ancora. Ebbene, Dimitrov
ricorda che l'Internazionale voleva dare Trieste a Tito
mentre Togliatti si battè perché questo non avvenisse. E
così fu. I dirigenti dei Ds non possono rifiutare la
propria storia".

Per questo parla di abiura?

"Sì. Provo amarezza e disorientamento di fronte ad affermazioni
perlomeno stravaganti. Walter Veltroni ha scritto in un libro di
non essere mai stato comunista. Piero Fassino giunge a
criticare l'operato di Berlinguer nei confronti di Craxi
e persino a sostenere che per non assistere al
fallimento della sua politica andò a cercarsi la morte.
Giuseppe Caldarola, che è un consigliere di D'Alema, ha
detto che il comunismo è incompatibile con la libertà. E
non si riferiva all'Unione Sovietica ma al comunismo in
quanto dottrina come piena e completa liberazione umana.
E' stato Marx a scrivere che la libertà di ognuno è
condizione per la libertà di tutti".

Ci risiamo con il Marx teorico contrapposto al comunismo reale?

"Il comunismo reale non c'è stato e non c'è da nessuna
parte".

Ma persino Fausto Bertinotti ha fatto un convegno sulle foibe.

"Che cosa ha a che fare lui con il comunismo? Bertinotti non
è mai stato comunista".

Lei difende un marchio di fabbrica per motivi elettorali...

"Non è così. La politica moderata dei Ds sta creando un
vuoto a sinistra. E non sono così presuntuoso e ridicolo
da pensare che lo possa riempire solo il mio partito.
Comunque quel vuoto va riempito. Ci sono mutazioni genetiche che
creano sconcerto e disaffezione. Possibile che il partito
comunista abbia sbagliato su tutto e che non ci sia una
cosa che abbia fatto bene? Spero che i dirigenti Ds
leggano il bel libro di Emanuele Macaluso che malgrado
le molte critiche, condivisibili o meno, e io con lui ho
polemizzato tante volte, conclude il suo lavoro con due
domande: cosa sarebbe stata l'Italia senza il Pci e cosa sarebbe
stato il Pci senza Togliatti?".

Lei è l'ultimo dei togliattiani?

"Spero che ci siano ancora milioni di togliattiani".

Ma quantomeno riconoscerà che il Pci stese un velo di
silenzio sulle foibe e sull'esodo.

"Ci fu un generale silenzio. Del Pci e della Democrazia cristiana.
Ci fu il silenzio di De Gasperi, che è morto troppo presto".

Voterà la legge per fare del 10 febbraio il giorno della
memoria degli esuli istriani?

"Vedrò di che si tratta. Non si può essere semplicistici.
Occorre che si valutino i pro e i contro, con molta obiettività".

Ma tra via Togliatti e via delle Foibe, lei quale strada sceglierebbe?

"Via Palmiro Togliatti".

Perché?

"Perché è stato uno dei padri della nostra Repubblica.
Ha saputo, malgrado le divergenze anche profonde, portare a compimento
assieme a personalità come Dossetti, la nostra
Costituzione. E con tutta la sua politica ha agito in
modo che non si arrivasse anche in Italia, come in
Grecia, ad una vera e propria guerra civile".

E' così difficile scrivere una storia condivisa? Eppure
anche Fini ha riconosciuto il fascismo come male assoluto.

"Facciamo attenzione. Fini non ha mai condannato esplicitamente
quella che io chiamo la repubblichetta di Salò. E poi la
storia la facciano gli storici. Violante non è uno storico.
Non si può usare il revisionismo in modo strumentale per
rincorrere i voti dei moderati. E da vecchio togliattiano
dico ai dirigenti dei Ds: fermatevi, fermatevi".

SLOBODA: Protest i upozorenje tribunalu, UN, SAD i VB

This text in english:
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/34

---

SLOBODA  | FREEDOM
udruzenje  | association
Clan Svetskog saveta za mir
JUGOSLOVENSKI KOMITET ZA OSLOBODJENJE
SLOBODANA MILOSEVICA
Beograd,Rajiceva 16,tel./fax +381 11 630 549

Beograd, 6. februara 2004. g.

Prima: g. Teodor Meron, predsednik,
MKTJ, Hag, Holandija

Kopije: Nj.E. Kofi Anan,
Generalni sekretar,
UN, Njujork, SAD

Nj.E. Dzordz Bus,
Predsednik SAD,
Vasington, SAD
Nj.V. Kraljica Elizabeta II,
Kraljica Ujedinjenog kraljevstva
London, UK

           Gospodine Meron,

Vece Tribunala kojim predsedava sudija Mej donelo je 05.02.2004.g.
«Odluku o rasporedu i vremenskom trajanju sudjenja» Predsedniku
Slobodanu Milosevicu. Ovom Odlukom odredjeno je da ce sudjenja u
naredne dve nedelje biti produzena i da ce se odrzavati i u
poslepodnevnim casovima.

Ocigledno je da je to Vece produzavanjem trajanja sudjenja prekrsilo
sopstvene, ranije Odluke koje su decidno odredjivale da ce se zasedanja
Veca odrzavati iskljucivo u prepodnevnim casovima i trajati najduze do
13,45 casova. Podsecamo da su te Odluke usledile nakon nekoliko
specijalistickih lekarkih pregleda Predsednika Milosevica i bile su
diktirane upozorenjima lekara o ozbiljnosti njegovog zdravstvenog
stanja i razicima sudskog procesa po njegovo zdravlje i zivot. Lekari
su tada eksplicitno preporucili da se dnevno trajanje sudjenja skrati.

Poznato Vam je da je Slobodan Milosevic i tokom poslednje nedelje
bolovao od gripa i da nije ozdravio do dana kada je Vece donelo gore
navedenu Odluku.

Situacija u kojoj, i pored brojnih lekarskih nalaza i upozorenja i
sadasnjeg dodatnog pogorsanog zdravstvenog stanja Slobodana Milosevica,
odnosno, kada se i ne zna da li ce i kada on biti u stanju da ucestvuje
u procesu, Vece bez konsultovanja lekara specijalista, grubo krseci
ranije donete Odluke, samovoljno produzava trajanje procesa, ne moze se
okarakterisati drugacije nego kao direktno ugrozavanje zivota
Predsednika Milosevica.

Stoga Vas upozoravamo da ste kao predsednik Tribunala duzni da nalozite
Vecu da preispita i ukine ovu nehumanu Odluku ili da je ukinete sami. 

U ime Udruzenja «Sloboda»

Bogoljub Bjelica, predsednik Upravnog odbora


---


BORBA ZA SLOBODU I ISTINU O SRPSKOM NARODU I JUGOSLAVIJI JE U KLJUCNOJ
FAZI. NATO I NJEGOVE SLUZBE U BEOGRADU I HAGU NEMAJU INTERES DA TU
BORBU PODRZE.

TA BORBA ZAVISI ISKLJUCIVO OD VASE PODRSKE! 

MORAJU SE OBEZBEDITI USLOVI DA MALI TIM POMOCNIKA PREDSEDNIKA
MILOSEVICA, KOJI POSTAJE MEDJUNARODNI, RADI U HAGU U VREME INTENZIVNIH
PRIPREMA ZA KONACNU PREZENTACIJU ISTINE, KAO I DOK TA PREZENTACIJA BUDE
TRAJALA.

DA BISTE DALI SVOJ PRILOG, JAVITE SE SLOBODI ILI NAJBLIZEM NACIONALNOM
KOMITETU ZA ODBRANU PREDSEDNIKA MILOSEVICA, ILI

procitajte uputstvo na:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
Ako zelite da saznate vise o ovoj borbi i da se u nju ukljucite,
posetite:
http://www.sloboda.org.yu/ (udruzenje Sloboda)
http://www.icdsm.org/ (medjunarodni komitet za odbranu Slobodana
Milosevica)
http://www.free-slobo.de/ (nemacki komitet)
http://www.icdsm-us.org/ (americki komitet)
http://www.icdsmireland.org/ (irski komitet)
http://www.wpc-in.org/ (svetski savet za mir)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (balkanski antiNATO centar)

---

SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

[ Il criminale di guerra croato Ante Gotovina, sul quale e' in corso da
anni un tira-e-molla tra il "Tribunale ad hoc" dell'Aia (cioe' gli USA)
ed i governo croati (cioe' la UE), ha una relazione speciale con la
Francia...
Sul caso del nnazista Gotovina e sulle protezioni di cui si giova anche
da parte vativana vedi tra l'altro:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3008 ]


LE MONDE
Article publié le 4 Février 2004

LA VIE FRANÇAISE D'UN FUGITIF CROATE

Le général Ante Gotovina, recherché depuis 2001 pour "crimes contre
l'humanité", a un lien particulier avec la France. Elle lui a donné une
seconde nationalité. Lui a-t-elle aussi servi de refuge ? Itinéraire
d'u baroudeur aux amitiés troubles.

Le long de la côte dalmate un étrange phénomène s'est produit en
novembre 2003, à l'approche des élections législatives. Des affiches
représentant un militaire sont apparues, à côté de celles des partis
politiques. "Un héros et non pas un criminel", y était-il précisé. La
photo était celle d'Ante Gotovina, général croate inculpé en juin 2001
par le Tribunal pénal international pour l'ex-Yougoslavie (TPIY) pour
crimes de guerre et crimes contre l'humanité. Depuis, Ante Gotovina est
en fuite. En son absence, il a tout de même été nommé citoyen d'honneur
de la ville de Zadar. Il faut dire que, dans ce pays, la guerre
d'indépendance (1991-1995), ses fantômes et ses acteurs hantent encore
les esprits.
Un journaliste croate, Ivo Pukanic, rédacteur en chef de l'hebdomadaire
Nacional, a pu le rencontrer, en juin 2003, "dans un hôtel d'une
capitale d'un pays de l'Union européenne". M. Pukanic a refusé
d'indiquer à la police où se trouvait le général, mais il a précisé que
celui-ci "pourrait vivre pour le restant de ses jours à l'intérieur des
frontières de l'espace Schengen" grâce aux complicités dont il
bénéficie. L'entourage de Carla Del Ponte, procureur du TPIY, se dit
persuadé que, depuis deux ans, Ante Gotovina a passé 90 % de son temps
en Croatie. Cet été, il a été signalé dans les eaux croates, à bord
d'un yacht. Mais les autorités locales ont, une nouvelle fois, omis de
l'interpeller. "Le général Gotovina a fait une offre à Mme Del Ponte,
explique son avocat, Me Louka Misetic. Il est prêt à répondre à ses
questions si elle se déplace à Zagreb. Si ses réponses ne sont pas
jugées satisfaisantes, il se rendra à La Haye."

En Croatie, sa vie est une légende. Beaucoup voient en lui un croisé de
la souveraineté nationale, si chèrement acquise contre les Serbes. Son
sort est aussi un enjeu politique : la Grande-Bretagne et les Pays-Bas
ont fait de son arrestation un préalable à l'entrée de la Croatie au
sein de l'UE. Mais, dans un autre pays, sa vie est davantage inscrite
dans les fichiers des services de renseignement et les archives
judiciaires que dans la mémoire collective. Ce pays, c'est la France.
Sa deuxième patrie. La vie française du fugitif est une histoire de
voyages et de rencontres, de missions spéciales et de coups tordus.
D'amitié virile aussi.
Ante Gotovina est né sur l'île de Pasman, près de Zadar, le 12 octobre
1955. Dans son autobiographie, publiée en Croatie en 2001, il raconte
comment, étant enfant, il rêvait de grand large, sur les traces de
Christophe Colomb. A 16 ans, il essaie de fuguer avec un ami à bord
d'un rafiot, en direction de l'Italie. Leur expédition échoue, mais ce
n'est que partie remise. Quelques mois plus tard, à Bordeaux, il
s'embarque comme marin à bord d'un navire effectuant des allers-retours
entre l'Europe et les Etats-Unis. Au bout d'un an en mer, lors d'une
escale en Italie, il décide d'assouvir un autre rêve : la Légion
étrangère. Toujours mineur, il rejoint Marseille, lieu de recrutement
de la Légion. Le 1er janvier 1973, il s'engage pour cinq ans et rejoint
les rangs du 2e régiment étranger de parachutistes, basé à Calvi
(Haute-Corse). Le "2e REP" est un corps d'élite, souvent engagé dans
des opérations commandos en territoire hostile. Le jeune Croate sera
plongeur de reconnaissance, avant d'effectuer un stage à Pau pour
devenir chuteur opérationnel.
Il fait alors la connaissance de Dominique Erulin, légionnaire et futur
compagnon d'opérations spéciales. Son frère, le colonel Philippe
Erulin, dirige le 2e REP. Son grand fait d'armes est d'avoir sauté sur
Kolwezi (Zaïre), en 1978, afin de rapatrier les Européens menacés par
des rebelles. Ante Gotovina sert de chauffeur et de garde du corps au
colonel.
Sans avoir participé à une activité opérationnelle, il quitte la Légion
avec le grade de caporal-chef, en 1978. Son passage au 2e REP lui
permet de réclamer la nationalité française, qu'il obtient en avril
1979. Officiellement, à cette époque, il s'est installé près de Calvi.
Selon Dominique Erulin, il entre alors comme plongeur professionnel à
la Comex, société spécialisée dans les chantiers sous-marins, dont
certains à caractère militaire. En réalité, il rentabilise son
passeport en parcourant le monde.
Son entourage, implanté autour d'Aix-en-Provence et de Nice, est
composé d'ex-légionnaires, de barbouzes et de militants d'extrême
droite. Gotovina participe à la création de KO International, filiale
de la société VHP Security, disposant d'une adresse à Paris et à Nice.
Selon les renseignements généraux, KO sert de couverture au Service
d'action civique (SAC), organisation secrète créée en 1959, en marge du
mouvement gaulliste. Officiellement, KO assure la protection de
personnalités, comme Jean-Marie Le Pen. Mais ses compétences s'étendent
à des missions spéciales, partout où des mercenaires peuvent se révéler
utiles. "On était une équipe de chasseurs de trésor, se souvient
Dominique Erulin. Ante était un frère d'armes."
Les contrats conduisent les deux hommes en Argentine, au Paraguay, en
Turquie et en Grèce. En France, aussi : en mai 1981, à La
Seyne-sur-Mer, l'imprimerie de l'éditeur Jean-Pierre Mouchard, proche
de M. Le Pen, est bloquée par la CGT. Erulin et Gotovina conduisent une
opération de "nettoyage" des lieux, donnant du pied, des poings et de
la pioche avec 50 compagnons, organisés de façon militaire pour faire
plier les syndicalistes, plus nombreux.
Quelques mois plus tard, Ante Gotovina s'installe au Guatemala et
voyage en Colombie, où il rencontre sa future compagne, Ximena, qui lui
donnera une fille. De retour en France sous une fausse identité, il est
arrêté pour un vol de bijoux commis en 1981, à Paris, chez un
fabriquant de coffres-forts, en compagnie de Dominique Erulin. Condamné
en 1986 par la cour d'assises de Paris à cinq ans de réclusion, il est
libéré en septembre 1987.
A sa sortie de prison, il reprend ses aventures, au gré des contrats.
Il se rend souvent en Amérique du Sud, notamment en Argentine, où il
retrouve une fois de plus Erulin, qui a choisi l'exil. Les deux hommes
conduisent des "stages de formation" paramilitaires. "En France, on
était des gibiers, mais à l'étranger, on était appuyé par des gens des
services de renseignement pour conduire des missions dangereuses",
assure M. Erulin.
Leurs engagements ne sont pas toujours glorieux : ils aident par
exemple une Française à récupérer ses deux enfants, enlevés par leur
père, comme le raconte Erulin dans son livre Gibier d'Etat (Albin
Michel, 2002). Manque d'argent, aventures molles : l'ennui guette. Mais
l'Histoire va fournir à Gotovina l'occasion de changer de vie.
Il revient en Croatie en 1990, à quelques mois de la proclamation de
l'indépendance et du début de la guerre. Son expérience est la
bienvenue face aux Serbes. Mais il ne cesse pas pour autant ses
activités annexes.
Fin 1990-début 1991, son passeport porte les visas d'entrée au Paraguay
et en Argentine. Les services de renseignement français suspectent une
filière de trafic de cocaïne, sans pouvoir étayer leurs soupçons.
Gotovina franchit rapidement les grades au sein de l'armée croate. En
octobre 1992, il est nommé commandant du district militaire de Split,
poste qu'il occupera jusqu'en mars 1996. Dans le même temps, il est
signalé en France comme salarié de la société Assistance Protection
Sécurité, installée en région parisienne, qui recycle de nombreux
anciens de la Légion. Le militaire croate demeure malgré tout
insaisissable. En avril 1992, puis en décembre 1995, le tribunal
correctionnel de Paris le condamne par défaut à deux ans, puis deux ans
et demi de prison pour "extorsion par force". Selon la direction de la
surveillance du territoire (DST), il se livrerait à un trafic d'armes,
notamment via l'Espagne, l'Italie et la Corse.
Le 4 août 1995, la Croatie lance une offensive connue sous le nom
d'"Oluja" (Tempête), dont l'objectif est de reprendre la région de la
Krajina, tombée aux mains des Serbes. Cette opération, qui se poursuit
jusqu'au 15 novembre, est dirigée par Gotovina. Durant ces trois mois,
selon l'acte d'accusation du TPIY en date du 21 mai 2001, les forces
croates se sont livrées à de nombreuses exactions contre les Serbes
vivant dans la Krajina, tuant 150 d'entre eux et entraînant la
disparition de centaines d'autres. "Ces crimes, dont le meurtre
illicite de Serbes de Krajina qui n'avaient pas fui, l'incendie, la
destruction et le pillage de villages ou de biens serbes, notamment de
maisons, dépendances, granges et du bétail, ont continué à être commis
à grande échelle pendant au moins trois mois après que les autorités
eurent repris le contrôle de la région.
L'accumulation de ces actes des forces croates a abouti au déplacement
à grande échelle d'environ 150 000 à 200 000 Serbes de Krajina vers la
Bosnie-Herzégovine et la Serbie", est-il écrit dans l'acte
d'accusation. En Croatie, on ne partage pas, évidemment, cette lecture
de l'Histoire. Zagreb a tenté de faire appel de l'inculpation de
Gotovina - pourtant rayé des cadres de l'armée en septembre 2000 - en
faisant valoir que cette opération avait pour seul objectif de
reprendre les territoires conquis par les Serbes en 1991. Armée contre
armée, une guerre classique en somme, dans laquelle les Croates
auraient bénéficié, selon l'hebdomadaire américain Newsweek, du soutien
logistique de la CIA.
Après l'inculpation de Gotovina à La Haye, le TPIY envoie, fin août
2001, une commission rogatoire internationale à la France pour exécuter
le mandat d'arrêt. La section de recherche des gendarmes de Paris est
chargée de l'enquête. Le 14 novembre, le chef du bureau de l'entraide
pénale
internationale à la direction des affaires criminelles et des grâces du
ministère de la justice transmet une note sur le fugitif à la direction
centrale de la police judiciaire (DCPJ). "Les investigations effectuées
ces dernières semaines -...- ont permis d'établir qu'il avait sa
résidence habituelle dans le sud de la France", y explique-t-on. Dans
son rapport de synthèse transmis le 19 novembre 2001 à Philippe Coirre,
doyen des juges d'instruction, la section de la gendarmerie explique
qu'elle a procédé à des vérifications dans un hôtel marseillais, où le
Croate est fréquemment descendu "pour des mobiles professionnels" et
qu'il avait même indiqué dans son dossier de naturalisation en 1979.
Lors de sa dernière visite, l'intéressé "faisait partie d'un groupe de
ressortissants croates, professionnels de la mer", selon les gendarmes.
Etrangement, lorsque le TPIY reçoit le rapport de ces derniers, il y
est précisé qu'"aucun passeport français ne lui est connu". Aucun ? Le
premier date de 1979, le deuxième, de 1988. Quant au troisième, il a
été délivré par l'ambassade de France à Zagreb, le 11 avril 2001, soit
moins de deux mois avant son inculpation!
En décembre 2001, la DST est à son tour alertée. Elle apprend, par des
informateurs, que Gotovina pourrait se trouver près de Nice. Selon le
ministère de l'intérieur, il s'agit de l'unique fois où sa présence sur
le sol français a été sérieusement envisagée. Des vérifications sont
effectuées dans le milieu des anciens mercenaires en ex-Yougoslavie. En
vain. En juin 2002, la DST inscrit Gotovina au fichier des personnes
recherchées pour trafic d'armes.
EN février 2003, de nouveaux échos parviennent à la DST, de source
croate cette fois. Le fugitif se serait installé dans un petit village
montagnard des environs de Calvi, grâce à ses amitiés parmi les anciens
légionnaires. Les investigations ne sont pas poussées au-delà. Pendant
ce temps, sur le terrain diplomatique, la tension monte. A La Haye,
Carla Del Ponte fustige le manque de coopération des autorités croates.
Soucieux de montrer que les militaires serbes ne sont pas la cible
unique de la justice internationale, les Etats-Unis offrent 5 millions
de dollars pour l'arrestation du général.
En France, le dossier ressurgit. Dans un télégramme diplomatique daté
du 18 avril 2003 à destination de son ambassade à Zagreb, avec copie à
toutes les directions de la police, le ministère des affaires
étrangères souligne l'erreur des gendarmes concernant le passeport de
Gotovina, "évidemment commise de bonne foi" et "sans doute due au fait
-...- qu'il n'existe pas en France de fichier central des passeports".
Le télégramme précise que, "à la connaissance des autorités françaises,
Gotovina ne réside pas en France".
Pourtant, le 8 octobre, dans une note de synthèse, la DST affirme que
le général "aurait choisi de s'installer dans le sud-est de la France
en raison du réseau relationnel qu'il avait tissé alors qu'il était
légionnaire dans les milieux d'extrême droite et du banditisme
implantés dans cette région. (...) Il bénéficierait localement de
suffisamment de protections mafieuses, voire de personnalités locales,
pour vivre sans avoir à se terrer et serait en mesure de se déplacer à
l'étranger sans difficultés particulières."Depuis l'exécution de la
commission rogatoire par les gendarmes, aucun service de police
français n'a été officiellement chargé de rechercher le fugitif.

Piotr Smolar

• ARTICLE PARU DANS L'EDITION DU 04.02.04

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Ancora su PRC/foibe


Sulla polemica seguita alla intitolazione della piazza di Marghera ai
"martiri delle foibe" ed alle dichiarazioni di Bertinotti su "foibe" e
"nonviolenza" vedi anche:

G. Pegolo: Ma si puo' costruire qualcosa da un cumulo di macerie?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3156

La posizione di Bertinotti sulla violenza politica
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3095

Il commento di Claudia Cernigoi sulle dichiarazioni di Bertinotti
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3088

Foibe: dalla propaganda fascista al revisionismo storico. Un opuscolo
di controinformazione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2951

Foibe e monumenti
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2855

Spunti di discussione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2852

Luca Casarini ed i suoi squadristi
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2838

I "Centri Sociali del Nord Est" di nuovo in azione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2830

---

(da "Liberazione", 10/2/2004)

Dell'intervento del compagno Bertinotti a Venezia ho un'opinione
decisamente negativa. Tanto per cominciare è stato un intervento già
preparato, le sue conclusioni erano pronte da prima del convegno e non
hanno tenuto nessun conto degli interventi del convegno stesso,
soprattutto dei due più interni all'argomento "foibe", quello di Joze
Pirivec e quello di Giacomo Scotti, che hanno, entrambi, detto cose
addirittura in antitesi con certi "assunti storici" dati per scontati
da Bertinotti. In secondo luogo, come tutto il convegno, era una cosa
da fare "prima" dell'intitolazione del piazzale di Mestre e non dopo,
quasi costretti dai fatti e obbligati a ripiegare in qualche modo sulle
posizioni dettate da "centrosocialisti" e diessini vari. In terzo luogo
ho dovuto rilevare la scarsezza di approfondimento storico
sull'argomento: dire che «il nostro storico Spazzali ha detto che a
Basovizza ci sono 600 morti perciò va bene così» (anche se non nel
corso del dibattito ma negli incontri di corridoio) è cosa
sconcertante; Spazzali non è "storico nostro", ma della destra, anche
se democratica e, soprattutto, non risulta aver mai detto
dell'esistenza dei 600 morti a Basovizza.

In quarto è stato politicamente intempestivo, perché andare a valutare
oggi, con conclusioni di quel tipo, le cose significa dare spazio ed
avallare le tesi della destra radicale: voglio vedere come farà
Bertinotti ed il partito a rifiutare la proposta della giornata della
memoria delle foibe istriane fatta da Fini, con tutti i falsi storici,
politici e morali e con l'automatica rivalutazione dei fascisti locali
che quella proposta comporta.

Ma ora scenderò nei dettagli, scusandomi per l'incompletezza della
trattazione, anche perché la cosa per essere fatta seriamente dovrebbe
avere più voci, ma soprattutto molto più tempo. Certo su questi
argomenti bisognerebbe fare molta, molta chiarezza.

Quando in un confronto una delle parti comincia col meschinizzare le
idee dell'altra il confronto comincia molto male, soprattutto se a
farlo è la parte "più forte", quella che è nelle posizioni più visibili
e più rappresentative. Però questa posizione "ridicolizzante" è anche
il segno che le convinzioni di chi discute sono deboli e poco
difendibili se non con metodi discutibili, in quanto la ragione le può
smontare e dimostrarne la pochezza, sia storica che politica. Quindi
spero che le posizioni che ora rileverò del nostro segretario siano
solo una caduta di stile e non la ricerca di questo metodo di
demonizzazione dell'"avversario", cosa che nel passato ha troppe volte
attraversato i partiti comunisti e, questa si, cosa sulla quale
bisognerebbe fare non tanto autocritica quanto autoriforma.

La differenza tra fascismo e antifascismo non è certo data solo dai
numeri dei morti, e nessuno ha mai osato sostenere una cosa del genere.
Però per capire (non giustificare) i fatti del passato si deve fare
ricerca storica e capire cosa è successo, scremandolo dai falsi della
propaganda, che in queste terre è stata purtroppo molto attiva sia
prima che dopo la guerra. Fare ricerca storica però significa anche
confrontarsi con i fatti, ed i fatti sono dati anche dai numeri.
Perché, nel rispetto di ogni vita umana, sapere se si tratta di un
omicidio, di 10 morti, di 100, mille o diecimila ha un valore molto
diverso, sia dal punto di vista storico che da quello giuridico
(omicidio, omicidio plurimo, strage, genocidio sono valori sia storici
che giuridici diversissimi). Liquidare la cosa dicendo che «ci sono
molti tra noi che su una questione così scottante e così drammatica
come quella delle foibe si azzuffano su una questione di numeri» o «la
manipolazione verso il basso (dei numeri dei morti, ndr) tende a
configurare l'idea che in quelle fosse ci fossero solo fascisti
colpevoli» è un modo rapido ma semplicistico di affrontare la
questione. Modo che è sbagliato e fuorviante per ogni possibile
analisi. Certo è buono per demonizzare chi vuole fare la ricerca
storica, soprattutto quando questa non collima con la scelte politiche
che si sono volute assumere anche contro i risultati della ricerca
stessa. Ma così facendo si fa un pessimo servizio alla storia ed uno
ancora peggiore alla politica. Altrettanto semplicistico è il discorso
sul "vuoto di potere" e sullo "scontro tra poteri" che hanno portato a
questi fatti. Certo, queste componenti ci furono, ma durante la
Resistenza vi fu anche contemporaneità di poteri. C'era la gerarchia
militare degli uni ma c'era anche il volontariato, il rispetto, la
collaborazione degli altri. Le repubbliche partigiane, le zone libere,
le aree controllate e tutelate, con le armi e con le battaglie furono
luogo di autogestione e palestre di gestione democratica, ancorché in
armi. Vi furono anche vendette, ma gli atti individuali agli individui
vanno ascritti. A Trieste e nell'Istria, soprattutto nel '45 furono
anche molto limitate nel numero reale. Tanto che, e questa è storia, vi
furono proteste da parte proletaria perché non si lasciava fare come
altrove in Italia, dove valeva il decreto luogotenenziale che
autorizzava all'uccisione di tutti i volontari delle truppe di Salò. E
scusate se è poco. Comunque il discorso del confronto tra "poteri"
diversi esiste continuamente. Anche oggi il dire "un altro mondo è
possibile" (slogan che andrebbe almeno specificato con un auspicio
concreto, perché anche il fascismo è possibile "altro" rispetto
all'attuale governo) significa scontro di poteri. Fare politica
significa scontro di poteri, tra quello che esiste con le sue regole
vigenti e quello auspicato, con le regole che si propongono. Dietro
questa spiegazione dei fenomeni esiste solo, scusate il bisticcio,
banale banalizzazione, che nel non spiegare nulla lascia liberi tutti
di dire ciò che si vuole. Certo permette di fare il successivo salto
logico dei "regimi contrapposti" che si sarebbero affrontati a Trieste,
cioè degli estremismi opposti, fascismo e movimento partigiano
comunista, che portano entrambi a lutti e distruzioni. Forse non era
questa la volontà di Bertinotti, ma è questa la sola lettura possibile
delle sue parole.

La critica dei crimini del fascismo non è mai servita, tra i compagni
seri, a giustificazione per non fare i conti con la nostra storia né
per darsi alla vendetta ed alla distruzione indiscriminati, dove fare
giustizia da parte delle autorità, con metodi anche criticabili, è e
deve rimanere altro dalla vendetta personale. Gli storici seri hanno
sempre cercato di collegare tra loro i fatti e di capire il perché del
succedersi degli avvenimenti. Dire che una cosa avvenuta è stata il
motore di cose successive non è giustificazionismo, è studio storico.
Nulla accade a partire da un punto, senza fatti precedenti. Così in
ogni rivolta, in ogni tensione sociale nei secoli, vi sono fenomeni che
hanno portato al punto di rottura, che lo hanno determinato e che
hanno, in parte, determinato il tipo di azione. Imporre, per il
fascismo, di dimenticarlo, pena rischiare di passare tra i
"giustificazionisti dei nostri errori" è antistorico, dire che questo
può portare ad aspetti negativi è chiudere la porta in faccia
all'analisi storica dei fatti e criminalizzare chi la fa. Certo sta
agli uomini, anche ai compagni, non crearsi miti intoccabili ma
ricordare sempre che tutti, noi come chi ci ha preceduto, siamo solo
umani con pregi e difetti. Ma detto questo, sulla resistenza, bisogna
sempre ricordare che vi fu chi combatté (magari per motivi personali
"buoni") dalla parte della sopraffazione fisica e morale, dalla parte
del "superuomo" con diritto di vita e di morte, dello sfruttamento del
lavoro schiavizzato, del diritto di eliminare intere etnie e gruppi
perché considerati inferiori e chi lottò (magari con motivazioni
personali abiette) contro tutto ciò, anche con le sue contraddizioni. E
questa è storia, non esaltazione. Comunque, se si vuole vedere il male
bisogna vederlo in ogni luogo in cui si annida. Ad esempio
bisognerebbe, cosa mai fatta, affrontare il tema della "doppia
resistenza", di chi partecipò per arrivare alla rivoluzione sociale,
con un mito (forse errato) di socialismo, e chi partecipò su posizioni
chiaramente reazionarie, di legame con la monarchia e con il
capitalismo, con il criminale di guerra Badoglio, contro il movimento
proletario. Dire che Sogno, la Franchi, la Osoppo erano gruppi
reazionari, favorevoli al cambio della guardia dirigente, non al
cambiamento della società, che a volte (molto spesso) trovavano linee
di accordo con i fascisti e con i capitalisti contro i partigiani
rossi, lasciandoli massacrare o isolandoli è dire fatti. Fu giusto
reagire e si reagì nella maniera giusta? Non spetta a noi giudicare.
Successe. Possiamo valutare i risultati, e dire che non furono positivi.

Sapere dove si poteva evitare di commettere abusi, e quali siano stati
commessi, è importante per evitare in futuro di commetterne. Ma se
proprio si voleva fare questa presa di coscienza perché non si sono
prese ad esempio altre situazioni, dove gli ordini precisi erano di
"fucilare" tutti i volontari della Rsi, senza distinzione? I partigiani
jugoslavi (serbi, croati, sloveni, italiani, tedeschi, ecc.) hanno,
invece, come riconosciuto da tutti, anche dagli storici di destra,
sempre operato con sistemi di Stato. Ogni arresto doveva avere delle
prove concrete per venir mantenuto. Ogni arrestato doveva risultare
accusato da almeno tre accusatori di crimini precisi. Che poi in alcuni
casi ci siano stati abusi di singole persone è cosa che riguarda loro e
va oltre quelle che erano le precise disposizioni dei vertici, che
chiaramente dicevano di colpire in base al fascismo e non in base
all'etnia e invitavano i comandanti a frenare l'eccessiva solerzia di
alcuni attivisti. Processi contro gli eccessi li fecero, e quanti, gli
stessi jugoslavi anche nel corso della guerra. Comunque non si può,
neppure in questo caso, colpevolizzare il movimento. A meno che non si
intenda sostenere che "italiano" è comunque più buono che "salvo" e che
era meglio essere fascisti ma italiani che jugoslavi e comunisti.

Il problema della violenza è stato, poi, affrontato molto
superficialmente e su fatti lontani. La non violenza è certamente un
fatto positivo. Se posso ottenere delle cose senza ricorrere a
coercizioni è bene. Ma a volte già solo per chiedere e farsi sentire si
deve gridare. E' violenza? Gli scioperi di questi giorni per certe
persone sono violenza: contro le regole, contro le persone, contro le
cose. E seguendo la logica in senso stretto si può concludere che è
vero. Lo sciopero è una forma di coartazione, di ricatto, di pressione:
quindi di violenza. Ma se noi conquistiamo dei successi
democraticamente, ad esempio il Cile di Allende, cosa dobbiamo poi
fare? Lo sciopero con sit-in per bloccare ogni movimento? Buona
ipotesi, ma resta ipotesi che non ha mai visto luce dei fatti. Certo,
fino a quando la via politica è praticabile e può dare dei risultati si
deve perseguire la via politica. Cedere al mito del "vietkong vince
perché spara" (oggi Zapatista con le armi) è stato deleterio in passato
e sarebbe ancor più deleterio oggi. Esiste oggi un fermento, al quale
dobbiamo garantire lo spazio di agibilità. Un fermento che non deve
percorrere la strada dell'estremismo, giustamente definita a suo tempo
"malattia infantile del comunismo". Un fermento che deve poter
crescere, deve poter svilupparsi nelle forme e nelle direzioni positive
che collettivamente saprà trovare e sviluppare. Con l'aiuto anche della
conoscenza degli errori del passato, che è il miglior modo per evitarne
la ripetizione. Cosa che significa sostanzialmente anche con la
conoscenza del passato, non con la sua demonizzazione. E con la
conoscenza del pensiero dei compagni che hanno fornito strumenti
teorici al movimento proletario. Essere "nuovi" non significa dover
ogni volta ripensare tutto di nuovo, ricostruire tutto ogni volta da
zero. I pensatori del passato costituiscono un trampolino per il
futuro. Significa passare il tempo a studiare e non fare? No, significa
non dichiarare ad ogni piè sospinto chiuse certe esperienze e sepolti
certi valori ed autori (Marx, Lenin, …), significa non esorcizzare come
mefitico un passato, quello delle lotte di liberazione di intere
società, solo perché gli esiti non sono stati quelli che oggi, a cose
fatte, noi avremmo desiderato.

Ma riprendiamo col convegno. Auschwitz e Hiroschima sono veramente
diverse come dice Bertinotti? No, strutturalmente no. Sono entrambe
frutto del capitalismo, delle sue necessità e delle sue volontà.
Esattamente come Dresda e Amburgo. Volontà di vincere la guerra, ma non
necessariamente con meno lutti. Anzi, con una quota di distruzione di
popolazione civile non combattente tale da terrorizzare chi avesse
intenzione di proseguire, per esempio, sulla via dell'espansione non
dell'Onu ma dell'Urss. Probabilmente questa espansione non avrebbe
avuto risultati positivi, viste le degenerazioni dei partiti, anche di
quelli comunisti, nell'Europa pre e post-bellica, ma noi possiamo
parlarne solo col "se". Certo è invece che il trionfo del capitalismo
ha portato enormi danni alle società umane. Lo stato agonico in cui
versa il sud America e, ancor più, tutta l'Africa (con decine di
milioni di morti per fame, malattie e guerre) da decenni è un esempio
evidente degli effetti devastanti del colonialismo prima e
dell'imperialismo poi messi in campo dal sistema capitalista.

Non si capisce perché noi si debba continuamente fare ammenda dei morti
dei gulag (morti che pesano, e come, anche sul nostro presente, ma dei
quali non abbiamo mai esaltato l'uccisione e che mai abbiamo
contribuito a far arrestare), mentre nessuno addossi mai, nemmeno tra i
compagni, quei morti africani, sudamericani ecc. al capitale, che si
guarda sempre molto bene dal riconoscerli come frutto necessario e non
eliminabile del suo sistema. E' questo un modo di dire "voi uccidete
più di noi"? No, si tratta solo di sapere che certe cose sono state
fatte cedendo, nella maggior parte dei casi, al frutto degli anatemi
settari e demonizzanti gruppi e movimenti interi, dobbiamo imparare,
volendo cambiare la società, a non ricadere in questi errori. Ma tenere
sempre presente che mentre noi soffriamo per quei morti il capitale
continua a farne ogni giorno migliaia senza mai soffrire per loro.

Nella lotta poi, è vero che oggi il fascismo non è più il nemico? Solo
se si considera il fascismo come un corpo a sé stante. Ma se si vede
nel fascismo solo una delle forme del capitale, come la guerra e come
il terrorismo, allora ci si rende conto che bisogna sì combattere il
sintomo più evidente e minaccioso del sistema (e che oggi questo è la
guerra più che il fascismo) ma che per vincere si deve combattere il
capitalismo e la sua iniqua ripartizione dei beni. Altrimenti sarebbe
come combattere con l'aspirina le sofferenze date da un cancro.

Peter Behrens

Ancora in merito al dibattito interno al PRC

da Liberazione, domenica 8 febbraio 2004:


Contrastare l'offensiva revisionista e anticomunista

di CLAUDIO GRASSI


Una domanda sorge spontanea pensando a questo dibattito sulla violenza
e la non-violenza. Una domanda che potrebbe apparire retorica o
provocatoria. Non lo è. Davvero si stenta ad afferrare il filo di una
discussione che ha coinvolto i temi più disparati, sviluppandosi lungo
linee polemiche che ben di rado ormai si incontrano in punti condivisi
e comprensibili. C'è di tutto: la non-violenza come filosofia e pratica
politica; il pacifismo come teoria e come forma della prassi; il
giudizio sulla Resistenza e sulle guerre imperialistiche di ieri e di
oggi; la critica dei poteri; l'analisi della repressione del dissenso e
del conflitto sociale: forse sarebbe il caso di semplificare e di
cercare di mettere un po' d'ordine.

Di che cosa discutiamo parlando di non-violenza?
Secondo alcuni, di un concetto e di una forma dell'agire politico
adeguati sempre e dovunque. Posto così, è un tema impraticabile in una
prospettiva politica. Se non si vogliono produrre discorsi fini a se
stessi, occorre contestualizzare, riferirsi a situazioni determinate.
Ma anche la posizione di chi ritiene che «oggi nel mondo globale in cui
siamo precipitati, la forma più estrema dell'antagonismo, quella
davvero irriducibile e non mediabile, è l'azione "non-violenta"» (Marco
Revelli su "Carta") appare a dir poco discutibile. Si argomenta, a suo
sostegno, che l'assunzione della non-violenza è necessaria perché vi è
la «guerra permanente» e «preventiva» e perché la superiorità militare
degli Stati Uniti non consentirebbe altre strade. Ma in questa materia
è opportuno evitare toni dogmatici e assumere l'onere
dell'argomentazione razionale. C'è una sola via per mantenersi su
questo terreno: spiegare come si pensa di fermare i bombardamenti, i
cingolati, i missili e la disseminazione dell'uranio impoverito.

Si ripete da più parti che oggi tutto è nuovo, che il mondo è cambiato
di sana pianta e impone concezioni nuove. È davvero così, o è la nostra
memoria che si accorcia e che si indebolisce? Se tornassimo con il
pensiero agli ultimi atti della Seconda guerra mondiale e all'immediato
dopoguerra, avremmo materia per riflettere su queste presunte cesure
radicali. Allora davvero la storia cambiò. Illuminato dai sinistri
bagliori di Hiroshima e Nagasaki, il mondo fu costretto a guardare in
faccia una novità assoluta e atroce. Per la prima volta nella storia la
distruzione del genere umano era divenuta concretamente possibile. Pian
piano la consapevolezza di questo salto di qualità si diffuse e vi fu
anche tra i comunisti italiani chi valutò attentamente le sue
conseguenze. A Bergamo, nel '53, Togliatti tenne un memorabile discorso
incentrato su questi temi: la bomba atomica, l'enorme divario di
potenza che essa istituiva nei rapporti internazionali, la impellente
necessità di una lotta dei popoli per il disarmo e la pace. Ma in quel
discorso non si commetteva l'errore di generalizzare. Nemmeno la bomba
riduceva a un minimo comune denominatore i diversi conflitti: né sul
piano della logica che li determinava, né in relazione al loro
dispiegarsi. Imponeva l'accumulazione di coscienza critica, non
consentiva il ricorso a rigidi schemi, a parole d'ordine unilaterali.

Ma forse c'è dell'altro, in questo dibattito. Si suggerisce, da parte
di qualcuno, che il tema è la forma della lotta politica adeguata qui e
ora: nel nostro paese, in Europa, nell'Occidente capitalistico. Se
davvero le cose stessero in questi termini, verrebbe da dire che ci si
sarebbe potuti risparmiare tanta fatica e tanta carta, talmente ovvio è
- almeno per noi - che oggi, in questa parte del mondo, la lotta
sociale e politica deve ricorrere esclusivamente agli strumenti
pacifici del confronto, pur aspro, delle idee; della libera
manifestazione delle proprie istanze; della mobilitazione di massa;
dello sciopero; della protesta e della disobbedienza civile. E talmente
ovvio è - per noi - che se il conflitto sociale e politico non è sempre
scevro da violenza, la responsabilità di ciò incombe in primo luogo a
chi controlla gli apparati coercitivi dello Stato. Proprio questa
evidenza legittima tuttavia una riflessione: che tutto questo dibattere
di non-violenza serva in realtà a parlar d'altro: che la non-violenza
sia soltanto una parte di un ragionamento più complesso. La sensazione
è che siamo - di nuovo - alle prese con la discussione sulla nostra
storia e sulla nostra identità di comunisti. Se è così, è bene essere
chiari, almeno tra di noi. Riflettere sulla nostra esperienza,
indagarne i limiti, cercare di comprendere le cause delle nostre
sconfitte: questo non è solo utile, è anche indispensabile. Purché si
abbia la consapevolezza che l'errore più grave che potremmo commettere
oggi - nella giusta ricerca di una rifondazione del pensiero e della
prassi comunista all'altezza dei tempi - sarebbe accodarci alla voga
liquidazionista oggi imperante. C'è un grande patrimonio alle nostre
spalle: di esperienze, di idee, di valore, di passioni. Un grande
patrimonio storico che dev'essere in primo luogo rivendicato e
riconosciuto per la straordinaria influenza che ha esercitato nel corso
degli ultimi 150 anni ai fini del riscatto di miliardi di essere umani.
Anche questa smania di trascinare «il Novecento» sul banco degli
imputati è pericolosa, oltre che poco comprensibile. Come si può
ridurre un secolo a un unico motivo? «Un'immane violenza», si dice. E
si getta tutto in un calderone che allontana la possibilità di capire.
Ma il Novecento è stato anche il secolo delle grandi rivoluzioni
operaie e contadine, queste sì «inizio» di una nuova storia! Oggi è di
moda la critica dell'«assalto al cielo», cioè dell'idea che una società
possa essere trasformata anche attraverso il comando politico.
Discuterne, naturalmente, non fa male. Ma certo non giovano le
semplificazioni caricaturali. Un nome dovrebbe bastare a sgombrare il
campo da ogni equivoco: non è stato Gramsci - il bolscevico, il
leninista - a insegnarci che la società è un campo di poteri diffusi e
che la distinzione tra società e Stato (quella che oggi agitano, come
fosse un dogma, i nuovi critici anarchici dell'idea comunista) è uno
strumento teorico - un modello - e non una realtà di fatto? Con ciò
non si tratta, naturalmente, di chiudere il discorso: semmai di aprirlo
in modo serio, una volta per tutte. Certo la storia nostra ha
conosciuto sconfitte e gravi errori. Che vanno analizzati, di cui
occorre cercare le cause, dai quali dobbiamo trarre insegnamento. Ma
anche in questo caso c'è una questione ineludibile che deve essere
posta: bisogna chiedersi se, senza quell'«assalto» di cui oggi tanti
compagni sembrano voler chiedere scusa, il mondo sarebbe stato migliore
o peggiore: sarebbero stati possibili - per fare solo pochi esempi - le
lotte anticoloniali, la rivoluzione cinese, lo stesso sistema di
welfare in Europa? Cercare ancora: certo. Altrimenti nessuna
rifondazione sarà mai possibile. Ma altro è una ricerca seria, severa,
rigorosa, tutt'altra cosa una sommaria liquidazione della nostra
storia. A questa ci siamo sempre opposti e sempre ci opporremo con
tutta la forza delle nostre convizioni e passioni, che sappiamo
radicate in questo partito e in tanti compagni che al nostro partito
guardano con rispetto e fiducia. Basta con le autocritiche a senso
unico, basta con i mea culpa! Perché piuttosto non chiediamo agli altri
di fare i conti con il loro passato? Di chi furono figli il fascismo,
il nazismo, la Shoah? A chi debbono la morte i milioni di vittime della
Corea, del Vietnam, dell'Algeria, dell'America Latina? E che dire
dell'indulgenza vaticana verso i fascismi? Mi chiedo come pensiamo di
attrarre verso le nostre idee i giovani se non facciamo altro che
denigrarle, cospargendoci il capo di cenere per ogni nostro atto, per
il fatto stesso di dirci ancora comunisti. E mi chiedo anche come
pensiamo di rispondere a Berlusconi che attacca a testa bassa persino
il comunismo «meno palese» di chi «rinnega il proprio passato, si lava
pilatescamente le mani per tutti gli orrori e i delitti di cui si è
macchiato, ma ancor oggi vuole l'eliminazione dell'avversario»: cosa
gli diremo, che è troppo severo, che siamo cambiati, che abbiamo
compreso quanto pessimi fossero i nostri padri e fratelli maggiori?
Qui nessuno intende «angelizzare» alcunché. Si tratta solo di
contrastare un'offensiva revisionista e anticomunista che punta a
demolire le ragioni stesse della nostra esistenza e delle nostre
battaglie. O ci siamo scordati del «chi sa parli» e delle «ragioni dei
ragazzi di Salò»? Abbiamo già dimenticato i continui attacchi alla
Resistenza, mossi da chi cercava una legittimazione a buon prezzo?
L'opportunismo servile di chi, pur di accedere al governo, ha preso
distanza da una storia di cui avrebbe dovuto andar fiero, perché è la
storia della liberazione di questo paese e della costruzione della sua
democrazia? Non c'è futuro per chi non serba memoria del proprio
passato, che non è «piombo», bensì radice e consistenza. Non è libertà
quella di chi si sbarazza della propria storia, bensì disorientamento
immemore. Questa smania di gettar via il peso della storia accecò
molti quindici anni fa. La fine della Guerra fredda e la scomparsa del
«campo socialista» furono scambiate per una «grande opportunità»: fu
invece l'inizio di una fase di grave arretramento del movimento di
classe in tutto il mondo, e della ripresa in grande stile del
colonialismo e delle guerre imperialistiche: ci sarà bene un nesso tra
quella fretta di disfarsi dell'eredità storica del «secolo breve» e la
sconvolgente incapacità di leggere le tendenze in atto che accomunò un
intero gruppo dirigente. E anche noi oggi, stiamo attenti, perché non
è affatto scontato che siamo in grado di interpretare correttamente
quanto sta avvenendo. Che cosa ci suggerisce, per esempio, la
discussione tra noi sul «terrorismo» e la resistenza irachena? Che ci
sono - se non altro - stili di analisi diversi, che si riflettono in
differenti idee delle cause e degli effetti. Chi dice che è sbagliato
parlare di una «spirale guerra-terrorismo» non ha esitazioni nel
condannare le azioni terroristiche dei kamikaze e gli attentati
dinamitardi che mietono vittime tra la popolazione civile. Ma il punto
è un altro. Sta nel collocare tutto questo discorso sullo sfondo di una
guerra coloniale e imperialistica, che ha a sua volta cause ben
precise: il profilarsi, dinanzi alla superpotenza Usa, di altri
avversari sulla scena del mondo; la necessità «preventiva» di
controllare le maggiori riserve energetiche del pianeta; l'enorme
influenza politica del «militare-industriale»; il disastroso deficit
del bilancio Usa; il peso di una cerchia politico-intellettuale vicina
al Likud e determinata nel sostenere ad ogni costo le mire colonialiste
della destra israeliana. Ma se questo è il quadro, occorre allora dire
con chiarezza che quella delle popolazioni occupate, saccheggiate,
schiacciate dal tallone militare è innanzi tutto resistenza contro
l'occupazione, sacrosanta lotta per la liberazione. E non solo. Quanto
sta avvenendo in Iraq oggi è importante per tutto il mondo, a
cominciare dal Sud del pianeta. La resistenza irachena parla ai popoli
che sono nel mirino degli Stati Uniti: dice loro che la superpotenza
non è invincibile, che non è così ovvio che dopo un Iraq venga una
Siria o un Iran, quasi si trattasse di passeggiate al sole. In questo
senso, proprio la resistenza contro le forze di occupazione è un aiuto
alla pace. Lo hanno capito bene, non per caso, i rappresentanti dei
popoli riunitisi a Bombay. Nel documento conclusivo del Forum sociale
mondiale la denuncia della guerra e del colonialismo è netta, senza
tentennamenti, così come è forte e univoca la solidarietà verso le
popolazioni oppresse, il loro anelito all'indipendenza, le loro lotte
di liberazione. Al di là di qualsiasi sottigliezza, l'esperienza
materiale della sopraffazione produce consapevolezza. E permette di non
scambiare le lucciole del nuovo imperialismo per le lanterne di un
presunto impero che non dovrebbe più incantare nessuno, fuorché -
ovviamente - Bush e chi condivide i suoi paranoici sogni di gloria.

(english / italiano)

William Walker, lo stragista di Racak

1. Un esperto della NATO dimostra che uno dei massacri serbi secondo i
mezzi di comunicazione ed il Tribunale dell'Aia, in realtà, fu un
montaggio (Michel Collon, Rebelión/resistenze.org)

2. Kosovo : Kosovo Bombing Prompted By Us Diplomat’s
“Deception” (Seeurope.net, January 26, 2004)
3. Covic: Trial of Walker will be long (Politika 4/2/2004)
4. Yugoslav pathologist on Racak: Faked reports (Politika 9/2/2004)

"Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della
notte, uscii..."

---

Da "Liberazione" del 4/2/2004:

<< Le foibe oggi su Raitre.
La testimonianza dell'unico sopravvissuto alle Foibe, Graziano Udovisi,
parlerà della propria esperienza con Giovanni Minoli e lo storico
Giovanni Sabbatucci nella puntata de "La storia siamo noi" che Raitre
manda in onda oggi alle 08.05 e alle ore 00.20. Sulle foibe, nonostante
esistano studi storici accreditati, si è diffusa una pubblicistica di
destra. Su questo capitolo della storia italiano si abbatte di
frequente la scure del revisionismo storico. La vicenda è ricostruita
da Giovanni Minoli con due rari documenti. L'unico testimone di cui
finora si abbia notizia è Graziano Udovisi, che sarà chiamato a
raccontare gli eventi di cui è testimone. Tra i documenti, le immagini
esclusive girate da un operatore del luogo.>>

Qualcuno di noi ha avuto la malaugurata idea di guardare la
trasmissione di cui sopra. La ripresentazione acritica del documento di
Vitrotti, con le dissolvenze delle immagini dei partigiani che entrano
festosi nelle città e la mano che fa i mucchietti con le ossa degli
infoibati, e tutto il resto...
Propaganda di guerra, sostanzialmente. Fatta da chi la guerra l'ha
incominciata e l'ha persa, ma vorrebbe ancora capovolgerne gli esiti.
Certo, oggi senza la Jugoslavia ed in un clima di nuove guerre e nuovi
fascismi, si ha gioco facile.

Vediamo un esempio piu' specifico della propaganda di guerra contenuta
nel documentario di RaiTre:

---

In merito alla trasmissione di Raitre educational dedicata alla “foibe”
ed andata in onda il 4 febbraio scorso, parliamo di un episodio che è
entrato nel “mito”, e che viene riportato come oro colato anche da
Gianni Oliva e del quale nessuno pare averne ancora colto le
contraddizioni. Parliamo dei racconti dei due “sopravvissuti alla
foiba”. Il primo si chiama Graziano Udovisi, e racconta di essere stato
arrestato a Pola nel maggio ‘45 dai “partigiani slavi”. A questo punto
va inserito, nella biografia di Udovisi, quanto si legge nella sentenza
n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste, che giudicò
Udovisi responsabile degli arresti di due partigiani nel 1944. “Udovisi
Graziano, appena ottenuto il diploma delle scuole magistrali di Pola,
all’età di 18 anni, si arruolò nella milizia per evitare di iscriversi
nelle organizzazioni tedesche. (…) Fatto il corso allievi ufficiali,
venne nell’ottobre 1944 inviato a Portole quale comandante del Presidio
e quivi rimase fino alla fine della guerra (…)”. Udovisi venne
riconosciuto colpevole di avere arrestato i partigiani Antonio Gorian e
Giusto Masserotto, nei pressi di Portole. Il teste Gorian dichiarò che
Udovisi legò lui e Masserotto con filo di ferro: ricordiamo questo
particolare, ed anche che risulta da varie testimonianze che i
prigionieri dei nazisti che venivano caricati nei vagoni per essere
deportati nei lager venivano legati col filo di ferro.
Torniamo al racconto di Udovisi (la versione che citiamo è quella
raccolta da Maria Paola Gianni e pubblicata ne “Il rumore del
silenzio”, dossier curato da Azione Giovani nel 1997, p. 153 e sgg.):
“Mi hanno imprigionato in una cella di quattro metri con altre trenta
persone, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani
legate col fil di ferro dietro la schiena”.
Dopo essere stato torturato “tutta la notte” e “dopo mezz’ora non
sentivo più nulla (…) dovevo avere la testa rovinata completamente (…)
una donna ufficiale mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della
pistola (…) ci legarono in fila indiana, l’ultimo di noi era svenuto e
gli fecero passare il fil di ferro intorno al collo. Lo abbiamo
inevitabilmente soffocato nel dirigerci verso la foiba. (…) durante il
tragitto sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una
botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. Durante il
tragitto (…) mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno
sparato vicino alle orecchie (…) Poi la Foiba. (…) quando ho sentito
l’urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa Foiba
rappresentasse per me un’ancora di salvezza. Sono piombato dentro
l’acqua e mentre calavo a picco sono riuscito a liberarmi una mano con
la quale ho toccato quella che credevo essere una zolla con dell’erba
mentre in realtà era una testa con dei capelli. L’ho afferrata e tirata
in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire (…) ho
salvato un italiano”.
Udovisi avrebbe quindi salvato un italiano. Chi? C’è un’altra persona
che racconta più o meno la stessa storia, e torniamo a pag. 48 dello
stesso libro dal quale abbiamo tratto la storia di Udovisi, cioè
“Genocidio… “ di Marco Pirina .
Titolo: “La Foiba doveva essere la sua tomba”. Segue il racconto di
Giovanni Radeticchio di Sisano, che sarebbe stato arrestato il 2.5.45 a
casa sua. Fu condotto assieme ad altri 4 prigionieri a Pozzo Littorio,
dove videro altri prigionieri che venivano fatti “correre contro il
muro piegati e con la testa all’ingiù. Caduti a terra dallo stordimento
vennero presi a calci in tutte le parti del corpi finché rinvennero
(…)”. Seguono le descrizioni di altre sevizie ed alla fine “dopo tenta
ore di digiuno”, li fecero proseguire a piedi per Fianona dopo aver
dato loro “un piatto di minestra con pasta nera non condita”, e “per
giunta legati col filo di ferro ai polsi a due a due”. Altre torture
all’arrivo ed infine “prima dell’alba”, assieme ad altri cinque
prigionieri, e cioè: “Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da
Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Giuseppe Sabatti da Visinada
e Graziano Udovisi da Pola”, con le mani legati dietro la schiena e
picchiati per strada, lo condussero fino all’imboccatura della Foiba. E
qui viene la parte più interessante: “mi appesero un grosso sasso, del
peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi
già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo
dietro Udovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi
spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo
di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della
Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto
arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e
dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima
gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non
reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i
polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi
cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio
di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere
la mia tomba…”.
Dunque se crediamo al racconto di Udovisi, questi, che dice di avere
salvato un italiano, ma non ne fa il nome, dovrebbe avere salvato
Radeticchio, dato che Radeticchio dice di essere sopravvissuto alla
“Foiba”. Mentre a voler credere al racconto di Radeticchio, Udovisi non
solo non lo avrebbe salvato, ma non si sarebbe salvato neppure lui.
Curioso che i curatori del “Rumore del silenzio”, così inclini a
rilevare le piccole inesattezze di chi si occupa di storia in modo non
propagandistico, non abbiano rilevato questa contraddizione. Curioso
anche che Oliva riporti tutte e due le storie, una dopo l’altra, senza
rilevare che si tratta della stessa vicenda.
D’altra parte, sono ambedue le storie che non stanno in piedi. Intanto
non è credibile che uomini ridotti in condizioni fisiche così precarie
come vengono descritte, siano riusciti ad uscire da una “foiba” piena
d’acqua. Né, per quanto si accetti l’improbabile, ci sembra possibile
che il colpo di moschetto che ha colpito il filo di ferro che legava il
sasso di dieci chili ai polsi di Radeticchio legati dietro la schiena
sia riuscito a spezzare il filo di ferro e non colpire l’uomo. Che
oltretutto sarebbe rimasto illeso sotto i colpi di moschetto, di
mitragliatrice e dopo l’esplosione della bomba a mano, sarebbe riuscito
a “rompere il filo di ferro” e pur con le carni “completamente
straziate” sarebbe riuscito ad uscire dalla foiba dopo un paio d’ore
trascorse dentro l’acqua.
Verifichiamo inoltre i nominativi di coloro che sarebbero stati
infoibati assieme a Radeticchio. I dati sono tratti dall’“Albo d’oro”
di Luigi Papo, che riteniamo possa essere almeno su questo argomento
una fonte attendibile, dato che tutti gli arrestati risultano essere
stati in forza al 2° Reggimento “Istria”, cioè l’arma di Papo.
Radolovich e Mazzucca risultano infoibati il “13/14.5.1945 nei pressi
di Fianona”; Cossi risulta invece “deportato in Jugoslavia”; Sabatti
“catturato nei pressi di Sissano fu infoibato assieme ad altri sei
prigionieri nei pressi di Fiume”. Dunque neppure i dati di Papo
concordano assolutamente con la versione di Radeticchio.
Eppure, nonostante il fatto che Udovisi racconti questa storia sempre
in maniera diversa (pure nella trasmissione di Minoli, così come in
altre occasioni in cui abbiamo sentito il “sopravvissuto” raccontare
pubblicamente la vicenda, il racconto differisce in molti punti da
quello da noi riportato), nessuno si è mai posto il problema
dell’attendibilità del testimone: perché?

(testo a cura della redazione de La Nuova Alabarda, Trieste)

Da: ICDSM Italia
Data: Mar 10 Feb 2004 10:51:21 Europe/Rome
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Cc: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [icdsm-italia] Appeal of Sloboda and Milosevic family to UN
and human rights organizations


[L'Associazione SLOBODA-Liberta' (sezione belgradese dell'ICDSM) e la
famiglia di Slobodan Milosevic hanno inviato all'ONU ed alle principali
istituzioni internazionali un Memorandum intitolato: “Misure dirette
contro il solo Slobodan Milosevic prese nella prigione di Scheveningen
e dal Tribunale dell'Aia, in contravvenzione delle loro stesse regole,
garanzie e diritti"...]


SLOBODA | FREEDOM
udruzenje | association
Member of the World Peace Council
YUGOSLAV COMMITTEE FOR THE LIBERATION OF
SLOBODAN MILOSEVIC
Belgrade, Rajiceva 16,tel./fax +381 11 630 549

---

Belgrade, 09 February 2004

TO THE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS – TO ALL ITS ORGANS, AGENCIES
AND BODIES;

TO THE GOVERNMENTS AND PARLIAMENTS

OF ALL UN MEMBER STATES;

TO ORGANIZATIONS FOR HUMAN RIGHTS, LAW AND PEACE;

TO POLITICAL PARTIES, MEDIA AND GENERAL PUBLIC

Freedom Association from Belgrade, acting as National Committee for the
Liberation of President Slobodan Milosevic has honour to submit to your
attention the document entitled “MEASURES TAKEN ONLY AGAINST SLOBODAN
MILOSEVIC IN THE SCHEVENINGEN PRISON AND AT THE HAGUE TRIBUNAL, IN
CONTRAVENTION OF THEIR OWN RULES, GUARANTEES AND RIGHTS” written by our
organization and by the family of President Milosevic.

For the sake of peace, human rights, legality and justice, in the name
of the International Law and democracy in the international relations,
respecting the UN Charter, the Universal Declaration of Human Rights
and other international instruments protecting human rights and
principles of judiciary and for the pure humanitarian reasons, we
expect your immediate reaction to the facts described in the document.

We call upon the UN Security Council to act now against the severe
violations of human rights performed by its subsidiary organ, ICTY. We
will welcome all reactions aiming to accelerate such a move of the
Security Council.

Please inform us about your reactions. Our contacts: phone: +381 63 88
62 301; fax: +381 11 630 549 and e-mail: slobodavk@... are 24
hours available also for obtaining additional information.

With due respect, on behalf of the Freedom Association Managing Board

Bogoljub Bjelica, President

www.wpc-in.org               
www.sloboda.org.yu              
www.icdsm.org

---

MEASURES TAKEN ONLY AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC IN THE SCHEVENINGEN
PRISON AND AT THE HAGUE TRIBUNAL, IN CONTRAVENTION OF THEIR OWN RULES,
GUARANTEES AND RIGHTS


Obstructing and avoiding visits of physicians.

Banning the physicians from publishing their findings on his health
condition and on the causes of its deterioration.

Preventing the family from visiting in the duration allowed to all
other detainees (between 7 and 15 days a month) and reducing it to 3
days a month.

Refusing almost all visits of the world public figures, acquaintances,
friends, politicians etc.

Censoring and restricting visits from Yugoslavia – of friends, Party
colleagues, SLOBODA National Committee members engaged in defending
Slobodan Milosevic in Yugoslavia.

Preventing the members of ten different national committees for the
defence of Slobodan Milosevic that have been established in the world,
as well as the members and the leadership of the International
Committee for his defence from contacting and visiting

Preventing the family from being alone with him, which is not otherwise
a practice when other detainees are concerned.

Banning the family from visiting at the time of the Serbian elections.

Banning all telephone communications before, during and after the
Serbian elections, except with the family.

Obstructing contacts and the work with lawyers.

Listening in to conversations with the lawyer.

Deliberately keeping him for many hours within the court building with
the explanation that “the transportation was being late”.

Unannounced alterations in the sequence of witnesses.

Closing the proceedings for the public during the examination of
witnesses who might compromise NATO and the Tribunal.


For nearly two years the trial is being held day in and day out. Such a
practice has never been recorded in the history of the judiciary since
it came into existence. Only as of a month ago the trial was being held
for three days a week, after the physicians had emphasized that he
cannot withstand it, but he is hardly withstanding even that effort,
because his health has been severely damaged in prison.

On account of the whole-day sojourn at the court, he has no time at all
to rest during the trial days, nor to go out and have some fresh air
and walk (exercise), nor to have regular meals.

He has no conditions for work and trial preparations either. His cell
has been swamped with trial materials, often received in the evening,
on the eve of a trial day. This excludes the possibility of a timely
and proper preparation for the trial. At the same time, such practice
is in contravention of the Tribunal’s rules.

He has been often given materials in English, although according to
their own rules each detainee has to be given materials required for
his defence in his mother tongue.

The trial materials are of such volume that he would need another 50
years to make a full use of it.

Preventing the Defence from preparing, as compared to the preparation
of the Prosecution. The preparation of the Prosecution lasted at least
4 years, he was allotted 3 months to prepare! In addition to this, the
Prosecution was being prepared by several hundreds of people, and him
alone is to prepare the Defence.

Moreover, he has been brought to The Hague by force, illegally and in
contravention of the Constitution of the Federal Republic of
Yugoslavia. The materials had been handed over to him, requiring by its
volume a multi-year labour of a large expert team, as was the case with
the Prosecution, prepared for at least 4 years with the logistic,
financial, organizational and personnel support of the governments of
NATO member states. The Prosecution’s case has been prolonged several
times, and he was allotted three months to prepare his defence alone,
in prison, without personal and telephone contacts and with no time nor
conditions for medical treatment. A large number of witnesses were
employees of the Prosecution, which is in contravention of their own
rules. Even larger number of witnesses was bribed or blackmailed
people. Without adjudication, the Tribunal reached a decision to
prevent his Party from contacting him at the time of the elections,
which is a direct interference of an institution otherwise illegitimate
with the politics and the internal affairs of a sovereign state and in
this case with its citizens’ will. Visits and contacts assessed as
unsuitable by the Tribunal are banned with no explanation, again in
contravention of their own rules. Slobodan Milosevic has been brought
to The Hague with poor health condition, and in the Scheveningen prison
it has been ignored, inadequately treated and drastically deteriorated
under the inhuman treatment (for several months, cameras and spotlights
had been constantly on in his cell) and by the lack of medical
treatment during his stay there. Nothing has been done to improve his
health condition, quite the contrary. The Tribunal banned all the
physicians, the Yugoslav as well as the Dutch ones, from publishing
their reports on his condition. Only after the physicians’ warning that
his life has been directly threatened the workload at the Tribunal
itself was reduced. For what reason such savage and inhuman measures
were taken consciously and deliberately under the auspices and in the
name of the United Nations?

For what reason his defence has been prevented so obviously and
brutally? Why ONLY he has the right to visits for just three days a
month when all other detainees at The Hague have 15 days each
month? Why the Tribunal officials have to be present ONLY at his
visits? Has the United Nations given the mandate to the Tribunal and
entitled it to interfere also with the internal Yugoslav politics and
even with the election? If The Hague Tribunal is a UN institution, is
this organization aware of the treatment given in its name to a human
being, a sick man, a former head of state? As a founder of The Hague
Tribunal, the Organization of the United Nations is directly
responsible for the operations, operating procedures and methods
applied by its institution. Therefore, it bears responsibility also for
any wrong done and harm caused by its institution to any one man and
people in general. The Organization of the United Nation is obliged to
provide public answers to these questions.

The UN Commission for Human Rights in Geneva has not done much for the
protection of human rights over the past years, but while “protecting”
this heritage it has caused a lot of misfortune throughout the world.
We demand for this institution to speak out now in relation to the
illegal, inhuman treatment of Slobodan Milosevic in their own
institution. How is justice being defended by the United Nations with
publishing every word presented by the Prosecution and its
collaborators and at the same time hiding and censoring everything
coming from the Defence? Complete testimonies of the witnesses for the
Prosecution have been published, blackmailed and corrupt as a rule and
mainly untruthful individuals, and the public has been denied the
expounding of Slobodan Milosevic, a brilliant defence admired by anyone
who heard it. On this occasion we are not raising a question of the
rationale and legitimacy of The Hague Tribunal, because it has no
legitimacy, its rationale is nowadays already clear to everybody and it
will go into history as black as it is, together with all its
protagonists. We demand for the UN and the UN Commission for Human
Rights, as well as all international organizations for the protection
of human rights to react to a crime that was being perpetrated against
Slobodan Milosevic in its most brutal form, unknown to modern
civilization.

In Belgrade, 09 February 2004  

SLOBODA/Freedom Association
–                                                                
National Committee for the Liberation 
of President Slobodan Milosevic

and

the family of President Milosevic

---

STRUGGLE FOR FREEDOM AND TRUTH ABOUT THE SERBIAN PEOPLE AND YUGOSLAVIA
IS IN THE CRUCIAL PHASE. NATO AND ITS SERVICES IN BELGRADE AND THE
HAGUE HAVE NO INTEREST TO SUPPORT IT.

SO IT TOTALLY DEPENDS ON YOU!

A SMALL TEAM OF PRESIDENT MILOSEVIC'S ASSISTANTS, WHICH IS BECOMING
INTERNATIONAL, HAS TO HAVE CONDITIONS TO WORK AT THE HAGUE IN THE TIME
OF INTENSIVE PREPARATIONS FOR THE FINAL PRESENTATION OF TRUTH AND
DURING THAT PRESENTATION.

TO DONATE, PLEASE CONTACT SLOBODA OR THE NEAREST ICDSM BRANCH, OR

find the instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)


==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

...RIFERENDOSI ALLA MINORANZA ITALIANA
(QUELLA SERBA E' STATA ELIMINATA NEL FRATTEMPO)

http://www.repubblica.it/news/ired/ultimora/rep_nazionale_n_608148.html
Padova, 14:01

Fini alla Croazia: rispetti le minoranze

"La Slovenia è già in Europa, la Croazia si accinge a farlo. Io mi
auguro che il governo croato sia consapevole del fatto che in Europa
rispettare le minoranze è un obbligo". Lo ha dichiarato oggi il
vicepremier Gianfranco Fini riferendosi alla minoranza italiana.

(Repubblica online, 10/2/2004)

Why do Catherine Samary and the LCR hate Yugoslavia ?

http://www.wsws.org/articles/2004/feb2004/balk-f09.shtml

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WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans

Correspondence on the failure of nationalism in Yugoslavia

9 February 2004

-------

Regarding your article, “Milosevic trial sets precedent: US granted
right to censor evidence”
[http://www.wsws.org/articles/2003/dec2003/cens-d31.shtml%5d (31 December
2003):

I would be very grateful to Paul Mitchell if he could list the human
rights abuses by Serbia that the USA exploited as a pretext for yet
another proxy war. I was born in 1949 and all my life the USA has been
at war. Do you [portray] Izetbegovic to be a perfect democrat, as does
Catherine Samary, an expert-ignorant and journalist-actionaire of le
monde-diplomatique?

What I cannot figure out is why do the Trotskyists hate Yugoslavia? We
stood against Stalin, didn’t we? All alone! And still all alone
Milosevic stands against American nazi imperialism!

Best regards

OD

------

The United States government and its allies in NATO claimed they bombed
Yugoslavia in 1999 to prevent human right abuses. Politicians and
officials exaggerated figures of Serbian atrocities against ethnic
Albanians and compared the Kosovo civil war to the Nazi Holocaust.

US Defence Secretary William Cohen told CBS News in May 1999 that
100,000 men were missing, and “may have been murdered” and David
Scheffer, US war crimes envoy claimed that more than 225,000 ethnic
Albanian men were missing.

No sooner had the war finished then these lies began to unravel. A
press spokesman at The Hague war crimes tribunal, Paul Risley, told
reporters, “The final number of bodies uncovered will be less than
10,000 and probably more accurately determined as between two and three
thousand.”

There are many articles on the World Socialist Web Site about the lies
put out by Western governments to justify their intervention in
Yugoslavia. You will not find one that suggests “Trotskyists hate
Yugoslavia,” as your email claims. The Marxist movement does not
analyse phenomenon in moralistic terms like hatred. It has always
addressed the terrible legacy of capitalism and Stalinism
scientifically and historically in order to provide the peoples of
Yugoslavia and the Balkans with a perspective to overcome it.

Yugoslavia broke with Stalin in 1948, but its leadership never broke
with the nationalist perspective of Stalinism.

Despite the conflicts between Tito and Stalin, the Communist Party of
Yugoslavia (CPY) still upheld the anti-Marxist and
anti-internationalist perspective of national socialism that
constituted Stalin’s theory of building “socialism in one country.”
This theory was in direct opposition to the perspective of a Socialist
Federation of the Balkans that was formulated by Marxists in the
nineteenth century and developed by Leon Trotsky.

Svetozar Markovic, the founder of the Serbian socialist movement,
developed the concept of a socialist federation of the Balkans in the
1870s. The first congress of Balkan Social Democratic parties in 1910
called for a Balkan federation “to free ourselves from particularism
and narrowness; to abolish frontiers that divide peoples who are in
part identical in language and culture, in part economically bound
together; finally to sweep away forms of foreign domination both direct
and indirect that deprive the people of their right to determine their
destiny for themselves.”

In his theory of Permanent Revolution, Trotsky insisted that in
countries with a belated bourgeois development only the working class
could bring about democracy and national emancipation. Trotsky
elaborated this perspective for the Balkans saying, “The only way out
of the national and state chaos and bloody confusion of Balkan life is
a union of all the peoples of the peninsula in a single economic and
political entity, on the basis of national autonomy of the constituent
parts. Only within the framework of a single Balkan state can the Serbs
of Macedonia, the Sandjak, Serbia and Montenegro be united in a single
national-cultural community, enjoying at the same time the advantages
of a Balkan common market. Only the united Balkan peoples can give a
real rebuff to the shameless pretensions of Tsarism and European
imperialism.”

Stalin and his faction attacked this perspective by claiming that
nationalism in the Balkans was inherently revolutionary because it
rested upon the peasantry. They shifted the CPY from its earlier
proletarian internationalist position towards one that encouraged
national and ethnic separatist movements and in the process deposed the
entire CPY leadership in 1928.

Tito rose to power in the CPY and came to lead the resistance to Nazi
occupation. However, he came into conflict with the proposals to
install a popular front government in Yugoslavia as part of the
redivision of the world agreed between Churchill, Roosevelt and Stalin
in 1944. With the CPY-led partisans enjoying mass support, the
bourgeois representatives resigned, and in November 1945 the Federal
People’s Republic of Yugoslavia was proclaimed.

Tito started negotiations on a Balkan Federation with Bulgaria and
supported a revolutionary uprising in Greece, but this perspective was
soon abandoned under pressure from Moscow in favour of pan-Yugoslav
nationalism. The prospect that backward Yugoslavia could pursue a
self-contained socialist development in a divided Balkan region was
impossible from the start, as the Trotskyist movement recognised. It
posed the question, “The alternatives facing Yugoslavia, let alone the
Tito regime, are to capitulate either to Washington or to the
Kremlin—or to strike out on an independent road. This road can be only
that of an Independent Workers and Peasant Socialist Yugoslavia, as the
first step towards a Socialist Federation of the Balkan Nations. It can
be achieved only through an appeal to and unity with the international
working class.”

This question and the analysis made by the Trotskyist movement can be
found in The Heritage We Defend—A Contribution to the History of the
Fourth International by David North.

Faced with growing economic problems and increasing threats from
Moscow, the Tito leadership at first tried to accommodate itself to
imperialism, and later to manoeuvre between the two superpowers. In
1950 Tito’s government supported US imperialism in the Korean War and
also supported Moscow’s suppression of the Hungarian Revolution in 1956.

When Tito died the bureaucracy increasingly turned to free market
policies with Slobodan Milosevic, a protégé of the West, setting up the
Milosevic Commission in 1987 to justify the introduction of IMF
“structural adjustment” programmes. The austerity measures sparked off
strikes and other mass protests by the Yugoslav working class. Seeking
to divert the class struggle, ex-Stalinist bureaucrats such as
Milosevic, Tudjman in Croatia and Izetbegovic in Bosnia promoted
nationalist sentiments, while seeking support from Western governments.
Despite his elevation to guarantor of the Dayton Accords that ended the
Bosnian conflict, Milosevic came into conflict with the US. Washington
had concluded that the dissolution of Yugoslavia could not proceed
whilst the Serbian ruling elite strove to preserve a unitary state in
which it played the dominant role.

This brings us to your criticism of Katharine Samary, a supporter and
election candidate for the French Ligue Communiste Revolutionnaire
(LCR, Revolutionary Communist League). The origins of the LCR lie in a
split in the Fourth International in 1953, a few years after Tito split
with Stalin. Michel Pablo was a leader of the Fourth International in
the late 1940s and early 1950s who, under the difficult circumstances
facing the Marxist movement at the time, developed the theory that
Trotskyism could never win the leadership of the working class and
could only act as advisers and “left” critics of the existing social
democratic, Stalinist and petty bourgeois nationalist organisations.
The dissolution of the Trotskyist movement was prevented by the
intervention of James P. Cannon and the American Socialist Workers
Party and the publication of the “Open Letter” opposing Pablo in
November 1953, which led to the establishment of the International
Committee that today publishes the World Socialist Web Site.

The LCR and its co-thinkers in the United Secretariat have followed
Pablo’s liquidationist and demoralised course for half a century and
Samary is no exception. In 1992, just as Yugoslavia descended into
civil war the United Secretariat magazine proclaimed, “The wretched
people of Bosnia await their relief from the troops of the United
Nations.”

In her book Yugoslavia Remembered published in 1995 Samary blamed the
dissolution of Yugoslavia on its ethnic differences saying, “The
creation of a Yugoslav state should have brought an end to the rivalry
between the communities but the religious, cultural and linguistic
differences were too great to maintain peace.”

Rather than identifying the failure to establish a socialist federation
as the main lesson to be learnt from the destruction of Yugoslavia
Samary concluded, “the main lesson here is that no serious alternative
politics in this region can avoid explicit support for the right of
self determination for all the peoples of former Yugoslavia.”

During the Kosovo civil war, Samary and other LCR members sent a letter
to Le Monde declaring, “Stop the bombings, self determination for
Kosova!” It complained that “not one of the governments which have
supported the NATO air strikes are willing to wage war against the Serb
regime to impose independence for Kosova” and argued for the creation
of “a multinational police force (including Serbs and Albanians) within
the framework of the Organisation for Security and Cooperation in
Europe, which would oversee the application of a transitional
agreement.”

In an interview during the Kosovo crisis with the International
Socialist Group in Britain led by Alan Thornett, Samary said, “It is
impossible to present any kind of coherent and progressive ‘solution’
at the moment. Every day brings fresh evidence of an uncontrolled
dynamic which is degrading the conditions for progressive struggles. So
we should busy ourselves with the urgent solidarity tasks, and maintain
our critical spirit in the face of all proposals for ‘action’ which
actually make the disaster worse. And, at the back of our minds, we
should continue working on a number of long-term questions which are
essential to a solution to the whole Yugoslav crisis.”

Since the civil war Bosnia and Kosovo, as the World Socialist Web Site
foresaw, have become ethnically pure statelets run as Western
protectorates and subject to local mafias. Learning nothing, Samary
merely complained to delegates at last year’s European Social Forum
that the Balkans were subject once again to the same “structural
adjustment programs” previously imposed by the IMF.

However one cannot counterpoise to Samary’s support for Bosnian and
Kosovar separatism the rosy picture you paint of little Yugoslavia
standing all alone against Stalin, still less Serbia (or even
Milosevic) standing against US imperialism. The future of the peoples
of what was Yugoslavia depends on the struggle for the socialist
federation of the Balkans in unity with the working class of Europe and
throughout the world.

Sincerely,

Paul Mitchell


See Also:

Why is NATO at war with Yugoslavia? World power, oil and gold
http://www.wsws.org/articles/1999/may1999/stat-m24.shtml
[24 May 1999]

How the WRP joined the NATO camp
Imperialist war in the Balkans and the decay of the petty-bourgeois left
http://www.wsws.org/polemics/1995/dec1995/balkan.shtml
[14 December 1995]

Marxism, Opportunism and the Balkan Crisis
http://www.wsws.org/articles/1999/apr1999/balk-m07.shtml
[7 May 1994]

The Balkans
http://www.wsws.org/sections/category/news/eu-balk.shtml
[WSWS Full Coverage]


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