Informazione


Eventi teatrali

Bergamo 28-30/3: Jasenovac, Omelia di un silenzio

Roma 31/3: Racconti di Ascanio Celestini - a sostegno dell’iniziativa: “C’è un bambino che...”


=== Bergamo 28-30/3 ===

Treviglio (BG), 28 marzo 2011
presso Clock Tower - ore 21,30

Ponteranica (BG), 30 marzo 2011
presso Ass.Cult.le  Bobo – ore 21,30

Jasenovac - omelia di un silenzio
Spettacolo per attore solo e video – Compagnia Primo Teatro

1941-45: l’infernale dittatura Ustascia in Jugoslavia
In collaborazione con Ass.ne Clt.le “Most za Beograd” e “Isola che non c’è”

Scritto, diretto e interpretato da: Dino Parrotta
Durata: 60 minuti
Consulenza storiografica:  Prof. Andrea Catone, Paolo  Vinella 
Scenografia Video: Pasquale Polignano

LA STORIA NASCOSTA (breve scheda storica)

Il 6 aprile 1941, con l'operazione "Castigo", le truppe nazifasciste di Hitler e Mussolini attaccarono ed invasero la Jugoslavia. I 4 anni di occupazione furono atroci: nella II guerra mondiale, dopo l'Unione Sovietica, la Jugoslavia ebbe il maggior numero di morti, civili, massacrati per strada o nei campi di sterminio, e partigiani combattenti. Milioni di uomini, donne, bambini di cui è stato possibile solo un calcolo approssimativo.
Gli ustascia,  nazionalisti cattolici filofascisti, sostenuti e finanziati dal regime di Mussolini, costituirono lo "Stato indipendente di Croazia", con a capo Ante Pavelic e la benedizione del Vaticano. Obiettivo principale della loro politica razzista fu lo sterminio dei serbi cristiano-ortodossi, una vera pulizia etnica. Per barbarie e ferocia, gli ustascia superarono le SS naziste.
Tristemente famoso, salvo che in Italia, divenne il campo di sterminio di Jasenovac, attivo, con esecuzioni giornaliere di decine, centinaia e migliaia di uomini, donne e bambini, dal 21 agosto 1941 al 22 aprile 1945.
Comandante del campo di Jasenovac fu il frate francescano cattolico Miroslav Filipovic-Majstorovic, chiamato dal popolo ‘frate Satana’. Fra le sue prodezze personali, il 7 febbraio 1942, l'uccisione nella zona di Banja Luka di 2.750 serbi ortodossi fra cui 250 bambini, in sole dieci ore. Se ne vantò durante il processo che subì in Jugoslavia dopo la guerra. Il Vaticano si limitò a sospenderlo a divinis.
La maggior parte dei massacri, oltre che nei campi di sterminio, avvenne, ad opera di bande ustascia comandate da preti e frati cattolici, nelle strade, nei villaggi, ovunque sotto gli occhi di tutti.  Fra le vittime anche 74.762  bambini, da quelli in fasce fino a quelli di 14 anni.
Durante la sua visita in Bosnia (22.06.2002) papa Giovanni Paolo II, dopo aver beatificato monsignor Stepinac, arcivescovo di Zagabria, di cui esistono le prove della complicità con i crimini degli ustascia, chiese pubblicamente perdono per queste colpe commesse ‘dai figli della Chiesa Cattolica’. Solo in Italia non se ne è saputo niente. Cosi è rimasta nascosta l'intera vicenda del lager di Jasenovac, la Auschwitz dei Balcani.

Bibliografia Minima: Marco Aurelio RIVELLI, L’arcivescovo del genocidio. Monsignor Stepinac, il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia 1941-45, Milano 1999).

[Sul tema dei crimini ustascia raccomandiamo la consultazione della documentazione riportata alla nostra pagina https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm]

Per informazioni:
Primo Teatro: 3480332347 – 0804058479
e- mail: info @ primoteatro.it

E' possibile visionare una demo dello spettacolo su

[Per una più completa scheda dello spettacolo, incluse alcune significative immagini e gli annunci delle rappresentazioni precedenti, si veda alla nostra pagina:


=== Roma 31/3 ===


31 marzo 
Università di Roma Tor Vergata - Auditorium Ennio Morricone -Via Columbia 1 - Roma

Racconti di Ascanio Celestini

Serata a sostegno dell’iniziativa:

“C’è un bambino che…”

Ospitalità di minori, profughi di guerra provenienti dalla ex Jugoslavia, promossa per il decimo anno dai
dipendenti dell’Ateneo di Tor Vergata.


In collaborazione con Un ponte per...

Ingresso a sottoscrizione libera

info e contatti
http://www.ascaniocelestini.it/



GUERRA IN LIBIA ED EFFETTI COLLATERALI

"Due donne arabe uccise per errore"

"Pochissimi incidenti spiacevoli si sono avuti fin qui, mentre pur essi non mancano mai in tempo di guerra. Per debito di cronista ve ne segnalo uno che può dirsi il più grave. E' una inevitabile conseguenza dello stato di guerra da una parte e della grave ignoranza di questa popolazione araba dall'altra. Iersera dunque, una nostra sentinella agli avamposti vide avanzare nell'ombra del crepuscolo un piccolo gruppo di persone vicinissimo al suo posto. Egli diede, come d'obbligo, il chi va là, ma nessuno rispose. Il piccolo gruppo esitò un momento, poi proseguì il suo cammino. Ripetuta l'intimazione non ebbe esito diverso. Il soldato allora sparò alcuni colpi di fucile nella direzione del gruppo. Si udirono alte grida di dolore. Accorsa una pattuglia dei nostri soldati fu dolorosamente constatato che giacevano al suolo i cadaveri di due donne arabe e altre due erano ferite. L'incidente è doloroso, ma a giustificazione della sentinella, oltre al resto, sta anche il fatto che difficilmente nelle ore della sera possono distinguersi le donne indigene dagli uomini i quali portano anche essi, come è noto, un ampio paludamento". [da Ernesto Vassallo, "Due donne arabe uccise per errore", L'Avvenire d'Italia, 19 ottobre 1911, p. 1]




AGLI ORGANI DI STAMPA
LORO SEDI

 

Trieste, 25 marzo 2011.

 

CONFERENZA STAMPA SABATO 26 MARZO 2011 PRESSO IL KNULP DI VIA MADONNA DEL MARE 7/a ORE 11.

 

Con il patrocinio del Comune di Trieste, si terrà lunedì un convegno sulla figura di Giorgio Almirante. Memori dell’opera di Almirante come redattore de “La Difesa della Razza”, del suo ruolo istituzionale nella RSI che lo portò a firmare un bando per la fucilazione di altri Italiani, del suo operato nel corso degli anni della strategia della tensione in Italia, tra cui il finanziamento al terrorista Cicuttini per un’operazione alle corde vocali che rendesse impossibile la perizia fonica dato che lui era stato il telefonista che aveva attirato i carabinieri nella trappola della strage di Peteano (3 morti), noi antifascisti terremo una conferenza stampa con distribuzione di un dossier esplicativo.

 

ALMIRANTE, L’ALTRA FACCIA DI UN GRANDE ITALIANO.

 

per il Coordinamento
Claudia Cernigoi

 

ORGANIZZA
IL COORDINAMENTO ANTIFASCISTA DI TRIESTE


(english / francais / italiano / srpskohrvatski.
Sulla aggressione del 1999 raccomandiamo anche la lettura della documentazione raccolta sul nostro sito:


12 anni dopo, ritornano i teppisti dei "Diritti Umani"


0) Danas u Banoj Luci: Javna tribina - "Ne ratu!"
Iniziativa oggi a Banja Luka nel 12.mo anniversario dei bombardamenti contro la Jugoslavia

1) NATO cluster bombs to be cleared 
Dopo 12 anni sono ancora più di 300 i siti non bonificati dalle "cluster bombs", arma vietata che però fu usata per imporre presunti "Diritti Umani"

2) Kosovo: a template for disaster (David Gibbs, The Guardian)
L'idea che quello del Kosovo sia il modello da seguire con l' "intervento umanitario" in Libia è un mito da sfatare

3) Прекинути страни оружани напад на Либију ! / Immediately stop external armed assault on Libya ! (Beogradski Forum)
Appello per la cessazione immediata della aggressione contro la Libia, nel 12mo anniversario di quella contro la Jugoslavia

4) Clark’s dilemma on dropping devastating bombs on Serbia 
Nei diari di Blair la vergogna delle azioni criminali della NATO in Serbia

5) NATO's 1999 aggression videos on YouTube

6) Ricordo e rimozione dei crimini NATO in Montenegro (2009)

7) Guerre du Kosovo : quand les Roumains volaient au secours des avions serbes... (2007)



=== 0 ===

SAVEZ KOMUNISTA BOSNE I HERCEGOVINE ORGANIZUJE

JAVNU TRIBINU - "NE RATU!"

Tribina će se održati 24. marta (12-godišnjica NATO AGRESIJE NA SR JUGOSLAVIJU) u prostorijama Glavnog odbora SK BIH, Ul. Nikole Pašića 34 A, Banja Luka, sa početkom u 18 časova!

Tribini prisustvuju članovi Društva "Josip Broz Tito" Banja Luka, Sekcije potomaka boraca NOR-a, SUBNOR-a, Lige antifašista Jugo-istočne Evrope, Pokreta BH-Venecuelanske solidarnosti...

Generalni sekretar


=== 1 ===

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2011&mm=03&dd=23&nav_id=73394

Tanjug News Agency - March 23, 2011

NATO cluster bombs to be cleared 


BELGRADE: Clearing the ground in Bujanovac, Preševo and Kuršumlija in southern Serbia of cluster bombs left by the 1999 NATO bombing should start in April.

The project will be financed by a Norwegian donation worth EUR 3.4mn.

A memorandum of understanding between the Serbian government center for mine clearance and the Norwegian organization People's Aid is being prepared, reads a release from the demining center made available to reporters on Wednesday at the Serbian Interior Ministry. 

The humanitarian demining project in these municipalities will last three years. 

According to the data of the center, Bujanovac and Preševo have 1,389,900 square meters contaminated with different types of mines, and the area will be investigated further to determine precise information. 

It has also been determined that 290 sites, located in 16 Serbian municipalities and covering a total of 14,920,000 square meters, are contaminated with cluster bombs from the NATO bombing. 

110 more locations, 6,151,000 square meters in total, are suspected of containing cluster bombs, but the areas need to be investigated more thoroughly. 

The 1999 attacks of the western military alliance left Serbia with 64 aerial bombs and rockets at 44 locations, some buried as deep as 20 meters in the ground and some lying in the Sava and Danube riverbeds. 

Based on information received from citizens, the Interior Ministry's Emergency Situations Sector suspects that another 50 bombs and rockets are hidden at several dozen locations which are yet to be fully searched.  


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 http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/mar/21/kosovo-template-for-disaster-libya

Kosovo: a template for disaster

The idea that Kosovo is a model for humanitarian intervention in Libya is based on a series of myths

David Gibbs
Tuesday March 22 2011
The Guardian


As they weigh up whether to support the attack on Muammar Gaddafi's regime [http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/21/gaddafi-target-analysis" title="], some western commentators [http://www.henryjacksonsociety.org/stories.asp?id=2033" title="commentators] are taking comfort from the 1999 Nato air war against Serbia, which is widely viewed as a successful humanitarian mission that protected Kosovans from Serbian aggression. Moreover it was done at low cost to the intervening powers, who suffered no combat casualties. And ultimately it led to the ousting of Serbia's villainous leader, Slobodan Milosevic [http://www.guardian.co.uk/news/2006/mar/13/guardianobituaries.warcrimes" title="]. The Libya intervention, it is hoped, will have a similarly positive outcome.

In reality, Kosovo presents little basis for optimism with regard to Libya. Its success is based on a series of myths.

The first is that in Kosovo, war constituted a morally simple conflict, between aggressive Serbs and victimised Kosovan Albanians; and that Nato, in backing the Albanians, was furthering the cause of human rights. In fact, none of the parties were particularly moral. The war crimes of Serbian forces are well known, but their Kosovan adversaries committed crimes too. In early 1999, Tony Blair believed that the Kosovo Liberation Army was "not much better than the Serbs", according to Alastair Campbell's memoirs. And the UK defence minister George Robertson stated that until shortly before the Nato bombing campaign, "the KLA were responsible for more deaths in Kosovo than the Yugoslav [Serb] authorities had been."

Despite this record, Nato selected the KLA as its ground force, while its planes bombed the Serbs. And after Milosevic capitulated and the bombing ended, Nato forces in effect put the KLA in charge of Kosovo. Once in power, it promptly terrorised ethnic Serbs, Roma and other ethnic groups, forcing out almost a quarter million people.

The record of Nato complicity in KLA war crimes is very relevant for the intervention in Libya. Once again western states will be seeking local allies, in Benghazi and elsewhere, among the Libyan opposition to Gaddafi. We must hope that they are more careful in choosing them. However, the Kosovo case gives us little assurance. The states  leading the Libya intervention clearly do not have a positive record in their past selection of allies in the Middle East. Indeed, such unsavoury figures as Hosni Mubarak, Zine Ben Ali [http://www.guardian.co.uk/world/2011/jan/14/tunisian-president-flees-country-protests" title="] or Gaddafi himself had close ties to the states now claiming the moral high ground in their interventionist actions.

Another myth regarding Kosovo is that bombing improved the human rights situation. In reality, it made things worse, and augmented the suffering. Prior to the Nato campaign, the total number of people killed on all sides in the Kosovo conflict was 2,000, approximately half of whom were killed by Serbian forces. After the bombing began, however, there was a huge spike in Serb-perpetrated atrocities, which caused almost 10,000 deaths, combined with widespread ethnic cleansing. The Serbian forces were furious that they could not stop the Nato air attacks, so they took out their frustration on the relatively defenceless Albanians, causing a huge increase in the number of killings. The Nato bombing itself directly killed at least 500 civilians. When viewed from a humanitarian standpoint, Nato intervention was a disaster.

There is a danger that the current intervention in Libya could produce similar results. In response to the bombing, Gaddafi could lash out against his own people with even more viciousness than Milosevic did in Kosovo. And Gaddafi could resort to some of his old terrorist techniques, against both American and European citizens, with ugly consequences. Humanitarian intervention could, once again, lead to disaster.

Finally, it is wrong to remember the Kosovo intervention as being inexpensive or of brief duration. True, the bombing campaign lasted only 78 days. However, this was followed by an extended occupation involving thousands of Nato peacekeeping troops. A Nato force remains in Kosovo, with little prospect of departure.

A similar situation could occur in Libya: securing regime change will probably require a foreign occupation, which could last for years, in a country with three times the population of Kosovo and a much larger territory. The Nato powers may have no choice but to field troops, and to fund their occupation activities ? on top of the UK and US commitment in Iraq and Afghanistan, and during a global economic crisis.


guardian.co.uk Copyright (c) Guardian News and Media Limited. 2011


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Прекинути страни оружани напад на Либију !

уторак, 22 март 2011 19:46

Београдски форум за свет равноправних сматра да оружани напад групе земаља на Либију излази изван оквира резолуције Савета безбедности број 1973, да представља кршење принципа медјународних односа, и да је усмерен на остваривање контроле над природним ресурсима ове земље.  Војни напад под слоганом ‘’Одисејева зора’’ прикрива настојање за повратак на колонијалне односе.

Јасно је да не постоје хуманитарне агресије.

Као сто је показала агресија НАТО на Србију (СРЈ) пре тачно 12 година, агресија изазива масовне цивилне жртве, разарања инфраструцтуре, економије и јавних служби неопходних за свакодневни живот градјана. Напад на Либију води дестабилизацији Магреба и региона, и Медитерана, подстицању сепаратизма И екстремизма.

Београдски форум за свет равноправних се придружује захтевима за хитни прекид оружаног напада групе земаља,  заустављање страдања цивила, патњи становништва И разарања инфаструктуре. Либијски  народ има право  да своје унутрашње проблеме реши мирним путем уз очување суверенитета И територијалног интегритета земље.

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Immediately stop external armed assault on Libya !

Tuesday, 22 March 2011 19:51


The Belgrade Forum for a World of Equals holds that the armed assault of a group of countries against Libya goes beyond the scope of the United Nations Security Council Resolution 1973, that it violates the principle of the international affairs enshrined in the United Nations Charter and, in its essence, is aimed at gaining effective control over the natural resources of that country.

It should be as clear as a day to anyone that there is no such a thing as humanitarian aggression.

As demonstrated by NATO aggression on Serbia/FRY twelve years ago, an aggression is bound to, and does, cause massive civilian deaths, and inflict destruction of infrastructure, economy and public services necessary for daily life of citizens. Aggression in general leads to destabilizing regions, stirring secessions, inciting terrorism and thriving international organized crime.

The Belgrade Forum for a World of Equals hereby joins the requests for immediate cessation of armed assault by a group of countries, in order to make it possible for the Libyan nation to deal with and solve its internal problems by peaceful means, while preserving the sovereignty and territorial integrity of the country.


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http://www.emg.rs/en/news/serbia/144456.html

EMportal/Tanjug News Agency/Guardian - January 16, 2011

Clark’s dilemma on dropping devastating bombs on Serbia 


Strategist of the media war against Serbia, British Prime Minister Tony Blair's press secretary, published diaries which explain the background of an entire series of events which followed the bombing of Serbia in 1999, whose excerpts were published by the British “Guardian”.

Wesley Clark was “bothered” by a dilemma whether they should drop until then unknown devastating bombs on Serbia – with or without a warning, while Gerhard Schroeder was interested how the disinformation campaign is going, Tony Blair's press secretary Alastair Campbell wrote in his diaries. 

Strategist of the media war against Serbia, British Prime Minister Tony Blair's press secretary, published diaries which explain the background of an entire series of events which followed the bombing of Serbia in 1999, whose excerpts were published by the British “Guardian”. 

Friday 2 April - I was very tired still, and starting to get that achy feeling that exhaustion brings. We were losing the propaganda battle with the Serbs. Tony Blair called early on, and wanted a real sense of urgency injected into things.

He had spoken to Clinton about the timidity of the military strategy. He had spoken to Thatcher [Margaret Thatcher] last night who was appalled that the NAC and Nato ambassadors discussed [with each other] targeting plans.

He wanted the message out that we were intensifying attacks. I said we said that on Wednesday. 

Tuesday 6 April - Family holiday France - The rightwing commentators were in full cry and we agreed to try to get Thatcher and Charles Powell [former foreign policy adviser to Thatcher] out saying the right hate the left fighting wars but they should be supporting what we are doing.

NATO might balk but we were going to have to get a grip of their communications and make sure capitals were more tightly drawn in to what they were saying and doing.

Wednesday 7 April - We were having some effect with the strategy for the right, eg Charles Powell and David Hart [former Thatcher adviser] were both going up, but the rightwing papers and commentators so hated us that they were determined to do what they could to help anything fail.

If this was a Tory war, they would support it every inch of the way.

We are losing the media war 

Thursday 8 April - I was finding it impossible to switch off from it, and was starting to map out more changes I felt we should be making to the communications effort. A lot of this was about communication now.

Militarily, NATO is overwhelmingly more powerful than Belgrade. But Milosevic [Slobodan Milosevic, president of Serbia] has total control of his media and our media is vulnerable to their output.

So we can lose the public opinion battle and if we lose hands down in some of the NATO countries, we have a problem sustaining this.


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NATO's 1999 aggression videos on YouTube

NATO's Illegal War Against Serbia/ Lies About Kosovo War
http://www.youtube.com/watch?v=9FN33NTMpLU

NATO launched a bombing campaign against Serbia in March 1999 to stop an onslaught ordered by then-President Slobodan Milosevic against the Albanian Muslim Terrorists in Kosovo. The air war lasted 78 days. During more than three months of bombing, NATO targeted mostly military targets, but also destroyed much of Serbia's infrastructure, including several key civilian bridges. Hundreds of people were killed in. The alliance faced criticism for dropping bombs with depleted uranium as well as cluster bombs, which eject a number of smaller "bomblets."

WATCH!
"The Lies Of The Racak "Massacre"/ Bill Clinton's Role In Kosovo" 
http://www.youtube.com/watch?v=Z-muEj_E0PY

Remember why NATO spent 78-days bombing Yugoslavia in the spring of 1999? There was the ethnic cleansing. The atrocities. The refugees chased out of Kosovo by the Serb army. The mass graves. The heaps of bodies tossed into vats of sulphuric acid at the Trepca mines.NATO spokesman Jamie Shea said there were 100,000 Kosovo Albanian Muslims unaccounted for.

Problem is, none of it happened.NATO's original estimate of 100,000 ethnic Albanians slaughtered, later revised downward to 10,000, turns out to be considerably exaggerated.Dr. Peter Markesteyn, a Winnipeg forensic pathologist, was among the first war crimes investigators to arrive in Kosovo after NATO ended its bombing campaign."We were told there were 100,000 bodies everywhere," said Dr. Markesteyn. "We performed 1,800 autopsies -- that's it."Fewer than 2,000 corpses. None found in the Trepca mines. No remains in the vats of sulphuric acid. Most found in isolated graves -- not in the mass graves NATO warned about. And no clue as to whether the bodies were those of KLA terrorists, civilians, even whether they were Serbs or ethnic Albanians. No wonder then that of all the incidents on which Slobodan Milosevic has been indicted for war crimes, the total body count is not 100,000, not 10,000, not even 1,800 -- but 391!

It was William Walker, at the time head of the Kosovo Verification Mission (KVM) who, on the morning of January 16, 1999, led the press to the Kosovo village of Racak, a KLA stronghold. There some 20 bodies were found in a shallow trench, and 20 more were found scattered throughout the village. The KLA terrorists, and Walker, alleged that masked Serb policemen had entered the village the previous day, and killed men, women and children at close range, after torturing and mutilating them. Chillingly, the Serb police were said to have whistled merrily as they went about their work of slaughtering the villagers.Clinton's Secretary of State Madeleine Albright, as eager to scratch her ever itchy trigger finger as her boss was to scratch his illimitable sexual itches, demanded that Yugoslavia be bombed immediately. Albright, like a kid agonizingly counting down the hours to Christmas, would have to wait until after Milosevic's rejection of NATO's ultimata at Rambouillet to get her wish.But not everyone was so sure that William Walker's story was to be believed. The French newspaper La Monde had some trouble swallowing the story. It reported on Jan. 21, 1999, a few days after the incident, that an Associated Press TV crew had filmed a gun battle at Racak between Serb police and KLA terrorists. Indeed, the crew was present because the Serbs had tipped them off that they were going to enter the village to arrest a man accused of shooting a police officer. Also present were two teams of KVM monitors.It seems unlikely that if you're about to carry out a massacre that you would invite the press -- and international observers -- to watch.And now there's a report that the Finnish forensic pathologists who investigated the incident on behalf of the European Union, say there was no evidence of a massacre. In an article to be published in Forensic Science International at the end of February, the Finnish team writes that none of the bodies were mutilated, there was no evidence of torture, and only one was shot at close range.

The pathologists say Walker was quick to come to the conclusion that there was a massacre, even though the evidence was weak.And they point out that there is no evidence that the deceased were from Racak.The KLA terrorists, the Serbs charge, faked the massacre by laying out their fallen comrades in the trench they, themselves, prepared, and the United States used the staged massacre as a pretext for the bombing.


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(na srpskohrvatskom: Ostao tek gorak ukus


Il sapore amaro del passato


01.04.2009    Da Ulcinj, scrive Mustafa Canka

A dieci anni dall'intervento della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia (Serbia e Montenegro), il Montenegro si trova ora sull’uscio di quest'organizzazione politico militare. Delle 49 persone rimaste uccise nella primavera del 1999 se ne ricordano solo i familiari
Sono in pochi in Montenegro a dare rilievo al tragico anniversario dell'inizio della campagna Nato. Le elezioni parlamentari anticipate e la crisi economica che sta scuotendo il paese occupano completamente la vita politica e sociale del più giovane membro dell'Onu. 

Dalla coalizione di governo guidata dal premier Đukanović si afferma che la pace mantenuta all'epoca in Montenegro rappresenta, oggi, la sostanza fisiologica ed economica del paese, mentre il capo della diplomazia montenegrina Milan Roćen ritiene che la Nato non sia colpevole per le vittime che allora vi furono. 

Allo stesso tempo in Montenegro i partiti filo-serbi credono che a Podgorica debba essere eretto un monumento per ricordare le vittime dei bombardamenti. “La colpa è del regime che fa di tutto per cancellare il ricordo del passato e per convincerci che ci hanno bombardato per il nostro bene”, si afferma tra le file della “Nuova democrazia serba” di Andrija Mandić. 

Imprigionato dai suoi miti e dalle leggende, dietro cui è stata nascosta la verità, senza forti tradizioni democratiche e istituzioni, il paese alla fine degli anni Novanta del secolo scorso era in preda ad una “silenziosa guerra civile”. Molti temevano che avrebbe potuto trasformarsi in un vero conflitto.

Una popolazione ben armata, profondamente e uniformemente divisa sulla questione dell'identità politica e culturale si raccolse da un lato attorno al carismatico presidente Milo Đukanović - all’epoca era sostenuto dall'occidente - e dall’altro attorno all'ex presidente del Montenegro nonché leader del più forte partito d'opposizione, Partito socialista popolare (SNP), Momir Bulatović, che invece godeva del sostengo della Serbia di Milošević. 

In quel periodo in Montenegro le forze erano ben bilanciate: Đukanović poteva disporre di una polizia ben addestrata, e Bulatović dell'esercito federale. Decine di migliaia di persone, su un totale di 630 mila abitanti, si guardavano attraverso il mirino. In molti pensavano che sarebbe giunto il momento della resa dei conti. Fu l'equilibrio della paura il fattore decisivo che impedì un conflitto tra fratelli. 

Anche se un notevole contributo a contenere il conflitto fu dovuto anche la “Dichiarazione sul mantenimento della pace civile”, approvata all’unanimità dal Parlamento montenegrino pochi giorni dopo l’inizio dell’intervento della Nato. 

D'altra parte il Kosovo è sempre stato un tema ben utilizzato quando c’era bisogno di scaldare gli animi dei montenegrini a favore di un attacco armato. Il vecchio “eroico” Montenegro si basa proprio sul “mito kosovaro”, sviluppato in proporzioni smisurate dal più grande poeta e re montenegrino, Petar Petrović Njegoš (1813-1851). Per questo l’intervento della Nato mise Đukanović in una posizione molto difficile. In modo tacito Đukanović si era posizionato a fianco degli alleati occidentali, e nel paese fu accusato di tradimento. 

Gli stretti rapporti tra il premier montenegrino e Washington erano già iniziati alla fine del 1995, quando Đukanović e il vicepresidente del Partito democratico socialista, Svetozar Marović (l'ultimo presidente dell'Unione Serbia e Montenegro), fecero visita allo State Department e al Pentagono, proprio nel momento in cui stavano per concludersi i negoziati a Dayton sull'accordo di pace per la Bosnia Erzegovina. 

Sapendo che i funzionari montenegrini a Washington avevano “cambiato l'abito”, e che al Montenegro era stato attribuito il ruolo di “portaerei americana per destabilizzare la Serbia”, il presidente serbo Slobodan Milošević voleva abbandonare i negoziati, ma alla base Wright-Patterson cedette alle pressioni dell'allora inviato speciale americano per i Balcani Richard Holbrooke. 

Con ciò si spiega ogni tipo di appoggio offerto da Washington al Montenegro quando versava in situazioni di crisi e durante le sfide della fine degli anni Novanta. Misurato finanziariamente, l'aiuto ha superato il valore di 300 milioni di dollari, vale a dire che il Montenegro, dopo Israele, è il paese che ha ricevuto il più grande sostegno americano pro capite. 

Anche durante gli attacchi, Đukanović veniva ricevuto nei centri delle capitali occidentali, motivo per cui il Montenegro fu poco esposto ai bombardamenti. Gli aerei dell’Alleanza partivano dalla base di “Aviano”, sorvolavano sopra il territorio del Montenegro per andare verso la Serbia e il Kosovo, e soltanto sporadicamente i loro obbiettivi erano l’Esercito jugoslavo di stanza in Montenegro. 

Anche se spesso provocati dalla base militare nel porto di Bar, questo obbiettivo non fu mai bombardato. All’epoca i media scrivevano che il bombardamento non c’era stato perché Đukanović era continuamente in collegamento con l’allora presidente francese Jacques Chirac. 

Sul fronte delle vittime, la tragedia più grande accadde il 30 aprile a Murino, nel nord est del Montenegro, quando morirono sei civili, di cui tre bambini. Durante i bombardamenti a Murino non c’era nemmeno una unità militare e non c’era nemmeno un obiettivo militare che potesse essere meta della Nato. In seguito, sul ponte dove sono morte quelle persone innocenti è stato eretto un monumento. 

Nel 1999 decine di migliaia di profughi albanesi si rifugiarono in Montenegro. Una decina di giorni prima della tragedia di Murino, i soldati dell’esercito jugoslavo al nord del Montenegro, a Rožaj, avevano ucciso sei profughi albanesi del Kosovo. Il processo per questo crimine di guerra è da poco iniziato nel comune di Berane. 

A dieci anni di distanza, pare che soltanto le famiglie delle persone morte ricordino l’intervento dell’Alleanza atlantica. Anche se un certo sapore amaro è rimasto nella bocca di molti. Motivo per cui soltanto il 40 percento dei cittadini del Montenegro è a favore dell’ingresso nella Nato.


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LES NOUVELLES DE ROUMANIE

Guerre du Kosovo : quand les Roumains volaient au secours des avions serbes...

Publié dans la presse : 12 septembre 2007
Mise en ligne : mercredi 19 septembre 2007

En 1999, alors que le pouvoir du Belgrade était complètement isolé du fait de sa politique au Kosovo, la Roumanie aurait sauvé l’aviation Yougoslave alors menacée de destruction par l’OTAN. Si cet étrange arrangement n’avait pas été conclu, il est probable que la compagnie Jugoslav Airlines n’existerait plus aujourd’hui.

Par Henri Gillet 


La presse serbe et roumaine a relaté un épisode peu connu de la guerre du Kosovo, en 1999. L’aviation civile yougoslave était alors très inquiète du devenir de ses dix-sept avions de ligne et de celui de sa compagnie aérienne nationale, JAT (Yougoslav Airlines), après le conflit. Les messages envoyés aux pays voisins leur demandant de les accueillir étaient restés sans réponse et le ministère yougoslave des Affaires étrangères n’avait pu que confirmer le sentiment général : personne ne voulait aider le régime de Milosevic, même si, en l’occurrence, il s’agissait seulement de sauvegarder les intérêts futurs du peuple serbe. 

La question est devenue d’une brûlante actualité dans la nuit du 24 au 25 mars quand un Mig 29 de l’Armée de l’Air yougoslave, criblé de balles, s’est posé en catastrophe sur l’aéroport civil de Surcin de Belgrade, ne pouvant atteindre l’aéroport militaire de Batajnica. Les employés de Surcin ont tenté de dissimuler l’appareil qui ne pouvait redécoller en le maquillant grossièrement en avion civil. 

Mais grâce à leurs satellites, les Américains le repérèrent et le 19 avril, lors d’un briefing pour la presse, le porte parole de l’état-major de l’OTAN, James Shea, annonçait, photos à l’appui où on voyait apparaître une aile de MIG, que Surcin était devenu « un objectif militaire légitime ». Son bombardement était donc devenu une question de jours, voire d’heures.

La Roumanie, pays frontalier dont Belgrade n’est distant que de 75 km, se trouvait alors dans une position délicate. Son président, Emil Constantinescu avait pris le contre-pied de la politique traditionnelle et du sentiment général de la population, favorable à la Yougoslavie, pour s’aligner sur l’OTAN, une attitude qui entérinera le réalignement total de la politique extérieure roumaine et son ancrage à l’Occident. Aucune aide officielle ne pouvait donc être accordée aux voisins serbes. C’est alors que, selon les journaux serbe « Vecernje Novosti » (« Les Nouvelles du Soir ») et roumain « Jurnalul National », l’amitié qui lie les pilotes et l’univers de l’aéronautique à travers le monde entier, joua son rôle. 

Le mois précédent, au début des hostilités, Goran Crijen, ancien pilote mais aussi et surtout directeur de la flotte civile de la JAT , était entré en contact avec un ami canadien, Donald Banker, professeur de droit aéronautique à la célèbre université Mc Gill, lui demandant si les relations de solidarité « aériennes » nouées par delà les continents étaient toujours valables en ce qui concerne les Balkans. Ayant obtenu une réponse positive, il lui rappela l’avoir entendu dire rendre un service au Secrétaire d’Etat aux transports roumain de l’époque, Aleodor Frâncu, en facilitant la venue de son fils dans une université canadienne pour y étudier les langues étrangères. 

Deux heures plus tard, le lien était établi et Goran Crijen recevait un e-mail de Bucarest indiquant qu’en cas de besoin, la flotte civile yougoslave serait autorisée à se poser en Roumanie. 

Sept minutes pour gagner la Roumanie

La situation étant devenue intenable après le 19 avril. Les autorités aériennes civiles yougoslaves décidèrent de passer à l’action et d’évacuer leur flotte, sans prévenir Milosevic, lequel serait rentré ensuite dans une colère terrible, ni les autres autorités politiques ou militaires, mais obtenant le feu vert du général Branislav Petrovic, commandant de la Défense anti-aérienne, lequel donna l’ordre de ne pas tirer sur les avions, sans pour autant pouvoir leur garantir une sécurité totale. 

Le 29 avril, à 14 heures, les meilleurs pilotes de la JAT se retrouvèrent sur le tarmac de l’aéroport Surcin, sachant qu’ils allaient être amenés à prendre des risques énormes, dont celui d’être abattus sans sommation, en temps de guerre. Leur mission était d’emmener les avions sans se faire repérer par l’OTAN, disposant de sept minutes pour gagner la Roumanie et s’y mettre à l’abri, où une équipe roumaine au sol devait les guider en vue de leur atterrissage à l’aéroport Baneasa de Bucarest. Un Boeing 727 décolla le premier, suivi immédiatement d’un DC 10, puis d’un autre Boeing et ainsi de suite. 

L’opération fut divisée en deux vagues, pour ne pas laisser le temps à l’OTAN de réagir. Elle fut recommencée avec succès le lendemain, aucun avion n’essuyant un tir. A Bucarest, les hélicoptères américains Apache ne purent que survoler l’aéroport pour s’assurer qu’il n’y avait aucun appareil militaire à s’être glissé dans cette étonnante caravane aérienne.








(Tavola rotonda domani a Belgrado su: "La Serbia e la NATO".
Di seguito riportiamo un commento sul 12.mo anniversario della aggressione teppistica dei paesi NATO, inclusa l'Italia, contro la RF di Jugoslavia)

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Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала Србије и СУБНОР Србије организују округли сто са темом СРБИЈА И НАТО који ће се одржати 
у среду, 23. марта 2011. године у сали Скупштине општине Нови Београд,
Булевар Михајла Пупина број 167, Нови Београд,
са почетком у 10 часова.

На округлом столу, поред осталих, говориће:

Проф. Др Радован Радиновић, генерал у пензији,
Владислав Јовановић, бивши министар за иностране послове Србије и СРЈ, 
Зоран Вујић, помоћник Министра за иностране послове Србије
Др Станислав Стојановић, начелник одељења за стратегију Управе за стратегијско планирање у Министарству одбране Србије
Јово Милановић, генерал у пензији, 
Проф. Др Бранко Крга, бивши начелник Генералштаба ВЈ
Проф. Др Петер Струтински, професор Универзитета у Каселу, Немачка
Проф. др Ђорђе Вукадиновић, главни уредник часописа „Нова српска политичка мисао”
Проф. Др Слободан Антонић, политички аналитичар
Мирослав Лазански, коментатор дневног листа „Политика“
Др Срђан Трифковић, уредник листа „Кроникл“, Чикаго, САД.

 

    С поштовањем,

    БЕОГРАДСКИ ФОРУМ    КЛУБ ГЕНЕРАЛА И АДМИРАЛА   СУБНОР СРБИЈЕ
    Живадин Јовановић      Љубиша Стојимировић                 Др Миодраг Зечевић


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    Агресија Нато - 12 година касније

    Поглед бивсе отправнице послова Амбасаде СРЈ у Ослу:


    У цетвртак, 24.марта 2011, наврсава се дванаест година од агресије НАТО на тадасњу СРЈ. Резултат те агресије је око 35оо убијених , преко 2000 цивилних лица, од тога 79 –оро деце до 12 година, масовним разарањем цивилних објеката од болница, домова здравља, скола,  саобрацајних и економскихн инфраструктурних објеката, једном рецју, комплетно разарање једне земље. Против тадасње СРЈ водјен је хемијски и нуклеарни рат,

    а о дугороцним поседицама осиромасеног уранијума се и даље цути. НАТО је том агресијом прекрсио медјународно право од Повеље УН  до конвенција  које гаратују територијални интегритет и суверенитет земаља, а  за то тадасњи западни политицки лидери нису сносили одговорност.

    Медијским манипулацијама  у земљама НАТО сатанизовано је  тадасње српско руководтво, изабрано на демократским изборима, а  српски народ је оптузен за највеце злоцине, иако су злоцине цинили сви уцесници  у  југословенском  конфликту. Данас, после 12 година,  део медјународне заједниуце  суоцен је са истином на коју је указивала српска и југословенска званицна политика. Известај Дика Мартија, и  звестиоца Парламентарне скупстине Савета Европе открио  је истину , коју су мдији у НАТО земљама скривали. На открица у Известају, тадасња Амабасада СРЈ у Ослу редовно је указивала званицницима у норвеском МИП-у и норвеским медијима, али је то све стављано у контекст српске пропаганде. Мозда је тернутак да  норвеска јавност перелиста тадасњу стампу  (од 1998 до 2000 године) и упреди изјаве  својих тадасњих званицника и  известавање медија о догадјајима на Косову  са  Известајем господина Мартија.

    Открице гос.Д.Мартија,  француске телевије”Франс 24”и италијанске ТВ ”ТМ-неwс” отварају питање одговорности медјународне заједнице од УН до ОЕБС-а и НАТО-а. 
    Француска ТВ “Франс 24” подсеца да је у време када су се десили масовни злоцини над спским и неалбанским зивљем (сто, инаце, у континуитету траје од 1998.год) на Косову је било разместено висе десетина хиљада припадника Мисије УН,ОЕБС-а и НАТО-а, који су били задузени да стите цивиле. Само војна мисија КФОР, састављена највецим делом од контигената земаља цланица НАТО, бројала је око 40.000 војника. Да ли Норвеска осеца одговорност за тадасњу политику својих лидера , тадасњег председика владе К.Бондевика и МИП-а К Волебека? Норвеска је 1999.године била председавајуци ОЕБС-а, (1998. цланица “Тројке “ОЕБС-а), а  као цланица НАТО  имала  је војнике на Косову. Да ли норвески народ зна какве погрдне песме су певали норвеки војници о српском народу, вредјајуци његово национално достојанство, а досли су са задатком да га застите? Да ли се Норвеска суоцила са истином о тадасњој улози и политици према српском народу. У том суоцавању Известај известиоца Савета Европе не мозе бити заобидјен, посебно када се на функцији генералног секретара СЕ налази гос.  Т.Јагланд , тадасњи председник највеце политицке партије и председник Спољно-политицког комитета норвеског Парламента. И друге” истине” о догадјајима крајем деведестих година прослог века  мораце бити предмет преиспиивања, ради објективнијег сагледавања историјских цињеница.




    Nessuna complicità con l'attacco militare contro la Libia

    1) Appello per una manifestazione nazionale (Rete nazionale "Disarmiamoli!"
)
    2) Comunicato di "Comunisti Uniti"
    3) Dichiarazione di 44 partiti comunisti e operai
    4) Nessuna complicità con l'attacco militare contro la Libia. Mobilitiamoci! (RdC)
    5) Noi non ci arruoliamo! (U.S.B.)
    6) La situazione in Libia vista dagli esperti serbi (Voice of Russia)
    7) Basi, aerei e navi: l’Italia si arruola (Manlio Dinucci)
    8) Uranio impoverito nei Tomahawk sulla Libia
    9) Centinaia di militari inglesi in azione da febbraio al fianco dei ribelli
    10) Libia: Il neo colonialismo vola sulle ali della “No Fly zone” (Rete nazionale "Disarmiamoli!"
)


    ALTRI LINK:

    Libia. Dalla guerra civile alla guerra del petrolio
    Perché è saltato l’equilibrio di potere di Gheddafi? Chi sono “quelli di Bengasi”? Questa è una vera guerra del petrolio, rivelatrice della competizione globale e piena di incognite (di Sergio Cararo)

    Una nuova operazione coloniale contro la Libia 
    L’aggressione che si prepara contro la Libia rende più che mai urgente il rilancio della lotta contro la guerra e l’imperialismo (di Domenico Losurdo)
    http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/03/una-nuova-operazione-coloniale-contro.html

    Washington cerca il sopravvento con "l’alba dell’odissea" Africana 
    Gli attacchi francesi alla Libia non sono un’operazione francese, ma un elemento dell’operazione Odyssey Dawn posta sotto l’autorità dell’US AfriCom (di Thierry Meyssan)


    === 1 ===

    No all’intervento militare contro la Libia

    No alla concessione delle basi italiane per la guerra

    Appello per una manifestazione nazionale

     

    Rete nazionale "Disarmiamoli!"

    Le bombe della cosiddetta “coalizione dei volonterosi” colpiscono da giorni la Libia, le città, i porti e le infrastrutture di un paese sino a poche settimane fa alleato sicuro e fedele di chi oggi lo sta bombardando. Gran parte degli aerei partono dal nostro paese, trasformando per l’ennesima volta l’Italia in una grande portaerei di guerra.

    La “No Fly Zone” è stato un vergognoso paravento per legittimare una aggressione funzionale alle mire colonialiste francesi, inglesi e statunitensi sulle immense risorse petrolifere e di gas della Libia.

    Il placet dell’ONU per quella che rischia di trasformarsi in una nuova occupazione militare è passato attraverso l’uso delle solite “armi di distrazione di massa”. Sono state inventate di sana pianta notizie allarmanti e orribili per legittimare poi l’intervento “umanitario” a favore delle popolazioni civili libiche, che ora però muoiono sia nella guerra civile che sotto le bombe statunitensi, francesi, inglesi.. e italiane.

    Il gruppo di paesi che guidano l’attuale avventura militare, sono andati alla guerra senza alcun accordo sul ruolo della NATO e con contrasti all’interno tra i vari governi. I

    n Italia il governo Berlusconi si è salvato da una crisi politica ben più grave di quelle giuridico/sessuali degli ultimi tempi grazie al sostegno del PD alla guerra, alimentando così una foga interventista vergognosa, coadiuvata dal Presidente della Repubblica attraverso un sapiente uso delle celebrazioni sul 150° dell’Unità d’Italia, funzionali a creare nel paese il clima nazionalista utile per veicolare l’ennesima “missione di guerra”.

    Ancora una volta al carro degli interventisti “umanitari”si è immediatamente legata la cordata di coloro che gridarono impropriamente “forza ONU” alcuni anni fa mentre l'Iraq e l'Afghanistan erano stati invasi e bombardati.

    Ma contro il bellicismo bipartisan e i velenosi appelli di sostegno alla nuova missione “di guerra umanitaria”, hanno risposto miagliai di attivisti No War scesi subito in piazza a Roma, Bologna, Pisa, Napoli, Milano, Torino, Vicenza, Firenze, Trapani, ed in tante altre città del paese con manifestazioni spontanee, volantinaggi, assemblee e riunioni.

    Nei prossimi giorni altre iniziative sono in programma ai quattro angoli del paese, in una mobilitazione che trova di nuovo nella parola d’ordine “contro la guerra senza se e senza ma” un forte comune denominatore.

    Il movimento contro la guerra italiano ha però una responsabilità particolare di fronte all’aggressione in atto contro la Libia. L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, situato a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.


     

    Occorre allora indicare in questo luogo l’obiettivo comune di questa fase di mobilitazione, in un crescendo che ci porti tutti insieme a Napoli, dove è il cervello di questa nuova e vergognosa guerra con una Manifestazione Nazionale nelle prossime settimane che riunifichi il movimento contro la guerra italiano e indichi chiaramente le responsabilità e i luoghi decisivi di questa guerra.

     

    La Rete nazionale “Disarmiamoli!!”

     
     

    info@...

     

    3381028120 - 3384014989



    === 2 ===

    Comunicato di "Comunisti Uniti"

    http://www.facebook.com/topic.php?uid=45436903074&topic=13881

    Dopo il via libera della risoluzione ONU sulla “No-Fly Zone”, Francia, Gran Bretagna e USA hanno cominciato i bombardamenti sul suolo dello Stato libico provocando le prime morti e distruzioni. Questa nuova sporca guerra, condotta dalle potenze imperialiste sotto il falso ombrello ONU di una missione di protezione civile, viola ancora una volta ogni norma di legalità e civiltà internazionale. Una ristretta élite di paesi - con a capo gli Stati Uniti del nobel per la pace Barack Obama! - pretende di governare il mondo con la forza delle armi e decide chi fa parte della comunità internazionale e chi ne è escluso, chi è civile e chi è barbaro, chi è sovrano e chi può essere oggetto di ingerenza in qualsiasi momento.

    I governi delle principali potenze capitalistiche europee si sono dimostrati subito pronti ad intervenire, cercando ognuno un proprio ruolo nell'architettura imperialistica globale disegnata dagli USA. Essi sosterranno e finanzieranno la guerra con le risorse delle proprie classi lavoratrici e al prezzo del sangue di migliaia di vite umane della stessa popolazione libica. La guerra costerà dunque carissima a tutti: difficilmente fermerà la crisi globale in atto ma sarà una manna per gli interessi geopolitici di un pugno di paesi neo-colonialisti e per le imprese capitalistiche dell’apparato militare-industriale.

    In Italia il governo Berlusconi concede le basi sul nostro suolo e partecipa all’intervento militare diretto, aspirando a proporsi, pur con qualche improvvisazione, come avamposto imperialista nel Mediterraneo e come piattaforma per le dinamiche imperialistiche più complessive. E tutto questo con la vergognosa sollecitazione del Presidente della Repubblica, di tutta l’opposizione (PD in primis) e persino con il beneplacito di parte dell’intellighenzia “pacifista” della sinistra (SEL).

    E' difficile capire cosa stia avvenendo in tutto il Maghreb. E' un fatto che rivolte popolari per il pane ed il lavoro siano in corso da almeno due anni e siano fortemente legate alla crisi del capitalismo su scala planetaria nonché alle ricette liberiste che i regimi e governi locali hanno accettato provocando enormi disparità sociali. Altrettanto chiaro è che i fermenti e le contraddizioni delle società nordafricane - fermenti e contraddizioni che attraversano la società civile, le istituzioni e persino le forze armate - sono guardate con molto interesse dall'Occidente. In alcuni casi, come in Tunisia ed Egitto, queste ribellioni popolari hanno provocato una sollevazione di massa che ha costretto i governi a cadere, lasciando il campo ad una situazione politica che è ancora incerta ma che non sembra mettere in discussione l'ordine imperialista nel Mediterraneo. In Libia hanno invece provocato una guerra civile all’interno del sistema sociale tribale, dell'establishment e dell'esercito, un conflitto nel quale il collegamento con le centrali imperialiste si è reso evidente nel momento in cui i "ribelli" hanno richiesto esplicitamente l'intervento militare occidentale.

    E' chiaro, in generale, che le potenze imperialiste cercano di approfittare dell’instabilità geopolitica o di sollecitarla per rimettere sotto il proprio controllo neo-coloniale le ricchezze naturali e la manodopera di questi paesi, magari instaurando “manu miltari” dei protettorati della NATO.

    La lotta di liberazione nazionale della Libia si è compiuta 40 anni fa. Questo non ha certamente risolto tutti i problemi di quel paese. E però l'autodeterminazione del popolo libico - che come quella di ogni popolo è un processo complesso e non privo di contraddizioni interne - per essere autenticamente tale dovrebbe svilupparsi in piena autonomia e al di fuori di ogni ingerenza esterna. Non è questo ciò che sta avvenendo oggi. Riportare la Libia oggi, e altri paesi domani, sotto il controllo imperialista sarebbe uno smacco sia per l’autodecisione e la sovranità delle nazioni, sia per le legittime lotte sociali. La Libia ha già conosciuto le efferratezze e le rapine del colonialismo di Italia, Francia e USA: evitiamo questo nuovo bagno di sangue e questo ennesimo tradimento della Costituzione.

    Mobilitiamoci contro la guerra imperialista 
    Ritirare gli aerei e le navi italiane dal fronte libico
    Chiudere le basi USA-NATO in Italia
    Basta guerre e spese militari
    i soldi per l'emergenza lavoro e per l’emergenza casa

    COMUNISTI UNITI
    www.comunistiuniti.it
    info@...


    === 3 ===

    No all'intervento in Libia!

    Dichiarazione di 44 partiti comunisti e operai

    Gli assassini imperialisti, guidati da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e NATO insieme, e con l'approvazione dell'ONU, hanno lanciato una nuova guerra imperialista. Questa volta in Libia.

    I presunti pretesti umanitari sono del tutto falsi! Stanno gettando della polvere negli occhi dei popoli! Il loro vero obiettivo è rappresentato dagli idrocarburi della Libia.

    Noi, partiti comunisti e operai, condanniamo l'intervento militare imperialista. E' il popolo stesso della Libia che deve determinare il proprio futuro, senza interventi imperialisti stranieri.

    Chiamiamo i popoli a reagire e a esigere l'arresto immediato dei bombardamenti e dell'intervento imperialista!

    (Per l'Italia aderisce il Partito dei Comunisti Italiani. Fonte: http://ww.lernesto.it )


    === 4 ===

    Nessuna complicità con l'attacco militare contro la Libia. Mobilitiamoci!


    E' ormai evidente come per gli Stati Uniti,la Francia e le altre potenze europee, la posta in gioco in Libia non siano affatto i diritti del popolo libico quanto gli abbondanti giacimenti e rifornimenti di petrolio e di gas. Un obiettivo, questo, ritenuto strategico di fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale e dalla inevitabile escalation dei prezzi energetici nei prossimi giorni. 
     
     
    Di fronte agli aerei e alle navi militari che stanno bombardando la Libia per "proteggere i civili", non ci si può che indignare ricordando come niente di tutto è avvenuto per i massacri in corso nello Yemen o nel Bahrein o mentre le forze armate israeliane bombardavano senza pietà la popolazione palestinese rinchiusa nella gabbia di Gaza tra il 2008 e il 2009 (1.400 i morti, la metà civili inermi, quasi il quadruplo delle vittime di queste settimane in Libia). Due pesi e due misure? No, è complicità con i crimini di guerra e interessi strategici su gas e petrolio che prevalgono sistematicamente su ogni diritto umano e dei popoli.
     
    L’intervento militare delle potenze della NATO in Libia – precedute dall’utilizzo sul terreno di guerra di commandos e consiglieri militari occidentali - suona inoltre come monito e minaccia anche contro i movimenti popolari in Tunisia, Egitto, Algeria, i quali hanno avviato processi di cambiamento importanti ma i cui esiti rappresentano ancora una incognita per gli interessi delle multinazionali statunitensi ed europee e per gli interessi geopolitici delle varie potenze.
     
    Non sappiamo se il futuro della Libia potrà fare a meno della leadership di Gheddafi e del suo inconseguente “anticolonialismo”, ma è del tutto inaccettabile che questo futuro venga ipotecato dagli interessi materiali e strategici degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sulle risorse energetiche del paese e non dalla decisione della popolazione e dalle aspirazioni democratiche. Aspirazioni che hanno ormai scarsissime possibilità di vedersi rappresentate dagli ex plenipotenziari del regime libico che hanno dato vita al Consiglio di Transizione a Bengasi e che oggi si stanno legando mani e piedi a potenze imperialiste come Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti o alle petromonarchie arabe del Golfo.
     
     
     
    Affermiamo fin ora che non intendiamo essere in alcun modo complici dell’aggressione militare della Francia, degli USA, delle potenze europee o dell’ONU contro la Libia. La posizione assunta dal presidente Napolitano, dai partiti del centro-sinistra e dalle loro articolazioni collaterali come Cgil, Tavola della Pace etc. sono inaccettabili e sintomo di complicità bipartizan con la partecipazione del governo Berlusconi ai bombardamenti contro la Libia.
     
     
     
     
     
    Dopo le prime manifestazioni di risposta all'inizio dei bombardamenti, sviluppiamo la mobilitazione in tutte le città contro la nuova guerra nel Mediterraneo e contro i complici dell’intervento militare “umanitario” in Libia. No all'uso delle basi militari in Italia per l'aggressione contro la Libia. Nessuna complicità con la guerra
     
    La Rete dei Comunisti


    === 5 ===

    Unione Sindacale di Base
    Federazione Bologna

    LIBIA. NOI NON CI ARRUOLIAMO!

    CESSARE IMMEDIATAMENTE IL FUOCO


    L’attacco delle forze europee e statunitensi alla Libia non avviene per mettere in campo un intervento umanitario ma è in tutta evidenza legato alle enormi risorse energetiche di cui quel paese dispone. Il mancato analogo intervento in altre situazioni simili – il massacro dei Palestinesi a Gaza da parte degli Israeliani che ha prodotto migliaia di morti mentre le potenze occidentali stavano a guardare e i media internazionali si occupavano d’altro, il silenzio totale su quanto sta accadendo in Bahrein e Yemen - non consente di equivocare sulle reali intenzioni degli attaccanti.


    Mentre la tragedia giapponese rende impervia e comunque improbabile la prosecuzione dell’avventura nucleare per i Paesi occidentali avanzati, la necessità di assicurarsi le provviste di gas e di petrolio diventa importantissima e spinge le nazioni più industrializzate, e quindi maggiormente bisognose di fonti di energia, a farsi sceriffi interessati nella guerra civile libica. E’ evidente che l’intervento militare ha buon gioco ad accreditarsi come umanitario, viste le caratteristiche del rais libico Gheddafi che, dopo aver avuto una qualche funzione antimperialista nell’area, non ha però saputo minimamente procedere sul terreno della democrazia e della equa distribuzione delle immense ricchezze del suo Paese.


    L’intervento in corso non solo consentirà ai paesi occidentali di garantirsi probabilmente gli approvvigionamenti di risorse energetiche per i prossimi anni instaurando in Libia un vero e proprio protettorato occidentale, ma potrà anche essere di pesante monito alle popolazioni dei Paesi limitrofi in lotta per liberarsi dai tiranni locali come l’Egitto e la Tunisia.

    I lavoratori italiani non hanno nulla da guadagnare dalla guerra, che sicuramente consentirà al Governo, dentro una crisi economica che i lavoratori stanno pagando duramente, di dirottare ulteriori risorse sul fronte degli armamenti giustificando così ulteriori tagli al welfare.


    L’USB esprime quindi una grande preoccupazione per quanto sta avvenendo in queste ore in Libia ed invita tutte le proprie strutture a farsi promotrici di iniziative a sostegno della pace e dell’immediato cessate il fuoco.


    20/03/2011 



    === 6 ===


    La situazione in Libia vista dagli esperti serbi

    Scaricare l'audio: http://italian.ruvr.ru/data/2011/03/21/1262611926/110320_ИТОГИ%202А.mp3

    20.03.2011, 19:51


    Dalla Libia continuano ad arrivare notizie preoccupanti. Le autorità del Paese hanno cominciato a distribuire armi tra la popolazione per far fronte all’intervento militare straniero. Muammar Gheddafi invita la popolazione ad una lunga guerra, a combattere contro le forze della coalizione occidentale per ogni palmo di terra natale. Secondo le notizie che sta diffondendo la Televisione libica, sono stati sottoposti ad attacchi aerei anche siti civili. Hanno già perduto la vita circa cinquanta persone, circa 150 ne sono rimaste ferite.

    I serbi che avevano già gustato l’aggressione militare della NATO, più degli europei hanno il diritto di dare valutazione di ciò che sta accadendo in Libia. Ecco che cosa dice, in particolare, il politologo Giorge Vukadinovic:

    Penso che l’Ue ha fatto un passo irragionevole scatenando un conflitto militare contro la Libia – conflitto che non potrà controllare e il cui esito è imprevedibile. Le sue conseguenze possono essere molto gravi per l’Europa – sul versante sia politico che economico. Il miraggio di politica europea comune può spezzarsi se non si è già spezzato   durante il voto al Consiglio di Sicurezza dell’l’ONU quando si è astenuta la Germania.

    Sulla stessa scia anche il noto politologo serbo Gostemir Popovic.

    Con decisione unilaterale dell’America le forze aeronautiche della NATO hanno cominciato a bombardare il territorio della Libia. Vittime dell’aggressione, in ogni caso, saranno abitanti civili della Libia. Occorre far cessare tutte le azioni militari contro la Libia. Anzi occorre rinviare a giudizio tutti i loro ispiratori.

    Cari amici, ci è molto interessante sapere che cosa pensate voi degli avvenimenti in atto nel mondo. Lasciate i vostri commenti sul nostro web sito:  www.ruvr.ru



    === 7 ===


    L’OPERAZIONE DIRETTA DA NAPOLI

    Basi, aerei e navi: l’Italia si arruola

    Manlio Dinucci
     
    Lo scenario è quello che abbiamo già vissuto quando, il 24 marzo 1999, gli aerei decollati dal territorio italiano,  messo a disposizione delle forze Usa/Nato dal governo D’Alema (centro-sinistra), sganciarono le prime bombe sulla Serbia iniziando la «guerra umanitaria», cui parteciparono poco dopo anche i cacciabombardieri italiani. Ora l’obiettivo della nuova «guerra umanitaria» è la Libia.
    Per farsi perdonare a Washington il trattato di amicizia italo-libico che impegnava le due parti a «non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza», il governo Berlusconi (centro-destra) ha messo ha disposizione non solo tutte le basi, ma forze aeree e navali per l’attacco. Come ha spiegato l'ex capo di stato maggiore dell'aeronautica Leonardo Tricarico, per imporre la no-fly zone sulla Libia occorre neutralizzare le difese antiaeree nemiche. «Noi questa capacità ce l'abbiamo ed è costituita dai caccia Tornado Ecr: l'abbiamo fatto in Kosovo e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo».

    Per questo i Tornado Ecr sono stati rischierati da Piacenza a Trapani. Qui sono stati spostati anche i Tornado Eds da Ghedi (Brescia) e gli Eurofighter da Grosseto: cacciabombardieri da attacco con enorme capacità distruttiva. Sono pronti all’attacco anche i caccia Amx di Amendola (Foggia) e gli Eurofighter di Gioia del Colle (Bari). Si aggiungono i caccia della portaerei Garibaldi, rischierata da Taranto ad Augusta (Siracusa), e quelli della portaerei Cavour spostata anch’essa nella base siciliana da La Spezia. Le due portaerei sono affiancate dai cacciatorpedinieri lanciamissili Andrea Doriae Mimbelli, dalla fregata Euro, dal pattugliatore Libra, dalle navi da attacco anfibio San Marco e San Giorgio e da altre navi da guerra.

    Questo già considerevole schieramento costituisce solo una piccola parte della forza complessiva usata nella guerra contro la Libia.  Quella aerea è composta dai caccia francesi Rafale, i primi ad attaccare partendo dalla base di Saint Dizier, dai Tornado britannici spostati a sud a breve distanza dalla Libia, dagli F-16 statunitensi di Aviano, dove stanno arrivando altri cacciabombardieri, dagli F-16 belgi e norvegesi ridislocati anche’essi a sud, cui si aggiungono Cf-18 canadesi.
    La forza navale è altrettanto imponente. Essa comprende, tra le molte navi da guerra schierate di fronte alla Libia,  la nave Usa da assalto anfibio Kearsarge, la più grande del mondo, con a bordo aerei ed elicotteri da attacco e mezzi da sbarco, in grado di trasportare 4mila marines e carrarmati. E’ affiancata dalla portaelicotteri francese Mistral, unità da assalto anfibio con elicotteri da attacco, carrarmati pesanti e 500 commandos. Il fatto che il presidente Obama abbia dichiarato che gli Stati uniti non invieranno truppe terrestri in Libia è facilmente spiegabile: come avvenne nella guerra contro la Jugoslavia, lo sbarco di truppe viene preceduto da pesanti bombardamenti aerei e navali.
    L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.
    Perché questo imponente impiego di forze, spropositato in rapporto alle capacità militari del regime di Gheddafi? Perché evidentemente non si tratta solo di una operazione militare ma di una corsa all’oro nero libico, che i partecipanti intendono spartirsi in misura proporzionale al loro impegno nella «guerra umanitaria».
     
    (il manifesto, 20 marzo 2011)   


    === 8 ===


    Uranio impoverito nei Tomahawk sulla Libia

    Written by  Redazione Contropiano

    La cosa più grave dell'attacco occidentale in Libia è al momento l'utilizzo di missili Tomahawk che contengono, come ripetutamente dimostrato da numerosi studi scientifici, uranio impoverito. Al di là dunque del danno immediato, la coalizione occidentale sta spargendo sulla Libia sostanze radioattive che compromettono gravemente il futuro della popolazione locale, esponendola ad un aumento epsponenziale di malattie tumorali e non. Si avvelena dunque il futuro di quella popolazione civile che - a parole, nelle dichiarazioni o nelle risoluzioni Onu - su afferma di voler "proteggere". Alleghiamo qui alcuni dei documenti e delle analisi che provano la relazione tra uranio impoverito e missili Tomahawk.

    http://www.fisicamente.net/GUERRA/index-273.htm

    http://web.peacelink.it/tematiche/disarmo/u238/documenti/uranio_impoverito.html

    http://mondodiverso.blogspot.com/2004_09_01_archive.html


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    Il Messaggero, 20-03-2011


    Centinaia di militari inglesi in azione da febbraio al fianco dei ribelli


    LONDRA - Da fine febbraio centinaia di militari britannici del Sas, lo Special Air Service, sarebbero in azione al fianco dei gruppi ribelli in Libia. Lo rivela il Sunday Mirror, scrivendo che da tre settimane due unità sono impegnate in Libia a preparare l'operazione. 

    Si tratterebbe di gruppi soprannominati Smash per la loro capacità distruttiva. Il mandato è quello di dar la caccia ai sistemi di lancio di missili terra-aria di Gheddafi (i Sam 5 di fabbricazione russa) in grado di colpire a 400 chilometri di distanza. Affiancati da personale sanitario, ingegneri e segnalatori, gli Smash hanno creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione venissero abbattuti. 

    La loro presenza è stata indirettamente confermata dal domenicale Observer: una delle preoccupazione dei piloti dei Tornado - scrive il giornale - sarebbe quella di non colpire i commilitoni delle forze speciali, operative a Bengasi per aiutare a “illuminare” i bersagli e offrire intelligence sul terreno. 

    Vent'anni fa la Prima Guerra del Golfo diede allo Special Air Service la possibilità di tornare alle missioni nel deserto, che nel 1941 ne avevano determinato la nascita. La caccia ai missili Scud iracheni fruttò nuova fama e il riconoscimento del generale Norman Schwarzkopf. 

    Non è la prima volta che le unità d'elite entrano in azione in Libia: a fine febbraio gli uomini del Sas hanno tratto in salvo dipendenti del petrolio bloccati a sud di Bengasi. Più di recente, il Sas è stato al centro di una clamorosa gaffe quando un team diplomatico britannico, assieme al commando mandato per proteggerlo, è finito in stato di arresto presso una base militare controllata dai rivoltosi. I diplomatici erano stati inviati in Libia per stabilire contatti con l'opposizione ma il loro fermo e successiva liberazione aveva smascherato la loro presenza che doveva restare segreta con grave imbarazzo di Hague e del Foreign Office.


    === 10 ===

    Libia: Il neo colonialismo vola sulle ali della “No Fly zone”

     

    Battiamoci per fermare la nuova aggressione USA / NATO nel cuore del Mediterraneo.

     

    Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!

     

    La volata in questa nuova escalation di guerra l’ha tirata il Presidente francese Nicolàs Sarkozy, il quale lo scorso 10 marzo - dopo l’incontro con il Consiglio Nazionale Transitorio libico, insediatosi a Bengasi e subito riconosciuto come unico rappresentante del popolo libico - chiedeva bombardamenti mirati sulla Libia.

    L’approvazione della risoluzione ONU per l’instaurazione della “No Fly Zone” sui cieli di Libia, che ha vistonel Consiglio di Sicurezza 10 voti a favore e 5 astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania) trasforma quello che nei primi giorni sembrava un azzardo di Sarkozy in una ingerenza militare che si dispiegherà nelle prossime ore.

     

    Quanto siano affidabili i referenti scelti da Francia e Inghilterra in questa nuova avventura di guerra - il Consiglio Nazionale Transitorio libico - sarà motivo di verifica nei prossimi giorni.

    I pochi dati che abbiamo a disposizione su quest’alleanza, nata sull’onda di uno scontro ben diverso dalle rivolte scoppiate in tutto il Maghreb, non sono rassicuranti.

    Innanzitutto c’è molto da dubitare in una rappresentanza che cerca legittimazione da uno dei governi più compromessi con il passato e il presente colonialista europeo, chiedendo a gran voce l’instaurazione di una No Fly Zone con i conseguenti bombardamenti che ciò comporterà. Gli eventi di questi giorni dimostrano che il conflitto libico è ben diverso dalle rivolte scoppiate negli altri paesi arabi. In Libia siamo di fronte  ad una guerra civile tra le grandi tribù che prima formavano il sistema di governo della Jamahiriya.

    Altro segnale preoccupante per gli eserciti occidentali sono stati gli arresti verificatisi nelle scorse settimane di corpi scelti inglesi, catturati mentre tentavano di infiltrarsi tra gli oppositori di Gheddafi per “sostenere” la rivolta. Sostegno rispedito rudemente al mittente, da parte di chi combatte contro l’indifendibile Raìs di Tripoli, ma che evidentemente non vuole ingerenze dall’esterno.

     

    Qual è allora la rappresentanza e quali gli obiettivi di questo Consiglio Nazionale Transitorio libico? Con ogni probabilità siamo di fronte ad un gruppo rappresentativo di alcune tra le tribù libiche in conflitto, disposte - per avere un ruolo nel futuro di quel paese - a divenire “cavalli di Troia” per la frammentazione della Libia in funzione degli interessi occidentali.

    Le risorse energetiche libiche sono immense e gli attuali “primi della classe” (Francia, Inghilterra, USA) intendono spartirsele attraverso i ben noti strumenti di “pace” sperimentati in questi anni in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libano, Palestina.

     

    Il movimento contro la guerra è vaccinato dalla propaganda filo – imperialista che prepara il terreno alle aggressioni neo colonialiste. I contenuti della campagna mediatica scatenata sui fatti di Libia sono un modello ben noto - e “bipartisan” – per legittimare di fronte all’opinione pubblica l’aggressione militare.

     

    In Libia occorre fare appello per un cessate il fuoco immediato e l’avvio di una conciliazione tra le tribù in conflitto. Ciò potrà avvenire solo attraverso l’autorevolezza di una proposta fatta da soggetti neutri e disinteressati alle vicende interne libiche, non certo dai bombardieri della NATO e da un’alleanza in loco disposta a delegare a essi la soluzione della guerra civile.

     

    Contro la nuova guerra nel Mediterraneo, contro i complici dell’intervento militare “umanitario” in Libia prepariamo la mobilitazione in tutte le città.

     

    No all'uso delle basi militari in Italia per l'aggressione contro la Libia.

    Organizziamo mobilitazioni in tutte le città.

     

    La Rete nazionale Disarmiamoli!

    www.disarmiamoli.org  info@... 3381028120 - 3384014989




    In questo post:
    - commento di Andrea Catone
    - Dall’Iraq alla Libia, la guerra dei vent’anni (Manlio Dinucci)
    Le potenze imperialiste e la Libia (Michel Chossudovsky -
    original text: The US-NATO Attempted Coup d'Etat in Libya? /
    "Operation Libya" and the Battle for Oil: Redrawing the Map of Africa
    Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo? (Diana Johnstone -
    original text: Libya: Is This Kosovo All Over Again?


    Da: Andrea Catone <andreacatone @ libero.it>

    Oggetto: Libia. Mobilitiamoci contro la guerra della NATO!

    Data: 19 marzo 2011 13.44.52 GMT+01.00


    Libia. Mobilitiamoci contro la guerra della NATO!


    A 12 anni dalla “guerra umanitaria” della NATO che dal 24 marzo 1999 bombardò la Serbia per tutta la primavera per riportarla, come dichiarò il generale Wesley Clark, indietro di mezzo secolo, le potenze imperialiste fanno altrettanto con la Libia, cento anni dopo l’invasione italiana. È questione di qualche giorno, se non di ore.

    Sotto il pretesto di salvare le popolazioni civili, e con la pezza d’appoggio di una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu (10 a favore, 5 astenuti: Brasile, Cina, Russia, India, Germania) riscaldano i motori dei Tornado. In prima fila questa volta ci sono Francia, Inghilterra e gli USA, con la Clinton, pronta ad eguagliare e superare le imprese del coniuge che bombardò la Serbia, sostenuto dalla dama di ferro Madeleine Albright.

    Come allora, nel 1999, anche ora si è messa in moto la macchina infernale delle menzogne mediatiche e della demonizzazione del “dittatore” di turno per giustificare l’aggressione militare a un paese ricco di petrolio e porta per l’Africa centrale (il continente dove già da tempo si è scatenata la contesa tra potenze per una sua ripartizione neocoloniale). Gli stessi che perorano l’urgenza improcrastinabile della guerra umanitaria contro la Libia, non hanno mai levato la voce neppure per deplorare la violenza di Israele che si è abbattuta nel dicembre 2008-gennaio 2009 sulla popolazione di Gaza, prigione a cielo aperto per i palestinesi, e che haa provocato migliaia di vittime; né si preoccupano per la violenza omicida dei governi del Bahrein o dello Yemen, dove l’Arabia Saudita (uno stato che porta il nome di una dinastia!) interviene con le sue truppe contro i manifestanti. Sono le stesse petromonarchie – dagli Emirati all’Arabia – legate a filo doppio con gli USA, che inviano armi e truppe agli insorti contro Gheddafi. I quali – quale che sia la loro coscienza soggettiva (tra essi troviamo ex ministri e alti funzionari della Jamahiriya) – sono lo strumento di cui si servono le forze imperialiste per mettere le mani sul paese, non solo per le sue importanti risorse energetiche, ma per la sua collocazione geografica strategica per il Mediterraneo e per l’Africa.

    Nelle condizioni concrete della Libia l’imposizione di una “No fly zone” implica un bombardamento militare ad ampio raggio. Come concordano molti esperti, l’attuazione di una no fly zone sulla Libia dovrebbe cominciare con un attacco, “nel senso – spiega l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico – che occorre neutralizzare i mezzi antiaerei nemici, cioè distruggere radar e postazioni missilistiche. Noi questa capacità, cosiddetta SEAD, cioè ‘soppressione delle difese aeree nemiche’, ce l’abbiamo ed e’ costituita dai caccia Tornado: l’abbiamo fatto in Kosovo insieme ai tedeschi e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo”.

    L’Italia potrà mettere a disposizione questi assetti aerei, eventualmente insieme ai caccia F-16 ed Eurofighter, idonei per il pattugliamento e la sorveglianza, oltre agli aeroplani Av8, di cui e’ equipaggiata la portaerei Cavour. Viene data per scontata la messa a disposizione delle basi aeree, specie quelle del centro-sud, sia per il rischieramento degli aerei di altri Paesi, sia per l’assistenza logistica. Gli aerei-radar Awacs, ad esempio, potrebbero essere dislocati a Trapani, che e’ specificatamente attrezzata per questo tipo di velivoli, ma basi idonee ad ospitare caccia sono tutte: da Grazzanise a Gioia del Colle. Si potrebbe ricorrere, in caso di necessità, perfino a Lampedusa o Pantelleria. Vi e’ poi un’altra capacità fondamentale, ricorda ancora il generale Tricarico, “che ha a che fare con l’intelligence e di cui e’ dotata l’Italia: si tratta della costellazione di satelliti Cosmo-Skymed che e’ completamente operativa e che ha una performance superiore a qualsiasi altro sistema esistente. Grazie a questi satelliti si può avere una rappresentazione fotografica ricorrente con definizione molto alta, quanto di meglio ci sia oggi in circolazione”. Agli stessi fini possono essere impiegati anche gli aerei senza pilota (droni) ‘Predator’, che sono dotati di grande autonomia e che potrebbero essere pilotati dalla loro base di Amendola, in Puglia.

    L’Italia -  le regioni meridionali in particolare - è direttamente coinvolta. Il governo mette a disposizione uomini e mezzi, sistemi radar e basi militari. Il ministro della guerra Larussa, memore di “Tripoli bel suol d’amore ... Tripoli sarà italiana, sarà italiana al rombo del cannon!” offre la disponibilità di sette basi militari, "senza nessun limite restrittivo all'intervento"  Si tratta di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria: alcune, dice ancora La Russa, sono già state chieste da inglesi e americani. "Abbiamo forte capacità di neutralizzare radar di ipotetici avversari, e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo" [“La repubblica”].

    Salvo qualche defezione da una parte e dall’altra (Lega e IDV), tutto il parlamento, governo e opposizione “democratica”, indossa l’elmetto di guerra.

    Bersani, segretario del PD, rincara la dose: dopo aver quasi bacchettato l’ONU per aver ritardato di qualche giorno la decisione, dichiara che lui e il suo partito sono “pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia. Il governo conosce la nostra disponibilità, noi chiediamo soltanto che in queste ore non ci siano dichiarazioni estemporanee e contraddittorie. Bisogna parlare con gli altri Paesi disponibili e con la Nato. Nessuno faccia lo stratega, questa è una cosa seria" [ADN Kronos].

    Non è da meno il presidente Napolitano, quello che dovrebbe difendere la Costituzione (art. 11: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Nel suo intervento al Teatro Regio di Torino nell'ambito delle celebrazioni per il 150° dell'Unita' d'Italia – occasione solenne – ha detto: ''Nelle prossime ore l'Italia dovrà prendere decisioni difficili, impegnative sulla situazione che si e' venuta a creare in Libia. Ma se pensiamo a quello che e' stato il Risorgimento come grande movimento liberale e liberatore, non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi Paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate, le speranze che si sono accese di un risorgimento anche nel mondo arabo, cosa decisiva per il futuro del mondo. ... Mi auguro che le decisioni da prendere, siano dunque circondate dal massimo consenso e dalla consapevolezza dei valori che l'Italia unita incarna e che dobbiamo salvaguardare ovunque'' [ANSA]. Anche nel 1911 era passato solo mezzo secolo...) il Risorgimento fu tirato in ballo per la guerra di Libia, insieme con la retorica pascoliana della “grande proletaria si è mossa”. Oggi si fa l’interventismo – o meglio, l’imperialismo – democratico e la “guerra umanitaria”...  

    Nessuno accenna all’unica proposta internazionale seria, quella del presidente venezuelano Chavez e dei paesi progressisti latino americani, per una mediazione tra le parti in conflitto. La pace non va bene alle potenze che in  concorrenza tra loro vogliono riprendersi “il posto al sole”. Questa guerra interna alla Libia è stata alimentata dalle potenze che ora dicono di voler portare pace e democrazia: agli insorti di Bengasi arrivano armi ed equipaggiamento, e consiglieri militari delle potenze occidentali. Si alimenta la guerra interna per giustificare l’aggressione esterna. Vecchia storia...

    Contro la partecipazione dell’Italia alla guerra di Libia si è espresso il presidente della Federazione della Sinistra Oliviero Diliberto, segretario del Pdci e Paolo Ferrero del PRC.

    Cominciano a mobilitarsi in diverse città le reti militanti contro la guerra.

    Occorre farlo anche in Puglia, dove potrebbero essere usate le basi di Gioia del Colle e di Amendola, sapendo che, come 12 anni fa per la Jugoslavia, anche oggi ci si dovrà battere contro il partito mediatico della guerra, per smascherare gli inganni e le ideologie di giustificazione di questa guerra neocolonialista.

    Allego alcuni articoli tratti dal sito dell’ernesto, che chiariscono le ragioni molto poco umanitarie della guerra alle porte (Chossudovsky),  alcuni meccanismi dell’inganno mediatico (Diana Johnstone (è’ anche utile “Mondo di guerra”, numero monotematico di “Athanor” a cura di Andrea Catone e Augusto Ponzio) e l’articolo di Manlio Dinucci sul manifesto di oggi 19 marzo (è molto utile il suo libro “Geostoria dell’Africa”, Zanichelli 2005, che chiarisce il ruolo vecchio e nuovo delle potenze coloniali.


    Andrea Catone. Lisbona, 19 3 2011


    http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20729


    http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20721


    http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20730


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    Dall’Iraq alla Libia, la guerra dei vent’anni

    Manlio Dinucci


    La risoluzione del Consiglio di sicurezza che, il 17 marzo 2011, autorizza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia ricorda quella che, il 29 novembre 1990, autorizzava l’uso di «tutti i mezzi necessari» contro l’Iraq. Vent’anni fa, approfittando della disgregazione dell’Urss e del suo blocco di alleanze, gli Stati uniti e le maggiori potenze europee della Nato spostavano il centro focale della loro strategia nel Golfo, attaccando nel 1991 l’Iraq, uno dei principali produttori petroliferi con riserve stimate tra le maggiori del mondo. Oggi nel mirino c’è la Libia, le cui riserve petrolifere sono le maggiori dell’Africa, il doppio di quelle statunitensi.

    Vent’anni fa il nemico numero uno era Saddam Hussein, già alleato degli Usa nella guerra contro l’Iran (altro grosso produttore petrolifero) quando al potere c’era Khomeini, allora al primo posto nella lista dei nemici: quel Saddam Hussein caduto poi nella trappola, quando l’ambasciatrice Usa a Baghdad gli aveva fatto credere che Washington sarebbe rimasta neutrale nel conflitto Iraq-Kuwait. Oggi il nemico numero uno è il capo della Libia Muammar Gheddafi, con il quale la segretaria di stato Hillary Clinton dichiarava poco tempo fa di voler «approfondire e allargare la cooperazione».

     Vent’anni fa, al momento in cui il Consiglio di sicurezza autorizzava la guerra contro l’Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati avevano già schierata nel Golfo una imponente forza aeronavale (1.700 aerei e 114 navi da guerra), che sarebbe stata comunque usata anche senza il nullaosta dell’Onu. Lo stesso oggi: prima dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia, era già pronta una potente forza aeronavale Usa-Nato ed erano state attivate per l’attacco le basi in Italia. Il metodo è lo stesso: gettare prima la spada sul piatto della bilancia politica e usare quindi tutti i mezzi (compresi scambi di «favori») per impedire che un membro permanente del Consiglio di sicurezza usi il «diritto di veto»: nel 1990 l’Urss di Gorbaciov votò a favore e la Cina si astenne; oggi la Russia si è astenuta insieme alla Cina, ma il risultato è lo stesso.

     Oggi, come nel 1990, l’intervento armato viene motivato con la «difesa dei diritti umani» e la «protezione dei civili». E si lodano nella risoluzione i governi arabi che partecipano a  questo nobile sforzo: come la monarchia assoluta del Bahrain, che ha chiamato le truppe saudite per reprimere nel sangue la lotta del suo popolo per i più elementari diritti umani, e il regime  yemenita che sta facendo strage dei civili che manifestano per la democrazia.

    Oggi, come nella prima guerra del Golfo e nelle successive – quella contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 – l’Italia continua a svolgere il suo ruolo di gregario agli ordini di Washington. Con la differenza che, mentre vent’anni fa c’era una sinistra ancora impegnata contro la guerra, oggi c’è un Bersani che, alla vigilia di un intervento armato con le stesse finalità, esclama «alla buon'ora».


    (il manifesto, 19 marzo 2011)


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    Le potenze imperialiste e la Libia

    di Michel Chossudovsky*

    su L'ERNESTO 6/2010 del 18/03/2011


    Il caso Libia è fondamentalmente diverso da quello di Egitto e Tunisia. Non è un movimento di protesta non violento, l’insurrezione armata, è direttamente supportata da potenze straniere che intendono mettere le mani sul petrolio libico.

    Prima e seconda parte di un’analisi sul “caso Libia”, che documenta, anche sulla scorta dei fondamentali articoli di Manlio Dinucci, le manovre USA-NATO per invadere la Libia, nonché le contraddizioni interimperialistiche nella lotta per la spartizione dell’Africa.

    L'articolo è pubblicato nel numero in distribuzione di l'Ernesto rivista

    I
    Insurrezione e intervento militare:
    accordo USA-NATO sul tentato colpo di Stato in Libia?1

    Gli Stati Uniti e la NATO stanno sostenendo un’insurrezione armata in Libia orientale, al fine di giustificare un “intervento umanitario“. Questo non è un movimento di protesta non violento, come in Egitto e Tunisia. Le condizioni in Libia sono fondamentalmente diverse. L’insurrezione armata, in Libia orientale è direttamente supportata da potenze straniere. Gli insorti a Bengasi hanno subito issato la bandiera rossa, nera e verde con la mezzaluna e la stella: la bandiera della monarchia di re Idris, che simboleggiava il dominio delle ex potenze coloniali2. 
    I consiglieri militari e le forze speciali USA e NATO sono già sul terreno. L’operazione è stata pianificata per farla coincidere con il movimento di protesta nei paesi arabi vicini. L’opinione pubblica è stata indotta a credere che il movimento di protesta si sia diffuso spontaneamente dalla Tunisia e dall’Egitto verso la Libia. L’amministrazione Obama, in consultazione con i suoi alleati, supporta una ribellione armata, cioè un tentativo di colpo di Stato: “L’amministrazione Obama è pronta ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a cittadini libici che cercano di cacciare Muammar Gheddafi”, ha detto la segretaria di Stato Hillary Clinton il 27 Febbraio. “Abbiamo raggiunto diversi libici che stanno tentando di organizzarsi in Oriente mentre la rivoluzione si sposta verso ovest [...] Penso che sia troppo presto per dire come andrà a finire, ma abbiamo intenzione di essere pronti e preparati ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a chiunque la voglia dagli Stati Uniti”. Attualmente si sta formando un governo provvisorio nella parte orientale del paese, dove la ribellione è iniziata a metà febbraio.
    Gli Stati Uniti, ha detto la Clinton, stanno per minacciare ulteriori misure contro il governo di Gheddafi, ma non ha detto dove o quando potrebbero essere annunciate. Gli USA dovrebbero “riconoscere un governo provvisorio, che stanno cercando di impostare...” [McCain].
    Lieberman ha parlato in termini analoghi, sollecitando “un appoggio tangibile, una no-fly zone, il riconoscimento del governo rivoluzionario, del governo dei cittadini, da sostenere sia con l’assistenza umanitaria, sia - come io vorrei – fornendo loro le armi”3.

    L’invasione pianificata
    Un intervento militare è oggi preso in considerazione dalle forze USA e della NATO, nel quadro di un “mandato umanitario”.
    Il portavoce del Pentagono, colonnello dei Marines Dave Lapan ha detto il 1° marzo che “gli Stati uniti stanno muovendo forze navali e aeree nella regione” per “preparare l'intera gamma di opzioni” nei confronti della Libia, aggiungendo poi che “è stato il presidente Obama a chiedere ai militari di preparare tali opzioni”, perché “la situazione in Libia sta peggiorando”4. 
    Il vero obiettivo dell’“Operazione Libia” non è quello di stabilire la democrazia, ma di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo5.
    La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti. L’invasione pianificata della Libia è già in corso nell’ambito della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trova nel bacino del Golfo della Sirte, nella Libia orientale.
    Le ipotesi strategiche dietro l’“Operazione Libia” ricordano i precedenti impegni militari USA-NATO in Jugoslavia e in Iraq.
    In Jugoslavia, le forze USA-NATO innescarono una guerra civile. L’obiettivo era quello di creare divisioni politiche ed etniche, che alla fine hanno portato alla dissoluzione di un intero paese. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso il finanziamento occulto e la formazione di eserciti armati paramilitari, prima in Bosnia (l’esercito bosniaco musulmano, 1991-95) e poi in Kosovo (Kosovo Liberation Army: UCK, 1998-1999). Sia in Kosovo che in Bosnia la disinformazione dei media (comprese menzogne e invenzioni) è stata utilizzata a sostegno delle affermazioni di Stati Uniti ed Unione Europea, secondo cui il governo di Belgrado avrebbe commesso atrocità, ragion per cui era giustificato un intervento militare per motivi umanitari.
    Ironia della sorte, l’“Operazione Jugoslavia” è ora sulla bocca dei responsabili della politica estera USA: il senatore Lieberman ha “paragonato la situazione in Libia agli eventi nei Balcani negli anni ‘90, affermando che gli USA “intervennero per fermare un genocidio contro i bosniaci. E la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di fornire loro le armi per difendersi. Questo è ciò che penso si debba fare in Libia”6.
    Lo scenario strategico sarebbe quello di sostenere la formazione e il riconoscimento di un governo ad interim nella provincia secessionista, al fine di spaccare il paese. Questa opzione è già in corso. L’invasione della Libia è già cominciata.
    “Centinaia di consiglieri militari statunitensi, francesi e britannici sono arrivati in Cirenaica, la provincia orientale separatista della Libia [...]. I consiglieri, tra cui ufficiali dei servizi segreti, sono sbarcati da navi da guerra e da motovedette lanciamissili, nelle città costiere di Bengasi e Tobruk”7. 
    Le forze speciali statunitensi e alleate sono sul terreno, in Libia orientale, fornendo sostegno segreto ai ribelli. Ciò è stato riconosciuto quando dei commando inglesi delle forze speciali (SAS) sono stati arrestati nella regione di Bengasi. Agivano come consiglieri militari delle forze di opposizione: “La missione segreta di otto commando delle forze speciali britanniche per mettere dei diplomatici britannici in contatto con i capi dell’opposizione al Colonnello Muammar Gheddafi in Libia si è conclusa con un’umiliazione, dopo che sono stati detenuti dalle forze ribelli nella parte orientale della Libia, scrive oggi il Sunday Times. Gli uomini, armati, ma in abiti civili, hanno sostenuto che erano lì per vedere se gli oppositori avessero bisogno di aiuto, e per offrirlo loro”8.
    Le forze SAS sono state arrestate mentre scortavano una “rappresentanza diplomatica” britannica, che era entrata illegalmente nel paese (senza dubbio da una nave da guerra britannica) per discussioni con i leader della ribellione. Il Foreign Office britannico ha riconosciuto che “una piccola squadra di diplomatici britannici era stata inviata nella Libia orientale per avviare contatti con l’opposizione in rivolta”9. 
    Ironia della sorte, non solo i rapporti confermano l’intervento militare occidentale (tra cui vi sono alcune centinaia di forze speciali), ma riconoscono anche che i ribelli erano fermamente contrari alla presenza illegale di truppe straniere sul suolo libico: “L’intervento delle SAS ha fatto arrabbiare degli esponenti dell’opposizione libica, che hanno ordinato ai soldati di rinchiuderli in una base militare. Gli oppositori di Gheddafi temono che egli possa usare le prove dell’interferenza militare occidentale per avere il sostegno patriottico al suo regime”10.
    Il “diplomatico” britannico catturato insieme con sette soldati delle forze speciali, era un membro dell’intelligence inglese, un agente dell’MI6 in “missione segreta”11. 
    Come confermano le dichiarazioni della NATO e degli Stati Uniti, sono state fornite armi alle forze di opposizione. Ci sono indicazioni, anche se finora nessuna prova evidente, che sono state consegnate armi agli insorti prima del furioso assalto dei ribelli. Con ogni probabilità, i consiglieri militari e dell’intelligence USA-NATO erano presenti sul terreno anche prima dell’insurrezione. Questo è stato il modello applicato in Kosovo: le forze speciali sostennero e addestrarono l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) nei mesi precedenti la campagna di bombardamenti e l’invasione della Jugoslavia del 1999.
    Mentre si svolgono gli eventi, tuttavia, le forze del governo libiche hanno ripreso il controllo delle posizioni dei ribelli: “La grande forza offensiva pro-Gheddafi lanciata [il 4 Marzo] per strappare ai ribelli il controllo delle più importanti città e dei centri petroliferi della Libia, ha portato [il 5 marzo] alla riconquista della città chiave di Zawiya e della maggior parte delle città petrolifere del Golfo della Sirte. A Washington e a Londra, i discorsi per un intervento militare a fianco dell’opposizione libica, sono stati tacitati dalla consapevolezza che l’intelligence su entrambi i lati del conflitto libico è troppo imprecisa per servire come base del processo decisionale”12.
    Il movimento di opposizione è fortemente diviso sulla questione di un intervento straniero. La divisione è tra il movimento popolare, da un lato, e i “leader” della insurrezione armata supportati dagli Stati Uniti, che sono favorevoli a un intervento militare straniero su “basi umanitarie“. La maggioranza della popolazione libica, sia i sostenitori che gli oppositori del regime, sono fermamente contrari a qualsiasi forma di intervento esterno.

    Disinformazione dei Media
    I grandi obiettivi strategici che sono alla base della proposta di invadere la Libia non sono menzionati dai media. A seguito della campagna ingannevole dei media, in cui le notizie sono state letteralmente fabbricate senza riferire su quanto stava realmente accadendo sul terreno, un vasto settore dell’opinione pubblica internazionale ha sostenuto inflessibilmente un intervento straniero per motivi umanitari.
    L’invasione è sul tavolo del Pentagono. È previsto che verrà effettuata indipendentemente dalle richieste del popolo della Libia, tra cui gli oppositori del regime che hanno espresso la loro avversione all’intervento militare straniero in deroga alla sovranità della nazione.

    Schieramento delle forze aeronavali
    Se questo intervento militare fosse realizzato, sfocerebbe in una guerra totale, una guerra lampo, che implicherebbe il bombardamento di obiettivi militari e civili. A questo proposito, il generale James Mattis, comandante del Comando Centrale Usa, (USCENTCOM), ha lasciato intendere che la creazione di una “no fly zone” includerebbe de facto una campagna di bombardamento, puntando tra l’altro al sistema di difesa aereo della Libia: “Sarebbe un’operazione militare – non sarebbe giusto dire alla gente che si tratta di non far volare degli aeroplani [...] Si dovrebbe eliminare la difesa aerea per istituire una no-fly zone, quindi non facciamoci illusioni”13.
    Un massiccio schieramento navale di USA e alleati è stato dispiegato lungo le coste libiche. Il Pentagono sta muovendo le sue navi da guerra nel Mediterraneo. La portaerei USS Enterprise aveva attraversato il Canale di Suez pochi giorni dopo l’insurrezione14.
    Le navi da assalto anfibie statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge, sono state schierate nel Mediterraneo. 400 marine statunitensi sono stati inviati sull’isola greca di Creta “prima del loro impiego sulle navi da guerra al largo della Libia”15.
    Nel frattempo, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia sono in procinto di schierare navi da guerra lungo la coste libiche. La Germania ha dispiegato tre navi da guerra con il pretesto di assistere l’evacuazione dei profughi al confine tra Libia e Tunisia. “La Francia ha deciso di inviare la Mistral, la sua portaelicotteri che, secondo il Ministero della Difesa, contribuirà alla evacuazione di migliaia di egiziani”16.
    Il Canada ha inviato (2 marzo) la Fregata HMCS Charlottetown. Nel frattempo, la 17.ma US Air Force, denominata US Air Force Africa, dalla base Air Force di Ramstein in Germania assiste l’evacuazione dei rifugiati. Le strutture dell’aviazione USA-NATO in Gran Bretagna, Italia, Francia e Medio Oriente sono in standby.


    II
    L’“Operazione Libia” e la battaglia per il petrolio. Ridisegnare la mappa dell’Africa17

    Le implicazioni geopolitiche ed economiche di un intervento militare USA-NATO contro la Libia sono di vasta portata. La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti.
    L’“Operazione Libia” fa parte della più ampia agenda militare in Medio Oriente e Asia centrale, che consiste nel mettere sotto il controllo e la proprietà delle corporation oltre il sessanta per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale, compresi gli oleodotti e gasdotti. “I paesi musulmani tra cui Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Libia, Egitto, Nigeria, Algeria, Kazakhstan, Azerbaijan, Malaysia, Indonesia, Brunei, possiedono tra il 66,2 e 75,9% delle riserve petrolifere totali, a seconda della fonte e della metodologia della stima”18.
    Con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate (10 volte quelle dell’Egitto), la Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano, seguita da Nigeria e Algeria, mentre le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine dei 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration19.

    Il petrolio è il “trofeo” delle guerre USA-NATO
    Un’invasione della Libia servirebbe gli interessi delle imprese stesse, come l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. L’obiettivo di fondo è quello di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo20. 
    L’invasione pianificata della Libia che è d’altronde già in corso, è parte della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trovano nel bacino del Golfo dalla Sirte, nella Libia orientale. La Libia è una leva dell’economia: “La guerra fa bene agli affari“. Il petrolio è il trofeo delle guerre USA-NATO.
    Wall Street, i giganti petroliferi anglo-statunitensi, i produttori di armi USA-UE, sarebbero i beneficiari occulti di una campagna militare condotta da USA e NATO contro la Libia. Il petrolio libico è una manna per i giganti petroliferi anglo-statunitensi. Mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo del petrolio libico è estremamente basso, un dollaro al barile (secondo una stima). Un esperto del mercato petrolifero ha commentato, un po’ cripticamente: “A 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà alla Libia un margine di profitto di 109 dollari”21. 

    Gli interessi petroliferi stranieri in Libia
    Le compagnie petrolifere straniere che operavano prima dell’insurrezione in Libia erano la francese Total, l’italiana ENI, la China National Petroleum Corp. (CNPC), la British Petroleum, il consorzio petrolifero spagnolo REPSOL, ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips. 
    Va osservato che la Cina gioca un ruolo centrale nel settore petrolifero libico. La CNPC impiegava in Libia, prima del loro rimpatrio, 30.000 lavoratori cinesi. La British Petroleum (BP), invece, aveva 40 dipendenti britannici che sono stati rimpatriati. L’11% delle esportazioni di petrolio libico viene incanalato verso la Cina. Non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza della produzione e delle attività di esplorazione della CNPC, ma vi sono elementi che indicano la loro rilevanza. Più in generale, la presenza della Cina nel Nord Africa è considerata da Washington un’intrusione. Dal punto di vista geopolitico, quella della Cina è un’usurpazione. La campagna militare contro la Libia è tesa ad escludere la Cina dal Nord Africa.
    Altrettanto importante è il ruolo dell’Italia. L’ENI, il consorzio petrolifero italiano, estrae 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25% delle esportazioni totali della Libia22.
    Tra le aziende statunitensi in Libia, Chevron e Occidental Petroleum (Oxy) hanno deciso, appena 6 mesi fa (ottobre 2010), di non rinnovare le loro licenze di esplorazione di petrolio e gas in Libia23. Al contrario, nel novembre del 2010, la compagnia petrolifera della Germania, RW DIA E aveva firmato un accordo pluriennale di vasta portata con la libica National Oil Corporation (NOC), che implicava la condivisione delle esplorazioni e della produzione24.
    La posta finanziaria in gioco e il “bottino di guerra”, sono estremamente alti. L’operazione militare intende smantellare le istituzioni finanziarie della Libia, nonché confiscare i miliardi di dollari di attività finanziarie libiche depositati nelle banche occidentali. 
    Va sottolineato che le capacità militari della Libia, compreso il sistema di difesa aerea, sono deboli.

    Ridisegnare la mappa dell’Africa
    La Libia ha le maggiori riserve di petrolio in Africa. L’obiettivo dell’ingerenza USA-NATO è strategico: consiste nel vero e proprio furto, rubare la ricchezza petrolifera della nazione, sotto le mentite spoglie di un intervento umanitario. 
    Questa operazione militare tende a stabilire l’egemonia statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata dalla Francia e, in misura minore, dall’Italia e dalla Spagna. 
    Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington è quello di indebolire i legami politici di questi paesi con la Francia e spingere all’instaurazione di nuovi regimi politici che abbiano un rapporto stretto con gli Stati Uniti. Questo indebolimento della Francia è parte di un disegno imperiale degli Stati Uniti. È un processo storico che risale alle guerre in Indocina.
    L’intervento USA-NATO, diretto alla creazione di un regime fantoccio filoUSA, mira anche ad escludere la Cina dalla regione e a mettere fuori gioco la cinese National Petroleum Corp (CNPC). I giganti del petrolio anglo-statunitensi, tra cui British Petroleum, che hanno firmato un contratto di esplorazione nel 2007 con il governo di Gheddafi, sono tra i potenziali “beneficiari” dell’operazione militare che USA e NATO si propongono di effettuare.
    Più in generale, la posta in gioco è ridisegnare la mappa dell’Africa, un processo di rispartizione neo-coloniale, la demolizione delle demarcazioni della Conferenza di Berlino del 1884, la conquista dell’Africa da parte degli Stati Uniti in alleanza con la Gran Bretagna, in un’operazione condotta da USA e NATO.

    Libia: porta strategica sahariana sull’Africa centrale
    La Libia confina con molti paesi che sono nella sfera di influenza francese, tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad.
    Il Ciad è potenzialmente una ricca economia petrolifera. ExxonMobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto. Il Ciad meridionale è una porta sulla regione sudanese del Darfur. 
    La Cina ha interessi petroliferi in Ciad e Sudan. La China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo pluriennale con il governo del Ciad nel 2007.
    Il Niger è strategico per gli Stati Uniti a causa delle sue ingenti riserve di uranio. Attualmente, la Francia domina il settore dell’uranio in Niger attraverso il gruppo francese nucleare Areva, precedentemente conosciuto come Cogema. La Cina ha anche una partecipazione nel settore industriale dell’uranio del Niger.
    Più in generale, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti, nel loro tentativo di estendere la propria sfera di influenza nell’Africa francofona, un vasto territorio che si estende dal Nord Africa all’Africa centrale e occidentale. Storicamente questa regione era parte della Francia e dell’impero coloniale del Belgio, i cui confini sono stati stabiliti alla Conferenza di Berlino del 1884.
    Gli Stati Uniti svolsero un ruolo passivo nella Conferenza di Berlino del 1884. Questa nuova spartizione del continente africano nel XXI secolo, basata sul controllo di petrolio, gas naturale e minerali strategici (cobalto, uranio, cromo, manganese, platino e uranio) è ampiamente favorevole agli interessi dominanti delle corporation anglo-statunitensi.
    L’interferenza degli Stati Uniti in Nord Africa ridefinisce la geopolitica di un’intera regione. Ciò mina la presenza della Cina e mette in ombra l’influenza dell’Unione europea.
    Questa nuova spartizione dell’Africa non solo indebolisce il ruolo delle ex potenze coloniali (tra cui Francia e Italia) nel Nord Africa, ma è anche parte di un più ampio processo di emarginazione e indebolimento della Francia (e del Belgio) su gran parte del continente africano.
    Regimi fantoccio filoUSA sono stati installati in diversi paesi africani che storicamente erano nella sfera d’influenza della Francia (e del Belgio), compresa le Repubbliche del Congo e del Ruanda. Diversi paesi dell’Africa occidentale (tra cui la Costa d’Avorio) sono candidati a diventare stati filostatunitensi.
    L’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, l’85% del quale viene venduto ai paesi europei. Nel caso di una guerra con la Libia, le forniture di petrolio all’Europa occidentale potrebbero essere interrotte, interessando in gran parte Italia, Francia e Germania, che sono fortemente dipendenti dal petrolio libico. Il 30% del petrolio italiano e il 10% del suo gas sono importati dalla Libia. Il gas libico passa attraverso la pipeline Greenstream nel Mediterraneo. 
    Le implicazioni di queste interruzioni sono di vasta portata. Hanno anche un’influenza diretta sul rapporto tra Stati Uniti e Unione europea.

    Considerazioni conclusive
    I media principali, attraverso la disinformazione di massa, sono complici nel giustificare un programma militare che, se attuato, avrebbe conseguenze devastanti non solo per il popolo libico: l’impatto sociale ed economico sarebbe sentito in tutto il mondo.
    Ci sono attualmente tre distinti teatri di guerra nella più ampia regione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale: Palestina, Afghanistan, Iraq. Nel caso di un attacco contro la Libia, un quarto teatro di guerra si aprirebbe in Nord Africa, con il rischio di una escalation militare. 
    L’opinione pubblica deve tener conto del programma nascosto dietro questo presunto impegno umanitario, annunciato dai capi di Stato e di governo dei paesi della NATO, come una “guerra giusta”. La teoria della guerra giusta, in entrambe le sue versioni, classica e contemporanea, sostiene la guerra come “operazione umanitaria“. Chiede un intervento militare per motivi etici e morali contro gli “stati canaglia” e i “terroristi islamici“. La demonizzazione del regime di Gheddafi serve da supporto alla teoria della guerra giusta.
    I capi di Stato e di governo dei paesi della NATO sono gli architetti della guerra distruttiva in Iraq e in Afghanistan. In una logica totalmente distorta, si spacciano come voce della ragione, come rappresentanti della “comunità internazionale”.
    La realtà è capovolta. Un intervento umanitario è lanciato da criminali di guerra in alta uniforme, che sono i guardiani della Teoria della Guerra Giusta. Abu Ghraib, Guantanamo,... Le vittime civili in Pakistan, in seguito agli attacchi dei droni USA su città e villaggi, ordinati dal presidente Obama, non sono notizie da prima pagina, né lo sono i due milioni di morti civili in Iraq. Non esiste la “Guerra Giusta”.
    Bisognerebbe comprendere bene la storia dell’imperialismo degli Stati Uniti. La relazione del 2000 del Progetto del Nuovo Secolo Americano (Project of the New American Century: PNAC) intitolato “Rebuilding America’s Defense”, chiama all’attuazione di una lunga guerra, una guerra di conquista. Uno dei componenti principali di questa agenda militare è “combattere e vincere in modo decisivo in diversi teatri di guerra contemporaneamente”. L’Operazione Libia è parte di questo processo. Si tratta di un altro teatro nella logica del Pentagono dei “teatri di guerre simultanei”. 
    Il documento del PNAC rispecchia fedelmente l’evoluzione della dottrina militare degli Stati Uniti dal 2001. Gli Stati Uniti pianificano di essere coinvolti contemporaneamente in diversi teatri di guerra in diverse regioni del mondo. Mentre proteggere gli USA, vale a dire la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti d’America, è accolto come un obiettivo, il rapporto PNAC spiega perché questi diversi teatri di guerra sono necessari. La motivazione umanitaria non è menzionata.

    Qual è lo scopo della roadmap militare degli USA?
    La Libia è presa di mira in quanto è uno dei paesi al di fuori della sfera d’influenza degli USA, che non si conformano alle pretese degli Stati Uniti. La Libia è un paese che è stato selezionato come parte di una “road map” militare, fatta di “teatri multipli di guerre simultanei”. Nelle parole dell’ex comandante della NATO, Wesley Clark: “Nel Pentagono, nel novembre 2001, uno dei più alti ufficiali ebbe il tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l’Iraq, ha detto. Ma c’era di più. Questo è stato oggetto di discussione nell’ambito della pianificazione di una campagna quinquennale, e vi rientra un totale di sette paesi, a partire dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan...”25.

    * Insegna economia nell’Università di Ottawa, in Canada, è Direttore del Centre for Research on Globalization (CRG), attivo nel movimento canadese contro la guerra. Tra i suoi lavori: Globalizzazione della povertà e Nuovo Ordine Mondiale. EGA Edizioni Gruppo Abele, 2003.

    NOTE

    1 Pubblicato il 7 3 2011 su http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23548 .

    2 Cfr. Manlio Dinucci, “Libia. Quando la memoria storica è azzerata. Se sventolano in piazza le bandiere di re Idris”, il manifesto, 26.2.2011.

    3 Bradley Klapper, “Clinton: US ready to aid to Libyan opposition”, Associated Press, 27.2.2011,http://news.yahoo.com/s/ap/20110228/ap_on_re_us/us_us_libya.

    4 Manlio Dinucci, “Il Pentagono riposiziona tutte le forze navali”, il manifesto, 2.3.2011.

    5 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, Libyaonline.com,http://www.libyaonline.com/business/details.php?

    6 Bradley Klapper, op. cit., corsivo di MC.

    7 “US military advisers in Cyrenaica”, DEBKAfile, 25.2.2011,http://www.debka.com/article/20708/.

    8 “Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report”, Indian Express, 6.3.2011, http://www.indianexpress.com/news/top-uk-commandos-captured-by-rebel-forces-in-libya-report/758631, corsivo di M.C.

    9 “UK diplomatic team leaves Libya”, in World – CBC News, 6.3.2011, http://www.cbc.ca/news/world/story/2011/03/06/libya-britain.html?

    10 Reuters, 6.3.2011.

    11 “Brit held with SAS in Libya was spy “, The Sun, 7.3.2011, http://www.thesun.co.uk/sol/homepage/news/3450244/Brit-held-with-SAS-in-Libya-was-spy.html

    12 Debkafile, “Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel”, 5.3.2011, http://www.debka.com/article/20731/.

    13 “US general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya”, Mail Online, 5.3.2011, http://globalresearch.ca/index.php?

    14 Cfr. http://www.enterprise.navy.mil.

    15 «“Operation Libya”: US Marines on Crete for Libyan deployment», Times of Malta, 3.3.2011, http://www.timesofmalta.com/.

    16 “Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean”, Agenzia Giornalistica Italia, 3.3.2011.

    17 http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23605.

    18 Cfr. M. Chossudovsky, «The "Demonization" of Muslims and the Battle for Oil», in Global Research, 4.1.2007, .http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=4347

    19 Cfr. http://www.eia.doe.gov/oil_gas/natural_gas/data_publications/crude_oil_natural_gas_reserves/cr.html. Le più recenti stime pongono le riserve di petrolio della Libia a 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di mc. La sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della propria capacità produttiva. Il suo obiettivo a più lungo termine è di tre milioni di barili al giorno ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno, secondo i dati della National Oil Corporation (NOC). La (alternativa) BP Statistical Energy Survey (2008) poneva le riserve accertate di petrolio della Libia a 41,464 milioni di barili alla fine del 2007, che rappresenta il 3,34% delle riserve mondiali accertate (Mbendi, “Oil and Gas in Libya – Overview”,http://www.mbendi.com/indy/oilg/af/lb/p0005.htm).

    20 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, in Libyaonline.com,http://www.libyaonline.com/business/details.php?id=17260.

    21 “Libya Oil, Libya Oil One Country’s $109 Profit on $110 Oil”, EnergyandCapital.com, 12.3.2008,http://www.energyandcapital.com/articles/libya-oil-price/640.

    22 Sky News, “Foreign oil firms halt Libyan operations”, 23.2.2011, http://www.skynews.com.au/businessnews/article.aspx?id=580994.

    23 Voice of Russia, “Why are Chevron and Oxy leaving Libya?”, 610.2010, http://english.ruvr.ru/2010/10/06/24417765.html.

    24 AfricaNews “Libya: German oil firm signs prospecting deal”, 26.11.2010, http://www.africanews.com/site/list_message/32024.

    25 Wesley Clark, Winning Modern Wars, PublicAffairs; 1 edition, October 2003, p.130


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    Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?*

    di Diana Johnstone**

    su www.globalresearch.ca del 16/03/2011


    I cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue. Gli USA portarono all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia.

    Somiglianze inquietanti tra la “guerra umanitaria” per il Kosovo e l’attuale situazione libica: martellante campagna di menzogne mediatiche, demonizzazione del leader, ricorso al Tribunale Penale Internazionale, strumentalizzazione dei profughi, rifiuto dei negoziati...


    Meno di 12 anni dopo che la NATO ha bombardato una Jugoslavia a pezzi e distaccato la provincia del Kosovo dalla Serbia, ci sono segni che l’alleanza militare si prepara ad un’altra piccola vittoriosa “guerra umanitaria”, questa volta contro la Libia. Le differenze sono, ovviamente, enormi. Ma diamo un’occhiata ad alcune somiglianze inquietanti.

    Un leader demonizzato
    Come “nuovo Hitler”, l’uomo che amate odiare e avete necessità di distruggere, Slobodan Milosevic, era un neofita nel 1999 rispetto a Muammar Gheddafi oggi. I media ebbero meno di un decennio per trasformare Milosevic in un mostro, mentre con Gheddafi, hanno avuto diversi decenni. E Gheddafi è più esotico, parla poco l’inglese e compare davanti al pubblico in abiti che potrebbero essere stati creati da John Galliano (recentemente smascherato come un altro mostro). Questo aspetto esotico suscita derisione e disprezzo verso le culture native su cui l’Occidente ha ottenuto le sue vittorie, con cui ha colonizzato l’Africa, con cui il Palazzo d’Estate a Pechino è stato devastato dai soldati occidentali, che combattevano per rendere il mondo sicuro per la dipendenza da oppio.

    Il coro del “dobbiamo fare qualcosa”
    Come con il Kosovo, la crisi in Libia è vista dai falchi come un’opportunità per affermare la propria potenza. L’ineffabile John Yoo, il consulente legale che ha allenato l’amministrazione Bush II sui benefici della tortura dei prigionieri, ha usato il Wall Street Journal per consigliare l’amministrazione Obama ad ignorare la Carta dell’ONU e a saltare nella mischia libica. “Mettendo da parte le regole arcaiche delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti possono salvare vite umane, migliorare il benessere generale e al tempo stesso servire i propri interessi nazionali”, ha dichiarato J. Yoo. E un altro teorico dell’imperialismo umanitario, Geoffrey Robertson, ha detto a The Independent che, nonostante le apparenze, violare il diritto internazionale è legale.

    Lo spettro dei “crimini contro l’umanità” e del “genocidio” è invocato per giustificare la guerra.
    Come con il Kosovo, un conflitto interno tra governo e ribelli armati è presentato come una “crisi umanitaria” in cui solo una parte, il governo, viene considerata “criminale”. Questa criminalizzazione a priori è espressa, facendo appello a un organo giudiziario internazionale per indagare su presunti crimini che avrebbe commesso o starebbe sul punto di commettere. Nel suo editoriale, Geoffrey Robertson chiarisce cristallinamente come il Tribunale penale internazionale sia utilizzata per preparare il terreno a un possibile intervento militare. Ha spiegato come il TPI possa essere utilizzata dall’Occidente per aggirare il rischio di un veto da parte del Consiglio di Sicurezza sull’azione militare. “Nel caso della Libia, il Consiglio ha almeno un precedente importante, approvando all’unanimità un riferimento al Tribunale penale internazionale. [...] Allora, che cosa succede se gli accusati libici non-arrestati aggravano i loro crimini – ad esempio con l’impiccagione o la fucilazione a sangue freddo di loro avversari, potenziali testimoni, civili, giornalisti e prigionieri di guerra?” [Notare che finora non ci sono “imputati” né vi è evidenza alcuna di “crimini" che questi supposti imputati potrebbero "aggravare" in diversi modi immaginari. Ma Robertson è desideroso di trovare un modo affinché la NATO "accetti la sfida", se il Consiglio di Sicurezza decidesse di non fare nulla]. “Le imperfezioni del Consiglio di sicurezza richiedono il riconoscimento ad una alleanza come la NATO di un diritto limitato, senza mandato, ad usare la forza per prevenire la commissione di crimini contro l’umanità. Tale diritto sorge quando il Consiglio ha individuato una situazione come minaccia alla pace nel mondo (e quindi individua la Libia, deferendola, all’unanimità, al procuratore del Tribunale penale internazionale)”.
    Quindi, deferire un paese davanti a un procuratore del TPI può essere un pretesto per fare la guerra contro questo paese! Per inciso, la giurisdizione del Tribunale penale internazionale è destinata ad applicarsi a stati che hanno ratificato il trattato che la istituisce, il che, a mio avviso, non è il caso della Libia – o degli Stati Uniti Stati. Una grande differenza, tuttavia, è che gli Stati Uniti sono stati in grado di convincere, intimidire o corrompere molti degli Stati firmatari ad accettare degli accordi nei quali mai, in nessuna circostanza, si deferiscono per un qualsiasi reato degli statunitensi davanti al Tribunale penale internazionale. È un privilegio negato a Gheddafi.
    Robertson, membro del consiglio di giustizia delle Nazioni Unite, conclude che: «il dovere di fermare un massacro di innocenti, come meglio possiamo fare, se chiedono il nostro aiuto, ha “cristallizzato” il fatto che per la NATO utilizzare la forza non è solo “legittimo”, ma “legale”».

    L’idiozia della sinistra
    Dodici anni fa, la maggior parte della sinistra europea ha sostenuto “la guerra in Kosovo”, che ha messo la NATO sulla strada senza fine che segue ancora oggi in Afghanistan. Non avendo imparato nulla, molti sembrano pronti a ripetersi. Una coalizione di partiti che si autodefinisce Sinistra europea, ha pubblicato una dichiarazione che “condanna fermamente la repressione perpetrata dal regime criminale del colonnello Gheddafi” e invitano la UE a condannare “l’uso della forza e ad agire rapidamente per proteggere coloro che dimostrano pacificamente e combattono per la loro libertà”. Nella misura in cui l’opposizione a Gheddafi non è esattamente una “protesta pacifica”, ma ha in parte preso le armi, ciò significa condannare l’uso della forza da parte di alcuni e non di altri – ma è improbabile che i politici che hanno redatto questa dichiarazione si rendano conto di ciò che dicono.
    I paraocchi della sinistra sono illustrati dalla dichiarazione di un documento trotskista secondo cui: “Di tutti i crimini di Gheddafi, senza dubbio il più grave e meno conosciuto è la sua complicità nella politica migratoria della UE...”. Per l’estrema sinistra, il più grande peccato di Gheddafi è quello di cooperare con l’Occidente, e anche l’Occidente deve essere condannato per aver cooperato con Gheddafi. Questa è una sinistra che finisce nella pura confusione; è come fare il tifo per la guerra.

    I rifugiati
    La massa di profughi in fuga dal Kosovo, quando la NATO ha iniziato la sua campagna di bombardamenti, è stata utilizzata per giustificare i bombardamenti, senza un’indagine indipendente sulle diverse cause di questo esodo temporaneo – una delle cause principali fu probabilmente il bombardamento stesso. Oggi, dai report dei media sul numero di profughi che lasciano la Libia da quando sono iniziate le agitazioni, il pubblico potrebbe avere l'impressione che essi stiano fuggendo dalla persecuzione di Gheddafi. Come spesso accade, i media si concentrano solo sull’immagine superficiale, senza cercare una spiegazione. Un po’ di riflessione può colmare il vuoto informativo. È molto improbabile che Gheddafi abbia respinto i lavoratori stranieri che il suo governo ha fatto giungere in Libia per lavorare ai grandi progetti infrastrutturali. Invece, è chiaro che alcuni dei ribelli ‘democratici’ hanno attaccato i lavoratori stranieri per pura xenofobia. L’apertura di Gheddafi agli africani neri in particolare, ha sconvolto un certo numero di Arabi. Ma non bisogna dire troppo su ciò, poiché ora sono i nostri "bravi ragazzi". È un po’ il modo in cui le aggressioni albanesi ai Rom in Kosovo, furono trascurate o giustificate dagli occupanti della NATO, con la motivazione che “i Rom avevano collaborato con i serbi”.

    Osama bin Laden
    Un’altra somiglianza tra l’ex Jugoslavia e la Libia, è che gli Stati Uniti (e i loro alleati della NATO) si ritrovano dalla stessa parte del loro vecchio amico dai tempi dei Mujahidin afghani, Osama bin Laden. Osama bin Laden è stato un discreto alleato del partito islamista di Alija Izetbegovic, durante la guerra civile in Bosnia, un fatto che è stato completamente trascurato dalle potenze della NATO. Naturalmente, i media occidentali hanno in gran parte respinto come il delirio di un pazzo la tesi corrente di Gheddafi, secondo cui egli sta combattendo contro bin Laden. Tuttavia, la lotta tra Gheddafi e bin Laden è molto reale ed è precedente agli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono.
    In effetti, Gheddafi è stato il primo a cercare di segnalare all’Interpol bin Laden, ma non ha ottenuto la collaborazione da parte degli Stati Uniti. Nel novembre 2007, l'agenzia di stampa francese AFP ha riferito che i leader del “Gruppo islamico combattente” in Libia avevano annunciato che aderivano ad al-Qaeda. Come i mujahidin che hanno combattuto in Bosnia, il gruppo islamista libico è stato creato nel 1995 da veterani della lotta - sponsorizzata dagli USA - contro i sovietici in Afghanistan, negli anni ‘80. Il loro obiettivo dichiarato era quello di rovesciare Gheddafi e di creare uno stato islamico radicale. La base dell’Islam radicale è sempre stata la parte orientale della Libia, dove è scoppiata la rivolta in corso. Poiché questa ribellione non ha niente delle manifestazioni di massa pacifiche che hanno rovesciato i dittatori in Tunisia ed Egitto, ma ha visibilmente una componente di militanti armati, si può ragionevolmente presumere che gli islamisti stiano prendendo parte alla ribellione.

    Il rifiuto dei negoziati
    Nel 1999, gli Stati Uniti erano disposti ad utilizzare la crisi in Kosovo per dare al nuovo ruolo “fuori area” della NATO il battesimo del fuoco. La farsa dei colloqui di pace di Rambouillet fu affondata dal segretario di Stato USA Madeleine Albright, che mise da parte i dirigenti albanesi del Kosovo più moderati a favore di Hashim Thaci, il giovane leader dell’”Esercito di Liberazione Kosovo” [UCK], una rete notoriamente legata ad attività criminali. C’era un po’ di tutto tra i ribelli albanesi del Kosovo, ma come spesso accade, gli Stati Uniti arrivarono e scelsero il peggio.
    In Libia, la situazione potrebbe essere peggiore.
    La mia impressione, anche in seguito alla mia visita a Tripoli quattro anni fa, è che nella ribellione attuale vi sia una ben maggiore varietà di componenti, con gravi potenziali contraddizioni interne. A differenza dell’Egitto, la Libia non è uno stato molto popoloso, con migliaia di anni di storia alle spalle, un forte senso dell’identità nazionale e una cultura politica consolidata. Mezzo secolo fa, era uno dei paesi più poveri del mondo, e non è ancora completamente uscita dalla struttura clanica. Gheddafi, con i suoi modi di fare eccentrici, è stato un fattore di modernizzazione, utilizzando i proventi del petrolio per elevare il tenore di vita a un livello tra i più alti del continente africano. L’opposizione viene, paradossalmente, sia da tradizionalisti islamici reazionari da un lato, che lo considerano un eretico per le sue vedute relativamente progressiste, sia, dall’altro, dai beneficiari della modernizzazione occidentalizzati, che sono ostacolati dall’immagine di Gheddafi e desiderano ancora più modernizzazione. E ci sono altre tensioni che possono portare alla guerra civile e, addirittura, alla frattura del paese lungo linee geografiche.
    Fino ad ora, i cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue di quello che si è attualmente verificato. Gli Stati Uniti hanno portato all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia, dove è ancor più grande l’ignoranza dell’Occidente su ciò che essi starebbero facendo.
    La proposta di Chavez di una mediazione neutrale per evitare il disastro, è la via della saggezza. Ma in NATOland la nozione stessa di risoluzione dei problemi attraverso la mediazione pacifica, piuttosto che con la forza, sembra essersi volatilizzata.

    8 marzo 2011

    * Tratto dal sito http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23590
    ** Diana Johnstone è autrice del libro Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions, Monthly Review Press; 2003.



    MAI FIDARSI DEGLI ITALIANI !


    << (...) Articolo 3
    Non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza
    Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego
    della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica
    dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta
    delle Nazioni Unite,
    (...) Articolo 4
    Non ingerenza negli affari interni
    1. Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o
    indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella
    giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon
    vicinato.
    2. Nel rispetto dei principî della legalità internazionale, l’Italia
    non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto
    ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei
    propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia. >>


    (dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la
    Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare
    Socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008:
    http://it.wikisource.org/wiki/Trattato_Di_Amicizia,
    _Partenariato_E_Cooperazione_Tra_La_Repubblica_Italiana_E_La_Grande_Giamahiria_Araba_Libica_Popolare_Socialista
    )



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    Confine orientale italiano, occupazione fascista dei Balcani e foibe

    Manifestazione organizzata dal Partito della rifondazione comunista di Viterbo, in collaborazione con i comitati provinciali Anpi e Arci e associazione Fata Morgana 

    Sala Gatti, via Macel Gattesco, Viterbo 
    25 marzo - 3 aprile 2011
     

    “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”
    Benito Mussolini, Trieste, 1920 


    venerdì 25 marzo, ore 17,00
    Inaugurazione della mostra: 
    “Testa per dente”, Crimini fascisti in Jugoslavia, 1941-1945 
    [ https://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente.htm ]
    alla presenza dell'autore Paolo Consolaro (Pol Vice).
    A seguire, musica dai Balcani con i 
    Gadje Niglos

    Sabato 26 e domenica 27 marzo, ore 16,00-17,30
    Seminario di danze slave, a cura di Maria Vittoria Bosco 

    venerdì 1° aprile, ore 17,00
    Crimini di guerra in Jugoslavia, per una storia fuori dal mito
    Incontro con:
    Davide Conti (Fondazione Lelio Basso - sezione internazionale, Roma) 
    Alessandra Kersevan (gruppo Resistenzastorica, Udine).
    Per l’occasione, Conti presenta il suo ultimo libro Criminali di guerra italiani, Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra (Roma, Odradek, 2011)
    https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#conti2011 ]

    sabato 2 aprile, ore 17,00 
    Il carattere internazionalista della Resistenza nei Balcani e in Italia
    Andrea Martocchia (Onlus Coordinamento nazionale per la Jugoslavia) presenta il suo libro I Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana (Roma, Odradek, 2011)
    [ https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#partigiani2011 ]
    Giuliano Calisti (Anpi Cp Viterbo), presenta il suo documentario Pokret (Avanti!), Partigiani italiani nella Resistenza jugoslava (1943-45), Interviste a Rosario Bentivegna, Zarko Besenghi, Avio Clementi, e allo storico Davide Conti (35’_dvd_Italia_2009)

    Orario mostra: 17,00 - 20,00. Mattina riservato alle scuole, visita su prenotazione. Tel.: 338/7222658


    PER INFO: anpi.vt@...




    La Libia, Gramsci e il “dogmatismo storico”

    di Emiliano Alessandroni

    su l'Ernesto Online del 14/03/2011

    Il regime di Gheddafi costituisce un esempio di cesarismo progressivo o regressivo? Le forze politiche e sociali a cui è legato sul piano nazionale e internazionale sono progressive o regressive? Questo sarebbe il piano giusto su cui condurre le analisi


    A proposito di Libia. Invece degli schemi semplicistici del “popolo buono” contro il “tiranno cattivo”, “democrazia” versus “dittatura” sarebbe molto più utile attualizzare la riflessione gramsciana su “cesarismo progressivo” e “cesarismo regressivo”. 

    Le posizioni sulla questione libica diffuse oggi in Italia e, più estensivamente, in Occidente, sembrano esprimere una forma di “dogmatismo storico” profondamente significativo sul quale vale la pena formulare alcune considerazioni. Si potrebbe entrare nel vivo della questione dibattuta affermando che non solo il popolo libico non è stato affamato dal proprio governo (il quale in alcuni decenni ha trasformato il proprio paese da uno dei più poveri del mondo qual era – in cui allora veramente si moriva di fame – ad uno dei più ricchi e moderni del continente africano, facendo uscire milioni di persone da una condizione di denutrizione e morte per inedia permanente), ma lo stesso popolo in rivolta lamenta non già la fame, quanto la mancanza di libertà positiva. Si potrebbe aggiungere che in realtà non esiste un popolo libico in rivolta, come in maniera assillante si continua a ripetere, bensì una parte della popolazione (per lo più proveniente dalla regione Cirenaica) che è antigovernativa ed un'altra ampia fetta di popolazione (per lo più proveniente dalla regione Tripolitania, e anch'essa composta di uomini, donne, vecchi e bambini), schierata orgogliosamente in difesa del proprio governo. Si potrebbe affermare che lo sventolamento delle bandiere del vecchio Re Idris (Cfr. Antonio Ferrari: E se in Libia la via di uscita fosse un re?, “Corriere della Sera” 1.3.2011) da parte dei rivoltosi, costituisce uno fra gli esempi che attestano la base retrograda dei convincimenti ideologico-politici di una cospicua componente degli oppositori. Si potrebbe parlare delle centinaia di consulenti militari USA, inglesi, e francesi, con la compresenza dei rispettivi servizi segreti, entrati in Cirenaica per fornire sostegno alla rivolta (Cfr. US military advisers in Cyrenaica, Debkafile 25.2.2011 e SkyTg24 25.2.2011). E si potrebbe andare avanti così per ore, adducendo esempi su esempi, ma ciò non risolverebbe quella che appare, a mio modo di vedere, come la questione fondamentale, ovvero il caso di “dogmatismo storico” di cui, come dicevo, mi sembra vittima gran parte dell'intellighenzia moralista occidentale, la quale, per seguire le consuetudini del proprio tempo, ha preferito chiudere i conti con il marxismo e le sue categorie concettuali, salvo poi sostituirle con termini postmoderni più alla moda e, così facendo, smarrire il senso della realtà e delle sue interconnessioni dialettiche. Tra questi termini fuorvianti vi sono quelli di “dittatore” o di “tiranno”. Sono termini che confondono gli avvenimenti anziché chiarirli come pretenderebbero di fare, giacché presuppongono l'esistenza di un'unica persona capace di governare per un lungo periodo un territorio, in odio e in svantaggio a tutti i suoi abitanti: ciò da un punto di vista storico è impossibile. Gramsci nei Quaderni del Carcere compie tutta una serie di studi su come nessuna formazione dirigenziale possa esistere senza una dose di consenso dalla sua parte, e senza essere legata a determinate forze sociali. Anche Berlusconi sarebbe ben poca cosa senza il sostegno dell'imprenditoria italiana, e persino il re Carlo Magno esprimeva il potere dei gruppi feudali. Gramsci non parla mai in carcere di “tiranni” o “dittatori”, ma di “cesarismi” o “bonapartismi”. Questi, spiega, non scaturiscono da capricci individuali di questo o quell'altro dittatore, ma da particolari condizioni oggettive: «si può dire che il cesarismo o bonapartismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca»; in questi casi «la soluzione» viene «affidata ad una grande personalità» (Quaderni del carcere, ed critica, Einaudi 1975, p. 1194), a «uomini provvidenziali o carismatici» (p. 1603); si verifica pertanto in questi casi una forte «influenza dell'elemento militare nella vita statale»; e tuttavia, ci tiene a precisare Gramsci, ciò non significa soltanto «influenza e peso dell'elemento tecnico-militare, ma influenza e peso dello strato sociale da cui l'elemento tecnico-militare (specialmente gli ufficiali subalterni) trae specialmente origine» (p. 1608); il cesarismo d'altronde «non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e un cesarismo regressivo, e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare, sia pure con certi compromessi limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente […] Si tratta di vedere se nella dialettica “rivoluzione-restaurazione” è l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni “in toto”» (pp. 1194-1195). 
    Gramsci afferma in sostanza che vi sono tutta una serie di circostanze storiche nelle quali la scelta ricade oggettivamente non già tra una democrazia ed una dittatura, tra libertà e cesarismo, bensì tra un “cesarismo progressivo” ed un “cesarismo regressivo”. Tutto questo, in seguito alla damnatio memoriae del marxismo, la maggior parte degli intellettuali lo ignora completamente, preferendo barcamenarsi confusamente con gli schemi più semplici e folkloristici del “popolo buono” contro il “tiranno cattivo”. Ma basterebbe rifletterci un momento per comprendere come tale manicheismo non soltanto confonda le cose ma, essendo viziato ideologicamente, le confonde in favore di una parte storica ben determinata: chi ha rivestito nei media il ruolo di dittatore o di tiranno negli ultimi due decenni? A seconda della convenienza del momento, queste categorie sono state attribuite a Saddam Hussein, a Miloševic, ad Ahmadinejad, a Hugo Chavez, a Morales, ad Arafat, a Fidel Castro, a Hu Jintao, a Putin, a Hamas, ed ora a Gheddafi, in sostanza, crudeli tiranni e feroci dittatori diventano a mano a mano tutti quei capi di governi non allineati agli Stati Uniti o che guardano agli USA in maniera più o meno dichiaratamente ostile. 
    La cultura moralista che ha sostituito il materialismo storico e l'analisi dialettica con la teratologia e le narrazioni psicopatologiche, si rifiuta, o fa difficoltà a comprendere, quel che aveva invece ben compreso Gramsci: e cioè non soltanto che esistono dei “cesarismi progressivi”, ma che questi costituiscono spesso una necessità oggettiva la cui alternativa sarebbe un “cesarismo regressivo” con danni storici di durata epocale. Questa cultura, anziché restringere i propri orizzonti intellettivi, farebbe meglio a riprendere in mano tali categorie e ad applicarle anche alle vicende attuali; occorre domandarsi: posta “l'influenza dell'elemento militare sulla vita statale”, il regime di Gheddafi costituisce un esempio di “cesarismo progressivo” o di “cesarismo regressivo”? Vale a dire: le forze politiche e sociali che esso sostiene e a cui è legato sul piano nazionale e su quello internazionale sono forze progressive o forze regressive? Questo sarebbe il piano giusto sul quale bisognerebbe condurre le analisi: l'enfasi ribellistica indeterminata e le storielle sui tiranni psicopatici lasciamole ai bambini; fanno parte dell'armamentario retorico, dei nuovi Psychological Strategy Board, possono essere buone per fare politica, ma nove volte su dieci vengono giostrate dall'alto e non hanno nulla a che vedere con la verità effettuale.




    QUESTA E' L'EUROPA CHE IMPARTISCE LEZIONI DI DEMOCRAZIA E DIRITTI UMANI AGLI ALTRI
    THIS IS THE SORT OF EUROPE WHICH PRETENDS TO TEACH DEMOCRACY AND HUMAN RIGHTS TO OTHERS


    http://italian.ruvr.ru/2011/03/17/47553824.html


    (Corteo dei Legionari a Riga, Unione Europea, 17 marzo 2011.
    Segnalato da C. Carpinelli)




    (deutsch / italiano / srpskohrvatski)

    1) RCA 15/3: Voce jugoslava 

    2) Leipzig 20/3: Das andere Serbien auf der Leipziger Buchmesse


    === 1 ===

    * Jugoslavenski glas - Voce jugoslava *                "Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."  
    Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio,  emisija: JUGOSLAVENSKI GLAS  Moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm   Pisite nam na jugocoord@...   Podrzite ovaj glas, kupovanjem nasih brosura, video kazeta i t.sl. Odazovite se.  Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio: VOCE JUGOSLAVA  Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio, via Internet: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm  La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità).  Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@...  Sostenete questa voce libera e indipendente  acquistando video cassette, libri, bollettini a nostra disposizione.                           Program     15.III.2011     Programma   - Povodom 5. godisnjice Miloseviceve smrti. Manifestacija u Becu    Razgovaramo telefonski sa Vladimirom Krsljaninom iz Narodnog Pokreta Srbije i clana Komiteta za obranu Milosevica (CDSM)  - O Kosovu i "okolici". 

     - Il 5. anniversario della morte di Slobodan Milosevic. Manifestazione a Vienna.    Ne parliamo telefonicamente con Vladimir Krsljanin del Movimento Popolare della Serbia (NPS) e membro del Comitato per la Difesa di S. Milosevic (CDSM)  - Succede in... Kosovo e dintorni 


    === 2 ===

    Anläßlich des Serbien-Schwerpunkts der diesjährigen Buchmesse Leipzig
    freuen wir uns, euch eine Veranstaltung ankündigen zu können, die auf der Messe der geläufigen Propaganda eine Auswahl von Büchern jenseits der vorherschenden Meinung zum Thema entgegensetzt.
     
    Sonntag, 20.03.2011, 13:45-16:30, "Leipzig liest", Forum International, Halle 4, Stand B60

    Zielscheibe Serbien: Krieg, Kontrolle und Siegerjustiz durch die NATO - eine Auswahl unbequemer Bücher

    Gemeinschaftsveranstaltung von Zambon Verlag, Promedia Verlag und junge Welt, 
    Mitwirkende: Hannes Hofbauer, Germinal Civikov, Klaus Hartmann, Cathrin Schütz. Moderation: Rüdiger Göbel (junge Welt)

    Die im Rahmen der  "Zielscheibe Serbien: Krieg, Kontrolle und Siegerjustiz durch die NATO, eine Auswahl unbequemer Bücher" vorgestellten Titel im einzelnen:

    * Der Milosevic Prozeß: Autor: Germinal Civikov, Promedia Verlag (Wien)

     

    * Mira Markovic: Erinnerungen einer roten Hexe, Autor: Giuseppe Zachrias, Zambon Verlag (Frankfurt am Main)

     

    * Experiment Kosovo: Die Rückkehr des Kolonialismus, Autor: Hannes Hofbauer, Promedia Verlag (Wien)

    * Die Zerstörung Jugoslawiens: Slobodan Milosevic antwortet seinen Anklägern, Hg: Klaus Hartmann, Zambon Verlag (Frankfurt am Main)

    * Srebrenica. Der Kronzeuge. Autor: Germinal Civikov, Verlag: Promedia Verlag (Wien)