Informazione

[Aggiornamento 26.2.2019: TESTO e AUDIO] Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista

(hrvatskosrpski / slovenščina / français / italiano)
 
Giorno del Ricordo, attacco frontale contro i vicini sloveni e croati
 
1) Prossime iniziative segnalate
– San Stino di Livenza (VE) 16/2
– Empoli (FI) 17/2
– Roma 24/2
2) Tajani andrà a San Sabba. Novelli (FI): "Gravissimo errore aver inserito le Valli del Natisone e Resia e la "romana" Forum Iulii all'interno delle zone di tutela della minoranza linguistica slovena" (da Il Messaggero Veneto, 13.2.2019)
3) Reakcija na skandalozni završetak govora predsjednika Europskog parlamenta (SRP, 12. veljače 2019.)
4) "Viva Istria e Dalmazia italiane", sdegno in Croazia e Slovenia per le frasi di Antonio Tajani (La Repubblica / Radio Capodistria)
 
 
Nel frattempo... commemorazione partigiana in Slovenia – dalla pagina FB di Igor Jerele, 11.2.2019:
1.SPOMINSKI DOLENJSKI BATALJON se je danes 10.2.2019 poklonil spominu na hrabre borce XIV divizije
 
Scarica di insulti a Eric Gobetti sulla pagina FB dell'Unione degli Istriani:
 
FLASHBACK: La storica smaschera il revisionismo e Vespa s'infuria (Libero Pace, 10 feb 2018)
La storica Alessandra Kersevan smaschera le strategie del revisionismo storico sulla questione delle foibe a "Porta a porta". Bruno Vespa s'infuria...
 
Altri link:
 
NATIONALISME : AVIS DE TEMPÊTE POUR LA MINORITÉ SLOVÈNE D’ITALIE (Courrier des Balkans | De notre correspondant à Ljubljana | jeudi 14 février 2019)
Montée de l’intolérance, suppression des aides à la presse et enfin nouvelle loi électorale qui rendra virtuellement impossible l’élection de députés slovènes. L’année 2019 s’annonce très difficile pour la minorité slovène d’Italie, qui compte de 70 000 à 100 000 membres...
 
“PRESIDENTE MATTARELLA NON SI UNISCA PIÙ AL CORO CHE FOMENTA L’ODIO”. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE MATTARELLA (di Stojan Spetič, già senatore del PCI, 13 febbraio 2019)
... Vede, Signor Presidente, la legge istitutiva del Giorno del Ricordo fissa la data del 10 febbraio che invece dovrebbe essere una festa per ricordare la firma del Trattato di pace a Parigi nel 1947 quando 21 paesi della vittoriosa alleanza antifascista riconobbero, grazie alla Resistenza che la riscattò, l’Italia come paese cobelligerante e quindi parte della comunità dei paesi democratici e civili, mentre la Germania e l’Austria vennero divise in zone di occupazione militare...
 
PRESIDENTE, NEGAZIONISTA A CHI? TRIESTE NEL GIORNO DEL RICORDO (di Roberto Caligiuri, su Il Manifesto del 10.02.2019)
... In effetti, il clima cittadino si è riscaldato fin dai primi di gennaio: la presentazione del libro di Claudia Cernigoi sulle foibe triestine (Operazione Plutone, ed. KappaVu) sollecita il governatore leghista della regione Fedriga a bacchettare il sindacato dei giornalisti per essere «veicolo di promozione di un convegno negazionista sulle foibe» e la Rai per essere «tv di parte, con un chiaro indirizzo politico». E ancora, sulle foibe, la politica regionale disegna convergenze sorprendenti: di nuovo Fedriga guadagna il sostegno di Serracchiani e Rosato contro la proiezione di un documentario sulle foibe a cura dell’Anpi di Parma... il 2 febbraio Casa Pound inaugura la sede giuliana – la quarta in regione – con il suo presidente nazionale, blindata alla stampa non gradita... a Gorizia, a due giorni dalla cerimonia triestina – nella giornata della cultura slovena e della concordia – il braccio giovanile di Casa Pound affigge alcuni manifesti coi i motti “Devoti alla vittoria” e “Tamburo dell’Avanguardia” proprio sui muri delle scuole superiori slovene. “Nulla accade per caso” ha dichiarato il preside dell’istituto goriziano... E infatti ieri, com’era immaginabile, il “fascismo di frontiera” si è materializzato anche a Trieste col presidio “Trieste non scorda” organizzato dal movimento neonazista “Veneto Fronte Skinheads”, “Comunità Avanguardia Nazionale Norditalia” e “Unione Difesa”... Intanto, attorno alla foiba, proprio accanto ai labari «negazionisti» – questi sì – della Xª Mas e a 700 alpini, ci sono anche 400 studenti provenienti da tutta Italia...
https://ilmanifesto.it/presidente-negazionista-a-chi-trieste-nel-giorno-del-ricordo/
 
 
=== 1: Prossime iniziative segnalate ===
 
San Stino di Livenza (VE), sabato 16 febbraio 2019
dalle ore 18:30 presso la Saletta Comunale, Via Roma
 
IL CONFINE ORIENTALE: UN'ALTRA STORIA
 
interventi dei ricercatori storici del gruppo di Resistenza Storica
Alessandra Kersevan
Piero Purich Purini
 
a cura di B.S. in collaborazione con Collettivo Comunista "Broz" Veneto Orientale
 
---
 
Empoli (FI), domenica 17 febbraio 2019
alle ore 18:30 presso il Circolo Arci Brusciana
Via Senese Romana 132
 
FOIBE E GIORNATA DELLA MEMORIA: TRA REVISIONISMO E RIABILITAZIONE FASCISTA. INCONTRO CON LA STORICA ALESSANDRA KERSEVAN

... Con il contributo della storica e saggista Alessandra Kersevan, una delle più attive ed esperte in questo campo, analizzeremo tutta la storia che viene taciuta, se non addirittura negata, quando si parla di foibe e confine orientale; in modo da avere una visione più completa ed ampia della vicenda aldilà di quella che è ormai la narrazione di questa giornata, quasi totalmente a senso unico, che ci viene offerta dagli organi d'informazione e comunicazione.

L'Iniziativa comincerà alle 18.30 in forma di relazione supportata da immagini e diapositive per rendere più scorrevole l'esposizione.
All'incirca intorno alle 20:30 verrà servita l'usuale apericena-buffet della Domenica, al termine della quale sarà possibile intervenire al dibattito con domande ed osservazioni.

 
---
 

Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo

Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA

LE REALTA' INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 
 
=== 2 ===
 
Fonte: Il Messaggero Veneto, 13.2.2019
 
Il presidente del Parlamento europeo invitato dalla commissaria Bulc
Dalla Slovenia richieste di scuse e dimissioni. Novelli (Fi): «Attacchi inaccettabili»

Foibe, la bufera non si placa
e Tajani andrà a San Sabba

UDINE. Un invito via Twitter rivolto al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, dalla commissaria europea ai Trasporti, Violeta Bulc, a visitare insieme a lei l'ex campo di concentramento alla Risiera di San Sabba a Trieste. Invito accettato. È questa l'evoluzione della rovente polemica esplosa in seguito alle dichiarazioni di Tajani che domenica, a Basovizza, durante le celebrazioni della Giornata del Ricordo, aveva esaltato «l'Istria italiana» e «la Dalmazia italiana». Parole mal interpretate, secondo il presidente del Parlamento Ue, che ha in seguito precisato che il riferimento andava «agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia», respingendo le critiche di irredentismo e di rivendicazioni territoriali. Spiegazioni «insufficienti» per il rappresentante della minoranza italiana al Parlamento di Zagabria, Furio Radin, «perché anche noi che siamo rimasti, apparteniamo alla cultura italiana di Fiume e dell'Istria». Una dichiarazione che conferma il clima acceso in Slovenia rispetto alla vicenda che ha registrato prima le prese di posizione del presidente Borut Pahor e del governo guidato da Marjan Sarec, e ieri anche quella del presidente del Consiglio delle organizzazioni slovene Walter Bandelj. «Un politico del livello di Tajani non dovrebbe andate a Basovizza senza sapere quale sia la storia» ha ribadito, definendo offensive le parole del parlamentare italiano. Il ministro degli Esteri sloveno Miro Cerar chiede inoltre «scuse chiare e una presa di posizione netta a favore dei valori europei. Non sono sufficienti le spiegazioni fornite a Strasburgo, la Slovenia aspetta, oltre alle scuse, anche un vero e proprio riconoscimento dell'errore e una condanna della tendenza al revisionismo», ha concluso Cerar. Non bastasse, i Socialdemocratici, Sd, e Nuova Slovenija, Nsi, partito di ispirazione cattolica, invocano senza mezzi termini le dimissioni di Tajani.Ieri il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga, rifuggendo la polemica, ha richiamato «l'intervento molto lucido del presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini che ha sottolineato i drammi vissuti dai cittadini italiani nel confine orientale» e il fatto che «anche croati e sloveni sono stati perseguitati da un regime comunista titino che non guardava in faccia a nessuno se non alla gestione del potere utilizzando, sporcando e umiliando le vite umane». Sull'intervento poi del vicepremier Matteo Salvini, con riferimento ai bambini morti nelle Foibe («e ce ne sono stati diversi», ha sottolineato Fedriga) e ad Auschwitz, il presidente del Fvg ha aggiunto: «C'è stata una persecuzione purtroppo drammatica alla stessa maniera, non penso che i morti si misurino in numeri o in serie A o serie B. Questo è un discorso responsabile penso condiviso da tutti». Definisce «incredibili e inaccettabili gli attacchi dei governi sloveno e croato al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani» il deputato di Forza Italia Roberto Novelli. «Vale la pena forse ricordare che se fosse stato per il maresciallo Tito nelle nostre terre avremmo portato per decenni la stella rossa sul berretto. Non è solo la storia a rendere inaccettabili le reazioni scomposte di questi giorni, è anche l'attualità - aggiunge Novelli - che racconta di un tentativo subdolo di slovenizzare, grazie alle concessioni della legge 38 del 2001, zone del Friuli, come ad esempio le valli del Natisone e Resia».«Dove fortunatamente ha fallito Tito con la forza delle armi - rincara il parlamentare azzurro - vogliono riuscire loro forzando la storia e sfruttando i benefici di una legge che, per un gravissimo errore, ha inserito le Valli del Natisone e Resia e la "romana" Forum Iulii, all'interno delle zone di tutela della minoranza linguistica slovena. Un falso storico - conclude - questo sì grave, altro che le dichiarazioni di Tajani».
 
 
=== 3 ===
 
 

Reakcija na skandalozni završetak govora predsjednika Europskog parlamenta

 

PRSTE K SEBI ANTONIO TAJANI!

Predsjednik Europskog parlamenta Antonio Tajani govorio je na Danu sjećanja na žrtve fojbi u Bazovici i govor završio usklikom “Živio Trst, živjela talijanska Istra, živjela talijanska Dalmacija!”

Ideja da su Istra i Dalmacija dijelovi Italije bila je jedna od temeljnih ideja talijanskog fašizma. Iako je prepuštanje Istre i Dalmacije Italiji počelo Rapalskim ugovorima, kao dio ratnog plijena iz 1. svjetskog rata, dokrajčeno je još sramotnijim Rimskim ugovorima o razgraničenju između Italije i NDH koje je potpisao Pavelić.

Zemaljsko antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Hrvatske, pozivajući se na pravo naroda na samoopredjeljenje, svojom je »Odlukom o priključenju Istre, Rijeke, Zadra i ostalih okupiranih krajeva Hrvatskoj« od 20. rujna 1943. godine potvrdilo već ranije donesenu Pazinsku odluku o sjedinjenju. U tom su dokumentu ništavnim proglašeni prethodni ugovori Kraljevine Jugoslavije i tzv. Nezavisne Države Hrvatske s Italijom, kojima su Istra, Dalmacija i otoci pripali Italiji.

[FOTO / SLIKA: "Odluka o priključenju Istre, Rijeke, Zadra i ostalih okupiranih krajeva Hrvatskoj (ZAVNOH, 20. rujna 1943.god.)
 

U Italiji (kao i kod nas!) postoje snažne revizionističke struje, ali ovo je prvi put da je jedan visoko pozicionirani čelnik EU-a kazao nešto ovako sramotno.

Najoštrije osuđujemo imperijalističku i profašističku izjavu gospodina Tajanija koja nije dostojna funkcije koju obnaša. Istra i Dalmacija su svoju slobodu i priključenje matici zemlji krvavo izborile u Narodnooslobodilačkoj borbi. Revidiranje povijesti neće proći!

NO PASARAN!

 
=== 4 ===
 
 
"Viva Istria e Dalmazia italiane", polemica in Croazia e Slovenia per le frasi di Antonio Tajani
 
Proteste dei premier sloveni e croati e degli eurodeputati croati dopo il discorso del presidente del Parlamento europeo in occasione della Giornata della memoria per le vittime delle foibe. Lui si difende: "Nessuna rivendicazione territoriale"
 
11 febbraio 2019
 
ZAGABRIA - Stanno suscitando forti polemiche in Croazia e in Slovenia le frasi pronunciate ieri dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, in occasione delle commemorazioni per le vittime delle foibe. Al termine del discorso tenuto alla foiba di Basovizza per la Giornata del ricordo, Tajani ha esclamato: Viva Trieste, viva l'Istria italiana, viva la Dalmazia italiana, viva gli esuli italiani, viva gli eredi degli esuli italiani", "evviva coloro che difendono i valori della nostra Patria". Dopo i primi attacchi lo stesso Tajani è intervenuto nella seduta plenaria dell'Europarlamento per difendersi, spiegando di non aver voluto dare alcun carattere di "rivendicazione territoriale" alle sue parole.
 
Il premier solveno Marjan Sarec ha condannato con forza le parole di Tajani, definendole espressione di un "revisionismo storico senza precedenti". "Il fascismo era un fatto, e aveva lo scopo di distruggere il popolo sloveno", ha scritto il premier sul suo account Twitter.
 
 
Subito dopo è arrivata la condanna del premier croato, Andrej Plenkovic: "Rifiutiamo la sua affermazione che contiene elementi di rivendicazioni territoriali e di revisionismo. Il Governo e la Hdz sono fortemente contrari", ha affermato il premier ai microfoni dell'emittente N1. Plenkovic ha aggiunto inoltre di aver sentito telefonicamente Tajani e di avergli chiesto dei chiarimenti,

Anche la ministra degli Esteri croata, Marija Pejcinovic Buric, ha condannato le parole di Tajani, parlando di "revisionismo storico inaccettabile, soprattutto perché proviene da un alto funzionario che rappresenta il Parlamento europeo", una delle istituzioni dell'Ue, che, ha ricordato, "è stata fondata con l'intenzione ch in Europa non si ripetano mai più le guerre". "Tali dichiarazioni sono assolutamente inappropriate, soprattutto se espresse dal presidente del Parlamento europeo", ha aggiunto.. Per Pejcinovic Buric simili messaggi possono giovare solo a coloro che vogliono un'Europa diversa da quella che da sempre viene costruita dall'Unione europea. "Sono contrari allo spirito della riconciliazione, della convivenza e di tutti i valori della civiltà su cui è stata costruita l'Ue", ha detto.

 
Quasi tutti gli eurodeputati croati hanno condannato oggi l'uscita di Tajani, ritenuto incongrua con il suo ruolo ai vertici delle istituzioni europee. "È una vergogna per il presidente del Parlamento europeo. Ha perso la mia fiducia", ha brevemente commentato su twitter Ivan Jakovic, eurodeputato della Dieta democratica istriana (Ddi), partito regionalista istriano di centro-sinistra. Secondo Dubravka Suica, dell'Unione democratica croata (Hdz), al governo a Zagabria, "parlare dell'Istria e Dalmazia italiane è un relitto di tempi passati".

Il presidente del Parlamento europeo si è difeso nel corso della seduta plenaria a Strasburgo: "Nel corso del mio intervento di ieri ho voluto sottolineare il percorso di pace e di riconciliazione tra i popoli italiani, croati e sloveni e il loro contributo al progetto europeo - ha detto Tajani - Il mio riferimento all'Istria e alla Dalmazia italiana non era in alcun modo una rivendicazione territoriale. Mi riferivo agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia".  E ha concluso: "Mi spiace se il senso delle mie parole sia stato mal interpretato. Non era mia intenzione offendere nessuno. Volevo solo inviare un messaggio di pace tra i popoli, affinché ciò che è accaduto allora non si ripeta mai più".
 
---
 
 
Il premier Šarec reagisce alla cerimonia di Basovizza: "Il fascismo aveva come obiettivo quello di distruggere il popolo sloveno"

Dopo la cerimonia di ieri a Basovizza, in occasione della Giornata del Ricordo, non si sono fatte attendere le reazioni slovene

11/2/2019 14:09:16 | Capodistria | Radio Capodistria
 
Il capo dello stato Borut Pahor, in una lettera inviata al presidente italiano Sergio Mattarella, ha espresso preoccupazione a causa di quelle che sono state definite “inaccettabili dichiarazioni di alti esponenti dello stato italiano (…) che vorrebbero far credere che le foibe furono pulizia etnica”. 

Dura reazione anche del premier sloveno Marjan Šarec che in un tweet ha parlato di falsificazioni e revisionismo storico senza precedenti, messo in atto da alti politici e persino da funzionari dell’Unione europea. Šarec ha anche aggiunto che il fascismo aveva come obiettivo quello di distruggere il popolo sloveno.

Pronta risposta del leader dell'opposizione Janez Janša che con un altro tweet ribattuto a Šarec dicendo che è lui a travisare la storia e aggiungendo che il fascismo ed i suoi crimini orribili sono stati smascherati, mentre Mussolini è stato impiccato dagli stessi italiani. "In Slovenia - ha aggiunto Janša - i comunisti sloveni in pochi mesi hanno ammazzato più sloveni che i fascisti in vent'anni".

In una nota il Ministero degli esteri ha parlato di un’interpretazione unilaterale e selettiva della storia, non in linea con lo spirito europeo. Nella missiva si esprime preoccupazione per quelle che sono definite “affermazioni che vanno sulla via del revisionismo storico e non sono in linea con i fondamenti dell’Unione europea, definiti nella Carta di Helsinki sulla sicurezza e la stabilità in Europa”. Per il Ministero degli esteri la base per la comprensione di quanto accaduto durante la guerra ed il dopoguerra sta nella relazione della Commissione storica italo slovena, che ha analizzato i rapporti tra italiani e sloveni dal 1880 al 1956..

Il ministro degli esteri, Miro Cerar, ha precisato che la retorica di Tajani è assolutamente inaccettabile, ma ha anche auspicato la questione si chiuda e non si ripeta più. Nodo del contendere le dichiarazioni sull’Istria e la Dalmazia italiana del presidente del parlamento europeo.

L’eurodeputata socialdemocratica Tanja Fajon ha accusato di revisionismo Tajani, che assieme al capo dello stato Sergio Mattarella e al ministro dell’Interno Matteo Salvini sono stati additati di “risvegliare il fascismo”. La Fajon, insieme all’europarlamentare del Partito dei pensionati Ivo Vajgel, se l'è presa anche contro la mostra sull’esodo organizzata all’europarlamento nei giorni scorsi. Vajgel non mancato nemmeno di protestare vibratamente per la parole di Salvini e Tajani. 

ll vicepresidente dei socialdemocratici, Matjaž Nemec, tornando alla cerimonia di Basovizza, ha detto che i rappresentanti italiani hanno parlato di “fatti irreali” presentati in “una luce diversa”. Per Nemec oggi come cent’anni fa si sta rinfocolando il fascismo. Il presidente del partito Dejan Židan invece ha parlato di dichiarazioni che turbano la serenità ed ha invitato, per il bene dei rapporti reciproci, ad interpretare i fatti in linea con il rapporto della Commissione storica mista italo – slovena.

Il deputato capodistriano della Sinistra, Matej Tašner Vatovec ha chiesto al governo di inviare una nota di protesta per le parole di Salvini e Tajani, per i manifesti di CasaPound di fronte alle scuole Slovene di Gorizia e di agire per la tutela della minoranza slovena in Italia.

Alle reazioni dei politici si sono aggiunte anche quelle di personaggi più o meno influenti sui social. A finire nel mirino, fin da venerdì scorso, anche il film Red Land, che narra la vicenda di Norma Cossetto, bollato come una mera operazione di propaganda fascista e di revisionismo storico. Più di un appunto è piovuto anche su Unione Italiana e sulla Comunità autogestita della nazionalità italiana di Isola che il 22 ed il 23 febbraio prossimo organizzeranno una proiezione privata della pellicola.

Stefano Lusa
 
 
... Solo nel 2015, a seguito dello scandalo scoppiato sul caso del repubblichino Paride Mori e quindi alla scoperta di centinaia di riconoscimenti assegnati a caduti che “facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia”, l’ANPI ha chiesto di sospendere gli effetti della Legge sul GIORNO DEL RICORDO. Viceversa i termini per i suddetti riconoscimenti sono stati prorogati per ulteriori 10 anni: di qui nel 2016 una lettera dell’allora presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia con richiesta di chiarimenti, in particolare, agli esponenti PD Del Rio e Serracchiani, lettera cui non è stata data alcuna risposta pubblica.
A dicembre 2016 il Comitato Nazionale ANPI approvava il documento “Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni”, sintesi di un seminario interno organizzato per dipanare le questioni, nel quale però non si affronta la questione dei “premiati” né si contesta l’istituzione del GIORNO DEL RICORDO...

 
BHL prepara la "rivoluzione colorata" anche in Italia?
 
1) Bernard-Henri Lévy [BHL] in "tournée'" in Italia "contro il populismo" (F. Santoianni, 22/01/2019)
2) “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy (D. Barontini, 29/1/2019)
3) Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso (J. Cook / Globalresearch.ca, 1/2/2019)
 
 
N.B. Sulle prodi gesta di BHL, teorico della superiorità morale dell'imperialismo occidentale, si vedano i numerosi post degli scorsi anni in JUGOINFO: dalla amicizia con il mercante di armi Jean-Luc Lagardére
fino alla torta presa in faccia a Belgrado due anni fa
 
 
=== 1 ===

Bernard-Henri Lévy, l'alfiere dell’imperialismo francese in "tournée'" in Italia "contro il populismo"
 
Nella verosimile speranza che qualche imbecille gli “rinfacci” il suo “essere ebreo” - per potere così attestare l’”antisemitismo” che permeerebbe il “populismo” e ravvivare così la sua imminente tournée italiana - scalda i motori con ben tre articoli (vedi quiqui e qui) e un video pubblicati in tre giorni su La Stampa. Stiamo parlando di Bernard-Henri Lévy, salito agli onori delle cronache in Italia  quando, nell’ormai lontano 1977, spacciandosi per “rivoluzionario”, insieme ad altri tre “filosofi”, riuscì a dirottare sulle secche dell’antioperaio “Movimento degli indiani metropolitani” quello che restava del “68. Forse il primo tentativo di creare uno pseudo movimento “rivoluzionario” che, dopo il crollo del Muro di Berlino, sarà poi perfezionato e applicato, dai Think tank del Dipartimento di Stato, in tutto il mondo, fino ad arrivare al trionfo del “movimento dei diritti umani” e, quindi delle Primavere colorate.
 
Primavere colorate - e, quindi, guerre - delle quali Bernard-Henri Lévy si direbbe essere il principale promotore. Ma su questo già molto si è scritto. Meglio accennare, invece, sul progetto politico che sta dietro la sua scesa in campo per le elezioni europee e, soprattutto, sulla titubanza dei media italiani (ad eccezione del Gruppo editoriale de Benedetti) ad appoggiarlo. A spiegarlo è, sostanzialmente, il disfacimento della base del Partito Democratico dilaniata dalla tentazione di appoggiare, in funzione anti-Salvini, o  quella che si ritiene “l’anima di sinistra del Movimento Cinque Stelle” o gli euroinomani, capitanati da Carlo Calenda  (in questi giorni galvanizzati e dall’endorsement di Bernard-Henri Lévy).

In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte del Trattato di Aquisgrana tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.
 
Francesco Santoianni, 22/01/2019
 
 
=== 2 ===
 
 
“In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy
di Dante Barontini, 29 gennaio 2019
 

Proprio quando senti in giro dire “ma a che serve più la filosofia?”, ecco che arriva un arrogante intellettuale imperialista – uno che addirittura può raccontare di aver partecipato ad assemblee del ‘68 – a dimostrare che in effetti serve. Ed anche a molto. Ovviamente, non era questa la sua intenzione…

Bernard-Henri Lévy è così abituato a dare spettacolo di sé che, alla fine, ha messo su uno spettacolo vero e proprio con cui si appresta a girare per il Vecchio Continente, intitolato proprio «Looking for Europe» (In cerca dell’Europa). Scopo dichiarato: “ rinnovare un’idea romantica dell’Europa, un’idea che porta speranza”. Si vede che la realtà. In questi ultimi decenni, ne ha fatto vedere e toccare una molto diversa, e quindi vai con la propaganda “romantica” per stendere cerone sulle lacerazioni dovute all’austerità…

Ma che c’entra la filosofia con uno spettacolo? Per un verso andrebbe chiesto a lui, che si inserisce nella tendenza a “spacciare pillole filosofiche” in piazze più o meno improbabili, dove si volgarizza alla meglio il pensiero teorico che ha per sua natura bisogno di scrittura e dialogo, invece della modalità broadcasting…

Per un altro verso, invece, Bernard-Henri Lévy va quasi ringraziato per aver infilato, in un profluvio di parole abusate, un concetto di filosofia politica che nessun pensatore liberaldemocratico aveva fin qui osato proporre: “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”.

I pensatori reazionari dell’Ancien Régime settecentesco, ovviamente, erano stati assai più drastici (“il popolo non deve essere sovrano”), ma a partire dal 1789, relativa presa della Bastiglia e successiva decapitazione dei monarchi, e con la ben più contrastata affermazione della democrazia liberal-borghese moderna il popolo è diventato lentamente l’unico legittimo titolare della sovranità entro un determinato spazio geografico; nazionale, sovranazionale o internazionale che fosse.

Dunque, stupisce a prima vista un’affermazione del genere in bocca a un liberal-liberista che ha fatto della forma della democrazia parlamentare l’architrave fondamentale del suo discorso in pubblico. Un pensiero violento, interventista, imperiale da punto di vista culturale e antropologico, che arroga alle – appunto! – democrazie occidentali il potere di decidere se un certo assetto politico-istituzionale di un certo paese rientra nei parametri della “democrazia” oppure in quelli della “dittatura”. E, nel secondo caso, di intervenire militarmente per imporre un assetto diverso, magari anche altrettanto anti-democratico…

Posizione interventista diventata “pensiero unico” a partire dal crollo del Muro, infiocchettata nella definizione di “ingerenza umanitaria” con il corollario ossimorico della “guerra umanitaria”. Bosnia, Iraq (due volte), Libia, ecc. Henri Lévy non ha mancato mai un appuntamento di guerra, elaborando ogni volta un’apposita narrazione giustificativa. Allegrotta e sgangherata sul piano concettuale, ma utilissima al giornalista medio che ha bisogno di frasi precotte da infilare come mantra nei suoi “pezzi”.

Solo questa affermazione sulla sovranità che non deve appartenere solo al popolo è in effetti una vera novità. Per lo meno, lo è il fatto che venga detto con questa nettezza, davvero “quasi filosofica”… da Bignami, insomma. Wolfgang Schaeuble, ex ministro tedesco più portato per l’economia, l’aveva detto in modo più indiretto: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla” (con una certa enfasi su quell'”assolutamente”, che lascia spazio zero a qualsiasi ipotesi di “superamento dei trattati”).

Il giornalista di Le Temps, come spesso accade davanti a certi “mostriciattoli sacri” che non vanno contraddetti, non pone la domanda che sarebbe ovvia: ma se la sovranità – il potere politico di decidere – non deve appartenere solo al popolo, quali altri soggetti o istituti ne debbono essere titolari?

Non si tratta di una curiosità intellettuale, ma della questione fondamentale che distingue – appunto – le democrazie (comprese quelle popolari, presenti e passate, che Bernard-Henri invece odia) dalle dittaturedalle monarchie, e da altre forme ibride oligarchiche che non sono ancora classificate con chiarezza.

Bernard-Henri non ci dice dunque chi siano questi altri “condomini” della sovranità – e ci deve essere un motivo non nobile, diciamo – ma una cosa la dice proprio fuori dai denti: “smettiamo di sacralizzare la gente.. […] La democrazia ha bisogno della trascendenza”.

Ossia di un “ente” da rispettare quasi religiosamente perché sa “meglio del popolo” cosa è bene fare e cosa no (“ Se ripetiamo: il popoloil popoloil popolo… andiamo dritti a una crisi di civiltà”). E chi sarà mai questo fantozziano Megadirettore Galattico che deve sostituirsi alla sovranità del popolo? Ma l’Unione Europea, ovvio! L’unica struttura che contiene le competenzetecniche per esaudire la volontà dei “mercati”.

Non c’è molto altro da commentare, potere leggere l’intervista tramire il link.

C’è solo da ringraziarlo, ripetiamo, per la sua involontaria chiarificazione: chi tuona contro “i sovranismi” sta semplicemente dicendo che la democrazia deve finire, in Europa, perché ci sono poteri molto più potenti e “razionali” dei popoli. Che in fondo, si sa, sono “come un bambino…”.

Benvenuti nel piccolo mondo dell’intellettuale macroniano…

 
 
=== 3 ===
 
ORIG.: A European “Liberal Elite” Still Luring Us Towards the Abyss (By Jonathan Cook / Global Research, February 01, 2019)
 
 
www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 04-02-19 - n. 700

Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso

Johnathan Cook | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/02/2019

Un gruppo di 30 rispettati intellettuali, scrittori e storici ha pubblicato un manifesto lamentando l'imminente collasso dell'Europa e dei suoi presunti valori illuministici di liberalismo e razionalismo. L'idea di Europa, avvertono, "sta cadendo a pezzi davanti ai nostri occhi", mentre la Gran Bretagna si prepara alla Brexit e i partiti "populisti e nazionalisti" sembrano pronti a incassare ampi successi nelle elezioni in tutto il continente.

Il breve manifesto è stato pubblicato nelle riviste europee dell'élite liberale, in giornali come The Guardian.

"Dobbiamo ora combattere per l'idea di Europa o perire sotto le ondate del populismo", si legge nel documento. Fallire significa che "il risentimento, l'odio e una pletora di infelici passioni ci circonderanno e sommergeranno".

A meno che non si possa cambiare la situazione, le elezioni in tutta l'Unione europea saranno "le più calamitose che abbiamo mai conosciuto: una vittoria per i sabotatori, la disgrazia per coloro che credono ancora nell'eredità di Erasmo, Dante, Goethe e Comenius; il disprezzo per l'intelligenza e la cultura; esplosioni di xenofobia e antisemitismo ovunque; il disastro".

Il manifesto è stato scritto da Bernard-Henri Levy, il filosofo francese devoto ad Alexis de Tocqueville, un teorico del liberalismo classico. Tra i firmatari figurano i romanzieri Ian McEwan, Milan Kundera e Salman Rushdie, lo storico Simon Shama e i premi Nobel come Svetlana Alexievitch, Herta Müller, Orhan Pamuk e Elfriede Jelinek.

Sebbene non nominati, i loro eroi politici europei sembrano essere l'Emmanuel Macron di Francia, attualmente impegnato nel tentativo di schiacciare le proteste popolari contro l'austerità dei Gilet gialli e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a presidio delle barricate per l'élite liberale contro una rinascita dei nazionalisti in Germania.

Mettiamo da parte, in questa occasione, la strana ironia che molti dei firmatari del manifesto - non ultimo lo stesso Henri Levy - hanno una ben nota passione per Israele, uno stato che ha sempre respinto i principi universali apparentemente incarnati nell'ideologia liberale e che invece si schiera apertamente per un nazionalismo etnico simile a quello che ha squassato l'Europa nel secolo scorso.

Concentriamoci invece sulla loro affermazione secondo cui "il populismo e il nazionalismo" sono sul punto di uccidere la tradizione liberale democratica dell'Europa e gli stessi valori più cari a questo illustre gruppo. La loro speranza, plausibilmente, è che il loro manifesto serva come un campanello d'allarme prima che le cose prendano una svolta irreversibile in senso peggiorativo.

Il crollo del liberalismo

In un certo senso, la loro diagnosi è corretta: l'Europa e la tradizione liberale si stanno sgretolando. Ma non perché, come insinuano con forza, i politici europei assecondano gli istinti più bassi di una marmaglia insensata, vale a dire la gente comune verso la quale hanno così poca fede. Piuttosto perché il lungo esperimento nel liberalismo ha finalmente fatto il suo corso. Il liberalismo ha chiaramente fallito, e ha fallito catastroficamente.

Questi intellettuali si trovano, come ognuno di noi, su un precipizio dal quale stiamo per saltare o cadere. Ma l'abisso non si è aperto, come dicono loro, perché il liberalismo viene respinto. Piuttosto, l'abisso è l'inevitabile risultato della reiterazione del modello liberista come soluzione alla nostra attuale situazione, anche da parte di questa élite sempre più ristretta e contro ogni evidenza razionale. È la tenace trasformazione di un'ideologia profondamente viziata in religione. È l'idolatria verso un sistema di valori che ci distrugge.

Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha aspetti positivi. Il suo rispetto per l'individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare la creatività umana e la promozione dei valori universali e dei diritti umani rispetto all'approccio tribale, con alcune conseguenze positive.

Ma l'ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato oscuro o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la conseguenza della rinuncia del liberalismo piuttosto che un fattore inerente al progetto politico liberale.

La perdita dei tradizionali legami sociali - tribali, settari, geografici - ha lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fossero in qualsiasi precedente società umana. Possiamo sostenere a parole i valori universali, ma nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e arrabbiati.

Sottrazione di risorse umanitarie

La professata preoccupazione liberale per il benessere degli altri e per i loro diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di sottrazioni di risorse sempre più sfacciate. Lo sfoggio di credenziali umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso "con gentilezza" e poi rubato l'eredità delle nostre vittime.

L'inconfondibile creatività individuale ha forse favorito l'arte, seppur feticizzata, e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia utile all'umanità o meno, e comunque con un enorme spreco di risorse.

Nel peggiore dei casi, ha letteralmente scatenato una corsa agli armamenti, che - a causa di un mix della nostra libera creatività, della nostra mancanza di Dio e della logica economica del complesso militare-industriale - è culminata nello sviluppo di armi nucleari. Abbiamo escogitato i modi più completi ed efferati inimmaginabili per ucciderci a vicenda. Possiamo commettere un genocidio su scala globale.

Nel frattempo, la priorità assoluta dell'individuo ha sancito un'auto-concentrazione patologica, un egoismo che ha fornito terreno fertile non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere il tutto in un super-neoliberismo. Ciò ha permesso a una piccola élite di accumulare e sottrarre la maggior parte della ricchezza del pianeta e porla al di fuori della portata del resto dell'umanità.

Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro autocompiacimento e la nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l'armonia caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo ignoriamo o lo deridiamo.

E così l'impulso liberale ci ha portato sull'orlo di estinguere la nostra specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a esaurire i beni, ad accumulare risorse per il guadagno personale, a saccheggiare le ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così folle che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi. E se continuiamo, quel nuovo equilibrio, che va sotto il nome di "cambiamenti climatici", richiederà di rinunciare al pianeta.

Nadir di una pericolosa arroganza

Si può plausibilmente asserire che è un po' che gli umani si trovano su questa sozza strada. La concorrenza, la creatività, l'egoismo, dopotutto, precedono il liberalismo. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo.

Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una pericolosa arroganza verso la quale noi, come specie, abbiamo indugiato per troppo tempo, dove il bene dell'individuo supera qualsiasi bene collettivo, definito nel senso più ampio possibile.

Il liberale ossequia il suo piccolo e parziale campo di conoscenze e competenze, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli naturali, nelle stagioni e nella meraviglia per l'ineffabile e sconosciuto. L'attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul "progresso", la crescita, l'accumulazione.

Per salvarci è necessario un cambiamento radicale. Non armeggiare, non riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l'individuo e la sua gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale.

Questo non è contemplato per le élite che pensano che la soluzione stia in una maggiore, e non minore, dose di liberalismo. Chiunque si allontani dalle loro prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate addetto a correggere i difetti minori dello status quo, viene presentato come una minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da un'élite mediatica, politica e intellettuale pesantemente investita nel perseguire ciecamente il sentiero dell'autodistruzione.

Sostenitori dello status quo

Di conseguenza, ora abbiamo tre chiare tendenze politiche.

La prima è quella dei sostenitori dello status quo, quella degli scrittori europei del più recente - e ultimo? - manifesto sul liberalismo. In ogni passaggio del manifesto dimostrano quanto siano irrilevanti, quanto incapaci nel fornire risposte alla domanda su come dobbiamo andare avanti. Si rifiutano categoricamente di guardare all'interno del liberalismo per capire cosa è andato storto e di osservare l'esterno per comprendere come salvarci.

Irresponsabilmente, questi guardiani dello status quo raggruppano la seconda e la terza tendenza nella futile speranza di preservare la loro presa sul potere. Entrambe le altre due tendenze sono derise indiscriminatamente come "populismo", come politica dell'invidia, politica della folla. Queste due tendenze alternative e opposte sono considerate indistinguibili.

Ciò non salverà il liberalismo, ma aiuterà a promuovere il peggio delle due alternative.

Chi nelle élite ha capito che il liberalismo ha fatto il suo tempo, sfrutta la vecchia ideologia predatoria del capitalismo: mentre cercano di distogliere l'attenzione dalla loro avidità e dalla difesa dei loro privilegi, seminano discordia e insinuano minacce oscure.

Le critiche dell'élite liberale formulate dai nazionalisti etnici suonano convincenti perché poggiano sulle verità del fallimento del liberalismo. Ma sono ingannevoli, non offrono soluzioni a parte il loro avanzamento personale nel sistema esistente, fallito, destinato all'autodistruzione.

Il nuovo autoritarismo [la seconda tendenza] sta tornando ai vecchi e fidati modelli del nazionalismo xenofobo, offrendo gli altri come capro espiatorio per sostenere il proprio potere. Stanno abbandonando la sensibilità ostentata e coscienziosa del liberale per continuare il saccheggio sfrenato. Se la nave affonda, rimarranno al buffet finché le acque non raggiungeranno il soffitto della sala da pranzo.

Dove può risiedere la speranza

La terza tendenza è l'unico posto in cui risiede la speranza. Questa tendenza, dei "dissidenti", comprende che è necessario un nuovo pensiero radicale. Ma dato che questo gruppo è attivamente schiacciato dalla vecchia élite liberale e dai nuovi autoritarismi, ha poco spazio pubblico e politico per esplorare le sue idee, per sperimentare, per collaborare, come è urgentemente necessario.

I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i liberali e gli autoritari vivono la critica come una minaccia ai loro stessi privilegi. Sotto l'isteria delle "fake news", stanno rapidamente lavorando per spegnere anche questo piccolo spazio.

Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi possibile via per la salvezza: anche se i mari sono pieni di plastica, se le popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e il pianeta si prepara a tossire un grumo di muco infetto.

Non dobbiamo essere ingannati da questi progressisti liberatori del manifesto: i filosofi, gli storici e gli scrittori - l'ala delle pubbliche relazioni - del nostro status quo suicida. Non ci hanno avvertito della bestia che giaceva in mezzo a noi. Non hanno visto il pericolo incombere e il loro narcisismo li acceca ancora.

Non dovremmo ascoltare i guardiani del vecchio, quelli che hanno trattenuto le nostre mani, che hanno indicato un sentiero che porta l'umanità sull'orlo della sua stessa estinzione. Dobbiamo evitarli, chiudere le orecchie al canto delle loro sirene.

Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito delle elite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritarismi. Devono essere ascoltate, aiutate a condividere e collaborare per offrire visioni di un mondo diverso. Un mondo dove l'individuo non è sovrano. Dove impariamo modestia e umiltà e come fare ad amare nel nostro angolo infinitamente piccolo dell'universo.

* Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri comprendono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel Experiments in Human Despair (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net. È un frequente collaboratore di Global Research.
 
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus aderisce ed invita ad aderire e partecipare al sit-in unitario che si terrà oggi a Roma in difesa del Venezuela democratico e sovrano. Proprio come 20 anni fa l'imperialismo a guida USA era determinato a rovesciare il governo delle sinistre in Jugoslavia per smembrare ciò che restava di quel paese, oggi le stesse tattiche fatte di sanzioni, destabilizzazione economica, omicidi politici e terrorismo, mercenariato e propaganda di guerra vengono usate contro il Venezuela. Uniamo le forze della solidarietà internazionalista!

(slovenščina / hrvatskosrpski / italiano)

 
I "bimbi delle foibe" ed altri sintomi di impazzimento
 
1) Fojbe: Šarec proti Tajaniju / Foibe: Marjan Šarec [primo ministro sloveno] accusa Tajani
 
2) I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria" (D. Rubeša / Novi List)
 
3) Parma, convegno "Foibe e fascismo", ANPI: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa". Rizzo (PC): «L’ANPI sbaglia a dissociarsi»
 
4) Bolzano, sindaco PD Caramaschi: "Tra Auschwitz e foibe, nessuna differenza"
 
5) Le dichiarazioni istituzionali
DA BASOVIZZA: Si stima abbiano perso la vita oltre 300mila persone / Salvini: “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali” / Tajani: “Non possiamo permettere che una dittatura efferata, che una dittatura comunista come quella di Tito, ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui... Chi nega ciò che è accaduto è complice” / Fico: “Quella delle foibe è stata una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese" / Salvini: "Chi nega uccide due volte" / Grasso: “Nel 1947 nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti all’esilio e gettati nelle foibe." Immediato il commento di Maurizio Gasparri: “Ma come si fa a scrivere ‘nel 1947’, gli eccidi e l’esilio cominciarono molto prima" / Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: "Subire ancora dei rigurgiti negazionisti da parte di alcune associazioni dell'ANPI... Il negazionismo può essere considerato lo stadio supremo del genocidio" / Giorgia Meloni: "Abbiamo vinto" / A celebrare la messa di suffragio a Basovizza l’arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi / Schierati ... una rappresentanza delle X Mas... oltre quattrocento gli studenti / Tajani: "ai 97 Finanzieri che non avevano anche loro ammainato il Tricolore, buttati in una Foiba, e a Don Bonifacio, ucciso perchè non aveva ammainato la bandiera italiana"
DAL QUIRINALE: Mattarella: "una grande tragedia italiana" / "Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo" / "innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti ... chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla" / "solo dopo la caduta del muro di Berlino ... una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo" / "Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui" / In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo"
 
 
Si vedano anche:
 
Corriere della Sera, a confronto, 1944--2019
https://www.facebook.com/pg/diecifebbraio1947/posts/

Il giorno del cattivo ricordo (di Giorgio Cremaschi, 9.2.2019)
... Il 10 febbraio avrebbe potuto essere la data per ricordare che i costi delle guerre li pagano sempre gli innocenti e che le guerre sono un orrore da ripudiare sempre, come è scritto nella nostra Costituzione. Invece è divento il giorno con il quale Salvini e Casapound sostituiscono il 25 aprile. E questo per la malafede e l’opportunismo di tanti democratici, che volevano far bella mostra del loro anticomunismo e così hanno promosso una celebrazione revisionista falsa ed ignobile...
 
La tragedia delle foibe, quando il passato si piega alle esigenze del presente (di Matteo Zola, 10.2.2019)
... L’istituzione del Giorno del Ricordo, promossa dalle forze reazionarie e post-fasciste dell’allora governo Berlusconi, nasce con il duplice intento di trasformare i carnefici in vittime, glorificando l’italianità – fascista, all’epoca dei fatti – e reiterando il mito della barbarie slava; e di presentare il comunismo come ideologia criminale di cui, a 70 anni di distanza, la sinistra italiana sarebbe erede e quindi complice...
 
“Chi nega le foibe verrà denunciato” (di Daniele Camilli, 4 febbraio, 2019)
Viterbo - Il presidente provinciale del comitato 10 febbraio Maurizio Federici durante la presentazione della Giornata del ricordo
[Si noti in questo articolo che i 15 "infoibati" viterbesi sono piuttosto "fucilati o deceduti", uno ad esempio in un incidente in miniera: e non viene nemmeno lontanamente posto il quesito di che cosa ci stessero a fare tutti questi "cinque della guardia di finanza, 5 dell’arma dei carabinieri, 3 della polizia di stato, un impiegato della prefettura e un sergente dell’esercito" viterbesi (sic) in quelle terre in quegli anni]
 
=== 1 ===
 
 
Fojbe: Šarec proti Tajaniju

Kritični odmevi v slovenski politiki
Spletno Uredništvo | Slovenija | 11. Feb. 2019
 
»V soboto sem govoril o želji po potvarjanju zgodovine v Sloveniji. Enako se dogaja na italijanski strani meje. Žal s strani vidnih politikov, celo funkcionarjev EU. Zgodovinski revizionizem brez primere. Fašizem je bil dejstvo in imel je za cilj uničenje slovenskega naroda,« je na twitterju pred nekaj minutami zapisal predsednik slovenske vlade Marjan Šarec. Nanašal se je očitno na včerajšnjo prireditev na fojbi pri Bazovici in na sporni govor predsednika evropskega parlamenta Antonia Tajanija.
 
 
Ostro so se odzvali tudi nekateri slovenski in evropski poslanci. Tanja Fajon (SD) je napovedala, da bo od Tajanija zahtevala pojasnila na naslednjem zasedanju EU parlamenta. »Predsednik EP je zadnji, ki si lahko privošči, da nastopa z jezikom revizionizma zgodovine,« je bila jasna Fajon. Dodala je, da v Italiji več ne zastopa interesov institucije, ki jo vodi.
 
--- italiano:
 
TRAD.: 
 
Foibe: Sarec contro Tajani
 
Echi critici nella politica slovena – Primorski Dnevnik (Trieste), 11. feb. 2019
Fonte: https://www.primorski.eu/se/fojbe-sarec-proti-tajaniju-LN197159

"Sabato ho parlato del desiderio di deviare la storia in Slovenia. Lo stesso sta accadendo sul versante italiano del confine. Sfortunatamente, da politici di spicco, anche funzionari dell'UE. Un revisionismo storico senza precedenti. Il fascismo era un dato di fatto e mirava alla distruzione della nazione slovena", ha scritto il primo ministro della Repubblica di Slovenia, Marjan Šarec, su Twitter pochi minuti fa. Si riferiva ovviamente agli eventi di ieri a Basovizza e al discusso discorso della presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
Anche altri sloveni e membri del Parlamento europeo hanno reagito duramente. Tanja Fajon (SD) ha annunciato che chiederà chiarimenti a Tajani alla prossima sessione parlamentare dell'UE. "Il presidente del Parlamento europeo è l'ultimo che può permettersi di parlare con il linguaggio del revisionismo storico", ha chiarito Fajon. Ha aggiunto che egli in Italia non ha rappresentato gli interessi dell'istituzione che presiede. 
 
I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria"
 
Autor: Dragan Rubeša
Objavljeno: 3. prosinac 2018.
 

U filmu nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla

Ovih dana Trstu se dogodila prva prava zimska bura. Da bismo se zaštitili od njenih refula, sakrili smo se u popularnu oštariju »Siora Rosa« na porciju vruće jote, listajući lokalni dnevnik. U njegovoj info rubrici zamijetili smo da se u kinu Fellini prikazuje komad bizarnog naziva »Rosso Istria« u režiji nama posve anonimnog sineaste Maximiliana Hernanda Bruna, čija imena ali i fizionomija prizivaju ljepuškastu vedetu meksičke sapunice.

 
 

Ne, nije to bio još jedan komad s notornim predikatom »cinema a luci rosse«. Iako u njemu ima dovoljno (političkog) hardcore porna. Da bi paradoks bio veći, dotična oštarija smještena je nasuprot institucije poznatije kao »Civico Museo della Civilta Istriana, Fiumana e Dalmata«. Umjesto deserta, odlučili smo ignorirati njegove muzejske artefakte i pogledati Brunov komad. I bolje da nismo. Jer pojedini kadrovi »Crvene Istre«, ali i autorov odbojni revizonizam, skoro su nas natjerali da povratimo na crvenu fotelju kina kompletni sastav netom konzumirane slasne jote.

Apsolutno zlo 

Da bi paradoks bio veći, Bruno je dodijelio jednu od uloga i slavnoj Geraldine Chaplin. No programeri ovogodišnjeg ZFF-a koji su ugostili tu glumicu, očito nisu znali za njen opsukrni projekt. Ili su se pravili da ne znaju. Ostaje nepoznanica što je tu etabliranu glumicu natjeralo da se ukaže u »Crvenoj Istri«, iako je riječ o cameo ulozi. Jer, njen boravak u toj istoj »crvenoj Istri« (ovo je sada politička a ne filmska i geološka sintagma) dogodio se dolaskom na brijunski set komedije belgijskog tandema Brossens & Woodworth »The Barefoot Emperor« (Bosonogi car) koju je financirao i HAVC. Možda je sve to bio dio njena istarsko-frijulanskog itinerara, koji je uz Brijune uključio i tršćanski Magazzino 18. Na potonjoj lokaciji snimljena je sekvenca Brunova komada u kojoj ona kao odrasla Giuliana Visantrin vodi svog unuka na mjesto koje priziva esulske užase njene ratne prošlosti. Zato nam se na prvi pogled učinilo da je »Rosso Istria« nekakav lokalni remake Argentova »Profondo rosso«. Ubrzo smo shvatili da je njegov horor još jeziviji i morbidniji. Doduše, engleski naziv filma je »Red Land«, jer većina Amera očito nije u stanju na geografskoj karti locirati Croatiu, a kamoli Istriu.

Na sreću, HAVC ne stoji iza »Crvene Istre« kao akter u sferi manjinskih koprodukcija, iako nas sa obzirom na utjecaj koji u njemu trenutno imaju braniteljske udruge, ne bi čudilo da ih je napalila ta porno storija o talijanskom Bleiburgu. No Visantrin je u filmu samo jedna od žrtava »zločina« koje su »krvožedni« istarski partizani počinili u Brunovoj Vižinadi kao simboli apsolutnog zla. U fokusu je lik Giulianine prijateljice iz djetinjstva Norme Cossetto (glumi je Selene Gendini). A naziv filma odnosi se na njen diplomski rad koji se bavio istarskom crvenicom, dok je biciklom istraživala istarske arhive i crkve u potrazi za materijalom. Iako ta boja ima posve drukčije krvave konotacije. Nakon što su je Titovi partizani silovali u nepodnošljivo dugoj sekvenci, njeno će tijelo biti bačeno u fojbu blizu Ville Surani. Puno godina kasnije, sveučilište u Padovi koje je pohađala, uručit će joj počasnu titulu. A talijanski predsjednik Ciampi ju je 2005. odlikovao ordenom za građanske zasluge.

Fašist i revizionist 

Iako ju je predsjednik Federacije esula Antonio Ballarin prilično neumjesno i bez relevantnih dokaza opisao kao »talijansku Annu Frank«, svedenu na ultimativnu mučenicu, talijanski antifašisti su je prikazali kao fanatičnu sljedbenicu fašističkog režima. Kao što je i Bruno u njihovim reakcijama žigosan kao »fašist i revizionist«, neka vrsta talijanskog Sedlara, što je itekako blizu istini. U filmu naime nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla. U čitavom filmu, režiser je odvojio tek 10 minuta za njemačku okupaciju Vižinade. U toj okupaciji nisu ispalili nijedan metak, ne računjaući na egzekuciju manje grupe. »Fascisti? Comunisti? Siamo tutti noi«, kazat će u jednoj sceni lik profesora kojeg u filmu glumi Franco Nero, uz Chaplin još jedan poznati glumac kojem sve ovo nije trebalo. Jer, tragična sudbina mlade Cossetto postala je prvorazredna tema političkih prepucavanja i skupljanja predizbornih bodova.

Zato na partizanska »zlodjela« inkarnirana u liku komandanta i krvnika Mate (glumi ga Slovenac Romeo Grebenšek) otpada barem 130 minuta tog predugog filma. Paradoks je tim veći da ga je producirao talijanski RAI, koji se s obzirom na trenutnu talijansku političku klimu, u kojoj konce vuče ministar Salvini, sve više približava HTV-u (film je očito zamišljen kao mini TV serija od tri epizode). Zato nije ni čudo da je na tršćanskoj svečanoj projekciji Brunova filma bio nazočan i gradonačelnik Dipiazza, inače pripadnik notorne Lege Nord. Iako je redatelj »Crvene Istre« trebao biti stanoviti Antonello Belluco, sin riječkih esula i autor revizionističkog filma »Il segreto d'Italia« u kojem on tematizira »masakr« koji su partizani počinili 1945. u Codevigu blizu Chioggie.

Dobra je vijest da su na nedavnom tršćanskom maršu Case Pound, njihovi antifašistički protivnici bili brojniji. Što je u »Ružnoj našoj« nezamislivo. Kao što su u nas nezamislivi antifašistički filmovi poput Gianikianova »I diari di Angela – Noi due cineasti« ili Trevesova doksa »1938 Diversi« prikazani na lanjskoj venecijanskoj Mostri (potonji govori o rasnim zakonima fašističkog režima u Italiji). Na marginama te iste Mostre prikazan je na Lidu i Brunov komad, koji s razlogom nije bio uvršten u službeni festivalski program, na čijoj »ekskluzivnoj« projekciji nije bio dopušten ulaz akreditiranim novinarima. »Poznata mi je tragedija esula i fojbi jer mi je baka, porijeklom iz Dalmacije, bila u nemilosti Titovih partizana kad je na jednom zidu u Goriziji napisala Viva l'Italia«, kazala je patetična Gendini. Ali bila je to »ekskluzivna projekcija« strogo rezervirana za producente i lokalne glavešine Lege Nord. Zato ostaje pitanje dana kad će Brunov komad osvanuti na platnima riječkog Euroherca ili trsatskog svetišta, poslovično naklonjenim Sedlarovom recentnom opusu.

Nema sumnje da će iste rastvoriti crveni tepih za »Crvenu Istru«.

 
=== 3 ===
 
N.B. La dichiarazione di Carla Nespolo su Facebook ha scatenato un rigurgito fognario di botta-e-risposta con fascisti e revanscisti, ma nessun chiarimento nel merito:
https://www.facebook.com/anpinaz/posts/10156252596057903?__tn__=C-R

---
 
 
10 FEBBRAIO 2019

Foibe e fascismo, Anpi Parma: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa"

Dopo una settimana di dure polemiche, che hanno visto protagonista anche il ministro dell'Interno Matteo Salvini, si è svolta a Parma la 14esima edizione della manifestazione Foibe e fascismo a cui ha preso parte, come da programma, anche l'Anpi locale. Nel suo intervento, il presidente Aldo Montermini ha ribadito di non dover giustificare la presenza dell'Anpi all'appuntamento e ha ringraziato per gli attestati di solidarietà pervenuti all'associazione. Montermini ha inoltre criticato il consigliere regionale della Lega, Fabio Rainieri, che ha chiesto alla Regione di revocare i fondi all'Api: "Contributi che noi non riceviamo" ha sottolineato. L'incontro è stato introdotto da Pier Paolo Novari. Montermini, a margine del convegno, ha detto che ci sarà un incontro con la presidente nazionale Carla Nespolo che aveva parlato di iniziativa non condivisibile. Nel pomeriggio a Parma si è svolta una fiaccolata legata alla Giornata del Ricordo.
(Fra.Na)
 
 
---
 
 
RIZZO (PC): «SU FOIBE CONTINUE FALSIFICAZIONI. L’ANPI SBAGLIA A DISSOCIARSI».
8 febbraio 2019
 
«Sulla vicenda delle foibe ormai è impossibile esprimere in Italia un giudizio legato alla verità storica e alla contestualizzazione degli eventi. Chiunque affermi il vero, e cioè che quello che è avvenuto non puo’ definirsi genocidio, nè pulizia etnica, e soprattutto che le vittime non erano nell’ordine nè delle centinaia di migliaia nè dei milioni come arrivano ad affermare settori di destra, viene tacciato di negazionismo. Sbaglia l’ANPI a dissociarsi da serie iniziative di storici che mirano a contrastare con il rigore della ricerca questo mare di propaganda» Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista. «Sulle vicende del confine orientale è stata costruita una narrazione che ha stravolto la realtà, che non fa i conti con le responsabilità dell’Italia fascista, alimenta il mito del “buon italiano”, utile alla propaganda nazionalista anche per l’oggi. Una cosa sono episodi di giustizia sommaria e rappresaglie, per quanto brutali, pero assai comuni durante la guerra, e nella maggior parte in risposta ai crimini perpetrati dalla colonizzazione fascista. Altro è quello che la propaganda revisionista afferma oggi a reti unificate. La costruzione della memoria collettiva è demandata a sceneggiati privi di reale riscontro storico come quello che andrà in onda sulla Rai questa sera. Si parla di ricerca della “memoria condivisa” ma in realtà si nobilita la falsificazione. La sinistra che ha appoggiato questa tendenza, è corresponsabile tanto quanto la destra, anzi forse di più. Al contrario – conclude Rizzo – difendere la verità storica significa evitare che narrazioni tossiche influenzino il senso comune, costruendo il terreno per nuove campagne belliciste che si profilano all’orizzonte e che nulla hanno a che fare con l’interesse dei popoli, a partire da quello italiano».
 
 
=== 4 ===
 
Bolzano: Sindaco PD Caramaschi equipara "Foibe" e Auschwitz... a braccetto con Benussi, esule istriano ed ex candidato sindaco di CasaPound
 
Fonte: pagina FB "ControInformazione Alto Adige - Südtirol", 11.2.2019
 
 
La saga sulla giornata del ricordo si arricchisce di un nuova perla del sindaco di Bolzano Caramaschi. In questa foto è ritratto insieme a Ivan Benussi, ex candidato sindaco di CasaPound nonchè esponente della comunità degli esuli istriani in Alto Adige. Arrivare a paragonare le vendette che portarono all'infoibamento di alcune centinaia di persone, in gran parte fasciste e con evidenti responsabilità nei crimini compiuti contro la popolazione slava, con la macchina industriale di morte che era Auschwitz...
 
 
 
=== 5 ===
 
*** DA BASOVIZZA:
 
Si veda anche: SALVINI ALLA FOIBA DI BASOVIZZA (10.02.19, pagina FB di Matteo Salvini)

---
 
 
Foibe, il giorno del ricordo: Salvini e Tajani a Basovizza. Il ministro: “Non esistono martiri di serie A e di serie B”
 
Istituita nel 2004, la commemorazione celebra le vittime delle foibe, l’esodo giuliano-dalmata e le drammatiche vicende del confine orientale negli anni a cavallo del secondo dopoguerra. Il presidente del Parlamento europeo: "Non possiamo permettere che una dittatura efferata ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui". Roberto Fico: "Solo mantenendo vivo il ricordo contribuiremo a costruire un futuro in cui simili tragedie non si ripetano mai più"

di F. Q. | 10 Febbraio 2019
 
 
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9004 ]] 
 
---
 
 
Salvini a Basovizza: "Bimbi morti nelle foibe e ad Auschwitz sono uguali" 
Il vice premier nel Giorno del Ricordo a Trieste: "Non esistono martiri di serie A e vittime di serie B". Presenti anche il presidente del Parlamento europeo Tajani, la presidente FdI Meloni, il vicepresidente della Camera Rosato, il presidente della Regione Fedriga, il sindaco Dipiazza 

10 FEBBRAIO 2019
 
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9004 ]] 
 
 
*** DAL QUIRINALE:
 
 
 
 

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’

 

Palazzo del Quirinale, 09/02/2019

  Benvenuti al Quirinale. Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte costituzionale e al Vice Presidente del Senato.

  Un ringraziamento a quanti sono intervenuti, contribuendo in maniera efficace a illustrare, a far rivivere e a comprendere il senso di questa giornata del Ricordo.

  Celebrare il Giorno del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la II guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, in larga parte, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave.

  Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. 

  Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza, contemporanea, nello stesso territorio, di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe.

  La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra mondiale, assoggettata alla brutalità del fascismo contro le minoranze slave e alla feroce occupazione tedesca, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, lì da sempre residenti. Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni.

  Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. Il catalogo degli orrori del ‘900 si arricchiva così del termine, spaventoso, di “infoibato”.

  La tragedia delle popolazioni italiane non si esaurì in quei barbari eccidi, concentratisi, con eccezionale virulenza, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945.

  Alla fine del conflitto, l’Italia si presentava nella doppia veste di Paese sconfitto nella sciagurata guerra voluta dal fascismo e, insieme, di cobelligerante. Mentre il Nord Italia era governato dalla Repubblica di Salò, i territori a est di Trieste erano stati formalmente annessi al Reich tedesco e, successivamente, vennero direttamente occupati dai partigiani delle formazioni comuniste jugoslave.

  Ma le mire territoriali di queste si estendevano anche su Trieste e Gorizia. Un progetto di annessione rispetto al quale gli Alleati mostravano una certa condiscendenza e che, per fortuna, venne sventato dall’impegno dei governi italiani.

  Certo, non tutto andò secondo gli auspici e quanto richiesto e desiderato. Molti italiani rimasero oltre la cortina di ferro. L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione. Cominciò il drammatico esodo verso l’Italia: uno stillicidio, durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche.

  Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore.

  Ma quei circa duecentocinquantamila italiani profughi, che tutto avevano perduto, e che guardavano alla madrepatria con speranza e fiducia non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti. Ci furono - è vero - grandi atti di solidarietà. Ma la macchina dell’accoglienza e dell’assistenza si mise in moto con lentezza, specialmente durante i primi anni, provocando agli esuli disagi e privazioni. Molti di loro presero la via dell’emigrazione, verso continenti lontani. E alle difficoltà materiali in Patria si univano, spesso, quelle morali: certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era così, erano semplicemente italiani.

  La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.

  Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea - una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione.

  L’istituzione, nel 2004, del Giorno del ricordo, votato a larghissima maggioranza dal Parlamento, dopo un dibattito approfondito e di alto livello, ha suggellato questa ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare.

  Ricomposizione che è avvenuta anche a livello internazionale, con i Paesi amici di Slovenia e Croazia, nel comune ripudio di ogni ideologia totalitaria, nella condivisa necessità di rispettare sempre i diritti della persona e di rifiutare l’estremismo nazionalista. Oggi, in quei territori, da sempre punto di incontro di etnie, lingue, culture, con secolari reciproche influenze, non ci sono più cortine, né frontiere, né guerre. Oggi la città di Gorizia non è più divisa in due dai reticolati.

  Al loro posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, che ha eliminato al suo interno muri e guerre. Oggi popoli amici e fratelli collaborano insieme nell’Unione Europea per la pace, il progresso, la difesa della democrazia, la prosperità.

  Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui, che attesta la grande amicizia che lega oggi i nostri popoli in un comune destino. Ringrazio l’on. Furio Radìn, Vice Presidente del Parlamento Croato, in cui è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Croazia; e l’on. Felice Ziza, deputato all’Assemblea Nazionale Slovena, ove è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Slovenia.

  Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazione congiunta tra il mio predecessore, il Presidente Giorgio Napolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità su quei tragici avvenimenti, e l’allora Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović del settembre 2011:

“Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell'Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell'individuo di essere diverso, per nascita o per scelta”.

  L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte. Si è sviluppata in un continente diviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo di conflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fanatismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di sopraffazione. L’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato - ed è tuttora - per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo fondamentalista di matrice islamista, alle tentazioni di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie.

  Molti tra i presenti, figli e discendenti di quegli italiani dolenti, perseguitati e fuggiaschi, portano nell’animo le cicatrici delle vicende storica che colpì i loro padri e le loro madri. Ma quella ferita, oggi, è ferita di tutto il popolo italiano, che guarda a quelle vicende con la sofferenza, il dolore, la solidarietà e il rispetto dovuti alle vittime innocenti di una tragedia nazionale, per troppo tempo accantonata.

 
---
 
 
Mattarella: «L'istituzione del Giorno del Ricordo, votato a larghissima maggioranza in Parlamento, ha suggellato ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare»
 
Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la celebrazione del "Giorno del Ricordo".
Nel corso della cerimonia, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, sono intervenuti: il Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, Antonio Ballarin, lo Storico Giuseppe Parlato, il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi e il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Marco Bussetti. 
Il Prof. Giuseppe De Vergottini, esule di prima generazione, ha portato la sua testimonianza ed è stato successivamente intervistato da due ragazzi.
Due studenti hanno letto una pagina di "Addio alla Città di Pola" di Monsignor Antonio Santin e un brano tratto dal romanzo "Verde Acqua" di Marisa Madieri. Successivamente il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.
Al termine il Capo dello Stato, coadiuvato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, ha consegnato i premi alle scuole vincitrici del concorso nazionale "Fiume e l'Adriatico orientale. Identità, culture, autonomia e nuovi confini nel panorama europeo alla fine della Prima guerra mondiale".
Erano presenti alla cerimonia il Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, il Presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, il Vice Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, rappresentanti del Governo, del Parlamento, autorità civili ed esponenti delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo".

Roma, 09/02/2019
 
 
(english / italiano)
 
Skoplje-Caracas-Washington, la NATO dispone
 
1) Washington, la ragione della forza (di Manlio Dinucci, 05.02.2019)
2) Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins (RT, 6 Feb, 2019)
3) Il mosaico etnico macedone verso la Nato (S. Cantone / EuroNews, 08/02/2019)
4) Macedonia: il cambio del nome apre le porte della NATO (M. Siragusa, 11.2.2019)
 
 
=== 1 ===
 
 
Washington, la ragione della forza

L’escalation Usa, dall’incoronazione di Guaidò alla sospensione del Trattato Inf
 
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 05.02..2019
 

Due settimane fa Washington ha incoronato presidente del Venezuela Juan Guaidò, pur non avendo questi neppure partecipato alle elezioni presidenziali, e ha dichiarato illegittimo il presidente Maduro, regolarmente eletto, preannunciando la sua deportazione a Guantanamo. La scorsa settimana ha annunciato la sospensione Usa del Trattato Inf, attribuendone la responsabilità alla Russia, e ha in tal modo aperto una ancora più pericolosa fase della corsa agli armamenti nucleari. Questa settimana Washington compie un altro passo: domani 6 febbraio, la Nato sotto comando Usa si allarga ulteriormente, con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord quale 30° membro.

Non sappiamo quale altro passo farà Washington la settimana prossima, ma sappiamo qual è la direzione: una sempre più rapida successione di atti di forza con cui gli Usa e le altre potenze dell’Occidente cercano di mantenere il predominio unipolare in un mondo che sta divenendo multipolare. Tale strategia – espressione non di forza ma di debolezza, tuttavia non meno pericolosa – calpesta le più elementari norme di diritto internazionale. Caso emblematico è il varo di nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, con il «congelamento» di beni per 7 miliardi di dollari appartenenti alla compagnia petrolifera di Stato, allo scopo dichiarato di impedire al Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, di esportare petrolio.

Il Venezuela, oltre a essere uno dei sette paesi del mondo con riserve di coltan, è ricco anche di oro, con riserve stimate in oltre 15 mila tonnellate, usato dallo Stato per procurarsi valuta pregiata e acquistare farmaci, prodotti alimentari e altri generi di prima necessità. Per questo il Dipartimento del Tesoro Usa, di concerto con i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di Unione europea e Giappone, ha condotto una operazione segreta di «esproprio internazionale» (documentata da Il Sole 24 Ore). Ha sequestrato 31 tonnellate di lingotti d’oro appartenenti allo Stato venezuelano: 14 tonnellate depositate presso la Banca d’Inghilterra, più altre 17 tonnellate trasferite a questa banca dalla tedesca Deutsche Bank che li aveva avuti in pegno a garanzia di un prestito, totalmente rimborsato dal Venezuela in valuta pregiata. Una vera e propria rapina, sullo stile di quella che nel 2011 ha portato al «congelamento» di 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici (ormai in gran parte spariti), con la differenza che quella contro l’oro venezuelano è stata condotta segretamente. Lo scopo è lo stesso: strangolare economicamente lo Stato-bersaglio per accelerarne il collasso, fomentando l’opposizione interna, e, se ciò non basta, attaccarlo militarmente dall’esterno.

Con lo stesso dispregio delle più elementari norme di condotta nei rapporti internazionali, gli Stati uniti e i loro alleati accusano la Russia di violare il Trattato Inf, senza portare alcuna prova, mentre ignorano le foto satellitari diffuse da Mosca le quali provano che gli Stati uniti avevano cominciato a preparare la produzione di missili nucleari proibiti dal Trattato, in un impianto della Raytheon, due anni prima che accusassero la Russia di violare il Trattato. Riguardo infine all’ulteriore allargamento della Nato, che sarà sancito domani, va ricordato che nel 1990, alla vigilia dello scioglimento del Patto di Varsavia, il Segretario di stato Usa James Baker assicurava il Presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che «la Nato non si estenderà di un solo pollice ad Est». In vent’anni, dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, la Nato si è estesa da 16 a 30 paesi, espandendosi sempre più ad Est verso la Russia.

 
=== 2 ===
 
 
Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins 
 
RT, 6 Feb, 2019 – NATO Secretary-General Jens Stoltenberg and Macedonian Foreign Minister Nikola Dimitrov signed accession papers in Brussels on Wednesday. The move is seen as a big step for the small Balkan country toward becoming the 30th member of NATO and it also marks the end of a long dispute with Greece over Macedonia’s name. The country is expected to join the alliance under the name of North Macedonia, possibly later this year or in early 2020, AP said. US President Donald Trump and his NATO counterparts are due to hold a summit in London in December. The meeting, to mark NATO’s 70th anniversary, could formally welcome North Macedonia should the ratification process be completed.
 
 
=== 3 ===
 
 
 
Il mosaico etnico macedone verso la Nato
Sergio Cantone, 08/02/2019
 
La complessità multietnica della Macedonia del Nord alla prova dei primi passi verso la Nato. Il paese balcanico dovrà infatti ratificare il protocollo di adesione all'Alleanza atlantica. Voto delicato, considerando le sensibilità filo russe e filo serbe esistenti del paese.
Dice la ministra della difesa, Radmila Shekerinska:
"Non c'è un'Europa stabile, senza dei Balcani stabili e orientati verso la prosperità. Crediamo che diventare membri della Nato, mostrerà che i paesi balcanici fanno progressi. E che la regione dell'Europa sudorientale si sta pacificando e sta diventando più prospera".
L'esercito Macedone deve svolgere un delicato ruolo di integrazione delle componenti, nella storia a tratti antagoniste, di un paese dalla struttura multietnica variegata. Questa repubblica della ex Jugoslavia sfuggì per poco ai sanguinosi conflitti Balcanici degli anni '90, e questo, nonostante la sua complessità. È anche il risultato della cooperazione delle sue forze armate con la Nato, non appena divenne indipendente, ormai più che ventennale.
"La Macedonia è stata una partner della Nato per molti anni. E anche senza averne fatto parte abbiamo contribuito con oltre 4000 effettivi a diverse missioni guidate dalla Nato, queste unità rappresentano la metà del totale del nostro esercito. Anche i piccoli paesi possono dare il loro contributo" aggiunge la ministra. 
Soldati macedoni hanno ad esempio partecipato alla missione Nato in Afghanistan, spiega il maggiore dell'esercito macedone Vlatko Shteriovski, che precisa: 
"I membri dell'esercito della Macedonia del Nord, sono professionisti integri e responsabili, hanno dimostrato standard simili a quelli degli eserciti Nato e di altre forze armate". 
Ora si attendono le ratifiche di tutti gli altri membri della Nato.
 
 
=== 4 ===
 
 
MACEDONIA: IL CAMBIO DEL NOME APRE LE PORTE DELLA NATO
 
di Marco Siragusa, 10.2.2019
 

Ventotto anni dopo la dichiarazione di indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia, sembra finalmente giunta a conclusione la questione relativa al nome del paese. Il nome provvisorio di Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM), adottato nel 1993 a causa dell’opposizione della Grecia all’utilizzo del nome Macedonia, considerato esclusivo della propria regione settentrionale, cesserà a breve di esistere. I due paesi hanno difatti raggiunto un compromesso che mette d’accordo (quasi) tutti: il nome ufficiale sarà Repubblica di Macedonia del Nord. Il raggiungimento dell’intesa ha aperto per Skopje le porte della NATO con la firma, mercoledì 6 febbraio, del protocollo di adesione.

I recenti sviluppi

Il 17 giugno 2018 il governo macedone e quello greco firmarono un accordo storico che apriva le porte alla risoluzione della lunga controversia legata al nome dell’ex repubblica jugoslava. L’intesa, conosciuta come Accordo di Prespa dal nome della località dove è stata firmata, prevedeva l’utilizzo del nome Repubblica di Macedonia del Nord. Nonostante il mancato raggiungimento del quorum nel referendum svoltosi a settembre in Macedonia, lo scorso 11 gennaio il governo socialdemocratico di Zoran Zaev ha ottenuto il voto favorevole del parlamento per la riforma della Costituzione necessaria a recepire il cambio di nome.

Il 25 gennaio il parlamento greco ha a sua volta approvato quanto previsto dall’Accordo di Prespa con il sostegno di 153 deputati su 300. I voti necessari alla ratifica sono arrivati dal partito di governo SYRIZA guidato dal premier Alexis Tsipras e da alcuni membri dell’opposizione appartenenti, o appena espulsi, al partito nazionalista ANEL e a quello centrista To Potami. In occasione del lungo dibattito parlamentare, durato ben tre giorni, non sono mancate le proteste, come quella che domenica 20 gennaio ha visto migliaia di manifestanti radunarsi a Piazza Syntagma, dove si sono verificati duri scontri con la polizia, seguita quattro giorni dopo da numerose manifestazioni in tutto il paese e al valico di Evzones al confine con la Macedonia, il cui passaggio è stato bloccato per diverse ore. Nonostante le proteste, con questo voto la Grecia si è impegnata a ritirare il veto che impediva alla Macedonia di dare avvio al processo di adesione all’Unione europea e alla NATO.

L’adesione alla NATO e all’UE

Superato lo scoglio relativo alla ratifica dell’Accordo di Prespa, la Macedonia del Nord può dare il via definitivo ai processi di adesione all’UE e alla NATO. Per l’accoglimento di nuovi membri nell’Alleanza atlantica è previsto l’accordo unanime di tutti gli Stati membri. Il primo passo è stato compiuto il 6 febbraio a Bruxelles dal Segretario generale Jens Stoltenberg e dal ministro degli Esteri Nikola Dimitrov con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord. Per il definitivo riconoscimento del paese come trentesimo membro della NATO è necessaria la ratifica del protocollo da parte di tutti gli altri paesi. A conferma dell’impegno preso, la prima ad approvarlo è stata la Grecia che venerdì 8 febbraio ha dato il proprio via libera con 153 voti favorevoli. In attesa che anche gli altri membri compiano questo passo, Skopje può partecipare ai lavori dell’Alleanza come paese invitato. Per Stoltenberg la firma ha segnato “una giornata storica che porterà stabilità e prosperità all’intera regione”.

Più lungo e complicato il percorso che dovrebbe portare all’adesione all’UE. Al prossimo summit dei ministri che si svolgerà a giugno dovrebbero essere avviate le trattative sui capitoli negoziali, i cosiddetti criteri di Copenaghen, necessari ad armonizzare la legislazione nazionale a quella europea. Questa rappresenta la fase più lunga e complicata di tutto il processo. La Croazia, ad esempio, ha impiegato ben otto anni prima di aderire ufficialmente mentre la Serbia, dopo cinque anni, si trova ancora a metà del percorso.

I prossimi passi

Per l’esordio del nuovo nome sullo scenario interno ed internazionale, al governo macedone spettano adesso solo alcuni adempimenti formali. Il primo e più importante è legato all’attuazione degli emendamenti costituzionali per rendere ufficiale il cambio di nome. Dopo il definitivo inserimento in Costituzione, il governo è tenuto a modificare le targhe delle auto governative, i nomi delle proprie istituzioni e ad utilizzare il nuovo nome in tutti i documenti ufficiali del paese, compresi quelli prodotti fino ad oggi. A livello internazionale, la nuova denominazione non richiede particolari procedure, spettando ai singoli Stati l’utilizzo o meno del nuovo nome. Dato il generale sostegno alla risoluzione della questione, appare scontato l’utilizzo del nuovo nome da parte della comunità internazionale.

Risolto definitivamente il problema del nome, per la Macedonia del Nord il successo del processo di adesione dipenderà ora dalla capacità di portare avanti le riforme in grado di adeguare il proprio sistema a quello europeo ma anche, e forse soprattutto, dallo stato di salute e dalle future evoluzioni dell’Unione stessa.

 

 

Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo


Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA


LE REALTA' ANTIFASCISTE INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

 

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 

Sullo spettacolo DRUG GOJKO si veda anche la nostra pagina dedicata

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9002 ]]

 
Le iniziative del 10 Febbraio
 
1) Trieste, tre iniziative controcorrente
2) Porano (TR): DRUG GOJKO
3) A Montebelluna e in Veneto per Norma Cossetto
4) Brugherio (MB), cronache della dissidenza
 
 
Ricordiamo anche:
Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
FOIBE E FASCISMO 2019
Conferenza di Sandi Volk, testimonianze e video
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
evento FB: https://www.facebook.com/events/227663108112168/
manifesto della iniziativa: https://www.cnj.it/home/images/INIZIATIVE/parma100219.jpg
Sulle polemiche in merito si vedano:
 
 
=== 1 ===
 
Nel frattempo, sempre a Trieste... Dalla pagina FB di David Danev, 6 febbraio 2018:

Nič novega v Trstu. Oziroma je vedno slabše!
Niente de novo a Trieste.. Anzi pezo del pezo con discriminazioni raziali a go-go.
Siamo in Italia e si parla Italiano! Detta da un poliziotto nel centro de Trieste il 6 febbraio 2019 no nel 1919.. Dove xe la legalità, dove il rispetto delle leggi che regola gli accordi post-bellici firmati dall'Italia? Me porte a Bazovica a fucilarme perchè domando che veni rispetado un DIRITTO UMANO?
 
---1)
 
Da: Detg Tik <detonitito  @gmail.com>
Oggetto: 10 febbraio a Basovizza (Trieste) per i caduti antifascisti
Data: 7 febbraio 2019 22:42:09 CET
 
In opposizione alla marea reazionaria e fascista del 10 febbraio, alcune compagne e compagni antifasciste triestine hanno deciso di condurre una minima iniziativa di mobilitazione, in difesa della memoria della lotta di liberazione.
In data 10 febbraio dalle 10.00 alle 12.00 saremo perciò a Basovizza (Trieste) presso il monumento ai caduti della guerra di liberazione in via Gruden (di fianco alla chiesa, difronte alla gelateria) per un presidio-volantinaggio.
Chiediamo il contributo di tutti e tutte, anche solo con un fiore per i nostri caduti.
Ci vediamo il 10
saluti antifascisti
 
---2)
 
Trieste,  domenica 10 febbraio 2019
alle ore 12:00 in San Giusto, via Capitolina alla base della grande Alabarda floreale
 
Riprendiamoci il 10 Febbraio
Ritrovo pubblico per ridare il giusto significato per Trieste a questa data. Nell'occasione verrà letto un breve discorso nelle lingue del Territorio Libero e pianteremo fiori. Seguirà rinfresco.

10 febbraio 2019: celebrazione della firma del Trattato di pace di Parigi determinante l'esistenza del Territorio Libero di Trieste e la sua internazionalità.
10 febbraio 1947: le Potenze "alleate ed associate" vincitrici della seconda guerra mondiale imposero il Trattato di pace di Parigi all'Italia (ex) fascista, riconosciuta responsabile assieme a Germania e Giappone dello scatenamento della seconda guerra mondiale.
Il 30 marzo 2004 l'Italia, caso unico in Europa, stravolgendo il chiaro significato di questa data, ha istituito per il 10 febbraio il "giorno del ricordo", in rievocazione "delle vittime delle foibe", sovrapponendo così dolore nazionale revanscistico al senso della sconfitta subita negli anni '40. 
Per Trieste, quindi è giusto ricordare che il Trattato di pace di Parigi ha determinato invece, la Fine della Guerra, la Pace tra i Popoli e la costituzione ed il riconoscimento da parte dei 21 firmatari e di tutta la comunità internazionale, Italia compresa, del Territorio Libero di Trieste e del nostro Porto libero internazionale. Quanto di più lontano possa idealmente esserci dal nazionalismo italiano e dalla propaganda politica, con-cause della seconda guerra mondiale e della profonda crisi in cui dal 1954 ad oggi è sprofondata Trieste.
 
Organizzano: Territorio Libero di Trieste - Svobodno ozemlje - Free Territory of Trieste e TRIEST NGO
 
 
---3)
 

NON SOLO SALVINI E TAJANI A TRIESTE

10 FEBBRAIO: GIORNATA DEL RICORDO, MA DI TUTTE LE VITTIME E NELLA VERITÀ E NON SOLO FOIBE

Per non dimenticare, affinché i giovani sappiano!

Testimoniate con la vostra presenza

invito-vabilo  

Il 10 febbraio alle 12 invitiamo la cittadinanza in piazza Oberdan accanto al “Cantico dei Cantici”, il celebre monumento di Marcello Mascherini le cui figure affusolate si allungano a toccare il cielo sovrastando le acque della fontana.

La gente chiama quest'opera il “monumento ai fidanzatini”, per un fatto accaduto durante la seconda guerra mondiale rimasto a ricordo e simbolo degli innumerevoli torturati e uccisi a Trieste dai fascisti e dai nazisti.

Il 19 marzo 1945 su quella piazza il giovane triestino Pino Robusti, che attende la sua fidanzata, viene fermato ed arrestato dalle SS e condotto alla Risiera di San Sabba, dove verrà assassinato. Verranno lette sotto il monumento le lettere che scrisse ai genitori ed alla fidanzata poco prima di morire.

Quanto alla vicenda delle foibe, cavità naturali delle regioni carsiche di queste terre, vennero usate come fosse comuni prima dai nazionalisti e dai fascisti italiani tra le due guerre mondiali, e poi durante la seconda guerra mondiale che contrappose qui a fascisti e nazisti le forze di liberazione slovene, croate e italiane.

Molti, in questi giorni, restano gli interrogativi: ma è giusto parlare solamente di foibe di un determinato periodo? quando si è iniziato a usare le foibe? Ancora oggi si discute su quante siano le vittime finite nelle foibe in un'area molto vasta che comprende Venezia giulia, Slovenia, Istria e Croazia

Come mai non c’è spazio per una documentazione o una volontà di ricerca credibile sull’effettivo numero di persone scomparse? La tecnologia odierna inoltre probabilmente consentirebbe un 'identificazione certa delle salme.

Come mai nonostante i mezzi a disposizione negli apparati civili e militari, non si prova giungere a una definitiva e riconosciuta conta su numeri e persone?

Perché la politica impegnata a trovare le verità storiche, non fa chiarezza e non insiste nel far richieste di questo tipo? E come mai a quasi 75 anni di distanza non l’ha attuata?

La repubblica nasce dalla resistenza antifascista e si basa su una costituzione fondata sul rispetto della dignità dell’uomo. Una vita vale il mondo, quindi il numero di vittime potrebbe essere relativo, ma non in questo caso data l’importanza e valenza politica e storica che questi numeri hanno avuto.

Apriamo le tombe! Il periodo buio che ha portato il fascismo in Italia con particolari caratteristiche ed eccessi in queste terre, ha istigato l'odio etnico e promulgato leggi razziali che assieme ad altri fattori ed intrecci di carattere internazionale hanno reso quest’area geografica la più esposta ai tragici eventi che qui si sono verificati, risiera compresa.

Ai piedi del monumento “cantico dei cantici”, verrà collocata una composizione floreale a simboleggiare il grande cuore di Trieste, città che nella sua storia è sempre stata d’accoglienza di genti di diversa provenienza.

Nel corso dell’evento verranno osservati tre motivati minuti di silenzio al suono della tromba fuori ordinanza.

In caso di maltempo l’evento si terrà sotto il porticato del palazzo al n. 4 della piazza, ex sede della Polizia SS che vi compiva interrogatori e torture.

p.s. verranno inoltre trattati argomenti d’attualità inerenti al decreto sicurezza.

 

Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci

comitatodanilodolci@...

fb: Comitato Pace Danilo Dolci – Trieste

 
---

"Lettera dello studente Pino Robusti ai genitori, dalle carceri del Coroneo di Trieste, pochi giorni prima di essere ucciso."

Pasqua 1945

Carissimi
Questa giornata è stata come una sorpresa per tutti noi "politici".
Ogni ceto, classe, età, accomunati in una sola vera fede, in una sofferenza unica e distinta per ognuno di noi eppure per tutti uguale. Ci siamo ritrovati tutti, stamane in chiesa, italiani, slavi, americani, russi tutti uguali dinanzi al cappellano, uomini e donne. Il discorso del prete è stato grandioso come grandioso il "grazioso" sorriso che da qualche giorno infiora la fetida bocca dei carcerieri. Si scusano di tenerci qui, ma come si fa… il dovere…!

Fifa, miei cari, fifa bella e buona! Poi in cortile, tutti insieme abbiamo cantato l’inno partigiano e gli slavi sono maestri del canto. Bisognava vedere la faccia del maresciallo tedesco che osservava la scena. Nulla ci è mancato, né vino, né sigarette e neppure fiori e che eleganza stamattina. Insomma la miglior dimostrazione di strafottenza più schietta e manifesta. Spero che anche voi avrete passato questo giorno con quella letizia che permettono le circostanze attuali (illeggibile) meglio non pensarci (illeggibile). State in pace e ricordatevi come io ricordo che l’ora del (illeggibile) è sempre più vicina per qualcuno che io conosco. Baci a tutti.

Pino

---

"Lettera dello studente Pino Robusti alla fidanzata dalle carceri del Coroneo di Trieste il 5 aprile 1945. Il giorno dopo egli veniva ucciso e bruciato nel forno della Risiera."

Trieste, 5 aprile 1945

Laura mia,

mi decido di scrivere queste pagine in previsione di un epilogo fatale e impreveduto. Da due giorni partono a decine uomini e donne per ignota destinazione. Può anche essere la mia ora. In tale eventualità io trovo il dovere di lasciarti come mio unico ricordo queste righe.

Tu sai, Laura mia, se mi è stato doloroso il distaccarmi, sia pure forzatamente da te, tu mi conosci e mi puoi con i miei genitori, voi soli, giustamente giudicare. Se quanto temo dovrà accadere sarò una delle centinaia di migliaia di vittime che con sommaria giustizia in un campo e nell’altro sono state mietute. Per voi sarà cosa tremenda, per la massa sarà il nulla, un’unità in più in una cifra seguita da molti zeri. Ormai l’umanità si è abituata a vivere nel sangue. Io credo che tutto ciò che tra noi v’è stato, non sia altro che normale e conseguente alla nostra età, e son certo che con me non avrai imparato nulla che possa nuocerti né dal lato morale, né dal lato fisico. Ti raccomando perciò, come mio ultimo desiderio, che tu non voglia o per debolezza o per dolore sbandarti e uscire da quella via che con tanto amore, cura e passione ti ho modestamente insegnato.

Mi pare strano, mentre ti scrivo, che tra poche ore una scarica potrebbe stendermi per sempre, mi sento calmo, direi quasi sereno, solo l’animo mi duole di non aver potuto cogliere degnamente, come avrei voluto, il fiore della tua giovinezza, l’unico e più ambito premio di questa mia esistenza.

Credimi, Laura mia, anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre e quando andrai a trovare i tuoi genitori, io sarò là, presso la loro tomba ad aiutarti e consigliarti.

L’esperienza che sto provando, credimi, è terribile. Sapere che da un’ora all’altra tutto può finire, essere salvo e vedermi purtroppo avvinghiato senza scampo dall’immane polipo che cala nel baratro.

E’ come divenir ciechi poco per volta. Ora, con te sono stato in dovere di mandarti un ultimo saluto, ma con i miei me ne manca l’animo, quello che dovrei dire a loro è troppo atroce perché io possa avere la forza di dar loro un dolore di tale misura. Comprenderanno, è l’unica cosa che spero. Comprenderanno.

Addio, Laura adorata, io vado verso l’ignoto, la gloria o l’oblio, sii forte, onesta, generosa, inflessibile, Laura santa. Il mio ultimo bacio a te che comprende tutti gli affetti miei, la famiglia, la casa, la patria, i figli.

Addio

Pino
 
 
=== 2 ===
 
Porano (TR), domenica 10 febbraio 2019
alle ore 17 nella Sala Malerba

DRUG GOJKO 
 
di e con Pietro Benedetti
organizza: Alternativa per Porano
prenotazione obbligatoria – si veda la locandina:
 
 
=== 3 ===
 
 
10 FEBBRAIO, NORMA COSSETTO IN VENETO E A MONTEBELLUNA
 
di Francesco Cecchini – 7 Febbraio 2019
 
NORMA COSSETTO IN VENETO
In occasione del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, la Regione Veneto, in collaborazione con lUfficio scolastico regionale, lassociazione Venezia Giulia e Dalmazia e la federazione delle associazioni degli esuli, distribuirà nelle scuole medie il fumetto Foiba Rossa, la storia a fumetti di Norma Cossetto, e un opuscolo di Guido Rumici. Liniziativa è finanziata con 15 mila euro dalla Giunta regionale. Responsabile e promotrice è Elena Donazzan, Assessore all’ Istruzione, Formazione, Lavoro, Trasporti nella Giunta Zaia.
 
ELENA DONAZZAN, CUORE NERO
[FOTO: Elena Donazzan con la t-shirt "Cuore Nero"
http://www.ancorafischiailvento.org/wp-content/uploads/2019/02/CUORE-NERO.jpg ]
Elena Donazzan figlia di repubblichini e nostalgica di anni neri, non è nuova ad iniziative del genere. Nel novembre del 2010 quando la Regione Veneto approvò la legge sulla valorizzazione dell’antifascismo e della Resistenza votò contro con motivazioni assurde. Nel settembre 2015 partecipò a Valdobbiadene a una cerimonia di inaugurazione di una lapide in onore della Decima Mas. Giacomo Vendrame segretario della CGIL commentò così: Credo che questa cerimonia si possa configurare come apologia del fascismo. Commemorare la Decima flottiglia Mas, in una sorta di bieco revisionismo storico, è vergognoso, una grave mancanza di rispetto per i nostri caduti della resistenza, coloro che si sono battuti contro la dittatura per la libertà e per la democrazia.” Ora Elena Donazzan ha chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella di sciogliere l’ANPI, per la sua posizione su confine orientale, foibe ed esodo dalmata istriano, che l’ Assessore alla cutura falsifica. Il fumetto Foiba Rossa che la Donazzan distribuirà agli studenti veneti di scuola media distorce la drammatica vicenda di Norma Cossetto.
 
NORMA COSSETTO NON FU ASSASSINATA PER ESSERSI RIFIUTATA DI ESSERE JUGOSLAVA E COMUNISTA. I SUOI ASSASSINI NON FURONO SOLDATI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO
Norma Cossetto a 24 anni fu uccisa e infoibata ad Antignana, il 4 o 5 ottobre 1943. Qualsiasi tragica morte suscita orrore, e Norma Cossetto, per la sua orrenda morte, merita onore e ricordo. Concetto Marchesi, comunista e rettore dell’Università di Padova, conferendogli nel 1947 una laurea honoris causa e Azeglio Ciampi decorandola con una medaglia doro hanno onorato la sua memoria. 

ANCHE LA VERITA’, PERO’, MERITA RISPETTO
Norma Cossetto era iscritta alla Gioventù Universitaria Fascista in Istria e figlia di Giuseppe Cossetto un ricco possidente fascista, che fu anche Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia dIstria, che espropiò centinaia contadini slavi dellIstria delle loro terre. Ad assassinarla non furono partigiani slavi, ma degli italiani. Il Circolo Norma Cossetto, qualche anno fa, pubblicò un documento nel quale si afferma che Norma fu invitata a presentarsi al Comando partigiano del luogo, fu interrogata e rilasciata. In seguito però cadde nelle mani di alcuni italiani, tre o quattro, dei cani sciolti, che la condussero a Parenzo, da dove fu portata ad Antignana, violentata, uccisa e infoibata. Costoro furono presi da fascisti italiani alla fine dellottobre 1943 e, insieme con altri, per lo più innocenti e tutti italiani, in tutto diciassette, furono massacrati a raffiche di mitra, senza alcun processo e furono gettati nella stessa foiba di Norma Cossetto. Il corpo di Norma Cossetto, stando al verbale dei Vigili del Fuoco di Pola che lo estrassero, si presentava intatto, senza segni di sevizie. Inoltre vi è la testimonianza di Arnaldo Harzarich Vigili del fuoco di Pola, che si trova in Foibe di Papo, ed è citata anche nel Bollettino dellUnione degli Istriani n. 28, sett. dic. 1998, pag. 5, che conferma il verbale dei Vigili del Fuoco di Pola. Soltanto dopo, in una serie infinita di ricostruzioni, peraltro contraddittorie, si cominciò a parlare di torture, di seni ed organi genitali straziati, etc., etc. Anche lo storico triestino Roberto Spazzali, nel suo lavoro Foibe, un dibattito ancora aperto edito nel 1996 dalla Lega Nazionale di Trieste, dunque da unassociazione non partigiana, ha scritto: Lampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra dedicherà un consistente spazio alla morte e al rinvenimento di Norma Cossetto, intrecciando incontrollate fantasie e presunte testimonianze.

NORMA COSSETTO A MONTEBELLUNA
In occasione del 10 febbraio a Montebelluna verrà inaugurata ufficialmente una via dedicata a Norma Cossetto. La storia del 10 febbraio a Montebelluna non brilla per verità storica e democrazia. Il 10 febbraio 2012 l’amministrazione comunale sponorizzò un evento organizzato dal Comitato Provinciale di Treviso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che parlava di genocidio (sic!)di istriani, giuliani e dalmati. Presentò l’avv. Maria Bortoletto. Il 10 febbraio 2013 l’amministrazione comunale impedì ,togliendo l’ Auditorium della Biblioteca Comunale precedentemente concesso, un convegno organizzato dallAnpi di Montebelluna su fascismo, confine orientale e foibe con la partecipazione delle storiche Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. Decisivo fu allora Claudio Borgia, collega politico di Elena Donazzan simpatizzante di Mussolini, che lo appoggia ed ora assessore all’istruzione e alle politiche familiari.
 
Claudio Borgia davanti alla sede ANPI a Montebelluna nel 2013
Oratori ufficiali saranno il sindaco Marzio Favero e Alma Brussi dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmati.
Il sindaco, obiettore di coscienza e antifascista, ha chiarito tempo fa in un’intervista dell’ aprile 2018 alla telvisione Antenna 3 la sua posizione su via Norma Cossetto. Vedere il video dell’intervista. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_0l4rPZpFys
 
Le sue parole sono contro speculazioni politiche e quindi non proprio coincidenti con quanto scritto da Treviso today dell’ 8 maggio 2017: La nuova via della frazione sarà infatti dedicata a Norma Cossetto, studentessa italiana, istriana, vittima dellesercito popolare di liberazione della Iugoslavia del maresciallo Tito. Venne torturata, violentata e gettata in una foiba nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.”
Alma Brussi, nata a Pola, di solito presenta un documentario Pola una città che muore e parla di esodo forzato. Pola, città cantata anche dalla canzone 1947 di Sergio Endrigo, non è morta, anzi, ed esodo forzato in ogni caso non è il genocidio di cui ha parlato l’avvocato Maria Bortoletto.
All’inaugurazione ufficiale è stata invitata l’ANPI di Montebelluna. Se l’ ANPI accetterà di essere presente sarà un’accasione per affermare qual’è la sua reale posizione sulle drammatiche vicende del confine orientale. Vedere dichiarazioni recenti ad Antenna 3 del presidente dell’ANPI provinciale di Treviso, Giuliano Varnier. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uhrkjxvfbuQ
 
 
=== 4 ===
 
Sulla iniziativa di Brugherio (spostata da Cologno Monzese a causa della censura istituzionale) si veda:
e le fotografie:
 
 
Introduzione della Rete per Foibe e confine orientale 1920-1947
8 febbraio 2019
Rete Antifascista Cologno
 

Riportiamo di seguito la traccia scritta della nostra introduzione all’incontro Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947), svoltasi presso la Casa del Popolo di Brugherio il 7 febbraio 2019.

***

Questa è la prima assemblea pubblica della Rete antifascista Cologno. Siamo una rete composta da singoli cittadini, organizzazioni partitiche, sindacali, associazioni, liste civiche e singoli cittadine e cittadini. Ci siamo aggregati nell’aprile 2018 per dare una risposta popolare, di piazza, pacifica ma determinata alla cosiddetta “rievocazione storica” di un campo dell’esercito della Germania nazista voluta dall’amministrazione comunale della nostra città e svoltasi a giugno scorso (prevista inizialmente a ridosso del 25 aprile e con esplicito riferimento alla Liberazione).

Pensiamo che oggi, in Italia e in Europa ci sia bisogno di antifascismo.
Intendiamoci, non pensiamo che il fascismo storico, inteso come regime (1922-1945), possa facilmente tornare. Intendiamo il fascismo come il “fascismo perenne” di cui parlava Umberto Eco, un fascismo come visione del mondo, discorso pubblico e pratiche politiche conseguenti. Elementi oggi vivi e vegeti anche in leader e formazioni politiche che vanno oltre il perimetro della galassia della destra neo-fascista (che comunque è aggressiva, pericolosa e va contrastata).
L’Amministrazione Comunale di Cologno ha dato prova di essere infetta da questo “virus” attraverso una serie di atti concreti tra cui la concessione di spazi pubblici a formazioni neofasciste e l’adozione di provvedimenti a sfondo razzista come la chiusura della Scuola di Italiano per Stranieri e l’ordinanza discriminatoria sull’ospitalità ai migranti per cui il Comune di Cologno è stato recentemente condannato dal Tribunale di Milano.
Per fermare il “fascismo perenne” occorre andare oltre un antifascismo ingessato e rituale, quello dei discorsi e delle cerimonie. Serve sporcarsi le mani con iniziative di piazza e se occorre di protesta; serve anche fare battaglia di idee. Ed è per questo che siamo qui.

Negli ultimi tre anni e mezzo, l’amministrazione comunale di Cologno ha enfatizzato il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Spettacoli teatrali, conferenze, persino un monumento davanti al municipio. A cui si aggiunge l’attivismo del consigliere comunale di Casapound (ex capogruppo della Lega), che ha preso parola due-tre volte in consiglio comunale, di cui una per chiedere di intitolare una via ai “martiri delle foibe” e un’altra per stigmatizzare la presenza dell’ANPI nelle scuole colognesi (in cui la giunta ha incoraggiato nell’anno scolastico 2018-19 conferenze solo dell’ANVGD-Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia). Quest’anno, in più, la giunta ha deciso di proiettare al cineteatro comunale “Red Land/Rosso Istria”, un film assurto all’onore delle critiche per le evidenti falsità storiche . Ci sembra
significativo che nel 2019 ci siano state tre iniziative istituzionali per il Giorno della Memoria per le vittime degli stermini nazifascisti e quattro per il Giorno del Ricordo.

Perché questa enfasi? La nostra idea è che, da circa 15 anni (2004, legge che istituisce il Giorno del ricordo), le vicende del confine orientale tra il 1943 e il 1945 (assassinii e sepolture di fortuna nelle cavità carsiche) siano state strumentalizzate per ragioni politiche.. Per cancellare la responsabilità storica e i crimini compiuti dal regime fascista italiano e dai suoi sostenitori. Nulla nasce nel vuoto. Le reazioni alla repressione di circoli, scuole, organizzazioni (spesso di lavoratori) di lingua slava, le reazioni all’italianizzazione forzata (cambio nomi e toponimi) e allo squadrismo, non nascono nel vuoto, ma sono appunto una risposta al razzismo e alle violenze dei fascisti (dagli anni ’20) e dei nazisti (dal 1943).
Intorno al tema foibe si sono scatenate una gran quantità di narrazioni tossiche che confondono volutamente le acque: diluiscono la categoria di fascisti e collaborazionisti in quella generica di “italiani”, solleticando un vittimismo irrazionale e il vecchio stereotipo (storicamente falso) degli “italiani brava gente” durante occupazioni e regimi coloniali. I crimini del fascismo, nelle terre del confine orientale così come in Africa orientale, Jugoslavia, Grecia, Albania sono un gigantesco rimosso di cui si deve tornare a parlare.
A che scopo? Secondo noi per una sorta di vendetta storica che parli al presente: attaccare la Resistenza e la lotta antifascista di Liberazione, dipingere i partigiani (soprattutto se jugoslavi e/o comunisti) come belve assetate di sangue, ritagliare spazi di agibilità politica e presunta autorevolezza storico-morale per organizzazioni post/para/neo fasciste.

Questa strategia di confusione e riscrittura della storia, però, ha un punto debole: la ricerca storiografica fatta come si deve. Quella che non gonfia i numeri delle vittime, quella che usa i documenti processuali e le testimonianze dell’epoca (e non di figli e nipoti che raccontano storie filtrate dai decenni, dai racconti, dal vissuto emotivo familiare), quella che inquadra i singoli episodi in cornici storiche più ampie, quella che non
mescola eventi storici diversi e complessi. Non si inventa nulla e non si guarda solo a quel che si vuole vedere, insomma. Non si nega, non si giustifica ma si contestualizza.

Per questo siamo qui stasera. Per dare alla nostra cassetta degli attrezzi una serie di strumenti per la battaglia di idee che vogliamo portare avanti. Con l’orizzonte contribuire a costruire città accoglienti, senza razzismo, fascismo, sessismo né alcuna forma di ingiustizie e oppressione.

 
 
 
Arretramento dell'ANPI sul "Confine Orientale"?
 
1) Come si cambia da un anno all'altro
2015: ANPI chiede di sospendere la Legge sul Giorno del Ricordo
2016: Smuraglia chiede chiarimenti a Del Rio e Serracchiani sulla proroga
2017: Carla Nespolo co-firmataria di Lettera Aperta al MIUR
2018: Documento ANPI "Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni" non contesta il "Giorno del Ricordo"
2018: Carla Nespolo saluta il convegno di Torino "Giorno del Ricordo. Un bilancio"
2019: Carla Nespolo critica il convegno di Parma "Foibe e Fascismo"

(english / italiano)
 
Juan Guaidó, da Washington a Caracas via Belgrado
 
1) Dalle guarimbas alla ribalta mondiale. Guaidó, il «progetto preferito» della Casa Bianca. La ricostruzione di Max Blumenthal e Dan Cohen (di Roberto Livi / Il Manifesto, 06.02.2019)
 
2) The Making of Juan Guaidó: How the US Regime Change Laboratory Created Venezuela’s Coup Leader (by Dan Cohen and Max Blumenthal / The Grayzone, January 29, 2019)
 
 
Su OTPOR a Belgrado ed altri laboratori eversivi del neocolonialismo, si veda la nostra pagina dedicata:
 
 
=== 1 ===
 
 
Dalle guarimbas alla ribalta mondiale. Guaidó, il «progetto preferito» della Casa bianca

La ricostruzione di Max Blumenthal e Dan Cohen. Nel dicembre 2018 si recò a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano... Trump fu d’accordo ad appoggiarlo se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente
 
di Roberto Livi, su Il Manifesto del 06.02.2019
 

Prima di far scattare il colpo di stato istituzionale il 22 gennaio, meno di 1 venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Fino a poche settimane prima, quest’uomo di 35 anni era un personaggio semioscuro, militante di una formazione di estrema destra, Voluntad Popular, emarginata nella stesa Mesa de Unidad democratica dell’opposizione perché implicata nelle azioni più violente delle sanguinose guarimbas del 2014 e 2016.

ANCHE NEL SUO PARTITO, Guaidó era una figura di medio livello, eletto per il rotto della cuffia nel 2015 all’Assemblea nazionale in una delle circoscrizioni meno popolate. Eppure questo anonimo parlamentare è stato “unto” come salvatore della democrazia venezuelana e autorizzato a proclamarsi «legittimo» presidente del Venezuela da una telefonata del vicepresidente Usa, Mike Pence.

IN UN LUNGO ARTICOLO pubblicato in The Grayzone Project – progetto per un giornalismo investigativo online e ripreso dal portale Cubadebate – i giornalisti-scrittori Max Blumenthal e Dan Cohen ricostruiscono la vicenda di Guaidó, uno dei giovani venezuelani di destra della “Generazione 2007” che ricevettero dai «laboratori specializzati in cambi di regimi» degli Usa – finanziati in gran parte dal National Endowment for Democracy, (Ned) appendice della Cia – l’addestramento per abbattere il governo, prima di Hugo Chávez poi di Maduro.

NEL 2005 Guaidó fu uno dei cinque «leader studenteschi» venezuelani che si recarono a Belgrado per conoscere le tecniche insurrezionali praticate dai giovani militanti di Otpor (in serbo Resistenza, gruppo fondato nel 1998) che iniziarono le proteste contro il presidente serbo Slobodan Milosevic (e poi fecero scuola per “Rivoluzioni colorate” in alcuni paesi ex comunisti come Ucraina e Georgia). L’addestramento proseguì negli Usa e in Messico e si concretizzò nelle barricate delle sanguinose guarimbas.

I due autori sottolineano come Guaidó sia «presidente dell’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione, ma mai è stato eletto a questa carica. I quattro maggiori partiti di opposizione che formavano la Mesa de Unidad Democrática avevano deciso una presidenza a rotazione. Quando toccò a Voluntad Popular, il suo fondatore, López, era agli arresti domiciliari (accusato di di guarimbas che avevano causato la morte di vari cittadini) e il suo secondo, Guevara, si era rifugiato presso l’ambasciata cilena. Un tal Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto essere il terzo nella linea di comando, però, per ragioni che solo oggi sono chiare, fu selezionato Guaidó». Selezionato per sviluppare i piani appresi e concordati negli States.

«NEL DICEMBRE 2018 – proseguono i due autori dell’inchiesta – Guaidó si recò clandestinamente a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano che prevedeva massicce manifestazioni nel corso dell’assunzione della presidenza da parte di Maduro (il 10 dicembre). La notte prima della cerimonia, il vicepresidente Usa Mike Pence e la ministra degli Esteri del Canada, Chrystia Freeland, telefonarono a Guaidó per confermargli il loro appoggio. Una settimana dopo i senatori Marco Rubio e Rick Scott e il deputato Mario Diaz-Balart – tutti parlamentari della lobby anticastrista in Florida – si riunirono con il presidente Trump e il vice Pence alla Casa bianca. Su loro richiesta, Trump fu d’accordo ad appoggiare Guaidó, se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente». Anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, «secondo il Wall Street Journal si riunì con Guaidó il 10 gennaio…».

BLUMENTHAL E COHEN proseguono l’inchiesta su come il golpe istituzionale sia stato preparato negli Usa scrivendo che «l’11 gennaio la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata redatta 37 volte… Alla fine la supervisione editoriale della sua pagina fu consegnata all’élite del consiglio di “bibliotecari” di Wikipedia che lo dichiarò presidente del Venezuela “in disputa”».

I due autori concludono che «mentre aspetta un intervento diretto (degli Usa, ndr) Guaidó continua a essere quello che sempre è stato: il progetto favorito di ciniche forze straniere».

 
=== 2 ===
 
ESP.: La creación de Juan Guaidó: cómo los laboratorios de cambio de régimen estadounidenses crearon al líder del golpe de estado en Venezuela (Por Dan Cohen y Max Blumenthal, January 31, 2019)
 
 
The Making of Juan Guaidó: How the US Regime Change Laboratory Created Venezuela’s Coup Leader 
 
Juan Guaidó is the product of a decade-long project overseen by Washington’s elite regime change trainers. While posing as a champion of democracy, he has spent years at the forefront of a violent campaign of destabilization.
 
by Dan Cohen and Max Blumenthal, January 29, 2019
 

Before the fateful day of January 22, fewer than one in fiveVenezuelans had heard of Juan Guaidó. Only a few months ago, the 35-year-old was an obscure character in a politically marginal far-right group closely associated with gruesome acts of street violence. Even in his own party, Guaidó had been a mid-level figure in the opposition-dominated National Assembly, which is now held under contempt according to Venezuela’s constitution. 

But after a single phone call from from US Vice President Mike Pence, Guaidó proclaimed himself president of Venezuela. Anointed as the leader of his country by Washington, a previously unknown political bottom-dweller was vaulted onto the international stage as the US-selected leader of the nation with the world’s largest oil reserves.

Echoing the Washington consensus, the New York Times editorial board hailed Guaidó as a “credible rival” to Maduro with a “refreshing style and vision of taking the country forward.” The Bloomberg News editorial board applauded him for seeking “restoration of democracy” and the Wall Street Journal declaredhim “a new democratic leader.” Meanwhile, Canada, numerous European nations, Israel, and the bloc of right-wing Latin American governments known as the Lima Group recognized Guaidó as the legitimate leader of Venezuela.

While Guaidó seemed to have materialized out of nowhere, he was, in fact, the product of more than a decade of assiduous grooming by the US government’s elite regime change factories. Alongside a cadre of right-wing student activists, Guaidó was cultivated to undermine Venezuela’s socialist-oriented government, destabilize the country, and one day seize power. Though he has been a minor figure in Venezuelan politics, he had spent years quietly demonstrated his worthiness in Washington’s halls of power.

“Juan Guaidó is a character that has been created for this circumstance,” Marco Teruggi, an Argentinian sociologist and leading chronicler of Venezuelan politics, told The Grayzone. “It’s the logic of a laboratory – Guaidó is like a mixture of several elements that create a character who, in all honesty, oscillates between laughable and worrying.” 

Diego Sequera, a Venezuelan journalist and writer for the investigative outlet Misión Verdad, agreed: “Guaidó is more popular outside Venezuela than inside, especially in the elite Ivy League and Washington circles,” Sequera remarked to The Grayzone, “He’s a known character there, is predictably right-wing, and is considered loyal to the program.”

While Guaidó is today sold as the face of democratic restoration, he spent his career in the most violent faction of Venezuela’s most radical opposition party, positioning himself at the forefront of one destabilization campaign after another. His party has been widely discredited inside Venezuela, and is held partly responsible for fragmenting a badly weakened opposition. 

“‘These radical leaders have no more than 20 percent in opinion polls,” wrote Luis Vicente León, Venezuela’s leading pollster. According to León, Guaidó’s party remains isolated because the majority of the population “does not want war. ‘What they want is a solution.’”

But this is precisely why Guaidó was selected by Washington: He is not expected to lead Venezuela toward democracy, but to collapse a country that for the past two decades has been a bulwark of resistance to US hegemony. His unlikely rise signals the culmination of a two decades-long project to destroy a robust socialist experiment.

Targeting the “troika of tyranny”

Since the 1998 election of Hugo Chávez, the United States has fought to restore control over Venezuela and is vast oil reserves. Chávez’s socialist programs may have redistributed the country’s wealth and helped lift millions out of poverty, but they also earned him a target on his back. 

In 2002, Venezuela’s right-wing opposition briefly ousted Chávez with US support and recognition, before the military restored his presidency following a mass popular mobilization. Throughout the administrations of US Presidents George W. Bush and Barack Obama, Chávez survived numerous assassination plots, before succumbing to cancer in 2013. His successor, Nicolas Maduro, has survived three attempts on his life.

The Trump administration immediately elevated Venezuela to the top of Washington’s regime change target list, branding it the leader of a “troika of tyranny.” Last year, Trump’s national security team attempted to recruit members of the military brass to mount a military junta, but that effort failed.

According to the Venezuelan government, the US was also involved in a plot, codenamed Operation Constitution, to capture Maduro at the Miraflores presidential palace; and another, called Operation Armageddon, to assassinate him at a military parade in July 2017. Just over a year later, exiled opposition leaders tried and failed to kill Maduro with drone bombs during a military parade in Caracas.

More than a decade before these intrigues, a group of right-wing opposition students were hand-selected and groomed by an elite US-funded regime change training academy to topple Venezuela’s government and restore the neoliberal order.

Training from the “‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions”

On October 5, 2005, with Chávez’s popularity at its peak and his government planning sweeping socialist programs, five Venezuelan “student leaders” arrived in Belgrade, Serbia to begin training for an insurrection. 

The students had arrived from Venezuela courtesy of the Center for Applied Non-Violent Action and Strategies, or CANVAS. This group is funded largely through the National Endowment for Democracy, a CIA cut-out that functions as the US government’s main arm of promoting regime change; and offshoots like the International Republican Institute and the National Democratic Institute for International Affairs. According to leaked internal emails from Stratfor, an intelligence firm known as the “shadow CIA,” CANVAS “may have also received CIA funding and training during the 1999/2000 anti-Milosevic struggle.”

CANVAS is a spinoff of Otpor, a Serbian protest group founded by Srdja Popovic in 1998 at the University of Belgrade. Otpor, which means “resistance” in Serbian, was the student group that gained international fame — and Hollywood-level promotion — by mobilizing the protests that eventually toppled Slobodan Milosevic. 

This small cell of regime change specialists was operating according to the theories of the late Gene Sharp, the so-called “Clausewitz of non-violent struggle.” Sharp had worked with a former Defense Intelligence Agency analyst, Col. Robert Helvey, to conceive a strategic blueprint that weaponized protest as a form of hybrid warfare, aiming it at states that resisted Washington’s unipolar domination.

[PHOTO: Otpor at the 1998 MTV Europe Music Awards
 

Otpor was supported by the National Endowment for Democracy, USAID, and Sharp’s Albert Einstein Institute. Sinisa Sikman, one of Otpor’s main trainers, once said the group even received direct CIA funding. 

According to a leaked email from a Stratfor staffer, after running Milosevic out of power, “the kids who ran OTPOR grew up, got suits and designed CANVAS… or in other words a ‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions. They are still hooked into U.S. funding and basically go around the world trying to topple dictators and autocratic governments (ones that U.S. does not like ;).”

Stratfor revealed that CANVAS “turned its attention to Venezuela” in 2005, after training opposition movements that led pro-NATO regime change operations across Eastern Europe.

While monitoring the CANVAS training program, Stratfor outlined its insurrectionist agenda in strikingly blunt language: “Success is by no means guaranteed, and student movements are only at the beginning of what could be a years-long effort to trigger a revolution in Venezuela, but the trainers themselves are the people who cut their teeth on the ‘Butcher of the Balkans.’ They’ve got mad skills. When you see students at five Venezuelan universities hold simultaneous demonstrations, you will know that the training is over and the real work has begun.”

Birthing the “Generation 2007” regime change cadre

The “real work” began two years later, in 2007, when Guaidó graduated from Andrés Bello Catholic University of Caracas. He moved to Washington, DC to enroll in the Governance and Political Management Program at George Washington University, under the tutelage of Venezuelan economist Luis Enrique Berrizbeitia, one of the top Latin American neoliberal economists. Berrizbeitia is a former executive director of the International Monetary Fund (IMF) who spent more than a decade working in the Venezuelan energy sector, under the old oligarchic regime that was ousted by Chávez.

That year, Guaidó helped lead anti-government rallies after the Venezuelan government declined to to renew the license of Radio Caracas Televisión (RCTV). This privately owned station played a leading role in the 2002 coup against Hugo Chávez. RCTV helped mobilize anti-government demonstrators, falsified information blaming government supporters for acts of violence carried out by opposition members, and banned pro-government reporting amid the coup. The role of RCTV and other oligarch-owned stations in driving the failed coup attempt was chronicled in the acclaimed documentary The Revolution Will Not Be Televised.

That same year, the students claimed credit for stymying Chavez’s constitutional referendum for a “21st century socialism” that promised “to set the legal framework for the political and social reorganization of the country, giving direct power to organized communities as a prerequisite for the development of a new economic system.” 

From the protests around RCTV and the referendum, a specialized cadre of US-backed class of regime change activists was born. They called themselves “Generation 2007.”

The Stratfor and CANVAS trainers of this cell identified Guaidó’s ally – a libertarian political organizer named Yon Goicoechea – as a “key factor” in defeating the constitutional referendum. The following year, Goicochea was rewarded for his efforts with the Cato Institute’s Milton Friedman Prize for Advancing Liberty, along with a $500,000 prize, which he promptly invested into his political network.

[PHOTO: Goigochea rewarded
 

Friedman, of course, was the godfather of the notorious neoliberal Chicago Boys who were imported into Chile by dictatorial junta leader Augusto Pinochet to implement policies of radical “shock doctrine”-style fiscal austerity. And the Cato Institute is the libertarian Washington DC-based think tank founded by the Koch Brothers, two top Republican Party donors who have become aggressive supporters of the right-wing across Latin America. 

Wikileaks published a 2007 email from American ambassador to Venezuela William Brownfield sent to the State Department, National Security Council and Department of Defense Southern Command praising “Generation of ’07” for having “forced the Venezuelan president, accustomed to setting the political agenda, to (over)react.” Among the “emerging leaders” Brownfield identified were Freddy Guevara and Yon Goicoechea. He applauded the latter figure as “one of the students’ most articulate defenders of civil liberties.”

Flush with cash from libertarian oligarchs and US government soft power outfits, the radical Venezuelan cadre took their Otpor tactics to the streets, along with a version of the group’s logo, as seen below:

 

“Galvanizing public unrest…to take advantage of the situation and spin it against Chavez”

In 2009, the Generation 2007 youth activists staged their most provocative demonstration yet, dropping their pants on public roads and aping the outrageous guerrilla theater tactics outlined by Gene Sharp in his regime change manuals. The protesters had mobilized against the arrest of an ally from another newfangled youth group called JAVU. This far-right group “gathered funds from a variety of US government sources, which allowed it to gain notoriety quickly as the hardline wing of opposition street movements,” according to academic George Ciccariello-Maher’s book, “Building the Commune.”

While video of the protest is not available, many Venezuelans have identified Guaidó as one of its key participants. While the allegation is unconfirmed, it is certainly plausible; the bare-buttocks protesters were members of the Generation 2007 inner core that Guaidó belonged to, and were clad in their trademark Resistencia! Venezuela t-shirts, as seen below:

[PHOTO: Is this the ass that Trump wants to install in Venezuela’s seat of power?
 

That year, Guaidó exposed himself to the public in another way, founding a political party to capture the anti-Chavez energy his Generation 2007 had cultivated. Called Popular Will, it was led by Leopoldo López, a Princeton-educated right-wing firebrand heavily involved in National Endowment for Democracy programs and elected as the mayor of a district in Caracas that was one of the wealthiest in the country. Lopez was a portrait of Venezuelan aristocracy, directly descended from his country’s first president. He was also the first cousin of Thor Halvorssen, founder of the US-based Human Rights Foundation that functions as a de facto publicity shop for US-backed anti-government activists in countries targeted by Washington for regime change. 

Though Lopez’s interests aligned neatly with Washington’s, US diplomatic cables published by Wikileaks highlighted the fanatical tendencies that would ultimately lead to Popular Will’s marginalization. One cable identified Lopez as “a divisive figure within the opposition… often described as arrogant, vindictive, and power-hungry.” Others highlighted his obsession with street confrontations and his “uncompromising approach” as a source of tension with other opposition leaders who prioritized unity and participation in the country’s democratic institutions.

[PHOTO: Popular Will founder Leopoldo Lopez cruising with his wife, Lilian Tintori
 

By 2010, Popular Will and its foreign backers moved to exploit the worst drought to hit Venezuela in decades. Massive electricity shortages had struck the country due the dearth of water, which was needed to power hydroelectric plants. A global economic recession and declining oil prices compounded the crisis, driving public discontentment. 

Stratfor and CANVAS – key advisors of Guaidó and his anti-government cadre – devised a shockingly cynical plan to drive a dagger through the heart of the Bolivarian revolution. The scheme hinged on a 70% collapse of the country’s electrical system by as early as April 2010. 

“This could be the watershed event, as there is little that Chavez can do to protect the poor from the failure of that system,” the Stratfor internal memo declared. “This would likely have the impact of galvanizing public unrest in a way that no opposition group could ever hope to generate. At that point in time, an opposition group would be best served to take advantage of the situation and spin it against Chavez and towards their needs.” 

By this point, the Venezuelan opposition was receiving a staggering $40-50 million a year from US government organizations like USAID and the National Endowment for Democracy, according to a report by the Spanish think tank, the FRIDE Institute. It also had massive wealth to draw on from its own accounts, which were mostly outside the country.

While the scenario envisioned by Statfor did not come to fruition, the Popular Will party activists and their allies cast aside any pretense of non-violence and joined a radical plan to destabilize the country. 

Towards violent destabilization

In November, 2010, according to emails obtained by Venezuelan security services and presented by former Justice Minister Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea, and several other student activists attended a secret five-day training at a hotel dubbed “Fiesta Mexicana” hotel in Mexico. The sessions were run by Otpor, the Belgrade-based regime change trainers backed by the US government. The meeting had reportedly received the blessing of Otto Reich, a fanatically anti-Castro Cuban exile working in George W. Bush’s Department of State, and the right-wing former Colombian President Alvaro Uribe. 

Inside the meetings, the emails stated, Guaidó and his fellow activists hatched a plan to overthrow President Hugo Chavez by generating chaos through protracted spasms of street violence. 

Three petroleum industry figureheads – Gustavo Torrar, Eligio Cedeño and Pedro Burelli – allegedly covered the $52,000 tab to hold the meeting. Torrar is a self-described “human rights activist” and “intellectual” whose younger brother Reynaldo Tovar Arroyo is the representative in Venezuela of the private Mexican oil and gas company Petroquimica del Golfo, which holds a contract with the Venezuelan state. 

Cedeño, for his part, is a fugitive Venezuelan businessman who claimed asylum in the United States, and Pedro Burelli a former JP Morgan executive and the former director of Venezuela’s national oil company, Petroleum of Venezuela (PDVSA). He left PDVSA in 1998 as Hugo Chavez took power and is on the advisory committee of Georgetown University’s Latin America Leadership Program. 

Burelli insisted that the emails detailing his participation had been fabricated and even hired a private investigator to prove it. The investigator declared that Google’s records showed the emails alleged to be his were never transmitted.

Yet today Burelli makes no secret of his desire to see Venezuela’s current president, Nicolás Maduro, deposed – and even dragged through the streets and sodomized with a bayonet, as Libyan leader Moammar Qaddafi was by NATO-backed militiamen.

 

Update: Burelli contacted the Grayzone after the publication of this article to clarify his participation in the “Fiesta Mexicana” plot. 

Burelli called the meeting “a legitimate activity that took place in a hotel by a different name” in Mexico.

Asked if OTPOR coordinated the meeting, he would only state that he “likes” the work of OTPOR/CANVAS and while not a funder of it, has “recommended activists from different countries to track them and participate in the activities they conduct in various countries.”

Burelli added: “The Einstein Institute trained thousands openly in Venezuela. Gene Sharpe’s philosophy was widely studied and embraced. And this has probably kept the struggle from turning into a civil war.”

The alleged Fiesta Mexicana plot flowed into another destabilization plan revealed in a series of documents produced by the Venezuelan government. In May 2014, Caracas released documents detailing an assassination plot against President Nicolás Maduro. The leaks identified the anti-Chavez hardliner Maria Corina Machado – today the main asset of Sen. Marco Rubio – as a leader of the scheme. The founder of the National Endowment for Democracy-funded group, Sumate, Machado has functioned as an international liaison for the opposition, visiting President George W. Bush in 2005.

[PHOTO: Machado and George W. Bush, 2005
 

“I think it is time to gather efforts; make the necessary calls, and obtain financing to annihilate Maduro and the rest will fall apart,” Machado wrote in an email to former Venezuelan diplomat Diego Arria in 2014.

In another email, Machado claimed that the violent plot had the blessing of US Ambassador to Colombia, Kevin Whitaker. “I have already made up my mind and this fight will continue until this regime is overthrown and we deliver to our friends in the world. If I went to San Cristobal and exposed myself before the OAS, I fear nothing. Kevin Whitaker has already reconfirmed his support and he pointed out the new steps. We have a checkbook stronger than the regime’s to break the international security ring.” 

Guaidó heads to the barricades

That February, student demonstrators acting as shock troops for the exiled oligarchy erected violent barricades across the country, turning opposition-controlled quarters into violent fortresses known as guarimbas. While international media portrayed the upheaval as a spontaneous protest against Maduro’s iron-fisted rule, there was ample evidence that Popular Will was orchestrating the show. 

None of the protesters at the universities wore their university t-shirts, they all wore Popular Will or Justice First t-shirts,” a guarimba participant said at the time. “They might have been student groups, but the student councils are affiliated to the political opposition parties and they are accountable to them.” 

Asked who the ringleaders were, the guarimba participant said, “Well if I am totally honest, those guys are legislators now.” 

Around 43 were killed during the 2014 guarimbas. Three years later, they erupted again, causing mass destruction of public infrastructure, the murder of government supporters, and the deaths of 126 people, many of whom were Chavistas. In several cases, supporters of the government were burned alive by armed gangs.

Guaidó was directly involved in the 2014 guarimbas. In fact, he tweeted video showing himself clad in a helmet and gas mask, surrounded by masked and armed elements that had shut down a highway that were engaging in a violent clash with the police. Alluding to his participation in Generation 2007, he proclaimed, “I remember in 2007, we proclaimed, ‘Students!’ Now, we shout, ‘Resistance! Resistance!'” 

Guaidó has deleted the tweet, demonstrating apparent concern for his image as a champion of democracy.

[VIDEO: Venezuela coup leader Juan Guaidó participates in violent guarimba riot in 2014 (The Grayzone, 28 gen 2019)
 
On February 12, 2014, during the height of that year’s guarimbas, Guaidó joined Lopez on stage at a rally of Popular Will and Justice First. During a lengthy diatribe against the government, Lopez urged the crowd to march to the office of Attorney General Luisa Ortega Diaz. Soon after, Diaz’s office came under attack by armed gangs who attempted to burn it to the ground. She denounced what she called “planned and premeditated violence.”
 
[PHOTO: Guaido alongside Lopez at the fateful February 12, 2014 rally
 

In an televised appearance in 2016, Guaidó dismissed deaths resulting from guayas – a guarimba tactic involving stretching steel wire across a roadway in order to injure or kill motorcyclists – as a “myth.” His comments whitewashed a deadly tactic that had killed unarmed civilians like Santiago Pedroza and decapitated a man named Elvis Durán, among many others. 

This callous disregard for human life would define his Popular Will party in the eyes of much of the public, including many opponents of Maduro.

Cracking down on Popular Will 

As violence and political polarization escalated across the country, the government began to act against the Popular Will leaders who helped stoke it.

Freddy Guevara, the National Assembly Vice-President and second in command of Popular Will, was a principal leader in the 2017 street riots. Facing a trial for his role in the violence, Guevara took shelter in the Chilean embassy, where he remains.

Lester Toledo, a Popular Will legislator from the state of Zulia, was wanted by Venezuelan government in September 2016 on charges of financing terrorism and plotting assassinations. The plans were said to be made with former Colombian President Álavaro Uribe. Toledo escaped Venezuela and went on several speaking tours with Human Rights Watch, the US government-backed Freedom House, the Spanish Congress and European Parliament.

Carlos Graffe, another Otpor-trained Generation 2007 member who led Popular Will, was arrested in July 2017. According to police, he was in possession of a bag filled with nails, C4 explosives and a detonator. He was released on December 27, 2017. 

Leopoldo Lopez, the longtime Popular Will leader, is today under house arrest, accused of a key role in deaths of 13 people during the guarimbas in 2014. Amnesty International lauded Lopez as a “prisoner of conscience” and slammed his transfer from prison to house as “not good enough.” Meanwhile, family members of guarimba victims introduced a petition for more charges against Lopez.

Yon Goicoechea, the Koch Brothers posterboy, was arrested in 2016 by security forces who claimed they found found a kilo of explosives in his vehicle. In a New York Times op-ed, Goicoechea protested the charges as “trumped-up” and claimed he had been imprisoned simply for his “dream of a democratic society, free of Communism.” He was freed in November 2017.

 

David Smolansky, also a member of the original Otpor-trained Generation 2007, became Venezuela’s youngest-ever mayor when he was elected in 2013 in the affluent suburb of El Hatillo. But he was stripped of his position and sentenced to 15 months in prison by the Supreme Court after it found him culpable of stirring the violent guarimbas.  

Facing arrest, Smolansky shaved his beard, donned sunglasses and slipped into Brazil disguised as a priest with a bible in hand and rosary around his neck. He now lives in Washington, DC, where he was hand picked by Secretary of the Organization of American States Luis Almagro to lead the working group on the Venezuelan migrant and refugee crisis.

This July 26, Smolansky held what he called a “cordial reunion” with Elliot Abrams, the convicted Iran-Contra felon installed by Trump as special US envoy to Venezuela. Abrams is notorious for overseeing the US covert policy of arming right-wing death squads during the 1980’s in Nicaragua, El Salvador, and Guatemala. His lead role in the Venezuelan coup has stoked fears that another blood-drenched proxy war might be on the way.

 

Four days earlier, Machado rumbled another violent threat against Maduro, declaring that if he “wants to save his life, he should understand that his time is up.”

A pawn in their game

The collapse of Popular Will under the weight of the violent campaign of destabilization it ran alienated large sectors of the public and wound much of its leadership up in exile or in custody. Guaidó had remained a relatively minor figure, having spent most of his nine-year career in the National Assembly as an alternate deputy. Hailing from one of Venezuela’s least populous states, Guaidó came in second place during the 2015 parliamentary elections, winning just 26% of votes cast in order to secure his place in the National Assembly. Indeed, his bottom may have been better known than his face.

Guaidó is known as the president of the opposition-dominated National Assembly, but he was never elected to the position. The four opposition parties that comprised the Assembly’s Democratic Unity Table had decided to establish a rotating presidency. Popular Will’s turn was on the way, but its founder, Lopez, was under house arrest. Meanwhile, his second-in-charge, Guevara, had taken refuge in the Chilean embassy. A figure named Juan Andrés Mejía would have been next in line but reasons that are only now clear, Juan Guaido was selected.   

“There is a class reasoning that explains Guaidó’s rise,” Sequera, the Venezuelan analyst, observed. “Mejía is high class, studied at one of the most expensive private universities in Venezuela, and could not be easily marketed to the public the way Guaidó could. For one, Guaidó has common mestizo features like most Venezuelans do, and seems like more like a man of the people. Also, he had not been overexposed in the media, so he could be built up into pretty much anything.”

In December 2018, Guaidó sneaked across the border and junketed to Washington, Colombia and Brazil to coordinate the plan to hold mass demonstrations during the inauguration of President Maduro. The night before Maduro’s swearing-in ceremony, both Vice President Mike Pence and Canadian Foreign Minister Chrystia Freeland called Guaidó to affirm their support. 

A week later, Sen. Marco Rubio, Sen. Rick Scott and Rep. Mario Diaz-Balart – all lawmakers from the Florida base of the right-wing Cuban exile lobby – joined President Trump and Vice President Pence at the White House. At their request, Trump agreed that if Guaidó declared himself president, he would back him.

Secretary of State Mike Pompeo met personally withGuaidó on January 10, according to the Wall Street Journal. However, Pompeo could not pronounce Guaidó’s name when he mentioned him in a press briefing on January 25, referring to him as “Juan Guido.”

 

By January 11, Guaidó’s Wikipedia page had been edited 37 times, highlighting the struggle to shape the image of a previously anonymous figure who was now a tableau for Washington’s regime change ambitions. In the end, editorial oversight of his page was handed over to Wikipedia’s elite council of “librarians,” who pronounced him the “contested” president of Venezuela.

Guaidó might have been an obscure figure, but his combination of radicalism and opportunism satisfied Washington’s needs. “That internal piece was missing,” a Trump administration said of Guaidó. “He was the piece we needed for our strategy to be coherent and complete.”

“For the first time,” Brownfield, the former American ambassador to Venezuela, gushed to the New York Times, “you have an opposition leader who is clearly signaling to the armed forces and to law enforcement that he wants to keep them on the side of the angels and with the good guys.”

But Guaidó’s Popular Will party formed the shock troops of the guarimbas that caused the deaths of police officers and common citizens alike. He had even boasted of his own participation in street riots. And now, to win the hearts and minds of the military and police, Guaido had to erase this blood-soaked history. 

On January 21, a day before the coup began in earnest, Guaidó’s wife delivered a video address calling on the military to rise up against Maduro. Her performance was wooden and uninspiring, underscoring her husband’s political limits. 

While Guaidó waits on direct assistance, he remains what he has always been – a pet project of cynical outside forces. “It doesn’t matter if he crashes and burns after all these misadventures,” Sequera said of the coup figurehead. “To the Americans, he is expendable.”


Max Blumenthal is an award-winning journalist and the author of several books, including best-selling Republican GomorrahGoliathThe Fifty One Day War, and The Management of Savagery. He has produced print articles for an array of publications, many video reports, and several documentaries, including Killing Gaza. Blumenthal founded The Grayzone in 2015 to shine a journalistic light on America’s state of perpetual war and its dangerous domestic repercussions.

 

Dan Cohen is a journalist and filmmaker. He has produced widely distributed video reports and print dispatches from across Israel-Palestine. Dan is a correspondent at RT America and tweets at @DanCohen3000.

http://www.dancohenmedia.com/
 
 
L'ANPI nella trappola del "Giorno del Ricordo"
 
1) Intimidazioni anche a Parma 
Attacco iniziato da ADNKronos contro l'ANPI di Parma per l'iniziativa del 10/2 al Cinema Astra, rincarano la dose Salvini e Foti
Lettera aperta di Sandi Volk / Testo del volantino di accompagnamento alla iniziativa
2) Perche' il documento ANPI sui "Confini Orientali" è insufficiente rispetto alla offensiva revisionista-revanscista (G. Caggiati)
 
Vedi anche:
 
Gorizia, se la Decima Mas è ricevuta in Comune (di Anna Di Gianantonio, presidente ANPI Gorizia, 28.1.2019)
Anpi con sindacati, partiti e associazioni democratiche italiane e slovene in presidio di protesta per la decisione del Comune di ricevere i nostalgici della flottiglia alleata dei nazisti. Quando la storia del confine orientale è piegata alle pulsioni nazionaliste... Da anni a Gorizia, ogni 19 gennaio, in Comune arrivano i reduci della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, autore del tentato golpe del 1970... l’assessore delegata del sindaco ha accolto con la fascia tricolore i reduci accompagnati dai fascisti di CasaPound. All’Anpi è stato vietato il presidio davanti al Comune...
 
 
=== 1 ===
 
Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
 
FOIBE E FASCISMO 2019
 
Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del "Giorno del Ricordo"  
(per le precedenti si veda: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/parma_iniziative.htm )

Alle 10.30  CONFERENZA di Sandi Volk, storico, "I morti delle foibe riconosciuti dalla legge: 354, quasi tutti delle forze armate dell'Italia fascista"
alle  11.00  LETTURA DI TESTIMONIANZE di antifascisti e partigiani
alle  11.15  VIDEO "La foiba di Basovizza: un falso storico" di Alessandra Kersevan, storica e editrice
alle  11.30  VIDEO "Norma Cossetto: un caso tutt'altro che chiaro" di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica
 
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA

 
---
 
Sulle polemiche, in ordine cronologico inverso:
 
Foibe e fascismo, scontro tra Lega e Anpi sul convegno di Parma (4 febbraio 2019)
"È necessario rivedere i contributi alle associazioni, come l'Anpi, che negano le stragi fatte dai comunisti nel dopoguerra''. Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini, intervenendo sulle polemiche per il convegno organizzato sulle Foibe da Anpi il 10 febbraio a Parma... 
Quindi una presa di distanza: "Sia la frase sulla pagina Facebook dell’Anpi di Rovigo che l’iniziativa di Parma non sono condivisibili e offrono uno straordinario pretesto di polemica a chi è molto più amico di Casapound che dell’Anpi" conclude Nespolo [presidente nazionale ANPI]. 
Anche l'associazione cittadina reagisce: "Nessun convegno negazionista e nessuna sponsorizzazione", dice il presidente Aldo Montermini... "si tratta in realtà della quattordicesima edizione di una iniziativa, promossa dal comitato antifascista antimperialista e per la memoria storica, che in occasione della giornata del ricordo, invita a riflettere, oltre che sulle foibe, anche sul ruolo che ha avuto l'occupazione fascista in quelle terre... L'Anpi - prosegue Montermini - è sempre stato presente all'iniziativa e anche quest'anno parteciperà (che è diverso da sponsorizzare) in piena autonomia come è suo costume"...
 
Foibe, l'Anpi nazionale: "Iniziativa di Parma non condivisibile" perché alimenta polemiche (4 Febbraio 2019)
Foibe, cresce la polemica a Parma. La prima scintilla è tra Fratelli d'Italia e l'Anpi. Il senatore FdI Luca Ciriani critica l'Anpi per il suo sostegno a un convegno sul tema "Foibe e Fascismo", durante il quale sarà diffuso il video "La foiba di Basovizza: un falso storico". L'associazione partigiani risponde che non si tratta di una sponsorizzazione e che il convegno non è negazionista. 
Nel pomeriggio il ministro dell'Interno Matteo Salvini è intervenuto nella polemica, sostenendo che occorre rivedere i contributi alle associazioni "che negano le stragi fatte dai comunisti". L'Anpi nazionale dice "le minacce di Salvini non ci spaventano" ma aggiunge che l'iniziativa di Parma non è condivisibile perché è di quelle che "offrono pretesti di polemica a chi è più amico di Casapound che dell'Anpi"...
Foibe: convegno parmigiano, polemiche e critiche nazionali tra Salvini, Anpi e FdI (Gazzetta di Parma, 4 Febbraio 2019)
 
Ora l'Anpi sponsorizza il convegno che nega le foibe (Luisa De Montis - Dom, 03/02/2019)
In programma per domenica prossima, in un noto cinema della città emiliana, la conferenza negazionista, con registi e storici da sempre sostenitori di posizioni revisioniste.. Ma lo scandalo è il logo dell'Anpi di Parma sulla locandina...
 
Foibe, Anpi 'sponsor' del convegno revisionista (03/02/2019)
Non si sono ancora placate le polemiche sul post negazionista dell'Anpi di Rovigo, che per i Partigiani d'Italia spunta un'altra grana. Il logo dell'associazione infatti è presente sulla locandina del convegno revisionista "Foibe e Fascismo 2019", la "Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del 'Giorno del Ricordo'" in programma il 10 febbraio alle 10.30 al Cinema Astra di Parma. Con l'Anpi ci sono anche l'Anppia, l'associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, e il Comitato antifascista antimperialista e per la memoria storica a patrocinare l'evento, che vede gli interventi di alcuni storici già finiti al centro delle polemiche per le loro posizioni revisioniste...
 
---
 
Lettera aperta – con richiesta di pubblicazione
A:
Matteo Salvini, Ministro degli Affari Interni
Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia
Carla Nespolo, Presidente nazionale dell’ANPI
 
Leggo le vs. dichiarazioni in merito all’iniziativa che da oltre dieci anni diverse associazioni antifasciste organizzano a Parma in occasione del Giorno del Ricordo e che quest’anno (come già in anni passati) mi vede onorato dell’invito a portarvi un mio contributo. Essendo direttamente coinvolto vorrei dirvi alcune cose in merito.  

Vorrei innanzitutto invitare tutti e tre a LEGGERE quello che scriviamo io e i miei colleghi in merito alla Giornata del Ricordo e delle foibe prima di sparare giudizi. Definirci negazionisti (cosa che non mi farà certamente adeguare alla vulgata, anche pseudo-storica, sulla vicenda) è non solo sbagliato, ma un assurdo, dato che quelli che veniamo definiti “negazionisti” siamo gli unici a fare vera ricerca sul tema. Personalmente mi occupo da anni di raccogliere i nomi (dato che non esiste un elenco ufficiale) delle persone alla cui memoria ogni 10 febbraio vengono assegnati i riconoscimenti. Dove starebbe il negazionismo? Nel fatto che le persone alla cui memoria è stato concesso il riconoscimento sono in tutto 354 (al 10/2(2018)? Che tra i c.d. infoibati a cui è stato concesso il riconoscimento c’è pure una persona per la la quale è accertato che è morta da partigiano, uccisa dai nazisti? Che di un'altra la stessa motivazione ufficiale per la concessione del riconoscimento afferma che è stata fucilata dai nazisti? Che gran parte dei riconoscimenti sono stati concessi alla memoria di persone cadute in combattimento, o facenti parte di formazioni armate al servizio dei nazisti, o, ancora, condannate a morte dopo un processo che ne aveva accertato la responsabilità per delitti efferati, che stando alla lettera della legge dovrebbero essere escluse dalla possibilità di avere il riconoscimento?

Vogliamo confrontarci su questo in maniera seria, argomentata e documentata? Non ci siamo mai tirati indietro, anzi.

Al Ministro degli Interni ho da dire solo un bel – e credo che apprezzerà - “me ne frego” delle sue contumelie. Perché se una volta mi facevano arrabbiare ora le considero scontate, il ripetersi di un copione, che non fa che confermare che quanto sto e stiamo facendo è giusto e sta dando risultati.  Visto che di “negazionisti” ce n’è sempre di più e sempre più autorevoli e che pian pianino la realtà sulle fandonie che vengono raccontate ogni 10 febbraio si sta facendo sempre più strada. 

Al Presidente della Regione FVG Fedriga dico che sono assolutamente d’accordo quando afferma che usare il dolore  “... per alimentare divisioni e riaprire ferite che hanno lacerato il confine orientale nel secondo dopoguerra è un esercizio che la Regione non può che condannare con forza ...“, solo che a farlo non sono certamente gli organizzatori dell’iniziativa di Parma, ma altri. Ad esempio l’Associazione nazionale congiunti infoibati, che nell’aprile del 2016 ha indicato al sindaco di Osilia, in Sardegna, il nominativo di un cittadino osiliese che, a dire dell’associazione, sarebbe stato “infoibato”, ma che il Ministero della Difesa ha accertato essere morto ... in Russia (vedi La Nuova Sardegna, 20.2.2017)!

Alla presidente dell’ANPI vorrei chiedere un minimo di coerenza. Perché non è possibile fare appelli all’antifascismo e poi considerare “non condivisibile” quanto fanno coloro che l’impegno antifascista lo hanno pagato e lo pagano con licenziamenti, attacchi, insulti e minacce. Perché o si sta con gli antifascisti, oppure si sta con chi fa, lui si, il gioco degli amici di Casapound: i “fascisti del terzo millennio” l’occupazione dello stabile in cui hanno la loro sede nazionale a Roma l’hanno “regolarizzata” all’epoca del sindaco Veltroni, e sono diversi gli esponenti del PD che con Casapound hanno “democraticamente” interloquito, anche partecipando a incontri nelle sedi dell’associazione fascista. Questi sono coloro che hanno sdoganato Casapound e simili, che hanno avuto nel Giorno del Ricordo lo strumento della ri-legittimazione ufficiale del fascismo e dei fascisti, passati ed attuali. A dimostrarlo c’è proprio quanto accade ad ogni 10 febbraio, quando le varie organizzazioni fasciste fanno a gara per onorare pubblicamente e con la benedizione dello Stato (nonché con finanziamenti e sponsorizzazioni pubbliche) i “loro” caduti e diffondere le loro teorizzazioni.

Cordiali saluti.
 
Sandi Volk
Trieste, 5/2/2019
---
 
Di seguito il volantino di accompagnamento alla iniziativa di Parma:
 
L’ITALIA FASCISTA AGGREDI’ LA JUGOSLAVIA, NON VICEVERSA!

Il primo razzismo di Mussolini, prima ancora delle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, fu quello contro i popoli slavi. Disse Mussolini nel 1920 a Pola: <<Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone>>. Nell’aprile del 1941 l’esercito italiano del re e di Mussolini aggredì e invase la Jugoslavia, che nulla aveva fatto contro l’Italia. L’Italia fascista si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni
di occupazione particolarmente dure e crudeli non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati dati alle fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, prigionia e campi di concentramento in Jugoslavia e in Italia. E questo dopo aver attuato, il fascismo, nel corso del ventennio, nelle zone del confine nordorientale del Regno d’Italia abitate anche da sloveni e croati, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata. Successivamente alle azioni delle squadracce
fasciste contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”. Una violenza dunque, quella fascista, precedente, sistematica e pianificata, di proporzioni assolutamente più grandi – 700 e oltre sono stati i criminali di guerra italiani in Jugoslavia, a cominciare dai generali Roatta e Robotti, secondo la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, nessuno dei quali è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave – rispetto a quella jugoslava per i morti delle foibe
nel settembre/ottobre ’43 e nel maggio ’45.
Le foibe, alle quali aveva già pensato il fascismo col ministro Cobolli Gigli che aveva scritto: <<La musa istriana ha chiamato foiba il degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese le caratteristiche nazionali dell’Istria>>, sono cavità naturali profonde presenti nelle zone carsiche del confine nordorientale, utilizzate da sempre dagli abitanti per disfarsi di oggetti e cose varie, per far sparire carcasse di animali e anche uomini stessi vittime di tragedie private. In Italia nel 2004 la legge 92 <<Istituzione del giorno del
ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati>> ha fatto del 10 febbraio di ogni anno un giorno di solennità civile nazionale atto innanzitutto a celebrare i morti delle foibe del settembre/ottobre ’43 e del maggio ’45 per mano dei partigiani jugoslavi. Ma quanti sono e chi sono i morti delle foibe che in oltre dieci anni di applicazione della legge hanno ufficialmente ricevuto (loro famigliari) riconoscimenti e medaglie
della Repubblica italiana? Ad oggi, gennaio 2019, risultano essere 354, in gran parte appartenenti a formazioni armate dell’Italia fascista e personale politico fascista, in minima parte scomparsi nelle foibe vere e proprie. 
Numeri e identità ben diversi dalle migliaia, decine di migliaia, di infoibati innocenti di cui parlano i promotori della legge 92/2004! Infondata è la tesi che vi sia stato nei confronti dell’Italia e degli italiani un <<disegno annessionistico slavo>> che <<assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica>> come disse il Presidente Napolitano il 10 febbraio 2007. Semmai c’è stato con la legge 92/2004 il tentativo politico di criminalizzare la Resistenza, innanzitutto la jugoslava, e di riaffermare il fascismo. Il fascismo che intraprese la guerra,
che è stato il vero aggressore e feroce occupante di Jugoslavia e Balcani, razzista e imperialista. Un tentativo politico di rovesciamento della realtà storica. Eclatante il caso del parmense Paride Mori fascista repubblichino volontario al confine nordorientale col grado di capitano del Battaglione Bersaglieri <<Mussolini>> ucciso nel ’44 con armi da fuoco dai partigiani jugoslavi al quale (suoi figli) il 10 febbraio 2015 le massime autorità della Repubblica hanno dato la medaglia da vittima delle foibe. Medaglia che è stata poi revocata in seguito alle forti
proteste antifasciste..

· Nessun riconoscimento e medaglia della Repubblica italiana nata dalla Resistenza a fascisti “vittime delle foibe”.
· Revoca dei riconoscimenti e medaglie di questo tipo dati dal 2005 ad oggi.
· Onore ai soldati italiani partigiani morti a migliaia combattendo in Jugoslavia dopo l’8 settembre ’43 contro il nazifascismo a fianco della Resistenza Jugoslava.
· Cancellazione dalla toponomastica stradale di Parma di <<via martiri delle foibe>>, nome fuorilegge stante che <<martiri delle foibe>> non si trova mai scritto nemmeno nella legge 92/2004.
· Ricordo degli 800 e oltre antifascisti slavi sloveni e croati deportati e detenuti negli anni ’42,’43 nel carcere di S. Francesco di Parma.
· Riattivazione del gemellaggio esistente dai primi anni ’60 di Parma con Lubiana, che dal fascismo fu ferocemente occupata, e sostituzione del <<Giorno del ricordo delle vittime delle foibe>> col <<Giorno della pace e dell’amicizia fra il popolo italiano e i popoli della ex Jugoslavia>>.
 
Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica di Parma
 
 
=== 2 ===
 
PERCHE' IL DOCUMENTO ANPI SUI "CONFINI ORIENTALI" E' INSUFFICIENTE RISPETTO ALLA OFFENSIVA REVISIONISTA-REVANSCISTA
 
"Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni" (documento approvato dal Comitato Nazionale ANPI il 9 dicembre 2016)
 
 
Sul documento del Comitato nazionale ANPI "Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni"
 
Ho dato ora una rapidissima occhiata al documento dell'ANPI nazionale. (...) Il documento si diffonde sul '44, il '45, e gli anni postbellici. A mio modesto avviso (da militante, non certo da esperto storico) possono anche esserci state mire espansionistiche jugoslave, può anche essere stata incerta e oscillante la posizione dei comunisti italiani, la Jugoslavia può aver acquisito territori prima italiani, uscita dalla guerra e dalla Conferenza di pace del '47 come vincitrice a differenza dell'Italia uscita come sconfitta. Per non parlare, poi, del sistema politico jugoslavo, ovvero della Jugoslavia socialista, per non toccare, addirittura, la realtà dei vari Paesi dell'Est, più a Est della Jugoslavia, le "democrazie popolari" aderenti al Patto di Varsavia. Su questo piano allora possiamo discutere tanto... Ma non perdiamo la bussola! Non è di questo che si tratta! Qui in discussione è una giornata celebrativa, di solennità nazionale, con cui la Repubblica italiana nata dalla Resistenza antifascista ha dato, e può continuare a dare per altri 10 anni, riconoscimenti e medaglie ai fascisti. I fascisti che prima nel ventennio hanno italianizzato con la forza quelle zone del confine nordorientale abitate anche da non italiani, poi insieme ai nazisti hanno mosso guerra alla Jugoslavia che nulla aveva fatto contro l'Italia. E l'Italia il 10 febbraio dovrebbe commemorare questi signori?! Non scherziamo. Stiamo alla realtà storica dei fatti in questione oggetto delle foibe. Non perdiamo la bussola, ripeto. Se poi si vuol discutere, criticamente, della Jugoslavia uscita dalla guerra e costruita da Tito, liberissimi di farlo. Ma questa è appunto un'altra cosa. Tale, anche in riferimento all'esodo stesso degli italiani da Istria e Dalmazia ("schizzato" a non meno di 300.000 persone nel documento ANPI) qualora e laddove vi fossero forti responsabilità jugoslave in esso, da non giustificare l'istituzione di una giornata di solennità civile nazionale. La quale, è vero, parla anche più in generale delle complesse vicende del confine nordorientale, ma che per come è nata, nel clima poltico degli anni dei "ragazzi di Salò", dell'incontro Violante-Fini, ecc., porta un segno di destra, anticomunista, revanscista, ben difficile da equilibrare. Dovremmo "contrattaccare" e proporre il "giorno dell'amicizia fra i popoli". A partire dal ricordo dei 40.000 italiani che l'indomani dell'8 settembre scelsero di combattere contro il nazifascismo a fianco dela Resistenza Jugoslava (aspetto su cui nel documento ANPI non c'è nulla).

Giovanni Caggiati
febbraio 2018